N. 12 DICEMBRE 2011 • Anno XXVII
RIVISTA MENSILE
de Le Nuove Leggi Civili Commentate
ISSN 1593-7305
LA NUOVA
GIURISPRUDENZA
CIVILE
COMMENTATA
Estratto:
MICHELE SESTA
L’esercizio della potestà sui figli naturali
dopo la l. n. 54/2006: quale sorte per l’art. 317 bis cod. civ.?
Cass., 10.5.2011, n. 10265
c CASS. CIV., I sez., 10.5.2011, n. 10265
Conferma App. Roma, 21.4.2010
Filiazione - Filiazione naturale - Potestà genitoriale - Esercizio della
potestà da parte dei genitori naturali - Convivenza dei genitori con il figlio naturale - Necessità - Esclusione (cod. civ., artt. 155, 317 bis; l. 8.2.2006, n. 54,
art. 4, comma 2o)
A seguito dell’entrata in vigore della l.
8.2.2006, n. 54 in materia di separazione
dei genitori e affidamento condiviso dei figli, le cui disposizioni trovano applicazione anche con riguardo ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati (art.
4, comma 2o), l’art. 317 bis, comma 2o,
cod. civ., salva la previsione dell’esercizio
della potestà da parte dei genitori conviventi, è da ritenersi tacitamente abrogato
per incompatibilità con la disciplina di cui
alla suddetta legge. Conseguentemente ricorre l’esercizio della potestà da parte di
entrambi i genitori naturali che abbiano riconosciuto il figlio anche qualora non vi
sia convivenza con quest’ultimo.
(massima non ufficiale)
dal testo:
Il fatto. 1 – Con ricorso del 5 giugno 2008
F.O., premesso di essere coniugato dal 24 luglio 1988 con T.R.; che da una breve relazione
di costei con tale C.P. era nata, il (Omissis),
A.P.; che, mentre il padre naturale aveva manifestato, ancor prima della nascita, disinteresse
per la minore, l’O., marito e convivente della
madre, aveva sostanzialmente svolto le funzioni di padre della predetta, assistendola moralmente e materialmente, chiedeva che il Tribunale per i minorenni di Roma pronunciasse
l’adozione da parte del ricorrente di A.P., ai
sensi dell’art. 44, lett. b), della l. n. 184 del
1983.
Il P., ritualmente costituitosi, si opponeva all’accoglimento del ricorso, asserendo che, essendosi i suoi rapporti con la R. interrotti, già
nel corso della gravidanza, a causa della scelta
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Filiazione
della stessa di riprendere la convivenza con il
coniuge, la madre aveva frapposto degli ostacoli ai suoi incontri con la minore, tanto da indurlo ad adire il Tribunale per i minorenni di Salerno per l’esercizio del diritto di visita: nell’ambito di tale procedimento era stata per altro espletata consulenza tecnica d’ufficio dalla
quale sarebbe emerso un accertamento positivo
delle sue capacità genitoriali. Per questi motivi,
nonché per l’esplicitato diniego del proprio
consenso, il ricorso doveva essere rigettato.
Con sentenza del 12/18 maggio 2009 il Tribunale per i minorenni di Roma, considerata
generica l’opposizione del P., disponeva l’adozione da parte dell’O. della minore, considerata corrispondente all’interesse della stessa.
La Corte di appello di Roma, Sezione per i
minorenni, pronunciando sull’impugnazione
proposta dal P., rigettata preliminarmente l’eccezione di tardività del ricorso ex adverso sollevata, in riforma della decisione appellata respingeva la domanda di adozione, attribuendo
decisiva rilevanza al diniego di consenso al riguardo manifestato dal padre naturale della
minore.
Si affermava, in proposito, che, poiché ai
sensi dell’art. 46 della l. n. 184/83 assume decisivo rilievo il rifiuto all’assenso all’adozione da
parte dei “genitori esercenti la potestà”, doveva tenersi conto dell’incidenza sull’art. 317 bis
c.c. – secondo cui l’esercizio della potestà genitoriale spetta congiuntamente ad entrambi genitori qualora siano conviventi, ovvero, se non
convivono, a quello con il quale il figlio convive – della modifica apportata all’art. 155 c.c.
dalla l. n. 54 del 2006 (la quale prevede, all’art.
4, la sua applicabilità ai procedimenti relativi ai
figli di minori non coniugati) – con particolare
riferimento all’attribuzione dell’esercizio della
potestà genitoriale ad entrambi i genitori, anche dopo la cessazione della convivenza. Si riteneva, pertanto, che il P., pur non avendo mai
convissuto con la minore, non avesse mai perduto l’esercizio della potestà genitoriale sulla
stessa, che non risultava, del resto, esclusa dal
Tribunale per i minorenni di Salerno, che si era
limitato a disciplinare l’esercizio del diritto di
visita. (Omissis)
I motivi. 2.2 – Con l’unico motivo del ricorso principale viene dedotta violazione e falsa
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Cass., 10.5.2011, n. 10265
applicazione degli artt. 44 e 46 della l. n. 184
del 1983, nonché degli artt. 155 e 317 bis c.c.,
in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3
c.p.c.
Si sostiene che, pur essendo stato elevato a
regola generale, con l’introduzione dell’affidamento condiviso, il principio della bigenitorialità, non sarebbe stato tuttavia abrogato l’art.
317 bis, secondo comma, c.c., in virtù del quale
– in mancanza di una diversa regolamentazione
da parte del Tribunale per i minorenni nell’ambito delle coppie di genitori naturali non conviventi – l’esercizio della potestà spetta al solo
genitore con il quale il figlio convive.
Pertanto, il rifiuto dell’assenso da parte del
P., già ritenuto ingiustificato dal giudice di prime cure, non avrebbe l’efficacia ostativa prevista dall’art. 46, secondo comma, della l. n. 184
del 1983. Infatti l’insindacabile potere di veto
in esame, in quanto correlato all’esercizio della
potestà genitoriale, nella specie non sussisterebbe, non essendo detta potestà attribuita, ai
sensi dell’art. 317 bis c.c., al genitore naturale
non convivente.
2.3 – La censura non può essere accolta, in
quanto priva di fondamento.
Deve essere, invero, ribadito il principio, già
affermato da questa Corte, secondo cui la diversa regolamentazione dei rapporti fra genitori e figli, introdotta con la legge n. 54 del 2006,
pur non interferendo sulla competenza del Tribunale per i minorenni, assume, anche per
quanto concerne la filiazione naturale, efficacia
pervasiva, e, pertanto, implicitamente abrogante di ogni contraria disposizione di legge.
