SERVIZIO AGRICOLTURA 1955-2005 CINQUANT’ANNI DI ATTIVITÀ DELL’ISTITUTO SPERIMENTALE DI FRUTTICOLTURA DELLA PROVINCIA DI VERONA Atti del Convegno - Verona 4 novembre 2005 Le foto di copertina partendo dall’alto in senso orario: la sede storica dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura in Borgo Roma a Verona, la cultivar “Lucrezia”, l’attuale sede del Servizio Agricoltura a San Floriano e l’azienda agricola di Ponton. Le foto nei testi delle relazioni sono degli Autori. Le foto di copertina e quelle relative al convegno sono dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona SERVIZIO AGRICOLTURA 1955-2005 CINQUANT’ANNI DI ATTIVITÀ DELL’ISTITUTO SPERIMENTALE DI FRUTTICOLTURA DELLA PROVINCIA DI VERONA Atti del Convegno - Verona 4 novembre 2005 Saluto del Presidente della Provincia di Verona Vorrei innanzitutto porgere un sentito ringraziamento a tutti gli intervenuti; la loro presenza così numerosa ritengo che possa essere considerata come segno tangibile di affetto e, aggiungerei, di riconoscenza per tutte le iniziative, le attività, i progetti realizzati in cinquant’anni di intenso lavoro svolto dal nostro Istituto Sperimentale di Frutticoltura. La Provincia di Verona è sempre stata sensibile ai problemi del mondo agricolo, che tanto ha contribuito in passato, e continua tutt’oggi, allo sviluppo socio-economico del nostro territorio. La costante attenzione che la Provincia di Verona ha dedicato alle attività frutticole veronesi è testimoniata da una serie di iniziative che hanno contribuito ad incidere profondamente sullo sviluppo del comparto ortofrutticolo che ormai da decenni totalizza circa il 70% delle analoghe produzioni del Veneto. E ciò è dovuto certamente alla felice combinazione di diversi fattori, tra cui le favorevoli condizioni ambientali, la recettività e la qualità del fattore umano, da sempre disponibile ad acquisire adeguate professionalità, la particolare capacità imprenditoriale della gente veronese e non da ultimo il costante sostegno tecnico fornito appunto dagli Enti e dalle Istituzioni presenti sul territorio, in primis quello dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura. La Provincia di Verona non si è occupata solo di ortofrutta ma ha prodotto notevoli sforzi anche per supportare lo sviluppo del comparto vitivinicolo, dapprima con la costituzione del Centro Sperimentale Vitivinicolo di S. Floriano e più recentemente con l’attiva partecipazione alla realizzazione del Corso di Laurea in Tecnologie Viticole ed Enologiche attuato dall’Università di Verona in collaborazione con l’Università di Padova. A breve quel Corso troverà sede nella prestigiosa Villa Lebrecht-Ottolini a S. Floriano, magistralmente restaurata grazie all’intervento della Fondazione Cariverona, che ha fortemente sostenuto questo progetto. La vicinanza del nuovo corso di laurea alla sede del Servizio Agricoltura 5 della Provincia favorirà una collaborazione sempre più stretta per l’attuazione di sinergie e una oculata gestione delle risorse umane e strumentali. Proprio questa mattina, parallelamente a questo felicissimo momento, avrò il piacere di poter presenziare assieme al Rettore e amico prof. Mazzucco alle prime Lauree di questo nuovo Corso, che contribuirà ad elevare la qualità ed il prestigio della vitivinicoltura veronese. Tornando al motivo per cui oggi siamo qui riuniti, non posso non ricordare alcune tappe importanti della storia del nostro Istituto: la guida all’ammodernamento degli impianti di pero, la creazione di nuove varietà di ciliegio, l’introduzione della produzione autunnale delle fragole, gli studi sulla coltura in vitro dei tessuti, oltre al continuo aggiornamento sulle tecniche colturali e sugli assortimenti varietali. Aspetti tutti che hanno contribuito a far conoscere l’attività dell’Istituto anche al di là dell’ambito provinciale e pure fuori d’Italia, grazie anche alla preziosa collaborazione di prestigiose istituzioni ministeriali ed universitarie, oggi in gran parte qui rappresentate ed alle quali è rivolto un particolare sentimento di gratitudine. Altrettanta gratitudine vada agli Enti tecnici ed economici del territorio con i quali l’Istituto ha sempre avuto stretti e proficui rapporti di lavoro. Auguro a tutti un buon proseguimento dei lavori. Elio Mosele 6 Saluto del Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Verona Sono particolarmente lieto dell’invito fattomi a partecipare a quest’incontro in rappresentanza di una Università che sta dedicando una crescente attenzione, fin’anco una preoccupazione rispetto alla necessità di relazionarsi con una molteplicità di forze esterne allo stretto vincolo delle mura dell’Accademia, consapevole della sostanziale evoluzione dei meccanismi di reclutamento molteplici rispetto al passato e questo perché l’Università deve e vuole interpretare le necessità correlandosi con l’evoluzione - che sta davanti agli occhi di tutti - della quantità e della qualità dei ruoli dirigenziali in tutti gli ambiti della società. Questo processo è da tempo iniziato anche a Verona ed ha prodotto un’ampia serie di iniziative, una delle quali a pieno titolo si colloca nella celebrazione dell’anniversario che ha luogo nella giornata di oggi. La ricerca nel settore della frutticoltura nell’Università di Verona c’è, è molto vivace, sta crescendo nel Dipartimento Scientifico-Tecnologico. Non è il caso che io affronti nel merito alcune fondamentali ricerche di genetica vegetale che hanno consentito di dar vita ad alcune piante da frutto geneticamente modificate in senso favorevole rispetto alle patologie ambientali con splendidi risultati in ambito produttivo e che credo vadano considerate con molta attenzione, ovviamente alla luce di necessarie modifiche legislative. Comprensibilmente, alla luce della indiscussa connotazione che il territorio veronese vanta in tema di viticoltura, si è prodotto, con l’auspicio e l’intervento dell’attuale Presidente, allora Rettore dell’Università, il prof. Mosele, l’avvio con determinazione e con la preziosa collaborazione dell’Università di Padova e non senza le consuete preoccupazioni, riserve, diffidenze, ancor oggi non del tutto concluse, un percorso universitario di formazione di enologi e viticoltori, mettendo a frutto alcune competenze già esistenti nella nostra Università, ma aprendo anche un confronto costruttivo col ricco mondo della produzione enologica. Oggi il prof. Mosele, sull’altro versante di questa collaborazione, che si va dimostrando sempre più proficua, continua a sostenere questo progetto e credo non vi sia alcun dubbio sul fatto che 7 esso rappresenta un singolare esempio di strategia territoriale, estremamente qualificante per il reclutamento delle grandi realtà, ma anche delle grandi potenzialità del territorio veronese e questo sia nella linea formativa che in quella della ricerca scientifica, in entrambi i casi con risultati estremamente positivi. Malgrado qualche non fugata diffidenza ancora esistente tra i nostri interlocutori, registriamo con grande piacere anche quest’anno un incremento del 6 per cento delle iscrizioni nel corso di laurea in enologia e viticoltura, che è ancora svolto in collaborazione con l’Università di Padova, ed ho il piacere di dirvi che tutti i laureati sono già occupati nello specifico settore in cui hanno acquisito le loro competenze. D’altra parte stiamo assistendo ad un crescente successo della ricerca scientifica nel nostro settore, anche per l’indiscutibile merito della collaborazione che è sorta con le strutture degli Enti locali e con la competenza delle aziende. Quindi direi che inequivocabilmente le interazioni in questo settore cui mi riferivo poc’anzi, stanno dando degli indiscutibili frutti e delle prospettive certamente molto incoraggianti. Voglio sottolineare che proprio in questi giorni la Fondazione Cariverona, che ha sostenuto e che sostiene questo progetto, ci sta consegnando un elegante edificio che ha restaurato in San Floriano, la villa LebrechtOttolini, che diventerà la nuova prestigiosa sede di questa nostra attività e che non a caso si colloca adiacente alle strutture e ai laboratori della Provincia, presso i quali per altro noi siamo già collocati e ospitati. Si sta quindi progredendo insieme lungo un percorso di reciproco arricchimento e di integrazione nella scelta di linee di sviluppo e di condivisione di risorse. Non ho dubbi che questo rappresenti un modello particolarmente fertile e che potrebbe indubbiamente essere riproposto anche in altri ambiti di interesse congiunto dell’Università con Enti ed imprese territoriali, avendo ben presente le competenze disponibili nel settore agroindustriale. Un grazie sentito al Presidente della Provincia di Verona e alla direzione dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura. Alessandro Mazzucco 8 Introduzione al convegno Giovanni Rizzotti Direttore de L’Informatore Agrario Moderatore Prima di dare la parola ai relatori che sono stati invitati a celebrare i 50 anni dalla fondazione dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona permettetemi di dire due parole. Ho accettato con vero piacere di fare da moderatore a questa giornata innanzitutto per l’intensa collaborazione che per tutti questi 50 anni si è instaurata tra L’Informatore Agrario e l’ISF di Verona; il nostro settimanale ha pubblicato moltissimi lavori che sono stati prodotti ed elaborati presso l’Istituto. Ma mi piace anche sottolineare il rapporto di stima e di amicizia che mi lega personalmente con il prof. Bargioni, il dott. Bassi e i molti ricercatori che hanno lavorato e ancora oggi collaborano. L’incontro è particolarmente importante e soprattutto è particolarmente sentito, come dimostrato dalle autorità che sono iscritte a parlare ma anche dalle personalità che hanno voluto essere presenti in sala per portare il loro contributo e la loro testimonianza a questa giornata. Il programma del convegno è intenso. Abbiamo appena prestato attenzione alle parole del Presidente della Provincia di Verona prof. Elio Mosele e del prof. Mazzucco, Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Verona, che ci hanno parlato delle possibili collaborazioni e integrazioni tra Università e Istituto Sperimentale di Frutticoltura. Ora abbiamo la presenza di due grandi studiosi di frutticoltura la cui fama e autorevolezza sono riconosciute a livello internazionale, il prof. Carlo Fideghelli, del Centro di Ricerca per la Frutticoltura di Roma, ed il prof. Silviero Sansavini, del Dipartimento di Colture Arboree dell’Università di Bologna. Giungeremo poi al momento fondamentale di questa giornata: il prof. Giorgio Bargioni e il dottor Giorgio Baroni tracceranno una storia delle attività svolte dall’Istituto in questi 50 anni, una storia densa di iniziative di attività e di risultati. Dopo questi interventi si passerà all’esame dei programmi di ricerca e sperimentazione in corso nella Regione Veneto per valutare le 9 modalità con cui l’ISF di Verona vi potrà partecipare. Ce ne parleranno il prof. Claudio Giulivo del Dipartimento di Colture Arboree dell’Università di Padova e il dr. Carlo Migliorini di Veneto Agricoltura. Infine il dr. Silvio Pellegrino del CReSO - Consorzio di ricerca e sperimentazione per l'ortofrutticoltura piemontese, ci proporrà un esempio di sperimentazione regionale che opera con successo. L’incontro di oggi ha uno scopo celebrativo per ricordare i 50 anni di attività dell’Istituto, ma deve essere anche l’occasione per valutare il ruolo che l’Istituto potrà avere per il futuro. Non si può nascondere, infatti, che nel periodo recente l’Istituto ha subito progressive riduzioni di risorse e personale tanto da mettere addirittura in dubbio la sua attività futura. Mi auguro che da questo incontro emerga una chiara linea guida che possa ridare vitalità all’Istituto, ritrovando la sua missione e inserendolo nelle reti regionali e nazionali della ricerca. 10 L’importanza della sperimentazione sul territorio per la moderna frutticoltura Carlo Fideghelli Centro di Ricerca per la Frutticoltura di Roma Gli straordinari progressi della ricerca biotecnologica registrati negli ultimi due decenni hanno attratto un sempre maggiore numero di ricercatori a scapito della ricerca agronomica. Il fenomeno, rilevabile in tutti i Paesi maggiormente sviluppati, è stato favorito dalle scelte dei responsabili della ricerca pubblica che hanno sempre più privilegiato i finanziamenti della ricerca cosiddetta “di base” a scapito di quella applicata. I Programmi Quadro dell’Unione Europea ne sono un esempio significativo: da tempo ogni riferimento specifico ai problemi dell’agricoltura è scomparso e per i ricercatori è quasi impossibile ottenere il finanziamento di ricerche agronomiche nell’ambito dei programmi europei. Parallelamente a questo fenomeno e in conseguenza di ciò, la presenza di biologi presso le istituzioni di ricerca in agricoltura è progressivamente aumentato e il numero degli agronomi è diminuito. Questa situazione rischia di accentuare il distacco sempre lamentato, tra il mondo della ricerca e quello della produzione agricola, mentre è più che mai importante recuperare un positivo rapporto di collaborazione tra chi fa ricerca e produce innovazione e coloro che della innovazione hanno assoluta necessità per mantenere la competitività sempre più minacciata dalla globalizzazione del commercio dei prodotti agricoli. L’atteggiamento diffuso tra gli agricoltori italiani di disinteresse verso la sperimentazione deriva in buona parte dalla politica di sostegno dell’agricoltura praticata sia dal governo nazionale che dalla Comunità Europea che li ha abituati a ricevere servizi senza preoccuparsi di dover contribuire al pagamento dei loro costi. I tempi sembrano maturi per un cambio di atteggiamento e alcuni segni positivi nella giusta direzione di un coinvolgimento dei produttori nel finanziamento della sperimentazione si cominciano a riscontrare. Proprio per i cambiamenti di politica della ricerca nazionale ed europea che privilegiano la ricerca “di base”, il ruolo della sperimentazione territoriale ha e avrà sempre più un ruolo centrale per la validazione delle innovazioni e per la loro divulgazione. 11 L’Istituzione territoriale, per condurre al meglio l’attività di sperimentazione, deve coinvolgere tutti gli attori della filiera che inizia dai produttori singoli o associati e passa attraverso i sindacati agricoli (Confagricoltura, Coldiretti, CIA), le associazioni dei tecnici, laureati o diplomati che siano, i mercati ortofrutticoli e le eventuali industrie agroalimentari. E’ infine molto importante che l’istituzione territoriale attivi e mantenga una stretta collaborazione con le istituzioni di ricerca nazionali come le Università, il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura (CRA), il CNR. Esempi concreti e positivi che coinvolgono l’Istituto di Frutticoltura della Provincia di Verona in collaborazione con la ricerca nazionale sono il progetto “Liste di orientamento varietale dei fruttiferi” promosso dal Ministero delle Politiche Agricole con la partecipazione delle Regioni e il progetto di miglioramento genetico della fragola coordinato dall’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura del CRA e che vede la partecipazione sia della ricerca locale (Istituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona) che dei produttori (Cooperativa APO Scaligera e Consorzio Ortofrutticolo Zeviano). Grazie a questa ultima collaborazione, il 50% delle fragole coltivate a Verona è oggi costituito da cultivar frutto del miglioramento genetico sviluppato dal progetto e anche grazie a questa iniziativa la fragolicoltura veronese è oggi la più competitiva in Italia. Gli obiettivi più importanti della sperimentazione territoriale 1. Valutazione varietale La scelta prioritaria del frutticoltore che condiziona la riuscita economica dell’impianto è quella della varietà e una scelta varietale corretta non può che essere fatta sulla base di una sperimentazione territoriale che tenga conto delle condizioni pedoclimatiche, del mercato di destinazione del prodotto (locale, nazionale, estero) e della tipologia aziendale (piccola, grande, singola, in cooperativa). Oggi più che mai è importante una seria valutazione agronomica e pomologica delle nuove varietà, introdotte in commercio ogni anno in grande numero, la maggior parte delle quali costituite in paesi lontani e ambienti spesso molto diversi da quelli di coltivazione in Italia. Il progetto “Liste varietali” è un positivo esempio di sperimentazione nazionale che coinvolge tutte le più importanti 12 istituzioni di ricerca nazionali e locali, e che ha lo scopo di fornire ai frutticoltori delle diverse aree frutticole elementi oggettivi di valutazione per una scelta razionale. Una sperimentazione territoriale seria e rigorosa è alla base della necessaria collaborazione con i “costitutori” e i vivaisti, che vendono in esclusiva le cultivar brevettate, al fine di poter ottenere e valutare le novità il più tempestivamente possibile. La correttezza della valutazione sperimentale garantisce sia il frutticoltore che eviterà di scegliere cultivar non adatte alle proprie esigenze e il vivaista che eviterà di investire su varietà non rispondenti alle richieste dei frutticoltori e del mercato. La sperimentazione territoriale ha un ruolo importante anche nel recupero e nella valorizzazione delle vecchie varietà autoctone, alcune delle quali possono svolgere un ruolo non marginale nel sostegno dell’economia frutticola locale (mercati di nicchia, agriturismo, salvaguardia del paesaggio). Gli esempi frutticoli sono numerosi (basti pensare alle mele “Annurca” in Campania e ”Runsè” in Piemonte, alle pere ”Martin Sec” e ”Madernassa” in Piemonte, alla ciliegia ”Ferrovia” in Puglia e alla ”Mora di Cazzano” nel veronese, all’albicocca ”Tonda di Costigliole” in Piemonte, alle pesche ”Tabacchiere” in Sicilia, ...), ma molto rimane ancora da fare. Voglio qui ricordare la meritoria iniziativa del prof. Giorgio Bargioni presso l’Istituto Sperimentale di Frutticoltura di Verona che quasi venti anni fa ha iniziato un programma di miglioramento genetico delle vecchie pesche sanguigne delle vigne, intuendo l’importanza di questo carattere associato a un elevato contenuto di componenti antiossidanti e suscettibile di valorizzazione commerciale. 2. Valutazione dei portinnesti Altrettanto importante della scelta varietale è quella del portinnesto, in funzione del clima, della natura fisico-chimicasanitaria del suolo e della interazione del soggetto con la cultivar nonché della forma di allevamento. Dopo anni di immobilismo, il miglioramento genetico mondiale, sta sfornando a ritmi crescenti nuovi portinnesti la cui valutazione sul territorio è ancora più necessaria che per le nuove cultivar considerato che una varietà sbagliata si può sovrinnestare, 13 mentre un portinnesto scelto male comporta l’estirpazione del frutteto. Il progetto Liste Varietali affronta anche il tema della valutazione dei nuovi portinnesti e, opportunamente, l’Istituto Sperimentale di Frutticoltura di Verona ne fa parte come Unità Operativa. La sperimentazione sui nuovi portinnesti del pesco ha consentito di segnalare ai frutticoltori veronesi alcune valide alternative al tradizionale “GF677“ come il franco “Monclar“, gli ibridi pesco x davidiana “Barrier 1“ e “Cadaman“ e l’ibrido complesso “Ishtara“. 3. Difesa La difesa delle piante, proprio per la forte interazione dei parassiti con la varietà e l’ambiente, è compito primario della sperimentazione territoriale. Il Beratusring di Lana (Bolzano) è l’esempio più chiaro di quanto una sperimentazione territoriale ben organizzata e sostenuta finanziariamente anche dagli agricoltori che si sentono così più responsabili e più interessati ai risultati, possa avere una ricaduta positiva sul territorio con benefici per i frutticoltori, l’ambiente, i cittadini e i consumatori. Alcune moderne tecniche di lotta, come quelle basate sulla confusione sessuale o sulla cattura massale, richiedono la diretta partecipazione dei frutticoltori per poter essere testate su ampie superfici senza le quali i metodi non funzionano e il ruolo delle strutture territoriali di ricerca è essenziale. 4. Tecnica colturale Pur se meno prioritari degli argomenti precedenti, alcuni aspetti di tecnica colturale come la concimazione e l’irrigazione sono chiaramente condizionati dal suolo e dal clima e una sperimentazione sul territorio è necessaria per guidare in modo razionale l’una e l’altra. Minore importanza, a mio giudizio, ha la sperimentazione sulle forme di allevamento la cui innovazione quasi mai trova origine nelle istituzioni di ricerca, ma è quasi sempre frutto dell’ingegno e della fantasia di singoli frutticoltori e tecnici che sanno trovare la più razionale soluzione per massimizzare la produzione e la qualità e minimizzare i costi di produzione. 