4 MARTEDÌ 14 OTTOBRE 2014 TENDENZE. Le nuove sfide del settore in uno scenario mondiale in continuo cambiamento. Dal tessile all’abbigliamento, dalla pelletteria alle calzature e agli occhiali le strategie delle griffe per cavalcare i mercati Moda,ilnuovobrand sichiama“innovazione” Politiche industriali serie per rilanciare il comparto B B l'inchiesta ologna (dal nostro inviato). Centomila posti di lavoro persi e 10 mila unità produttive in meno. Sono i dati drammatici che il settore della Moda (tessile, abbigliamento, calzature, pelletteria) ha dovuto subire in questi anni a causa della crisi che dal 2007 sta impoverendo il tessuto produttivo e industriale nazionale. Ma un dato in controtendenza c'è. Nei primi sei mesi del 2014, nonostante le continue difficoltà di molte aziende del settore, il fatturato complessivo è cominciato a salire. Mentre molte aziende hanno chiuso i battenti, altre hanno registrato aumenti del 20-30%. Come mai? La risposta è semplice: il made in Italy piace, è un grande valore aggiunto e rimane uno dei fattori strategici vincenti insieme all'innovazione. “Le aziende che in questi anni hanno fatto della qualità il loro punto di forza e hanno scelto la strada dell'innovazione tecnologica ma anche organizzativa sono risultate vincenti” afferma Sergio Spiller, segretario generale aggiunto della Femca Cisl. L'etichettatura di origine è quindi una scelta da difendere e valorizzare come la lotta alla contraffazione. Ma c'è di più. Il mondo della moda sta cambian- Luxottica, un marchio di successo “L conquiste del lavoro Sempre più capitali esteri a capo del nostro made in Italy uxottica è la prima azienda al mondo ad avere un rapporto tra marchi di proprietà e di licenza del 50 e 50; una condizione che crea un contesto per l’azienda senza rivali”. Nicola Brancher, segretario generale della Femca Cisl Belluno-Treviso spiega così il successo del marchio bellunese aggiungendo due altre questioni che caratterizzano il settore dell’occhialeria nel complesso: a livello internazionale le aziende italiane la giocano da padrone e, corollario di questo, il 90% della produzione viene esportato. Brancher sottolinea inoltre il quadro positivo del settore: nel primo trimestre dell’anno le esportazioni sono salite del 9,5% , per gli occhiali da sole margini superiori al 10%. Si esporta maggiormente negli Usa, Francia, Germania e in alcuni paesi emergenti, mentre soltanto il 5% è venduto in Italia. Brancher tiene ad evidenziare sia il consolidamento della sinergia tra i produttori di occhiali di diverse griffe sia che Luxottica non si interessa più soltanto di occhiali da vista e medicali, ma ha esteso il proprio business anche all’occhiale come accessorio di moda. Inoltre, in questa fase, un’operazione che sta andando in porto è la vendita in internet: Luxottica l’ha sta già sperimentando, mentre Safilo si sta aggiornando. Sui Ray Ban, ad esempio, c’è un progetto che permetterà ai clienti di ordinare un occhiale personalizzato ed averlo a casa dopo soli tre giorni. Per realizzare questi progetti è stato necessario per l’azienda riuscire ad integrare la produzione con le catene distributive, mentre sul versante organizzativo, il passaggio dall’occhiale da vista all’occhiale di moda e anche di lusso ha comportato per i lavoratori maggiore flessibilità organizzativa. Infine secondo Brancher l’entrata di capitale estero nelle aziende del settore come Marcolin e Safilo, è stata fondamentale perchè per entrambe si paventava l’ipotesi di fallimento. “Il rischio, però - avverte Brancher - è quello legato alla delocalizzazione vicina, mentre la guerra tra le griffe crea difficoltà tra le aziende. Con la conseguenza di perdere molti posti di lavoro”. Intanto ha portato sgomento in fabbrica la notizia delle dimissioni dell’amministratore delegato Luxottica, Enrico Cavatorta, ad appena un mese dalla sua nomina. “Questa è una fase molto delicata e non banale della vita del colosso dell’occhialeria di Agordo - afferma Brancher -. Nel nostro paese i cambi generazionali hanno creato in più di qualche occasione delle difficoltà. Fortunatamente lo scossone di oggi è su un’azienda che non ha rivali a livello globale”. Rispetto alle relazioni fra azienda e sindacato nelle ultime settimane, dopo l'abbandono del