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Il caso clinico presenta la storia di un uomo di 39 anni in emodialisi dall’età di 27
anni per IRC in GSFS da nefropatia IgA, diagnosticata all’età di 18 anni.
Gli anni in predialisi sono caratterizzati da scarsa compliance terapeutica, una
grave forma di depressione e un’ipertensione arteriosa di difficile controllo.
La descrizione del caso clinico è focalizzata sui primi 11 anni di emodialisi e
analizza l’evoluzione della CKD-MBD sotto un profilo bioumorale, vascolare, osseo
e terapeutico.
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I primi 3 anni di emodialisi sono caratterizzati da valori di iPTH all’interno dei
range raccomandati dalle linee guida KDOQI (in figura sono riportate le medie
annuali dei valori massimi e minimi).
In questo periodo inizia lo screening per l’inserimento in lista trapianto. Vengono
descritti i classici danni d’organo su base ipertensiva: retinopatia e ipertrofia
ventricolare sinistra (IVS).
Nonostante la lunga storia di IRC, tuttavia, l’ecoDoppler TSA non evidenzia la
presenza né di calcificazioni vascolari né di placche ateromasiche, così come l’Rx
del bacino non documenta la presenza di calcificazioni vascolari.
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Dopo tre anni il paziente viene escluso dalla lista trapianto per la scarsa
compliance terapeutica. Nello stesso periodo i valori di PTH aumentano
progressivamente, con picchi oltre i 1000 pg/ml.
Il quadro di iperparatiroidismo secondario viene approfondito con un’ecografia e
una TAC del collo che descrivono 2 ghiandole paratiroidee a sinistra (18 e 17 mm)
e a destra (11 e 20 mm). Viene inoltre ripetuta un’ecocardiografia, che conferma
la nota IVS con FE e cinesi segmentaria ancora nei limiti di norma.
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Nei primi 5 anni di emodialisi, l’andamento del PTH si accompagna al difficile
controllo dell’iperfosforemia, con valori medi di P >6 mg/dl.
L’iperfosforemia limita inoltre l’utilizzo del calcitriolo, la cui obbligata sospensione
nel 2001 si associa a un ulteriore peggioramento dei valori di PTH.
La reintroduzione del calcitriolo nel 2004 si accompagna a un nuovo
peggioramento nel controllo della fosforemia senza benefici sui valori del PTH.
L’andamento della calcemia, con valori massimi ai limiti superiori di normalità,
testimonia l’evoluzione dell’iperparatiroidismo dalla forma secondaria a quella
terziaria.
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In seguito a una caduta accidentale nel 2006 il paziente subisce una frattura omerale e
radiale. Gli esami radiologici e cardiologici eseguiti in questa circostanza dimostrano una
severa evoluzione del danno cardiovascolare tipico della CKD-MBD.
All’Rx del polso si evidenziano estese calcificazioni vascolari su versante arterioso e
venoso della fistola artero-venosa (1).
L’Rx dell’omero sinistro documenta la presenza di una massa costale di ndd, compatibile
con tumore bruno e calcificazioni dei tessuti molli periarticolari (2).
All’ecocardiografia si riscontrano calcificazioni mitraliche (3A-B) e aortiche (3C), stenosi
aortica lieve e peggioramento della FE (35-40%) e della cinesi segmentaria (acinesia
apicale).
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In merito all’evoluzione del quadro cardiologico si procede a coronarografia, che
evidenzia una stenosi ostiale e del tratto medio di IVA (nella norma il tronco
comune, la circonflessa e la coronaria destra).
Il paziente non riceve indicazione cardiologica a manovre di rivascolarizzazione,
data l’assenza di vitalità miocardica nel territorio di IVA all’eco-stress con
dobutamina.
Questa forma di peggioramento cardiologico, tanto rapido quanto asintomatico,
è caratteristica della CKD-MBD e della sovrapposizione tra la malattia ateromasica
e le calcificazioni di Monckeberg.