14 5. Divulgazione Ruolo essenziale della sperimentazione territoriale è la divulgazione delle innovazioni. A tal fine è importante il coinvolgimento in prove dimostrative di alcuni dei frutticoltori d’avanguardia del territorio che costituiscono un riferimento e un esempio per gli operatori della stessa area. Molto efficaci sono le giornate aperte e le mostre pomologiche in occasione delle quali i frutticoltori possono visitare i campi sperimentali, vedere le novità varietali e confrontarsi con gli sperimentatori per conoscere sia i risultati positivi che, altrettanto importanti, quelli negativi. Per essere veramente efficace è necessario che queste manifestazioni non siano occasionali ma abbiano il carattere di continuità. Il Consorzio di Ricerca Sperimentazione e Divulgazione per l’Ortofrutticoltura Piemontese CReSO di Cuneo è un buon esempio di come queste iniziative debbano essere condotte e della positiva ricaduta sui frutticoltori del territorio. Un altro ruolo della sperimentazione territoriale, per promuovere la divulgazione delle innovazioni, è la organizzazione dei viaggi di studio, sia in Italia che all’estero. Da questo punto di vista l’Istituto di Verona insieme con il Comitato Tecnico per l’Ortofrutticoltura costituito dalla Camera di Commercio veronese è sempre stato molto attivo. Le visite tecniche hanno una grande importanza non solo per l’acquisizione di qualche innovazione ma ancor più perché, attraverso il confronto di esperienze, consentono di acquisire una mentalità e un atteggiamento di maggiore apertura verso il nuovo e 15 una maggiore capacità di affrontare i cambiamenti sempre più rapidi dell’economia mondiale. Infine, la sperimentazione territoriale, per essere veramente efficace, deve pubblicare con regolarità i risultati della sperimentazione per raggiungere anche quei produttori che, per varie ragioni, si muovono con difficoltà dalle proprie aziende. In Italia ci sono diversi esempi positivi di tali iniziative (il CReSO in Piemonte, il CRPV in Emilia-Romagna, l’Azienda Pantanello in Basilicata). Il computer e la rete sono oggi disponibili praticamente in tutte le aziende e possono efficacemente affiancare la divulgazione cartacea per la maggiore tempestività di diffusione delle notizie e la versatilità di impiego. La sfida globale comporta un maggiore impegno per tutti e il ruolo della sperimentazione territoriale è più importante che mai per consentire ai frutticoltori italiani di competere positivamente e di conservare ancora a lungo il primato europeo della produzione e della qualità. 16 Orientamenti della ricerca in frutticoltura: obiettivi e potenzialità, gestione dei programmi, ruolo degli enti pubblici e privati. Innovazioni tecniche e miglioramento qualitativo delle produzioni Silviero Sansavini Dipartimento di Colture Arboree, Università di Bologna L’impegno dell’Italia nel settore della ricerca (specialmente della ricerca di base), è notoriamente fra i più bassi in Europa (il finanziamento è stimato intorno all’1% del PIL) ed equivale a meno della metà o ad appena un terzo rispetto a paesi molto avanzati come USA e Giappone (tab. 1). Sono, purtroppo, diminuite le risorse a ciò destinate dagli enti pubblici e non sono abbastanza cresciute quelle investite in ricerca dai privati. Il campo agricolo riflette negativamente la situazione generale, e quello ortofrutticolo, in particolare, soffre per carenza di progetti nazionali integrati e coordinati. Importiamo sempre più innovazioni tecnologiche, prodotti chimici e biologici, brevetti, beni strumentali, informatici, ecc. da Europa, Nord America e Asia. Purtroppo, a fronte di una crescente riduzione di risorse (non solo in senso relativo), corrisponde un difficile riassetto istituzionale ed un insufficiente adeguamento della ricerca pubblica, tant’è che quest’ultimo non ha dato ancora frutti tangibili e comporta a sua volta tempi molto lunghi. Riassetto degli enti pubblici: frenare la frammentazione della ricerca, entrare nei progetti europei e nei network scientifici internazionali Com’è ben noto, il passaggio avviato da molti anni da un sistema centralizzato della ricerca (gestita principalmente dai Ministeri competenti, MIPAAF, MIUR, Ministero dell’Industria e da grossi enti quali soprattutto CNR ed ENEA) ad uno articolato in gran parte nei piani regionali e degli enti locali istituzionalmente delegati dalle stesse Regioni (es. Province, Distretti comprensoriali, Consorzi di bonifica, Comunità Montane, GAL) ben localizzati e vicini alle esigenze territoriali della produzione (tab. 2), non ha dato in generale gli esiti sperati. Il problema è molto complesso, perché anzitutto coinvolge molte istituzioni pubbliche, le quali sono in sempre più ristrette disponibilità finanziarie e sono a loro volta as- 17 Tab. 1. LA RICERCA AGRICOLA ITALIANA: BASILARE PER L’ORTOFRUTTICOLTURA “Senza ricerca non c’è innovazione e senza innovazione tecnologica e relativo sviluppo non c’è competitività e futuro per le nostre imprese” • Difficoltà reperimento fonti statistiche • Enti pubblici istituzionali decisori politici della ricerca: 9 MIPAF – Regioni, Province ed altri Enti locali 9 MIUR – Ministero Università e Ricerca 9 CNR – Consiglio Nazionale Ricerche 9 ENEA – Ente Nazionale Energie Alternative 9 UE – Unione Europea 9 Reti di organismi internazionali (FAO ecc.) 9Aziende private (Innovazione & Sviluppo) Associazioni produttori Industrie agroalimentari Industrie mezzi produttivi e servizi Industrie informazione e comunicazione • Rapporto pubblico/privato • Sottovalutazione ruolo ricerca (Peso e finalità inferiori alle necessità del Paese) • Prevalenza sperimentazione e attività dimostrativa su ricerca finalizzata all’innovazione • Deficit del rapporto con realtà di filiera e di mercato • Formazione della domanda e piani collegamento e programmazione • Gestione e controllo programmi • Trasferimento e utilizzo risultati (Brevetti, licenze, quote partecipative, ecc.) Tab. 2. SPESE COMPLESSIVE PER LA RICERCA (2005) Unione Europea (media dei 15 Paesi) 1,96% del GDP (PIL) Stati Uniti 2,59% “ Korea 2,90% “ Giappone 3,12% “ < 1,50% “ Italia Confronto USA verso Union e Euro pea Differenza di 80 mld di spesa nel 2000 (= 1% P IL europeo) Differenza di 130 mld € nel 2005 (crescita del divario con gli USA) L’80% di tale divario è dovuto soprattutto ai min ori investimenti delle im pre se private in Europ a 18 sorbite da profonde ristrutturazioni e da una complessità di compiti che finiscono per mettere la ricerca in secondo piano. A livello nazionale bastano tre esempi: a) la rivoluzione in corso al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali con la creazione del sovrastante CRA (Consiglio per la Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura) voluto dal Ministro De Castro negli anni ‘90 e poi realizzata da Alemanno ha richiesto la ristrutturazione dei 23 ex istituti Sperimentali e quindi di tutto il personale. Ma questa grossa opera di rinnovamento non ha avuto abbastanza peso nelle attività di ricerca e sperimentazione, che sono tuttora in mano al MIPAAF, ancorché sia stato creato anche un coordinamento sovraministeriale per le priorità programmatiche. Di qui le evidenti discrasie operative, i ritardi, che in certi casi sono diventati paralisi (anche per il turnover del personale e i concorsi interni di ricercatore); b) il CNR è alla ricerca di una sua ricomposizione istituzionale riaggregante gli oltre cento istituti e centri in macroaree di ricerca omogenee. Anche quest’opera, avviata da molti anni, è difficile, in quanto rimangono comunque operanti quasi tutte le preesistenti sedi, e con queste anche dispersione di risorse. È comunque venuta meno, ormai da parecchi anni, la benemerita funzione del CNR quale ente di finanziamento e coordinamento nazionale delle ricerche agricole di base e per progetti interdisciplinari di grande respiro e impatto, come fu il RAISA (ultimo, finito più di un decennio orsono), che non mancò di dare anche ottimi frutti; c) sul piano locale l’esempio più eclatante è quello di Verona. Qui, la Provincia creò, più di cinquant’anni fa, un Istituto Sperimentale per la Frutticoltura che, seppur piccolo, ha ben operato, dando un cospicuo contributo allo sviluppo della frutticoltura, e non solo dell’hinterland veronese. Forse per questo, oggi l’Amministrazione Provinciale, per quanto valido ed utile sia l’operato delle residue forze e programmi di ricerca condotti dall’Istituto, giudica eccessivo farsene carico totalmente. Nella maggior parte delle altre province o circoscrizioni vengono attuate iniziative regionali (i canali utilizzati sono svariati, pubblici o privati) oppure esistono centri dimostrativi e di sperimentazione agraria, gestiti per lo più in forma semipubblica, con la partecipazione delle associazioni e consorzi di produttori. Le tematiche affrontate non vanno oltre le esigenze manifestate localmente e per lo più non hanno agganci scientifici. 19 Dunque, pur con motivazioni e ragioni plausibili, assistiamo ad un forte indebolimento del sistema italiano della ricerca agraria, compreso il settore della frutticoltura. Questo nostro vulnus rischia di far perdere all’Italia anche il supporto tecnico di primordine di cui la nostra frutticoltura ha saputo avvalersi negli anni del grande balzo innovativo e tecnologico in quasi tutti i comparti frutticoli, avvenuto nel trentennio 1970/1990, che hanno visto, fra una crisi e l’altra, anche lodevoli consolidamenti, espansioni in varie aree e l’affermazione a prova di crisi della melicoltura montana, come pure la meridionalizzazione di alcune colture: pesco-nettarine, uva da tavola, ciliegio, albicocco. Abbiamo attraversato più recentemente anni caratterizzati da un forte rinnovamento varietale, dallo sviluppo degli impianti e dalle tecniche dell’alta densità, da moderni concetti nella gestione dell’acqua e del suolo (es. fertirrigazione). Fondamentali, per mantenere l’export, sono state la produzione integrata e biologica e da ultimo, l’innalzamento dello standard qualitativo dei vari comparti e l’introduzione di vasti processi informatizzati (da ultimo la tracciabilità) nonché i metodi di certificazione di prodotto diffusi per le varie GDO italiane ed estere. Ma senza ricerca di eccellenza e ben mirata non si può fare innovazione tecnica e senza innovazione non ci può essere sviluppo tecnologico, si rimane tagliati fuori dal mercato e anche dalla competizione scientifica. Le critiche maggiori sono rivolte alle Regioni, non tanto perché non abbiano investito risorse nella ricerca applicata (o non abbiano svolto la relativa attività dimostrativa) quanto perché ciascuna opera secondo propri criteri e provvedimenti legislativi. Sono sempre più rari i grandi progetti interregionali e ancor più quelli impostati e realizzati congiuntamente al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. In frutticoltura sopravvivono solo due progetti di rilievo: 1) “Valutazione delle nuove varietà” ai fini dell’orientamento dei produttori per i nuovi impianti e 2) FRUMED, per la frutticoltura meridionale, anche questo prevalentemente orientato in attività sperimentalidimostrative, a beneficio delle regioni maggiormente impegnate (Campania, Sicilia, Basilicata, Calabria e Puglia). Fra quelli gestiti da gruppi regionali ce n’è uno sul post-raccolta, che dispone però di troppo poche risorse. L’Italia, stante questa grande frammentazione istituzionale della ricerca (politica e geografica), avrebbe invece bisogno di progetti nazionali e internazionali di ricerca integrata per 20 Tab. 3. PROGETTO SPECIALE ITALIA - FRANCIA (aprile 2006) – Mipaf + Università Progetto “Genoma vite” “Vigne” “Vigna” Gen. Vite Enti promotori e organizzatori (Partner) INRA MIPAF/CRA Università di Udine Finanziamenti (Meuro) 6 6 5 + “Genoplante” e vari istituti + 12 UU.OO. (Univ. e Centri Ricerca) + 5 UU.OO. 17 Meuro Scopo: sequenziamento genoma vite (4 anni) - Genoplante, Evry, Francia - CRIBI, Università di Padova - Istituto Genomica Applicata, P.T. Udine 5 x genoma 2,5 x “ 2,5 x “ - Totale: 10 genomo-equivalenti Uni Siena, Cresti UU.OO. Italiane - Uni Udine 1 (Morgante) - ENEA, Roma (Benvenuto) - Uni Udine 2 (Testolin) - CNR, Bari (Liuni, Saccone) - Uni Verona 1 (Delle Donne) - CIB Consorzio Italiano per le Biotecnologie, - Uni Verona 2 (Pezzotti) lab. Trieste (Schneider) - CRA Fiorenzuola D'Arda 3 unità (Cattivelli, - Uni Milano 1 (Pè) – Coord. Progetto italiano Valé, Faccioli) - Uni MIlano 2 (Pesole) - CRA Conegliano 3 unità (Calò, Costacurta, - Uni Padova, CRIBI (Valle) Crespan) Fondi racc. da Università Udine (costituito dall’Istituto Genomica Applicata - 2006) - Regione/Parco Scientifico Tecnologico - Università di Udine - Banche e Fondazioni bancarie - Vivaisti viticoli ed aziende vitivinicole - Eurotech (Società per Informazioni Tecnologiche) (Rielaborato da Jaillon et al., 2007) Tab. 4. MIPAF – PROGETTI SPECIALI “OGM in agricoltura” (Totale 6 Meuro – triennio 2004 – 2006) TEMATICHE: 1) Inventario bibliografia OGM 2) Monitoraggio normativa italiana/europea OGM 3) Nuovi metodi analisi OGM sementi 4) Impatto economico OGM agricoltura 5) Impatto sui consumi 6) Miglioramento informazione pubblica in OGM 7) Procedure sementi certificate 8) Effetti sanitari e nutrizionali prodotti OGM 9) Valutazione impatto agronomico e ambientale coesistenza filiera OGM e non OGM Coordinamento: INRAN, Roma - Istituto Nazionale Ricerca e Nutrizione in Agricoltura Collaboraz. vari Enti esterni (da Monastra et al., 2006) 21 ogni comparto, unendo allo scopo, trasversalmente, le migliori energie del Paese. Non mancano grandi individualità scientifiche, con specifiche competenze su specifici problemi, anche del tutto nuovi, per esempio, la diagnostica molecolare-biotecnologica, la modellistica predittiva per gli attacchi dei patogeni, per i cicli dei fitofagi, per la qualità dei frutti, varie applicazioni combinate elettronico-informatiche-nanotecnologiche nei monitoraggi, nei sistemi di irrigazione e antigelo, nella cosiddetta agricoltura di precisione. Occorre cercare stretti collegamenti con le reti territoriali di ricerca europee e internazionali in genere. Se non si è cooptati da queste entità (basate su integrazione, emulazione-competizione fra singole istituzioni, capacità di cogliere le opportunità per sciogliere i nodi della conoscenza, che sono universali e non territoriali) su problemi specifici, si rimane esclusi. Questa, peraltro, è la politica che sta sviluppando l’Unione Europea, cui l’Italia ha cercato di stare agganciata, con risultati finora inferiori alle proprie potenzialità e allo stesso diritto derivante dal peso politicocontributivo del Paese (che dovrebbe consistere in un ritorno di almeno il 10% dei fondi europei). Ad onor del vero, la situazione è migliorata nell’ultimo quinquennio con il VI Programma Quadro: molti ricercatori hanno imparato a muoversi, in genere però da soli. L’Università di Bologna sta facendo, e non è l’unico esempio, grandi sforzi a sostegno della ricerca integrata in Europa. Ha attuato varie iniziative per sensibilizzare, integrare e assistere i gruppi progettuali, ma ciò che manca a Bruxelles è una lobby politico-economica italiana pari a quella dei paesi forti. Non mancano eccezioni che fanno ancora sperare. Citiamo solo due esempi a livello ministeriale: il primo è il Progetto biotecnologico “Vigna” italo-francese, che in soli tre anni ha disvelato il genoma della vite, ove il MIPAAF ha investito oltre 5 milioni di euro e alcune Regioni - Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia insieme alle loro Università hanno pure investito altrettante grosse risorse (il lavoro, completato entro il 2007, avrà prevedibili grandi risvolti applicativi, segnatamente nel miglioramento genetico della vite) (tab. 3). A questo grosso risultato scientifico ha fatto eco un altro mega progetto di sequenziamento del genoma vite da parte dello IASMA di San Michele all’Adige, completato nel 2007 (Velasco, 2008). Il secondo, unicamente ministeriale, riguarda gli “OGM in agricoltura” che in un triennio (2004/6) ha assorbito 6 milioni di euro nello studio delle problematiche di coltivazione di piante GM (mais 22 e soia principalmente), soprattutto per evidenziarne i rischi, i possibili risvolti negativi e sostanzialmente l’”inutilità” della coltivazione delle piante transgeniche, o almeno di quelle oggi disponibili, mais, soia, colza, patata (tab. 4): non sarebbe stato male che il Progetto avesse coinvolto nella ricerca qualche istituto ministeriale e universitario competenti e impegnati direttamente nella trasformazione genetica, per studiare possibilità di evoluzione, per via transgenica, di problemi propri del contesto italiano (per es. per salvare il pomodoro San Marzano), autorizzando anche idonee e necessarie prove di campo per le piante transgeniche già ottenute senza l’aiuto delle multinazionali (ad esempio il melo Gala Vf resistente alla ticchiolatura, ottenuto a Bologna quattro anni fa e, primo nel mondo, per un transgene derivante da melo); prove che, invece, sono state bandite. Dunque, la ricerca in questo campo è stata bloccata, salvo poche cose ammesse in ambiente strettamente confinato, non all’aperto. Così l’Italia ha smobilitato gruppi di lavoro, programmi già avviati, ha cancellato obiettivi ed è rimasta indietro, anche per ripicche politico-istituzionali, nell’indifferenza generale. Incredibile! Nel complesso si è perso circa un decennio di ricerche e dei relativi potenziali vantaggi (Sansavini, 2004a). A livello regionale l’impegno pubblico nella ricerca agraria è diffuso e relativamente consistente: ammonta a circa 105 milioni di euro (quinquennio 1999/2004, tab. 5) da parte delle dieci Regioni più importanti. La maggior parte di queste risorse sono andate al settore delle produzioni vegetali, compresa l’ortofrutta. Nel complesso però la spesa in ricerca agricola delle Regioni non è più del 17% del totale nazionale (tab. 6) (Di Paolo, 2006). Ricerca pubblica italiana ed europea. Cofinanziamento e partnership con privati Vi sono alcuni dati positivi da considerare: 1) il primo è che i progetti di ricerca finanziati (Regioni comprese) coinvolgono sempre più attraverso la formula del cofinanziamento che intorno ad una quota del 20-30% della spesa progetti. da Enti pubblici gli enti privati si aggira ormai complessiva dei Si tratta in genere di consorzi di produttori (che, chiamati a parteciparvi in quanto potenziali utenti, beneficeranno poi dei 23 risultati della ricerca), associazioni professionali (es. vivaisti), industrie sementiere, industrie di mezzi chimici e meccanici e grosse imprese private. Questo aspetto del cofinanziamento sta comunque creando una svolta positiva perché costringe anche i gruppi di ricerca a lavorare con prevedibili maggiori e dirette ricadute applicative, valutabili e trasferibili vantaggiosamente nella pratica. La ricerca privata ha dato segni di risveglio soprattutto in quelle aree in cui le associazioni produttori, godendo delle risorse Tab. 7. VI FRAMEWORK PROGRAM 2002 - 2006 RICERCA, SVILUPPO TECNOLOGICO - Attività dimostrative Raccoglie la sfida lanciata dal meeting intergovernativo di Lisbona 2000 - Miglior utilizzazione del contributo dei singoli Paesi - Costituzione dell’ERA (Area di ricerca europea) per un virtuale Internal Market di Scienze e Tecnologie AREE TEMATICHE: Scienze della vita, Genomica, biotecnologie per la salute (genomica avanzata e lotta contro malattie) Qualità cibo e sicurezza alimentare Sviluppo sostenibile, cambiamenti globali ecosistemi Altre 4 tematiche (Informazione, Nanotecnologie, Aeronautica spaziale, sviluppo conoscenze) ATTIVITA’ SPECIFICHE TRASVERSALI 1) Ricerca politic. sostenibile, cooperazione, scienze emergenti NEST 2) Attività piccole imprese 3) Md € 2,514 0,753 2,329 6,842 12,438 1,409 0,835 Centri internazionali di ricerca in comune STRUTTURAZIONE “AREA DI RICERCA” (ERA – net) (Risorse umane, Innovazione infrastrutture, Scienze e Società Rafforzamento ERA) 2,854 0,347 17,883 + Euratom Programs 1,230 % Progetti finanziati in numero inferiore al 15% messe a disposizione dall’Europa (OCM – FEOGA) hanno potuto sviluppare infrastrutture, programmi di riassetto dei servizi tecnici, progetti sperimentali richiesti dai propri associati. Risulta che somme ingenti dell’OCM sono andate per questo scopo a consorzi ed associazioni di produttori. In tal modo le OP (Consorzi e APO) hanno intrapreso molte iniziative, hanno creato laboratori per i controlli, per la diagnostica e per le analisi di suoli, foglie, semi, frutti (es. accertamento di residui chimici), per la creazione di varietà e la valutazione del nuovo materiale genetico e per l’accertamento dei parametri per la certificazione. 