I cardini del nuovo assetto normativo vanno
individuati nella maggiore centralità che assume l’interesse della prole rispetto alle conseguenze della disgregazione del rapporto di
coppia. Di regola, la necessità per i figli di
mantenere un rapporto costante ed assiduo
con ciascuno dei genitori – gravida di risvolti
affettivi, educativi, psicologici, materiali e morali – si riflette nell’istituto dell’affidamento
condiviso, e, quindi, in una più intensa e comune attribuzione di responsabilità agli stessi
nell’educazione della prole che prescinde,
quando non ne subisca in misura rilevante le
conseguenze negative, dalla crisi coniugale.
Tale valorizzazione della posizione dei minori si esprime non solo nella richiamata afferma1204
Filiazione
zione della bigenitorialità, ma anche nell’attribuzione del godimento della casa familiare,
nella previsione del preventivo ascolto del minore, e, per quanto qui maggiormente interessa, nella disciplina della potestà dei genitori.
La disposizione contenuta nell’art. 155,
comma 3, c.c., secondo cui “la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori”, costituisce un significativo quid novi, che, oltre ad
evidenziare l’esigenza della condivisione del
ruolo educativo anche nella crisi, in conformità
a quanto stabilito dall’art. 18 della Convenzione di New York, consente di considerare l’istituto della potestà genitoriale non più come
esercizio di un diritto-dovere in una posizione
di supremazia, bensì di una comune e costante
assunzione di responsabilità nell’interesse
esclusivo della prole.
2.4 – Altro imprescindibile punto di riferimento, per i fini che qui interessano, è costituito – ove si prescinda dalle residuali ipotesi previste dagli artt. 252, 537, comma 3, 542, c. 3 e
566, c. 2 c.c. – dalla ormai realizzata equiparazione, per ragioni che affondano le proprie radici nel fondamentale principio di uguaglianza,
fra le posizioni dei figli legittimi e di quelli naturali.
A codesti principi è evidentemente ispirato
l’art. 4, comma 2, della l. n. 54 del 2006, che,
nell’affermare che le “disposizioni della presente legge”, oltre che “in caso di scioglimento,
di cessazione degli effetti civili o di nullità del
matrimonio”, si applicano anche “ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”, tende a disegnare uno scenario tendenzialmente uniforme, nel quale le posizioni dei
figli nati fuori del matrimonio non possono
non trovare la medesima tutela attribuita alla
prole legittima.
Non è chi non veda, invero, come alla sostanziale equiparazione fra figli legittimi e naturali debba corrispondere un modello unitario di genitorialità.
2.5 – Alla luce delle superiori considerazioni, il tema della compatibilità della nuova disciplina dei rapporti fra genitori e figli, anche
nella crisi coniugale, con le disposizioni contenute nell’art. 317 bis, c. 2, c. c., con particolare riferimento all’esercizio della potestà genitoriale, risulta adeguatamente risolto con la
pronuncia di questa Corte n. 8362 del 2007,
NGCC 2011 - Parte prima
Cass., 10.5.2011, n. 10265
che il Collegio condivide ed alla quale intende dare continuità, meglio specificandone la
portata.
2.6 – Giova premettere che esula dai limiti
della presente vicenda processuale ogni aspetto – ben esplicitato nella richiamata ordinanza
– inerente alla distribuzione della competenza
tra il tributario ordinario e il tribunale per i minorenni.
Sotto il profilo sostanziale, deve condividersi, sempre con riferimento al provvedimento
indicato, l’attribuzione alla l. n. 54 del 2006,
art. 4, comma 2, del significato “di estendere –
all’evidente fine di assicurare alla filiazione naturale forme di tutela identiche a quelle riconosciute alla filiazione legittima – i nuovi principi
e criteri sulla potestà genitoriale e sull’affidamento anche ai figli di genitori non coniugati”.
In altri termini, il principio della bigenitorialità, pur nelle significative differenze riscontrabili fra l’intervento giudiziale nella crisi riguardante i genitori coniugati rispetto a quelli naturali, ha informato di sé il contenuto precettivo
dell’art. 317 bis c.c., eliminando ogni difformità di disciplina fra figli legittimi e naturali, altrimenti non giustificabile.
Per quanto qui maggiormente interessa, deve ribadirsi – come affermato nella richiamata
ordinanza – che “la cessazione della convivenza
tra i genitori naturali non conduce più alla cessazione dell’esercizio della potestà, perché la potestà genitoriale è ora esercitata da entrambi i genitori, salva la possibilità per il giudice di attribuire a ciascun genitore il potere di assumere
singolarmente decisioni sulle questioni di ordinaria amministrazione”.
2.6 [sic] – Merita di essere ulteriormente approfondita la questione inerente ai limiti di efficacia dell’estensione dell’esercizio della potestà genitoriale a entrambi i genitori naturali,
dovendosi registrare, soprattutto in ambito
dottrinale (ma anche nella giurisprudenza di
merito), una significativa diversità di opinioni
per quanto attiene al rapporto fra convivenza
con il figlio naturale ed esercizio della potestà
genitoriale.
Secondo parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, la nuova disciplina prevista dagli artt. 155 e segg. c.c. si estenderebbe
all’ipotesi di crisi della coppia non coniugata e
convivente al momento della nascita del figlio:
NGCC 2011 - Parte prima
Filiazione
in tal caso l’esercizio comune della potestà genitoriale, previsto in linea generale dall’art. 317
bis, secondo comma, prima parte, c.c., sopravviverebbe alla cessazione della convivenza.
L’esercizio della potestà in esame rimarrebbe
precluso al genitore naturale che non abbia
mai convissuto con la prole, ovvero non abbia
effettuato il riconoscimento.
Un altro orientamento afferma l’applicazione dell’art. 317 bis c.c., nel senso dell’esercizio
della potestà da parte del solo genitore convivente in tutte le ipotesi in cui non vi sia controversia in materia di affidamento e sulle modalità di esercizio della potestà, in quanto l’applicazione della nuova disciplina sarebbe condizionata dall’esistenza di un contrasto in merito
all’individuazione del genitore con il quale il figlio debba convivere. Tale tesi si fonda anche
su un argomento di ordine letterale, in quanto
l’art. 4, c. 2 della l. n. 54 del 2006 non estende
le nuove regole ai genitori naturali, bensì ai
“procedimenti relativi ai figli di genitori non
coniugati”. Altri autori ritengono che l’art. 317
bis, comma secondo, c.c., salva la previsione
dell’esercizio della potestà da parte dei genitori
conviventi (speculare rispetto a quanto previsto per i figli legittimi), sia stato tacitamente
abrogato dalla l. n. 54 del 2006, risultando con
la stessa totalmente incompatibile.
2.7 – Quest’ultima tesi appare senz’altro preferibile.
Deve considerarsi che nel quadro della nuova disciplina dei rapporti familiari è stata operata una vera e propria dicotomia fra l’esercizio
della potestà genitoriale e l’affidamento della
prole: come emerge chiaramente dalla previsione degli artt. 155, comma 3 e 317, c. 2, c.c.,
l’esercizio della potestà da parte di entrambi i
genitori ricorre tanto nell’affidamento condiviso, quanto in quello esclusivo.
