SERVIZIO AGRICOLTURA
1955-2005
CINQUANT’ANNI DI ATTIVITÀ
DELL’ISTITUTO SPERIMENTALE
DI FRUTTICOLTURA
DELLA PROVINCIA DI VERONA
Atti del Convegno - Verona 4 novembre 2005
Le foto di copertina partendo dall’alto in senso orario: la sede storica dell’Istituto Sperimentale di
Frutticoltura in Borgo Roma a Verona, la cultivar “Lucrezia”, l’attuale sede del Servizio Agricoltura
a San Floriano e l’azienda agricola di Ponton.
Le foto nei testi delle relazioni sono degli Autori.
Le foto di copertina e quelle relative al convegno sono dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura
della Provincia di Verona
SERVIZIO AGRICOLTURA
1955-2005
CINQUANT’ANNI DI ATTIVITÀ
DELL’ISTITUTO SPERIMENTALE
DI FRUTTICOLTURA
DELLA PROVINCIA DI VERONA
Atti del Convegno - Verona 4 novembre 2005
Saluto del Presidente della Provincia di Verona
Vorrei innanzitutto porgere un sentito ringraziamento a tutti gli
intervenuti; la loro presenza così numerosa ritengo che possa essere
considerata come segno tangibile di affetto e, aggiungerei, di
riconoscenza per tutte le iniziative, le attività, i progetti realizzati in
cinquant’anni di intenso lavoro svolto dal nostro Istituto Sperimentale
di Frutticoltura.
La Provincia di Verona è sempre stata sensibile ai problemi del
mondo agricolo, che tanto ha contribuito in passato, e continua
tutt’oggi, allo sviluppo socio-economico del nostro territorio.
La costante attenzione che la Provincia di Verona ha dedicato
alle attività frutticole veronesi è testimoniata da una serie di iniziative
che hanno contribuito ad incidere profondamente sullo sviluppo del
comparto ortofrutticolo che ormai da decenni totalizza circa il 70%
delle analoghe produzioni del Veneto.
E ciò è dovuto certamente alla felice combinazione di diversi
fattori, tra cui le favorevoli condizioni ambientali, la recettività e la
qualità del fattore umano, da sempre disponibile ad acquisire adeguate
professionalità, la particolare capacità imprenditoriale della gente
veronese e non da ultimo il costante sostegno tecnico fornito appunto
dagli Enti e dalle Istituzioni presenti sul territorio, in primis quello
dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura.
La Provincia di Verona non si è occupata solo di ortofrutta ma
ha prodotto notevoli sforzi anche per supportare lo sviluppo del
comparto vitivinicolo, dapprima con la costituzione del Centro
Sperimentale Vitivinicolo di S. Floriano e più recentemente con l’attiva
partecipazione alla realizzazione del Corso di Laurea in Tecnologie
Viticole ed Enologiche attuato dall’Università di Verona in
collaborazione con l’Università di Padova. A breve quel Corso troverà
sede nella
prestigiosa Villa Lebrecht-Ottolini a S. Floriano,
magistralmente restaurata grazie all’intervento della Fondazione
Cariverona, che ha fortemente sostenuto questo progetto. La
vicinanza del nuovo corso di laurea alla sede del Servizio Agricoltura
5
della Provincia favorirà una collaborazione sempre più stretta per
l’attuazione di sinergie e una oculata gestione delle risorse umane e
strumentali. Proprio questa mattina,
parallelamente a questo
felicissimo momento, avrò il piacere di poter presenziare assieme al
Rettore e amico prof. Mazzucco alle prime Lauree di questo nuovo
Corso, che contribuirà ad elevare la qualità ed il prestigio della
vitivinicoltura veronese.
Tornando al motivo per cui oggi siamo qui riuniti, non posso
non ricordare alcune tappe importanti della storia del nostro Istituto: la
guida all’ammodernamento degli impianti di pero, la creazione di
nuove varietà di ciliegio, l’introduzione della produzione autunnale
delle fragole, gli studi sulla coltura in vitro dei tessuti, oltre al continuo
aggiornamento sulle tecniche colturali e sugli assortimenti varietali.
Aspetti tutti che hanno contribuito a far conoscere l’attività dell’Istituto
anche al di là dell’ambito provinciale e pure fuori d’Italia, grazie anche
alla preziosa collaborazione di prestigiose istituzioni ministeriali ed
universitarie, oggi in gran parte qui rappresentate ed alle quali è rivolto
un particolare sentimento di gratitudine. Altrettanta gratitudine vada
agli Enti tecnici ed economici del territorio con i quali l’Istituto ha
sempre avuto stretti e proficui rapporti di lavoro.
Auguro a tutti un buon proseguimento dei lavori.
Elio Mosele
6
Saluto del Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Verona
Sono particolarmente lieto dell’invito fattomi a partecipare a
quest’incontro in rappresentanza di una Università che sta dedicando
una crescente attenzione, fin’anco una preoccupazione rispetto alla
necessità di relazionarsi con una molteplicità di forze esterne allo
stretto vincolo delle mura dell’Accademia, consapevole della
sostanziale evoluzione dei meccanismi di reclutamento molteplici
rispetto al passato e questo perché l’Università deve e vuole
interpretare le necessità correlandosi con l’evoluzione - che sta davanti
agli occhi di tutti - della quantità e della qualità dei ruoli dirigenziali in
tutti gli ambiti della società. Questo processo è da tempo iniziato
anche a Verona ed ha prodotto un’ampia serie di iniziative, una delle
quali a pieno titolo si colloca nella celebrazione dell’anniversario che
ha luogo nella giornata di oggi. La ricerca nel settore della frutticoltura
nell’Università di Verona c’è, è molto vivace, sta crescendo nel
Dipartimento Scientifico-Tecnologico. Non è il caso che io affronti nel
merito alcune fondamentali ricerche di genetica vegetale che hanno
consentito di dar vita ad alcune piante da frutto geneticamente
modificate in senso favorevole rispetto alle patologie ambientali con
splendidi risultati in ambito produttivo e che credo vadano considerate
con molta attenzione, ovviamente alla luce di necessarie modifiche
legislative.
Comprensibilmente, alla luce della indiscussa connotazione
che il territorio veronese vanta in tema di viticoltura, si è prodotto, con
l’auspicio e l’intervento dell’attuale Presidente, allora Rettore
dell’Università, il prof. Mosele, l’avvio con determinazione e con la
preziosa collaborazione dell’Università di Padova e non senza le
consuete preoccupazioni, riserve, diffidenze, ancor oggi non del tutto
concluse, un percorso universitario di formazione di enologi e
viticoltori, mettendo a frutto alcune competenze già esistenti nella
nostra Università, ma aprendo anche un confronto costruttivo col ricco
mondo della produzione enologica.
Oggi il prof. Mosele, sull’altro versante di questa collaborazione, che si va dimostrando sempre più proficua, continua a
sostenere questo progetto e credo non vi sia alcun dubbio sul fatto che
7
esso rappresenta un singolare esempio di strategia territoriale,
estremamente qualificante per il reclutamento delle grandi realtà, ma
anche delle grandi potenzialità del territorio veronese e questo sia
nella linea formativa che in quella della ricerca scientifica, in entrambi i
casi con risultati estremamente positivi.
Malgrado qualche non fugata diffidenza ancora esistente tra i
nostri interlocutori, registriamo con grande piacere anche quest’anno
un incremento del 6 per cento delle iscrizioni nel corso di laurea in
enologia e viticoltura, che è ancora svolto in collaborazione con
l’Università di Padova, ed ho il piacere di dirvi che tutti i laureati sono
già occupati nello specifico settore in cui hanno acquisito le loro
competenze. D’altra parte stiamo assistendo ad un crescente
successo della ricerca scientifica nel nostro settore, anche per
l’indiscutibile merito della collaborazione che è sorta con le strutture
degli Enti locali e con la competenza delle aziende.
Quindi direi che inequivocabilmente le interazioni in questo
settore cui mi riferivo poc’anzi, stanno dando degli indiscutibili frutti e
delle prospettive certamente molto incoraggianti. Voglio sottolineare
che proprio in questi giorni la Fondazione Cariverona, che ha
sostenuto e che sostiene questo progetto, ci sta consegnando un
elegante edificio che ha restaurato in San Floriano, la villa LebrechtOttolini, che diventerà la nuova prestigiosa sede di questa nostra
attività e che non a caso si colloca adiacente alle strutture e ai
laboratori della Provincia, presso i quali per altro noi siamo già collocati
e ospitati. Si sta quindi progredendo insieme lungo un percorso di
reciproco arricchimento e di integrazione nella scelta di linee di
sviluppo e di condivisione di risorse. Non ho dubbi che questo
rappresenti un modello particolarmente fertile e che potrebbe
indubbiamente essere riproposto anche in altri ambiti di interesse
congiunto dell’Università con Enti ed imprese territoriali, avendo ben
presente le competenze disponibili nel settore agroindustriale.
Un grazie sentito al Presidente della Provincia di Verona e alla
direzione dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura.
Alessandro Mazzucco
8
Introduzione al convegno
Giovanni Rizzotti
Direttore de L’Informatore Agrario
Moderatore
Prima di dare la parola ai relatori che sono stati invitati a
celebrare i 50 anni dalla fondazione dell’Istituto Sperimentale di
Frutticoltura della Provincia di Verona permettetemi di dire due
parole. Ho accettato con vero piacere di fare da moderatore a
questa giornata innanzitutto per l’intensa collaborazione che per
tutti questi 50 anni si è instaurata tra L’Informatore Agrario e l’ISF di
Verona; il nostro settimanale ha pubblicato moltissimi lavori che
sono stati prodotti ed elaborati presso l’Istituto. Ma mi piace anche
sottolineare il rapporto di stima e di amicizia che mi lega
personalmente con il prof. Bargioni, il dott. Bassi e i molti ricercatori
che hanno lavorato e ancora oggi collaborano.
L’incontro è particolarmente importante e soprattutto è
particolarmente sentito, come dimostrato dalle autorità che sono
iscritte a parlare ma anche dalle personalità che hanno voluto
essere presenti in sala per portare il loro contributo e la loro
testimonianza a questa giornata.
Il programma del convegno è intenso. Abbiamo appena
prestato attenzione alle parole del Presidente della Provincia di
Verona prof. Elio Mosele e del prof. Mazzucco, Magnifico Rettore
dell’Università degli Studi di Verona, che ci hanno parlato delle
possibili collaborazioni e integrazioni tra Università e Istituto
Sperimentale di Frutticoltura.
Ora abbiamo la presenza di due grandi studiosi di
frutticoltura la cui fama e autorevolezza sono riconosciute a livello
internazionale, il prof. Carlo Fideghelli, del Centro di Ricerca per la
Frutticoltura di Roma, ed il prof. Silviero Sansavini, del Dipartimento
di Colture Arboree dell’Università di Bologna.
Giungeremo poi al momento fondamentale di questa
giornata: il prof. Giorgio Bargioni e il dottor Giorgio Baroni
tracceranno una storia delle attività svolte dall’Istituto in questi 50
anni, una storia densa di iniziative di attività e di risultati. Dopo
questi interventi si passerà all’esame dei programmi di ricerca e
sperimentazione in corso nella Regione Veneto per valutare le
9
modalità con cui l’ISF di Verona vi potrà partecipare. Ce ne
parleranno il prof. Claudio Giulivo del Dipartimento di Colture
Arboree dell’Università di Padova e il dr. Carlo Migliorini di Veneto
Agricoltura. Infine il dr. Silvio Pellegrino del CReSO - Consorzio di
ricerca e sperimentazione per l'ortofrutticoltura piemontese, ci
proporrà un esempio di sperimentazione regionale che opera con
successo.
L’incontro di oggi ha uno scopo celebrativo per ricordare i 50
anni di attività dell’Istituto, ma deve essere anche l’occasione per
valutare il ruolo che l’Istituto potrà avere per il futuro. Non si può
nascondere, infatti, che nel periodo recente l’Istituto ha subito
progressive riduzioni di risorse e personale tanto da mettere
addirittura in dubbio la sua attività futura. Mi auguro che da questo
incontro emerga una chiara linea guida che possa ridare vitalità
all’Istituto, ritrovando la sua missione e inserendolo nelle reti
regionali e nazionali della ricerca.
10
L’importanza della sperimentazione sul territorio per la
moderna frutticoltura
Carlo Fideghelli
Centro di Ricerca per la Frutticoltura di Roma
Gli straordinari progressi della ricerca biotecnologica
registrati negli ultimi due decenni hanno attratto un sempre
maggiore numero di ricercatori a scapito della ricerca agronomica. Il
fenomeno, rilevabile in tutti i Paesi maggiormente sviluppati, è stato
favorito dalle scelte dei responsabili della ricerca pubblica che
hanno sempre più privilegiato i finanziamenti della ricerca
cosiddetta “di base” a scapito di quella applicata. I Programmi
Quadro dell’Unione Europea ne sono un esempio significativo: da
tempo ogni riferimento specifico ai problemi dell’agricoltura è
scomparso e per i ricercatori è quasi impossibile ottenere il
finanziamento di ricerche agronomiche nell’ambito dei programmi
europei. Parallelamente a questo fenomeno e in conseguenza di
ciò, la presenza di biologi presso le istituzioni di ricerca in
agricoltura è progressivamente aumentato e il numero degli
agronomi è diminuito.
Questa situazione rischia di accentuare il distacco sempre
lamentato, tra il mondo della ricerca e quello della produzione
agricola, mentre è più che mai importante recuperare un positivo
rapporto di collaborazione tra chi fa ricerca e produce innovazione
e coloro che della innovazione hanno assoluta necessità per
mantenere la competitività sempre più minacciata dalla
globalizzazione del commercio dei prodotti agricoli.
L’atteggiamento diffuso tra gli agricoltori italiani di
disinteresse verso la sperimentazione deriva in buona parte dalla
politica di sostegno dell’agricoltura praticata sia dal governo
nazionale che dalla Comunità Europea che li ha abituati a ricevere
servizi senza preoccuparsi di dover contribuire al pagamento dei
loro costi. I tempi sembrano maturi per un cambio di atteggiamento
e alcuni segni positivi nella giusta direzione di un coinvolgimento
dei produttori nel finanziamento della sperimentazione si
cominciano a riscontrare.
Proprio per i cambiamenti di politica della ricerca nazionale
ed europea che privilegiano la ricerca “di base”, il ruolo della sperimentazione territoriale ha e avrà sempre più un ruolo centrale per
la validazione delle innovazioni e per la loro divulgazione.
11
L’Istituzione territoriale, per condurre al meglio l’attività di
sperimentazione, deve coinvolgere tutti gli attori della filiera che
inizia dai produttori singoli o associati e passa attraverso i sindacati
agricoli (Confagricoltura, Coldiretti, CIA), le associazioni dei tecnici,
laureati o diplomati che siano, i mercati ortofrutticoli e le eventuali
industrie agroalimentari. E’ infine molto importante che l’istituzione
territoriale attivi e mantenga una stretta collaborazione con le
istituzioni di ricerca nazionali come le Università, il Consiglio per la
Ricerca in Agricoltura (CRA), il CNR. Esempi concreti e positivi che
coinvolgono l’Istituto di Frutticoltura della Provincia di Verona in
collaborazione con la ricerca nazionale sono il progetto “Liste di
orientamento varietale dei fruttiferi” promosso dal Ministero delle
Politiche Agricole con la partecipazione delle Regioni e il progetto di
miglioramento genetico della fragola coordinato dall’Istituto
Sperimentale per la Frutticoltura del CRA e che vede la
partecipazione sia della ricerca locale (Istituto Sperimentale di
Frutticoltura della Provincia di Verona) che dei produttori
(Cooperativa APO Scaligera e Consorzio Ortofrutticolo Zeviano).
Grazie a questa ultima collaborazione, il 50% delle fragole
coltivate a Verona è oggi costituito da cultivar frutto del
miglioramento genetico sviluppato dal progetto e anche grazie a
questa iniziativa la fragolicoltura veronese è oggi la più competitiva
in Italia.
Gli obiettivi più importanti della sperimentazione territoriale
1. Valutazione varietale
La scelta prioritaria del frutticoltore che condiziona la riuscita
economica dell’impianto è quella della varietà e una scelta varietale
corretta non può che essere fatta sulla base di una
sperimentazione territoriale che tenga conto delle condizioni
pedoclimatiche, del mercato di destinazione del prodotto (locale,
nazionale, estero) e della tipologia aziendale (piccola, grande,
singola, in cooperativa).
Oggi più che mai è importante una seria valutazione
agronomica e pomologica delle nuove varietà, introdotte in
commercio ogni anno in grande numero, la maggior parte delle
quali costituite in paesi lontani e ambienti spesso molto diversi da
quelli di coltivazione in Italia.
Il progetto “Liste varietali” è un positivo esempio di
sperimentazione nazionale che coinvolge tutte le più importanti
12
istituzioni di ricerca nazionali e locali, e che ha lo scopo di fornire ai
frutticoltori delle diverse aree frutticole elementi oggettivi di
valutazione per una scelta razionale.
Una sperimentazione territoriale seria e rigorosa è alla base
della necessaria collaborazione con i “costitutori” e i vivaisti, che
vendono in esclusiva le cultivar brevettate, al fine di poter ottenere
e valutare le novità il più tempestivamente possibile.
La correttezza della valutazione sperimentale garantisce sia
il frutticoltore che eviterà di scegliere cultivar non adatte alle proprie
esigenze e il vivaista che eviterà di investire su varietà non
rispondenti alle richieste dei frutticoltori e del mercato.
La sperimentazione territoriale ha un ruolo importante anche
nel recupero e nella valorizzazione delle vecchie varietà autoctone,
alcune delle quali possono svolgere un ruolo non marginale nel
sostegno dell’economia frutticola locale (mercati di nicchia,
agriturismo, salvaguardia del paesaggio).
Gli esempi frutticoli sono numerosi (basti pensare alle mele
“Annurca” in Campania e ”Runsè” in Piemonte, alle pere ”Martin
Sec” e ”Madernassa” in Piemonte, alla ciliegia ”Ferrovia” in Puglia e
alla ”Mora di Cazzano” nel veronese, all’albicocca ”Tonda di
Costigliole” in Piemonte, alle pesche ”Tabacchiere” in Sicilia, ...),
ma molto rimane ancora da fare.
Voglio qui ricordare la meritoria iniziativa del prof. Giorgio
Bargioni presso l’Istituto Sperimentale di Frutticoltura di Verona che
quasi venti anni fa ha iniziato un programma di miglioramento
genetico delle vecchie pesche sanguigne delle vigne, intuendo
l’importanza di questo carattere associato a un elevato contenuto di
componenti
antiossidanti e suscettibile di valorizzazione
commerciale.
2. Valutazione dei portinnesti
Altrettanto importante della scelta varietale è quella del
portinnesto, in funzione del clima, della natura fisico-chimicasanitaria del suolo e della interazione del soggetto con la cultivar
nonché della forma di allevamento.
Dopo anni di immobilismo, il miglioramento genetico
mondiale, sta sfornando a ritmi crescenti nuovi portinnesti la cui
valutazione sul territorio è ancora più necessaria che per le nuove
cultivar considerato che una varietà sbagliata si può sovrinnestare,
13
mentre un portinnesto scelto male comporta l’estirpazione del
frutteto.
Il progetto Liste Varietali affronta anche il tema della
valutazione dei nuovi portinnesti e, opportunamente, l’Istituto
Sperimentale di Frutticoltura di Verona ne fa parte come Unità
Operativa.
La sperimentazione sui nuovi portinnesti del pesco ha
consentito di segnalare ai frutticoltori veronesi alcune valide
alternative al tradizionale “GF677“ come il franco “Monclar“, gli ibridi
pesco x davidiana “Barrier 1“ e “Cadaman“ e l’ibrido complesso
“Ishtara“.
3. Difesa
La difesa delle piante, proprio per la forte interazione dei
parassiti con la varietà e l’ambiente, è compito primario della
sperimentazione territoriale. Il Beratusring di Lana (Bolzano) è
l’esempio più chiaro di quanto una sperimentazione territoriale ben
organizzata e sostenuta finanziariamente anche dagli agricoltori
che si sentono così più responsabili e più interessati ai risultati,
possa avere una ricaduta positiva sul territorio con benefici per i
frutticoltori, l’ambiente, i cittadini e i consumatori.
Alcune moderne tecniche di lotta, come quelle basate sulla
confusione sessuale o sulla cattura massale, richiedono la diretta
partecipazione dei frutticoltori per poter essere testate su ampie
superfici senza le quali i metodi non funzionano e il ruolo delle
strutture territoriali di ricerca è essenziale.
4. Tecnica colturale
Pur se meno prioritari degli argomenti precedenti, alcuni
aspetti di tecnica colturale come la concimazione e l’irrigazione
sono chiaramente condizionati dal suolo e dal clima e una
sperimentazione sul territorio è necessaria per guidare in modo
razionale l’una e l’altra.
Minore importanza, a mio giudizio, ha la sperimentazione
sulle forme di allevamento la cui innovazione quasi mai trova
origine nelle istituzioni di ricerca, ma è quasi sempre frutto
dell’ingegno e della fantasia di singoli frutticoltori e tecnici che
sanno trovare la più razionale soluzione per massimizzare la
produzione e la qualità e minimizzare i costi di produzione.
14
5. Divulgazione
Ruolo essenziale della sperimentazione territoriale è la
divulgazione delle innovazioni.
A tal fine è importante il coinvolgimento in prove dimostrative
di alcuni dei frutticoltori d’avanguardia del territorio che costituiscono un riferimento e un esempio per gli operatori della stessa
area. Molto efficaci sono
le giornate aperte e le
mostre pomologiche in occasione delle quali i frutticoltori possono visitare i
campi sperimentali, vedere le novità varietali e
confrontarsi con gli sperimentatori per conoscere
sia i risultati positivi che,
altrettanto importanti, quelli negativi. Per essere
veramente efficace è necessario che queste manifestazioni non siano occasionali ma abbiano il carattere di continuità.
Il Consorzio di Ricerca
Sperimentazione e Divulgazione per l’Ortofrutticoltura Piemontese CReSO
di Cuneo è un buon esempio di come queste iniziative debbano
essere condotte e della positiva ricaduta sui frutticoltori del
territorio.
Un altro ruolo della sperimentazione territoriale, per
promuovere la divulgazione delle innovazioni, è la organizzazione
dei viaggi di studio, sia in Italia che all’estero. Da questo punto di
vista l’Istituto di Verona insieme con il Comitato Tecnico per
l’Ortofrutticoltura costituito dalla Camera di Commercio veronese è
sempre stato molto attivo.
Le visite tecniche hanno una grande importanza non solo
per l’acquisizione di qualche innovazione ma ancor più perché,
attraverso il confronto di esperienze, consentono di acquisire una
mentalità e un atteggiamento di maggiore apertura verso il nuovo e
15
una maggiore capacità di affrontare i cambiamenti sempre più
rapidi dell’economia mondiale.