24 Meno evidente è l’inserimento di industrie chimiche, biotecnologiche e meccaniche nella ricerca pubblica. Alcune industrie chimiche sono state da poco oggetto di fusioni, ristrutturazioni, revisione di indirizzo (il che ha prodotto una riduzione dell’impegno nella produzione di composti di sintesi e il passaggio ad attività biotecnologiche basate su biocidi e pesticidi di minore impatto ambientale), oppure verso attività sementierecommerciali tutelate da brevetti genetici con proprietà intellettuale in esclusiva (es. Monsanto, Syngenta e Pioneer in USA, Bayer e BASF in Europa). Tab. 8. VII PROGRAMMA QUADRO Durata 7 anni (2007 – 2013) A) TEMATICHE (definitivo) Md € • ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ Cooperazione 32,413 Salute Alimentazione, agricoltura e biotecnologie Tecnologie informazione comunicazione Nanoscienze, nanotecnologie, materiale e nuove tecn. produttive Energie Ambiente e cambiamenti climatici Trasporti (inclusa aeronautica) Scienze socioeconomiche e humanities Spazio Sicurezza B) Nuove idee e ricerche di base C) Risorse umane (Borse studio ecc.) D) Capacità (Interventi collaterali) 6,1 1,9 9,1 3,5 2,35 1,9 4,1 0,6 1,4 1,4 7,5 4,7 4,097 Benefici piccole imprese – Scienza e società – Cooperazione internazionale, ecc. E) Centri Comuni di Ricerca (NN) Totale F) Euratom (2007-2011) 1,751 50,521 2,751 2) la seconda svolta viene dall’U.E. Non c’è campo di ricerca agricola e frutticola europea che non abbia creato propri “network scientifici”, ancorché non siano sostenuti da specifici finanziamenti del VI o VII Programma Quadro. Il VI Programma che si è dispiegato nel quinquennio 2002/06 ha destinato alla ricerca agraria un totale di risorse (onnicomprensivo dei vari settori) per circa 17,8 miliardi di euro. Fra queste ci sono aree tematiche come “scienze 25 della vita”, “genomica”, “biotecnologie per la salute” (2,5 miliardi di euro), poi “qualità del cibo e sicurezza alimentare” (0,7 Md€), “sviluppo sostenibile” e “cambiamenti globali degli ecosistemi” (2,3 Md€) (cfr. tabb. 7 e 8) (non è dato sapere quanta parte di queste risorse è andata a beneficio della frutticoltura). L’Italia, al pari degli altri Paesi europei, ha avuto grandi opportunità di accedere a questi fondi, ma dove è riuscita (meno del 15% delle domande è stato accolto, e per l’Italia ancora meno), ha dovuto imparare a lavorare in gruppo (con una serie di partner scientifici europei e soggetti privati operanti per lo più in campo internazionale, quali industrie produttrici di beni e servizi, associazioni produttori, gruppi vivaistici) preparando progetti integrati dai quali, quando accolti e finanziati, il “sistema Italia” non può che aver tratto sicuri benefici. D’altra parte, questa è l’unica strada percorribile in futuro, se vogliamo colmare il gap che ci separa dagli altri Paesi. Il contributo dei Ministeri delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MIPAAF) e dell’Università Ricerca Scientifica (MIUR) Numerose sono le istituzioni aventi titolo al sostegno della ricerca agraria; si tratta di enti nazionali e territoriali-locali. Fra le prime, il MIUR (Ministero dell’Università e della Ricerca), con 23 Facoltà di Agraria, oltre 100 corsi di laurea triennali (la cosiddetta laurea breve) e un po’ meno di lauree specialistiche biennali (laurea detta magistrale), oltre a numerosi master (con durata media di un anno) successivi alla prima (dopo tre anni) o alla seconda laurea (cioè dopo cinque anni). Impossibile addentrarsi in questo dedalo, visto che il laureato in Scienze Agrarie, come tale, non esiste più. La cosiddetta doppia laurea 3 + 2 (totale 5 anni) è un artifizio per favorire l’inserimento anticipato dei giovani nel mondo del lavoro, ma ha forse creato problemi e inconvenienti superiori ai vantaggi offerti allo studente; per esempio, sono stati moltiplicati gli insegnamenti, che hanno anche disorientato le scelte dei giovani, mentre la preparazione si è fortemente assottigliata, anche se specificamente migliorata. È infatti impossibile in soli tre anni dare una laurea professionalizzata, se non per favorire l’entrata nel mondo del lavoro in età giovanile, ma anche verosimilmente preparare per certi compiti più congeniali alla ex laurea quinquennale. 26 Per quanto riguarda il MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali), è tuttora in atto la ristrutturazione dei 23 Istituti attuata dal sovrastante CRA. Per esempio, l’istituto di Frutticoltura con sede a Roma è riuscito miracolosamente a sopravvivere, con la nuova denominazione di Centro per la Ricerca in Frutticoltura, ma non sovrintenderà più alle tre Sezioni staccate di Caserta, Forlì e Trento (quest’ultima in chiusura), che pur nella loro autonomia dovranno raccordarsi con le altre istituzioni CRA della propria regione, e non col Centro di Roma, come è sempre stato. Tab. 9. R & D RICERCA E SVILUPPO IN FRUTTICOLTURA Innovazioni tecniche e assistenza Autogestione produttori e/o con supporto pubblico Demandate ad altri soggetti (privati) - Centri di Servizio - Consorzi, Cooperative, Gruppi associativi (produttori, vivaisti) - Network regionali e locali - Network nazionali (coordinamento) Sperimentazione e ricerca applicata (Enti istituzionali) - Istituti Sperimentali CRA-MIPAF - Altre istituzioni pubbliche (Università, CNR, Parchi tecnologici) - Centri Sperimentali regionali e provinciali - Aziende sperimentali e dimostrative territoriali (pubbliche o private cofinanziate) Ricerca di base (con o senza finalizzazione) - Istituzioni pubbliche (Università, CNR, ENEA, Parchi tecnologici) - Istituzioni private e grandi imprese multinazionali È un processo riorganizzativo che richiederà tempo. Ma intanto la ricerca ne soffre. Per es. l’ISF di Roma ha gestito per un decennio un ottimo progetto nazionale di frutticoltura (che era basato soprattutto sul miglioramento genetico dei fruttiferi) che è stato chiuso, cosicché non c’è più finanziamento pubblico per il breeding frutticolo! Al suo posto è stato lanciato il progetto FRUMED, già accennato sopra, per valorizzare e trasferire in pratica strumenti tecnologici innovativi, principalmente le nuove varietà al Sud. Mancano quindi, oggi, grandi progetti nazionali sostenibili su grandi obiettivi comuni: biologico-integrato, difesa, strumenti 27 gestionali della frutticoltura e riguardanti il suolo, la pianta, il postraccolta, ecc. C’è però la consapevolezza che l’articolazione regionale della ricerca (in applicazione di un dettato di legge che risale al trasferimento delle competenze regionali) se da un lato ha di buono che avvicina i programmi di sperimentazione alle esigenze territoriali, dall’altro svilisce e dimentica il coordinamento della ricerca interdisciplinare delle migliori competenze scientifiche nazionali nonché la ricerca di base, anche non finalizzata (tab. 9) che dovrebbe essere svolta dalle istituzioni scientifiche, in primis dalle Università. Conseguentemente, il MIUR, si avvale, di fatto, dei soli programmi COFIN/PRIN che non possono supplire che in modesta misura alla domanda che viene dalla comunità scientifica nazionale. Il nostro sistema decisionale sembra aver dimenticato che senza ricerca di base, o per lo meno ricerca integrata di grande respiro, non si potranno alimentare e costruire a valle validi progetti di ricerca applicata, cioè di sperimentazione e quindi di verifica e validazione delle tecnologie derivate, di cui la frutticoltura ha pure forte bisogno (Sansavini e Inglese, 2006). Settori innovativi della frutticoltura Quali sono stati e come avanzano gli strumenti tecnici innovativi della frutticoltura, che sono stati decisivi negli anni ’80-90 e che stanno cambiando volto alle nostre colture? La tabella 10 riassume i principali fatti della rivoluzione tecnologica, che finora ha consentito alle nostre produzioni, o almeno a buona parte di queste, di essere sostenibili sia sul piano della coltivazione (per avere in gran parte recepito i principi della produzione integrata e in modesta parte di quella biologica) sia su quello della produttività/qualità per aver saputo difendere la competitività mercantile (rapporto qualità/prezzo) di molta parte dei nostri prodotti frutticoli (Sansavini, 2006 a e b). In sintesi il rinnovamento delle tecnologie frutticole è dovuto a due sostanziali leve: a) le matrici scientifiche – prevalentemente sviluppate all’estero (da Israele all’Olanda, dall’UK agli USA) – che hanno generato conoscenza poi sfruttata sul piano applicativo grazie a programmi di sperimentazione calibrati sulle esigenze specifiche delle varie situazioni territoriali. Queste matrici sono la genetica da 28 un lato (col supporto delle biotecnologie), che è parte preponderante della moderna biologia vegetale; la fisiologia, dall’altro, che è fortemente ancorata alle conoscenze dei processi e alle esigenze dell’ecologia (quindi della sostenibilità ambientale), nonché al supporto della biochimica per i processi metabolici e della biologia molecolare per la ricerca dei geni che controllano tali processi; dalla pomologia per la qualità del frutto, alle tecnologie post-raccolta, alla bio-informatica. Forti impulsi sono venuti dalle conoscenze sulla scienza del suolo, sulla nutrizione delle piante, sui fabbisogni idrici e sulle modalità di somministrazione dell’acqua (fertirrigazione). b) la messa a punto e l’uso di tecnologie biologiche, informatiche, strumentali, meccaniche, fisiche (ottiche, colorimetriche, ultrastrutturali) che sono state inserite nella catena della coltivazione e produzione (es. monitoraggi biologici e diagnostici, individuazione di sonde e sistemi sensoriali fisico-elettronici, recorder di ogni tipo, rilievi automatici nel suolo e nell’atmosfera, nelle piante e in singoli organi: radici, foglie, germogli e frutti). Molti di questi strumenti, vent’anni fa, non c’erano o potevano essere installati solo nei laboratori; ora disponiamo di strumenti portatili, molto sofisticati e fortemente rimpiccioliti, che consentono di valutare direttamente in campo molti parametri che ci interessano, per es. lo SPAD per il contenuto di N delle foglie o il NIR per lo stato di maturazione del frutto, oppure il rizotrone per la dinamica della crescita radicale. In complesso, fra le principali acquisizioni che hanno radicalmente cambiato i modi di coltivare e produrre le nostre piante da frutto dobbiamo inserire: 1) Miglioramento genetico, e cioè quella lunga e complessa attività che, da sempre, ha trovato cultori e programmi validi in Italia per la creazione di varietà più rispondenti alla coltivazione e al mercato. Nel dopoguerra c’erano solo pochi soggetti, spiccava fra tutti il Centro del prof. Morettini a Firenze e l’Istituto di Frutticoltura ed Elettrogenetica di Roma. L’Istituto Sperimentale di Frutticoltura di Verona, sorto nel 1955, ha dato un fattivo contributo negli anni ’7080-90, segnatamente nel campo del miglioramento genetico delle ciliegie. Una delle nuove varietà ivi ottenute, la cv “Giorgia”, si è conquistata un posto di rilievo nel firmamento delle più interessanti e ben accette varietà precoci di ciliegie al Nord come al Sud del Paese. Il miglioramento genetico si è molto sviluppato nel mondo: 29 genera ormai un elevatissimo numero di varietà che vengono lanciate per lo più attraverso l’acquisizione dei diritti di propagazione in esclusiva: si tratta, mediamente, ogni anno, di un centinaio di varietà di pesco e nettarine, una cinquantina di mele (includendo anche le mutazioni, per lo più chimeriche, anch’esse per lo più soggette a propagazione controllata in esclusiva), una ventina o trentina, per ciascuna specie di albicocche, ciliegie e susine. Chi può mai pensare di introdurle e provarle tutte? Bisogna scegliere. Recentemente sono state prodotte ampie rassegne e puntualizzazioni sulle innovazioni metodologiche e sui risultati raggiunti dalle nuove varietà delle principali specie (Sansavini et al., 2005 e 2007). In Italia il breeding delle piante da frutto, da due-tre decenni, è particolarmente attivo. Solo negli anni ’90 sono state prodotte ben 305 varietà, prevalentemente pesche, 131 da Enti pubblici e 174 da Enti privati (tab. 11). Per le mele vi sono attualmente in Italia ben sette programmi di breeding (sei pubblici e uno privato, il maggiore) Tab. 11. VARIETÀ DI FRUTTIFERI COSTITUITE IN ITALIA NEL DECENNIO 1992-02 PESCHE e NETTARINE ALBICOCCO MELO 19 FRAGOLA ACTINIDIA 13 12 1 1 11 PERO UVA DA TAVOLA MANDORLO 14 3 CILIEGIO DOLCE SUSINO 102 Tot. 157 55 19 11 10 1 44 Tot. 30 8 Tot. 27 13 Tot. 26 Tot. 17 Tot. 13 Tot. 12 Costitutori pubblici: tot. 131 Tot. 11 Costitutori privati: tot. 174 Tot. 8 Totale varietà: 305 1 0 (da Della Strada e Fideghelli, 2002) dai quali sono uscite finora una quindicina di varietà, solo alcune delle quali però hanno iniziato a diffondersi: “Rubens“, “Golden Orange“, “Modì“, “GoldChief“, “Forlady“, “Super Stayman“ e poche altre. I progressi maggiori sono stati compiuti nel settore della fragola, perché il turnover qui è annuale e copre il totale delle 30 superfici (si tratta di circa 4.000 ha/anno con un fabbisogno di oltre 250-300 milioni di piantine/anno) e quindi con la teorica possibilità di sostituire in larga parte le varietà dell’anno precedente. Verona ha saputo cogliere questa opportunità partecipando, anche grazie all’Istituto Sperimentale di Frutticoltura, alla messa a punto delle tecniche di propagazione e coltivazione della fragola e, da ultimo, al Progetto Nazionale Fragola per la costituzione e selezione nel proprio ambiente di varietà adatte, con il fondamentale contributo di APO Scaligera e del Consorzio Ortofrutticolo Zeviano. Esempi recenti di nuove varietà di fragola per il veronese sono le cv “Irma“, “Eva“ e “Dora“, la prima delle quali dominante per la produzione autunnale, tipica del Veronese. D’altra parte, un contributo rilevante alla diffusione delle novità nelle piante da frutto è dato dall’industria vivaistica che, grazie ai brevetti e alle privative comunitarie, promuove la penetrazione commerciale delle varietà (quelle estere, americane in particolare, sono ancora la stragrande maggioranza) che vanno ad aggiungersi ad altre preesistenti (Sansavini et al., 2006); raramente Tab. 12. MIGLIOR AME NTO GE NETICO E B IOTECNO LO G IE AUS ILIAR IE B iotecnologie a usiliarie A) Miglioram ento genetico Selezione fenotipo (albero, frutti) e resistenze a stress biotici/abiotici MAS (selezione m olecolare precoce e assistita) Individuazione e m appaggio m arcatori Scelta linee parentali Variabilità allelica segregante “Fingerprinting” e brevettazione Fenotipizzazione Identificazione e clonazione genica B) Propagazione e difesa Certificazione genetico-sanitaria Diagnostica sanitaria Variabilità som aclonale e m utazioni Verifica stabilità e regressioni chim eriche Monitoraggi biologici le varietà obsolete scompaiono in breve tempo. In genere si trascinano sul mercato fino alla fine naturale o anticipata dei frutteti. Di qui l’inconveniente denunciato soprattutto dagli operatori peschicoli, di un eccessivo numero di varietà coltivate. Vi sono 31 cooperative in Romagna i cui soci producono oltre cento varietà di pesche e nettarine. La situazione a questo riguardo sta diventando pesante per i frutticoltori, anche perché le attuali regole di propagazione consentono al licenziatario (vivaista o società o titolare di brevetto) di poter disporre anche del prodotto dei frutteti costituiti con tali varietà, e quindi di poter controllare l’immissione dei frutti sul mercato, cercando di condizionarne il prezzo finale. Ciò fa aumentare i costi, al punto che il coltivatore non deve solo pagare le royalties (intorno ad 1 euro per pianta), ma pagare anche al licenziatario delle varietà il diritto di coltivazione (in alcuni casi, per nuove varietà di albicocche sono stati richiesti anche 3-4.000 euro/ha!); nel caso dei Club (per es. quello di ”Pink Lady”) vi sono apposite aziende autorizzate alla commercializzazione su scala nazionale, cui si è obbligati a conferire il prodotto che verrà liquidato al coltivatore, secondo l’andamento del mercato, detratti i costi del sistema di controllo delle varietà nell’intera filiera (Sansavini e Lugli, 2007). Questi sistemi fanno perdere potere decisionale a vivaisti e frutticoltori, che possono solo adeguarsi, a meno che non comprino essi stessi i diritti commerciali delle novità e gestiscano in proprio l’intera catena della produzione-distribuzione, come hanno cominciato a fare APO-CONERPO, APOFRUIT, OROGEL, che si sono appositamente consorziate in una nuova società denominata New Plant, (Sansavini, 2004c). 2) Biotecnologie a supporto del Miglioramento Genetico, della Propagazione e della Difesa (tab. 12). A questo settore si devono forse le maggiori conquiste degli ultimi anni. Grazie alla biologia molecolare, è stato possibile impostare incroci programmati, scegliendo genitori di cui si è in grado di sapere quali alleli dei caratteri ricercati sono in essi presenti (cioè si può conoscere a priori e quindi trasmettere dai genitori ai figli certe caratteristiche di qualità dei frutti o di resistenza della pianta alla discendenza che si vuole selezionare). Non solo, ma la popolazione dei semenzali invece di essere messa in campo e aspettare molti anni per la messa a frutto, può essere “screenata” subito, attraverso l’uso sia di tecnologie selettive (es. inoculi artificiali dei patogeni in serra, verso i quali si cercano le resistenze a fireblight e ticchiolatura), sia di marcatori molecolari (legati ai geni oggetto di selezione) per poter scartare subito le piantine che non interessano, mentre le altre saranno innestate su portinnesti (es. “M9” per il melo) che 32 favoriscano la scomparsa della giovanilità e la messa a frutto precoce. È questa la cosiddetta tecnica MAS (marked assisted selection), che è già stata introdotta per il melo. I processi selettivi sono comunque lunghi, anche se le biotecnologie possono accelerarne il percorso e ridurre la massa dei semenzali in campo (per es. per il melo possono bastare 10-12 anni invece di 15-20) e quindi il costo complessivo. Occorre anche rilevare che nonostante questi ed altri accorgimenti per favorire la selezione del materiale genetico, il rinnovamento di varietà attraverso il turnover dei nuovi impianti, pur con qualche azione di marketing operata dai gruppi interessati e dominanti il mercato, non va oltre il 10-12% nel caso di pesco e nettarine, il 5-10% per il ciliegio ecc. La grande massa dei nuovi impianti, infatti, tende ad essere ricostituita con varietà già diffuse, il che significa mantenere l’assetto varietale preesistente (si lascia però più spazio alla possibilità di impiegare i mutanti migliori, cioè i vari cloni della varietà madre). Nel caso del melo, ad esempio, oltre il 50% dei nuovi impianti del Trentino-Alto Adige viene ancora fatto con “Golden Delicious”. Molto lenta è anche l’introduzione di varietà resistenti a malattie, comprese le necessità della frutticoltura biologica che invece ne dovrebbe fare grande uso. Le mele resistenti a ticchiolatura infatti non coprono più del 2-3% dei nuovi impianti o forse meno; ignorate sono le pere resistenti o tolleranti al fireblight (es. “Harrow Sweet” e “Harrow Gold”) mentre nel caso delle ciliegie si cerca di valorizzare soprattutto quelle resistenti al cracking (la cv “Adriana”, però, ottenuta dall’ISF di Verona, nonostante questo pregio non si è praticamente diffusa). Le ragioni principali di questa indifferenza risiedono negli standard qualitativi dei frutti, ormai omologati dai mercati e poco commisurabili con “nuove facce” di frutti, verso i quali i consumatori sono in genere riluttanti, anche se tali frutti sono prodotti con poche esigenze colturali o senza trattamenti anticrittogamici. I consumatori cioè preferiscono varietà già note. Nel campo della diagnostica fitopatologica vi sono stati recentemente enormi progressi, oltre alle normali tecniche di riconoscimento delle malattie è possibile fare contestualmente anche l’identificazione del patogeno. Già il numero di protocolli diagnostici per gli organismi nocivi da quarantena raggiunge ormai il centinaio ed altrettanti sono in preparazione da parte degli istituti scientifici e dei Servizi Fitosanitari Regionali. Dalle analisi di routine (acquisite ormai fin dagli anni ’70) per 33 virus e malattie infettive (vedi analisi ELISA e sierologiche), si è passati all’uso della PCR e quindi dei marcatori molecolari con tecniche specifiche e molto sensibili, che permettono di collegare sul piano genetico l’agente eziologico al sintomo osservato. È così nata un’”epidemiologia molecolare” per singole malattie, che si avvale anche della chimica combinatoria, oltre che di quella analitica. Per favorire la diagnostica sono ora disponibili numerosi kit commerciali predisposti da ditte specializzate (in genere non italiane). Ad esempio, per la Botrytis cinerea (metodi ELISA e immunofluorescenza), per le Phytophthora spp, l’ELISA in combinazione con Alert-Lf. Poi sono rese possibili analisi DNA macroarray con preparati a marchio DNA Multiscan e DNA Turfscan (il primo utilizzato per identificare le Phytophthora spp). Sono noti anche Multiscreen per la PCR, Toq Man per la Real Time-PCR ecc. Abbastanza precise sono anche le tecniche molecolari per l’individuazione dei vari fitoplasmi (dagli scopazzi del melo, alla flavescenza dorata della vite, al pear decline, ossia il deperimento del pero, al posto della tecnica microscopica vascolare, colorimetrica del DAPI). 