L’esposizione alle alterazioni metaboliche della CKD-MBD si dimostra alquanto
insidiosa e capace, se non trattata, di indurre un rapido peggioramento
cardiovascolare (Block et al. Kidney International 2007;71:438-41).
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A un’Rx torace del 2007 si evidenzia in proiezione L-L la deformazione sternale
tipica delle gravi forme di iperparatiroidismo. La proiezione A-P mostra inoltre
due masse costali bilaterali di non univoca interpretazione, in prima ipotesi
compatibili con tumori bruni.
La TAC di controllo conferma la presenza di voluminosi tumori bruni a livello
costale e vertebrale. La presenza di tumori bruni costituisce una classica
indicazione alla paratiroidectomia, che nella maggior parte dei casi risulta
efficace nell’involuzione delle lesioni (Hamouda et al. Hemodial Int
2012;(16)4:497-503).
La paratiroidectomia viene proposta al paziente, che tuttavia rifiuta l’intervento.
In questo caso la terapia medica resta l’unica alternativa.
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La stessa TAC documenta estese calcificazioni dell’albero coronarico in toto (non
disponibile EBCT) e del distretto aorto-mesenterico. Simili degenerazioni ossee e
vascolari sono l’espressione eclatante della CKD-MBD. La loro asintomaticità ne
rappresenta una delle caratteristiche salienti.
Rispetto ad altre patologie, spesso l’andamento subdolo della CKD-MBD trattiene
il clinico da un trattamento aggressivo. Tuttavia, il controllo aggressivo dei
parametri bioumorali, specialmente nelle fasi precoci della CKD-MBD, resta a oggi
l’unica strategia terapeutica per limitare la degenerazione della sindrome nelle
sue forme più severe.
Peraltro, l’estensione delle calcificazioni vascolari è notoriamente associata a una
peggiore sopravvivenza in dialisi.
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Dal 2006 si assiste all’evoluzione conclamata in iperparatiroidismo terziario,
caratterizzato da valori di PTH >3000 pg/ml.
Si completa così il quadro di una grave forma di CKD-MBD, ove le severe
alterazioni metaboliche si associano a gravi danni vascolari di carattere
morfologico (calcificazioni) e funzionale (alterazioni della FE e della cinesi
segmentaria).
La grave iperfosforemia, sempre favorita dalla scarsa compliance del paziente,
contribuisce al grave iperparatiroidismo, favorisce la progressione
dell’invecchiamento vascolare e limita il trattamento con vitamina D.
L’introduzione del calcio-mimetico nel 2006 a dosi crescenti stabilizza i valori di
PTH, che restano però gravemente elevati. Contemporaneamente la terapia
chelante si basa su una dose costante di sevelamer (2400 mg tid), cui si
sovrappongono cicli con alluminio e chelanti a base di calcio.
Nel corso del 2007 la fosforemia si stabilizza su valori medi <5,5 mg/dl,
consentendo l’introduzione di un attivatore selettivo del VDR (vitamin D
receptor).
Il trattamento combinato dialisi-chelanti-calcio-mimetico-paracalcitolo inizia a
correggere i valori di PTH che nel 2008 si avvicinano a 1000 pg/ml.
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L’estensione delle calcificazioni vascolari è associata a una ridotta sopravvivenza
in dialisi.
Lo studio RIND ha indagato 127 pazienti incidenti in dialisi, randomizzati a
sevelamer vs chelanti a base di calcio, successivamente seguiti per 44 mesi. Il
punteggio di calcificazione coronarica (CAC), misurato mediante EBCT, è risultato
un fattore di rischio di mortalità indipendente da età, sesso e diabete.
L’associazione tra estensione delle calcificazioni e mortalità è stata peraltro
confermata da altri studi che hanno impiegato diversi metodi di misurazione,
quali l’ecografia (Blacher et al. Hypertension 2001;38:938-42), l’Rx di mani e
bacino (Adragao et al. Nephrol Dial Transplant 2004;19:1480-8), nonché la pulse
wave velocity (London et al. Hypertension 2001;38:434-8).