Far dipendere, poi, l’esercizio della potestà
genitoriale da circostanze del tutto estrinseche
ed eventuali, quali la sussistenza di una crisi
del rapporto di coppia, ovvero il contrasto in
merito all’affidamento, significa trascurare
quella nuova dimensione, sopra evidenziata,
che l’istituto della potestà dei genitori assume
in funzione della riaffermata centralità dell’interesse della prole. Quanto alla tesi intermedia
sopra illustrata, non può escludersi il rischio di
artificiose controversie intese a determinare i
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Cass., 10.5.2011, n. 10265 - Commento
presupposti per l’esercizio comune della potestà dei genitori.
A ben vedere, la tesi dell’esercizio della potestà solo nell’ipotesi in cui vi sia stata convivenza, è intrinsecamente contraddittoria, in quanto proprio quell’affermazione della sopravvivenza della potestà genitoriale alla crisi della
coppia, e quindi alla cessazione della convivenza, dimostra che quest’ultima non costituisce il
dato fondante della figura in esame. Nè può invocarsi quell’esigenza di continuità dei rapporti che viene posta alla base dell’affidamento
condiviso, dal momento che l’esercizio della
comune responsabilità che caratterizza l’esercizio della potestà genitoriale non viene normalmente percepito da parte del minore.
L’esigenza di una disciplina sostanzialmente
omogenea fra figli legittimi e naturali induce
ad attribuire un ampio significato, in virtù di
un’interpretazione costituzionalmente orientata, all’art. 4, comma 2, della l. n. 54 del 2006.
Con l’espressione “procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”, il legislatore ha
inteso disciplinare tutti i rapporti fra genitori e
figli naturali, senza alcuna limitazione – in relazione a una materia nella quale, giova ancora
una volta ribadirlo, l’intervento del giudice
non presenta i caratteri di imprescindibilità
rinvenibili nella regolamentazione della crisi
delle coppie coniugate (Cass., 20 aprile 1991,
n. 4273) –, alle ipotesi caratterizzate da controversie in atto.
Di certo non può e non deve escludersi un
intervento giudiziale, sia in caso di disaccordo,
sia per dettare, nell’interesse esclusivo del minore, una disciplina difforme rispetto alle previsioni di cui all’art. 155, c. 3, c.p.c.
2.8 – La sentenza impugnata, la cui motivazione deve intendersi inquadrata nei termini
sopra indicati, ha correttamente attribuito efficacia preclusiva al dissenso manifestato dal genitore naturale, impedendo alla minore, nell’ambito di una vicenda, nella sua genesi e nel
suo esplicitarsi, dai contorni indistinti, di avere
un secondo padre. (Omissis)
[Luccioli Presidente – Campanile Estensore – Zeno P.M. (concl. conf.). – O.F. (avv.ti Storace e Paolucci) – P.C. (avv. Scarpetta)]
1206
Filiazione
Nota di commento: «L’esercizio della potestà
sui figli naturali dopo la l. n. 54/2006: quale sorte per l’art. 317 bis cod. civ.?»
I. Il caso
Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale per i
minorenni di Roma, un marito chiedeva l’adozione
della minore nata da una relazione extraconiugale
della moglie, dichiarando di aver convissuto con la
stessa sin dalla nascita, mentre il padre naturale se
ne era sempre disinteressato.
All’accoglimento della domanda si opponeva il
padre naturale, asserendo di non aver potuto svolgere il proprio ruolo di padre a causa degli ostacoli
frapposti dalla madre ai suoi incontri con la figlia.
Il Tribunale per i minorenni, ritenendo generica
l’opposizione del padre naturale e considerando
corrispondente all’interesse della minore l’adozione
da parte del ricorrente, accoglieva le istanze di quest’ultimo.
In secondo grado, la Corte d’Appello di Roma,
Sezione per i minorenni, in riforma alla sentenza appellata respingeva la domanda di adozione, attribuendo decisiva rilevanza al rifiuto del consenso
manifestato dal padre naturale. Nel motivare la propria decisione, la Corte capitolina afferma che la l. n.
54/2006 attribuisce l’esercizio della potestà ad entrambi i genitori, anche dopo la cessazione della
convivenza, e questa regola trova applicazione anche nel caso in cui il padre non abbia mai convissuto
con il minore.
Tale decisione è stata confermata dalla Supr. Corte, la quale nella sentenza in epigrafe afferma che
«la legge n. 54 del 2006, pur non interferendo
sulla competenza del Tribunale per i minorenni, assume, anche per quanto concerne la filiazione naturale, efficacia pervasiva, e, pertanto,
implicitamente abrogante di ogni contraria
disposizione di legge».
II. Le questioni
1. L’esercizio della potestà sui figli naturali: la l. n. 54/2006 e l’art. 317 bis cod. civ. a
confronto. Il tema di fondo affrontato dalla decisione in rassegna è quello dell’esercizio della potestà
dei genitori naturali, che sino ad ora pacificamente
ha trovato espressa regolamentazione all’art. 317 bis
cod. civ., il quale, prevedendo che «al genitore che
ha riconosciuto il figlio naturale spetta la potestà su
di lui», equipara la posizione dei figli naturali a
quella dei figli legittimi, in linea con quel processo
di unificazione dello status filiationis perseguito dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 e sviluppato dalla giurisprudenza successiva, tanto ordinaria
quanto costituzionale. In virtù del combinato dispoNGCC 2011 - Parte prima
Cass., 10.5.2011, n. 10265 - Commento
sto degli artt. 317 bis e 261 cod. civ., l’esercizio della
potestà spetta pertanto al genitore che abbia effettuato il riconoscimento e, nel caso in cui tutti e due i
genitori vi abbiano proceduto, l’esercizio spetta ad
entrambi, se conviventi, oppure solo a quello con
cui il figlio convive, mentre all’altro è riconosciuto il
potere di vigilare sull’istruzione, sull’educazione e
sulle condizioni di vita del figlio minore. Qualora,
invece, manchi del tutto il presupposto della convivenza, la potestà è esercitata da quello dei genitori
che per primo abbia riconosciuto il figlio. In ultimo,
viene attribuito al giudice il potere di disporre diversamente, nell’interesse esclusivo del figlio, e di nominare un tutore, escludendo i genitori dall’esercizio della potestà.
Senza dubbio le modifiche di maggior rilievo rispetto alla normativa previgente furono quelle introdotte dal comma 2o dell’art. 317 bis, secondo cui, se
i genitori naturali convivono, l’esercizio della potestà spetta congiuntamente ad entrambi, di tal che
trovano applicazione le disposizioni che regolano
l’esercizio della potestà da parte dei genitori legittimi, ed in particolare l’art. 316 cod. civ.