3) Tecniche vivaistiche di propagazione La micropropagazione è molto utilizzata per la produzione dei portinnesti delle drupacee (es.”GF 677”) (fig.1); limitatamente alla preparazione del materiale di élite o del materiale di fonte, anche nelle pomacee, in generale ha enormemente contribuito a migliorare le tecniche vivaistiche. Altre tecniche vanno via via modificando i cicli produttivi: il margottaggio di ceppaia per i cloni di melo e di cotogno, la modifica dei tipi d’innesto (con l’adozione del chip-budding e del ciclo breve di produzione degli astoni), il microinnesto per il risanamento, l’allevamento di piante preformate in vivaio, il controllo della crescita dell’apparato radicale (taglio delle radici) per ridurre la vigoria, il controllo della crisi di trapianto, l’utilizzo dei contenitori per favorire la piantagione “fuori epoca” durante la vegetazione. Un forte impatto ha pure la tecnologia imposta dalla regolamentazione per la certificazione geneticosanitaria (o per ottemperare alle norme CAC e del “bollino blu”) che sempre più si vanno estendendo per portare il nostro vivaismo in Europa e per farlo sopravvivere nella competizione internazionale (fig. 2). Anche il vivaismo, dunque, sta affrontando le sfide della frutticoltura per vincere le crescenti difficoltà che caratterizzano lo 34 scenario internazionale: non si tratta, infatti, di produrre piante di qualità oltre quanto stabilito dalle norme di certificazione (per garantire gli aspetti sanitari e la rispondenza genetica), ma di conquistare, nella crescente competizione per l’acquisizione dei brevetti, sufficiente numero di diritti IPR (cioè di proprietà intellettuali) sulle varietà del futuro. In pratica, di poter disporre delle novità più interessanti, visto che non saranno più i vivaisti a orientare il mercato, ma i gruppi di business che dispongono dei Fig. 1. COLTURE INVITRO E MICROPROPAGAZIONE IN VITROE (Ceppaie melo in vivai industriali del ferrarese) (DCA - Bologna) migliori pacchetti di varietà e portinnesti sulla scena europea. Speriamo che i produttori non rimangano alla finestra o non vogliano recitare un semplice ruolo di comprimari e di permanente dipendenza dagli altri soggetti della filiera produttiva (Sansavini et al., 2006). 35 4) Fisiologia della fruttificazione e miglioramento qualitativo dei frutti Nuove metodologie di ricerca (nei campi della biologia e fisiologia molecolare, biochimica-enzimologia, pomologia ecc.) hanno dato la possibilità ai ricercatori di rivedere e approfondire quasi tutti i processi dello sviluppo, dall’assorbimento radicale alla fruttificaFig. 2. TECNICHE DI PROPAGAZIONE VIVAISTICA E CERTIFICAZIONE Servizio Nazionale di Certificazione MiPAF e SFR Controlli genetici e sanitari eseguiti dai Servizi Fitosanitari Regionali Ente Ente Certificante Certificante Conservazione Conservazione per per la la Premoltiplicazioone Premoltiplicazioone PRE -BASE Premoltiplicazione Premoltiplicazione BASE Moltiplicazione Moltiplicazione CERTIFICATO (p.i.) Vivaio Vivaio CERTIFICATO (astoni) zione e alla maturazione, per conoscere cosa avviene nella pianta, come questa reagisce alle pratiche colturali, come controllare il ciclo produttivo e la qualità dei frutti. Ad esempio, oggi importa molto conoscere l’efficienza produttiva degli alberi (es. capacità di assunzione di acqua e nutrienti, di fissazione del carbonio e di utilizzo dello spettro radiante) (fig. 3); conta molto, per le implicazioni pratiche, determinare o verificare l’efficienza degli input energetici legati alla produttività e alla qualità del frutto (dall’impollinazione all’allegagione, dal diradamento alla cascola) fino all’individuazione dei migliori indici di raccolta e qualitativi. In pratica, le conoscenze ecofisiologiche, sia della funzionalità dell’albero sia di quella del sistema suolo/pianta/atmosfera, incluso l’apparato radicale (fig. 4), sono state fondamentali per mettere a punto nuovi sistemi d’impianto e di allevamento degli alberi. La 36 Fig. 4. MONITORAGGI RADICI E RIZOSFERA, CON APPARECCHIATURA ELETTRONICA (RIZOTRONE) (da E. Baldi, DCA, Bologna) tabella 13 indica le radicali innovazioni che hanno profondamente modificato gli impianti e i disegni dei frutteti negli ultimi anni. Le scelte dei frutticoltori hanno spaziato dalla combinazione dei fattori suolo, acque e nutrienti, fino al binomio portinnesti/ varietà, distanza d’impianto, forma di allevamento e tipo di potatura Tab. 13. IMPIANTO E DISEGNO FRUTTETI • Portinnesti = verso generale nanizzazione alberi • Sistemi allevamento = semplificazione operazioni e gestione da terra • Distanze impianto = verso l’alta densità • Potatura = molto limitata su alberi giovani e più mirata alle tipologia dei rami, all’habitus negli adulti (uso congiunto di bioregolatori ausiliari) • Gestione suolo = abbandono lavorazioni superficiali, sviluppo inerbimento, limitato diserbo sotto fila • Difesa = metodi integrati (disciplinari restrittivi), sviluppo lotta biologica e biopesticidi • Acqua e nutrienti = fertirrigazione, risparmi di acqua e fertilizzanti, irrigazione localizzata e “deficit idrico controllato” 37 (Sansavini e Neri, 2005). Tendenza generale è stata ed è tuttora quella di elevare la densità d’impianto e di semplificare la gestione e il governo da terra degli alberi. In tal modo è possibile conseguire due obiettivi fondamentali, fin dal momento dell’impianto (dopo, questi fattori non saranno più modificabili): a) rapida messa a frutto e maggiore produttività degli impianti stessi (rispetto a 20-30 anni fa, un meleto produce a Fig. 3. MISURAZIONI AUTOMATICHE DEGLI SCAMBI GASSOSI DELL’INTERA PIANTA CON IRGA (gas analizzatore ad infrarosso) Az. Sperimentale a Cadriano – Università di Bologna. Misure fotosintesi pero (L. Corelli Grappadelli) regime, con la stessa varietà, dal 30 al 50% in più per unità di superficie); b) più elevato e costante standard qualitativo del prodotto consegnato alla centrale di lavorazione. In passato, tanti frutteti avevano solo il 60-80% di frutta di prima qualità, oggi questa percentuale deve superare il 90% (o comunque non deve scendere sotto l’80-85%) altrimenti il prodotto che difetta per pezzatura, colore, aspetti sanitari, disordini fisiologici, non è praticamente retribuito, o lo è assai poco, per cui l’azienda non farebbe più bilancio. Dunque, non è vero che tutti sanno produrre. Occorre sapere scegliere e poi applicare, conoscere e disporre dei vari 38 fattori della produzione per ben utilizzare un grande apparato tecnologico (fondamentale è, a tal fine, l’ausilio di un buon servizio di consulenza tecnica, messo a disposizione dalla cooperativa o dai servizi privati di assistenza tecnica territoriale o dalle reti regionali pubbliche o semipubbliche). La grande competitività di mercato e i prezzi costantemente bassi liquidati ai produttori negli ultimi anni non permettono più di sbagliare. Man mano che si rendono disponibili nuovi strumenti tecnici, occorre subito provare quali benefici se ne possono trarre e se il costo è ripagato da un ritorno nel prezzo o nella qualità del prodotto o nella compressione dei costi. A proposito di qualità, questa oggi non è più definita soltanto Tab. 14. Parametri qualitativi di mercato delle principali specie e varietà di frutta Durezza (kg) R.S.R. (% ) Acidità (m eq/10 ml) Gusto prevalen te Arom a Giudizio organ olettico 16.0-16.5 15.0-15.5 1.27 0.98 Equilibrato Dolce Live-M edio M edio-Elevato Scarso-Abb.Buon o Buono 2.9 1.9 12.0 12.5 1.8 1.2 Dolce-E quilibrato Equilibrato M edio M edio Abb. Buono-Buon o Abb. Buon o 3.6 3.0 9.6 9.0 1.1 1.1 M edio M edio Scarso-Abb. buono 4.6 11.4 1.1 Equilibrato AciduloEquilibrato Dolce-E quilibrato 4.0-4.5 4.0-4.5 10.5-12.0 11.0-12.0 0.5-0.7 1.3-1.5 4.0 11.9 1.6 (raccolta) (consum o) (raccolta) (con sum o) (raccolta) (con sum o) 5.0 1.2-2.0 5.5 0.8-1.5 6.5 0.8-1.2 13.0-14.0 13.0/14.0 13.0-15.0 13.0/14.0 10.0-12.0 11.0/13.0 0.2 0.15 0.3-0.4 0.3 (raccolta) (con sum o) (raccolta) (consum o) (raccolta) (con sum o) (raccolta) (consum o) 7.2-7.6 6.0 7.0 5.0 6.5 3.5 7.5-8.0 6.0 14.0-15.0 15.0 12.0-15.0 12.0-14.0 13.0 12.0-14.0 15.0-16.0 15.0/16.0 0.6 0.35 0.5 0.3 0.6-0.8 0.4 1.0-1.2 0.7 C IL IE GIO D O L C E Giorgia Lapins S U SIN O C IN O - GIAP PO N E S E Fortune Angeleno P E SC O M ay Crest Sprin g Lady Elegant Lady N ET T AR IN E Big T op Stark Red Gold Ven us PE R O Abate Fétel Abate Fétel Con ference Con ference W illiam W illiam M EL O Fuji Fuji Gala Gala Golden Delicious Golden Delicious Pink Lady Pink Lady Dolce Dolce aciduloEquilibrato Dolce-acidulo 0.2 E levato E levato M edio Buon o-Ottim o Buono M edio A M ID O (Scala 1/5) 2.3 Buon a - eccellente Dolce 2.3 Dolce, fon dente 1.4 Buona, com patta 3.5 3.5 Dolce, croccan te, succo poco acido Buon a 3.0 Buon a - eccellente 3.0 Soda, croccante, dolce, eccellen te E quilibrato-Dolce Dolce arom atico Dolce E quilibrato-Dolce Equilibrato P.S. Al di sotto di questi valori minimi standard della prima qualità i frutti dovrebbero essere classificati di categoria inferiore (Rielaborato da Sansavini e Pratella, 2003 e da Neri, Pratella, Brigati, 2003). da parametri di routine (peso, forma, colore, assenza di difetti), ma da una serie di parametri intrinseci fisico-chimici-strutturalisensoriali della polpa (consistenza, tessitura, succosità, croccantezza, equilibrio del rapporto zuccheri/acidi/aromi, sapore), che si cerca di individuare attraverso più accurate valutazioni. Sono d’ausilio indici fenologici, fattori fisiologici, indicatori della 39 maturazione, dell’etilene e della durezza ed elasticità di polpabuccia, viraggio qualitativo degli zuccheri e degli acidi organici, fino ai test sensoriali post-raccolta sul sapore e sulla complessiva percezione gustativa del frutto per determinare l’epoca (o la data) di immissione al consumo. Presto nei mercati i frutti dovranno riportare anche indici o parametri qualitativi, almeno per differenziare le categorie di qualità e quindi i prezzi. A tal proposito la posizione italiana è in contrasto con quella europea che mira a deregolamentare la qualità, per lasciarla nelle mani del libero mercato (e allora come tutelare il consumatore?) Per le principali varietà si conoscono già i parametri minimi della 1a qualità (Sansavini e Pratella, 2003; Neri et al., 2003) (tab. 14), ma si dovrebbero diffondere e far conoscere anche quelli ottimali dell’eccellenza o dell’alta qualità. La tecnologia ha fatto, dunque, grandi progressi, sia perché è possibile fare molte misurazioni con strumenti portatili in campo e Fig. 5. POSTRACCOLTA E CONSERVAZIONE MATURAZIONE E QUALITA’ DELLA FRUTTA Metodologia NIR di analisi qualitativa non distruttiva del singolo frutto all’Università di Bologna (G. Costa) assai sofisticati o robotizzati in magazzino (vedi la selezionatrice francese Pimprinel), sia per le nuove tecnologie laser non distruttive del NIR (near infrared spectrometry) già uscite dalla fase sperimentale ed entrate nelle catene di selezioneclassificazione degli stabilimenti di lavorazione più moderni. In tal modo è ora possibile classificare i prodotti non solo 40 attraverso requisiti estetici, ma anche intrinseci del prodotto (fig. 5). Ci avviamo cioè verso una nuova rivoluzione nella classificazione dei prodotti. Al momento è aumentata anche la confusione, perché se si calcola il totale delle combinazioni possibili (classi di pezzatura e colore per classi di maturazione e di titolo di S.S.), si arriva facilmente a superare 10-15 categorie di prodotto e nessuna ditta può permettersi una simile segmentazione nella catena di lavorazione automatica (rispetto alle 4-6 linee attuali). 5) Gestione di suolo, acqua e nutrienti Apparentemente la gestione del frutteto sembra essere ormai definita e invariata da molti anni. Al Nord la scelta dei frutticoltori è ovunque orientata all’abbinamento del diserbo chimico (limitato a una striscia minima sotto la fila) con l’inerbimento della F ig . 6. A P P A R A T I E AU T O M A T IS M I E L E T T R O N IC I N E L L A F E R T IR R IG A Z IO N E F R U T T IC O L A corsia interfilare. Nel modello di coltivazione biologica e in certi casi integrata, si sta andando verso la sostituzione del diserbo chimico (Basta o Rondoup o prodotti simili) con pacciamatura di materiale organico (talvolta con film plastico sotto fila), o più raramente (nel biologico) si ritorna alla fresatura meccanica con scavallatrici lungo il filare. Questa tecnologia (inerbimento/diserbo) è ormai consolidata, ma non è scevra di innovazioni, che hanno progressivamente riguardato le tecniche di somministrazione d’acqua e concimi. I 41 metodi di irrigazione sono stati dapprima rivoluzionati (trent’anni fa) dall’irrigazione localizzata a goccia o a spruzzo che, successivamente, si sono evoluti verso la fertirrigazione, favorita dal controllo elettronico della miscelazione, filtraggio e pompaggio degli elementi nutritivi (fig. 6). In pratica, la fertirrigazione si sta diffondendo ovunque, perché consente di ridurre al minimo il consumo idrico e di dosare i nutrienti lungo tutto il corso della stagione irrigua. In tal modo la frutticoltura si avvantaggia sul piano ecologico, riducendo al minimo l’impatto ambientale (in particolare tendono a scomparire l’inquinamento della falda acquifera, la dispersione dell’azoto e degli altri nutrienti), ma anche per assecondare le necessità di risparmio idrico nelle aree carenti di acqua (e queste non sono solo al Sud). Molto importanti sono anche le modalità di calcolo dei fabbisogni idrici, attraverso i monitoraggi combinati dell’evapotraspirazione della chioma e del suolo, in combinazione con i parametri biologici (es. potenziali idrici di radici e fusto e conduttanza stomatica fogliare) (Xiloyannis et al., 2005). L’obiettivo è il calcolo del bilancio idrico in tempi reali, giorno per giorno, mettendo il coltivatore in condizione di applicare un metodo scientifico, (vedi i software Irrinet e TecnIrri messi a punto dal Canale Emiliano-Romagnolo) e di introduzione anche di tecniche più risparmiose (come il “deficit idrico controllato”) oppure di mirare al controllo dello sviluppo del frutto, con restrizioni idriche oltre che con apporti calcolati di macro e microelementi (per regolare la pezzatura o l’epoca di maturazione o la frigoconservazione o altri aspetti della qualità). In alternativa a questa tecnica di “alta precisione” nel calcolo del fabbisogno idrico, in certe aree (per es. in Trentino Alto-Adige) si continua a far uso dei metodi tensiometrici, che nei suoli non pesanti e non molto profondi riescono a dare un indice relativamente attendibile sullo stato idrico del suolo (nel range compreso fra capacità idrica e coefficiente di appassimento, più vicino al secondo che al primo). Occorre anche tenere presente che non solo la disponibilità di acqua, ma anche il suo costo, diventano sempre più elementi determinanti ai fini della scelta tecnica. La conclusione è che attualmente i consumi idrici si sono attestati in volumi dosati non superiori ai 20-25 mm nelle settimane di luglio e agosto (invece dei 30 ed oltre di qualche anno fa), con un totale stagionale non inferiore a 200-250 mm (< 2.500 mc/ha), il che 42 significa in certi casi un dimezzamento di quantità d’acqua totale ma assai meglio distribuita (tab. 15). Per la verità le sempre più precoci estati hanno anticipato negli anni scorsi la criticità irrigua evidenziandone le conseguenze (negative) fin dal mese di maggio. Ciò ha fatto saltare schemi empirici e talvolta anche la possibilità di usare il metodo del “deficit idrico controllato” (così come la possibilità di limitare al massimo il quantitativo di concimi solubili). Nel caso del melo è stato dimostrato che si può ridurre l’apporto di fertilizzanti a soli 40/50 kg/ha di azoto, e a meno di 60/80 kg di K20 e meno di 20 kg di P205. Anche per la peschicoltura, abitualmente utilizzatrice di quantità superiori di acqua e nutrienti, si vanno configurando rilevanti economie di consumo idrico e di fertilizzanti, senza penalizzare la qualità delle pesche. E’ difficile evitare, però, una sia pur minima sopportabile, compromissione della quantità di frutta prodotta (e anche della pezzatura). I risultati finora, in varie situazioni sono stati discordanti. Occorrono, quindi, ulteriori dati probatori, pro o contro. 6) Produzione integrata e biologica I principi della produzione frutticola integrata sono ormai di dominio pubblico e sono divenuti una pre-condizione per poter competere sui mercati con possibilità di successo. Negli anni ‘80/90 sono serviti talvolta a creare valore aggiunto, oggi non più, perché il “processo” (cioè le tecniche di coltivazione) deve ovunque caratterizzare la sostenibilità della coltivazione (economica, sociale, alimentare), da cui anche la dizione americano-anglosassone di frutticoltura ecologica ed ecocompatibile. Insomma, a questa urgenza di sicurezza alimentare c’è l’altra non meno importante di salvaguardia e tutela ambientale, per ridurre inquinamento di suolo e di falde acquifere, per rispettare la flora microbica, la fertilità anche futura del suolo, la biodiversità, in una parola l’agroecosistema. Questi principi sono stati definiti nell’arco di un decennio e (fig. 7) sono stati fatti propri delle organizzazioni dei produttori e da tutte le grandi catene distributive (GDO), dalle associazioni di consumatori, dai gruppi di esportazione, dai trader internazionali, dai gruppi ambientalisti, e sono emersi sempre dagli indirizzi sanciti dalla politica governativa. Chi coltiva e produce si deve perciò allineare, e per far 43 questo deve disporre di alcuni strumenti operativi (Sansavini, 2004b e 2005) che sono: - il disciplinare di produzione (guideline) imposto dall’esterno o dal proprio organismo (cooperativa, consorzio, gruppo associativo); ogni anno i disciplinari diventano più severi (viene ridotto il numero di p.a. utilizzabili, al fine di ridurre il rischio tossicità; vengono talvolta alzate le soglie dei residui, per evitare di incappare nei limiti restrittivi dei Paesi importatori, ecc.); - le aziende debbono disporre di servizi tecnici specialistici efficienti; servizi che in alcuni casi sono pubblici, ma più spesso privati o misti, basati spesso su reti di monitoraggio, su collegamenti on line e interattivi fra coordinamento tecnico e recettività aziendale, su modelli gestionali non solo per il controllo delle malattie, ma inerenti le altre scelte tecnico-colturali; - la frutta deve essere sottoposta, già in campo, a periodici rilevamenti analitici, a garanzia che il quaderno di campagna e gli impegni sottoscritti dal coltivatore ad inizio campagna sono stati mantenuti. Altrimenti scattano sanzioni (si è estromessi dal “processo”); per ora a questo riguardo si sono visti molti compromessi e anche varie controversie; - la frutta così prodotta deve essere riconoscibile dal consumatore. Pertanto, occorre un “marchio di processo” che può FIG . 