Infine, la sperimentazione territoriale, per essere veramente
efficace, deve pubblicare con regolarità i risultati della sperimentazione per raggiungere anche quei produttori che, per varie
ragioni, si muovono con difficoltà dalle proprie aziende. In
Italia ci sono diversi esempi
positivi di tali iniziative (il
CReSO in Piemonte, il CRPV
in Emilia-Romagna, l’Azienda
Pantanello in Basilicata).
Il computer e la rete
sono oggi disponibili praticamente in tutte le aziende e
possono efficacemente affiancare la divulgazione cartacea
per la maggiore tempestività di
diffusione delle notizie e la
versatilità di impiego.
La sfida globale comporta un maggiore impegno per
tutti e il ruolo della sperimentazione territoriale è più importante che mai per consentire ai
frutticoltori italiani di competere
positivamente e di conservare
ancora a lungo il primato europeo della produzione e della qualità.
16
Orientamenti della ricerca in frutticoltura: obiettivi e potenzialità, gestione dei programmi, ruolo degli enti pubblici e
privati. Innovazioni tecniche e miglioramento qualitativo delle
produzioni
Silviero Sansavini
Dipartimento di Colture Arboree, Università di Bologna
L’impegno dell’Italia nel settore della ricerca (specialmente
della ricerca di base), è notoriamente fra i più bassi in Europa (il
finanziamento è stimato intorno all’1% del PIL) ed equivale a meno
della metà o ad appena un terzo rispetto a paesi molto avanzati
come USA e Giappone (tab. 1). Sono, purtroppo, diminuite le
risorse a ciò destinate dagli enti pubblici e non sono abbastanza
cresciute quelle investite in ricerca dai privati. Il campo agricolo
riflette negativamente la situazione generale, e quello ortofrutticolo,
in particolare, soffre per carenza di progetti nazionali integrati e
coordinati. Importiamo sempre più innovazioni tecnologiche,
prodotti chimici e biologici, brevetti, beni strumentali, informatici,
ecc. da Europa, Nord America e Asia. Purtroppo, a fronte di una
crescente riduzione di risorse (non solo in senso relativo),
corrisponde un difficile riassetto istituzionale ed un insufficiente
adeguamento della ricerca pubblica, tant’è che quest’ultimo non ha
dato ancora frutti tangibili e comporta a sua volta tempi molto
lunghi.
Riassetto degli enti pubblici: frenare la frammentazione della
ricerca, entrare nei progetti europei e nei network scientifici
internazionali
Com’è ben noto, il passaggio avviato da molti anni da un
sistema centralizzato della ricerca (gestita principalmente dai
Ministeri competenti, MIPAAF, MIUR, Ministero dell’Industria e da
grossi enti quali soprattutto CNR ed ENEA) ad uno articolato in
gran parte nei piani regionali e degli enti locali istituzionalmente
delegati dalle stesse Regioni (es. Province, Distretti comprensoriali,
Consorzi di bonifica, Comunità Montane, GAL) ben localizzati e
vicini alle esigenze territoriali della produzione (tab. 2), non ha dato
in generale gli esiti sperati. Il problema è molto complesso, perché
anzitutto coinvolge molte istituzioni pubbliche, le quali sono in
sempre più ristrette disponibilità finanziarie e sono a loro volta as-
17
Tab. 1. LA RICERCA AGRICOLA ITALIANA: BASILARE PER
L’ORTOFRUTTICOLTURA
“Senza ricerca non c’è innovazione e senza innovazione tecnologica e relativo
sviluppo non c’è competitività e futuro per le nostre imprese”
• Difficoltà reperimento fonti statistiche
• Enti pubblici istituzionali decisori politici della ricerca:
9 MIPAF – Regioni, Province ed altri Enti locali
9 MIUR – Ministero Università e Ricerca
9 CNR – Consiglio Nazionale Ricerche
9 ENEA – Ente Nazionale Energie Alternative
9 UE – Unione Europea
9 Reti di organismi internazionali (FAO ecc.)
9Aziende private (Innovazione & Sviluppo)
Associazioni produttori
Industrie agroalimentari
Industrie mezzi produttivi e servizi
Industrie informazione e comunicazione
• Rapporto pubblico/privato
• Sottovalutazione ruolo ricerca (Peso e finalità inferiori alle necessità del Paese)
• Prevalenza sperimentazione e attività dimostrativa su ricerca finalizzata all’innovazione
• Deficit del rapporto con realtà di filiera e di mercato
• Formazione della domanda e piani collegamento e programmazione
• Gestione e controllo programmi
• Trasferimento e utilizzo risultati (Brevetti, licenze, quote partecipative, ecc.)
Tab. 2. SPESE COMPLESSIVE PER LA RICERCA (2005)
Unione Europea (media dei 15 Paesi)
1,96% del GDP (PIL)
Stati Uniti
2,59%
“
Korea
2,90%
“
Giappone
3,12%
“
< 1,50%
“
Italia
Confronto USA
verso Union e Euro pea
Differenza di 80 mld di spesa nel
2000 (= 1% P IL europeo)
Differenza di 130 mld € nel 2005
(crescita del divario con gli USA)
L’80% di tale divario è dovuto soprattutto ai min ori investimenti
delle im pre se private in Europ a
18
sorbite da profonde ristrutturazioni e da una complessità di compiti
che finiscono per mettere la ricerca in secondo piano. A livello
nazionale bastano tre esempi:
a) la rivoluzione in corso al Ministero delle Politiche Agricole
e Forestali con la creazione del sovrastante CRA (Consiglio per la
Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura) voluto dal Ministro De
Castro negli anni ‘90 e poi realizzata da Alemanno ha richiesto la
ristrutturazione dei 23 ex istituti Sperimentali e quindi di tutto il
personale. Ma questa grossa opera di rinnovamento non ha avuto
abbastanza peso nelle attività di ricerca e sperimentazione, che
sono tuttora in mano al MIPAAF, ancorché sia stato creato anche
un coordinamento sovraministeriale per le priorità programmatiche.
Di qui le evidenti discrasie operative, i ritardi, che in certi casi sono
diventati paralisi (anche per il turnover del personale e i concorsi
interni di ricercatore);
b) il CNR è alla ricerca di una sua ricomposizione
istituzionale riaggregante gli oltre cento istituti e centri in macroaree di ricerca omogenee. Anche quest’opera, avviata da molti
anni, è difficile, in quanto rimangono comunque operanti quasi tutte
le preesistenti sedi, e con queste anche dispersione di risorse. È
comunque venuta meno, ormai da parecchi anni, la benemerita
funzione del CNR quale ente di finanziamento e coordinamento
nazionale delle ricerche agricole di base e per progetti
interdisciplinari di grande respiro e impatto, come fu il RAISA
(ultimo, finito più di un decennio orsono), che non mancò di dare
anche ottimi frutti;
c) sul piano locale l’esempio più eclatante è quello di
Verona. Qui, la Provincia creò, più di cinquant’anni fa, un Istituto
Sperimentale per la Frutticoltura che, seppur piccolo, ha ben
operato, dando un cospicuo contributo allo sviluppo della
frutticoltura, e non solo dell’hinterland veronese. Forse per questo,
oggi l’Amministrazione Provinciale, per quanto valido ed utile sia
l’operato delle residue forze e programmi di ricerca condotti
dall’Istituto, giudica eccessivo farsene carico totalmente.
Nella maggior parte delle altre province o circoscrizioni
vengono attuate iniziative regionali (i canali utilizzati sono svariati,
pubblici o privati) oppure esistono centri dimostrativi e di
sperimentazione agraria, gestiti per lo più in forma semipubblica,
con la partecipazione delle associazioni e consorzi di produttori. Le
tematiche affrontate non vanno oltre le esigenze manifestate
localmente e per lo più non hanno agganci scientifici.
19
Dunque, pur con motivazioni e ragioni plausibili, assistiamo
ad un forte indebolimento del sistema italiano della ricerca agraria,
compreso il settore della frutticoltura. Questo nostro vulnus rischia
di far perdere all’Italia anche il supporto tecnico di primordine di cui
la nostra frutticoltura ha saputo avvalersi negli anni del grande
balzo innovativo e tecnologico in quasi tutti i comparti frutticoli,
avvenuto nel trentennio 1970/1990, che hanno visto, fra una crisi e
l’altra, anche lodevoli consolidamenti, espansioni in varie aree e
l’affermazione a prova di crisi della melicoltura montana, come pure
la meridionalizzazione di alcune colture: pesco-nettarine, uva da
tavola, ciliegio, albicocco. Abbiamo attraversato più recentemente
anni caratterizzati da un forte rinnovamento varietale, dallo sviluppo
degli impianti e dalle tecniche dell’alta densità, da moderni concetti
nella gestione dell’acqua e del suolo (es. fertirrigazione).
Fondamentali, per mantenere l’export, sono state la produzione
integrata e biologica e da ultimo, l’innalzamento dello standard
qualitativo dei vari comparti e l’introduzione di vasti processi
informatizzati (da ultimo la tracciabilità) nonché i metodi di
certificazione di prodotto diffusi per le varie GDO italiane ed estere.
Ma senza ricerca di eccellenza e ben mirata non si può fare
innovazione tecnica e senza innovazione non ci può essere
sviluppo tecnologico, si rimane tagliati fuori dal mercato e anche
dalla competizione scientifica.
Le critiche maggiori sono rivolte alle Regioni, non tanto
perché non abbiano investito risorse nella ricerca applicata (o
non abbiano svolto la relativa attività dimostrativa) quanto perché
ciascuna opera secondo propri criteri e provvedimenti legislativi.
Sono sempre più rari i grandi progetti interregionali e
ancor più quelli impostati e realizzati congiuntamente al
Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. In frutticoltura
sopravvivono solo due progetti di rilievo: 1) “Valutazione delle
nuove varietà” ai fini dell’orientamento dei produttori per i nuovi
impianti e 2) FRUMED, per la frutticoltura meridionale, anche
questo prevalentemente orientato in attività sperimentalidimostrative, a beneficio delle regioni maggiormente impegnate
(Campania, Sicilia, Basilicata, Calabria e Puglia). Fra quelli gestiti
da gruppi regionali ce n’è uno sul post-raccolta, che dispone però di
troppo poche risorse. L’Italia, stante questa grande frammentazione
istituzionale della ricerca (politica e geografica), avrebbe invece
bisogno di progetti nazionali e internazionali di ricerca integrata per
20
Tab. 3. PROGETTO SPECIALE ITALIA - FRANCIA (aprile 2006) – Mipaf + Università
Progetto
“Genoma vite”
“Vigne”
“Vigna”
Gen. Vite
Enti promotori e
organizzatori
(Partner)
INRA
MIPAF/CRA
Università di Udine
Finanziamenti
(Meuro)
6
6
5
+ “Genoplante” e vari istituti
+ 12 UU.OO. (Univ. e Centri Ricerca)
+ 5 UU.OO.
17 Meuro
Scopo: sequenziamento genoma vite (4 anni)
- Genoplante, Evry, Francia
- CRIBI, Università di Padova
- Istituto Genomica Applicata, P.T. Udine
5 x genoma
2,5 x “
2,5 x “
- Totale: 10 genomo-equivalenti
Uni
Siena,
Cresti
UU.OO. Italiane
- Uni Udine 1 (Morgante)
- ENEA, Roma (Benvenuto)
- Uni Udine 2 (Testolin)
- CNR, Bari (Liuni, Saccone)
- Uni Verona 1 (Delle Donne)
- CIB Consorzio Italiano per le Biotecnologie,
- Uni Verona 2 (Pezzotti)
lab. Trieste (Schneider)
- CRA Fiorenzuola D'Arda 3 unità (Cattivelli,
- Uni Milano 1 (Pè) – Coord. Progetto italiano
Valé, Faccioli)
- Uni MIlano 2 (Pesole)
- CRA Conegliano 3 unità (Calò, Costacurta,
- Uni Padova, CRIBI (Valle)
Crespan)
Fondi racc. da Università Udine (costituito dall’Istituto Genomica Applicata - 2006)
- Regione/Parco Scientifico Tecnologico
- Università di Udine
- Banche e Fondazioni bancarie
- Vivaisti viticoli ed aziende vitivinicole
- Eurotech (Società per Informazioni
Tecnologiche)
(Rielaborato da Jaillon et al., 2007)
Tab. 4. MIPAF – PROGETTI SPECIALI
“OGM in agricoltura”
(Totale 6 Meuro – triennio 2004 – 2006)
TEMATICHE:
1) Inventario bibliografia OGM
2) Monitoraggio normativa italiana/europea OGM
3) Nuovi metodi analisi OGM sementi
4) Impatto economico OGM agricoltura
5) Impatto sui consumi
6) Miglioramento informazione pubblica in OGM
7) Procedure sementi certificate
8) Effetti sanitari e nutrizionali prodotti OGM
9) Valutazione impatto agronomico e ambientale coesistenza filiera OGM e non OGM
Coordinamento: INRAN, Roma - Istituto Nazionale Ricerca e Nutrizione in Agricoltura
Collaboraz. vari Enti esterni
(da Monastra et al., 2006)
21
ogni comparto, unendo allo scopo, trasversalmente, le migliori
energie del Paese. Non mancano grandi individualità scientifiche,
con specifiche competenze su specifici problemi, anche del tutto
nuovi, per esempio, la diagnostica molecolare-biotecnologica, la
modellistica predittiva per gli attacchi dei patogeni, per i cicli dei
fitofagi, per la qualità dei frutti, varie applicazioni combinate
elettronico-informatiche-nanotecnologiche nei monitoraggi, nei
sistemi di irrigazione e antigelo, nella cosiddetta agricoltura di
precisione. Occorre cercare stretti collegamenti con le reti territoriali
di ricerca europee e internazionali in genere. Se non si è cooptati
da queste entità (basate su integrazione, emulazione-competizione
fra singole istituzioni, capacità di cogliere le opportunità per
sciogliere i nodi della conoscenza, che sono universali e non
territoriali) su problemi specifici, si rimane esclusi. Questa, peraltro,
è la politica che sta sviluppando l’Unione Europea, cui l’Italia ha
cercato di stare agganciata, con risultati finora inferiori alle proprie
potenzialità e allo stesso diritto derivante dal peso politicocontributivo del Paese (che dovrebbe consistere in un ritorno di
almeno il 10% dei fondi europei). Ad onor del vero, la situazione è
migliorata nell’ultimo quinquennio con il VI Programma Quadro:
molti ricercatori hanno imparato a muoversi, in genere però da soli.
L’Università di Bologna sta facendo, e non è l’unico esempio,
grandi sforzi a sostegno della ricerca integrata in Europa. Ha
attuato varie iniziative per sensibilizzare, integrare e assistere i
gruppi progettuali, ma ciò che manca a Bruxelles è una lobby
politico-economica italiana pari a quella dei paesi forti.
Non mancano eccezioni che fanno ancora sperare. Citiamo
solo due esempi a livello ministeriale: il primo è il Progetto
biotecnologico “Vigna” italo-francese, che in soli tre anni ha
disvelato il genoma della vite, ove il MIPAAF ha investito oltre 5
milioni di euro e alcune Regioni - Friuli Venezia Giulia, Veneto,
Lombardia insieme alle loro Università hanno pure investito
altrettante grosse risorse (il lavoro, completato entro il 2007, avrà
prevedibili grandi risvolti applicativi, segnatamente nel miglioramento genetico della vite) (tab. 3).
A questo grosso risultato scientifico ha fatto eco un altro
mega progetto di sequenziamento del genoma vite da parte dello
IASMA di San Michele all’Adige, completato nel 2007 (Velasco,
2008). Il secondo, unicamente ministeriale, riguarda gli “OGM in
agricoltura” che in un triennio (2004/6) ha assorbito 6 milioni di euro
nello studio delle problematiche di coltivazione di piante GM (mais
22
e soia principalmente), soprattutto per evidenziarne i rischi, i
possibili risvolti negativi e sostanzialmente l’”inutilità” della
coltivazione delle piante transgeniche, o almeno di quelle oggi
disponibili, mais, soia, colza, patata (tab. 4): non sarebbe stato
male che il Progetto avesse coinvolto nella ricerca qualche istituto
ministeriale e universitario competenti e impegnati direttamente
nella trasformazione genetica, per studiare possibilità di evoluzione,
per via transgenica, di problemi propri del contesto italiano (per es.
per salvare il pomodoro San Marzano), autorizzando anche idonee
e necessarie prove di campo per le piante transgeniche già
ottenute senza l’aiuto delle multinazionali (ad esempio il melo Gala
Vf resistente alla ticchiolatura, ottenuto a Bologna quattro anni fa e,
primo nel mondo, per un transgene derivante da melo); prove che,
invece, sono state bandite. Dunque, la ricerca in questo campo è
stata bloccata, salvo poche cose ammesse in ambiente
strettamente confinato, non all’aperto. Così l’Italia ha smobilitato
gruppi di lavoro, programmi già avviati, ha cancellato obiettivi ed è
rimasta indietro, anche per ripicche politico-istituzionali,
nell’indifferenza generale. Incredibile! Nel complesso si è perso
circa un decennio di ricerche e dei relativi potenziali vantaggi
(Sansavini, 2004a).
A livello regionale l’impegno pubblico nella ricerca agraria è
diffuso e relativamente consistente: ammonta a circa 105 milioni di
euro (quinquennio 1999/2004, tab. 5) da parte delle dieci Regioni
più importanti. La maggior parte di queste risorse sono andate al
settore delle produzioni vegetali, compresa l’ortofrutta. Nel
complesso però la spesa in ricerca agricola delle Regioni non è più
del 17% del totale nazionale (tab. 6) (Di Paolo, 2006).
Ricerca pubblica italiana ed europea. Cofinanziamento e
partnership con privati
Vi sono alcuni dati positivi da considerare:
1) il primo è che i progetti di ricerca finanziati
(Regioni comprese) coinvolgono sempre più
attraverso la formula del cofinanziamento che
intorno ad una quota del 20-30% della spesa
progetti.
da Enti pubblici
gli enti privati
si aggira ormai
complessiva dei
Si tratta in genere di consorzi di produttori (che, chiamati a
parteciparvi in quanto potenziali utenti, beneficeranno poi dei
23
risultati della ricerca), associazioni professionali (es. vivaisti),
industrie sementiere, industrie di mezzi chimici e meccanici e
grosse imprese private. Questo aspetto del cofinanziamento sta
comunque creando una svolta positiva perché costringe anche i
gruppi di ricerca a lavorare con prevedibili maggiori e dirette
ricadute applicative, valutabili e trasferibili vantaggiosamente nella
pratica. La ricerca privata ha dato segni di risveglio soprattutto in
quelle aree in cui le associazioni produttori, godendo delle risorse
Tab. 7. VI FRAMEWORK PROGRAM 2002 - 2006
RICERCA, SVILUPPO TECNOLOGICO - Attività dimostrative
Raccoglie la sfida lanciata dal meeting intergovernativo di Lisbona 2000
- Miglior utilizzazione del contributo dei singoli Paesi
- Costituzione dell’ERA (Area di ricerca europea) per un virtuale Internal Market di
Scienze e Tecnologie
AREE TEMATICHE:
™ Scienze della vita, Genomica, biotecnologie per la salute
™
(genomica avanzata e lotta contro malattie)
™ Qualità cibo e sicurezza alimentare
™ Sviluppo sostenibile, cambiamenti globali ecosistemi
™ Altre 4 tematiche (Informazione, Nanotecnologie, Aeronautica spaziale,
™
sviluppo conoscenze)
ATTIVITA’ SPECIFICHE TRASVERSALI
1) Ricerca politic. sostenibile, cooperazione, scienze emergenti NEST
2) Attività piccole imprese
3)
Md €
2,514
0,753
2,329
6,842
12,438
1,409
0,835
Centri internazionali di ricerca in comune
STRUTTURAZIONE “AREA DI RICERCA” (ERA – net)
(Risorse umane, Innovazione infrastrutture, Scienze e Società
Rafforzamento ERA)
2,854
0,347
17,883
+ Euratom Programs
1,230
% Progetti finanziati in numero inferiore al 15%
messe a disposizione dall’Europa (OCM – FEOGA) hanno potuto
sviluppare infrastrutture, programmi di riassetto dei servizi tecnici,
progetti sperimentali richiesti dai propri associati. Risulta che
somme ingenti dell’OCM sono andate per questo scopo a consorzi
ed associazioni di produttori. In tal modo le OP (Consorzi e APO)
hanno intrapreso molte iniziative, hanno creato laboratori per i
controlli, per la diagnostica e per le analisi di suoli, foglie, semi,
frutti (es. accertamento di residui chimici), per la creazione di
varietà e la valutazione del nuovo materiale genetico e per
l’accertamento dei parametri per la certificazione.
24
Meno evidente è l’inserimento di industrie chimiche,
biotecnologiche e meccaniche nella ricerca pubblica. Alcune
industrie chimiche sono state da poco oggetto di fusioni,
ristrutturazioni, revisione di indirizzo (il che ha prodotto una
riduzione dell’impegno nella produzione di composti di sintesi e il
passaggio ad attività biotecnologiche basate su biocidi e pesticidi
di minore impatto ambientale), oppure verso attività sementierecommerciali tutelate da brevetti genetici con proprietà intellettuale
in esclusiva (es. Monsanto, Syngenta e Pioneer in USA, Bayer e
BASF in Europa).
Tab. 8. VII PROGRAMMA QUADRO
Durata 7 anni (2007 – 2013)
A) TEMATICHE (definitivo)
Md €
•
¾
¾
¾
¾
¾
¾
¾
¾
¾
¾
Cooperazione
32,413
Salute
Alimentazione, agricoltura e biotecnologie
Tecnologie informazione comunicazione
Nanoscienze, nanotecnologie, materiale e nuove tecn. produttive
Energie
Ambiente e cambiamenti climatici
Trasporti (inclusa aeronautica)
Scienze socioeconomiche e humanities
Spazio
Sicurezza
B) Nuove idee e ricerche di base
C) Risorse umane (Borse studio ecc.)
D) Capacità (Interventi collaterali)
6,1
1,9
9,1
3,5
2,35
1,9
4,1
0,6
1,4
1,4
7,5
4,7
4,097
Benefici piccole imprese – Scienza e società –
Cooperazione internazionale, ecc.
E) Centri Comuni di Ricerca (NN)
Totale
F) Euratom (2007-2011)
1,751
50,521
2,751
2) la seconda svolta viene dall’U.E. Non c’è campo di ricerca
agricola e frutticola europea che non abbia creato propri “network
scientifici”, ancorché non siano sostenuti da specifici finanziamenti
del VI o VII Programma Quadro. Il VI Programma che si è
dispiegato nel quinquennio 2002/06 ha destinato alla ricerca agraria
un totale di risorse (onnicomprensivo dei vari settori) per circa 17,8
miliardi di euro. Fra queste ci sono aree tematiche come “scienze
25
della vita”, “genomica”, “biotecnologie per la salute” (2,5 miliardi di
euro), poi “qualità del cibo e sicurezza alimentare” (0,7 Md€),
“sviluppo sostenibile” e “cambiamenti globali degli ecosistemi” (2,3
Md€) (cfr. tabb. 7 e 8) (non è dato sapere quanta parte di queste
risorse è andata a beneficio della frutticoltura).