Tuttavia, a seguito dell’entrata in vigore della l. n.
54/2006 – recante disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso –, che all’art. 4, comma 2o, estende l’applicazione delle nuove norme in materia di affidamento condiviso anche
ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, si è posto il problema del coordinamento dell’art. 317 bis cod. civ. con tali disposizioni, ed in particolare con quelle dell’art. 155, comma 3o, cod. civ.,
il quale, nella sua nuova formulazione, sancisce che
la potestà deve essere esercitata da entrambi i genitori, anche in caso di cessazione della convivenza.
A tal proposito va rilevato che, in assenza di norme di raccordo tra la nuova normativa e quella previgente e a fronte della laconica e generica previsione di cui al già richiamato art. 4, comma 2o, l. n. 54/
2006, non poche sono le perplessità emerse con riguardo alle sorti dell’art. 317 bis.
Parte della dottrina considera tale disposizione
parzialmente abrogata per incompatibilità rispetto
alla legge sull’affidamento condiviso e, di conseguenza, sostituita dall’art. 155 cod. civ. per l’ipotesi
in cui i genitori non convivano (tra tutti, Padalino,
266; Salvaneschi, 1287, entrambi infra, sez. IV. A
tal riguardo si vedano anche i recenti progetti di legge in materia di affidamento condiviso e di potestà
genitoriale sui figli naturali, infra, sez. IV). Il fondamento di tale ricostruzione viene individuato nell’asserito contrasto dell’art. 317 bis cod. civ., ed in particolare della terza proposizione del comma 2o, con i
principi ispiratori della Novella e nella disparità di
trattamento che dall’applicazione di tale norma verrebbe a crearsi tra figli legittimi e naturali.
NGCC 2011 - Parte prima
Filiazione
Pare, invece, a chi scrive, che tra le predette disposizioni possa riscontrarsi un rapporto di complementarietà piuttosto che di alternatività. Infatti,
l’art. 317 bis, comma 2o, seconda parte, cod. civ.,
sembra oggi diretto a disciplinare l’ipotesi in cui i
genitori non abbiano mai convissuto, mentre gli artt.
155 ss. cod. civ., applicabili ai genitori non coniugati
in forza del disposto dell’art. 4, comma 2o, l. n. 54/
2006, intendono regolare l’ipotesi di rottura della
convivenza, i cui effetti sui figli sono trattati alla
stregua della separazione di genitori coniugati (in tal
senso v. anche Lena, 1460; La Rosa, 874, entrambi
infra, sez. IV).
Il rapporto di filiazione, in assenza di una comunione di vita tra i genitori naturali, resterebbe governato dall’art. 317 bis, comma 2o, cod. civ., che,
peraltro, attribuisce al giudice ampi poteri di intervento correttivo. Al contrario, nel caso di rottura
della coabitazione e dunque di quel supporto reciproco spirituale e materiale che caratterizza l’unione familiare, anche se esclusivamente di fatto, la
Novella ha inteso garantire l’esigenza di conservare
e rafforzare lo spirito di collaborazione e condivisione tra i genitori nella gestione del rapporto con i
figli.
In tal senso si è espressa anche parte della giurisprudenza di merito (Trib. Modena, 8.2.2007;
Trib. Varese, 6.12.2006, entrambe infra, sez. III),
per la quale l’art. 317 bis cod. civ. è stato integrato
dalla normativa di cui all’art. 155 ss. cod. civ., cosicché solo nell’ipotesi di crisi della coppia naturale e
di conseguente cessazione della convivenza tra i genitori si applica la disciplina dell’affidamento ai sensi dell’art. 155 cod. civ. e quella dell’esercizio congiunto della potestà genitoriale, ferma restando però
la precedente regolamentazione per il caso di riconoscimento di un solo genitore e per quello di convivenza ab origine del figlio con uno solo di essi.
Giova ricordare poi, prima di analizzare la soluzione delineata nella sentenza che qui si annota, che
sulla questione era già intervenuta nel 2007 la Supr.
Corte (Cass., sez. un., ord. 3.4.2007, n. 8362, infra,
sez. III), la quale, chiamata a risolvere il conflitto di
competenza fra il Tribunale ordinario e quello minorile nelle decisioni sull’affidamento e il mantenimento dei figli naturali, ha affermato che l’art. 317
bis cod. civ. resta il referente normativo dell’esercizio della potestà e dell’affidamento nella filiazione
naturale, non potendosi parlare di «parziale abrogazione per incompatibilità dell’art. 317 bis cod. civ.
(...), ma, al contrario, di riempimento del contenuto
precettivo della disposizione», con riguardo proprio
alla situazione di crisi della coppia convivente, che
in precedenza non trovava una esplicita disciplina,
né sostanziale né processuale, salvo il generale potere del giudice di disporre diversamente da quanto
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Cass., 10.5.2011, n. 10265 - Commento
previsto dalla legge o da eventuali accordi tra i genitori.
2. La risposta della Supr. Corte. Un diverso
indirizzo interpretativo emerge invece da quanto
statuito dalla Supr. Corte nella sentenza in commento, sulla scia della recente dottrina e di qualche precedente nella giurisprudenza di merito (Giud. tut.
Palestrina, 18.9.2006, infra, sez. III). Nello specifico, i giudici di legittimità espressamente affermano
che «la legge n. 54 del 2006, pur non interferendo
sulla competenza del Tribunale per i minorenni, assume, anche per quanto concerne la filiazione naturale,
efficacia pervasiva, e, pertanto, implicitamente abrogante di ogni contraria disposizione di legge», ivi
compreso l’art. 317 bis, comma 2o, cod. civ., salva la
previsione dell’esercizio della potestà da parte dei
genitori conviventi. La Supr. Corte, pur ribadendo
il principio di diritto affermato nella richiamata ord.
n. 8362/2007 – alla quale dichiara di voler dare continuità –, ne amplifica alquanto la portata, estendendo la regola dell’esercizio comune della potestà (art.
155, comma 3o, cod. civ.), oltre al caso in cui vi sia
stata convivenza tra i genitori naturali, «a tutti i rapporti fra genitori e figli naturali, senza alcuna limitazione» [...] dipendente «da circostanze del tutto
estrinseche ed eventuali, quali la sussistenza di una
crisi del rapporto di coppia, ovvero il contrasto in merito all’affidamento», fermo, in ogni caso, l’intervento giudiziale per il caso di disaccordo o per dettare,
nell’interesse esclusivo della prole, una disciplina
difforme rispetto alle previsioni di cui all’art. 155,
comma 3o, cod. civ.