7. COM E CONCILIARE LE COLT URE INTENSIVE CON I CRITERI DELLA SOST ENIBILIT À? INTENSIVAZIONE COLTURALE Rivoluzione - chim ica - tec nologica - genetica Am biente SO STENIBILITA ’ • per lotta integrata e biologica • per controllo e governabilità alberi (tecn. m eccanica) • per ad attabilità am bientale • controllo m alerbe • diradam ento fruttific azione • m iglioram ento q ualità frutti • genetic a (v arietà e portinnesti) • Risorse energetiche rinnovabili (acqua e luce) • Fertilità suolo (struttura, s ostanz a organic a, m icroflora) • Biodiversità e g erm oplasm a • Tutela agro-ecosis tem i Salute c oltivatori e c onsum atori (sicurezz a alim entar e) Redditività delle colture Im plem entazione attività ec onom ic he territorio, prod otti tipici Sviluppo rurale e q ualità vita QUALE COM PROMESS O FRA LE DUE LINEE DI TENDE TE NDE NZA? O ccorrono un costante flusso di ricerca, innovazione e accurate verifiche in cam po 44 essere privato (generalmente) o anche pubblico. Ma sta prevalendo il concetto che l’etica di produzione (attestata da un marchio di processo) non equivale necessariamente ad una garanzia di qualità che mira invece a conseguire gli standard parametrici ottimali, diversi a volte da varietà a varietà. Pertanto, commercialmente, le imprese hanno più interesse a investire sul marchio di qualità che serve a fidelizzare il cliente, piuttosto che ad affidarsi a controlli (e marchi) pubblici di processo o di qualità, se questi devono essere volontari (oltre che retribuiti). Vi sono grandi imprese (es. le diciassette cooperative della Val di Non) che hanno unificato marchi di qualità e di processo (es. Melinda), altre invece che preferiscono tenerli separati, come avviene per le mele della provincia di Bolzano (Agrios, logo di processo e Marlene, marchio di qualità per tutte le varietà prodotte nel territorio, sono infatti tenuti distinti); Un discorso a parte merita la produzione biologica, perché richiede l’utilizzo di disciplinari che rigettano tutti i preparati di sintesi chimica, per cui la permissività per i soli prodotti cosiddetti “naturali”, organici o minerali, spesso non è di sufficiente garanzia all’esito tecnico ed economico della coltivazione, specie nelle aree dove soccorrono masse critiche, incontrollabili, di patogeni e fitofagi (Sansavini e Kelderer, 2005). D’altra parte, non bisogna rifiutare a priori il biologico, perché quando i metodi di difesa proposti diventano convenienti devono essere subito introdotti anche nella produzione integrata. Si veda il caso dei feromoni che, in alternativa alla lotta chimica alla Carpocapsa delle pomacee, ha sfondato come metodo biologico della produzione frutticola integrata (PFI), necessitando solo di una modesta integrazione di trattamenti chimici. Cosicché tra i due sistemi (integrato e biologico) non deve sussistere antagonismo, ma integrazione (Sansavini, 2006 b) (fig. 7). Un buon compromesso deve essere perseguito a vantaggio anche dei consumatori, tanto più che la produzione frutticola biologica non supera il 2-3% di quella complessiva. Molto variabile è la PFI delle diverse colture, specialmente nelle varie regioni; infatti, raggiunge o supera il 90% in Alto Adige e il 50/60% in Emilia Romagna (complessivamente per pomacee e drupacee) e può scendere anche ad appena il 30% nelle aree del Centro Sud. 45 29,8 30,2 223 111 0 600 222 222 352 352 RDI 100% RDI 50% RDI 100% Efficienza d'uso acqua (compresa acqua di pioggia) Efficienza dell'irrigazione (al netto delle precipitazioni) grammi sostanza secca frutto / litri di acqua consumata WUE IWUE g/L RDI 50% Restituzione 50% ETc 100% ETc F1, F3, RDI F2, F4 (RDI = Deficit idrico controllato con irrigazione normale nelle fasi 1 e 3 e RDI nelle fasi 2 e 4) 50% ETc F1, F3, RDI F2, F4 ETc 50% (Evapotraspirato della coltura) Non irrigato Restituzione 100% ETc 23,8 25,8 24,7 28,5 29,9 = - = = = = = = = = = = = = = = -- - = - -- = -- - -- = -- - = = - - -- Variazione legno potatura - -- Variazione pezzature 7,78 7,76 7,31 7,20 7,66 6,49 6,67 5,43 7,62 15,17 15,56 18,94 13,08 6,10 5,37 5,46 4,39 8,58 8,96 7,60 7,94 5,46 9,70 (g/L) WUE * 9,11 8,30 5,64 6,08 - 4,39 4,34 2,75 - 1,74 1,74 - - 2,01 2,73 1,80 1,93 - 7,48 5,52 5,42 2,42 - (g/L) IWUE * 78 55 50 0 35 50 0 51 41 0 64 29 50 0 64 28 50 0 (% ) Risparmio acqua 46 ° Anconelli, S., Mannini, P. Effects of regulated deficit irrigation on the performance of pear in an Italian sub-humid area. Acta Hort. ISHS, 596, 2000: 687-690. ° Battilani A., Regulated deficit of irrigation (RDI) effects on growth and yield of Plum tree. Acta Hort. ISHS, 664, 2004:55-62 ° I dati delle prove su Pesco sono ancora inediti ° Anconelli, S., Solimando, D., Guidoboni, G., Mannini, P. L'applicazione dello stress idrico controllato nell'irrigazione del melo. Italus Hortus, 15 (2), 2008: 15-22. ° Anconelli, S., Mannini, P. Vite: un'irrigazione oculata crea l'equilibrio tra resa e qualità. Rivista di Agricoltura, 5, 2006, 90-92 Lavori citati * Legenda: dati sperimentali del Canale Emiliano Romagnolo (Bologna). Valori medi relativi all'intero periodo vegetativo. 26,03 280 RDI 50% Test 52,05 280 RDI 100% ETc 100% 58,44 116,88 280 ETc 50% 280 ETc 100% Correggio (MO) 21,4 0 cv. Ancellotta/SO4 31,7 170 318 280 Test RDI 100% Vite (CER 2000 - 2003) 318 31,4 260 130 318 ETc 50% 24,3 32,0 ETc 100% 0 318 cv. Fortune/Mirabolano 29c 86,4 399 Test RDI 100% 32,3 30,4 41,9 35,6 Susino (CER 1998 - 2002) 103,5 399 ETc 100% (RDI postraccolta) 399 Russi (RA) 30,5 0 176,7 399 Test ETc 100% 214 352 RDI 50% cv. Caldesi2000/Franco 428 352 RDI 100% Consandolo (FE) Pesco (CER 1993 - 1995) 34,5 300 352 ETc 50% cv. Gala/M9 41,8 Test ETc 100% Melo (CER 2004 - 2006) 33,8 29,9 29,0 310 155 222 ETc 50% Monestirolo (FE) 222 ETc 100% cv. Conference/BA29 21,5 0 222 Test Pero (CER 1994 - 1999) (t/ha) (mm) (mm) Resa produttiva Irrigazione Precipitazione Met. restituzione acqua Specie e varietà Tab. 15. RISPARMI IDRICI CON LE NUOVE TECNICHE DI GESTIONE IRRIGUA Bibliografia Anconelli S., Mannini P., Solimando D., Guidoboni G. Effetti della gestione irrigua sul melo tramite stress idrico controllato. Riv. Frutticoltura, 2008, 5:52-59. Anconelli, S., Mannini, P. Effects of regulated deficit irrigation on the performance of pear in an Italian sub-humid area. Acta Hort. ISHS, 596, 2000: 687-690. 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Sansavini, Edagricole, 2005, pp 145-171. 48 Cinquant’anni di sperimentazione per lo sviluppo della frutticoltura veronese (prima parte, 1955-1990) Giorgio Bargioni Primo Direttore dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura, Provincia di Verona Quando nel 1954 la Provincia di Verona su sollecitazione del Capo dell’Ispettorato Compartimentale dell’Agricoltura delle Venezie, prof. Viscardo Montanari, deliberò di dare vita al nostro Istituto, la frutticoltura veronese doveva affrontare vari problemi di rinnovamento che in particolare riguardavano sia l’assortimento varietale delle principali specie coltivate sia aspetti agronomici che nascevano dalla necessità di affrontare decisamente la specializzazione delle colture. Fra questi, i più rilevanti erano quelli Fig. 1 - 1955, la sede e il terreno a disposizione a Borgo Roma della peschicoltura, ancora in gran parte rappresentata da filari distanziati, del ciliegio, che era colpito da una preoccupante morìa, del pero, ancora quasi totalmente innestato su franco. Il nostro lavoro cominciò il 2 gennaio 1955. 49 Non essendo ancora pronta la sede definitiva (fig. 1) l’inizio dell’attività ebbe luogo in una villetta vicina (in via Pasquale Benedetti), ma si poté subito provvedere alla preparazione del terreno dell’azienda sperimentale di quasi tre ettari, scorporato dall’ampio podere, in dotazione al vicino Ospedale Psichiatrico, tenuto a prato con filari di gelsi. Eravamo in tre: il perito Tiziano Tosi, il custode della sede Gaetano Galvani e chi scrive; solo più tardi, nel 1959, fummo affiancati dal dott. Silvio Bonfante. Ma, fin da quando cominciarono i lavori di campagna, l’Istituto si e’ avvalso e si avvale dell’opera di diverse persone, Fig. 2 - Collezione di cultivar di pero senza le quali non si sarebbero potute, ne’ si potrebbero sviluppare e portare a compimento tante ricerche e tante iniziative: mi riferisco agli operatori d’azienda, che sono qui presenti o rappresentati: da Alfonso Accordini a Carlo e Simonetta Bedoni a Lucidio Bonadiman a Attilio Bonvicini, da Antenore De Guidi a Flavio De Togni, da Mario Frigo a Angelina Gasparato, da Angelo Gesuita a Michele Marcolin, da Livio e Zefferino Mantovani a Ambrogio Salomoni, da Carlo Scapini, da Marcellino Tomelleri a Matilde Visentin a 50 Giancarlo Zanella a Nello Zanoni, ai quali va il grazie nostro e dell’Amministrazione. Un ringraziamento speciale va a Luisa Galvani, dal 1974 al 1999 aiuto prezioso nell’espletamento delle pratiche amministrative e burocratiche sempre più opprimenti. Ne’ si possono dimenticare coloro che ancor oggi collaborano: Roberto Buniotto, Renzo Padovani, Paolo Pasetto, Franco Ulmi Fig. 3 - La mostra settimanale di frutta e Giuseppe Ziviani. Ho avuto occasione, nel 1985, quando si celebrarono i primi trent’anni del nostro lavoro, di presentare un excursus sulle attività, le iniziative, i risultati che l’Istituto aveva svolto e raggiunto fino a quella data. Cercherò di riassumerne gli aspetti essenziali. In un primo periodo cercammo di aggiornare le conoscenze dei frutticoltori sulle varietà nuove che permettevano di migliorare l’offerta di prodotto; si dette inizio, cioè, ad un vero e proprio lavoro di orientamento varietale e lo facemmo creando collezioni di varieta’ nelle nostre aziende (fig. 2). Quelle collezioni, che fino agli anni 70 erano fra le più ricche d’Italia, ci permisero di organizzare, per una decina d’anni, mostre settimanali presso la sede, dando la possibilità ai coltivatori e ai tecnici di confrontare le vecchie con le nuove varietà, che a quella 51 epoca, nel caso del pesco, erano soprattutto rappresentate dalle americane a polpa gialla. In particolare poi ricordo che la collezione del pero (fig. 2) ci Fig. 4 - Lavoro per ottenere incroci controllati di ciliegio permise di segnalare per la prima volta la spiccata tolleranza nei riguardi della psilla da parte dell’antica varietà “Spina Carpi”, mentre la collezione varietale di ciliegio, oltre a permetterci l’esecuzione di incroci controllati, ci consentì di realizzare una mostra pomologica all’Istituto nel luglio 1974, mostra nella quale esponemmo 75 campioni di ciliegie dolci e 16 campioni di nostri incroci scelti fra i più interessanti. Divulgammo indirizzi sulle tecniche colturali più razionali, grazie anche ai risultati delle numerose ricerche sugli apparati radicali (fig. 5); questi studi, che permisero per la prima volta di accertare la repulsione esistente fra radici di alberi della stessa specie, ci valsero l’attenzione di Svizzeri e di Francesi che ci invitarono ad illustrarne i risultati presso di loro. Sollecitammo per il pero l’introduzione della “Conference”, allora quasi sconosciuta a Verona, e la coltivazione specializzata attraverso l’adozione dell’allevamento a palmetta e del cotogno come portinnesto (nel 1956 il pero era ancora quasi esclusivamente innestato su franco ed allevato a piramide in filari ai margini di appezzamenti di colture 52 erbacee). Proponemmo l’impiego di portinnesti deboli per il melo per ridurne la mole e facilitare le diverse operazioni colturali, ma questo tentativo fu vano: i tempi non erano ancora maturi; lo sarebbero divenuti nei primi anni ‘70 con le iniziative di Antonio Grigolini e di Giuseppe Aprili a Buttapietra. Per il pesco potemmo promuovere l’abbandono del vecchio sistema irrazionale di aprire un paio di solchi ai lati dei filari per interrare i concimi. Per il ciliegio, che dai primi anni ‘50 era colpito da diffusi fenomeni di morìa, trovammo che la causa principale del malanno era da ricercare in fattori di carattere agronomico, come fu confermato diversi anni dopo da altre indagini dell’Osservatorio per le Malattie delle Piante. Le collezioni di pesco e di ciliegio furono progressivamente arricchite; ad esse si erano aggiunte fino dai primi anni ‘60 quelle Fig. 5 - Studio dell’apparato radicale del ciliegio di fragola, attraverso nuovi impianti effettuati prima nell’azienda di Ponton presso Domegliara (fig. 6), poi in quella del Bovolino di Buttapietra e in quella che la Cassa di Risparmio aveva messo a disposizione a Villafranca per indagini anche di carattere economico su pero, melo e pesco. Questa azienda, per merito di Silvio Bonfante, divenne centro di riferimento, particolarmente per tutta l’area occidentale della provincia, sia per gli aspetti della tec53 nica colturale sia per quelli della biologia fiorale. Dal punto di vista della tecnica colturale, costituì un primo esempio di impianti di melo su portinnesi clonali e campo dimostrativo delle tecniche di potatura ed allevamento; per gli aspetti di biologia fiorale sostenne l’importanza dell’apicoltura per l’ottenimento di produzioni eccellenti per quantità e qualità. Fig. 6 - 1962, l’azienda sperimentale di Ponton S. Ambrogio di Valpolicella (VR) Fig. 7 - Vivaio di fragole in montagna 54 A proposito della biologia fiorale, mi piace ricordare, nell’ambito delle numerose ricerche che conducemmo sugli impollinatori dei ciliegi, quelle realizzate in collaborazione con l’Istituto di Coltivazioni Arboree dell’Università di Padova sulla biologia fiorale della “Mora di Cazzano”; questa eccellente cultivar veronese presenta un periodo utile di impollinazione molto breve ma è altamente produttiva, contrariamente al parere di molti, se ben consociata e ben impollinata. Gli Amici di Marano Valpolicella ne sono testimoni. Ampia è stata la collaborazione con le istituzioni agricole locali, e particolarmente quella con l’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura e con il Comitato Tecnico per l’Ortofrutticoltura veronese. Ma numerosi furono i nostri interventi anche al di fuori Fig. 8 - Fragoleti per la produzione autunnale e primaverile del territorio provinciale: gli Ispettorati Agrari delle zone frutticole venete, trentine e lombarde ci invitarono spesso a tenere conferenze tecniche nei loro territori. Intanto i progressi della ricerca, le innovazioni tecnologiche, le possibilità di comunicare e di muoversi stavano avanzando rapidamente; per i tecnici e per gli stessi produttori aumentavano le possibilità di acquisire informazioni anche in altri centri di sperimentazione, così ritenemmo opportuno di concentrare l’attenzione e, quindi, l’attività su poche colture e di farlo in maniera approfondita e specializzata: non dovevamo infatti essere dei polivalenti destinati all’assistenza tecnica, ma degli sperimentatori in grado di conoscere, se possibile 55 dall’A alla Zeta, i segreti di almeno alcune delle colture che a Verona avevano aspetti tipici per tradizione e per le condizioni in cui venivano attuate. Così, mentre Bonfante seguiva particolarmente da vicino il pesco, Tosi ed io ci dedicammo, in Fig. 9 – (1957) Si prepara la prima prova di forzatura del pesco particolare, alla fragola ed al ciliegio rispettivamente. Per la fragola, grazie all’opera instancabile di Tiziano Tosi, il nostro Istituto divenne punto di riferimento per il completo rinnovo della coltura; con gli Istituti di Coltivazioni Arboree e di Patologia Vegetale dell’Università di Bologna, eravamo stati i primi, agli inizi degli anni ‘60, a costituire campi di piante madri esenti da virus e selezionate per i nuovi impianti. Più tardi, fummo i primi a studiare la convenienza di produrre materiale di propagazione in montagna; e credo sia del tutto superfluo ricordare l’impulso che ebbe a Verona la coltura protetta della fragola, per la quale Tiziano Tosi fu l’artefice della nascita della doppia produzione autunnale e primaverile. A proposito delle colture protette di altro genere, nel 1957, in un certo senso anticipammo, come di recente ricordò il prof. Bellini dell’Università di Firenze, le prove di coltivazione in serra del pesco 56 (fig. 9) coprendo alcuni alberi di “Precocissima Morettini” i cui frutti maturarono con circa una settimana di anticipo. Per il ciliegio credo siano noti i risultati ottenuti con le undici nuove varietà costituite attraverso incroci controllati: da quelle cosiddette normali, fra cui la “Giorgia“ (fig. 10) ormai diffusa un po’ dovunque in Italia, l’“Adriana“, fra le più resistenti alle spaccature da pioggia, e poi quelle idonee alla raccolta meccanica (fig. 11), che tanto poca considerazione hanno avuto nel nostro Paese a differenza di quanto avviene in Spagna per varietà analoghe. Il lavoro di miglioramento genetico per questa specie attraverso gli incroci effettuati fino agli anni ‘90 non ha Fig. 10 - Cultivar Giorgia finito di dare risultati: stiamo per licenziare una nuova varietà autofertile “Lucrezia” (derivata dall’incrocio “Vittoria” x “C.2.2712” contrassegnata dalla sigla “i 475”), poco suscettibile alle piogge e di produttività molto equilibrata, tanto da non dover richiedere particolari potature per evitare la perdita di pezzatura. Stiamo poi controllando il comportamento di un altro incrocio, sigla “i 62”, che prospetta la possibilità di una raccolta per scuotimento delle ciliegie provviste di peduncolo. E stiamo os- Fig. 11 - Tipica suberificazione delle varietà idonee per la servando una proge- raccolta meccanica nie di cui fanno parte individui a maturazione particolarmente precoce. 57 Le ricerche per l’olivo Nell’ambito delle indagini di biologia fiorale e di tecnica colturale non potevamo dimenticare l’olivo, per l’importanza che ha nella nostra provincia. Nel 1957 e nel 1958 si condussero indagini eliografiche e di biologia fiorale, contribuendo alla conoscenza delle caratteristiche morfologiche e biologiche delle cultivar tipiche della sponda orientale del Lago di Garda; i risultati di queste ricerche furono presentati al primo Convegno Nazionale dell’Olivo tenutosi a Spoleto nel 1962. Ad intervalli pluriennali non mancarono osservazioni ripetute sulle tecniche colturali e la potatura delle piante, il che ci consentì, dopo i danni della gelata del 1985, di guidare, attraverso conferenze e dimostrazioni di campagna, la ripresa dell’olivicoltura con criteri di Fig. 12 – Ricerche sulla biologia fiorale dell’olivo razionalità ben maggiore che nel passato. La partecipazione a progetti di ricerca in ambito nazionale e regionale Le attività svolte e i risultati che si andavano ottenendo ci valsero l’attenzione di vari Istituti di ricerca, da quelli nazionali (delle Università, del Consiglio Nazionale delle Ricerche e del Ministero dell’Agricoltura) ad alcuni stranieri. Attraverso la collaborazione con gli organismi nazionali fu possibile accedere, fin dalla metà degli anni ‘70, ai contributi del Ministero dell’Agricoltura e del Consiglio Nazionale delle Ricerche; più tardi, anche a quelli della Regione Veneto attraverso l’Ente di Sviluppo. 58 Il buffo è che, secondo qualcuno, questi contributi – che indicavano un riconoscimento al nostro modo di operare avrebbero potuto, fra virgolette, distrarci dall’attenzione verso i problemi locali, come se una ricerca collegiale sul pesco o sul ciliegio o sulla fragola non potesse portare vantaggio anche al pesco, alla fragola, al ciliegio di Verona. Di questi Progetti ricordo in particolare quello del Consiglio Nazionale delle Ricerche per la coltura in vitro, che, attraverso una borsa di studio, aprì la strada all’assunzione di un valente tecnico, il dott. Ferdinando Cossio, che mi sarebbe poi succeduto nella direzione dell’Istituto. Attraverso quei contributi potemmo dotare l’Istituto della strumentazione indispensabile per la micropropagazione, che utilizzammo agli inizi per la fragola, poi per il ciliegio e il pesco; per queste due specie potemmo condurre sperimentazioni sul comportamento di piante micropropagate a confronto con piante moltiplicate secondo le tecniche tradizionali. Questa attività fu presto ampliata anche nell’ambito di progetti a carattere nazionale grazie all’opera del perito agrario Emanuele Tosi, oggi responsabile dell’attività per la viticoltura, e soprattutto del dott. Gino Bassi che iniziò nel 1985 una collaborazione come libero professionista. Sempre nell’ambito della collaborazione con altri Istituti, particolare rilievo ebbero quella con il Centro di Studio per la Tecnica frutticola del CNR, che ci permise di dare un sensibile contributo alla problematica della raccolta meccanica delle ciliegie; quella con l’Istituto di Coltivazioni Arboree di Bologna per gli studi sulla biologia fiorale, quella con gli Istituti di Coltivazioni Arboree di Padova e di Pisa. Con l’Istituto di Padova, oltre alle indagini sulla biologia della “Mora di Cazzano”, studiammo il comportamento produttivo del kaki, conducemmo prove per il diradamento chimico del pesco e sulla distribuzione delle radici di piante allevate a bandiera; con l’Istituto di Pisa particolare rilievo ebbero le indagini sull’alta densità di piantagione del pesco e sulla distribuzione dell’apparato radicale dell’actinidia; con l’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura di Roma prendemmo parte al Progetto Frutticoltura da industria e frutticoltura da consumo fresco; con quell’Istituto, come dirà fra poco il dott. Giorgio Baroni, la collaborazione è continuata per indagini sui portinnesti del ciliegio e sulle cultivar di fragola. Per quanto riguarda i rapporti con Istituzioni straniere, ricordo gli inviti a tenere conferenze sui risultati delle nostre ricerche in Svizzera (a Sion), in Francia (ad Avignone, a Montpellier, ad Agen, a Perpignano), in Belgio (a Gembloux), in 59 Bulgaria (a Plovdiv, a Sofia e a Kustendjl). Particolare menzione meritano anche le collaborazioni stabilite con la Stazione Sperimentale Canadese di Summerland e con la Stazione de La Grande Ferrade di Bordeaux per il ciliegio dolce, nonché quella tuttora in atto per il melo e il ciliegio, nell’ambito dell’organizzazione “Alpe Adria”, iniziata nella seconda metà degli anni 80. Nel mio rapporto sui primi trent’anni di attività dell’Istituto, cui ho fatto cenno all’inizio, concludevo dicendo che si prevedeva di accrescere il nostro servizio a favore della frutticoltura veronese grazie al fatto che il personale ricercatore dell’Istituto era più che raddoppiato negli ultimi anni; a Tosi ed a me si erano infatti aggiunti il dott. Ferdinando Cossio, che ho già ricordato, il dott. Giorgio Baroni, il perito Corrado Madinelli. Nel 1985, come già dissi, iniziò la collaborazione nell’Istituto come libero professionista il dott. Gino Bassi che, assunto nel 1993, ha il merito oggi di mantenere viva l’attività dell’Istituto, particolarmente nei settori del ciliegio e del melo e nell’organizzazione della sperimentazione frutticola, nei limiti che la situazione attuale consente. Si era aggiunto inoltre un piccolo gruppo di tecnici, non specialisti, ma che in breve avrebbero potuto essere di valido aiuto nella sperimentazione: i periti agrari Umberto Fraccaroli, Emanuele Tosi, Lorenzo Ballini, Adelino Franco Lonardi, Chiara Tosco, Giovanni Colombari, questi ultimi due passati poi al Servizio Fitopatologico della Regione. L’attività a poco a poco poté estendersi a varie branche anche orticole; furono intrapresi studi su possibili colture alternative, in particolare su specie di actinidia diverse dalla deliziosa, si dedicò attenzione al pero, all’albicocco, al susino. In sostanza fu di nuovo allargata a tutte le specie più interessanti per la frutticoltura di Verona l’attenzione fin dall’inizio dedicata ai problemi del miglioramento delle tecniche colturali ed a quelli del miglioramento del patrimonio varietale e delle produzioni. Su quel che fu fatto a questo proposito lascio la parola all’amico Baroni. 