L’Italia, al pari degli altri Paesi europei, ha avuto grandi
opportunità di accedere a questi fondi, ma dove è riuscita (meno
del 15% delle domande è stato accolto, e per l’Italia ancora meno),
ha dovuto imparare a lavorare in gruppo (con una serie di partner
scientifici europei e soggetti privati operanti per lo più in campo
internazionale, quali industrie produttrici di beni e servizi,
associazioni produttori, gruppi vivaistici) preparando progetti
integrati dai quali, quando accolti e finanziati, il “sistema Italia” non
può che aver tratto sicuri benefici. D’altra parte, questa è l’unica
strada percorribile in futuro, se vogliamo colmare il gap che ci
separa dagli altri Paesi.
Il contributo dei Ministeri delle Politiche Agricole, Alimentari e
Forestali (MIPAAF) e dell’Università Ricerca Scientifica (MIUR)
Numerose sono le istituzioni aventi titolo al sostegno della
ricerca agraria; si tratta di enti nazionali e territoriali-locali. Fra le
prime, il MIUR (Ministero dell’Università e della Ricerca), con 23
Facoltà di Agraria, oltre 100 corsi di laurea triennali (la cosiddetta
laurea breve) e un po’ meno di lauree specialistiche biennali (laurea
detta magistrale), oltre a numerosi master (con durata media di un
anno) successivi alla prima (dopo tre anni) o alla seconda laurea
(cioè dopo cinque anni).
Impossibile addentrarsi in questo dedalo, visto che il
laureato in Scienze Agrarie, come tale, non esiste più. La
cosiddetta doppia laurea 3 + 2 (totale 5 anni) è un artifizio per
favorire l’inserimento anticipato dei giovani nel mondo del lavoro,
ma ha forse creato problemi e inconvenienti superiori ai vantaggi
offerti allo studente; per esempio, sono stati moltiplicati gli
insegnamenti, che hanno anche disorientato le scelte dei giovani,
mentre la preparazione si è fortemente assottigliata, anche se
specificamente migliorata. È infatti impossibile in soli tre anni dare
una laurea professionalizzata, se non per favorire l’entrata nel
mondo del lavoro in età giovanile, ma anche verosimilmente preparare per certi compiti più congeniali alla ex laurea quinquennale.
26
Per quanto riguarda il MIPAAF (Ministero delle Politiche
Agricole Alimentari e Forestali), è tuttora in atto la ristrutturazione
dei 23 Istituti attuata dal sovrastante CRA. Per esempio, l’istituto di
Frutticoltura con sede a Roma è riuscito miracolosamente a
sopravvivere, con la nuova denominazione di Centro per la Ricerca
in Frutticoltura, ma non sovrintenderà più alle tre Sezioni staccate
di Caserta, Forlì e Trento (quest’ultima in chiusura), che pur nella
loro autonomia dovranno raccordarsi con le altre istituzioni CRA
della propria regione, e non col Centro di Roma, come è sempre
stato.
Tab. 9. R & D
RICERCA E SVILUPPO IN FRUTTICOLTURA
Innovazioni tecniche e assistenza
Autogestione produttori e/o con supporto pubblico
Demandate ad altri soggetti (privati)
- Centri di Servizio
- Consorzi, Cooperative, Gruppi associativi
(produttori, vivaisti)
- Network regionali e locali
- Network nazionali (coordinamento)
Sperimentazione e ricerca applicata
(Enti istituzionali)
- Istituti Sperimentali CRA-MIPAF
- Altre istituzioni pubbliche (Università, CNR, Parchi tecnologici)
- Centri Sperimentali regionali e provinciali
- Aziende sperimentali e dimostrative territoriali (pubbliche o private cofinanziate)
Ricerca di base
(con o senza finalizzazione)
- Istituzioni pubbliche (Università, CNR, ENEA, Parchi tecnologici)
- Istituzioni private e grandi imprese multinazionali
È un processo riorganizzativo che richiederà tempo. Ma
intanto la ricerca ne soffre. Per es. l’ISF di Roma ha gestito per un
decennio un ottimo progetto nazionale di frutticoltura (che era
basato soprattutto sul miglioramento genetico dei fruttiferi) che è
stato chiuso, cosicché non c’è più finanziamento pubblico per il
breeding frutticolo! Al suo posto è stato lanciato il progetto
FRUMED, già accennato sopra, per valorizzare e trasferire in
pratica strumenti tecnologici innovativi, principalmente le nuove
varietà al Sud.
Mancano quindi, oggi, grandi progetti nazionali sostenibili su
grandi obiettivi comuni: biologico-integrato, difesa, strumenti
27
gestionali della frutticoltura e riguardanti il suolo, la pianta, il postraccolta, ecc.
C’è però la consapevolezza che l’articolazione regionale
della ricerca (in applicazione di un dettato di legge che risale al
trasferimento delle competenze regionali) se da un lato ha di buono
che avvicina i programmi di sperimentazione alle esigenze
territoriali, dall’altro svilisce e dimentica il coordinamento della
ricerca interdisciplinare delle migliori competenze scientifiche
nazionali nonché la ricerca di base, anche non finalizzata (tab. 9)
che dovrebbe essere svolta dalle istituzioni scientifiche, in primis
dalle Università.
Conseguentemente, il MIUR, si avvale, di fatto, dei soli
programmi COFIN/PRIN che non possono supplire che in modesta
misura alla domanda che viene dalla comunità scientifica
nazionale. Il nostro sistema decisionale sembra aver dimenticato
che senza ricerca di base, o per lo meno ricerca integrata di grande
respiro, non si potranno alimentare e costruire a valle validi progetti
di ricerca applicata, cioè di sperimentazione e quindi di verifica e
validazione delle tecnologie derivate, di cui la frutticoltura ha pure
forte bisogno (Sansavini e Inglese, 2006).
Settori innovativi della frutticoltura
Quali sono stati e come avanzano gli strumenti tecnici
innovativi della frutticoltura, che sono stati decisivi negli anni ’80-90
e che stanno cambiando volto alle nostre colture?
La tabella 10 riassume i principali fatti della rivoluzione
tecnologica, che finora ha consentito alle nostre produzioni, o
almeno a buona parte di queste, di essere sostenibili sia sul piano
della coltivazione (per avere in gran parte recepito i principi della
produzione integrata e in modesta parte di quella biologica) sia su
quello della produttività/qualità per aver saputo difendere la
competitività mercantile (rapporto qualità/prezzo) di molta parte dei
nostri prodotti frutticoli (Sansavini, 2006 a e b). In sintesi il rinnovamento delle tecnologie frutticole è dovuto a due sostanziali
leve:
a) le matrici scientifiche – prevalentemente sviluppate
all’estero (da Israele all’Olanda, dall’UK agli USA) – che hanno
generato conoscenza poi sfruttata sul piano applicativo grazie a
programmi di sperimentazione calibrati sulle esigenze specifiche
delle varie situazioni territoriali. Queste matrici sono la genetica da
28
un lato (col supporto delle biotecnologie), che è parte preponderante della moderna biologia vegetale; la fisiologia, dall’altro, che
è fortemente ancorata alle conoscenze dei processi e alle esigenze
dell’ecologia (quindi della sostenibilità ambientale), nonché al
supporto della biochimica per i processi metabolici e della biologia
molecolare per la ricerca dei geni che controllano tali processi; dalla
pomologia per la qualità del frutto, alle tecnologie post-raccolta, alla
bio-informatica. Forti impulsi sono venuti dalle conoscenze sulla
scienza del suolo, sulla nutrizione delle piante, sui fabbisogni idrici
e sulle modalità di somministrazione dell’acqua (fertirrigazione).
b) la messa a punto e l’uso di tecnologie biologiche,
informatiche, strumentali, meccaniche, fisiche (ottiche, colorimetriche, ultrastrutturali) che sono state inserite nella catena della
coltivazione e produzione (es. monitoraggi biologici e diagnostici,
individuazione di sonde e sistemi sensoriali fisico-elettronici,
recorder di ogni tipo, rilievi automatici nel suolo e nell’atmosfera,
nelle piante e in singoli organi: radici, foglie, germogli e frutti). Molti
di questi strumenti, vent’anni fa, non c’erano o potevano essere
installati solo nei laboratori; ora disponiamo di strumenti portatili,
molto sofisticati e fortemente rimpiccioliti, che consentono di
valutare direttamente in campo molti parametri che ci interessano,
per es. lo SPAD per il contenuto di N delle foglie o il NIR per lo
stato di maturazione del frutto, oppure il rizotrone per la dinamica
della crescita radicale.
In complesso, fra le principali acquisizioni che hanno
radicalmente cambiato i modi di coltivare e produrre le nostre
piante da frutto dobbiamo inserire:
1) Miglioramento genetico, e cioè quella lunga e complessa attività che, da sempre, ha trovato cultori e programmi validi in Italia per
la creazione di varietà più rispondenti alla coltivazione e al mercato.
Nel dopoguerra c’erano solo pochi soggetti, spiccava fra tutti il
Centro del prof. Morettini a Firenze e l’Istituto di Frutticoltura ed
Elettrogenetica di Roma. L’Istituto Sperimentale di Frutticoltura di
Verona, sorto nel 1955, ha dato un fattivo contributo negli anni ’7080-90, segnatamente nel campo del miglioramento genetico delle
ciliegie. Una delle nuove varietà ivi ottenute, la cv “Giorgia”, si è
conquistata un posto di rilievo nel firmamento delle più interessanti
e ben accette varietà precoci di ciliegie al Nord come al Sud del
Paese.
Il miglioramento genetico si è molto sviluppato nel mondo:
29
genera ormai un elevatissimo numero di varietà che vengono
lanciate per lo più attraverso l’acquisizione dei diritti di propagazione in esclusiva: si tratta, mediamente, ogni anno, di un centinaio
di varietà di pesco e nettarine, una cinquantina di mele (includendo
anche le mutazioni, per lo più chimeriche, anch’esse per lo più
soggette a propagazione controllata in esclusiva), una ventina o
trentina, per ciascuna specie di albicocche, ciliegie e susine. Chi
può mai pensare di introdurle e provarle tutte? Bisogna scegliere.
Recentemente sono state prodotte ampie rassegne e
puntualizzazioni sulle innovazioni metodologiche e sui risultati
raggiunti dalle nuove varietà delle principali specie (Sansavini et al.,
2005 e 2007).
In Italia il breeding delle piante da frutto, da due-tre decenni,
è particolarmente attivo. Solo negli anni ’90 sono state prodotte ben
305 varietà, prevalentemente pesche, 131 da Enti pubblici e 174 da
Enti privati (tab. 11). Per le mele vi sono attualmente in Italia ben
sette programmi di breeding (sei pubblici e uno privato, il maggiore)
Tab. 11. VARIETÀ DI FRUTTIFERI COSTITUITE IN ITALIA NEL DECENNIO
1992-02
PESCHE e NETTARINE
ALBICOCCO
MELO
19
FRAGOLA
ACTINIDIA
13
12 1
1 11
PERO
UVA DA TAVOLA
MANDORLO
14
3
CILIEGIO DOLCE
SUSINO
102 Tot. 157
55
19
11
10 1
44
Tot. 30
8
Tot. 27
13
Tot. 26
Tot. 17
Tot. 13
Tot. 12
Costitutori pubblici: tot. 131
Tot. 11
Costitutori privati: tot. 174
Tot. 8
Totale varietà: 305
1
0
(da Della Strada e Fideghelli, 2002)
dai quali sono uscite finora una quindicina di varietà, solo alcune
delle quali però hanno iniziato a diffondersi: “Rubens“, “Golden
Orange“, “Modì“, “GoldChief“, “Forlady“, “Super Stayman“ e poche
altre. I progressi maggiori sono stati compiuti nel settore della
fragola, perché il turnover qui è annuale e copre il totale delle
30
superfici (si tratta di circa 4.000 ha/anno con un fabbisogno di oltre
250-300 milioni di piantine/anno) e quindi con la teorica possibilità
di sostituire in larga parte le varietà dell’anno precedente. Verona
ha saputo cogliere questa opportunità partecipando, anche grazie
all’Istituto Sperimentale di Frutticoltura, alla messa a punto delle
tecniche di propagazione e coltivazione della fragola e, da ultimo, al
Progetto Nazionale Fragola per la costituzione e selezione nel
proprio ambiente di varietà adatte, con il fondamentale contributo di
APO Scaligera e del Consorzio Ortofrutticolo Zeviano. Esempi
recenti di nuove varietà di fragola per il veronese sono le cv “Irma“,
“Eva“ e “Dora“, la prima delle quali dominante per la produzione
autunnale, tipica del Veronese.
D’altra parte, un contributo rilevante alla diffusione delle
novità nelle piante da frutto è dato dall’industria vivaistica che,
grazie ai brevetti e alle privative comunitarie, promuove la
penetrazione commerciale delle varietà (quelle estere, americane in
particolare, sono ancora la stragrande maggioranza) che vanno ad
aggiungersi ad altre preesistenti (Sansavini et al., 2006); raramente
Tab. 12. MIGLIOR AME NTO GE NETICO E B IOTECNO LO G IE AUS ILIAR IE
B iotecnologie a usiliarie
A) Miglioram ento genetico
Selezione fenotipo (albero, frutti) e
resistenze a stress biotici/abiotici
MAS (selezione m olecolare precoce e assistita)
Individuazione e m appaggio m arcatori
Scelta linee parentali
Variabilità allelica segregante
“Fingerprinting” e brevettazione
Fenotipizzazione
Identificazione e clonazione genica
B) Propagazione e difesa
Certificazione genetico-sanitaria
Diagnostica sanitaria
Variabilità som aclonale e m utazioni
Verifica stabilità e regressioni chim eriche
Monitoraggi biologici
le varietà obsolete scompaiono in breve tempo. In genere si
trascinano sul mercato fino alla fine naturale o anticipata dei frutteti.
Di qui l’inconveniente denunciato soprattutto dagli operatori
peschicoli, di un eccessivo numero di varietà coltivate. Vi sono
31
cooperative in Romagna i cui soci producono oltre cento varietà di
pesche e nettarine. La situazione a questo riguardo sta diventando
pesante per i frutticoltori, anche perché le attuali regole di
propagazione consentono al licenziatario (vivaista o società o
titolare di brevetto) di poter disporre anche del prodotto dei frutteti
costituiti con tali varietà, e quindi di poter controllare l’immissione
dei frutti sul mercato, cercando di condizionarne il prezzo finale.
Ciò fa aumentare i costi, al punto che il coltivatore non deve solo
pagare le royalties (intorno ad 1 euro per pianta), ma pagare anche
al licenziatario delle varietà il diritto di coltivazione (in alcuni casi,
per nuove varietà di albicocche sono stati richiesti anche 3-4.000
euro/ha!); nel caso dei Club (per es. quello di ”Pink Lady”) vi sono
apposite aziende autorizzate alla commercializzazione su scala
nazionale, cui si è obbligati a conferire il prodotto che verrà
liquidato al coltivatore, secondo l’andamento del mercato, detratti i
costi del sistema di controllo delle varietà nell’intera filiera
(Sansavini e Lugli, 2007).
Questi sistemi fanno perdere potere decisionale a vivaisti e
frutticoltori, che possono solo adeguarsi, a meno che non comprino
essi stessi i diritti commerciali delle novità e gestiscano in proprio
l’intera catena della produzione-distribuzione, come hanno
cominciato a fare APO-CONERPO, APOFRUIT, OROGEL, che si
sono appositamente consorziate in una nuova società denominata
New Plant, (Sansavini, 2004c).
2) Biotecnologie a supporto del Miglioramento Genetico, della
Propagazione e della Difesa (tab. 12). A questo settore si devono
forse le maggiori conquiste degli ultimi anni. Grazie alla biologia
molecolare, è stato possibile impostare incroci programmati,
scegliendo genitori di cui si è in grado di sapere quali alleli dei
caratteri ricercati sono in essi presenti (cioè si può conoscere a
priori e quindi trasmettere dai genitori ai figli certe caratteristiche di
qualità dei frutti o di resistenza della pianta alla discendenza che si
vuole selezionare). Non solo, ma la popolazione dei semenzali
invece di essere messa in campo e aspettare molti anni per la
messa a frutto, può essere “screenata” subito, attraverso l’uso sia
di tecnologie selettive (es. inoculi artificiali dei patogeni in serra,
verso i quali si cercano le resistenze a fireblight e ticchiolatura), sia
di marcatori molecolari (legati ai geni oggetto di selezione) per
poter scartare subito le piantine che non interessano, mentre le
altre saranno innestate su portinnesti (es. “M9” per il melo) che
32
favoriscano la scomparsa della giovanilità e la messa a frutto
precoce. È questa la cosiddetta tecnica MAS (marked assisted
selection), che è già stata introdotta per il melo. I processi selettivi
sono comunque lunghi, anche se le biotecnologie possono
accelerarne il percorso e ridurre la massa dei semenzali in campo
(per es. per il melo possono bastare 10-12 anni invece di 15-20) e
quindi il costo complessivo.
Occorre anche rilevare che nonostante questi ed altri
accorgimenti per favorire la selezione del materiale genetico, il
rinnovamento di varietà attraverso il turnover dei nuovi impianti, pur
con qualche azione di marketing operata dai gruppi interessati e
dominanti il mercato, non va oltre il 10-12% nel caso di pesco e
nettarine, il 5-10% per il ciliegio ecc. La grande massa dei nuovi
impianti, infatti, tende ad essere ricostituita con varietà già diffuse, il
che significa mantenere l’assetto varietale preesistente (si lascia
però più spazio alla possibilità di impiegare i mutanti migliori, cioè i
vari cloni della varietà madre). Nel caso del melo, ad esempio, oltre
il 50% dei nuovi impianti del Trentino-Alto Adige viene ancora fatto
con “Golden Delicious”. Molto lenta è anche l’introduzione di varietà
resistenti a malattie, comprese le necessità della frutticoltura
biologica che invece ne dovrebbe fare grande uso. Le mele
resistenti a ticchiolatura infatti non coprono più del 2-3% dei nuovi
impianti o forse meno; ignorate sono le pere resistenti o tolleranti al
fireblight (es. “Harrow Sweet” e “Harrow Gold”) mentre nel caso
delle ciliegie si cerca di valorizzare soprattutto quelle resistenti al
cracking (la cv “Adriana”, però, ottenuta dall’ISF di Verona,
nonostante questo pregio non si è praticamente diffusa). Le ragioni
principali di questa indifferenza risiedono negli standard qualitativi
dei frutti, ormai omologati dai mercati e poco commisurabili con
“nuove facce” di frutti, verso i quali i consumatori sono in genere
riluttanti, anche se tali frutti sono prodotti con poche esigenze
colturali o senza trattamenti anticrittogamici. I consumatori cioè
preferiscono varietà già note.
Nel campo della diagnostica fitopatologica vi sono stati
recentemente enormi progressi, oltre alle normali tecniche di riconoscimento delle malattie è possibile fare contestualmente anche
l’identificazione del patogeno. Già il numero di protocolli diagnostici
per gli organismi nocivi da quarantena raggiunge ormai il centinaio
ed altrettanti sono in preparazione da parte degli istituti scientifici e
dei Servizi Fitosanitari Regionali.
Dalle analisi di routine (acquisite ormai fin dagli anni ’70) per
33
virus e malattie infettive (vedi analisi ELISA e sierologiche), si è
passati all’uso della PCR e quindi dei marcatori molecolari con
tecniche specifiche e molto sensibili, che permettono di collegare
sul piano genetico l’agente eziologico al sintomo osservato.
È così nata un’”epidemiologia molecolare” per singole
malattie, che si avvale anche della chimica combinatoria, oltre che
di quella analitica. Per favorire la diagnostica sono ora disponibili
numerosi kit commerciali predisposti da ditte specializzate (in
genere non italiane).
Ad esempio, per la Botrytis cinerea (metodi ELISA e
immunofluorescenza), per le Phytophthora spp, l’ELISA in combinazione con Alert-Lf. Poi sono rese possibili analisi DNA macroarray
con preparati a marchio DNA Multiscan e DNA Turfscan (il primo
utilizzato per identificare le Phytophthora spp). Sono noti anche
Multiscreen per la PCR, Toq Man per la Real Time-PCR ecc.
Abbastanza precise sono anche le tecniche molecolari per
l’individuazione dei vari fitoplasmi (dagli scopazzi del melo, alla
flavescenza dorata della vite, al pear decline, ossia il deperimento
del pero, al posto della tecnica microscopica vascolare, colorimetrica del DAPI).
3) Tecniche vivaistiche di propagazione
La micropropagazione è molto utilizzata per la produzione
dei portinnesti delle drupacee (es.”GF 677”) (fig.1); limitatamente
alla preparazione del materiale di élite o del materiale di fonte,
anche nelle pomacee, in generale ha enormemente contribuito a
migliorare le tecniche vivaistiche. Altre tecniche vanno via via
modificando i cicli produttivi: il margottaggio di ceppaia per i cloni di
melo e di cotogno, la modifica dei tipi d’innesto (con l’adozione del
chip-budding e del ciclo breve di produzione degli astoni), il
microinnesto per il risanamento, l’allevamento di piante preformate
in vivaio, il controllo della crescita dell’apparato radicale (taglio delle
radici) per ridurre la vigoria, il controllo della crisi di trapianto,
l’utilizzo dei contenitori per favorire la piantagione “fuori epoca”
durante la vegetazione. Un forte impatto ha pure la tecnologia
imposta dalla regolamentazione per la certificazione geneticosanitaria (o per ottemperare alle norme CAC e del “bollino blu”) che
sempre più si vanno estendendo per portare il nostro vivaismo in
Europa e per farlo sopravvivere nella competizione internazionale
(fig. 2). Anche il vivaismo, dunque, sta affrontando le sfide della
frutticoltura per vincere le crescenti difficoltà che caratterizzano lo
34
scenario internazionale: non si tratta, infatti, di produrre piante di
qualità oltre quanto stabilito dalle norme di certificazione (per
garantire gli aspetti sanitari e la rispondenza genetica), ma di
conquistare, nella crescente competizione per l’acquisizione dei
brevetti, sufficiente numero di diritti IPR (cioè di proprietà
intellettuali) sulle varietà del futuro. In pratica, di poter disporre delle
novità più interessanti, visto che non saranno più i vivaisti a
orientare il mercato, ma i gruppi di business che dispongono dei
Fig. 1. COLTURE INVITRO
E MICROPROPAGAZIONE
IN VITROE
(Ceppaie melo in vivai industriali del ferrarese)
(DCA - Bologna)
migliori pacchetti di varietà e portinnesti sulla scena europea.
Speriamo che i produttori non rimangano alla finestra o non
vogliano recitare un semplice ruolo di comprimari e di permanente
dipendenza dagli altri soggetti della filiera produttiva (Sansavini et
al., 2006).