La premessa da cui la Supr. Corte esplicitamente
muove per sostenere tale opinabile conclusione è
che «nel quadro della nuova disciplina dei rapporti familiari è stata operata una vera e propria dicotomia
fra l’esercizio della potestà genitoriale e l’affidamento
della prole», sicché la potestà sui figli, legittimi e naturali, è esercitata da entrambi i genitori «tanto nell’affidamento condiviso, quanto in quello esclusivo».
L’esito cui perviene la Cassazione non sembra
condivisibile, né con riguardo all’affermazione – peraltro formulata obiter – relativa alla sussistenza di
una potestà comune anche nel caso di affidamento
monogenitoriale, né con riguardo alla sussistenza
della potestà in capo ad entrambi i genitori anche
quando costoro non convivano, né abbiano mai
convissuto.
Sotto il primo profilo, non pare esatto affermare
che il principio di bigenitorialità introdotto con l. n.
54/2006 esiga, per essere attuato, sempre e comunque – indipendentemente dal regime di affidamento
in concreto prescelto dal giudice nel migliore interesse della prole –, la potestà comune ex art. 155,
comma 3o, cod. civ. Così opinando, si finisce infatti
1208
Filiazione
per svuotare di contenuto la differenza tra le due
forme di affidamento, riducendola ad un profilo
meramente materiale e quantitativo, legato alla convivenza/collocazione prevalente della prole presso il
genitore coaffidatario o affidatario esclusivo, mentre, come già osservato, pare a chi scrive che la differenza debba appuntarsi proprio sul regime della
potestà, il cui esercizio compete ad entrambi i genitori nell’affido condiviso ed al solo genitore convivente nell’affido esclusivo (in tal senso dispongono,
tra l’altro, i già richiamati progetti di legge in materia di affidamento condiviso, tra cui, da ultimo, il
d.d.l. n. 2454, comunicato alla Presidenza del Senato il 16.11.2010, infra, sez. IV).
Sotto il secondo profilo, la pronuncia, nel ritenere
abrogato l’art. 317 bis cod. civ., appare altresì criticabile, perché supera la lettera dell’art. 4, comma 2o,
l. n. 54/2006, che opportunamente fa riferimento all’applicabilità delle regole in materia di affido condiviso ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, facendo così palesemente intendere come
l’intento del legislatore sia stato esclusivamente
quello di dettare regole uniformi per le decisioni attinenti la crisi di una convivenza, fondata o meno sul
matrimonio, senza per ciò intervenire sulla fase fisiologica della relazione genitore figlio naturale,
qual è appunto quella disciplinata dall’art. 317 bis
cod. civ.
A ben vedere, l’art. 155 cod. civ. stabilisce il diritto del figlio a mantenere un rapporto con ciascun
genitore, anche in caso di separazione: dunque, esso
si riferisce all’evidenza ad una pregressa situazione
in cui un rapporto, inteso in senso fattuale e non
giuridico, esisteva, il che già esclude, di norma, la situazione del genitore che mai abbia convissuto col
figlio. Del resto, detta disposizione nulla lascia trasparire in ordine alla ben diversa questione attinente
l’esercizio della potestà da parte dei genitori naturali, già compiutamente regolata dall’art. 317 bis cod.
civ. secondo criteri di ragionevolezza nient’affatto in
contrasto con il principio della bigenitorialità, data
anche la possibilità del giudice di adattarli alle singole fattispecie. Anzi, la disposizione introdotta nel
2006 pare proprio voler collegarsi alla predetta regola codicistica per colmare la lacuna che si manifestava nelle ipotesi di rottura della convivenza: per
tali motivi non si riscontrano, dunque, i presupposti
di una tacita abrogazione, come del resto avevano
già affermato le sezioni unite.
Secondo la prima sezione della Cassazione, la tesi
che afferma la sussistenza dell’esercizio comune della potestà solo nell’ipotesi in cui vi sia stata convivenza sarebbe intrinsecamente contraddittoria, in
quanto proprio quell’affermazione della sopravvivenza della potestà genitoriale alla crisi della coppia,
e quindi alla cessazione della convivenza, dimostreNGCC 2011 - Parte prima
Cass., 10.5.2011, n. 10265 - Commento
rebbe che quest’ultima non costituisce il dato fondante della figura in esame, né potrebbe invocarsi
quell’esigenza di continuità dei rapporti che viene
posta alla base dell’affidamento condiviso, «dal momento che l’esercizio della comune responsabilità che
caratterizza l’esercizio della potestà genitoriale non
viene normalmente percepito da parte del minore».
Invero, pare a chi scrive che proprio la continuità
dei rapporti del figlio coi genitori – coniugati o no –
che si sono separati esige l’attribuzione ad entrambi
dell’esercizio della potestà, né si comprende come
possa rilevare l’eventuale percezione da parte del
minore in ordine all’esercizio delle prerogative genitoriali, fermo restando che nella più parte dei casi il
minore sarà ben consapevole della diversità di posizione del genitore che con lui ha convissuto e convive rispetto all’altro.
Seguendo la Cassazione in epigrafe, si giunge alla
conseguenza, invero eccessiva, per cui la madre che
da sempre abbia convissuto da sola col figlio – nella
maggior parte dei casi, perché il padre non ha mostrato disponibilità alla vita familiare – debba con
costui rapportarsi in virtù di un suo potere che nei
fatti è avulso da una effettiva comunanza di vita.
Ugualmente dicasi nella fattispecie sottoposta al vaglio della Corte, in cui il padre biologico del figlio
convivente con la madre ed il di lei marito ne ha
ostacolato l’adozione ex art. 44, lett. b), della l. n.
184/1983. In breve, se un genitore, per propria scelta o per obiettiva impossibilità, pur avendo riconosciuto il figlio, non vi abbia convissuto, e più ancora
se lo abbia riconosciuto a distanza di anni dalla nascita, non si vede perché debba essere considerato
de iure titolare della potestà, costringendo l’altro,
che abbia accudito il figlio, a rapportarsi con lui oppure ad adire il giudice per conseguire una diversa
regolamentazione.
Molto più saggio e realistico appare il sistema delineato dall’art. 317 bis, comma 2o, seconda parte,
cod. civ., che, di regola, non attribuisce al genitore
non convivente col figlio l’esercizio della potestà,
pur consentendo al giudice di disporre diversamente in tutte quelle ipotesi in cui la mancata convivenza col figlio non sia segno di disaffezione, ma dipenda da circostanze estrinseche che non escludono la
sussistenza della disponibilità del genitore a prendersene cura. Disposizione, questa, coerente con la
norma dell’art. 317, comma 1o, cod. civ., giusta la
quale, nel caso di lontananza di uno dei genitori
l’esercizio della potestà compete in modo esclusivo
all’altro genitore. Rilievo, quest’ultimo, che indebolisce anche il profilo, evidenziato dalla sentenza,
connesso all’esigenza di una disciplina sostanzialmente omogenea tra figli legittimi e naturali, che dovrebbe sostenere l’interpretazione costituzionalmente orientata pretesamente seguita dalla sentenza
NGCC 2011 - Parte prima
Filiazione
stessa. La norma di cui al comma 1o dell’art. 317
cod. civ. dimostra infatti che il legislatore, indipendentemente dalla sussistenza del vincolo matrimoniale tra i genitori, è attento al profilo fattuale, per
cui, di regola, la mancata convivenza col minore rende inopportuno mantenere in capo al genitore non
convivente l’esercizio della potestà, salvo sempre il
potere del giudice di disporre diversamente caso per
caso.