60 Cinquant’anni di sperimentazione per lo sviluppo della frutticoltura veronese (seconda parte, 1990-2005) Giorgio Baroni, Gino Bassi, Ferdinando Cossio Istituto Sperimentale di Frutticoltura, Provincia di Verona Nel 1990 lasciarono l’Istituto, per raggiunti limiti di età, Bargioni e Tosi, perdemmo così non solo due “unità”, ma bensì coloro che avevano fatto la storia dell‘Istituto e che lo avevano LE COLLEZIONI VARIETALI DELL’ISTITUTO SPERIMENTALE DI FRUTTICOLTURA specie 1958 1974 1995 2005 PESCO 330 574 200 80 PERO 150 150 60 --- MELO 86 168 150 150 CILIEGIO 35 170 110 100 FRAGOLA --- 59 40 42 SUSINO --- --- 110 --- ALBICOCCO --- --- 30 --- reso famoso. Dalla nostra avevamo una certa esperienza e soprattutto l’entusiasmo della gioventù che consente di guardare al futuro con speranza e con la presunzione di poter allargare l’attività sperimentale a tutte le specie coltivate in Provincia di Verona. Dedicammo perciò la nostra attenzione alle seguenti attività: orientamenti varietali e recupero germoplasma miglioramento genetico tecniche colturali colture in vitro agricoltura biologica ed eco-compatibile 61 1a. Orientamenti varietali L’Istituto partecipò fin dall’inizio al Progetto del Ministero delle Politiche Agricole “Liste di orientamento varietale dei fruttiferi”. Le collezioni varietali di melo, pesco, pero, susino furono Fig. 1 - Mostra pomologica di ciliegio concentrate al Bovolino e nell’azienda di Ponton. L’albicocco a Sona presso il Centro Quadrifoglio della Coltivatori Diretti e ancora melo in una azienda messa a disposizione dal comune di Terrazzo. Numerose sono state le indicazioni fornite agli agricoltori: le prime osservazioni di selezioni di ciliegio autofertili canadesi che poi sono diventate varietà consigliate per il veronese quali “Lapins”, “Sweetheart”, “Summit”, le prime favorevoli indicazioni sulle mele “Fuji” ancora nel 1992, sulle “Braeburn” qualche anno dopo sia pur con qualche riserva per la colorazione, la scelta dei migliori cloni di “Gala“. Per il pesco si segnalò il buon comportamento di “Maria 62 Laura“, “Maria Bianca“, “Venus“, “Royal Glory“, “Big Top“, “Orion“ e “Ruby Rich“. Non dimentichiamo il tentativo di percorrere strade innovative con l’introduzione di specie nuove per il veronese come il pero nashi, l’Actinidia arguta, il kaki-mela. La divulgazione dei risultati è stata realizzata con la partecipazione alla stesura delle liste di orientamento varietale, con pubblicazione di articoli tecnici ma soprattutto con l’organizzazione di mostre pomologiche. (fig. 1-2) Proficuo il rapporto con i mercati alla produzione di Sommacampagna, Sona e Valeggio sul Mincio dove, ancor oggi, si organizzano nel corso dell’estate tre mostre pomologiche del pesco con esposizione di campioni delle novità con un commento tecnico da parte dei tecnici dell’Istituto e di Veneto Agricoltura. Così pure avviene per il ciliegio dove sono tuttora proposte una mostra durante la festa delle Fig. 2 – Mostra pomologica di pesco ciliegie di Tregnago e una su un mercato alla produzione in Valpolicella. Per il melo infine l’appuntamento principale rimane la Fiera della mela di Zevio. 1b. Recupero germoplama A cavallo degli anni Novanta intensa è stata l’attività per recuperare il germoplasma locale in campi catalogo. In particolare sono state direttamente raccolte e valutate una trentina di vecchie varietà di melo presenti in Lessinia. Nel 1992 a Caprino Veronese è stata costituita una collezione di germoplasma e varietà di ciliegio con 250 biotipi. Il materiale è stato valutato anche nell’ambito del Progetto Europeo ”Conservazione, caratterizzazione e utilizzazione delle 63 risorse genetiche in agricoltura” svolto in collaborazione con l’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura di Roma del Ministero. Nel 2003 le collezioni di ciliegio di Caprino sono state eliminate, e il materiale, allo scopo di preservarlo, è stato consegnato all’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura di Roma. Proprio recentemente si è cominciata una raccolta di germoplasma autoctono di olivo prelevato da piante centenarie presenti nella zona del Garda e nelle principali vallate veronesi al fine di costituire una collezione di piante madri. 2. Sperimentazioni per il miglioramento delle tecniche colturali. Ricordiamo lo studio dei portinnesti di melo, pero, albicocco e pesco svolti sempre nell’ambito del Progetto del Ministero “Liste d’orietamento varietale dei fruttiferi” e relativamente al melo e ciliegio con prove collegiali del Gruppo Frutticoltura della Comunità Alpe Adria. V ig o r ia in d o t t a d a i p o r t in n e s t i d i c i l ie g io ( c a l c o l a t a c o m e a r e a d e lla s e z io n e d e l t r o n c o in d i c e M a z z a r d F 1 2 / 1 = 1 0 0 ) 100 80 100 60 79 75 60 40 20 48 41 20 0 M a z z a r d F 1 2 /1 M axM a 14 W e ir o o t 1 3 W e iro o t 1 5 8 G i s e l a 1 2 G is e l a 4 E d a b r iz G is e l a 5 W e iro o t P ik u 1 72 Nel pesco ad esempio il confronto tra portinnesti ha messo in evidenza il diverso comportamento del portinnesto a seconda della cultivar innestata, precoce o tardiva, e il buon comportamento di “Barrier” e “Montclar” (fig. 3). Molto innovativi gli incoraggianti risultati ottenuti da un recente confronto tra portinnesti nanizzanti e seminanizzanti di ciliegio in una prova Alpe Adria, che hanno favorito la realizzazione di alcuni ceraseti fitti molto specializzati nella pianura veronese 64 dotati di impianti di irrigazione, antibrina, fertirrigazione e reti antigrandine (fig. 4) come avviene per il melo o per il pesco. A partire dal 1996 sono state realizzate presso aziende Fig. 3 - Confronto tra portinnesti di pesco con la cultivar precoce “Adriana” Fig. 4 – Moderno ceraseto specializzato nel veronese 65 private prove sul diradamento chimico del melo mettendo a confronto il diradamento manuale o l’uso della sola amide, con strategie che vedevano l’uso del Carbaril solo o in miscela con NAA. Queste miscele si sono dimostrate abbastanza efficaci anche per regolare la carica produttiva della “Fuji“ e con l’adozione di potature lunghe che in questi ultimi anni anche nel fusetto stanno prendendo piede nel veronese. L’Istituto collaborò con l’Università della Basilicata, Fig. 5 – Apparato radicale di pesco franco l’Istituto per la Chimica del Terreno del Cnr e Agrimont Centro di Biotecnologie di Massa per lo studio sull’irrigazione per scorrimento nei frutteti del veronese mettendo in evidenza lo spreco di acqua, il verificarsi di una diversa concentrazione di azoto, fosforo e potassio lungo i filari e la diminuzione della porosità del terreno a metà e fine filare. Sempre nel pesco sono proseguiti gli studi sugli apparati radicali per la valutazione di migliori sesti d’impianto in funzione della tipologia del terreno e del portinnesto (fig. 5). 66 3. Miglioramento genetico Negli anni ‘90 si è cercato di studiare la discendenza di incroci ottenuti precedentemente nel pesco e ciliegio. L’ultima varietà in procinto di licenziamento è la selezione autofertile di ciliegio “i 475” che prenderà il nome di “Lucrezia” (fig. 6) già menzionata nel precedente intervento dal prof. Bargioni. Nel pesco merita un cenno il lavoro svolto per ottenere cultivar a polpa rossa e a maturazione tardiva. L’Istituto produsse centinaia di semenzali che poi furono purtroppo estirpati a causa di attacchi del virus Sharka. Fig. 6 - Cultivar Lucrezia Una particolare menzione merita l’attività di miglioramento genetico svolta per la fragola: fu costituito un gruppo di lavoro misto pubblico-privato composto da Istituto Sperimentale per la Frutticoltura, Sezione di Forlì (ente coordinatore), Istituto Sperimentale di Frutticoltura - Provincia di Verona, Società Cooperativa Apo Scaligera di Verona e dal 2005 dalla Società Cooperativa C.O.Z. di Zevio. 67 Gli obbiettivi che ci eravamo proposti furono quelli di ottenere cultivar adatte alla doppia produzione autunnoprimaverile, dotate di una precoce ed elevata capacità rizogena, poco suscettibili alle malattie dell’apparato radicale e fogliare. Fig. 7 - Recenti cultivar di fragola licenziate Ricercammo inoltre frutti di elevata pezzatura, con forma conica o conico-allungata, regolare, elevata consistenza, di bell’aspetto, in grado di colorare sufficientemente nei periodi autunnali caratterizzati da scarsa luminosità e basse temperature. Dal 1995, anno di inizio del progetto, sono stati valutati 46.000 semenzali ottenuti da 719 combinazioni di incrocio, selezionandone complessivamente 2504, con una percentuale pari al 5,5. I risultati di questo lavoro sono il licenziamento di tre nuove varietà (fig. 7) “Irma” rifiorente neutrodiurna, adatta alla coltura autunnale veronese e alle zone montane, di elevata produttività e buona pezzatura dei frutti; “Dora” adatta a tutti gli areali di coltivazione del nord, sia in coltura tradizionale che in coltura autunnale, con elevate caratteristiche qualitative del frutto; “Eva” anch’essa adatta agli ambienti di coltivazione settentrionali, ma con migliori performance in coltura autunnale sia in suolo che fuori suolo. 68 4. Colture in vitro Nel 1978, come già ricordato dal prof. Bargioni, l’Istituto iniziò ad occuparsi di colture in vitro delle piante, realizzando un laboratorio di micropropagazione in cui sono state condotte Fig. 8 - Linee di crisantemo “May Shoesmith” “81M” e “15 M” selezionate in vitro (fila centrale a sx) a confronto con varietà commerciali sperimentazioni, dapprima sulle tecniche di propagazione della fragola, estese poi a portinnesti e varietà dei principali fruttiferi temperati e sub-tropicali e ad alcune piante ornamentali. Tra quest’ultime si ricorda la selezione di due linee di crisantemo bianco “May Shoesmith” (fig. 8) denominate “15M” e “81M” a fiore molto grosso, dalla particolare resistenza al freddo, delle quali proprio in questi giorni è stata inviata a Bruxelles la domanda di brevetto europeo da parte dell’Associazione Florovivaisti Veronesi. Dalla fine degli anni ottanta l’attività si è indirizzata verso l’utilizzo delle colture in vitro per il miglioramento genetico delle piante da frutto nell’ambito del Progetto del Ministero “Sviluppo di tecnologie avanzate applicate al- Fig. 9 - Rigenerazione della “Susina di Dro” 69 le piante”. Tra queste ricerche biotecnologiche sono da annoverare l’irraggiamento in vitro per ottenere mutazioni di diverse specie frutticole, la definizione di un protocollo per la rigenerazione della “Susina di Dro” (fig. 9) che ha permesso di effettuare i primi pionieristici tentativi di trasformazione genetica con l’Agrobacterium tumefaciens con un gene per la resistenza al virus della Sharka realizzato dall’Istituto di Microbiologia Agraria dell’Università di Vienna. Poi la diminuzione del personale causò una brusca riduzione delle attività del laboratorio di colture in vitro fino alla sua definitiva chiusura con il trasferimento di sede a S. Floriano. 5. Agricoltura biologica ed eco-compatibile Un’altra tematica a cui l’Istituto è stato sempre sensibile a partire dall’individuazione della tolleranza della “Spina Carpi“ alla Psilla come già ricordato dal prof. Bargioni è stata la riduzione dell’impatto ambientale dell’attività agricola. Numerose sono state le sperimentazioni su varietà di melo resistenti alla ticchiolatura e le indagini per valutare il grado di suscettibilità a ticchiolatura, oidio e afide grigio nelle collezioni di germoplasma di melo presenti a Ponton. Da segnalare il Progetto “Un’agricoltura eco-compatibile per Verona” (fig. 10) realizzato in collaborazione con 16 comuni della Provincia, l’Associazione Veneta Produttori Biologici, la Cooperativa La Primavera e il Centro di Formazione Professionale Dal Zotto di Cologna Veneta. Si è Fig. 10 – Copertina del video sull’agricoltura costituita una rete di sedici biologica aziende biologiche, rappresentative delle diverse realtà territoriali veronesi che sono diventate punto di riferimento per gli agricoltori ed itinerari didattici per il mondo della scuola. 70 6. Considerazioni finali Fin dall’inizio dell’attività dell’Istituto la collaborazione con aziende private ha permesso di effettuare prove altrimenti irrealizzabili; a fronte di un modesto contributo le aziende si accollavano l’onere della coltivazione dei campi sperimentali. In Fig. 11 - La nuova sede del Servizio Agricoltura a San Floriano - VR particolare si ringraziano le aziende: Bovo, Campostrini, Crivellaro, Darra, Faccioni, Fasoli, Grigolini, Ivancic, Lucchesa, Marchesini, Mercanti, Scala, Spellini. Cosi pure sono state essenziali le collaborazioni con le Associazioni di Produttori, le Cooperative, i Mercati alla produzione, le Organizzazioni Sindacali che hanno permesso una diffusione capillare, anche se mai sufficiente, dei risultati raggiunti. La sperimentazione è stata sempre supportata da un’intensa attività divulgativa attuata con oltre 600 pubblicazioni (www.provincia.vr.it/ newweb/Area-servi/Servizio-A/index.htm) su riviste specializzate, con visite tecniche, convegni, lezioni pratiche tenute nei centri di produzione a tecnici, agricoltori e studenti, viaggi-studio in Italia e all’estero, mostre pomologiche. Attualmente le attività sono limitate alle scelte varietali di melo, ciliegio, pesco, fragola e allo studio dei portinnesti di ciliegio. E’ in atto il progetto di concentrare l’attività sperimentale nella sola azienda di S. Floriano (fig. 11). La riduzione di risorse umane e 71 finanziarie hanno portato l’Istituto ad un notevole ridimensionamento e questo ha origini molto lontane. Nel 1990 la nuova legge 142 sugli Enti Locali non previde alcuna competenza in materia di agricoltura e tanto meno per l’attività sperimentale. L’Istituto era un Settore al massimo livello dell’Ente Provincia alla pari del Settore Lavori Pubblici, Ecologia, Caccia e Pesca. Da qui sono seguite una serie di scelte un po’ obbligate un po’ sottovalutate nei loro effetti che hanno portato all’accorpamento del Settore Istituto Sperimentale di Frutticoltura con il Settore Agricoltura nel 1995, all’avvicendamento del Direttore dott. Ferdinando Cossio con Il dott. Lino Mazzi nel 1996, fino alla riduzione dell’Istituto a semplice Servizio del Servizio Agricoltura, a sua volta declassato. Attualmente il dirigente del Servizio Agricoltura è anche responsabile dell’Istituto che assieme al Centro Sperimentale Vitivinicolo è parte del Servizio Agricoltura. Non sta a noi entrare nel merito delle scelte della Provincia; non possiamo però non evidenziare le difficoltà che queste scelte hanno comportato per l’operatività dell’Istituto. Prima della riduzione dei finanziamenti pesano la continua ed inesorabile perdita di risorse umane che sono sempre state la vera ricchezza di queste strutture. Investire anni per formare degli sperimentatori e poi perderli è un grande spreco di energie e risorse. Forse la Provincia dovrebbe ripensare questo Istituto alla luce delle nuove esigenze della frutticoltura, che come negli anni ’50, deve affrontare nuove sfide e nuove problematiche, e delle funzioni assunte dalla Provincia, in attesa, se mai verranno, di competenze dalla Regione, in un rapporto di sinergie e collaborazioni con Istituzioni, Enti territoriali e regionali ma anche di privati (con un coinvolgimento quindi anche economico dei produttori) e questo sull’esempio del Creso, la cui attività verrà illustrata dall’amico dott. Pellegrino. 72 Sperimentazione per la frutticoltura veneta e aggiornamento tecnologico dei produttori Claudio Giulivo Dipartimento di Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali, Università di Padova Oggi è una giornata importante perché oltre ad essere una giornata della memoria è un momento per pensare al domani e al rilancio non solo della frutticoltura veronese, ma anche di quella della Regione Veneto. Questa giornata è un riconoscimento doveroso all’Istituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona, che è stato un grande esempio di sperimentazione locale, che però ha svolto un ruolo fondamentale anche per tutto il territorio regionale e nazionale. Bisogna anche ricordare l’importanza che questo Istituto ha avuto per l’Istituto di Coltivazioni Arboree dell’Università di Padova, avendo contribuito alla formazione di ricercatori e consentito a moltissimi studenti l’opportunità di svolgere la loro tesi e di prendere visione delle concrete problematiche della frutticoltura. In questa sede è anche doveroso ricordare le due figure fondamentali, il prof. Giorgio Bargioni e il prof. Piero Pisani, che hanno costruito un’esemplare collaborazione, un esempio di integrazione di competenze e di capacità tra la ricerca universitaria e la sperimentazione locale nell’interesse di un settore produttivo così importante. E’ un esempio che dovrebbe essere colto, sviluppato e trasferito anche in altri settori. Entrando nel merito dell’argomento, si ringraziano il prof. Fideghelli e il prof. Sansavini che hanno presentato le basi strumentali e scientifiche che rendono più semplice e comprensibile quanto sarà esposto, in modo alquanto sintetico, in questo intervento. E’ da augurarsi che in altre occasioni sia possibile approfondire le singole problematiche e le relative proposte operative. L’individuazione di obiettivi della ricerca, della sperimentazione e della divulgazione e formazione nonché delle risorse per la frutticoltura non può che passare attraverso un’analisi della situazione attuale e delle possibili evoluzioni future. La situazione della frutticoltura italiana e di quella veneta in particolare non appare molto rosea ed il settore sembra alquanto demotivato e sconsolato. Lo smantellamento del settore frutticolo regionale non è però accettabile poiché, oltre ad avere una notevole importanza economica, svolge una fondamentale funzione sociale come 73 mantenimento di tradizioni, di cultura e di capacità tecniche e professionali nonchè di gestione del territorio. Occorre, quindi, trovare le soluzioni per mantenere e sviluppare questo settore produttivo e per questo è necessario fare degli investimenti. Un vecchio frutticoltore diceva, durante una delle cicliche fasi di difficoltà, che quando si è in crisi, occorre investire e darsi da fare. Investire certamente nell’organizzazione produttiva, ma anche nella ricerca e nella formazione, individuando gli obiettivi e le risorse necessarie. A tal fine sono da tenere presenti tre fondamentali obiettivi: riduzione dei costi di produzione, esaltazione della qualità, della sanità e della tipicità del prodotto, riduzione dell’impatto ambientale e quindi necessità di un intervento cosciente e razionale sul territorio. Tenendo presenti questi obiettivi e la limitatezza delle risorse è necessario procedere con razionalità e concretezza e individuare interventi che in tempi ragionevolmente brevi possono determinare il maggior effetto positivo. Se si considera la filiera frutticola - dalla produzione delle piante (miglioramento genetico e vivaismo), alle tecniche di coltivazione, alla professionalità dei produttori, alla catena commerciale - sembra abbastanza evidente che il segmento più critico sia attualmente quello della commercializzazione. Su questo bisognerebbe prioritariamente investire per ottenere in tempi brevi non trascurabili benefici per i produttori. Nel contempo non bisogna dimenticare il segmento “campo”, per il quale le attuali conoscenze, adeguatamente elaborate e applicate, sarebbero in grado di portare a rapidi miglioramenti dell’efficienza del sistema frutteto. Per questo dovrebbero essere progettate azioni a livello di sperimentazione, di divulgazione e di formazione. Certamente esistono ancora molti aspetti del funzionamento del sistema che sono poco noti o addirittura oscuri e, pertanto, sono anche auspicabili investimenti nella ricerca e nella sperimentazione. I risultati ottenibili in tempi più o meno lunghi da questi investimenti possono portare ad un ulteriore avanzamento del sistema produttivo. Sulla base di queste considerazioni viene presentata una sequenza di obiettivi e di azioni da intraprendere con la ricerca e con la sperimentazione, individuando i punti deboli del sistema, le possibili soluzioni, il tipo di attività di ricerca ed i tempi necessari per raggiungere i risultati e per il trasferimento nella pratica. 