Il testo base e il problema della ricostruzione formale M. Zaccarello Università di Verona, 14.XI.2012 Verità storica / Verità testuale ► ► ► Tanto in filologia classica come in filologia romanza, gli editori devono fare i conti con un paradosso: Se la ricostruzione comparativa è necessaria per la costituzione del testo e l’emendamento degli errori derivanti dalla trasmissione, lo stesso procedimento ci consegna un testo eclettico e composito, privo di veridicità storica e affidabilità linguistica: un testo che non è mai esistito… Da ciò dipende il successo, specie in filologia romanza, di edizioni basate su un unico bon manuscrit, il codex optimus che rispecchia un contesto reale di produzione e può essere anche oggetto di studio linguistico. Uno standard per l’edizione critica Nel mondo anglofono, il Rationale of copy-text (1951) di W.W. Greg si è affermato come lo standard metodologico per l’edizione di testi tramandati a stampa; ► La teoria di Greg ha fornito una risposta alla vexata quaestio citata in apertura: ricostruire un testo unitario e coerente da fonti multiple e disomogenee. ► La cruciale distinzione fra la lingua del testo (accidentals) e la sua sostanza semantica (substantives), ha permesso di elaborare procedure diverse e parallele per le rispettive ricostruzioni, valide anche quando il copy-text sia una fonte manoscritta. ► Teoria e Pratica Oltre sessant’anni di prassi editoriale hanno consolidato il criterio di Greg con inevitabili aggiunte e correzioni di metodo: ► Ad esempio, Fredson Bowers ne ha esteso la validità ai casi di edizione da un testo base manoscritto (Multiple Authority: New Concept and Concepts of Copy-Text, 1972); ► Al contempo, G.T. Tanselle (Editing without a CopyText, 1994) ha dimostrato che in alcuni casi il criterio di Greg non può essere applicato (ad es., in testi a trasmissione radiale, come i dattiloscritti di S. Crane). ► Le fasi principali del dibattito sul criterio di Greg e le relative implicazioni per definire la authorial intention possono essere ripercorse grazie a un ampio studio di Richard Bucci in Studies in Bibliography, 56 (2003-4). ► Lo “sguardo da un altro pianeta” ► ► ► A fine anni 80, Conor Fahy, Neil Harris e Pasquale Stoppelli hanno introdotto gli studiosi italiani alle principali innovazioni della ‘bibliografia testuale’ inglese; Permangono però importanti differenze: in Italia, la prassi editoriale resta separata dalla biblioteconomia / bibliografia, che resta legata alle biblioteche. Di conseguenza, le implicazioni materiali della trasmissione dei testi ions of printed transmission hanno avuto solo assai di recente un’adeguata rappresentazione nelle edizioni critiche e nel dibattito filologico, con la fondazionedi riviste specialistiche (Ecdotica, Tipofilologia). Metodo comparativo, o delle innovazioni condivise Gli studiosi italiani non hanno mai abbandonato il metodo che si suole definire neo-lachmanniano, anche se la sua elaborazione dipende in gran parte da lavori successivi quali laTextkritik di Paul Maas (1926); ► La prospettiva storica sul metodo è stata reataurata solo assai di recente, a partire dai lavori di studiosi quali S. Timpanaro, E. Montanari, e da ultimo G. Fiesoli’s La genesi del Lachmannismo (2005). ► Nel contesto editoriale italiano, l’adozione di un’unica fonte dipende da fattori contestuali, quali un numero incontrollabile di testimonianze o la presenza di un codex optimus: ad es. l’edizione Alberto Morino de La composizione del mondo di Ristoro d’Arezzo (1976). ► Michele Barbi (1867-1941) ► La fondazione della critica testuale dei Classici italiani spetta, com’è noto, al volume di Michele Barbi La nuova filologia e l’edizione dei nostri scrittori: da Dante al Manzoni (1938). ► Saldamente basato sulla filologia classica, il metodo barbiano appare modellato sul profilo testuale delle opere di Dante, a cui il filologo pistoiese aveva a lungo atteso (Vita nuova, 1907 e 1932). Benedetto Croce (1866-1952) Ma l’approccio testuale di Barbi dev’essere letto in relazione all’idealismo letterario di Benedetto Croce, con l’enfasi sull’autorialità e sull’ispirazione poetica che spesso relega in ombra gli specifici caratteri evolutivi della trasmissione… ► Negli stessi anni, Croce liquidava con disprezzo la filologia degli scartafacci, che aveva portato straorduinarie acquisizioni in Italia (Illusioni sulla genesi delle ► opere d'arte documentabile dagli scartafacci degli scrittori, «Quaderni della Critica», 1947). Gianfranco Contini (1912-1990) ► ► Tali innovazioni di metodo vantavano in Italia straordinari risultati: i frammenti autografi di Ariosto editi da S. Debenedetti (1928), il lavoro di G. De Robertis sulle varianti autografe di Leopardi e Ungaretti (1937-45); La chiusura crociana spinse un giovane Contini ad attaccare le posizioni di Croce in un saggio memorabile (La critica degli scartafacci, 