In conclusione, pare preferibile ritenere che l’art.
317 bis cod. civ. non si ponga in rapporto di incompatibilità con la disciplina introdotta con l. n.
54/2006, sì da esserne implicitamente abrogato,
giacché, per effetto dell’estensione operata dall’art.
4, comma 2o, l. cit., le nuove regole in materia di affido condiviso intervengono a disciplinare una materia – i procedimenti relativi ai figli di genitori non
coniugati – che non risultava regolata dall’art. 317
bis cod. civ.
Indubbiamente il nuovo assetto delineato dalla l.
n. 54/2006 impone una interpretazione sistematicoevolutiva dell’art. 317 bis cod. civ. nelle ipotesi di
rottura della convivenza. Ma, qualora i genitori naturali non convivano, né abbiano mai convissuto,
pare a chi scrive che l’esito dell’operazione interpretativa condotta dalla Cassazione forzi il senso letterale dell’art. 4, comma 2o, l. n. 54/2006, superando
l’intenzione del legislatore, quale si desume dalla
norma medesima, e travalichi altresì il dato di fatto,
risultando sproporzionata ed eccessiva l’attribuzione incondizionata dell’esercizio della potestà al genitore che non abbia mai convissuto col figlio.
In aggiunta a tali considerazioni, va evidenziato
che la tesi della abrogazione tacita dell’art. 317 bis,
comma 2o, cod. civ. indebolisce anche il richiamo
dell’art. 38 disp. att., cod. civ., che, nel ripartire gli
ambiti di azione fra Tribunale ordinario e Tribunale
per i minorenni, attribuisce a quest’ultimo la competenza ad emettere, fra l’altro, i provvedimenti
contemplati dall’art. 317 bis cod. civ. Infatti, poiché
secondo la Cassazione sopravviverebbero alla tacita
abrogazione esclusivamente i commi 1o e 3o, che
non contemplano «provvedimenti» – che erano invece quelli previsti nel comma 2o asseritamente
abrogato –, diventa difficile giustificare la tesi della
competenza del Tribunale per i minorenni (del resto
già debole nella sua enunciazione generale).
Il problema del riparto di competenze è stato a
più riprese affrontato dalla giurisprudenza ordinaria
e sottoposta anche al vaglio della Consulta. In particolare, rispetto all’orientamento giurisprudenziale
(Trib. min. Roma, 23.10.2006; Trib. Milano,
7.7.2006; Trib. min. Milano, 12.5.2006, tutte infra,
sez. III), che afferma che debba intendersi devoluta
l’intera materia al giudice ordinario (in dottrina, v.
Lupoi, 1066 ss.; Graziosi, 1886 ss., Salvaneschi,
1209
Cass., 10.5.2011, n. 10265 - Commento
1292 ss., tutti infra, sez. IV), risulta sino ad ora prevalente l’interpretazione, sostenuta da buona parte
della giurisprudenza di merito (tra le più recenti,
Trib. Roma, 3.5.2010; Trib. Pescara, 16.11.2008;
Trib. Modena, 8.2.2007, tutte infra, sez. III) e da
quella di legittimità (Cass., ord. 3.4.2007, n. 8362,
infra, sez. III) – poi confermata anche dalla Corte
costituzionale (Corte cost., 5.5.2010, n. 82, infra,
sez. III) –, per la quale, anche a seguito dell’entrata
in vigore della l. n. 54/2006, resterebbe invariata la
suddivisione di competenze tra Tribunale per i minorenni e Tribunale ordinario (in dottrina v. Balestra, 958 ss.; Danovi, 1886 ss.; Tommaseo, 388,
tutti infra, sez. IV).
Tale ricostruzione, tuttavia, come già anticipato,
pare porsi in contrasto con la tesi di un’abrogazione
parziale tacita dell’art. 317 bis cod. civ., ora abbracciata dalla prima sezione della Supr. Corte, nonché,
per di più, contraddice le motivazioni addotte dalla
decisione in epigrafe stessa, fondate sulla volontà
del legislatore del 2006 di realizzare un modello unitario di genitorialità, che, per quanto attiene la tutela giudiziale dell’esercizio della potestà genitoriale,
richiederebbe una competenza unitaria (Murgo,
674, infra, sez. IV), anche al fine di appianare le disparità di trattamento tra figli legittimi e naturali
(Andreola, infra, sez. IV).
A ben vedere, la sentenza in commento sembra
poter riaprire la questione del giudice competente a
decidere le relative controversie, che, alla luce dell’orientamento sinora prevalente in giurisprudenza,
cui la decisione in commento intende uniformarsi,
sembra doversi individuare nel giudice minorile. In
tal senso dispone anche un recente disegno di legge
in materia di riconoscimento dei figli naturali, approvato dalla Camera dei deputati il 30.6.2011
(d.d.l. n. 2805, infra, sez. IV), che, tuttavia, si contrappone ad ulteriori progetti in tema di unificazione dello status di filiazione, i quali, all’opposto, sono
volti a riconoscere competenza esclusiva al tribunale
ordinario (tra questi, il disegno di legge n. 3755, approvato dal Senato della Repubblica il 6.10.2010, infra, sez. IV).
A fronte di consimili contraddittorie scelte da
parte dei distinti rami del Parlamento non è dato
prevedere se il Senato si piegherà alla scelta della
Camera, ovvero se accadrà il contrario.
III. I precedenti
1. L’esercizio della potestà sui figli naturali: la l. n. 54/2006 e l’art. 317 bis cod. civ. a
confronto. In conformità a quanto sostenuto da
chi scrive circa il rapporto di complementarietà tra
l’art. 317 bis, comma 2o, seconda parte, cod. civ. – il
quale sembra oggi diretto a disciplinare l’ipotesi in
1210
Filiazione
cui i genitori non abbiano mai convissuto – e gli artt.
155 ss. cod. civ. – che trovano applicazione nei casi
di rottura della convivenza –, si è espresso Trib.
Modena, 8.2.2007, in www.fondazioneforense.it;
Trib. Varese, 6.12.2006, in www.affidamentocondiviso.it.
Sulla questione concernente le sorti dell’art. 317
bis cod. civ., prima che con la sentenza in commento, i giudici di legittimità si sono già espressi incidenter tantum nel 2007, escludendo l’abrogazione
tacita della succitata norma: Cass., sez. un., ord.