74 Al fine di rendere più chiara la valenza delle azioni è opportuno analizzare i diversi livelli di intervento: il sistema frutteto, i modelli colturali e il territorio nel suo complesso. Ricerca e sperimentazione: Livelli di intervento Tecnica colturale terreno Irrigazione Fertirrigazione Potatura radici Portinnesti Sottosistema ipogeo Sistema frutteto Sottosistema epigeo Modelli colturali Regolazione fruttificazione Habitus vegetativo Maturazione e qualità frutto Frutticoltura Integrata Frutticoltura Biologica Frutticoltura montana e collinare Territorio Agrometeorologia Per quanto riguarda il sistema frutteto è opportuno considerare separatamente il sottosistema ipogeo e il sottosistema epigeo. Per quanto riguarda il sottosistema suolo-radici, si ritiene che in tempi medio-brevi sarebbe possibile intervenire per razionalizzare l’uso dell’irrigazione in quanto sono disponibili sufficienti conoscenze scientifiche e tecniche per allestire sperimentazioni di campo al fine di definire i volumi irrigui e i periodi critici ottimali per assicurare l’equilibrio fisiologico degli alberi ed esaltare la qualità delle specie frutticole più importanti. Un altro aspetto da mettere a punto è la fertirrigazione, tecnica molto interessante sul piano teorico, ma della quale occorre verificare la reale efficacia agronomica ed economica, sperimentando in campo epoche e dosi di applicazione e tipi di fertilizzanti. Sempre a livello del sistema ipogeo la messa a punto della tecnica dell’inerbimento per le varie specie e situazioni colturali potrebbe portare in tempi brevi a controllare meglio la vigoria degli alberi e l’uso dell’acqua e quindi ottenere migliori prestazioni produttive a costi più contenuti. 75 In particolare è necessario individuare le specie erbacee più adeguate per le diverse situazioni colturali e mettere a punto le più corrette ed economiche modalità di gestione del cotico (semina, cure iniziali, epoca e numero e altezza degli sfalci, ecc.). Ancora a livello del sottosistema ipogeo potrebbe essere interessante sperimentare la tecnica della potatura radicale, che può essere un intervento complementare per controllare la vegetazione e favorire la fruttificazione quando tutte le altre tecniche agronomiche non sono sufficienti a garantire un corretto equilibrio fisiologico. I punti da chiarire sono essenzialmente l’epoca e l’intensità di esecuzione, attraverso sperimentazioni di campo, i cui risultati potrebbero essere acquisiti e trasferiti in tempi brevi. Ultimo punto importante riguarda la disponibilità di portinnesti adeguati a modelli di frutteto più efficienti e più facilmente gestibili. Tali portinnesti dovrebbero avere spiccate caratteristiche di controllo della crescita, di rusticità e di efficienza nell’assorbimento; questo è raggiungibile solo in tempi medio-lunghi dovendo ricorrere all’incrocio e alla selezione o alla genomica funzionale (ricerca di base). Passando a considerare quanto del frutteto è visibile, ossia la chioma e l’atmosfera che la circonda (sottosistema epigeo), l’attenzione va posta a diversi livelli con risultati conseguibili in tempi piuttosto lunghi. Per quanto riguarda la regolazione della fruttificazione, che coinvolge strettamente la resa e la qualità globale dei frutti, sono da considerare soprattutto l’allegagione e il diradamento, per i quali occorre studiare i meccanismi di controllo attraverso ricerche di base (genomica funzionale), poiché gli attuali strumenti tecnici sono del tutto privi di prospettive (ad esclusione del diradamento del melo) e quindi risultati concreti possono essere attesi solo in tempi medio-lunghi. Analoga situazione si ha anche per un’altra caratteristica importante per realizzare modelli di impianto più funzionali ed efficienti ossia l’habitus vegetativo degli alberi (portamento e dimensioni); per questo bisogna ricorrere al miglioramento genetico con tecniche tradizionali o innovative e, quindi, i risultati sono da attendere in tempi decisamente lunghi. Per quanto riguarda la qualità dei frutti oltre alle caratteristiche più tradizionali occorre concentrare l’attenzione sulla loro composizione chimica, sui possibili fattori allergenici e sul valore nutrizionale e nutraceutico. Disporre di nuove cultivar nelle quali siano esaltate queste caratteristiche sarebbe di notevole importanza economica. Anche in questo caso risultati sono 76 conseguibili in tempi medi o lunghi dovendo ricorrere ai metodi classici di miglioramento genetico o a quelli avanzati della ricerca genomica. Per le varietà attualmente in coltivazione miglioramenti qualitativi potrebbero essere conseguiti con semplici sperimentazioni di campo finalizzate al controllo del regime idrico e nutrizionale dei frutteti. Per quanto riguarda i modelli colturali è importante affinare le procedure della frutticoltura integrata e della frutticoltura biologica. Da questo punto di vista esistono informazioni ed esempi sufficienti per impostare azioni di dimostrazione e divulgazione che potrebbero portare in breve tempo ad un miglioramento generale delle prestazioni dei frutteti condotti secondo uno o l’altro dei modelli colturali. Considerando gli aspetti territoriali è necessario dedicare attenzione alle coltivazioni in montagna e in collina, poiché l’agricoltura può valorizzare tali aree, consentendo la permanenza di operatori agricoli sul territorio e quindi anche la protezione dell’ambiente. La frutticoltura montana e collinare può svolgere un ruolo importante sull’assetto sociale, economico e ambientale sia come attività principale sia come attività complementare. I prodotti frutticoli ottenibili nelle predette aree hanno caratteristiche qualitative generalmente superiori a quelle delle produzioni di pianura se gli impianti sono correttamente progettati e gestiti. A tal fine è necessario impostare prove di campo e verificare esperienze pregresse tenendo presenti le particolari esigenze ambientali e imprenditoriali in termini di modelli di impianto, di scelte varietali, di tecniche colturali, di meccanizzazione e di impatto ambientale. In altri termini occorre definire tipologie di frutteto specifiche e in gran parte diverse da quelle utilizzate in pianura. I tempi per l’acquisizione di risultati trasferibili sono medio-lunghi. A supporto di una razionale coltivazione frutticola è oggi necessaria una fonte di informazioni agrometeorologiche in tempo reale sia per i tecnici sia per i produttori. Esistono già nel territorio regionale e provinciale varie reti di rilevamento, le quali sono indipendenti e gestite da enti diversi e spesso con modalità non compatibili e con collocazioni non sempre funzionali ai siti frutticoli. Appare logico realizzare un collegamento generale delle reti e procedere, ove opportuno, ad integrare le reti con ulteriori stazioni di rilevamento; è poi indispensabile costituire un centro di elaborazione e trasmissione dati. Tutto questo sarebbe fattibile in tempi brevi. 77 Le linee di sperimentazione sommariamente indicate, una volta verificate con i tecnici e gli operatori frutticoli e stabilite delle priorità, possono essere realizzate solo con adeguati investimenti in risorse umane e finanziarie. Le risorse umane esistenti nel territorio non sono particolarmente elevate, ma con un efficiente coordinamento dei vari centri di ricerca e di sperimentazione e uno stretto coinvolgimento dei tecnici e divulgatori frutticoli dei diversi enti operanti nel territorio sarebbe possibile realizzare buona parte della sperimentazione proposta per lo sviluppo della frutticoltura veneta. Le risorse finanziarie sono, invece, molto scarse e pertanto gli enti pubblici dovrebbero investire una parte del necessario integrata da contributi dei produttori. Tutto questo ha senso se i risultati ottenuti dalla sperimentazione saranno valorizzati da un sistema efficiente di divulgazione e di formazione primaria e permanente degli operatori frutticoli. Un buon contributo a questo sistema può essere fornito da un diretto coinvolgimento dei frutticoltori nell’attività di sperimentazione. Al fine di rendere più efficaci le azioni delineate è auspicabile la costituzione di un centro interprofessionale per la frutticoltura veneta, dove individuare obiettivi e risorse per la sperimentazione e attivare azioni di formazione e di divulgazione di interesse generale. Questo comitato potrebbe assumere come modello il Comitato Tecnico per l’Ortofrutticoltura istituito presso la Camera di Commercio veronese, il quale in passato ha costituito assieme all’Istituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona, i fondamenti che hanno permesso alla frutticoltura veronese di raggiungere posizioni di rilievo nazionale ed internazionale. In conclusione si ritiene che gli obiettivi di sperimentazione illustrati potrebbero essere raggiunti, con positive ricadute sulla frutticoltura veneta, con la valorizzazione dell’esistente, con l’organizzazione di una rete di coordinamento e con il coinvolgimento diretto dei produttori. 78 La sperimentazione nella Regione Veneto e la collaborazione con le province Carlo Migliorini 1 Veneto Agricoltura - Regione del Veneto E’ con piacere che oggi partecipo a questo “evento”, considerato che nella mia attività lavorativa, iniziata dopo la laurea nel 1974 alle dipendenze dell’allora ENTV, poi confluito nell’ESAV (Ente di Sviluppo Agricolo del Veneto, 1977) e quest’ultimo in Veneto Agricoltura (1999), ho praticamente sempre avuto modo di collaborare con l’Istituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona con buoni rapporti e ottimi risultati. L’ENTV e l’ESAV poi, si sono sempre avvalsi della collaborazione degli istituti di ricerca e sperimentazione veneti (Università di Padova, Istituto di Genetica “Strampelli” di Lonigo, Istituto Sperimentale di Viticoltura di Conegliano, Istituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona, ecc.) e del coinvolgimento delle Province per le attività, prevalentemente di carattere sperimentale/dimostrativo, collocate nelle diverse aree vocate del territorio veneto e ciò sia per utilizzare al meglio le risorse scientifiche, tecnologiche e finanziarie, disponibili e mai sufficienti, sia per evitare inutili e dispendiose duplicazioni e sovrapposizioni di attività. Attualmente Veneto Agricoltura, che si occupa a livello regionale di sperimentazione, divulgazione e promozione, collabora strettamente con quasi tutte le Province Venete in attività sperimentali, divulgative e promozionali, nei diversi comparti del settore agricolo ed agro-ambientale, nonché nel settore forestale e agro-alimentare. Le collaborazioni prevalenti riguardano istituti sperimentali provinciali ed in particolare l’Istituto “Strampelli” di Lonigo della Provincia di Vicenza e l’Istituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona, collegato col Centro Sperimentale Vitivinicolo di San Floriano in Valpolicella, ma anche altre strutture operative delle Province. Con l’Istituto di Verona vi è stata un’intensa collaborazione, nel corso degli anni ’80, in attività sperimentali e dimostrative riguardanti la coltura del ciliegio, la coltura della fragola e, in misura minore, il pesco e l’olivo. 1 Deceduto il 22 giugno 2008 79 Ricordo come fosse ieri il “Piano finalizzato per lo sviluppo della coltura del ciliegio in Veneto”, finanziato per più anni dall’ESAV, attraverso fondi regionali, messo a punto con il prof. G. Bargioni e con altri esperti dell’allora Comitato Tecnico per l’Ortofrutticoltura Veronese. Il Piano prevedeva una parte sperimentale con la realizzazione di campi varietali e di portinnesti, campi con forme diverse di allevamento e impianti idonei alla meccanizzazione della raccolta e delle operazioni di potatura, campi con cultivar compatte, ecc. una parte divulgativa e promozionale con la costituzione di moderni impianti specializzati che privilegiavano le produzioni di qualità, le precocità nell’entrata in produzione e la riduzione dei costi. Il “Piano finalizzato”, che ha molto impegnato il prof. G. Bargioni, ha consentito di realizzare numerosi ciliegeti in tutte le La sede di Veneto Agricoltura a Legnaro (PD) 80 principali aree vocate del territorio regio-nale (Verona, Vicenza, Padova e Treviso), in buona parte tutt’ora esistenti, con la possibilità di trarre utili indicazioni per i produttori cerasicoli veneti. Sempre in quel periodo abbiamo col- laborato con l’Istituto e più precisamente con l’esperto di fragola p.a. Tiziano Tosi, per divulgare in aree voca-te del territorio regionale, la “fragola di montagna” e la “coltura autunnale”. Ricordo in particolare gli impianti realizzati sull’altopiano di Asiago (VI) e ad “Arsié” e “Sedico” nel Bellunese. Dopo il grande freddo del gennaio 1985, che tra l’altro ha provocato una moria di olivi in Veneto e non solo, con il prof. G. Bargioni abbiamo programmato e realizzato alcuni impianti dimostrativi, anche dotati di irrigazione, nelle colline del Garda, in Valpolicella e a Pove del Grappa (VI), caratterizzati da nuove forme di allevamento e da ridotti sesti di impianto, idonei ad una moderna olivicoltura. L’Istituto è stato inoltre coinvolto nei corsi di formazione e nelle giornate dimostrative in campo, rivolte ai tecnici polivalenti, e per la consulenza nella realizzazione di diverse pubblicazioni frutticole dell’Ente di Sviluppo Agricolo. Dell’Istituto l’Esav si è avvalso anche nella fase di avvio e successivamente di gestione, del proprio Centro Vivaistico Frutticolo “Pradon” di Porto Tolle (RO), in particolare per le scelte varietali nell’ambito delle pomacee e delle drupacee, per la micropropagazione dei portinnesti ed altro ancora. Negli anni ’90 e più di recente, l’Ente di Sviluppo prima e Veneto Agricoltura poi, hanno collaborato con l’Istituto Sperimentale Provinciale nella programmazione e realizzazione di mostre pomologiche (con varietà di melo e di pesco), nelle principali aree frutticole del Veronese (Comuni di Valeggio sul Mincio, Sommacampagna, Zevio, ecc.), nel progetto di certificazione della fragola, nel recupero, conservazione e valorizzazione della biodiversità frutticola, nella partecipazione a convegni ed incontri tecnici e nella stesura di articoli specifici da pubblicare sulle riviste del settore. Dall’anno scorso un tecnico di Veneto Agricoltura e uno dell’Istituto rappresentano i delegati frutticoli regionali, all’interno della Società Orticola Italiana. Prospettive future Per il futuro auspichiamo di proseguire nelle collaborazioni in corso e, se possibile, di avviare nuove tematiche, coinvolgendo nelle progettualità i soggetti della filiera produttiva frutticola. 81 Importante è comunque “sviluppare un maggior coordinamento” tra i vari Enti ed Organismi che operano in campo frutticolo, nell’area regionale, per utilizzare al meglio le risorse disponibili. A conclusione, un grazie sentito alle personalità, note ben oltre i confini provinciali e regionali, che sono entrate nella storia dell’Istituto di Frutticoltura di Verona per il loro impegno e per la loro professionalità, e un grazie a tutti gli altri collaboratori. 82 L’esperienza del CReSO in Piemonte: pubblico e privato insieme per realizzare una ricerca funzionale alla domanda della filiera frutticola Silvio Pellegrino CReSO - Consorzio di Ricerca Sperimentazione e Divulgazione per l’Ortofrutticoltura Piemontese 1. L’organizzazione della ricerca per la frutticoltura piemontese negli ultimi decenni del ‘900 La ricerca in frutticoltura in Piemonte ha seguito percorsi diversi rispetto alla maggior parte delle altre regioni italiane. Fino agli anni ’60 del secolo scorso l’unica istituzione che ha profuso impegno in tal senso è stata l’Università di Torino. Non erano presenti Istituti del Ministero dell’Agricoltura che si occupassero di frutticoltura, ad eccezione di un’unità operativa dell’Istituto sperimentale di nutrizione delle piante. Per la verità, la stessa Facoltà di Agraria di Torino aveva tradizionalmente privilegiato la viticoltura, con docenti-maestri quali il prof. Dalmasso; nell’ambito della frutticoltura aveva concentrato la propria attenzione su specie quali il castagno, il nocciolo e i piccoli frutti, che si pongono un po’ a margine del distretto della frutta fresca. Nel secondo dopoguerra la coltura del pesco e del melo assumevano dimensioni rilevanti per il Piemonte sud-occidentale, dando vita ad un distretto frutticolo, esteso lungo l’area pedemontana da Cuneo a Pinerolo, con concentrazione nel Saluzzese. L’istituzione delle Regioni negli anni ‘70 offrì l’opportunità di creare un servizio organico di ricerca e sviluppo anche per la frutticoltura piemontese. La Regione Piemonte si trovò a scegliere tra due opzioni: gestire direttamente la ricerca applicata in agricoltura, tramite ad esempio il neo-costituito Ente di sviluppo agricolo; oppure affidare l’incarico ad un organismo esterno. Nel settore della frutticoltura fu costituita proprio in quegli anni l’Associazione dei produttori frutticoli – Asprofrut, che in breve tempo arrivò a contare più di 5.000 soci, rappresentando oltre il 90% dei frutticoltori piemontesi. Con decisione molto pragmatica la Regione Piemonte affidò all’Asprofrut l’incarico di svolgere i servizi di ricerca applicata in frutticoltura, mentre alle organizzazioni professionali agricole fu affidata la consulenza tecnica, attraverso l’istituzione dei CATAC – Centri di assistenza tecnica agricola e 83 contabile. Sulla decisione influì la presenza all’Asprofrut di una figura carismatica: l’agronomo Raffaele Bassi. Sperimentatore, animatore-trascinatore, comunicatore, seppe creare ex novo e con poche risorse due aziende sperimentali, una per le specie “maggiori”, l’altra per la frutticoltura pedemontana con attenzione riservata a fragola, piccoli frutti e castagno. Nel periodo 1980 – 2000 l’Asprofrut si dotò di un servizio tecnico di innovazione e sviluppo composto da una decina di ricercatori, oltre a tecnici e operai per la gestione delle aziende sperimentali. Uno degli aspetti rilevanti di tale esperienza fu la stretta connessione tra ricerca e operatori del settore (frutticoltori in primo luogo, ma non solo: operatori commerciali, fornitori di servizi, il tessuto di figure professionali che oggi definiremmo filiera). Non poteva essere diversamente, considerato che ad organizzare la ricerca erano gli stessi utenti, raccolti in Associazione. Un altro aspetto interessante fu la corretta ripartizione dei compiti e delle funzioni tra organismi e istituzioni. Il servizio tecnico dell’Asprofrut si occupò della ricerca applicata, senza invadere il campo né della ricerca “di base” svolta da istituzioni quali le Università, né della consulenza tecnica alle aziende, svolta in modo capillare dai Centri di assistenza tecnica delle Organizzazioni professionali agricole. Nel rispetto dell’autonomia professionale degli altri soggetti, l’Asprofrut si propose come animatore della filiera “ricerca – sperimentazione – divulgazione – consulenza tecnica”, sia cercando collaborazioni a monte con la ricerca e ospitando presso le proprie aziende sperimentali prove di diverse Università e dell’Istituto sperimentale di frutticoltura del MiPAAF, sia organizzando un coordinamento dei servizi di consulenza sul territorio, in modo da tradurre i risultati della ricerca in indirizzi tecnici tanto condivisi quanto univoci ed efficaci. 2. Le condizioni che indussero alla costituzione del CReSO In seguito al Reg. 2.200/96, che ridisegnò compiti e funzioni delle Associazioni trasformandole in OP – Organizzazioni di Prodotto, la ricerca applicata divenne un’attività estranea alle competenze dell’Asprofrut. Da Associazione unica e ampiamente rappresentativa dei frutticoltori piemontesi, si trasformò in una delle cinque nuove OP costituite sul territorio. Ancora una volta per la Regione Piemonte si pose una scelta: creare un’Agenzia per la ricerca e lo sviluppo, sul modello di quelle che si andavano 84 costituendo in gran parte delle altre Regioni, oppure favorire la ricomposizione dei soggetti della filiera frutticola regionale in Organismo di natura consortile, con lo specifico compito di svolgere le funzioni di ricerca e sviluppo. La consultazione e la discussione coinvolse tutto il settore, prima di approdare ad una decisione politico-amministrativa. Furono soprattutto i frutticoltori a chiedere che il nuovo soggetto fosse strutturato in modo tale da poter continuare a rispondere alla “domanda di ricerca” espressa dagli attori della filiera. L’altra Figura 1 richiesta fu di dotare il nuovo soggetto di risorse finanziarie certe, tali da assicurare continuità all’attività di ricerca, che per la natura stessa delle colture arboree si dispiega su periodi medio-lunghi. 85 3. L’istituzione del CReSO La soluzione alle condizioni poste dai soggetti della filiera frutticola fu individuata nella costituzione di un Consorzio a prevalente capitale pubblico, in cui fossero presenti da un lato gli attori della filiera frutticola (le OP costituite ai sensi del Reg. CE 2.200/96 e le Organizzazioni professionali agricole), dall’altro gli Enti pubblici con competenza su ricerca, sperimentazione e dimostrazione in agricoltura (la Regione Piemonte, sulla base della L. n. 59 del 15 marzo 1997 (art. 4) e dal D. Lgs. N. 143 del 4 giugno 1997 e s.m.i. e le Province piemontesi interessate all’ortofrutticoltura: Cuneo, Alessandria, Asti, Torino, sulla base della L.R. n. 17 del 8 luglio 1999 e s.m.i.). Si aggiunsero l’Ente camerale di Figura 2 Cuneo, propenso a favorire i processi di qualità su cui costruire la promozione della frutticoltura cuneese, e le Comunità Montane delle aree del nocciolo e dei piccoli frutti, interessate a valorizzare le colture tipiche dei territori di propria competenza (fig. 1). La società fu denominata CReSO – Consorzio di Ricerca e Sperimentazione per l’Ortofrutticoltura piemontese. Iniziò l’attività nel 2002, acquisendo dall’Asprofrut le strutture e assumendone il 86 personale del servizio tecnico. In tal modo il passaggio di competenze avvenne senza soluzione di continuità nel servizio per gli utenti. 