35
4) Fisiologia della fruttificazione e miglioramento qualitativo
dei frutti
Nuove metodologie di ricerca (nei campi della biologia e fisiologia
molecolare, biochimica-enzimologia, pomologia ecc.) hanno dato la
possibilità ai ricercatori di rivedere e approfondire quasi tutti i
processi dello sviluppo, dall’assorbimento radicale alla fruttificaFig. 2. TECNICHE DI PROPAGAZIONE VIVAISTICA
E CERTIFICAZIONE
Servizio Nazionale di
Certificazione
MiPAF e SFR
Controlli genetici e sanitari
eseguiti dai Servizi
Fitosanitari Regionali
Ente
Ente Certificante
Certificante
Conservazione
Conservazione per
per la
la
Premoltiplicazioone
Premoltiplicazioone
PRE -BASE
Premoltiplicazione
Premoltiplicazione
BASE
Moltiplicazione
Moltiplicazione
CERTIFICATO
(p.i.)
Vivaio
Vivaio
CERTIFICATO
(astoni)
zione e alla maturazione, per conoscere cosa avviene nella pianta,
come questa reagisce alle pratiche colturali, come controllare il
ciclo produttivo e la qualità dei frutti. Ad esempio, oggi importa
molto conoscere l’efficienza produttiva degli alberi (es. capacità di
assunzione di acqua e nutrienti, di fissazione del carbonio e di
utilizzo dello spettro radiante) (fig. 3); conta molto, per le
implicazioni pratiche, determinare o verificare l’efficienza degli input
energetici legati alla produttività e alla qualità del frutto
(dall’impollinazione all’allegagione, dal diradamento alla cascola)
fino all’individuazione dei migliori indici di raccolta e qualitativi. In
pratica, le conoscenze ecofisiologiche, sia della funzionalità
dell’albero sia di quella del sistema suolo/pianta/atmosfera, incluso
l’apparato radicale (fig. 4), sono state fondamentali per mettere a
punto nuovi sistemi d’impianto e di allevamento degli alberi. La
36
Fig. 4. MONITORAGGI RADICI E RIZOSFERA, CON APPARECCHIATURA
ELETTRONICA (RIZOTRONE)
(da E. Baldi, DCA, Bologna)
tabella 13 indica le radicali innovazioni che hanno profondamente
modificato gli impianti e i disegni dei frutteti negli ultimi anni.
Le scelte dei frutticoltori hanno spaziato dalla combinazione
dei fattori suolo, acque e nutrienti, fino al binomio portinnesti/
varietà, distanza d’impianto, forma di allevamento e tipo di potatura
Tab. 13. IMPIANTO E DISEGNO FRUTTETI
• Portinnesti
= verso generale nanizzazione alberi
• Sistemi allevamento = semplificazione operazioni e gestione da terra
• Distanze impianto = verso l’alta densità
• Potatura
= molto limitata su alberi giovani e più mirata alle
tipologia dei rami, all’habitus negli adulti (uso
congiunto di bioregolatori ausiliari)
• Gestione suolo
= abbandono lavorazioni superficiali, sviluppo
inerbimento, limitato diserbo sotto fila
• Difesa
= metodi integrati (disciplinari restrittivi), sviluppo
lotta biologica e biopesticidi
• Acqua e nutrienti
= fertirrigazione, risparmi di acqua e fertilizzanti,
irrigazione localizzata e “deficit idrico controllato”
37
(Sansavini e Neri, 2005).
Tendenza generale è stata ed è tuttora quella di elevare la
densità d’impianto e di semplificare la gestione e il governo da terra
degli alberi.
In tal modo è possibile conseguire due obiettivi fondamentali, fin dal momento dell’impianto (dopo, questi fattori non saranno
più modificabili): a) rapida messa a frutto e maggiore produttività
degli impianti stessi (rispetto a 20-30 anni fa, un meleto produce a
Fig. 3. MISURAZIONI
AUTOMATICHE DEGLI
SCAMBI GASSOSI
DELL’INTERA PIANTA
CON IRGA
(gas analizzatore ad
infrarosso)
Az. Sperimentale a
Cadriano – Università di
Bologna. Misure fotosintesi
pero (L. Corelli Grappadelli)
regime, con la stessa varietà, dal 30 al 50% in più per unità di
superficie); b) più elevato e costante standard qualitativo del
prodotto consegnato alla centrale di lavorazione. In passato, tanti
frutteti avevano solo il 60-80% di frutta di prima qualità, oggi questa
percentuale deve superare il 90% (o comunque non deve scendere
sotto l’80-85%) altrimenti il prodotto che difetta per pezzatura,
colore, aspetti sanitari, disordini fisiologici, non è praticamente
retribuito, o lo è assai poco, per cui l’azienda non farebbe più
bilancio.
Dunque, non è vero che tutti sanno produrre. Occorre
sapere scegliere e poi applicare, conoscere e disporre dei vari
38
fattori della produzione per ben utilizzare un grande apparato
tecnologico (fondamentale è, a tal fine, l’ausilio di un buon servizio
di consulenza tecnica, messo a disposizione dalla cooperativa o dai
servizi privati di assistenza tecnica territoriale o dalle reti regionali
pubbliche o semipubbliche).
La grande competitività di mercato e i prezzi costantemente
bassi liquidati ai produttori negli ultimi anni non permettono più di
sbagliare. Man mano che si rendono disponibili nuovi strumenti
tecnici, occorre subito provare quali benefici se ne possono trarre e
se il costo è ripagato da un ritorno nel prezzo o nella qualità del
prodotto o nella compressione dei costi.
A proposito di qualità, questa oggi non è più definita soltanto
Tab. 14. Parametri qualitativi di mercato delle principali specie e varietà di frutta
Durezza
(kg)
R.S.R. (% )
Acidità
(m eq/10 ml)
Gusto prevalen te
Arom a
Giudizio
organ olettico
16.0-16.5
15.0-15.5
1.27
0.98
Equilibrato
Dolce
Live-M edio
M edio-Elevato
Scarso-Abb.Buon o
Buono
2.9
1.9
12.0
12.5
1.8
1.2
Dolce-E quilibrato
Equilibrato
M edio
M edio
Abb. Buono-Buon o
Abb. Buon o
3.6
3.0
9.6
9.0
1.1
1.1
M edio
M edio
Scarso-Abb. buono
4.6
11.4
1.1
Equilibrato
AciduloEquilibrato
Dolce-E quilibrato
4.0-4.5
4.0-4.5
10.5-12.0
11.0-12.0
0.5-0.7
1.3-1.5
4.0
11.9
1.6
(raccolta)
(consum o)
(raccolta)
(con sum o)
(raccolta)
(con sum o)
5.0
1.2-2.0
5.5
0.8-1.5
6.5
0.8-1.2
13.0-14.0
13.0/14.0
13.0-15.0
13.0/14.0
10.0-12.0
11.0/13.0
0.2
0.15
0.3-0.4
0.3
(raccolta)
(con sum o)
(raccolta)
(consum o)
(raccolta)
(con sum o)
(raccolta)
(consum o)
7.2-7.6
6.0
7.0
5.0
6.5
3.5
7.5-8.0
6.0
14.0-15.0
15.0
12.0-15.0
12.0-14.0
13.0
12.0-14.0
15.0-16.0
15.0/16.0
0.6
0.35
0.5
0.3
0.6-0.8
0.4
1.0-1.2
0.7
C IL IE GIO D O L C E
Giorgia
Lapins
S U SIN O C IN O - GIAP PO N E S E
Fortune
Angeleno
P E SC O
M ay Crest
Sprin g Lady
Elegant Lady
N ET T AR IN E
Big T op
Stark Red Gold
Ven us
PE R O
Abate Fétel
Abate Fétel
Con ference
Con ference
W illiam
W illiam
M EL O
Fuji
Fuji
Gala
Gala
Golden Delicious
Golden Delicious
Pink Lady
Pink Lady
Dolce
Dolce aciduloEquilibrato
Dolce-acidulo
0.2
E levato
E levato
M edio
Buon o-Ottim o
Buono
M edio
A M ID O
(Scala 1/5)
2.3
Buon a - eccellente
Dolce
2.3
Dolce, fon dente
1.4
Buona, com patta
3.5
3.5
Dolce, croccan te,
succo poco acido
Buon a
3.0
Buon a - eccellente
3.0
Soda, croccante,
dolce, eccellen te
E quilibrato-Dolce
Dolce arom atico
Dolce
E quilibrato-Dolce
Equilibrato
P.S. Al di sotto di questi valori minimi standard della prima qualità i frutti dovrebbero essere classificati
di categoria inferiore (Rielaborato da Sansavini e Pratella, 2003 e da Neri, Pratella, Brigati, 2003).
da parametri di routine (peso, forma, colore, assenza di difetti), ma
da una serie di parametri intrinseci fisico-chimici-strutturalisensoriali della polpa (consistenza, tessitura, succosità,
croccantezza, equilibrio del rapporto zuccheri/acidi/aromi, sapore),
che si cerca di individuare attraverso più accurate valutazioni. Sono
d’ausilio indici fenologici, fattori fisiologici, indicatori della
39
maturazione, dell’etilene e della durezza ed elasticità di polpabuccia, viraggio qualitativo degli zuccheri e degli acidi organici, fino
ai test sensoriali post-raccolta sul sapore e sulla complessiva
percezione gustativa del frutto per determinare l’epoca (o la data) di
immissione al consumo. Presto nei mercati i frutti dovranno
riportare anche indici o parametri qualitativi, almeno per
differenziare le categorie di qualità e quindi i prezzi. A tal proposito
la posizione italiana è in contrasto con quella europea che mira a
deregolamentare la qualità, per lasciarla nelle mani del libero
mercato (e allora come tutelare il consumatore?) Per le principali
varietà si conoscono già i parametri minimi della 1a qualità
(Sansavini e Pratella, 2003; Neri et al., 2003) (tab. 14), ma si
dovrebbero diffondere e far conoscere anche quelli ottimali
dell’eccellenza o dell’alta qualità.
La tecnologia ha fatto, dunque, grandi progressi, sia perché
è possibile fare molte misurazioni con strumenti portatili in campo e
Fig. 5. POSTRACCOLTA E CONSERVAZIONE
MATURAZIONE E QUALITA’ DELLA FRUTTA
Metodologia NIR di analisi qualitativa non
distruttiva del singolo frutto all’Università di
Bologna (G. Costa)
assai sofisticati o robotizzati in magazzino (vedi la selezionatrice
francese Pimprinel), sia per le nuove tecnologie laser
non
distruttive del NIR (near infrared spectrometry) già uscite dalla
fase sperimentale ed entrate nelle catene di selezioneclassificazione degli stabilimenti di lavorazione più moderni.
In tal modo è ora possibile classificare i prodotti non solo
40
attraverso requisiti estetici, ma anche intrinseci del prodotto (fig. 5).
Ci avviamo cioè verso una nuova rivoluzione nella classificazione dei prodotti. Al momento è aumentata anche la confusione,
perché se si calcola il totale delle combinazioni possibili (classi di
pezzatura e colore per classi di maturazione e di titolo di S.S.), si
arriva facilmente a superare 10-15 categorie di prodotto e
nessuna ditta può permettersi una simile segmentazione nella
catena di lavorazione automatica (rispetto alle 4-6 linee attuali).
5) Gestione di suolo, acqua e nutrienti
Apparentemente la gestione del frutteto sembra essere
ormai definita e invariata da molti anni. Al Nord la scelta dei
frutticoltori è ovunque orientata all’abbinamento del diserbo chimico
(limitato a una striscia minima sotto la fila) con l’inerbimento della
F ig . 6. A P P A R A T I E AU T O M A T IS M I E L E T T R O N IC I
N E L L A F E R T IR R IG A Z IO N E F R U T T IC O L A
corsia interfilare. Nel modello di coltivazione biologica e in certi casi
integrata, si sta andando verso la sostituzione del diserbo chimico
(Basta o Rondoup o prodotti simili) con pacciamatura di materiale
organico (talvolta con film plastico sotto fila), o più raramente (nel
biologico) si ritorna alla fresatura meccanica con scavallatrici lungo
il filare.
Questa tecnologia (inerbimento/diserbo) è ormai consolidata, ma non è scevra di innovazioni, che hanno progressivamente
riguardato le tecniche di somministrazione d’acqua e concimi. I
41
metodi di irrigazione sono stati dapprima rivoluzionati (trent’anni fa)
dall’irrigazione localizzata a goccia o a spruzzo che, successivamente, si sono evoluti verso la fertirrigazione, favorita dal
controllo elettronico della miscelazione, filtraggio e pompaggio
degli elementi nutritivi (fig. 6).
In pratica, la fertirrigazione si sta diffondendo ovunque,
perché consente di ridurre al minimo il consumo idrico e di dosare i
nutrienti lungo tutto il corso della stagione irrigua. In tal modo la
frutticoltura si avvantaggia sul piano ecologico, riducendo al minimo
l’impatto ambientale (in particolare tendono a scomparire
l’inquinamento della falda acquifera, la dispersione dell’azoto e
degli altri nutrienti), ma anche per assecondare le necessità di
risparmio idrico nelle aree carenti di acqua (e queste non sono solo
al Sud). Molto importanti sono anche le modalità di calcolo dei
fabbisogni idrici, attraverso i monitoraggi combinati dell’evapotraspirazione della chioma e del suolo, in combinazione con i
parametri biologici (es. potenziali idrici di radici e fusto e
conduttanza stomatica fogliare) (Xiloyannis et al., 2005). L’obiettivo
è il calcolo del bilancio idrico in tempi reali, giorno per giorno,
mettendo il coltivatore in condizione di applicare un metodo
scientifico, (vedi i software Irrinet e TecnIrri messi a punto dal
Canale Emiliano-Romagnolo) e di introduzione anche di tecniche
più risparmiose (come il “deficit idrico controllato”) oppure di mirare
al controllo dello sviluppo del frutto, con restrizioni idriche oltre che
con apporti calcolati di macro e microelementi (per regolare la
pezzatura o l’epoca di maturazione o la frigoconservazione o altri
aspetti della qualità).
In alternativa a questa tecnica di “alta precisione” nel calcolo
del fabbisogno idrico, in certe aree (per es. in Trentino Alto-Adige)
si continua a far uso dei metodi tensiometrici, che nei suoli non
pesanti e non molto profondi riescono a dare un indice
relativamente attendibile sullo stato idrico del suolo (nel range
compreso fra capacità idrica e coefficiente di appassimento, più
vicino al secondo che al primo).
Occorre anche tenere presente che non solo la disponibilità
di acqua, ma anche il suo costo, diventano sempre più elementi
determinanti ai fini della scelta tecnica.
La conclusione è che attualmente i consumi idrici si sono
attestati in volumi dosati non superiori ai 20-25 mm nelle settimane
di luglio e agosto (invece dei 30 ed oltre di qualche anno fa), con un
totale stagionale non inferiore a 200-250 mm (< 2.500 mc/ha), il che
42
significa in certi casi un dimezzamento di quantità d’acqua totale
ma assai meglio distribuita (tab. 15). Per la verità le sempre più
precoci estati hanno anticipato negli anni scorsi la criticità irrigua
evidenziandone le conseguenze (negative) fin dal mese di maggio.
Ciò ha fatto saltare schemi empirici e talvolta anche la possibilità di
usare il metodo del “deficit idrico controllato” (così come la
possibilità di limitare al massimo il quantitativo di concimi solubili).
Nel caso del melo è stato dimostrato che si può ridurre l’apporto di
fertilizzanti a soli 40/50 kg/ha di azoto, e a meno di 60/80 kg di K20
e meno di 20 kg di P205.
Anche per la peschicoltura, abitualmente utilizzatrice di
quantità superiori di acqua e nutrienti, si vanno configurando
rilevanti economie di consumo idrico e di fertilizzanti, senza
penalizzare la qualità delle pesche. E’ difficile evitare, però, una sia
pur minima sopportabile, compromissione della quantità di frutta
prodotta (e anche della pezzatura). I risultati finora, in varie
situazioni sono stati discordanti. Occorrono, quindi, ulteriori dati
probatori, pro o contro.
6) Produzione integrata e biologica
I principi della produzione frutticola integrata sono ormai di
dominio pubblico e sono divenuti una pre-condizione per poter
competere sui mercati con possibilità di successo. Negli anni ‘80/90
sono serviti talvolta a creare valore aggiunto, oggi non più, perché il
“processo” (cioè le tecniche di coltivazione) deve ovunque
caratterizzare la sostenibilità della coltivazione (economica, sociale,
alimentare), da cui anche la dizione americano-anglosassone di
frutticoltura ecologica ed ecocompatibile. Insomma, a questa
urgenza di sicurezza alimentare c’è l’altra non meno importante di
salvaguardia e tutela ambientale, per ridurre inquinamento di suolo
e di falde acquifere, per rispettare la flora microbica, la fertilità
anche futura del suolo, la biodiversità, in una parola
l’agroecosistema.
Questi principi sono stati definiti nell’arco di un decennio e
(fig. 7) sono stati fatti propri delle organizzazioni dei produttori e da
tutte le grandi catene distributive (GDO), dalle associazioni di
consumatori, dai gruppi di esportazione, dai trader internazionali,
dai gruppi ambientalisti, e sono emersi sempre dagli indirizzi sanciti
dalla politica governativa.
Chi coltiva e produce si deve perciò allineare, e per far
43
questo deve disporre di alcuni strumenti operativi (Sansavini, 2004b
e 2005) che sono:
- il disciplinare di produzione (guideline) imposto dall’esterno
o dal proprio organismo (cooperativa, consorzio, gruppo
associativo); ogni anno i disciplinari diventano più severi (viene
ridotto il numero di p.a. utilizzabili, al fine di ridurre il rischio
tossicità; vengono talvolta alzate le soglie dei residui, per evitare di
incappare nei limiti restrittivi dei Paesi importatori, ecc.);
- le aziende debbono disporre di servizi tecnici specialistici
efficienti; servizi che in alcuni casi sono pubblici, ma più spesso
privati o misti, basati spesso su reti di monitoraggio, su
collegamenti on line e interattivi fra coordinamento tecnico e
recettività aziendale, su modelli gestionali non solo per il controllo
delle malattie, ma inerenti le altre scelte tecnico-colturali;
- la frutta deve essere sottoposta, già in campo, a periodici
rilevamenti analitici, a garanzia che il quaderno di campagna e gli
impegni sottoscritti dal coltivatore ad inizio campagna sono stati
mantenuti. Altrimenti scattano sanzioni (si è estromessi dal
“processo”); per ora a questo riguardo si sono visti molti
compromessi e anche varie controversie;
- la frutta così prodotta deve essere riconoscibile dal
consumatore. Pertanto, occorre un “marchio di processo” che può
FIG . 7. COM E CONCILIARE LE COLT URE INTENSIVE
CON I CRITERI DELLA SOST ENIBILIT À?
INTENSIVAZIONE
COLTURALE
Rivoluzione
- chim ica
- tec nologica
- genetica
Am biente
SO STENIBILITA ’
• per lotta integrata e biologica
• per controllo e governabilità alberi
(tecn. m eccanica)
• per ad attabilità am bientale
• controllo m alerbe
• diradam ento fruttific azione
• m iglioram ento q ualità frutti
• genetic a (v arietà e portinnesti)
• Risorse energetiche rinnovabili (acqua e luce)
• Fertilità suolo (struttura, s ostanz a organic a,
m icroflora)
• Biodiversità e g erm oplasm a
• Tutela agro-ecosis tem i
Salute c oltivatori e c onsum atori (sicurezz a alim entar e)
Redditività delle colture
Im plem entazione attività ec onom ic he territorio, prod otti tipici
Sviluppo rurale e q ualità vita
QUALE COM PROMESS O FRA LE DUE LINEE DI TENDE
TE NDE NZA?
O ccorrono un costante flusso di ricerca, innovazione e accurate verifiche in cam po
44
essere privato (generalmente) o anche pubblico. Ma sta prevalendo
il concetto che l’etica di produzione (attestata da un marchio di
processo) non equivale necessariamente ad una garanzia di qualità
che mira invece a conseguire gli standard parametrici ottimali,
diversi a volte da varietà a varietà. Pertanto, commercialmente, le
imprese hanno più interesse a investire sul marchio di qualità che
serve a fidelizzare il cliente, piuttosto che ad affidarsi a controlli (e
marchi) pubblici di processo o di qualità, se questi devono essere
volontari (oltre che retribuiti).
Vi sono grandi imprese (es. le diciassette cooperative della
Val di Non) che hanno unificato marchi di qualità e di processo (es.
Melinda), altre invece che preferiscono tenerli separati, come
avviene per le mele della provincia di Bolzano (Agrios, logo di
processo e Marlene, marchio di qualità per tutte le varietà prodotte
nel territorio, sono infatti tenuti distinti);
Un discorso a parte merita la produzione biologica, perché
richiede l’utilizzo di disciplinari che rigettano tutti i preparati di
sintesi chimica, per cui la permissività per i soli prodotti cosiddetti
“naturali”, organici o minerali, spesso non è di sufficiente garanzia
all’esito tecnico ed economico della coltivazione, specie nelle aree
dove soccorrono masse critiche, incontrollabili, di patogeni e fitofagi
(Sansavini e Kelderer, 2005). D’altra parte, non bisogna rifiutare a
priori il biologico, perché quando i metodi di difesa proposti
diventano convenienti devono essere subito introdotti anche nella
produzione integrata. Si veda il caso dei feromoni che, in alternativa
alla lotta chimica alla Carpocapsa delle pomacee, ha sfondato
come metodo biologico della produzione frutticola integrata (PFI),
necessitando solo di una modesta integrazione di trattamenti
chimici. Cosicché tra i due sistemi (integrato e biologico) non deve
sussistere antagonismo, ma integrazione (Sansavini, 2006 b) (fig.
7).
Un buon compromesso deve essere perseguito a vantaggio
anche dei consumatori, tanto più che la produzione frutticola
biologica non supera il 2-3% di quella complessiva. Molto variabile
è la PFI delle diverse colture, specialmente nelle varie regioni;
infatti, raggiunge o supera il 90% in Alto Adige e il 50/60% in Emilia
Romagna (complessivamente per pomacee e drupacee) e può
scendere anche ad appena il 30% nelle aree del Centro Sud.
45
29,8
30,2
223
111
0
600
222
222
352
352
RDI 100%
RDI 50%
RDI 100%
Efficienza d'uso acqua (compresa
acqua di pioggia)
Efficienza dell'irrigazione (al netto
delle precipitazioni)
grammi sostanza secca frutto / litri di
acqua consumata
WUE
IWUE
g/L
RDI 50%
Restituzione 50% ETc
100% ETc F1, F3, RDI F2, F4
(RDI = Deficit idrico controllato con
irrigazione normale nelle fasi 1 e 3 e
RDI nelle fasi 2 e 4)
50% ETc F1, F3, RDI F2, F4
ETc 50%
(Evapotraspirato della coltura)
Non irrigato
Restituzione 100% ETc
23,8
25,8
24,7
28,5
29,9
=
-
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
--
-
=
-
--
=
--
-
--
=
--
-
=
=
-
-
--
Variazione legno
potatura
-
--
Variazione
pezzature
7,78
7,76
7,31
7,20
7,66
6,49
6,67
5,43
7,62
15,17
15,56
18,94
13,08
6,10
5,37
5,46
4,39
8,58
8,96
7,60
7,94
5,46
9,70
(g/L)
WUE *
9,11
8,30
5,64
6,08
-
4,39
4,34
2,75
-
1,74
1,74
-
-
2,01
2,73
1,80
1,93
-
7,48
5,52
5,42
2,42
-
(g/L)
IWUE *
78
55
50
0
35
50
0
51
41
0
64
29
50
0
64
28
50
0
(% )
Risparmio acqua
46
° Anconelli, S., Mannini, P. Effects of regulated deficit irrigation on the performance of pear in
an Italian sub-humid area. Acta Hort. ISHS, 596, 2000: 687-690.