Lo studio RIND ha riscontrato come il sevelamer, rispetto ai chelanti a base di
calcio, fosse associato a una minore progressione delle calcificazioni coronariche
(Block et al. Kidney International 2005;68:1815-24) e a una migliore
sopravvivenza.
Il dato di sopravvivenza è stato successivamente replicato nella sotto-popolazione
over 65 anni dello studio DCOR (Suki et al. Kidney International 2007;72:1130-7).
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Anche il carbonato di lantanio è stato associato a una migliore sopravvivenza
rispetto ai chelanti a base di calcio nei pazienti dializzati. Questo studio di fase III
ha seguito per 2 anni 1354 pazienti in emodialisi randomizzati a carbonato di
lantanio vs terapia convenzionale.
Nell’analisi globale non era stata osservata alcuna differenza tra i due bracci in
termini di sopravvivenza. Analogamente a quanto osservato nello studio DCOR, la
sottoanalisi nei pazienti over 65 ha dimostrato una migliore sopravvivenza nei
pazienti trattati con lantanio rispetto alla terapia convenzionale.
Sulla base di questi dati e vista l’entità delle calcificazioni del paziente, il
mantenimento di una terapia chelante a base di calcio non sembrerebbe la scelta
ottimale. Le stesse linee guida KDIGO, del resto, suggeriscono di limitare
l’impiego di chelanti a base di calcio in presenza di calcificazioni vascolari (KDIGO.
Kidney International 2009;76(Suppl):113).
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Sul fronte terapeutico, questo paziente presenta 4 criticità:
1) una ridotta compliance dietetica e terapeutica;
2) la necessità di ottimizzare il bilancio fosforico data la gravità della CKD-MBD in termini
sia metabolici sia di danno d’organo;
3) la necessità di una terapia chelante d’associazione;
4) la controindicazione (secondo le linee guida KDIGO) all’impiego di chelanti a base di
calcio data l’estensione delle calcificazioni vascolari.
In un simile scenario acquista valore la possibilità di impiegare binder privi di calcio con
un elevato potere chelante.
Questo lavoro di Daugirdas et al. ha definito il potere chelante relativo (RPBC: relative
phosphate binding coefficient) di diverse molecole, confrontate rispetto al calcio
(carbonato o acetato).
Dalla tabella si osserva che il potere chelante del carbonato di lantanio è doppio (RPBC =
2,0) rispetto al calcio e persino superiore all’alluminio (RPBC = 1,5-1,9). Al contrario il
potere chelante di sevelamer è inferiore al calcio (RPBC = 0,75). In altre parole, 3 g di
carbonato di lantanio chelano la stessa quantità di P chelata da 6 g di calcio; così 7,2 g di
sevelamer chelano tanto quanto 5,4 g di calcio.
Nel nostro paziente 500 mg/die di carbonato di lantanio sarebbero sufficienti per
eliminare l’impiego del calcio acetato. Ancor più importante, nel corso del 2006 quando i
livelli di P erano >5,5 mg/dl, l’associazione con alluminio-magnesio (2400-1200 mg) e
carbonato di calcio (500 mg) poteva essere sostituita da 2,8 g di carbonato di lantanio.
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Il carbonato di lantanio, grazie all’elevato potere chelante, è risultato una scelta
terapeutica efficace anche in monoterapia. In questo lavoro di Hutchinson et al.,
367 emodializzati con P >5,5 mg/dl dopo wash-out dalla terapia chelante
ricevevano carbonato di lantanio alla dose di 750 mg/die, titolabile al fine di
mantenere una fosforemia tra 3,5 e 5,5 mg/dl.
