Preclusione probatoria: occorre equiparare la “riserva” di produrre i documenti al rifiuto di esibizione‐ (Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza n. 8109/12; depositata il 23 maggio) di Antonio Terlizzi ‐ Tributarista Diritto e giustizia.it La preclusione probatoria relativa al rifiuto di esibizione di documenti richiesti dai verificatori nelle more del controllo è rinvenibile negli artt. 32 del DPR 600/73 e 52 del DPR 633/72. ‐ L’espressa riserva del contribuente di fornire i documenti in un momento successivo (nella specie, nella fase contenziosa) è circostanza idonea ad integrare il rifiuto di esibizione, con la conseguenza che i documenti prodotti nel processo sono inutilizzabili. La norma citata «non attribuisce al contribuente nessuna facoltà di scelta tra esibizione immediata agli inquirenti o differita (in giudizio): la riserva espressa dalla contribuente, quindi, si rivela evidentemente illegittima perché, nella sostanza, suppone una interpretazione della norma che ne rimette l’effettiva osservanza al mero arbitrio del contribuente». Tale principio è stato precisato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 8109 dello scorso 23 maggio. La vicenda. Nel caso di specie, il contribuente non si era affatto rifiutato di esibire documenti in sede di verifica fiscale... ma, al contrario, si era espressamente riservato, di produrli in giudizio. La CTR, ai fini della. preclusione probatoria, ha accolto l'appello dell'Ufficio osservando che la censura dell'Ufficio sulla non utilizzabilità dei documenti prodotti in giudizio (concernenti i recuperi... pari a L. 110.340.092) è fondata «a norma dell’art. 33, comma 1, D.P.R. n. 600/1973, e dell’art. 52, D.P.R. n. 633/1972»: una diversa conclusione comporta che il campo d'indagine tornerebbe ad espandersi in sede contenziosa per iniziativa del contribuente, depotenziando cosi l'azione dell'amministrazione finanziaria. Corretta la negazione della non utilizzabilità della produzione documentale in corso di giudizio. Infatti, precisa la Suprema Corte: ‐ i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l'esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa e per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione, applicabile anche per la esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi deve ritenersi operante non solo nell'ipotesi di rifiuto (per definizione doloso) dell'esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all'ispezione i documenti in suo possesso, ancorchè non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non sanabile, di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.) e, quindi, per colpa..., ‐ per superare la preclusione probatoria, il contribuente può anche addurre la non volontarietà della sottrazione originaria della documentazione poi tardivamente prodotta, ma deve provare il proprio assunto; ‐ la norma, finalizzata a contemperare il diritto di difesa del cittadino col principio di buona amministrazione, parimenti costituzionalizzato (art. 97 Cost.), non attribuisce al contribuente nessuna facoltà di scelta tra esibizione immediata agli inquirenti o differita (in giudizio): la riserva espressa dalla contribuente, quindi, si rivela evidentemente illegittima perchè, nella sostanza, suppone una interpretazione della norma che ne rimette l'effettiva osservanza al mero arbitrio del contribuente. Sul rifiuto di esibizione. E’ recessivo l’orientamento giurisprudenziale, che riteneva necessario, per integrare il rifiuto di esibizione, l’elemento intenzionale (SS.UU., sent. n. 45/2000). Secondo l’attuale e consolidato orientamento giurisprudenziale non è necessario che il contribuente abbia dolosamente opposto il rifiuto, poiché è sufficiente che egli dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all’ispezione i documenti in suo possesso, ancorché non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative...). Riguardo l'indagine sull'elemento psicologico, in generale, la giurisprudenza di legittimità ammette che il divieto di utilizzare documenti scatti 'non solo nell'ipotesi di rifiuto (per definizione doloso) dell'esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all'ispezione i documenti in suo possesso ancorché non al deliberato scopo di impedirne la verifica ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative ecc.) e, quindi, per colpa. La giurisprudenza è consolidata quindi nell’affermare la sufficienza della semplice colpa. Limiti alla preclusione. A non essere utilizzabili sono i dati e documenti espressamente e analiticamente richiesti dall’Amministrazione Finanziaria; questo perché altrimenti, con una richiesta generica l’Agenzia potrebbe evidentemente o costringere il contribuente ad un adempimento piuttosto vessatorio, o rendere inutilizzabile ogni documento e dato non prodotto. Va adottata quindi una soluzione bilanciata in quanto sussiste sia la possibilità per il contribuente di vedersi riconosciuto appieno il diritto di difesa in giudizio solo se nell’ambito del procedimento tributario abbia tenuto un atteggiamento leale nei confronti dell’Agenzia, sia l ‘applicazione della preclusione se al contrario il contribuente abbia avuto, colpevolmente, un comportamento affatto collaborativo. La chiave di lettura del divieto oggetto di esame si risolve nel principio di buona fede, che secondo un orientamento oramai consolidato, rappresenta uno dei cardini del diritto tributario. Formulazione in modo chiaro ed esplicito nel ricorso introduttivo. La dichiarazione del contribuente di non aver potuto rispondere al questionario su invito dell'Ufficio per causa a lui non imputabile ‐ che egli, ai sensi dell'art. 32, comma 5, d.P.R. n. 600/1973, può formulare al fine di impedire la produzione degli effetti previsti dal comma quarto (impossibilità che le notizie non fornite siano prese in considerazione a suo favore) ‐ deve essere fatta in modo chiaro ed esplicito nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, non richiedendosi la prova contestuale della non imputabilità della causa dell'inadempimento. Quando un contribuente ha dichiarato, all'atto di produrre la documentazione giustificativa, di aver ricevuto la notifica del questionario nei giorni immediatamente precedenti il periodo feriale, ritenendo che tale circostanza potesse automaticamente essere considerata una causa giustificativa dell'omissione a lui non imputabile la dichiarazione che, in uno con l'allegazione dei documenti non esibiti, da diritto all'esimente deve essere fatta in modo chiaro ed esplicito nel ricorso introduttivo, come pretende la norma ora in esame – art. 32 ‐ proprio perché essa non richiede la prova contestuale di non imputabilità della causa d'inadempimento. (Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza n. 8109/12; depositata il 23 maggio) Corte di Cassazione, sez. V Civile, sentenza 15 - 23 maggio 2012, n. 8109 Presidente Pivetti – Relatore D’Alonzo Svolgimento del processo Con ricorso notificato al MINISTERO dell'ECONOMIA e delle FINANZE ed all'AGENZIA delle ENTRATE, la ADIGE CARNI s.c.r.l. - premesso che l'Ufficio, in base a "due atti di verifica fiscale" della Guardia di Finanza l'uno a suo "carico", l'altro "a carico della... Ital-carni srl (già Calabria Carni srl)", aveva disconosciuto "le agevolazioni sulla cooperazione previste dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 10 e segg." (accertando "un reddito netto... imponibile sia ai fini dell'IRPEG che... ILOR") per la "presunta illecita contabilizzazione di acquisti di merce relativi ad operazioni inesistenti, nonchè di costi e spese generali non contabilizzati" -, in forza di quattro (di cui il primo complesso) motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 82/08/02 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto (depositata il 27 febbraio 2003) che aveva accolto l'appello dell'Ufficio avverso la decisione (364/01/99) della Commissione Tributaria Provinciale di Rovigo la quale aveva recepito il suo ricorso. Con ordinanza n. 3031/08 depositata il giorno 8 febbraio 2008 questa Corte sospendeva il giudizio e, ai sensi dell'art. 234 del Trattato CEE, sottoponeva alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee le seguenti questioni pregiudiziali: - "se le misure fiscali agevolative alle società cooperative, nella vigenza del D.P.R. n. 601 del 1973, artt. 10, 11, 12, 13 e 14, siano compatibili con la disciplina della concorrenza e, in specie, siano qualificabili come aiuti di Stato ai sensi dell'art. 87 del Trattato CE, soprattutto in presenza di un non adeguato sistema di vigilanza