° Battilani A., Regulated deficit of irrigation (RDI) effects on growth and yield of Plum tree.
Acta Hort. ISHS, 664, 2004:55-62
° I dati delle prove su Pesco sono ancora inediti
° Anconelli, S., Solimando, D., Guidoboni, G., Mannini, P. L'applicazione dello stress idrico
controllato nell'irrigazione del melo. Italus Hortus, 15 (2), 2008: 15-22.
° Anconelli, S., Mannini, P. Vite: un'irrigazione oculata crea l'equilibrio tra resa e qualità.
Rivista di Agricoltura, 5, 2006, 90-92
Lavori citati
* Legenda: dati sperimentali del Canale Emiliano Romagnolo (Bologna). Valori medi
relativi all'intero periodo vegetativo.
26,03
280
RDI 50%
Test
52,05
280
RDI 100%
ETc 100%
58,44
116,88
280
ETc 50%
280
ETc 100%
Correggio (MO)
21,4
0
cv. Ancellotta/SO4
31,7
170
318
280
Test
RDI 100%
Vite (CER 2000 - 2003)
318
31,4
260
130
318
ETc 50%
24,3
32,0
ETc 100%
0
318
cv. Fortune/Mirabolano 29c
86,4
399
Test
RDI 100%
32,3
30,4
41,9
35,6
Susino (CER 1998 - 2002)
103,5
399
ETc 100% (RDI postraccolta)
399
Russi (RA)
30,5
0
176,7
399
Test
ETc 100%
214
352
RDI 50%
cv. Caldesi2000/Franco
428
352
RDI 100%
Consandolo (FE)
Pesco (CER 1993 - 1995)
34,5
300
352
ETc 50%
cv. Gala/M9
41,8
Test
ETc 100%
Melo (CER 2004 - 2006)
33,8
29,9
29,0
310
155
222
ETc 50%
Monestirolo (FE)
222
ETc 100%
cv. Conference/BA29
21,5
0
222
Test
Pero (CER 1994 - 1999)
(t/ha)
(mm)
(mm)
Resa produttiva
Irrigazione
Precipitazione
Met. restituzione acqua
Specie e varietà
Tab. 15. RISPARMI IDRICI CON LE NUOVE TECNICHE DI GESTIONE IRRIGUA
Bibliografia
Anconelli S., Mannini P., Solimando D., Guidoboni G. Effetti della
gestione irrigua sul melo tramite stress idrico controllato. Riv.
Frutticoltura, 2008, 5:52-59.
Anconelli, S., Mannini, P. Effects of regulated deficit irrigation on the
performance of pear in an Italian sub-humid area. Acta Hort.
ISHS, 596, 2000: 687-690.
Battilani A., Regulated deficit of irrigation (RDI) effects on growth and
yield of Plum tree. Acta Hort. ISHS, 664, 2004:55-62
Della Strada G., Fideghelli C., 2002. Le colture di pomacee e drupacee
introdotte nel mondo dal 1991 al 2001. Informatore Agrario,
41:65-70.
Di Paolo I., L’attività di sostegno ai servizi di sviluppo per l’agricoltura.
Ed. Regione Campania, Assessorato Agricoltura e INEA, Ist.
Naz. Economia Agraria, 2006, pp 370.
Jaillon O. et al. The grapevine genome sequence suggests ancestral
hexaploidization in major angiosperm phyla. The French-Italian
public consortirum for grapevine genome characterization,
Nature, 2007, 449, 463-467.
Monastra G. Gli OGM e la ricerca nel campo agroalimentare in Italia.
In Agrobiotecnologie nel contesto italiano. Ed. INRAN, Roma,
2006, 1-19.
Neri F., G.C. Pratella, S Brigati, Gli indici di maturazione per
ottimizzare la qualità organolettica della frutta. Riv. di
Frutticoltura, 5/2003, 20-29.
Sansavini S., Biotecnologie OGM applicate alle specie arboree da
frutto: a che punto siamo? Riv. Frutticoltura, 1/2004a), 49-52.
Sansavini S., Europe’s organic fruit industry, Chronica Hort. 2/2004b),
6-11.
Sansavini S., “Sì alle tecnologie e no a questi brevetti”, Terra e Vita,
18/2004c), 53-57.
Sansavini S., Produzione frutticola biologica e integrata: il nome non
basta. Riv. Frutticoltura, 2/2005, 15-19.
Sansavini S., F. Donati, F. Costa, S. Tartarini. Il miglioramento
genetico del melo in Europa: tipologie di frutto, obiettivi e nuove
varietà. Riv. di Frutticoltura, 2005, 11:14-27.
Sansavini S, Dove va la frutticoltura italiana? In Annali Accademia
47
Nazionale di Agricoltura, Bologna, Anno Accademico 199, 2006
a, V Serie, 29-83.
Sansavini S., The role of research and technology in shaping a
sustainable fruit industry: european advances and prospects,
Revista Brasileira de Fruticultura, 2006 b, v. 28, n. 3, 550-558.
Sansavini S., G.C. Pratella, Definizione degli standard qualitativi per la
raccolta, la conservazione e il consumo delle principali varietà di
specie da frutto. Riv. di Frutticoltura, 5/2003, 9-11.
Sansavini S., Kelderer M., La frutticoltura biologica in Europa: stato
dell’arte, diffusione, soluzioni, prospettive. In Frutticoltura
biologica: ricerca, gestione e orientamenti della produzione e del
mercato, Cesena, 6-8, Italus Hortus, 2005, 12, 3: 9-12
Sansavini S., D. Neri, Forme di allevamento e potatura del pesco. In “Il
pesco”, a cura di C. Fideghelli e S. Sansavini, Edagricole, 2005,
pp 115-142.
Sansavini S., P. Inglese, Fabbisogno e obiettivi sostenibili della ricerca
agroalimentare e fruttiviticola. Orientamenti istituzionali italiani ed
europei su scelte tematiche e relativi finanziamenti. Convegno
Ricerca in Ortofrutticoltura. Nuove strategie e linee guida dei
progetti nazionali e internazionali – Cesena, 6 maggio 2006:
Fascicolo MACFRUT.
Sansavini S., F. Donati., F. Costa, S. Tartarini, Advances in apple
breeding for enhanced fruit quality and resistance to biotic
stresses: new varieties for the European market, J. Fruit Ornam.
Plan Res. Ed. vol. 12, Special issue, 2004: 13-52.
Sansavini S, S. Venturi, S. Lugli. Innovazioni tecniche e sviluppo del
vivaismo frutticolo. Riv. di Frutticoltura, 12/2006, 18-32.
Sansavini S., S. Lugli, La situazione brevettuale delle nuove varietà da
frutto in Italia e in Europa. Riv. di Frutticoltura, 7/2007, 6-19.
Sansavini S., D. Bassi, R. Testolin, Miglioramento genetico e ricerca
biotecnologica per il rinnovamento varietale, In AA.VV., Nuove
Frontiere dell’Arboricoltura Italiana, pp 303-338, a cura di S.
Sansavini, Ed. Alberto Perdisa, Bologna, 2007.
Velasco R. La sequenza consenso del genoma di una varietà di vite
coltivata. Riv. di Frutticoltura, 2008, 12.
Xiloyannis C., Massai R., Dichio B., L’acqua e la tecnica
dell’irrigazione. In “Il pesco”, a cura di C. Fideghelli e S.
Sansavini, Edagricole, 2005, pp 145-171.
48
Cinquant’anni di sperimentazione per lo sviluppo della
frutticoltura veronese (prima parte, 1955-1990)
Giorgio Bargioni
Primo Direttore dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura, Provincia di Verona
Quando nel 1954 la Provincia di Verona su sollecitazione del
Capo dell’Ispettorato Compartimentale dell’Agricoltura delle
Venezie, prof. Viscardo Montanari, deliberò di dare vita al nostro
Istituto, la frutticoltura veronese doveva affrontare vari problemi di
rinnovamento che in particolare riguardavano sia l’assortimento
varietale delle principali specie coltivate sia aspetti agronomici che
nascevano dalla necessità di affrontare decisamente la
specializzazione delle colture. Fra questi, i più rilevanti erano quelli
Fig. 1 - 1955, la sede e il terreno a disposizione a Borgo Roma
della peschicoltura, ancora in gran parte rappresentata da filari
distanziati, del ciliegio, che era colpito da una preoccupante morìa,
del pero, ancora quasi totalmente innestato su franco. Il nostro
lavoro cominciò il 2 gennaio 1955.
49
Non essendo ancora pronta la sede definitiva (fig. 1) l’inizio
dell’attività ebbe luogo in una villetta vicina (in via Pasquale
Benedetti), ma si poté subito provvedere alla preparazione del
terreno dell’azienda sperimentale di quasi tre ettari, scorporato
dall’ampio podere, in dotazione al vicino Ospedale Psichiatrico,
tenuto a prato con filari di gelsi. Eravamo in tre: il perito Tiziano
Tosi, il custode della sede Gaetano Galvani e chi scrive; solo più
tardi, nel 1959, fummo affiancati dal dott. Silvio Bonfante.
Ma, fin da quando cominciarono i lavori di campagna,
l’Istituto si e’ avvalso e si avvale dell’opera di diverse persone,
Fig. 2 - Collezione di cultivar di pero
senza le quali non si sarebbero potute, ne’ si potrebbero sviluppare
e portare a compimento tante ricerche e tante iniziative: mi riferisco
agli operatori d’azienda, che sono qui presenti o rappresentati: da
Alfonso Accordini a Carlo e Simonetta Bedoni a Lucidio Bonadiman
a Attilio Bonvicini, da Antenore De Guidi a Flavio De Togni, da
Mario Frigo a Angelina Gasparato, da Angelo Gesuita a Michele
Marcolin, da Livio e Zefferino Mantovani a Ambrogio Salomoni, da
Carlo Scapini, da Marcellino Tomelleri a Matilde Visentin a
50
Giancarlo Zanella a Nello Zanoni, ai quali va il grazie nostro e
dell’Amministrazione. Un ringraziamento speciale va a Luisa
Galvani, dal 1974 al 1999 aiuto prezioso nell’espletamento delle
pratiche amministrative e burocratiche sempre più opprimenti.
Ne’ si possono dimenticare coloro che ancor oggi collaborano: Roberto Buniotto, Renzo Padovani, Paolo Pasetto, Franco Ulmi
Fig. 3 - La mostra settimanale di frutta
e Giuseppe Ziviani.
Ho avuto occasione, nel 1985, quando si celebrarono i primi
trent’anni del nostro lavoro, di presentare un excursus sulle attività,
le iniziative, i risultati che l’Istituto aveva svolto e raggiunto fino a
quella data. Cercherò di riassumerne gli aspetti essenziali.
In un primo periodo cercammo di aggiornare le conoscenze
dei frutticoltori sulle varietà nuove che permettevano di migliorare
l’offerta di prodotto; si dette inizio, cioè, ad un vero e proprio lavoro
di orientamento varietale e lo facemmo creando collezioni di
varieta’ nelle nostre aziende (fig. 2).
Quelle collezioni, che fino agli anni 70 erano fra le più ricche
d’Italia, ci permisero di organizzare, per una decina d’anni, mostre
settimanali presso la sede, dando la possibilità ai coltivatori e ai
tecnici di confrontare le vecchie con le nuove varietà, che a quella
51
epoca, nel caso del pesco, erano soprattutto rappresentate dalle
americane a polpa gialla.
In particolare poi ricordo che la collezione del pero (fig. 2) ci
Fig. 4 - Lavoro per ottenere incroci controllati di ciliegio
permise di segnalare per la prima volta la spiccata tolleranza nei
riguardi della psilla da parte dell’antica varietà “Spina Carpi”,
mentre la collezione varietale di ciliegio, oltre a permetterci
l’esecuzione di incroci controllati, ci consentì di realizzare una
mostra pomologica all’Istituto nel luglio 1974, mostra nella quale
esponemmo 75 campioni di ciliegie dolci e 16 campioni di nostri
incroci scelti fra i più interessanti.
Divulgammo indirizzi sulle tecniche colturali più razionali,
grazie anche ai risultati delle numerose ricerche sugli apparati
radicali (fig. 5); questi studi, che permisero per la prima volta di
accertare la repulsione esistente fra radici di alberi della stessa
specie, ci valsero l’attenzione di Svizzeri e di Francesi che ci
invitarono ad illustrarne i risultati presso di loro. Sollecitammo per il
pero l’introduzione della “Conference”, allora quasi sconosciuta a
Verona, e la coltivazione specializzata attraverso l’adozione
dell’allevamento a palmetta e del cotogno come portinnesto (nel
1956 il pero era ancora quasi esclusivamente innestato su franco
ed allevato a piramide in filari ai margini di appezzamenti di colture
52
erbacee). Proponemmo l’impiego di portinnesti deboli per il melo
per ridurne la mole e facilitare le diverse operazioni colturali, ma
questo tentativo fu vano: i tempi non erano ancora maturi; lo
sarebbero divenuti nei primi anni ‘70 con le iniziative di Antonio
Grigolini e di Giuseppe Aprili a Buttapietra. Per il pesco potemmo
promuovere l’abbandono del vecchio sistema irrazionale di aprire
un paio di solchi ai lati dei filari per interrare i concimi. Per il ciliegio,
che dai primi anni ‘50 era colpito da diffusi fenomeni di morìa,
trovammo che la causa principale del malanno era da ricercare in
fattori di carattere agronomico, come fu confermato diversi anni
dopo da altre indagini dell’Osservatorio per le Malattie delle Piante.
Le collezioni di pesco e di ciliegio furono progressivamente
arricchite; ad esse si erano aggiunte fino dai primi anni ‘60 quelle
Fig. 5 - Studio dell’apparato radicale del ciliegio
di fragola, attraverso nuovi impianti effettuati prima nell’azienda di
Ponton presso Domegliara (fig. 6), poi in quella del Bovolino di
Buttapietra e in quella che la Cassa di Risparmio aveva messo a
disposizione a Villafranca per indagini anche di carattere
economico su pero, melo e pesco. Questa azienda, per merito di
Silvio Bonfante, divenne centro di riferimento, particolarmente per
tutta l’area occidentale della provincia, sia per gli aspetti della tec53
nica colturale sia per quelli della biologia fiorale. Dal punto di vista
della tecnica colturale, costituì un primo esempio di impianti di melo
su portinnesi clonali e campo dimostrativo delle tecniche di potatura
ed allevamento; per gli aspetti di biologia fiorale sostenne
l’importanza dell’apicoltura per l’ottenimento di produzioni eccellenti
per quantità e qualità.
Fig. 6 - 1962, l’azienda sperimentale di Ponton S. Ambrogio di Valpolicella (VR)
Fig. 7 - Vivaio di fragole in montagna
54
A proposito della biologia fiorale, mi piace ricordare,
nell’ambito delle numerose ricerche che conducemmo sugli
impollinatori dei ciliegi, quelle realizzate in collaborazione con
l’Istituto di Coltivazioni Arboree dell’Università di Padova sulla
biologia fiorale della “Mora di Cazzano”; questa eccellente cultivar
veronese presenta un periodo utile di impollinazione molto breve
ma è altamente produttiva, contrariamente al parere di molti, se
ben consociata e ben impollinata. Gli Amici di Marano Valpolicella
ne sono testimoni.
Ampia è stata la collaborazione con le istituzioni agricole
locali, e particolarmente quella con l’Ispettorato Provinciale
dell’Agricoltura e con il Comitato Tecnico per l’Ortofrutticoltura
veronese. Ma numerosi furono i nostri interventi anche al di fuori
Fig. 8 - Fragoleti per la produzione autunnale e primaverile
del territorio provinciale: gli Ispettorati Agrari delle zone frutticole
venete, trentine e lombarde ci invitarono spesso a tenere
conferenze tecniche nei loro territori. Intanto i progressi della
ricerca, le innovazioni tecnologiche, le possibilità di comunicare e di
muoversi stavano avanzando rapidamente; per i tecnici e per gli
stessi produttori aumentavano le possibilità di acquisire
informazioni anche in altri centri di sperimentazione, così ritenemmo opportuno di concentrare l’attenzione e, quindi, l’attività su
poche colture e di farlo in maniera approfondita e specializzata: non
dovevamo infatti essere dei polivalenti destinati all’assistenza
tecnica, ma degli sperimentatori in grado di conoscere, se possibile
55
dall’A alla Zeta, i segreti di almeno alcune delle colture che a
Verona avevano aspetti tipici per tradizione e per le condizioni in
cui venivano attuate. Così, mentre Bonfante seguiva
particolarmente da vicino il pesco, Tosi ed io ci dedicammo, in
Fig. 9 – (1957) Si prepara la prima prova di forzatura del pesco
particolare, alla fragola ed al ciliegio rispettivamente. Per la fragola,
grazie all’opera instancabile di Tiziano Tosi, il nostro Istituto
divenne punto di riferimento per il completo rinnovo della coltura;
con gli Istituti di Coltivazioni Arboree e di Patologia Vegetale
dell’Università di Bologna, eravamo stati i primi, agli inizi degli anni
‘60, a costituire campi di piante madri esenti da virus e selezionate
per i nuovi impianti. Più tardi, fummo i primi a studiare la
convenienza di produrre materiale di propagazione in montagna; e
credo sia del tutto superfluo ricordare l’impulso che ebbe a Verona
la coltura protetta della fragola, per la quale Tiziano Tosi fu l’artefice
della nascita della doppia produzione autunnale e primaverile.
A proposito delle colture protette di altro genere, nel 1957, in
un certo senso anticipammo, come di recente ricordò il prof. Bellini
dell’Università di Firenze, le prove di coltivazione in serra del pesco
56
(fig. 9) coprendo alcuni alberi di “Precocissima Morettini” i cui frutti
maturarono con circa una settimana di anticipo.
Per il ciliegio credo siano noti i risultati ottenuti con le undici
nuove varietà costituite attraverso incroci controllati: da quelle
cosiddette normali, fra cui la “Giorgia“ (fig. 10) ormai diffusa un po’
dovunque in Italia, l’“Adriana“, fra le più resistenti alle spaccature da
pioggia, e poi quelle
idonee alla raccolta
meccanica (fig. 11),
che tanto poca considerazione hanno avuto
nel nostro Paese a
differenza di quanto
avviene in Spagna per
varietà analoghe. Il lavoro di miglioramento
genetico per questa
specie attraverso gli
incroci effettuati fino
agli anni ‘90 non ha
Fig. 10 - Cultivar Giorgia
finito di dare risultati:
stiamo per licenziare una nuova varietà autofertile “Lucrezia”
(derivata dall’incrocio “Vittoria” x “C.2.2712” contrassegnata dalla
sigla “i 475”), poco suscettibile alle piogge e di produttività molto
equilibrata, tanto da
non dover richiedere
particolari potature per
evitare la perdita di
pezzatura. Stiamo poi
controllando il comportamento di un altro
incrocio, sigla “i 62”,
che prospetta la possibilità di una raccolta
per scuotimento delle
ciliegie provviste di peduncolo. E stiamo os- Fig. 11 - Tipica suberificazione delle varietà idonee per la
servando una proge- raccolta meccanica
nie di cui fanno parte
individui a maturazione particolarmente precoce.
57
Le ricerche per l’olivo
Nell’ambito delle indagini di biologia fiorale e di tecnica
colturale non potevamo dimenticare l’olivo, per l’importanza
che ha nella nostra provincia.
Nel 1957 e nel 1958 si condussero indagini eliografiche e di
biologia fiorale, contribuendo alla conoscenza delle caratteristiche morfologiche e biologiche
delle cultivar tipiche della sponda orientale del Lago di Garda; i
risultati di queste ricerche furono
presentati al primo Convegno
Nazionale dell’Olivo tenutosi a
Spoleto nel 1962.
Ad intervalli pluriennali
non mancarono osservazioni
ripetute sulle tecniche colturali e
la potatura delle piante, il che ci
consentì, dopo i danni della
gelata del 1985, di guidare, attraverso conferenze e dimostrazioni di campagna, la ripresa
dell’olivicoltura con criteri di Fig. 12 – Ricerche sulla biologia fiorale dell’olivo
razionalità ben maggiore che
nel passato.
La partecipazione a progetti di ricerca in ambito nazionale e
regionale
Le attività svolte e i risultati che si andavano ottenendo ci
valsero l’attenzione di vari Istituti di ricerca, da quelli nazionali (delle
Università, del Consiglio Nazionale delle Ricerche e del Ministero
dell’Agricoltura) ad alcuni stranieri. Attraverso la collaborazione con
gli organismi nazionali fu possibile accedere, fin dalla metà degli
anni ‘70, ai contributi del Ministero dell’Agricoltura e del Consiglio
Nazionale delle Ricerche; più tardi, anche a quelli della Regione
Veneto attraverso l’Ente di Sviluppo.
58
Il buffo è che, secondo qualcuno, questi contributi – che
indicavano un riconoscimento al nostro modo di operare avrebbero potuto, fra virgolette, distrarci dall’attenzione verso i
problemi locali, come se una ricerca collegiale sul pesco o sul
ciliegio o sulla fragola non potesse portare vantaggio anche al
pesco, alla fragola, al ciliegio di Verona. Di questi Progetti ricordo in
particolare quello del Consiglio Nazionale delle Ricerche per la
coltura in vitro, che, attraverso una borsa di studio, aprì la strada
all’assunzione di un valente tecnico, il dott. Ferdinando Cossio, che
mi sarebbe poi succeduto nella direzione dell’Istituto.
Attraverso quei contributi potemmo dotare l’Istituto della
strumentazione indispensabile per la micropropagazione, che
utilizzammo agli inizi per la fragola, poi per il ciliegio e il pesco; per
queste due specie potemmo condurre sperimentazioni sul
comportamento di piante micropropagate a confronto con piante
moltiplicate secondo le tecniche tradizionali. Questa attività fu
presto ampliata anche nell’ambito di progetti a carattere nazionale
grazie all’opera del perito agrario Emanuele Tosi, oggi responsabile
dell’attività per la viticoltura, e soprattutto del dott. Gino Bassi che
iniziò nel 1985 una collaborazione come libero professionista.