1949). Metodo ecdotico: il contesto romanzo ► ► ► In Europa, nessuna tradizione metodologica può vantare una tradizione più ricca della francese nel dibattito metodologico sull’edizione dei testi; Vi si affaccia precocemente la distinzione fra restitutio textus e ricostruzione di aspetti formali e connotati linguistici; Tali metodi ricostruttivi sono rispettivamente definiti critique des formes e critique des leçons nella Introduzione alla Vie de saint Alexis di Gaston Paris (1872), che applicava alla lingua criteri di tipo comparativo / selettivo. Paul Meyer (1840-1917) Un tale approccio fu aspramente criticato da Meyer, che accoglieva la ricostruzione comparativa per il testo, ma la riteneva inadattta a fornire indicazioni storico-linguistiche, in quanto la sua appilcazione avrebbe generato un testo “qui n’a jamais existé tel quel”; ► Nato a Parigi, Meyer vantava contatti assidui con le tradizioni metodologiche inglese e italiana (Accademico Linceo, 1899); il suo rifiuto della soluzione di Paris apparve nella rivista Romania (1874), da Meyer appena fondata. ► La orthographie dei testi doveva al contrario essere attinta da un solo testimone, quello che la recensio comparativa e genealogica avesse rivelato come codex optimus. ► Romance scriptae ► ► ► La posizione di Meyer rivela quanto in tale ambito il metodo filologico si intersechi con la ricerca storicolinguistica: Al centro della complessa questione sta infatti la relazione complessa e spesso contraddittoria fra grafia e pronuncia, che ha le sue radici nell’applicazione dell’alfabeto latino a suoni che questo può esprimere con difficoltà (ad es. suoni palatali); Per illustrare tale complessa relazione, sarebbe occorso più di un secolo, con la coniazione del termine scripta e una tradizione di studi ancora assai vivace sull’origine e lo sviluppo dei sistemi di rappresentazione romanzi (ad es. la voce di Rosario Coluccia nell’ENC.IT Enciclopedia dell’Italiano Treccani, 2010). Caratteri grafici e patina linguistica: condervare o ammodernare? Nei secoli che precedono la sistemazione grammaticale e ortografica dell’italiano, i testimoni superstiti presentano un’ampia gamma di scrizioni diverse, con allotropi fonetici e grafie diverse che convivono anche nello stesso luogo del testo; ► Sarebbe illusorio attendersi un’anche parziale coerenza nelle scriptae medievali e negli usi d’autore: l’edizione critica si presenta così come problematica reductio ad unum di un’insanabile pluralità. ► Le koinai del Rinascimento, e soprattutto le officine di stampa, introdurranno una standardizzazione basata su scrizioni ‘polivalenti’ basate sul latino, che si prestavano a risovere incertezze di ortografia quando non di pronuncia (advenire, condempnare, triumpho, valentia, sententia etc.). ► Segni, suoni, forme… ► ► ► ► Tornando al dibattito Meyer-Paris, il primo aveva buon gioco a rivelare un grave equivoco di fondo nell’operato del secondo: « [Paris] agit comme s’il admettait les prémisses suivantes: l’auteur notait constamment les mêmes sons de la même manière; la variété dans la notation des sons est le fait des copistes. Or, ces prémisses étant fausses, c’est ici que la juste limite est dépassée». L’attività congetturale che instaurava nel testo non ciò che i codici riportavano, ma quanto era ritenuto più ‘probabile’ nel sistema linguistico di partenza, era viziata da una marcata arbitrarietà Tale arbitrio appariva ncor più inaccettabile alla luce della fase ancora assai precoce degli studi linguistici sulle varietà di partenza (in Italia solo con il 1926 si avranno i Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento di A. Schiaffini). Storia della lingua e filologia ► Per Meyer, la soluzione non poteva essere che il rispetto delle originali alternanze, unica a dar conto dell’ambiguità intrinseca del sistema di rappresentazione coevo: ► «il n’y a qu’à conserver le mélange des deux notations, puisqu’elles étaient équivalentes non-seulement pour les copistes, mais selon toute apparence pour l’auteur lui même». ► Grazie a tali alternanze, a testo o in apparato, l’edizione critica può fornire materiali autentici per l’avanzamento delle conoscenze linguistiche sulle varietà medievali, come in Italia ha più volte autorevolmente auspicato Gianfranco Folena negli anni Sessanta e Settanta. Un compromesso all’italiana?… ► «Quando i testimoni sono parecchi, nella rilevata impossibilità di dedurre da un confronto delle testimonianze le forme e la grafia dell’autore, conviene scegliere il testimone più conservativo e comunque meglio “qualificato” dal punto di vista linguistico e seguire quello». (F. Brambilla Ageno, 1984). ► Tali principi non sono seguiti tanto spesso: un esempio virtuoso è la recente ed. della Vita Nova a cura di S. Carrai (2009), con ricostruzione stemmatica del testo ma patina linguistica tratta dal ‘bon manuscrit’ Vat. Chigiano L.VIII.305.