All’inizio dello studio la maggior parte dei pazienti era in trattamento con uno
(57,4%) o due chelanti (38,7%). Al termine dello studio i livelli di P miglioravano
nei pazienti inizialmente sia in monoterapia (1,83 vs 1,98 mmol/l) sia in terapia
d’associazione (1,87 vs 1,97 mmol/l).
Il carbonato di lantanio in monoterapia garantiva un miglior raggiungimento dei
target KDOQI di P (48%) rispetto ai livelli basali (34,9%).
In questo paziente il carbonato di lantanio costituirebbe una valida opzione
terapeutica per limitare la progressione delle calcificazioni vascolari, arginando
l’azione procalcificante dei supplementi di calcio e limitando il sovraccarico di
fosforo grazie all’elevato potere chelante in un paziente scarsamente compliante
alle raccomandazioni nutrizionali.
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L’andamento della calcemia ai limiti superiori di normalità costituisce un altro
limite all’impiego di attivatori del VDR.
Questo caso di iperparatiroidismo terziario documenta l’efficacia di una terapia
d’associazione con calcio-mimetico e attivatore selettivo VDR (paracalcitolo).
L’azione combinata dei due farmaci consente infatti di ottimizzare il controllo del
PTH limitando l’impatto sui valori di calcemia e fosforemia.
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Questo caso di iperparatiroidismo terziario rappresenta un esempio eclatante
laddove il controllo del PTH necessita sia del calcio-mimetico sia di un attivatore
selettivo del VDR.
Il calcio-mimetico è reso necessario dai valori di calcemia ai limiti superiori.
La scelta di paracalcitolo (unico analogo selettivo della vitamina D disponibile in
Italia) è obbligata dalla marcata tendenza all’iperfosforemia e all’ipercalcemia
stessa. A oggi non è possibile definire quale sia la migliore combinazione tra
calcio-mimetici e attivatori del VDR per ottimizzare il trattamento della CKD-MBD.
In merito al controllo dell’iperparatiroidismo secondario, lo studio IMPACT ha
osservato una maggiore efficacia nella riduzione del PTH con paracalcitolo ev
rispetto alla terapia centrata sul calcio-mimetico in associazione a un attivatore
del VDR a bassa dose.
In questo lavoro, peraltro, il trattamento con paracalcitolo rispetto a cinacalcet
favoriva una progressiva diminuzione delle terapie con chelanti a base di calcio.
In attesa di ulteriori evidenze la terapia combinata calcio-mimetico/paracalcitolo
resta una valida opzione nelle gravi forme di iperparatiroidismo terziario.
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La CKD-MBD è una sindrome insidiosa che, seppur legata a un elevato rischio di
mortalità, diviene sintomatica solo nelle fasi apicali e spesso terminali.
L’evoluzione sintomatica è preceduta da una lenta progressione delle alterazioni
metaboliche. L’interpretazione degli esami di laboratorio e la storia clinica
dovrebbero guidare il nefrologo nella scelta di terapie efficaci per raggiungere gli
obiettivi delle linee guida e per diagnosticare precocemente i danni d’organo.
Il trattamento del sovraccarico di P è un elemento imprescindibile della terapia.
In dialisi il mantenimento della fosforemia verso i range di normalità, come
suggerito dalle linee guida KDIGO, rappresenta un obiettivo urgente e non
secondario, considerando:
1) l’impatto del sovraccarico di P sulla genesi delle calcificazioni vascolari;
2) l’impatto del sovraccarico di P sui livelli di PTH;
3) il limitato impiego di vitamina D nel paziente iperfosforemico.
Il trattamento del sovraccarico di P dovrebbe essere sempre multifattoriale:
1) prescrizione dialitica;
2) counselling nutrizionale;
3) terapia chelante più idonea in termini di potenza, tollerabilità e tossicità;
4) vitamina D (dosi e classi a minor impatto sull’assorbimento di P).
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Untitled - Il trattamento dell`iperfosforemia del paziente nefropatico