Sempre nell’ambito della collaborazione con altri Istituti,
particolare rilievo ebbero quella con il Centro di Studio per la
Tecnica frutticola del CNR, che ci permise di dare un sensibile
contributo alla problematica della raccolta meccanica delle ciliegie;
quella con l’Istituto di Coltivazioni Arboree di Bologna per gli studi
sulla biologia fiorale, quella con gli Istituti di Coltivazioni Arboree di
Padova e di Pisa. Con l’Istituto di Padova, oltre alle indagini sulla
biologia della “Mora di Cazzano”, studiammo il comportamento
produttivo del kaki, conducemmo prove per il diradamento chimico
del pesco e sulla distribuzione delle radici di piante allevate a
bandiera; con l’Istituto di Pisa particolare rilievo ebbero le indagini
sull’alta densità di piantagione del pesco e sulla distribuzione
dell’apparato radicale dell’actinidia; con l’Istituto Sperimentale per la
Frutticoltura di Roma prendemmo parte al Progetto Frutticoltura da
industria e frutticoltura da consumo fresco; con quell’Istituto, come
dirà fra poco il dott. Giorgio Baroni, la collaborazione è continuata
per indagini sui portinnesti del ciliegio e sulle cultivar di fragola.
Per quanto riguarda i rapporti con Istituzioni straniere,
ricordo gli inviti a tenere conferenze sui risultati delle nostre
ricerche in Svizzera (a Sion), in Francia (ad Avignone, a
Montpellier, ad Agen, a Perpignano), in Belgio (a Gembloux), in
59
Bulgaria (a Plovdiv, a Sofia e a Kustendjl). Particolare menzione
meritano anche le collaborazioni stabilite con la Stazione
Sperimentale Canadese di Summerland e con la Stazione de La
Grande Ferrade di Bordeaux per il ciliegio dolce, nonché quella
tuttora in atto per il melo e il ciliegio, nell’ambito dell’organizzazione
“Alpe Adria”, iniziata nella seconda metà degli anni 80.
Nel mio rapporto sui primi trent’anni di attività dell’Istituto, cui
ho fatto cenno all’inizio, concludevo dicendo che si prevedeva di
accrescere il nostro servizio a favore della frutticoltura veronese
grazie al fatto che il personale ricercatore dell’Istituto era più che
raddoppiato negli ultimi anni; a Tosi ed a me si erano infatti aggiunti
il dott. Ferdinando Cossio, che ho già ricordato, il dott. Giorgio
Baroni, il perito Corrado Madinelli. Nel 1985, come già dissi, iniziò
la collaborazione nell’Istituto come libero professionista il dott. Gino
Bassi che, assunto nel 1993, ha il merito oggi di mantenere viva
l’attività dell’Istituto, particolarmente nei settori del ciliegio e del
melo e nell’organizzazione della sperimentazione frutticola, nei limiti
che la situazione attuale consente.
Si era aggiunto inoltre un piccolo gruppo di tecnici, non
specialisti, ma che in breve avrebbero potuto essere di valido aiuto
nella sperimentazione: i periti agrari Umberto Fraccaroli, Emanuele
Tosi, Lorenzo Ballini, Adelino Franco Lonardi, Chiara Tosco,
Giovanni Colombari, questi ultimi due passati poi al Servizio
Fitopatologico della Regione. L’attività a poco a poco poté
estendersi a varie branche anche orticole; furono intrapresi studi su
possibili colture alternative, in particolare su specie di actinidia
diverse dalla deliziosa, si dedicò attenzione al pero, all’albicocco, al
susino. In sostanza fu di nuovo allargata a tutte le specie più
interessanti per la frutticoltura di Verona l’attenzione fin dall’inizio
dedicata ai problemi del miglioramento delle tecniche colturali ed a
quelli del miglioramento del patrimonio varietale e delle produzioni.
Su quel che fu fatto a questo proposito lascio la parola
all’amico Baroni.
60
Cinquant’anni di sperimentazione per lo sviluppo della
frutticoltura veronese (seconda parte, 1990-2005)
Giorgio Baroni, Gino Bassi, Ferdinando Cossio
Istituto Sperimentale di Frutticoltura, Provincia di Verona
Nel 1990 lasciarono l’Istituto, per raggiunti limiti di età,
Bargioni e Tosi, perdemmo così non solo due “unità”, ma bensì
coloro che avevano fatto la storia dell‘Istituto e che lo avevano
LE COLLEZIONI VARIETALI
DELL’ISTITUTO SPERIMENTALE DI FRUTTICOLTURA
specie
1958
1974
1995
2005
PESCO
330
574
200
80
PERO
150
150
60
---
MELO
86
168
150
150
CILIEGIO
35
170
110
100
FRAGOLA
---
59
40
42
SUSINO
---
---
110
---
ALBICOCCO
---
---
30
---
reso famoso. Dalla nostra avevamo una certa esperienza e
soprattutto l’entusiasmo della gioventù che consente di guardare
al futuro con speranza e con la presunzione di poter allargare
l’attività sperimentale a tutte le specie coltivate in Provincia di
Verona.
Dedicammo perciò la nostra attenzione alle seguenti attività:
ƒ
orientamenti varietali e recupero germoplasma
ƒ
miglioramento genetico
ƒ
tecniche colturali
ƒ
colture in vitro
ƒ
agricoltura biologica ed eco-compatibile
61
1a. Orientamenti varietali
L’Istituto partecipò fin dall’inizio al Progetto del Ministero
delle Politiche Agricole “Liste di orientamento varietale dei fruttiferi”. Le collezioni varietali di melo, pesco, pero, susino furono
Fig. 1 - Mostra pomologica di ciliegio
concentrate al Bovolino e nell’azienda di Ponton. L’albicocco a
Sona presso il Centro Quadrifoglio della Coltivatori Diretti e
ancora melo in una azienda messa a disposizione dal comune
di Terrazzo.
Numerose sono state le indicazioni fornite agli agricoltori: le
prime osservazioni di selezioni di ciliegio autofertili canadesi che
poi sono diventate varietà consigliate per il veronese quali “Lapins”,
“Sweetheart”, “Summit”, le prime favorevoli indicazioni sulle mele
“Fuji” ancora nel 1992, sulle “Braeburn” qualche anno dopo sia pur
con qualche riserva per la colorazione, la scelta dei migliori cloni di
“Gala“. Per il pesco si segnalò il buon comportamento di “Maria
62
Laura“, “Maria Bianca“, “Venus“, “Royal Glory“, “Big Top“, “Orion“ e
“Ruby Rich“.
Non dimentichiamo il tentativo di percorrere strade
innovative con l’introduzione di specie nuove per il veronese
come il pero nashi, l’Actinidia arguta, il kaki-mela.
La divulgazione dei risultati è stata realizzata con la
partecipazione alla stesura delle liste di orientamento varietale,
con pubblicazione di articoli
tecnici ma soprattutto con
l’organizzazione di mostre pomologiche. (fig. 1-2)
Proficuo il rapporto con
i mercati alla produzione di
Sommacampagna, Sona e Valeggio sul Mincio dove, ancor
oggi, si organizzano nel corso
dell’estate tre mostre pomologiche del pesco con esposizione di campioni delle novità
con un commento tecnico da
parte dei tecnici dell’Istituto e
di Veneto Agricoltura. Così pure avviene per il ciliegio dove
sono tuttora proposte una
mostra durante la festa delle Fig. 2 – Mostra pomologica di pesco
ciliegie di Tregnago e una su
un mercato alla produzione in Valpolicella. Per il melo infine
l’appuntamento principale rimane la Fiera della mela di Zevio.
1b. Recupero germoplama
A cavallo degli anni Novanta intensa è stata l’attività per
recuperare il germoplasma locale in campi catalogo. In
particolare sono state direttamente raccolte e valutate una trentina
di vecchie varietà di melo presenti in Lessinia. Nel 1992 a Caprino
Veronese è stata costituita una collezione di germoplasma e varietà
di ciliegio con 250 biotipi.
Il materiale è stato valutato anche nell’ambito del Progetto
Europeo ”Conservazione, caratterizzazione e utilizzazione delle
63
risorse genetiche in agricoltura” svolto in collaborazione con
l’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura di Roma del Ministero.
Nel 2003 le collezioni di ciliegio di Caprino sono state
eliminate, e il materiale, allo scopo di preservarlo, è stato
consegnato all’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura di Roma.
Proprio recentemente si è cominciata una raccolta di
germoplasma autoctono di olivo prelevato da piante centenarie
presenti nella zona del Garda e nelle principali vallate veronesi al
fine di costituire una collezione di piante madri.
2. Sperimentazioni per il miglioramento delle tecniche colturali.
Ricordiamo lo studio dei portinnesti di melo, pero, albicocco e pesco svolti sempre nell’ambito del Progetto del
Ministero “Liste d’orietamento varietale dei fruttiferi” e relativamente al melo e ciliegio con prove collegiali del Gruppo
Frutticoltura della Comunità Alpe Adria.
V ig o r ia in d o t t a d a i p o r t in n e s t i d i c i l ie g io
( c a l c o l a t a c o m e a r e a d e lla s e z io n e d e l t r o n c o in d i c e M a z z a r d F 1 2 / 1 = 1 0 0 )
100
80
100
60
79
75
60
40
20
48
41
20
0
M a z z a r d F 1 2 /1
M axM a 14
W e ir o o t 1 3
W e iro o t 1 5 8
G i s e l a 1 2 G is e l a 4 E d a b r iz G is e l a 5
W e iro o t
P ik u 1
72
Nel pesco ad esempio il confronto tra portinnesti ha messo
in evidenza il diverso comportamento del portinnesto a seconda
della cultivar innestata, precoce o tardiva, e il buon comportamento
di “Barrier” e “Montclar” (fig. 3).
Molto innovativi gli incoraggianti risultati ottenuti da un
recente confronto tra portinnesti nanizzanti e seminanizzanti di
ciliegio in una prova Alpe Adria, che hanno favorito la realizzazione
di alcuni ceraseti fitti molto specializzati nella pianura veronese
64
dotati di impianti di irrigazione, antibrina, fertirrigazione e reti
antigrandine (fig. 4) come avviene per il melo o per il pesco.
A partire dal 1996 sono state realizzate presso aziende
Fig. 3 - Confronto tra portinnesti di pesco con la cultivar precoce “Adriana”
Fig. 4 – Moderno ceraseto specializzato nel veronese
65
private prove sul diradamento chimico del melo mettendo a
confronto il diradamento manuale o l’uso della sola amide, con
strategie che vedevano l’uso del Carbaril solo o in miscela con
NAA. Queste miscele si sono dimostrate abbastanza efficaci
anche per regolare la carica produttiva della “Fuji“ e con
l’adozione di potature lunghe che in questi ultimi anni anche nel
fusetto stanno prendendo piede nel veronese.
L’Istituto collaborò con l’Università della Basilicata,
Fig. 5 – Apparato radicale di pesco franco
l’Istituto per la Chimica del Terreno del Cnr e Agrimont Centro di
Biotecnologie di Massa per lo studio sull’irrigazione per
scorrimento nei frutteti del veronese mettendo in evidenza lo
spreco di acqua, il verificarsi di una diversa concentrazione di
azoto, fosforo e potassio lungo i filari e la diminuzione della
porosità del terreno a metà e fine filare. Sempre nel pesco sono
proseguiti gli studi sugli apparati radicali per la valutazione di
migliori sesti d’impianto in funzione della tipologia del terreno e
del portinnesto (fig. 5).
66
3. Miglioramento genetico
Negli anni ‘90 si è cercato di studiare la discendenza di
incroci ottenuti precedentemente nel pesco e ciliegio. L’ultima
varietà in procinto di licenziamento è la selezione autofertile di
ciliegio “i 475” che prenderà il nome di “Lucrezia” (fig. 6) già
menzionata nel precedente intervento dal prof. Bargioni.
Nel pesco merita un cenno il lavoro svolto per ottenere
cultivar a polpa rossa e a maturazione tardiva. L’Istituto produsse centinaia di semenzali che poi furono purtroppo estirpati a
causa di attacchi del virus Sharka.
Fig. 6 - Cultivar Lucrezia
Una particolare menzione merita l’attività di miglioramento
genetico svolta per la fragola: fu costituito un gruppo di lavoro
misto pubblico-privato composto da Istituto Sperimentale per la
Frutticoltura, Sezione di Forlì (ente coordinatore), Istituto
Sperimentale di Frutticoltura - Provincia di Verona, Società
Cooperativa Apo Scaligera di Verona e dal 2005 dalla Società
Cooperativa C.O.Z. di Zevio.
67
Gli obbiettivi che ci eravamo proposti furono quelli di
ottenere cultivar adatte alla doppia produzione autunnoprimaverile, dotate di una precoce ed elevata capacità rizogena,
poco suscettibili alle malattie dell’apparato radicale e fogliare.
Fig. 7 - Recenti cultivar di fragola licenziate
Ricercammo inoltre frutti di elevata pezzatura, con forma conica
o conico-allungata, regolare, elevata consistenza, di bell’aspetto,
in grado di colorare sufficientemente nei periodi autunnali
caratterizzati da scarsa luminosità e basse temperature.
Dal 1995, anno di inizio del progetto, sono stati valutati
46.000 semenzali ottenuti da 719 combinazioni di incrocio,
selezionandone complessivamente 2504, con una percentuale pari
al 5,5. I risultati di questo lavoro sono il licenziamento di tre nuove
varietà (fig. 7) “Irma” rifiorente neutrodiurna, adatta alla coltura
autunnale veronese e alle zone montane, di elevata produttività e
buona pezzatura dei frutti; “Dora” adatta a tutti gli areali di
coltivazione del nord, sia in coltura tradizionale che in coltura
autunnale, con elevate caratteristiche qualitative del frutto; “Eva”
anch’essa adatta agli ambienti di coltivazione settentrionali, ma con
migliori performance in coltura autunnale sia in suolo che fuori
suolo.
68
4. Colture in vitro
Nel 1978, come già ricordato dal prof. Bargioni, l’Istituto
iniziò ad occuparsi di colture in vitro delle piante, realizzando un
laboratorio di micropropagazione in cui sono state condotte
Fig. 8 - Linee di crisantemo “May Shoesmith” “81M” e “15 M” selezionate in vitro (fila
centrale a sx) a confronto con varietà commerciali
sperimentazioni, dapprima sulle tecniche di propagazione della
fragola, estese poi a portinnesti e varietà dei principali fruttiferi
temperati e sub-tropicali e ad alcune piante ornamentali.
Tra quest’ultime si ricorda la selezione di due linee di
crisantemo bianco “May Shoesmith” (fig. 8) denominate “15M” e
“81M” a fiore molto grosso,
dalla particolare resistenza
al freddo, delle quali proprio
in questi giorni è stata
inviata a Bruxelles la domanda di brevetto europeo
da parte dell’Associazione
Florovivaisti Veronesi. Dalla
fine degli anni ottanta l’attività si è indirizzata verso
l’utilizzo delle colture in vitro
per il miglioramento genetico delle piante da frutto nell’ambito del Progetto del Ministero “Sviluppo di tecnologie avanzate applicate al- Fig. 9 - Rigenerazione della “Susina di Dro”
69
le piante”. Tra queste ricerche biotecnologiche sono da annoverare
l’irraggiamento in vitro per ottenere mutazioni di diverse specie
frutticole, la definizione di un protocollo per la rigenerazione della
“Susina di Dro” (fig. 9) che ha permesso di effettuare i primi
pionieristici tentativi di trasformazione genetica con l’Agrobacterium
tumefaciens con un gene per la resistenza al virus della Sharka
realizzato dall’Istituto di Microbiologia Agraria dell’Università di
Vienna. Poi la diminuzione del personale causò una brusca
riduzione delle attività del laboratorio di colture in vitro fino alla sua
definitiva chiusura con il trasferimento di sede a S. Floriano.
5. Agricoltura biologica ed eco-compatibile
Un’altra tematica a cui l’Istituto è stato sempre sensibile a
partire dall’individuazione della tolleranza della “Spina Carpi“ alla
Psilla come già ricordato dal
prof. Bargioni è stata la riduzione dell’impatto ambientale
dell’attività agricola.
Numerose sono state le
sperimentazioni su varietà di
melo resistenti alla ticchiolatura e le indagini per valutare il grado di suscettibilità a
ticchiolatura, oidio e afide
grigio nelle collezioni di germoplasma di melo presenti a
Ponton. Da segnalare il Progetto “Un’agricoltura eco-compatibile per Verona” (fig. 10)
realizzato in collaborazione
con 16 comuni della Provincia,
l’Associazione Veneta Produttori Biologici, la Cooperativa La
Primavera e il Centro di Formazione Professionale Dal
Zotto di Cologna Veneta. Si è Fig. 10 – Copertina del video sull’agricoltura
costituita una rete di sedici biologica
aziende biologiche, rappresentative delle diverse realtà territoriali
veronesi che sono diventate punto di riferimento per gli agricoltori
ed itinerari didattici per il mondo della scuola.
70
6. Considerazioni finali
Fin dall’inizio dell’attività dell’Istituto la collaborazione con
aziende private ha permesso di effettuare prove altrimenti
irrealizzabili; a fronte di un modesto contributo le aziende si
accollavano l’onere della coltivazione dei campi sperimentali. In
Fig. 11 - La nuova sede del Servizio Agricoltura a San Floriano - VR
particolare si ringraziano le aziende: Bovo, Campostrini, Crivellaro,
Darra, Faccioni, Fasoli, Grigolini, Ivancic, Lucchesa, Marchesini,
Mercanti, Scala, Spellini. Cosi pure sono state essenziali le
collaborazioni con le Associazioni di Produttori, le Cooperative, i
Mercati alla produzione, le Organizzazioni Sindacali che hanno
permesso una diffusione capillare, anche se mai sufficiente, dei
risultati raggiunti. La sperimentazione è stata sempre supportata da
un’intensa attività divulgativa attuata con oltre 600 pubblicazioni
(www.provincia.vr.it/ newweb/Area-servi/Servizio-A/index.htm) su
riviste specializzate, con visite tecniche, convegni, lezioni pratiche
tenute nei centri di produzione a tecnici, agricoltori e studenti,
viaggi-studio in Italia e all’estero, mostre pomologiche.
Attualmente le attività sono limitate alle scelte varietali di
melo, ciliegio, pesco, fragola e allo studio dei portinnesti di ciliegio.
E’ in atto il progetto di concentrare l’attività sperimentale nella sola
azienda di S. Floriano (fig. 11). La riduzione di risorse umane e
71
finanziarie hanno portato l’Istituto ad un notevole ridimensionamento e questo ha origini molto lontane.
Nel 1990 la nuova legge 142 sugli Enti Locali non previde
alcuna competenza in materia di agricoltura e tanto meno per
l’attività sperimentale. L’Istituto era un Settore al massimo livello
dell’Ente Provincia alla pari del Settore Lavori Pubblici, Ecologia,
Caccia e Pesca. Da qui sono seguite una serie di scelte un po’
obbligate un po’ sottovalutate nei loro effetti che hanno portato
all’accorpamento del Settore Istituto Sperimentale di Frutticoltura
con il Settore Agricoltura nel 1995, all’avvicendamento del Direttore
dott. Ferdinando Cossio con Il dott. Lino Mazzi nel 1996, fino alla
riduzione dell’Istituto a semplice Servizio del Servizio Agricoltura, a
sua volta declassato. Attualmente il dirigente del Servizio Agricoltura è anche responsabile dell’Istituto che assieme al Centro
Sperimentale Vitivinicolo è parte del Servizio Agricoltura.
Non sta a noi entrare nel merito delle scelte della Provincia;
non possiamo però non evidenziare le difficoltà che queste scelte
hanno comportato per l’operatività dell’Istituto.
Prima della riduzione dei finanziamenti pesano la continua
ed inesorabile perdita di risorse umane che sono sempre state la
vera ricchezza di queste strutture. Investire anni per formare degli
sperimentatori e poi perderli è un grande spreco di energie e
risorse.
Forse la Provincia dovrebbe ripensare questo Istituto alla
luce delle nuove esigenze della frutticoltura, che come negli anni
’50, deve affrontare nuove sfide e nuove problematiche, e delle
funzioni assunte dalla Provincia, in attesa, se mai verranno, di
competenze dalla Regione, in un rapporto di sinergie e
collaborazioni con Istituzioni, Enti territoriali e regionali ma anche di
privati (con un coinvolgimento quindi anche economico dei
produttori) e questo sull’esempio del Creso, la cui attività verrà
illustrata dall’amico dott. Pellegrino.
72
Sperimentazione per la frutticoltura veneta e aggiornamento
tecnologico dei produttori
Claudio Giulivo
Dipartimento di Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali, Università di Padova
Oggi è una giornata importante perché oltre ad essere una
giornata della memoria è un momento per pensare al domani e al
rilancio non solo della frutticoltura veronese, ma anche di quella
della Regione Veneto. Questa giornata è un riconoscimento
doveroso all’Istituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di
Verona, che è stato un grande esempio di sperimentazione locale,
che però ha svolto un ruolo fondamentale anche per tutto il territorio
regionale e nazionale. Bisogna anche ricordare l’importanza che
questo Istituto ha avuto per l’Istituto di Coltivazioni Arboree
dell’Università di Padova, avendo contribuito alla formazione di
ricercatori e consentito a moltissimi studenti l’opportunità di
svolgere la loro tesi e di prendere visione delle concrete
problematiche della frutticoltura. In questa sede è anche doveroso
ricordare le due figure fondamentali, il prof. Giorgio Bargioni e il
prof. Piero Pisani, che hanno costruito un’esemplare collaborazione, un esempio di integrazione di competenze e di capacità tra
la ricerca universitaria e la sperimentazione locale nell’interesse di
un settore produttivo così importante. E’ un esempio che dovrebbe
essere colto, sviluppato e trasferito anche in altri settori.
Entrando nel merito dell’argomento, si ringraziano il prof.
Fideghelli e il prof. Sansavini che hanno presentato le basi
strumentali e scientifiche che rendono più semplice e comprensibile
quanto sarà esposto, in modo alquanto sintetico, in questo
intervento. E’ da augurarsi che in altre occasioni sia possibile
approfondire le singole problematiche e le relative proposte
operative.
L’individuazione di obiettivi della ricerca, della sperimentazione e della divulgazione e formazione nonché delle risorse per la
frutticoltura non può che passare attraverso un’analisi della
situazione attuale e delle possibili evoluzioni future. La situazione
della frutticoltura italiana e di quella veneta in particolare non
appare molto rosea ed il settore sembra alquanto demotivato e
sconsolato. Lo smantellamento del settore frutticolo regionale non è
però accettabile poiché, oltre ad avere una notevole importanza
economica, svolge una fondamentale funzione sociale come
73
mantenimento di tradizioni, di cultura e di capacità tecniche e
professionali nonchè di gestione del territorio.
Occorre, quindi, trovare le soluzioni per mantenere e sviluppare questo settore produttivo e per questo è necessario fare degli
investimenti. Un vecchio frutticoltore diceva, durante una delle
cicliche fasi di difficoltà, che quando si è in crisi, occorre investire e
darsi da fare.
Investire certamente nell’organizzazione produttiva, ma
anche nella ricerca e nella formazione, individuando gli obiettivi e le
risorse necessarie. A tal fine sono da tenere presenti tre fondamentali obiettivi: riduzione dei costi di produzione, esaltazione della
qualità, della sanità e della tipicità del prodotto, riduzione dell’impatto ambientale e quindi necessità di un intervento cosciente e razionale sul territorio.