vertice del board da parte di Andrea Guerra, Brancher rivela che “i contatti sono quotidiani ma che, dato lo stato di evoluzione del quadro ai vertici, ci viene richiesto di attendere la stabilizzazione della situazione. In ogni caso - conclude - non c’è ragione per perdere la percezione di tranquillità”. do, anzi cambia in maniera sempre più veloce e si salva chi riesce a stare dietro alle nuove tendenze. Di conseguenza cambiano anche le strategie industriali. Oggi chi resiste è chi riesce a fare rete attraverso accordi di filiera ma anche chi ha la capacità di internazionalizzarsi. “La vera trasformazione degli ultimi anni nel settore - commenta Marcello Guardianelli, operatore Femca nazionale - risulta essere l'acquisizione da parte di fondi o gruppi esteri dei grandi marchi italiani con impatti che il più delle volte hanno realizzato aumenti di fatturato, di produttività e di occupazione”. Ma la presenza del capitale straniero nelle grandi aziende, in particolare in quelle del lusso è un rischio o una opportunità? Il vantaggio sembra essere il rapido sviluppo del brand, poichè le singole aziende acquisite entrano in grandi gruppi strutturati che grazie al loro network internazionale e alle risorse importanti di cui dispongono consentono ai marchi una facile espansione; di contro c'è che la gestione del marchio e degli investimenti passa in mano straniera così come gli utili. Nota positiva è che il segmento del lusso non solo ha tenuto in questi anni di crisi, ma nei prossimi aumenterà. Secondo alcune statistiche i consumatori del lusso, oggi 380 milioni nel mondo, cresceranno sempre di più arrivando a quota 420 milioni tra pochi anni. Questo grazie anche al nuovo scenario della moda e del lusso. Infatti, accanto agli attuali mercati tradizionali interessati al lusso come Stati Uniti, Giappone Europa, si affiancheranno anche quelli più emergenti quali Cina, Russia, Corea, Sud est asiatico, Medio Oriente, i cui consumatori richiederanno in maniera maggiore prodotti griffati e di qualità. “In questo contesto - dice Carlo Pambianco, esperto di strategie di impresa le aziende e i gruppi della moda esteri si indirizzeranno verso l'Italia per acquisire le aziende, i marchi e i prodotti di cui hanno bisogno per competere con successo nel mercato mondiale”. Nonostante tutto, infatti, l’Italia ha una professionalità che non ha eguali e rimane sempre il paese manifatturiero più importante per la fornitura di prodotti di qualità. Oggi sono diversi i gruppi o i fondi stranieri che hanno acquisito aziende italiane. Tra i più importanti ritroviamo Lvmh (che ha acquisito Fendi, Bulgari, Emilio Pucci, Acqua di Parma, Rossimoda, Loro Piana, Cova) e Kering (con Gucci, Brioni, Bottega Veneta, Sergio Rossi, Richard Ginori, Pomellato). Ma lo scenario futuro considera anche un altro effetto. E' quello del back-reshoring, ossia il rientro a casa di quelle aziende che prima avevano delocalizzato. Oggi il fenomeno è sempre più crescente in particolare se si tratta di aziende del tessile, abbigliamento e calzaturiero. Ma perchè si rientra? “Nella maggior parte dei casi spiega Luciano Fratocchi, professore di economia e organizzazione aziendale dell'Università dell'Aquila - si decide di rientrare a causa della limitata qualità delle produzioni locali e della mancanza di maestranze competenti, ma anche per una difficoltà di coordinamento delle attività off-shore o perchè c'è la necessità di voler migliorare il servizio ai clienti”. Secondo i dati, negli ultimi 18 mesi il nostro Paese è stato il paese europeo che ha registrato più rientri. “Per questo - sottolinea ancora Fratocchi - occorrerebbe mettere in campo una seria politica industriale italiana pro-reschoring”. Insomma sfide importanti a cui il settore della moda non potrà sottrarsi e “che potrebbe cavalcare a testa alta invece di andare a rimorchio conclude Spiller - soltanto se al nostro fianco ci fossero anche le istituzioni”. Sara Martano ologna (nostro servizio). Struttura del settore moda con grandi gruppi e miriade di piccole imprese; filiera, da salvaguardare e qualificare insieme al pianeta del terzismo; mercati interno ed esterno da sostenere; protezione del prodotto attraverso il ‘made in Italy’ e contro la contraffazione; costi energetici da affrontare con