e correzione degli abusi previsto dal D.Lgs.C.P.S. n. 1577 del 1947; in particolare, ai fini del problema della qualificazione delle misure fiscali agevolative in contestazione come aiuti di Stato, se tali misure possano ritenersi proporzionate rispetto ai fini assegnati all'impresa cooperativa; se il giudizio di proporzionalità possa riguardare, oltre che la singola misura, il vantaggio attribuito, con conseguente alterazione della concorrenza, dalle misure nel loro complesso; ai fini della risposta ai precedenti quesiti, tenendo conto del fatto che il sistema di vigilanza risulta gravemente ed ulteriormente indebolito dalla riforma societaria, soprattutto in relazione alle cooperative a mutualità prevalente, e non totalitaria, secondo la L. n. 311 del 2004"; - "a prescindere dalla qualificabilità delle misure agevolative in questione come aiuto di Stato, se l'utilizzazione della forma societaria cooperativa, anche all'infuori dei casi di frode o di simulazione, possa essere qualificata come abuso del diritto, ove il ricorso a tale forma avvenga all'esclusivo o principale scopo di realizzare un risparmio fiscale". Il giudice comunitario pronunciava la sentenza 8 settembre 2011 "nei procedimenti riuniti da C78/08 a C-80/08". Il Ministero e l'Agenzia non svolgevano attività difensiva. Motivi della decisione p.1. Inammissibilità del ricorso contro il Ministero. In via preliminare va, ex officio, rilevata e dichiarata l'inammissibilità del ricorso proposto contro il Ministero perchè la ricorrente non ha nemmeno dedotto che tale ente abbia preso parte al giudizio di appello nè allegato (e provato) che lo stesso sia titolare di un qualche rapporto giuridico che - come costantemente richiesto da questa Corte (Cass.: 2^, 23 agosto 2007 n. 17922; trib., 7 maggio 2007 n. 10341; 3^, 26 gennaio 2006 n. 1692; 2^, 26 gennaio 2006 n. 1507; 2005 n. 965; 2^, 13 settembre 2004 n. 18346; 2^, 29 aprile 2003 n. 6649; 2^, 4 febbraio 2002 n. 1468; 2^, 23 novembre 2001 n. 14910) - lo legittimi, anche al fine di dimostrare la sussistenza del necessario ed imprescindibile interesse (art. 100 c.p.c.), a resistere all'impugnazione. In proposito, va ricordato che per effetto ed in conseguenza del trasferimento di funzioni e di rapporti inerenti le entrate tributarie dal Ministero (dell'Economia e) delle Finanze alle Agenzie Fiscali (tra cui, l'Agenzia delle Entrate) - le quali ultime sono divenute operative a partire dal primo gennaio 2001 in base al D.M. 28 dicembre 2000, art. 1, - disposto dal titolo quinto, capo secondo, del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, ciascuna Agenzia (1) è succeduta al Ministero nei rapporti, sostanziali e processuali, in corso a quel momento e (2) è divenuta titolare esclusiva dei rapporti tributari (e, pertanto, unica legittimata processualmente) sorti successivamente alla data detta di sua operatività: nel caso, l'appello dell'Ufficio è stato "depositato il 19 marzo 2001", quindi dopo il primo gennaio 2001 detto, per cui il processo di appello si è svolto solo tra l'(Ufficio locale dell') Agenzia e la contribuente. p.2. La sentenza impugnata. La Commissione Tributaria Regionale ha accolto l'appello dell'Ufficio osservando: - "nel corso di una verifica fiscale... nei confronti della.. Italcarni srl" la Guardia di Finanza "rilevava che la stessa aveva emesso fatture soggettivamente inesistenti nei confronti di vaie ditte tra cui la Adige Carni scarl"; "la contribuente aveva ricevuto fatture per forniture dalla Italcarni" che "risultava priva di organizzazione che le consentisse di svolgere alcuna attività": "tale affermazione, nella sua oggettività, non appare contestabile"; "a fronte della situazione rilevata, ben avrebbe potuto l'Adige Carni dimostrare, con un supporto probatorio adeguato, l'infondatezza delle presunzioni, a nulla rilevando la presenza di documenti, per giunta lacunosi, che altro non sono che il mezzo attraverso il quale è stato posto in essere l'illecito fiscale"; - "la censura" dell'Ufficio sulla "non utilizzabilità dei documenti prodotti in giudizio" (concernenti i "recuperi... pari a L. 110.340.092") è fondata "a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52": "una diversa conclusione" comporta che il "campo d'indagine... tornerebbe ad espandersi in sede contenziosa per iniziativa del contribuente, depotenziando cosi l'azione dell'amministrazione finanziaria"; - "va anche e comunque affermata... in particolare l'indeducibilità dei costi non di competenza dell'esercizio (16.134.390) ed ancor più di quelli non documentati fin dall'origine (1.380. 