4. Mantenere la ricerca ancorata alla domanda espressa dalla filiera frutticola piemontese La scelta della prevalenza pubblica nella composizione societaria del CReSO risponde alla esigenza di solidità finanziaria dell’Ente, finalizzata alla possibilità di intraprendere programmi di ricerca di ampio respiro. Per contro, la maggioranza del Consiglio di amministrazione spetta agli Enti pubblici, esponendo il Consorzio al rischio di non interpretare compiutamente le istanze della filiera, nel caso di uno scadimento nel tempo della competenza e professionalità delle nomine pubbliche, soggette – più di quelle private – a logiche di rappresentanza partitica. Per minimizzare tale rischio, che mina di frequente la funzionalità delle partecipate di Enti pubblici, è stata prevista nello Statuto una sorta di governance duale. Accanto al Consiglio di amministrazione, che mantiene il pieno controllo sulla gestione, è stato previsto un Comitato tecnico, al quale è affidata l’organizzazione della domanda di ricerca (fig. 2). Lo Statuto prevede che il Comitato tecnico sia composto in maggioranza da mandatari dei soci privati: in tal modo gli attori della filiera frutticola, nell’ambito delle risorse deliberate dal Consiglio di amministrazione, scelgono liberamente i temi della ricerca, li traducono in progetti di ricerca, stimolano il Consiglio nel reperimento delle risorse finanziarie per specifici argomenti, valutano i risultati scientifici, ecc. E’ così assicurata la connessione tra il Consorzio e la filiera. Il CReSO per un verso – attraverso il Comitato tecnico – organizza la domanda di ricerca, dall’altro esegue direttamente le attività di ricerca applicata. Per migliorare la funzionalità del Comitato, l’organo è ripartito in sezioni di 11 membri, competenti per singole filiere, o linee di ricerca. A titolo d’esempio, sono ora attivi i seguenti Comitati: Frutticoltura – innovazione varietale; Frutticoltura – tecnica colturale; Orticoltura; Corilicoltura; Fragola e Piccoli frutti. In questi primi anni di attività del CReSO le funzioni dei Comitati tecnici sono state interpretate nel senso più pieno. Nell’ambito delle singole Sezioni (il Consorzio, oltre che di frutticoltura, si occupa anche di orticoltura e corilicoltura), i ricercatori operano a stretto contatto con i compo- 87 nenti dei rispettivi Comitati, secondo lo schema rappresentato in figura 3. Ciò è avvenuto in conseguenza di un rapporto non puramente formale, che consente di stringere i tempi della ricerca, integrando i protocolli in funzione dei risultati parziali per anticipare Figura 3 la verifica di nuove ipotesi. E’ ovvio che tale modo di operare richiede disponibilità e competenza. In questo senso è determinante la partecipazione da parte dei Soci privati, anche nella scelta dei componenti dei comitati: imprenditori appassionati, competenti e opinion leader consentono di vivere i comitati come laboratori di idee in grado di trascinare l’innovazione di tutta la filiera. 5. Dalla ricerca di base al frutteto e il flusso di ritorno Il CReSO svolge la ricerca applicata per la frutticoltura, un’attività che costituisce un segmento in un processo più ampio, il 88 quale parte dalla ricerca di base per approdare, attraverso la consulenza tecnica, alle singole imprese (fig. 4). Il tratto centrale di Figura 4 tale filiera “innovazione dei servizi all’ortofrutticoltura” è costituito dalle attività di “ricerca & sperimentazione”, in Piemonte svolte dal CReSO, in altre situazioni da Enti costituiti ad hoc nelle aree di maggior interesse ortofrutticolo (Il CTIFL in Francia, il CRPV in Emilia Romagna, il CSA-Laimburg in Sud Tirolo, l’ISMAA in Trentino, per non citare che i principali). A monte, l’attività di ricerca viene svolta in collaborazione con Istituti di ricerca, in particolare il CRA – Consiglio di Ricerca e sperimentazione per l’Agricoltura, Dipartimenti Universitari, ecc. A valle, l’offerta di sperimentazione messa a punto dal CReSO viene trasmessa attraverso un’azione di “coordinamento” alla rete di tecnici di base, sia per l’agrotecnica (in questo caso sono operativi i tecnici attivati presso le Organizzazioni Professionali agricole), sia per i processi post-raccolta (condizionamento, certificazione, promozione, ecc.). In questo caso ci si 89 rivolge prevalentemente ai tecnici “di filiera” in forza alle Organizzazioni di Prodotto. Il flusso di innovazione investe in ultima analisi sia le singole aziende frutticole, sia – in misura maggiore – le loro organizzazioni, parte integrante della filiera commerciale. A questo punto scatta il feedback, il flusso di ritorno. Le Organizzazioni di Prodotto socie del CReSO costituiscono l’interfaccia con la distribuzione e il consumo. Le loro azioni sono rivolte da un lato a promozionare i prodotti del territorio, dall’altro a recepire le “intenzioni di acquisto” e le attese dei consumatori, in modo da tradurle in “domanda di ricerca”. Si tratta di mettere a punto nuovi prodotti o nuovi processi produttivi, di modificare la tecnica colturale corrente con interventi che rispondano a domande di sicurezza alimentare, piuttosto che di logistica della distribuzione, ecc. Sono queste le attività di ricerca applicata che si svolgono in tutte le aree a frutticoltura avanzata. La specificità che intende cogliere il CReSO, in qualità di ultima istituzione nata nel panorama della ricerca applicata nazionale e in quanto tale in grado di far tesoro delle esperienze altrui, è di far sì che le attività di ricerca svolte sul territorio di propria competenza siano strettamente connesse, rispondano ad effettive esigenze, portino a stabilire rapporti di collaborazione con altre Istituzioni di ricerca per evitare duplicazioni di costi. In definitiva il CReSO ritiene che l’efficienza della ricerca sia il risultato di un lavoro rigoroso inserito in una qualificata rete di rapporti di collaborazione, tale da generare un flusso di innovazione che coinvolga tutti i soggetti della filiera frutticola. 90 Conclusioni Dionisio Brunelli Assessore alle Politiche per l’Agricoltura della Provincia di Verona Le domande che a questo punto tutti si pongono sono: che cosa succederà domani? Cosa può fare l’Istituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona? Quali risposte. Abbiamo sentito nelle relazioni del prof. Bargioni e del dr. Baroni quanta attività sia stata svolta in cinquant’anni di fruttuoso lavoro…. ora bisogna pensare cosa fare per il futuro. Il dottor Baroni ha fatto una parziale critica alle decisioni politiche prese in passato dalla Provincia, ma oggi non sono le decisioni politiche del nostro Ente a stabilire di impiegare finanziamenti per la sperimentazione in agricoltura. La legge Bassanini dà le deleghe per la ricerca e la sperimentazione nel comparto agricolo innanzitutto alle Regioni poi ad alcuni Enti o Istituti nazionali: la Provincia di Verona sta quindi cercando collaborazioni, in modo particolare con Veneto Agricoltura, per avere degli incarichi specifici, per realizzare progetti mirati, per mantenere ancora vivo l’Istituto Sperimentale di Frutticoltura. Questo è il primo obiettivo possibile da raggiungere. Un’altra possibilità potrebbero essere finanziamenti da privati, ma conosciamo l’ambiente veronese, e non credo sia una via facilmente percorribile. Credo che un notevole aiuto possa venire anche dalla collaborazione con l’Università di Verona, soprattutto dopo la costituzione della Laurea in Viticoltura ed Enologia che ha sede nella Villa Lebrect a S. Floriano adiacente alla Sede del Servizio Agricoltura della Provincia. Sono convinto, ed i tecnici e il dirigente del Servizio Agricoltura lo hanno confermato, che ci vuole un rapporto più stretto con il territorio, per dare risposte concrete e pratiche. Ho chiesto, ma chiederò ancora al Vice Presidente della Regione Veneto Luca Zaia un aiuto concreto per mantenere i nostri tecnici sul territorio. Non è possibile che in una Provincia così importante dal punto di vista agricolo come quella di Verona, la prima provincia agricola d’Italia, non vi sia alcun supporto tecnico 91 per il settore, mentre quelle di Treviso, Rovigo, Padova e Venezia siano ampiamente aiutate dalla sperimentazione regionale. Auspico quindi che si arrivi ad un accordo o ad una convenzione con la Regione per fornire anche al nostro territorio quelle risposte tecniche ed operative che necessita e merita. 92 Giovanni Rizzotti Rivolgendosi a conclusione del convegno all’Assessore alle Politiche Agricole della Provincia di Verona Dionisio Brunelli Le parole dell’Assessore Brunelli sono particolarmente gradite, e fanno ben sperare per la ripresa e per il rilancio dell’Istituto in quanto si comprende che c’è la volontà politica non solo di mantenere in vita l’Istituto di Frutticoltura di Verona, ma anche di ricercare nuove forme di investimento che possano contribuire a attivare risorse umane e materiali. Dall’insieme delle relazioni che sono state presentate, e mi riferisco in particolare a quanto hanno detto il prof. Sansavini e il prof. Fideghelli, si comprende che le strutture sperimentali e di ricerca distribuite sul territorio hanno un ruolo di notevole importanza per assistere gli agricoltori nelle scelte e per coinvolgerli in progetti di sviluppo. Così è avvenuto in passato quando attorno a Verona, e attorno all’Istituto di Frutticoltura, si è creato un nucleo di frutticoltori e tecnici che ha portato questa area ad eccellere in diversi settori come pesco, ciliegio e fragola. Dopo il rallentamento del periodo recente, però, il volano dell’Istituto deve essere rimesso in moto. Io credo che la città di Verona, con il supporto della comunità scientifica e delle strutture di ricerca di tutta Italia, le quali sono qui a testimoniare la loro amicizia, possa ricostruire un progetto ed una missione nuova per il nostro Istituto. In fondo il prof Bargioni, 50 anni fa, è venuto a Verona con un’idea ed un progetto, lo ha creato, lo ha sviluppato portandolo ai risultati che abbiamo sentito raccontare e favorendo la crescita di molte iniziative, come il Comitato tecnico per l’Ortofrutticoltura, sostenuto dalla Camera di Commercio di Verona e da altre istituzioni, e coinvolgendo gli agricoltori migliori della zona. Quel progetto con il tempo si è in parte esaurito, un po' perché le amministrazioni pubbliche ci hanno creduto di meno, un po’ perché è mancato un rinnovamento di idee e infine per una drastica riduzione dei finanziamenti messi a disposizione. Credo che debba essere ricreato un progetto andando ad affrontare tematiche nuove e cercando nuovi obiettivi. In questa sede già sono state suggerite numerose strade e molteplici idee, ed inoltre è stato illustrato un modello di sperimentazione e ricerca regionale che funziona, il consorzio CReSO. Sulla base di queste idee e di questi modelli l’Istituto di Frutticoltura potrà ritrovare slancio e 93 riprendere a dare il proprio contributo allo sviluppo della frutticoltura veronese e veneta. E’ proprio nei momenti di crisi, e come è stato detto più volte stiamo attraversando un momento di crisi, che bisogna trovare la forza e la determinazione per trovare nuove soluzioni. Credo di poter concludere questa serie di relazioni con una nota di speranza, e con un invito a tutti per collaborare assieme alla attuale direzione dell’Istituto per un suo rilancio. Ringrazio tutti i partecipanti per l’attenzione con cui sono stati seguiti i lavori di questo incontro. 94 Consegna di una targa di riconoscimento della Società Orticola Italiana all’Istituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona per il suo 50° Elvio Bellini Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura - Università di Firenze In questo contesto io rappresento la SOI, Società Orticola Italiana, ma rappresento anche un po’ me stesso, per i tanti anni che collaboro con molti di voi, prima di tutti con il prof. Giorgio Bargioni, con l’amico, col toscano, col fiorentino Bargioni. Io giovincello, l’ho visto partire dalla gavetta a Firenze per arrivare fin qui a Verona e quindi ho vissuto due generazioni perché se una generazione consta di venticinque anni sono cinquant’anni che conosco Bargioni e con lui il prof. Alessandro Morettini… Perché va detto che se c’è una scienza frutticola in Italia il fondatore e primo maestro è stato proprio Morettini. La Società Orticola Italiana è stata costituita due anni prima che nascesse l'Istituto Sperimentale di Frutticoltura di Verona, e non è un caso: è un puzzle che se si completa ci si accorge come è avvenuto tutto ciò. Questo è importante: due anni prima Bargioni firmò l'atto costitutivo della SOI insieme con Morettini e i suoi allievi e due anni dopo, guarda caso Bargioni approdò a Verona per dirigere il costituendo nuovo Istituto di Frutticoltura. Vi era un probabile disegno in tutto Il Prof. Elvio Bellini consegna la targa ricordo della questo, ne sono con- S.O.I. Prof. Giorgio Bargioni vinto; io ero ancora "acerbo" e non potevo sapere, ma poi "maturando" imparai a conoscere il puzzle fino a vederlo completo. In tutto questo lungo periodo la SOI ha operato strettamente con l’Istituto di Frutticoltura di Verona. Tutti i convegni che la SOI ha organizzato con il Comitato Tecnico per l'Ortofrutticoltura della Camera di Commercio di 95 Verona, finanziati e voluti, una miriade, e il volume sull’attività dei cinquant’anni della SOI con tutti i frontespizi degli Atti riportati, dimostrano cosa Verona ha fatto, cosa l’Istituto ha fatto, cosa il Comitato ha fatto per la frutticoltura veronese e non solo veronese perché la SOI non è solo Verona ma è tutta Italia. La Società Orticola Italiana oggi, nella ricorrenza del cinquantesimo anniversario dell'Istituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona, offre una targa ricordo all’Istituto nella persona del professore Giorgio Bargioni, che ha fatto crescere l’Istituto e che ancora lo rappresenta con grande dignità. Io sono il Past-President della SOI, ho dato tanto a questo sodalizio, e quindi quando dico SOI dico gran parte dell’attività di ricerca frutticola che si svolge nel nostro Paese, e non solo quella frutticola, perché la SOI è anche vite e olivo; è orticoltura, floricoltura, ambiente e paesaggio e questa targa recita così: "La SOI in ricordo di cinquant’anni di profonda collaborazione, festeggia l’Istituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona" e i due presidenti firmatari della SOI sono i proff. Giancarlo Barbieri e Paolo Inglese, Presidente Generale il primo e Presidente della Sezione Frutticoltura il secondo. Ho appena detto "festeggia". Ebbene, abbiamo due Istituti di Frutticoltura in crisi, quello nazionale e questo locale. Forse non è un caso: ma cosa sta succedendo negli organi che decidono queste cose, possibile che non si rendano conto della realtà economica e produttiva di questo importante comparto? E’ assurdo tutto ciò, è assurdo che un Istituto nazionale venga trasferito in una zona del sud; la Frutticoltura non è solo al sud, c'è una parte della frutticoltura che si sta spostando verso il sud, come quella delle drupacee ma non quella delle pomacee che trova i suoi centri principali di produzione e di ricerca al nord. La frutticoltura è tutta italiana, io non capisco questi disegni "distruttivi" e se possiamo fare qualcosa per bloccarli, dato che siamo qui in tanti, credo che dobbiamo agire. Caro Giorgio ti consegno la targa, e a tutti voi chiedo scusa per questo mio sfogo da frutticoltore convinto, perché anch’io ormai compio cinquant’anni di militanza nella ricerca frutticola per il nostro bel Paese. 96 Consegna dei riconoscimenti della Provincia di Verona a chi ha lavorato all’ Istituto Sperimentale di Frutticoltura Dionisio Brunelli Assessore alle Politiche Agricole della Provincia di Verona Giorgio Baroni, Istituto Sperimentale di Frutticoltura, Provincia di Verona La Provincia vuole dare come segno di riconoscimento, una targa ricordo, a chi ha lavorato, oppure ai parenti di coloro che sono defunti, per l’ attività svolta presso l’Istituto di Frutticoltura. ai parenti dei defunti: Carlo Bedoni, dottor Silvio Bonfante, Attilio Bonvicini, Angelo Gesuita, Livio Mantovani, Zeffirino Mantovani, Michele Marcolin, Carlo Scapini, Marcellino Tomelleri,. ai presenti: Clara Adami, Simonetta Bedoni, Lucidio Bonadiman, dottor Ferdinando Cossio, Antenore De Guidi, perito agrario Umberto Fraccaroli, Mario Frigo, Angelina Gasparato, perito agrario Corrado Madinelli, dottor Lino Mazzi, Ambrogio Salomoni, Nello Zanoni. Sono stati collaboratori preziosi per l’attività dell’Istituto dal suo inizio fino ad ora ai giorni nostri, collaborazione indispensabile per l’Istituto che non è fatto solo da ricercatori ma anche da chi le piante le deve coltivare, trattare, potare. La Provincia, ha pensato di dedicare due targhe particolari per il prof. Giorgio Bargioni e per il perito agrario Tiziano Tosi. Al prof. Bargioni, per quanto ha fatto per la frutticoltura veronese in qualità di appassionato Direttore dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura dalla fondazione al 1990. Il prof. Bargioni, ha saputo unire ad una solida e ampia preparazione scientifica un’altrettanto qualificata preparazione pratica che gli ha consentito un costante dialogo con tecnici e produttori, per cogliere dalle loro osservazioni gli spunti per i suggerimenti del lavoro di ricerca. Numerose sono le cultivar di ciliegio che portano la sua firma e tanto è stato il lavoro nel pesco, anche se con meno fortuna, 97 tuttavia non è raro trovare ancora nelle mostre dell’area peschicola veronese campioni di frutta con la sigla “incrocio Bargioni”. Al perito agrario Tiziano Tosi, perché ha saputo strappare la fragola da un ruolo secondario che aveva anche agli inizi degli anni sessanta per portarla ad avere il ruolo primario dei giorni nostri, indagandone tutti gli aspetti colturali. La fervida fantasia, come lui stesso affermò ad un convegno, “le idee che si accendono nelle lunghe notti d’inverno”, e l’instancabile voglia di provare gli hanno consentito di divulgare numerose innovazioni di tecnica colturale e di diffondere la coltura autunnale e primaverile che tante soddisfazioni ha dato e sta ancora dando ai fragolicoltori veronesi. Alcuni momenti della consegna dei riconoscimenti da parte dell’Assessore Dionisio Brunelli ai collaboratori dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura A sinistra premiazione di Corrado Madinelli, a destra di Umberto Fraccaroli. 98 Premiazione di Ferdinando Cossio e Ambrogio Salomoni (in alto) di Antenore De Guidi e Mario Frigo (in basso). 99 Il prof. Giorgio Bargioni (sopra, secondo da sinistra) e il dott. Giorgio Baroni (sotto, primo da sinistra) durante il loro intervento al convegno. 100 Il prof. Carlo Fideghelli (sopra) e il prof. Silviero Sansavini (sotto) relatori al convegno 101 INDICE 5 Saluto del Presidente della Provincia di Verona Elio Mosele 7 Saluto del Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Verona Alessandro Mazzucco 9 Introduzione al convegno Giovanni Rizzotti 11 L’importanza della sperimentazione sul territorio per la moderna frutticoltura Carlo Fideghelli 17 Orientamenti della ricerca in frutticoltura: obiettivi e poten-zialità, gestione dei programmi, ruolo degli enti pubblici e privati. Innovazioni tecniche e miglioramento qualitativo delle produzioni Silviero Sansavini 49 Cinquant’anni di sperimentazione per lo sviluppo della frutticoltura veronese - (prima parte 1955-1990) Giorgio Bargioni 61 Cinquant’anni di sperimentazione per lo sviluppo della frutticoltura veronese – (seconda parte 1990-2005) Giorgio Baroni, Gino Bassi, Ferdinando Cossio 73 Sperimentazione per la frutticoltura veneta e aggiornamento tecnologico dei produttori Claudio Giulivo 79 La sperimentazione nella Regione Veneto e la collaborazione con le province Carlo Migliorini 83 L'esperienza del CReSO in Piemonte: pubblico e privato insieme per realizzare una ricerca funzionale alla domanda della filiera frutticola. Silvio Pellegrino 103 91 Conclusioni Dionisio Brunelli Giovanni Rizzotti 95 Consegna di una targa di riconoscimento della Società Orticola Italiana all’Istituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona per il suo cinquantesimo Elvio Bellini 97 Consegna dei riconoscimenti della Provincia di Verona a chi ha lavorato all’ Istituto Sperimentale di Frutticoltura Dionisio Brunelli, Giorgio Baroni Nota L’elenco delle pubblicazioni dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona si trova al seguente indirizzo: www.provincia.vr.it/newweb/Area-servi/Servizio-A/index.htm 104 Finito di stampare nel mese di febbraio 2009 presso le Grafiche Valpolicella San Pietro in Cariano (VR)