una politica comune ed in rapporto con le istituzioni. Sono queste le principali questioni aperte nel settore moda in Italia, declinate da Sergio Spiller, segretario generale aggiunto Femca nazionale, aprendo i lavori della tavola rotonda su “Politiche industriali per il settore Tac (tessile abbigliamento calzaturiero)”, organizzata a Bologna dalla Femca nazionale nella due giorni seminariale sul sistema moda, cui hanno partecipato: Claudio Marenzi, presidente Smi (Sistema Moda Italia); Cleto Sagripanti, presidente Assocalzaturifici; Luca Rinfreschi, presidente Federmoda Cna nazionale. “Il sindacato - spiega Spiller - ha sempre avuto il compito di stimolare l’innovazione. Un tempo bastavano le richieste economiche, oggi per qualificare la contrattazione, specie quella di 2 livello, occorre parlare di: riconoscimento professionale; orari; formazione, avvicinando scuola e lavoro; ammortizzatori sociali come i contratti di solidarietà per non disperdere il patrimonio professionale in caso di ristrutturazioni”. Ma per creare lavoro “centrali diventano le politiche industriali” e su questo Spiller chiede agli imprenditori ed alle loro associazioni “un impegno ad operare congiuntamente”. Claudio Marenzi, presidente Smi (1.100 associati che fatturano 35 miliardi sui 55 del totale italiano del tessile abbigliamento) non ha dubbi: “E’ l’export la nostra mission”. Da qui supporto per giungere al ‘made in’, che “è fondamentale e già il 70% delle aziende Smi lo possiede”. Poi “incentivo a formazione e comunicazione/promozione verso l’estero. Con il ministero dello Sviluppo Economico - dice Marenzi - stiamo lavorando per introdurre sui mercati di paesi maturi ed emergenti aziende che attualmente non esportano. Quest’anno nel tessile e nell’abbigliamento ci sono solo segni positivi e provengono dall’export - conferma il presidente Smi -, osservando che l’unico dato negativo è il calo dei posti di lavoro in aziende piccole che non esportano e spesso chiudono perché il solo mercato interno di riferimento è fermo”. Per Cleto Sagripanti, presidente Assocalzaturifici, “il primo impegno è il rientro delle La sfida di Gucci e la pelletteria Q Formazione per Prada e Brioni L a formazione innanzitutto. Potrebbe essere questo il biglietto da visita del Gruppo Prada, che si sta attrezzando per formare figure specializzate, una sessantina, per l’apertura nel 2015 di una Academy della moda nel sito produttivo del Valdarno. E ancora formazione quale strumento per garantire crescita della qualità del prodotto ma anche del saper fare dei lavori, con l’obiettivo di valorizzare l’eccellenza della filiera territoriale. Il Gruppo, malgrado le sfide congiunturali, ha rafforzato la solidità delle aziende in Italia e all’estero, coinvolgendo anche la filiera produttiva con cui collabora attraverso un accordo di filiera con i sindacati. Un accordo che per David Scherillo, segretario della Femca di Arezzo, “rappresenta uno strumento per l’estensione della contrattazione di secondo livello alle aziende dell’indotto Prada, che conta oggi circa 15 mila addetti in Italia”. La formazione quale elemento di vantaggio anche per Brioni, che attraverso una scuola interna forma i lavoratori dalla fase della progettazione a quella del taglio, dallo stampaggio alle rifiniture finali. L’azienda, con l’ac- quisizione da parte di Kering nel 2011, è riuscita ad ottenere l’ulteriore vantaggio della stabilità finanziaria, pur restando pressoché identico il volume delle commesse in un contesto in cui la clientela di nicchia, potendo scegliere oggi tra più marchi, ha determinato un’accelerazione della concorrenza tra le imprese. “Unica nota stonata - dice Leonardo D'Addazio, Rsu Femca Cisl Brioni - è che nonostante l’acquisizione e gli investimenti, Kering non è riuscita ad aumentare il numero di commesse. Per cui oggi facciamo ancora cassa integrazione per il 20% del totale delle ore”. ualità e legalità. Sono questi gli obiettivi alla base del percorso che la Femca Cisl di Firenze-Prato ha messo in campo nel comparto della pelletteria. “Tutto parte dalla necessità di governare e monitorare l'apparato produttivo attraverso il controllo dell'intera filiera locale - afferma Giovanni Rizzuto, segretario generale della Femca territoriale - con l'obiettivo di