Tenendo presenti questi obiettivi e la limitatezza delle risorse
è necessario procedere con razionalità e concretezza e individuare
interventi che in tempi ragionevolmente brevi possono determinare
il maggior effetto positivo. Se si considera la filiera frutticola - dalla
produzione delle piante (miglioramento genetico e vivaismo), alle
tecniche di coltivazione, alla professionalità dei produttori, alla
catena commerciale - sembra abbastanza evidente che il segmento
più critico sia attualmente quello della commercializzazione. Su
questo bisognerebbe prioritariamente investire per ottenere in tempi
brevi non trascurabili benefici per i produttori.
Nel contempo non bisogna dimenticare il segmento “campo”,
per il quale le attuali conoscenze, adeguatamente elaborate e
applicate, sarebbero in grado di portare a rapidi miglioramenti
dell’efficienza del sistema frutteto. Per questo dovrebbero essere
progettate azioni a livello di sperimentazione, di divulgazione e di
formazione.
Certamente esistono ancora molti aspetti del funzionamento
del sistema che sono poco noti o addirittura oscuri e, pertanto, sono
anche auspicabili investimenti nella ricerca e nella sperimentazione.
I risultati ottenibili in tempi più o meno lunghi da questi investimenti
possono portare ad un ulteriore avanzamento del sistema
produttivo.
Sulla base di queste considerazioni viene presentata una
sequenza di obiettivi e di azioni da intraprendere con la ricerca e
con la sperimentazione, individuando i punti deboli del sistema, le
possibili soluzioni, il tipo di attività di ricerca ed i tempi necessari per
raggiungere i risultati e per il trasferimento nella pratica.
74
Al fine di rendere più chiara la valenza delle azioni è
opportuno analizzare i diversi livelli di intervento: il sistema frutteto, i
modelli colturali e il territorio nel suo complesso.
Ricerca e sperimentazione: Livelli di intervento
Tecnica colturale terreno
Irrigazione
Fertirrigazione
Potatura radici
Portinnesti
Sottosistema
ipogeo
Sistema frutteto
Sottosistema
epigeo
Modelli colturali
Regolazione fruttificazione
Habitus vegetativo
Maturazione e qualità frutto
Frutticoltura Integrata
Frutticoltura Biologica
Frutticoltura montana e collinare
Territorio
Agrometeorologia
Per quanto riguarda il sistema frutteto è opportuno
considerare separatamente il sottosistema ipogeo e il sottosistema
epigeo. Per quanto riguarda il sottosistema suolo-radici, si ritiene
che in tempi medio-brevi sarebbe possibile intervenire per
razionalizzare l’uso dell’irrigazione in quanto sono disponibili
sufficienti conoscenze scientifiche e tecniche per allestire
sperimentazioni di campo al fine di definire i volumi irrigui e i periodi
critici ottimali per assicurare l’equilibrio fisiologico degli alberi ed
esaltare la qualità delle specie frutticole più importanti. Un altro
aspetto da mettere a punto è la fertirrigazione, tecnica molto
interessante sul piano teorico, ma della quale occorre verificare la
reale efficacia agronomica ed economica, sperimentando in campo
epoche e dosi di applicazione e tipi di fertilizzanti. Sempre a livello
del sistema ipogeo la messa a punto della tecnica dell’inerbimento
per le varie specie e situazioni colturali potrebbe portare in tempi
brevi a controllare meglio la vigoria degli alberi e l’uso dell’acqua e
quindi ottenere migliori prestazioni produttive a costi più contenuti.
75
In particolare è necessario individuare le specie erbacee più
adeguate per le diverse situazioni colturali e mettere a punto le più
corrette ed economiche modalità di gestione del cotico (semina,
cure iniziali, epoca e numero e altezza degli sfalci, ecc.).
Ancora a livello del sottosistema ipogeo potrebbe essere
interessante sperimentare la tecnica della potatura radicale, che
può essere un intervento complementare per controllare la
vegetazione e favorire la fruttificazione quando tutte le altre
tecniche agronomiche non sono sufficienti a garantire un corretto
equilibrio fisiologico. I punti da chiarire sono essenzialmente l’epoca
e l’intensità di esecuzione, attraverso sperimentazioni di campo, i
cui risultati potrebbero essere acquisiti e trasferiti in tempi brevi.
Ultimo punto importante riguarda la disponibilità di
portinnesti adeguati a modelli di frutteto più efficienti e più facilmente gestibili. Tali portinnesti dovrebbero avere spiccate
caratteristiche di controllo della crescita, di rusticità e di efficienza
nell’assorbimento; questo è raggiungibile solo in tempi medio-lunghi
dovendo ricorrere all’incrocio e alla selezione o alla genomica
funzionale (ricerca di base).
Passando a considerare quanto del frutteto è visibile, ossia
la chioma e l’atmosfera che la circonda (sottosistema epigeo),
l’attenzione va posta a diversi livelli con risultati conseguibili in
tempi piuttosto lunghi. Per quanto riguarda la regolazione della
fruttificazione, che coinvolge strettamente la resa e la qualità
globale dei frutti, sono da considerare soprattutto l’allegagione e il
diradamento, per i quali occorre studiare i meccanismi di controllo
attraverso ricerche di base (genomica funzionale), poiché gli attuali
strumenti tecnici sono del tutto privi di prospettive (ad esclusione
del diradamento del melo) e quindi risultati concreti possono essere
attesi solo in tempi medio-lunghi. Analoga situazione si ha anche
per un’altra caratteristica importante per realizzare modelli di
impianto più funzionali ed efficienti ossia l’habitus vegetativo degli
alberi (portamento e dimensioni); per questo bisogna ricorrere al
miglioramento genetico con tecniche tradizionali o innovative e,
quindi, i risultati sono da attendere in tempi decisamente lunghi.
Per quanto riguarda la qualità dei frutti oltre alle
caratteristiche più tradizionali occorre concentrare l’attenzione sulla
loro composizione chimica, sui possibili fattori allergenici e sul
valore nutrizionale e nutraceutico. Disporre di nuove cultivar nelle
quali siano esaltate queste caratteristiche sarebbe di notevole
importanza economica. Anche in questo caso risultati sono
76
conseguibili in tempi medi o lunghi dovendo ricorrere ai metodi
classici di miglioramento genetico o a quelli avanzati della ricerca
genomica. Per le varietà attualmente in coltivazione miglioramenti
qualitativi potrebbero essere conseguiti con semplici sperimentazioni di campo finalizzate al controllo del regime idrico e
nutrizionale dei frutteti.
Per quanto riguarda i modelli colturali è importante affinare
le procedure della frutticoltura integrata e della frutticoltura
biologica. Da questo punto di vista esistono informazioni ed esempi
sufficienti per impostare azioni di dimostrazione e divulgazione che
potrebbero portare in breve tempo ad un miglioramento generale
delle prestazioni dei frutteti condotti secondo uno o l’altro dei
modelli colturali.
Considerando gli aspetti territoriali è necessario dedicare
attenzione alle coltivazioni in montagna e in collina, poiché
l’agricoltura può valorizzare tali aree, consentendo la permanenza
di operatori agricoli sul territorio e quindi anche la protezione
dell’ambiente. La frutticoltura montana e collinare può svolgere un
ruolo importante sull’assetto sociale, economico e ambientale sia
come attività principale sia come attività complementare. I prodotti
frutticoli ottenibili nelle predette aree hanno caratteristiche
qualitative generalmente superiori a quelle delle produzioni di
pianura se gli impianti sono correttamente progettati e gestiti. A tal
fine è necessario impostare prove di campo e verificare esperienze
pregresse tenendo presenti le particolari esigenze ambientali e
imprenditoriali in termini di modelli di impianto, di scelte varietali, di
tecniche colturali, di meccanizzazione e di impatto ambientale. In
altri termini occorre definire tipologie di frutteto specifiche e in gran
parte diverse da quelle utilizzate in pianura. I tempi per l’acquisizione di risultati trasferibili sono medio-lunghi.
A supporto di una razionale coltivazione frutticola è oggi
necessaria una fonte di informazioni agrometeorologiche in tempo
reale sia per i tecnici sia per i produttori. Esistono già nel territorio
regionale e provinciale varie reti di rilevamento, le quali sono
indipendenti e gestite da enti diversi e spesso con modalità non
compatibili e con collocazioni non sempre funzionali ai siti frutticoli.
Appare logico realizzare un collegamento generale delle reti e
procedere, ove opportuno, ad integrare le reti con ulteriori stazioni
di rilevamento; è poi indispensabile costituire un centro di elaborazione e trasmissione dati. Tutto questo sarebbe fattibile in tempi
brevi.
77
Le linee di sperimentazione sommariamente indicate, una
volta verificate con i tecnici e gli operatori frutticoli e stabilite delle
priorità, possono essere realizzate solo con adeguati investimenti in
risorse umane e finanziarie. Le risorse umane esistenti nel territorio
non sono particolarmente elevate, ma con un efficiente coordinamento dei vari centri di ricerca e di sperimentazione e uno stretto
coinvolgimento dei tecnici e divulgatori frutticoli dei diversi enti
operanti nel territorio sarebbe possibile realizzare buona parte della
sperimentazione proposta per lo sviluppo della frutticoltura veneta.
Le risorse finanziarie sono, invece, molto scarse e pertanto gli enti
pubblici dovrebbero investire una parte del necessario integrata da
contributi dei produttori.
Tutto questo ha senso se i risultati ottenuti dalla sperimentazione saranno valorizzati da un sistema efficiente di divulgazione e
di formazione primaria e permanente degli operatori frutticoli. Un
buon contributo a questo sistema può essere fornito da un diretto
coinvolgimento dei frutticoltori nell’attività di sperimentazione.
Al fine di rendere più efficaci le azioni delineate è auspicabile
la costituzione di un centro interprofessionale per la frutticoltura
veneta, dove individuare obiettivi e risorse per la sperimentazione e
attivare azioni di formazione e di divulgazione di interesse generale.
Questo comitato potrebbe assumere come modello il Comitato
Tecnico per l’Ortofrutticoltura istituito presso la Camera di Commercio veronese, il quale in passato ha costituito assieme all’Istituto
Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona, i fondamenti
che hanno permesso alla frutticoltura veronese di raggiungere
posizioni di rilievo nazionale ed internazionale.
In conclusione si ritiene che gli obiettivi di sperimentazione
illustrati potrebbero essere raggiunti, con positive ricadute sulla
frutticoltura veneta, con la valorizzazione dell’esistente, con
l’organizzazione di una rete di coordinamento e con il coinvolgimento diretto dei produttori.
78
La sperimentazione nella Regione Veneto e la collaborazione con le province
Carlo Migliorini 1
Veneto Agricoltura - Regione del Veneto
E’ con piacere che oggi partecipo a questo “evento”,
considerato che nella mia attività lavorativa, iniziata dopo la laurea
nel 1974 alle dipendenze dell’allora ENTV, poi confluito nell’ESAV
(Ente di Sviluppo Agricolo del Veneto, 1977) e quest’ultimo in
Veneto Agricoltura (1999), ho praticamente sempre avuto modo di
collaborare con l’Istituto Sperimentale di Frutticoltura della
Provincia di Verona con buoni rapporti e ottimi risultati.
L’ENTV e l’ESAV poi, si sono sempre avvalsi della
collaborazione degli istituti di ricerca e sperimentazione veneti
(Università di Padova, Istituto di Genetica “Strampelli” di Lonigo,
Istituto Sperimentale di Viticoltura di Conegliano, Istituto
Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona, ecc.) e del
coinvolgimento delle Province per le attività, prevalentemente di
carattere sperimentale/dimostrativo, collocate nelle diverse aree
vocate del territorio veneto e ciò sia per utilizzare al meglio le
risorse scientifiche, tecnologiche e finanziarie, disponibili e mai
sufficienti, sia per evitare inutili e dispendiose duplicazioni e
sovrapposizioni di attività. Attualmente Veneto Agricoltura, che si
occupa a livello regionale di sperimentazione, divulgazione e
promozione, collabora strettamente con quasi tutte le Province
Venete in attività sperimentali, divulgative e promozionali, nei
diversi comparti del settore agricolo ed agro-ambientale, nonché
nel settore forestale e agro-alimentare. Le collaborazioni prevalenti
riguardano istituti sperimentali provinciali ed in particolare l’Istituto
“Strampelli” di Lonigo della Provincia di Vicenza e l’Istituto
Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona, collegato
col Centro Sperimentale Vitivinicolo di San Floriano in Valpolicella,
ma anche altre strutture operative delle Province.
Con l’Istituto di Verona vi è stata un’intensa collaborazione,
nel corso degli anni ’80, in attività sperimentali e dimostrative
riguardanti la coltura del ciliegio, la coltura della fragola e, in misura
minore, il pesco e l’olivo.
1
Deceduto il 22 giugno 2008
79
Ricordo come fosse ieri il “Piano finalizzato per lo sviluppo
della coltura del ciliegio in Veneto”, finanziato per più anni
dall’ESAV, attraverso fondi regionali, messo a punto con il prof. G.
Bargioni e con altri esperti dell’allora Comitato Tecnico per
l’Ortofrutticoltura Veronese.
Il Piano prevedeva
una parte sperimentale con la realizzazione di campi
varietali e di portinnesti, campi con forme diverse di allevamento
e impianti idonei alla meccanizzazione della raccolta e delle
operazioni di potatura, campi con cultivar compatte, ecc.
una parte divulgativa e promozionale con la
costituzione di moderni impianti specializzati che privilegiavano
le produzioni di qualità, le precocità nell’entrata in produzione e
la riduzione dei costi.
Il “Piano finalizzato”, che ha molto impegnato il prof. G.
Bargioni, ha consentito di realizzare numerosi ciliegeti in tutte le
La sede di Veneto Agricoltura a Legnaro (PD)
80
principali aree vocate del territorio regio-nale (Verona, Vicenza, Padova e Treviso), in buona parte tutt’ora esistenti, con la possibilità
di trarre utili indicazioni per i produttori cerasicoli veneti. Sempre in
quel periodo abbiamo col- laborato con l’Istituto e più precisamente
con l’esperto di fragola p.a. Tiziano Tosi, per divulgare in aree
voca-te del territorio regionale, la “fragola di montagna” e la “coltura
autunnale”.
Ricordo in particolare gli impianti realizzati sull’altopiano di
Asiago (VI) e ad “Arsié” e “Sedico” nel Bellunese.
Dopo il grande freddo del gennaio 1985, che tra l’altro ha
provocato una moria di olivi in Veneto e non solo, con il prof. G.
Bargioni abbiamo programmato e realizzato alcuni impianti
dimostrativi, anche dotati di irrigazione, nelle colline del Garda, in
Valpolicella e a Pove del Grappa (VI), caratterizzati da nuove forme
di allevamento e da ridotti sesti di impianto, idonei ad una moderna
olivicoltura. L’Istituto è stato inoltre coinvolto nei corsi di formazione
e nelle giornate dimostrative in campo, rivolte ai tecnici polivalenti,
e per la consulenza nella realizzazione di diverse pubblicazioni
frutticole dell’Ente di Sviluppo Agricolo. Dell’Istituto l’Esav si è
avvalso anche nella fase di avvio e successivamente di gestione,
del proprio Centro Vivaistico Frutticolo “Pradon” di Porto Tolle (RO),
in particolare per le scelte varietali nell’ambito delle pomacee e
delle drupacee, per la micropropagazione dei portinnesti ed altro
ancora.
Negli anni ’90 e più di recente, l’Ente di Sviluppo prima e
Veneto Agricoltura poi, hanno collaborato con l’Istituto
Sperimentale Provinciale nella programmazione e realizzazione di
mostre pomologiche (con varietà di melo e di pesco), nelle
principali aree frutticole del Veronese (Comuni di Valeggio sul
Mincio, Sommacampagna, Zevio, ecc.), nel progetto di
certificazione della fragola, nel recupero, conservazione e
valorizzazione della biodiversità frutticola, nella partecipazione a
convegni ed incontri tecnici e nella stesura di articoli specifici da
pubblicare sulle riviste del settore. Dall’anno scorso un tecnico di
Veneto Agricoltura e uno dell’Istituto rappresentano i delegati
frutticoli regionali, all’interno della Società Orticola Italiana.
Prospettive future
Per il futuro auspichiamo di proseguire nelle collaborazioni in
corso e, se possibile, di avviare nuove tematiche, coinvolgendo
nelle progettualità i soggetti della filiera produttiva frutticola.
81
Importante è comunque “sviluppare un maggior coordinamento” tra i vari Enti ed Organismi che operano in campo frutticolo,
nell’area regionale, per utilizzare al meglio le risorse disponibili.
A conclusione, un grazie sentito alle personalità, note ben
oltre i confini provinciali e regionali, che sono entrate nella storia
dell’Istituto di Frutticoltura di Verona per il loro impegno e per la loro
professionalità, e un grazie a tutti gli altri collaboratori.
82
L’esperienza del CReSO in Piemonte: pubblico e privato
insieme per realizzare una ricerca funzionale alla domanda
della filiera frutticola
Silvio Pellegrino
CReSO - Consorzio di Ricerca Sperimentazione e Divulgazione per
l’Ortofrutticoltura Piemontese
1. L’organizzazione della ricerca per la frutticoltura piemontese
negli ultimi decenni del ‘900
La ricerca in frutticoltura in Piemonte ha seguito percorsi
diversi rispetto alla maggior parte delle altre regioni italiane. Fino
agli anni ’60 del secolo scorso l’unica istituzione che ha profuso
impegno in tal senso è stata l’Università di Torino. Non erano
presenti Istituti del Ministero dell’Agricoltura che si occupassero di
frutticoltura, ad eccezione di un’unità operativa dell’Istituto
sperimentale di nutrizione delle piante. Per la verità, la stessa
Facoltà di Agraria di Torino aveva tradizionalmente privilegiato la
viticoltura, con docenti-maestri quali il prof. Dalmasso; nell’ambito
della frutticoltura aveva concentrato la propria attenzione su specie
quali il castagno, il nocciolo e i piccoli frutti, che si pongono un po’ a
margine del distretto della frutta fresca. Nel secondo dopoguerra la
coltura del pesco e del melo assumevano dimensioni rilevanti per il
Piemonte sud-occidentale, dando vita ad un distretto frutticolo,
esteso lungo l’area pedemontana da Cuneo a Pinerolo, con
concentrazione nel Saluzzese.
L’istituzione delle Regioni negli anni ‘70 offrì l’opportunità di
creare un servizio organico di ricerca e sviluppo anche per la
frutticoltura piemontese. La Regione Piemonte si trovò a scegliere
tra due opzioni: gestire direttamente la ricerca applicata in
agricoltura, tramite ad esempio il neo-costituito Ente di sviluppo
agricolo; oppure affidare l’incarico ad un organismo esterno. Nel
settore della frutticoltura fu costituita proprio in quegli anni
l’Associazione dei produttori frutticoli – Asprofrut, che in breve
tempo arrivò a contare più di 5.000 soci, rappresentando oltre il
90% dei frutticoltori piemontesi. Con decisione molto pragmatica la
Regione Piemonte affidò all’Asprofrut l’incarico di svolgere i servizi
di ricerca applicata in frutticoltura, mentre alle organizzazioni
professionali agricole fu affidata la consulenza tecnica, attraverso
l’istituzione dei CATAC – Centri di assistenza tecnica agricola e
83
contabile. Sulla decisione influì la presenza all’Asprofrut di una
figura carismatica: l’agronomo Raffaele Bassi. Sperimentatore,
animatore-trascinatore, comunicatore, seppe creare ex novo e con
poche risorse due aziende sperimentali, una per le specie
“maggiori”, l’altra per la frutticoltura pedemontana con attenzione
riservata a fragola, piccoli frutti e castagno. Nel periodo 1980 –
2000 l’Asprofrut si dotò di un servizio tecnico di innovazione e
sviluppo composto da una decina di ricercatori, oltre a tecnici e
operai per la gestione delle aziende sperimentali.
Uno degli aspetti rilevanti di tale esperienza fu la stretta
connessione tra ricerca e operatori del settore (frutticoltori in primo
luogo, ma non solo: operatori commerciali, fornitori di servizi, il
tessuto di figure professionali che oggi definiremmo filiera). Non
poteva essere diversamente, considerato che ad organizzare la
ricerca erano gli stessi utenti, raccolti in Associazione. Un altro
aspetto interessante fu la corretta ripartizione dei compiti e delle
funzioni tra organismi e istituzioni. Il servizio tecnico dell’Asprofrut si
occupò della ricerca applicata, senza invadere il campo né della
ricerca “di base” svolta da istituzioni quali le Università, né della
consulenza tecnica alle aziende, svolta in modo capillare dai Centri
di assistenza tecnica delle Organizzazioni professionali agricole.
Nel rispetto dell’autonomia professionale degli altri soggetti,
l’Asprofrut si propose come animatore della filiera “ricerca –
sperimentazione – divulgazione – consulenza tecnica”, sia cercando collaborazioni a monte con la ricerca e ospitando presso le
proprie aziende sperimentali prove di diverse Università e dell’Istituto sperimentale di frutticoltura del MiPAAF, sia organizzando
un coordinamento dei servizi di consulenza sul territorio, in modo
da tradurre i risultati della ricerca in indirizzi tecnici tanto condivisi
quanto univoci ed efficaci.
2.
Le condizioni che indussero alla costituzione del CReSO
In seguito al Reg. 2.200/96, che ridisegnò compiti e funzioni
delle Associazioni trasformandole in OP – Organizzazioni di Prodotto, la ricerca applicata divenne un’attività estranea alle
competenze dell’Asprofrut. Da Associazione unica e ampiamente
rappresentativa dei frutticoltori piemontesi, si trasformò in una delle
cinque nuove OP costituite sul territorio. Ancora una volta per la
Regione Piemonte si pose una scelta: creare un’Agenzia per la
ricerca e lo sviluppo, sul modello di quelle che si andavano
84
costituendo in gran parte delle altre Regioni, oppure favorire la
ricomposizione dei soggetti della filiera frutticola regionale in
Organismo di natura consortile, con lo specifico compito di svolgere
le funzioni di ricerca e sviluppo.
La consultazione e la discussione coinvolse tutto il settore,
prima di approdare ad una decisione politico-amministrativa.
Furono soprattutto i frutticoltori a chiedere che il nuovo soggetto
fosse strutturato in modo tale da poter continuare a rispondere alla
“domanda di ricerca” espressa dagli attori della filiera. L’altra
Figura 1
richiesta fu di dotare il nuovo soggetto di risorse finanziarie certe,
tali da assicurare continuità all’attività di ricerca, che per la natura
stessa delle colture arboree si dispiega su periodi medio-lunghi.
85
3.