3.4.2007, n. 8362, in Fam. e dir., 2007, 446; in Corr.
giur., 2007, 951; in Fam., pers. e succ., 2007, 508; in
Guida al dir., 2007, n. 15, 28; in Resp. civ. e prev.,
2007, 1701; in Giur. it., 2007, 2800; in Dir. fam. e
pers., 2007, 1168; ibidem, 1627; in Foro it., 2007, I,
2050.
2. La risposta della Supr. Corte. La soluzione accolta dalla Supr. Corte nella sentenza in commento, volta ad affermare l’abrogazione tacita dell’art. 317 bis cod. civ., era stata anticipata da una isolata giurisprudenza di merito: si veda Giud. tut.
Palestrina, 18.9.2006, in Riv. notar., 2007, 517.
Per quanto concerne la dibattuta questione relativa al riparto di competenze fra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni, si erano espressi in
favore della devoluzione dell’intera materia al giudice ordinario Trib. min. Roma, 23.10.2006, in
Corr. merito, 2007, 161, ed in Il Civilista, 2008, n.
3, 6; Trib. min. Milano, 7.7.2006, in Foro it.,
2006, I, 2204, ed in Guida al dir., 2006, n. 32, 68;
Trib. min. Milano, 12.5.2006, in Fam., pers. e
succ., 2006, 842.
Nell’ambito della giurisprudenza di merito hanno, invece, ritenuto che, anche a seguito dell’entrata
in vigore della l. n. 54/2006, sia rimasta invariata la
suddivisione di competenze tra Tribunale per i minorenni e Tribunale ordinario Trib. Roma,
3.5.2010, in Guida al dir., 2010, n. 30, 83; Trib. Pescara, 16.11.2008, in Giur. merito, 2009, 2116;
Trib. Modena, 8.2.2007, in www.personaedanno.it;
Trib. Milano, 20.7.2006, in questa Rivista, 2007, I,
660; Trib. Monza, 11.10.2006, ivi, 2007, I, 669;
Trib. min. Napoli, 29.9.2006, in www.affidamentocondiviso.com; Trib. Monza, 29.6.2006, in Dir. fam.
e pers., 2006, 884.
Tale interpretazione è stata poi avallata dalla Sup.
Corte (Cass., sez. un., ord. 3.4.2007, n. 8362, cit.). I
giudici di legittimità hanno in particolare evidenziato come la legge sull’affidamento condiviso non
contenga alcuna abrogazione espressa dell’art. 38
disp. att., cod. civ., né tantomeno del richiamo in esso contenuto ai provvedimenti di cui all’art. 317 bis
cod. civ., limitandosi ad indicare, attraverso le modifiche apportate all’art. 155 cod. civ., i criteri ai quali
NGCC 2011 - Parte prima
Cass., 10.5.2011, n. 10265 - Commento
il giudice deputato alla risoluzione delle controversie circa l’affidamento dei figli naturali, in base all’invariato riparto di competenze, deve necessariamente attenersi.
Alla stessa ha infine dato conferma, a seguito di
varie pronunce di inammissibilità fondate su ragioni
riguardanti la formulazione del petitum nelle ordinanze di rimessione, la Corte costituzionale in Corte cost., 5.3.2010, n. 82, in Foro it., 2010, I, 1064;
in Dir. fam. e pers., 2010, 1072; in Giur. cost., 2010,
998.
IV. La dottrina
1. L’esercizio della potestà sui figli naturali: la l. n. 54/2006 e l’art. 317 bis cod. civ. a
confronto. Per una più ampia analisi della portata
e degli effetti dell’art. 317 bis cod. civ. v. Bucciante, La potestà dei genitori, la tutela e l’emancipazione, nel Trattato Rescigno, 4, Utet, 1997, 585 ss.; La
Rosa, Esercizio della potestà, nel Commentario del
Codice civile, diretto da Gabrielli, Della famiglia,
artt. 177-342 ter, a cura di Balestra, II, Utet, 2010,
sub art. 317 bis cod. civ., 869 ss.; Lena, Della potestà
dei genitori, nel Codice della famiglia, a cura di Sesta, Giuffrè, 2009, sub art. 317 bis cod. civ., 1457
ss.; Ruscello, La potestà dei genitori, Rapporti personali, nel Commentario Schlesinger, Giuffrè, 2006,
sub artt. 315-319, 240.
In favore della tesi che, nell’attuare un coordinamento tra le nuove disposizioni introdotte dalla legge sull’affidamento condiviso e la disciplina previgente, opta per un’abrogazione parziale tacita dell’art. 317 bis cod. civ. si esprimono Padalino, L’affidamento condiviso, Giappichelli, 2006, 266; Dogliotti, La potestà dei genitori e l’autonomia del minore, nel Trattato Cicu-Messineo, VI, Giuffrè, 2007,
249 ss.; Lupoi, Aspetti processuali della normativa
sull’affidamento condiviso, in Riv. trim. dir. e proc.
civ., 2006, 1063; Graziosi, Profili processuali della l.
n. 54/2006 sul c.d. affidamento condiviso dei figli, in
Dir. fam. e pers., 2006, 1856; Nicolò, Esercizio della
potestà sui figli naturali alla luce della legge 8 febbraio 2006, n. 54: il GT di Palestrina aderisce alla tesi
dell’abrogazione parziale tacita dell’art. 317 bis c.c.,
in Riv. notar., 2007, 518 ss.; Andreola, Legge sull’affidamento condiviso e art. 317 bis c.c.: l’equiparazione mancata, ivi, 2010, 1499 ss.; Salvaneschi, Alcuni profili processuali della legge sull’affidamento
condiviso, in Riv. dir. proc., 2006, 1287 ss., per il
quale la nuova disciplina sostanziale introdotta con
la l. n. 54/2006 si riflette necessariamente anche su
quella processuale, determinando il venir meno dello spazio di intervento attribuito dall’art. 317 bis
cod. civ. al Tribunale dei minori per «disporre diversamente». Giacché, infatti, l’esercizio della poteNGCC 2011 - Parte prima
Filiazione
stà, tanto sui figli legittimi quanto su quelli naturali,
è attualmente regolata, sempre secondo l’autore,
dall’art. 155 cod. civ., il giudice che sia chiamato a
decidere sulla potestà con riguardo ai figli naturali,
non interviene a modificare il regime dell’art. 317
bis cod. civ., ma si limita ad applicare quanto disposto dall’appena richiamato art. 155 cod. civ., nella
sua nuova formulazione.