mantenere alti i livelli qualitativi”. Da questa esigenza, con Gucci che nel territorio è una realtà industriale molto importante, ma anche complessa e articolata, si sono nel tempo sottoscritti diversi accordi per il mantenimento delle aziende della filiera che contano nel complesso 5 mila lavoratori. “Primo fra tutti - continua Rizzuto - è la sottoscrizione nel 2004 dell'accordo di sostenibilità sociale tra Gucci, sindacato e Regione Toscana per far fronte all'invasione cinese attraverso la mappatura delle aziende che compongono la filiera e la regolamentazione delle aziende di sub fornitura”. Poi nel 2009 per tamponare gli effetti della crisi si sottoscrive un accordo di sostenibilità economica che consente alle aziende di filiera di avere un accesso al credito con Gucci che fa da garante. Quest'anno il terzo accordo di sostenibilità competitiva. Di fatto si alza l'asticella sugli investimenti per mantenere e migliorare la capacità competitiva attraverso l'innovazione tecnologica e manageriale e la formazione professionale per le maestranze con l'alta scuola di pelletteria. “Ora l'obiettivo è quello di arrivare ad una contrattazione di filiera - afferma Rizzuto -, grazie a relazioni industriali partecipative e consolidate. Intanto abbiamo già definito il Progetto legalità di tutta la filiera della pelletteria per sensibilizzare le imprese ad essere parte attiva nella qualificazione e sostenibilità della filiera e nel rispetto delle regole e della concorrenza leale”. Con questo protocollo si rafforzano anche i meccanismi di cooperazione e i circuiti informativi tra mondo imprenditoriale e associativo e forze dell’ordine. produzioni in Italia. Già lo stanno facendo aziende italiane che avevano delocalizzato in Paesi lontani, mentre marchi stranieri (francesi ed americani) stanno pensando di impiantare produzioni in Italia. Dobbiamo sostenere questo rientro con politiche fiscali di sostegno come contributi ed agevolazioni a nuove assunzioni”. Per Luca Rinfreschi, presidente Federmoda Cna, “i problemi delle pmi sono economici: 550mila occupati in meno nell’artigianato, boom fallimenti, calo credito alle imprese, interessi ed avvalli richiesti agli imprenditori fuori misura. Anche il Tfr in busta paga - osserva - rappresenterebbe un costo improponibile per le imprese, in quanto, data la stretta creditizia, significa liquidità”. Le circa 23mila imprese associate “lavorano sul territorio e sono le depositarie del made in Italy - rivendica Rinfreschi - mentre i maker, i giovani artigiani digitali, sono la benzina per i motori delle piccole imprese e del made in Italy”. Per coniugare i maker con la tradizione artigianale italiana del ‘saper fare’, “investire su digitale per migliorare processi produttivi e rete di vendita e sul design per pensare prodotti adatti ai mercati globali”. Per crescere “attrarre investimenti, cambiando un sistema legale e burocratico troppo complicato, riportare la tassazione alla media di Eurozona, migliorare qualità ed efficienza della Pa”. Sergio Gigli, segretario generale Femca, chiudendo i lavori, non nasconde il quadro preoccupante in cui versa il comparto, “privo da ormai 25 anni di politiche industriali”. Per cui “nei settori si è cercato di sopperire, soprattutto attraverso accordi di 2 livello, per dare respiro ai lavoratori ed alle imprese”. Alla perdita di competitività e reddito Gigli associa la preoccupazione di un mercato del lavoro in cui passi l’idea che si possa fare occupazione attraverso la legge, mentre “sappiamo per esperienza che le imprese assumono solo se hanno mercato”. Da qui la richiesta della Femca di politiche industriali (“il ministero dello Sviluppo Economico gestisce solo vertenze”), cominciando con l’abbattimento delle tasse sul lavoro per dare competitività al sistema”. Infine, Gigli ricorda che gli ultimi rinnovi dei contratti nazionali, stipulati unitariamente, “tengono conto delle difficoltà delle imprese e contengono impegni comuni di imprenditori e sindacati per affrontare la crisi del settore e rilanciare il made in Italy”. Gli osservatori previsti dai contratti “dovranno sempre più essere propedeutici ad una ampia partecipazione ed a tavoli di confronto sulle esigenze di imprese e dipendenti di tutta la filiera della moda”. Ileana Rossi