L’istituzione del CReSO
La soluzione alle condizioni poste dai soggetti della filiera
frutticola fu individuata nella costituzione di un Consorzio a
prevalente capitale pubblico, in cui fossero presenti da un lato gli
attori della filiera frutticola (le OP costituite ai sensi del Reg. CE
2.200/96 e le Organizzazioni professionali agricole), dall’altro gli
Enti pubblici con competenza su ricerca, sperimentazione e
dimostrazione in agricoltura (la Regione Piemonte, sulla base della
L. n. 59 del 15 marzo 1997 (art. 4) e dal D. Lgs. N. 143 del 4 giugno
1997 e s.m.i. e le Province piemontesi interessate all’ortofrutticoltura: Cuneo, Alessandria, Asti, Torino, sulla base della L.R. n.
17 del 8 luglio 1999 e s.m.i.). Si aggiunsero l’Ente camerale di
Figura 2
Cuneo, propenso a favorire i processi di qualità su cui costruire la
promozione della frutticoltura cuneese, e le Comunità Montane
delle aree del nocciolo e dei piccoli frutti, interessate a valorizzare
le colture tipiche dei territori di propria competenza (fig. 1). La
società fu denominata CReSO – Consorzio di Ricerca e
Sperimentazione per l’Ortofrutticoltura piemontese. Iniziò l’attività
nel 2002, acquisendo dall’Asprofrut le strutture e assumendone il
86
personale del servizio tecnico. In tal modo il passaggio di
competenze avvenne senza soluzione di continuità nel servizio per
gli utenti.
4.
Mantenere la ricerca ancorata alla domanda espressa dalla
filiera frutticola piemontese
La scelta della prevalenza pubblica nella composizione
societaria del CReSO risponde alla esigenza di solidità finanziaria
dell’Ente, finalizzata alla possibilità di intraprendere programmi di
ricerca di ampio respiro. Per contro, la maggioranza del Consiglio di
amministrazione spetta agli Enti pubblici, esponendo il Consorzio al
rischio di non interpretare compiutamente le istanze della filiera, nel
caso di uno scadimento nel tempo della competenza e
professionalità delle nomine pubbliche, soggette – più di quelle
private – a logiche di rappresentanza partitica. Per minimizzare tale
rischio, che mina di frequente la funzionalità delle partecipate di
Enti pubblici, è stata prevista nello Statuto una sorta di governance
duale. Accanto al Consiglio di amministrazione, che mantiene il
pieno controllo sulla gestione, è stato previsto un Comitato tecnico,
al quale è affidata l’organizzazione della domanda di ricerca (fig.
2). Lo Statuto prevede che il Comitato tecnico sia composto in
maggioranza da mandatari dei soci privati: in tal modo gli attori
della filiera frutticola, nell’ambito delle risorse deliberate dal
Consiglio di amministrazione, scelgono liberamente i temi della
ricerca, li traducono in progetti di ricerca, stimolano il Consiglio nel
reperimento delle risorse finanziarie per specifici argomenti,
valutano i risultati scientifici, ecc. E’ così assicurata la connessione
tra il Consorzio e la filiera. Il CReSO per un verso – attraverso il
Comitato tecnico – organizza la domanda di ricerca, dall’altro
esegue direttamente le attività di ricerca applicata. Per migliorare la
funzionalità del Comitato, l’organo è ripartito in sezioni di 11
membri, competenti per singole filiere, o linee di ricerca. A titolo
d’esempio, sono ora attivi i seguenti Comitati: Frutticoltura –
innovazione varietale; Frutticoltura – tecnica colturale; Orticoltura;
Corilicoltura; Fragola e Piccoli frutti. In questi primi anni di attività
del CReSO le funzioni dei Comitati tecnici sono state interpretate
nel senso più pieno. Nell’ambito delle singole Sezioni (il Consorzio,
oltre che di frutticoltura, si occupa anche di orticoltura e
corilicoltura), i ricercatori operano a stretto contatto con i compo-
87
nenti dei rispettivi Comitati, secondo lo schema rappresentato in
figura 3.
Ciò è avvenuto in conseguenza di un rapporto non
puramente formale, che consente di stringere i tempi della ricerca,
integrando i protocolli in funzione dei risultati parziali per anticipare
Figura 3
la verifica di nuove ipotesi. E’ ovvio che tale modo di operare
richiede disponibilità e competenza. In questo senso è
determinante la partecipazione da parte dei Soci privati, anche
nella scelta dei componenti dei comitati: imprenditori appassionati,
competenti e opinion leader consentono di vivere i comitati come
laboratori di idee in grado di trascinare l’innovazione di tutta la
filiera.
5.
Dalla ricerca di base al frutteto e il flusso di ritorno
Il CReSO svolge la ricerca applicata per la frutticoltura,
un’attività che costituisce un segmento in un processo più ampio, il
88
quale parte dalla ricerca di base per approdare, attraverso la
consulenza tecnica, alle singole imprese (fig. 4). Il tratto centrale di
Figura 4
tale filiera “innovazione dei servizi all’ortofrutticoltura” è costituito
dalle attività di “ricerca & sperimentazione”, in Piemonte svolte dal
CReSO, in altre situazioni da Enti costituiti ad hoc nelle aree di
maggior interesse ortofrutticolo (Il CTIFL in Francia, il CRPV in
Emilia Romagna, il CSA-Laimburg in Sud Tirolo, l’ISMAA in
Trentino, per non citare che i principali). A monte, l’attività di ricerca
viene svolta in collaborazione con Istituti di ricerca, in particolare il
CRA – Consiglio di Ricerca e sperimentazione per l’Agricoltura,
Dipartimenti Universitari, ecc.
A valle, l’offerta di sperimentazione messa a punto dal
CReSO viene trasmessa attraverso un’azione di “coordinamento”
alla rete di tecnici di base, sia per l’agrotecnica (in questo caso
sono operativi i tecnici attivati presso le Organizzazioni Professionali agricole), sia per i processi post-raccolta (condizionamento, certificazione, promozione, ecc.). In questo caso ci si
89
rivolge prevalentemente ai tecnici “di filiera” in forza alle Organizzazioni di Prodotto.
Il flusso di innovazione investe in ultima analisi sia le singole
aziende frutticole, sia – in misura maggiore – le loro organizzazioni,
parte integrante della filiera commerciale. A questo punto scatta il
feedback, il flusso di ritorno. Le Organizzazioni di Prodotto socie del
CReSO costituiscono l’interfaccia con la distribuzione e il consumo.
Le loro azioni sono rivolte da un lato a promozionare i prodotti del
territorio, dall’altro a recepire le “intenzioni di acquisto” e le attese
dei consumatori, in modo da tradurle in “domanda di ricerca”. Si
tratta di mettere a punto nuovi prodotti o nuovi processi produttivi,
di modificare la tecnica colturale corrente con interventi che
rispondano a domande di sicurezza alimentare, piuttosto che di
logistica della distribuzione, ecc. Sono queste le attività di ricerca
applicata che si svolgono in tutte le aree a frutticoltura avanzata. La
specificità che intende cogliere il CReSO, in qualità di ultima
istituzione nata nel panorama della ricerca applicata nazionale e in
quanto tale in grado di far tesoro delle esperienze altrui, è di far sì
che le attività di ricerca svolte sul territorio di propria competenza
siano strettamente connesse, rispondano ad effettive esigenze,
portino a stabilire rapporti di collaborazione con altre Istituzioni di
ricerca per evitare duplicazioni di costi. In definitiva il CReSO ritiene
che l’efficienza della ricerca sia il risultato di un lavoro rigoroso
inserito in una qualificata rete di rapporti di collaborazione, tale da
generare un flusso di innovazione che coinvolga tutti i soggetti della
filiera frutticola.
90
Conclusioni
Dionisio Brunelli
Assessore alle Politiche per l’Agricoltura della Provincia di Verona
Le domande che a questo punto tutti si pongono sono: che
cosa succederà domani? Cosa può fare l’Istituto Sperimentale di
Frutticoltura della Provincia di Verona?
Quali risposte.
Abbiamo sentito nelle relazioni del prof. Bargioni e del dr.
Baroni quanta attività sia stata svolta in cinquant’anni di fruttuoso
lavoro…. ora bisogna pensare cosa fare per il futuro.
Il dottor Baroni ha fatto una parziale critica alle decisioni
politiche prese in passato dalla Provincia, ma oggi non sono le
decisioni politiche del nostro Ente a stabilire di impiegare
finanziamenti per la sperimentazione in agricoltura.
La legge Bassanini dà le deleghe per la ricerca e la
sperimentazione nel comparto agricolo innanzitutto alle Regioni poi
ad alcuni Enti o Istituti nazionali: la Provincia di Verona sta quindi
cercando collaborazioni, in modo particolare con Veneto Agricoltura, per avere degli incarichi specifici, per realizzare progetti
mirati,
per mantenere ancora vivo l’Istituto Sperimentale di
Frutticoltura.
Questo è il primo obiettivo possibile da raggiungere.
Un’altra possibilità potrebbero essere finanziamenti da
privati, ma conosciamo l’ambiente veronese, e non credo sia una
via facilmente percorribile.
Credo che un notevole aiuto possa venire anche dalla
collaborazione con l’Università di Verona, soprattutto dopo la
costituzione della Laurea in Viticoltura ed Enologia che ha sede
nella Villa Lebrect a S. Floriano adiacente alla Sede del Servizio
Agricoltura della Provincia.
Sono convinto, ed i tecnici e il dirigente del Servizio
Agricoltura lo hanno confermato, che ci vuole un rapporto più
stretto con il territorio, per dare risposte concrete e pratiche.
Ho chiesto, ma chiederò ancora al Vice Presidente della
Regione Veneto Luca Zaia un aiuto concreto per mantenere i
nostri tecnici sul territorio. Non è possibile che in una Provincia così
importante dal punto di vista agricolo come quella di Verona, la
prima provincia agricola d’Italia, non vi sia alcun supporto tecnico
91
per il settore, mentre quelle di Treviso, Rovigo, Padova e Venezia
siano ampiamente aiutate dalla sperimentazione regionale.
Auspico quindi che si arrivi ad un accordo o ad una
convenzione con la Regione per fornire anche al nostro territorio
quelle risposte tecniche ed operative che necessita e merita.
92
Giovanni Rizzotti
Rivolgendosi a conclusione del convegno all’Assessore alle Politiche
Agricole della Provincia di Verona Dionisio Brunelli
Le parole dell’Assessore Brunelli sono particolarmente
gradite, e fanno ben sperare per la ripresa e per il rilancio
dell’Istituto in quanto si comprende che c’è la volontà politica non
solo di mantenere in vita l’Istituto di Frutticoltura di Verona, ma
anche di ricercare nuove forme di investimento che possano
contribuire a attivare risorse umane e materiali.
Dall’insieme delle relazioni che sono state presentate, e mi
riferisco in particolare a quanto hanno detto il prof. Sansavini e il
prof. Fideghelli, si comprende che le strutture sperimentali e di
ricerca distribuite sul territorio hanno un ruolo di notevole
importanza per assistere gli agricoltori nelle scelte e per coinvolgerli
in progetti di sviluppo. Così è avvenuto in passato quando attorno a
Verona, e attorno all’Istituto di Frutticoltura, si è creato un nucleo di
frutticoltori e tecnici che ha portato questa area ad eccellere in
diversi settori come pesco, ciliegio e fragola.
Dopo il rallentamento del periodo recente, però, il volano
dell’Istituto deve essere rimesso in moto.
Io credo che la città di Verona, con il supporto della
comunità scientifica e delle strutture di ricerca di tutta Italia, le quali
sono qui a testimoniare la loro amicizia, possa ricostruire un
progetto ed una missione nuova per il nostro Istituto.
In fondo il prof Bargioni, 50 anni fa, è venuto a Verona con
un’idea ed un progetto, lo ha creato, lo ha sviluppato portandolo ai
risultati che abbiamo sentito raccontare e favorendo la crescita di
molte iniziative, come il Comitato tecnico per l’Ortofrutticoltura,
sostenuto dalla Camera di Commercio di Verona e da altre
istituzioni, e coinvolgendo gli agricoltori migliori della zona.
Quel progetto con il tempo si è in parte esaurito, un po'
perché le amministrazioni pubbliche ci hanno creduto di meno, un
po’ perché è mancato un rinnovamento di idee e infine per una
drastica riduzione dei finanziamenti messi a disposizione. Credo
che debba essere ricreato un progetto andando ad affrontare
tematiche nuove e cercando nuovi obiettivi. In questa sede già
sono state suggerite numerose strade e molteplici idee, ed inoltre è
stato illustrato un modello di sperimentazione e ricerca regionale
che funziona, il consorzio CReSO. Sulla base di queste idee e di
questi modelli l’Istituto di Frutticoltura potrà ritrovare slancio e
93
riprendere a dare il proprio contributo allo sviluppo della frutticoltura
veronese e veneta. E’ proprio nei momenti di crisi, e come è stato
detto più volte stiamo attraversando un momento di crisi, che
bisogna trovare la forza e la determinazione per trovare nuove
soluzioni.
Credo di poter concludere questa serie di relazioni con una
nota di speranza, e con un invito a tutti per collaborare assieme alla
attuale direzione dell’Istituto per un suo rilancio. Ringrazio tutti i
partecipanti per l’attenzione con cui sono stati seguiti i lavori di
questo incontro.
94
Consegna di una targa di riconoscimento della Società
Orticola Italiana all’Istituto Sperimentale di Frutticoltura
della Provincia di Verona per il suo 50°
Elvio Bellini
Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura - Università di Firenze
In questo contesto io rappresento la SOI, Società Orticola
Italiana, ma rappresento anche un po’ me stesso, per i tanti anni
che collaboro con molti di voi, prima di tutti con il prof. Giorgio
Bargioni, con l’amico, col toscano, col fiorentino Bargioni. Io
giovincello, l’ho visto partire dalla gavetta a Firenze per arrivare fin
qui a Verona e quindi ho vissuto due generazioni perché se una
generazione consta di venticinque anni sono cinquant’anni che
conosco Bargioni e con lui il prof. Alessandro Morettini… Perché va
detto che se c’è una scienza frutticola in Italia il fondatore e primo
maestro è stato proprio Morettini.
La Società Orticola Italiana è stata costituita due anni prima
che nascesse l'Istituto Sperimentale di Frutticoltura di Verona, e
non è un caso: è un puzzle che se si completa ci si accorge come è
avvenuto tutto ciò.
Questo è importante:
due anni prima Bargioni firmò l'atto costitutivo
della SOI insieme con
Morettini e i suoi allievi
e due anni dopo, guarda caso Bargioni approdò a Verona per dirigere il costituendo
nuovo Istituto di Frutticoltura. Vi era un probabile disegno in tutto Il Prof. Elvio Bellini consegna la targa ricordo della
questo, ne sono con- S.O.I. Prof. Giorgio Bargioni
vinto; io ero ancora
"acerbo" e non potevo sapere, ma poi "maturando" imparai a
conoscere il puzzle fino a vederlo completo.
In tutto questo lungo periodo la SOI ha operato strettamente
con l’Istituto di Frutticoltura di Verona.
Tutti i convegni che la SOI ha organizzato con il Comitato
Tecnico per l'Ortofrutticoltura della Camera di Commercio di
95
Verona, finanziati e voluti, una miriade, e il volume sull’attività dei
cinquant’anni della SOI con tutti i frontespizi degli Atti riportati,
dimostrano cosa Verona ha fatto, cosa l’Istituto ha fatto, cosa il
Comitato ha fatto per la frutticoltura veronese e non solo veronese
perché la SOI non è solo Verona ma è tutta Italia.
La Società Orticola Italiana oggi, nella ricorrenza del
cinquantesimo anniversario dell'Istituto Sperimentale di Frutticoltura
della Provincia di Verona, offre una targa ricordo all’Istituto nella
persona del professore Giorgio Bargioni, che ha fatto crescere
l’Istituto e che ancora lo rappresenta con grande dignità.
Io sono il Past-President della SOI, ho dato tanto a questo
sodalizio, e quindi quando dico SOI dico gran parte dell’attività di
ricerca frutticola che si svolge nel nostro Paese, e non solo quella
frutticola, perché la SOI è anche vite e olivo; è orticoltura,
floricoltura, ambiente e paesaggio e questa targa recita così: "La
SOI in ricordo di cinquant’anni di profonda collaborazione, festeggia
l’Istituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona" e i
due presidenti firmatari della SOI sono i proff. Giancarlo Barbieri e
Paolo Inglese, Presidente Generale il primo e Presidente della
Sezione Frutticoltura il secondo.
Ho appena detto "festeggia". Ebbene, abbiamo due Istituti di
Frutticoltura in crisi, quello nazionale e questo locale. Forse non è
un caso: ma cosa sta succedendo negli organi che decidono
queste cose, possibile che non si rendano conto della realtà
economica e produttiva di questo importante comparto? E’ assurdo
tutto ciò, è assurdo che un Istituto nazionale venga trasferito in una
zona del sud; la Frutticoltura non è solo al sud, c'è una parte della
frutticoltura che si sta spostando verso il sud, come quella delle
drupacee ma non quella delle pomacee che trova i suoi centri
principali di produzione e di ricerca al nord. La frutticoltura è tutta
italiana, io non capisco questi disegni "distruttivi" e se possiamo
fare qualcosa per bloccarli, dato che siamo qui in tanti, credo che
dobbiamo agire.
Caro Giorgio ti consegno la targa, e a tutti voi chiedo scusa
per questo mio sfogo da frutticoltore convinto, perché anch’io ormai
compio cinquant’anni di militanza nella ricerca frutticola per il nostro
bel Paese.
96
Consegna dei riconoscimenti della Provincia di Verona a
chi ha lavorato all’ Istituto Sperimentale di Frutticoltura
Dionisio Brunelli
Assessore alle Politiche Agricole della Provincia di Verona
Giorgio Baroni,
Istituto Sperimentale di Frutticoltura, Provincia di Verona
La Provincia vuole dare come segno di riconoscimento, una
targa ricordo, a chi ha lavorato, oppure ai parenti di coloro che sono
defunti, per l’ attività svolta presso l’Istituto di Frutticoltura.
ai parenti dei defunti:
Carlo Bedoni, dottor Silvio Bonfante, Attilio Bonvicini, Angelo
Gesuita, Livio Mantovani, Zeffirino Mantovani, Michele Marcolin,
Carlo Scapini, Marcellino Tomelleri,.
ai presenti:
Clara Adami, Simonetta Bedoni, Lucidio Bonadiman, dottor
Ferdinando Cossio, Antenore De Guidi, perito agrario Umberto
Fraccaroli, Mario Frigo, Angelina Gasparato, perito agrario Corrado
Madinelli, dottor Lino Mazzi, Ambrogio Salomoni, Nello Zanoni.
Sono stati collaboratori preziosi per l’attività dell’Istituto dal
suo inizio fino ad ora ai giorni nostri, collaborazione indispensabile
per l’Istituto che non è fatto solo da ricercatori ma anche da chi le
piante le deve coltivare, trattare, potare.
La Provincia, ha pensato di dedicare due targhe particolari
per il prof. Giorgio Bargioni e per il perito agrario Tiziano Tosi.
Al prof. Bargioni, per quanto ha fatto per la frutticoltura
veronese in qualità di appassionato Direttore dell’Istituto
Sperimentale di Frutticoltura dalla fondazione al 1990. Il prof.
Bargioni, ha saputo unire ad una solida e ampia preparazione
scientifica un’altrettanto qualificata preparazione pratica che gli ha
consentito un costante dialogo con tecnici e produttori, per cogliere
dalle loro osservazioni gli spunti per i suggerimenti del lavoro di
ricerca.
Numerose sono le cultivar di ciliegio che portano la sua firma
e tanto è stato il lavoro nel pesco, anche se con meno fortuna,
97
tuttavia non è raro trovare ancora nelle mostre dell’area peschicola
veronese campioni di frutta con la sigla “incrocio Bargioni”.
Al perito agrario Tiziano Tosi, perché ha saputo strappare la
fragola da un ruolo secondario che aveva anche agli inizi degli anni
sessanta per portarla ad avere il ruolo primario dei giorni nostri,
indagandone tutti gli aspetti colturali.
La fervida fantasia, come lui stesso affermò ad un convegno, “le idee che si accendono nelle lunghe notti d’inverno”, e
l’instancabile voglia di provare gli hanno consentito di divulgare
numerose innovazioni di tecnica colturale e di diffondere la coltura
autunnale e primaverile che tante soddisfazioni ha dato e sta
ancora dando ai fragolicoltori veronesi.
Alcuni momenti della consegna dei riconoscimenti da parte dell’Assessore Dionisio
Brunelli ai collaboratori dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura
A sinistra premiazione di Corrado Madinelli,
a destra di Umberto Fraccaroli.
98
Premiazione di Ferdinando Cossio e Ambrogio Salomoni (in alto) di Antenore De Guidi e
Mario Frigo (in basso).
99
Il prof. Giorgio Bargioni (sopra, secondo da sinistra) e il dott. Giorgio Baroni (sotto, primo
da sinistra) durante il loro intervento al convegno.
100
Il prof. Carlo Fideghelli (sopra) e il prof. Silviero Sansavini (sotto) relatori al convegno
101
INDICE
5
Saluto del Presidente della Provincia di Verona
Elio Mosele
7
Saluto del Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Verona
Alessandro Mazzucco
9
Introduzione al convegno
Giovanni Rizzotti
11
L’importanza della sperimentazione sul territorio per la
moderna frutticoltura
Carlo Fideghelli
17
Orientamenti della ricerca in frutticoltura: obiettivi e
poten-zialità, gestione dei programmi, ruolo degli enti
pubblici e privati. Innovazioni tecniche e miglioramento
qualitativo delle produzioni
Silviero Sansavini
49
Cinquant’anni di sperimentazione per lo sviluppo della
frutticoltura veronese - (prima parte 1955-1990)
Giorgio Bargioni
61
Cinquant’anni di sperimentazione per lo sviluppo della
frutticoltura veronese – (seconda parte 1990-2005)
Giorgio Baroni, Gino Bassi, Ferdinando Cossio
73
Sperimentazione per la frutticoltura veneta e aggiornamento
tecnologico dei produttori
Claudio Giulivo
79
La sperimentazione nella Regione Veneto e la collaborazione
con le province
Carlo Migliorini
83
L'esperienza del CReSO in Piemonte: pubblico e privato
insieme per realizzare una ricerca funzionale alla domanda
della filiera frutticola.
Silvio Pellegrino
103
91
Conclusioni
Dionisio Brunelli
Giovanni Rizzotti
95
Consegna di una targa di riconoscimento della Società
Orticola Italiana all’Istituto Sperimentale di Frutticoltura della
Provincia di Verona per il suo cinquantesimo
Elvio Bellini
97
Consegna dei riconoscimenti della Provincia di Verona a chi
ha lavorato all’ Istituto Sperimentale di Frutticoltura
Dionisio Brunelli, Giorgio Baroni
Nota
L’elenco delle pubblicazioni dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura della
Provincia di Verona si trova al seguente indirizzo:
www.provincia.vr.it/newweb/Area-servi/Servizio-A/index.htm
104
Finito di stampare
nel mese di febbraio 2009
presso le
Grafiche Valpolicella
San Pietro in Cariano (VR)
Scarica

Scarica il documento - Provincia di Verona