Optano per la sostituzione parziale dell’art. 317
bis cod. civ. con gli artt. 155 ss. cod. civ. alcuni progetti di legge in materia di affidamento condiviso (il
d.d.l. n. 2454, comunicato alla presidenza del Senato il 16.11.2010; il d.d.l. n. 957, comunicato alla presidenza del Senato il 29.7.2008), nonché un recente
progetto di legge in materia di potestà genitoriale e
filiazione naturale (il disegno di legge n. 3755, approvato dal Senato della Repubblica il 6.10.2010).
In conformità alla tesi, sostenuta da chi scrive,
della complementarietà tra l’art. 317 bis, comma 2o,
seconda parte, cod. civ. – diretto a disciplinare
l’ipotesi in cui i genitori non abbiano mai convissuto – e gli artt. 155 ss. cod. civ. – i quali trovano applicazione nei casi di rottura della convivenza – v.
Lena, Della potestà dei genitori, sub art. 317 bis
cod. civ., 1460 ss.; La Rosa, Esercizio della potestà,
sub art. 317 bis cod. civ., 874 ss.; Ferrando, La filiazione: problemi attuali e prospettive di riforma, in
Fam. e dir., 2008, 637 ss.; Danovi, L’affidamento
condiviso: le tutele processuali, in Dir. fam. e pers.,
2006, 1011, secondo il quale l’art. 317 bis cod. civ.
continua a trovare applicazione nell’ipotesi in cui il
legame giuridico di filiazione naturale risulti «unilaterale» – non estendendosi necessariamente ad entrambi i genitori –, nonché allorquando la famiglia
di fatto mantenga una sua coesione, fondandosi la
nuova disciplina di cui all’art. 155 cod. civ. sul presupposto per cui vi sia stata una «separazione» tra i
genitori.
2. La risposta della Supr. Corte. La differenza tra affido condiviso e affido esclusivo con riguardo al regime della potestà, il cui esercizio compete
ad entrambi i genitori nel primo caso ed al solo genitore convivente nel secondo, è ben evidenziata dai
già richiamati progetti di legge in materia di affidamento condiviso (il d.d.l. n. 2454, comunicato alla
Presidenza del Senato il 16.11.2010; il d.d.l. n. 957,
comunicato alla Presidenza del Senato il 29.7.2008).
Circa la ripartizione, a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 54/2006, degli ambiti di azione in materia di potestà dei genitori naturali fra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni, si esprimono in
favore della competenza del tribunale ordinario Lupoi, 1066 ss.; Graziosi, 1886 ss., Salvaneschi,
1292 ss.
Sostengono, invece, l’interpretazione espressa
1211
Cass., 10.5.2011, n. 10265 - Commento
dalla Supr. Corte nel 2007 e di recente confermata
dalla Corte costituzionale, per la quale resterebbe
invariata la suddivisione di competenze tra Tribunale per i minorenni e Tribunale ordinario Danovi,
1886 ss.; Id., I provvedimenti a tutela dei figli naturali dopo la legge 8 febbraio 2006, n. 54, in Riv. dir.
proc., 2006, 1007 ss.; Tommaseo, Le nuove norme
sull’affidamento condiviso: b) profili processuali, in
Fam. e dir., 2006, 388; Balestra, Sul tribunale competente in ordine all’affidamento e al mantenimento
dei figli naturali: una condivisibile presa di posizione
della Cassazione, in Corr. giur., 2007, 958 ss., secondo il quale «l’obiettivo della nuova normativa è stato
invero quello di estendere il nuovo principio (della
bigenitorialità) ad ogni caso di sopraggiunta crisi del
rapporto, ferma restando la competenza del Tribunale per i minorenni in ordine all’applicazione dell’anzidetto principio e delle regole in cui esso è compendiato nel caso di figli naturali.
Sempre con riguardo alla questione concernente
l’individuazione del giudice competente, Murgo,
Interpretazione sistematica della legge sull’affido condiviso e ambito applicativo dell’art. 4, 2o comma, l. n.
54/2006, in questa Rivista, 2007, I, 671, sostenendo
un’interpretazione funzionale ad un modello unitario di genitorialità, afferma espressamente che «parrebbe opportuno affermare l’unicità della competenza del giudice procedente e l’idoneità di tale organo, sia esso il giudice ordinario sia il giudice dei
minori, all’adozione di ogni decisione riguardante la
prole, pur senza dimenticare che da tempo e da più
parti si auspica una riforma della giustizia minorile,
da attuarsi mediante un modello dotato, come la
materia richiederebbe, di organicità e sistematicità».
Muove una critica all’interpretazione espressa
dalla Supr. Corte nel 2007 Andreola, 1499 ss., secondo cui tale ricostruzione «poteva proporsi prima
dell’approvazione della legge sull’affidamento condiviso, per il combinato disposto degli artt. 317 bis
cod. civ. e 38 disp. att., cod. civ., ma oggi lascia per-
1212
Filiazione
plessi, perché non tiene conto dell’intento del legislatore di ridurre ad unitatem il sistema di tutela della filiazione legittima e naturale. Il sistema binario
delle competenze e la diversità di rito cui sottoporre
i procedimenti, determinano in realtà una diversità
di trattamento processuale e di tutela della filiazione
legittima e naturale».
Per un’analisi generale della vexata quaestio del
giudice competente si veda D’Alessandro, Il procedimento di risoluzione delle controversie riguardanti l’affidamento dei figli ovvero l’attribuzione della
potestà su di essi (art. 709-ter cod. proc. civ.), nel
Commentario Scialoja-Branca, Provvedimenti riguardo ai figli, a cura di Patti e Rossi Carleo, Zanichelli-Foro it., 2010, sub artt. 155-155 sexies, 191 ss.
Allo scopo di risolvere la suddetta questione, sono stati presentati negli ultimi anni alcuni progetti di
legge, i quali mirano per lo più ad attribuire la competenza in materia di affidamento dei figli nati fuori
dal matrimonio e l’adozione dei connessi provvedimenti al tribunale ordinario. Tra questi, il d.d.l. n.
3755, approvato dal Senato della Repubblica il
6.10.2010; il d.d.l. n. 2454, comunicato alla Presidenza del Senato il 16.11.2010; il d.d.l. n. 957, comunicato alla Presidenza del Senato il 29.7.2008.
Da ultimo, invece, il d.d.l. n. 2805 approvato dalla Camera dei deputati il 30.6.2011, nel prevedere
una modifica al codice di procedura civile in materia
di procedimenti di affidamento dei figli di genitori
non coniugati, determina la competenza del Tribunale per i minorenni del luogo di residenza abituale
del minore per i procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, in caso di cessazione della convivenza o di non convivenza dei genitori: previsione
invero incoerente con le complessive finalità del disegno di legge medesimo, che si propone addirittura
l’eliminazione della stessa differenziazione tra figli
legittimi e figli naturali.
Michele Sesta
NGCC 2011 - Parte prima
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Nota a Cass. n. 10265/2011