000)"; - "il reddito accertato non può ritenersi coperto dalle agevolazioni previste dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 11,... poichè le società cooperative non possono distribuire utili in eccedenza rispetto a quelli spettanti in base al tasso vigente per le prestazioni sociali, applicato alla quota di capitale sottoscritto da ciascun socio": "nel caso di specie, come sostenuto dall'Ufficio, è più che logico affermare che l'utile esposto nell'accertamento sia stato percepito dai singoli soci, contravvenendosi in tal modo ad una condizione indispensabile per godere delle agevolazioni di cui all'art. 11 del D.P.R. citato". p.3. Il ricorso della contribuente. Questa censura la decisione con quattro motivi. A. Con il primo la ricorrente denunzia "omessa e insufficiente motivazione in merito al punto... della revoca delle agevolazioni fiscali godute... ai sensi del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 10 e ss.", così articolate: (a) "insufficiente motivazione in ordine all'asserita inesistenza dell'organizzazione idonea a consentire alla... Italcarni srl qualsiasi attività" ("perciò alla sua inesistenza soggettiva"): (a1) "le affermazioni della Guardia di Finanza" ("unico fondamento della decisione del giudice di appello sul punto") "non hanno per oggetto fatti ma si sostanziano in giudizi..., oltretutto apodittici in quanto non riportano nemmeno i fatti su cui dovrebbero fondarsi"; (a2) "soltanto l'affermazione della Guardia di Finanza relativa all'occultamento o distruzione della documentazione fiscale e sanitaria... ha per oggetto fatti" ("I quali, tuttavia, potranno integrare illeciti fiscali o amministrativi, ma non attengono... alla inesistenza soggettiva della... Italcarni srl"); (a3) "la natura di giudizio... è manifestamente evidente con riguardo all'affermazione... in cui la Guardia di Finanza... ha dichiarato che la srl Italcarni non aveva idonea organizzazione di uomini e mezzi atti a poter esercitare le attività imprenditoriali accertate... che sembra il fondamento... del giudizio... espresso nella sentenza impugnata, secondo cui è oggettivamente incontestabile che la... Italcarni srl fosse una ditta priva di una organizzazione che le consentisse di svolgere alcuna attività"; (a4) "l'avviso di accertamento... e la sentenza impugnata... si fondano... unicamente sui rilievi della Guardia di Finanza effettuati in sede di verifica fiscale... eseguita nei confronti... di un soggetto terzo" e "con riguardo a tale ipotesi in giurisprudenza si è affermato che in assenza di ulteriori prove addotte dall'amministrazione finanziaria, l'accertamento basato esclusivamente su di un processo verbale...redatto...a carico di soggetti terzi... non costituisce presunzione... in grado di legittimare l'accertamento"; (b) "omessa motivazione in ordine all'accordo fraudolento" tra essa e i "pretesi reali gestori della... Italcarni srl e, perciò, in ordine alla sua inesistenza soggettiva": (b1) "la sentenza omette del tutto di motivare" in ordine all'"elemento essenziale" dato dall'"accordo" detto e "trascura completamente che nel mese di aprile 1995 essa... ricorrente aveva subito un'ispezione ordinaria del Ministero del Lavoro, all'esito della quale non era stata riscontrata alcuna irregolarità che impedisse di godere delle agevolazioni fiscali previste dalla legge"; (b2) "sia l'Ufficio... sia il giudice di appello... hanno omesso di considerare" che essa "ricorrente aveva emesso... 15 fatture per prestazioni di servizi di macellazione nei confronti della... Italcarni srl": tale "emissione... non reca alcun vantaggio economico, per cui e del tutto incompatibile con la volontà di frodare il fisco"; (c) "insufficiente motivazione sui punti" (c1) "dell'esistenza di reddito... non dichiarato", (c2) "del mancato suo accantonamento" e, "perciò", (c3) "della sua distribuzione ai soci" ("con conseguente superamento... dei limiti di percezione degli utili di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 11"): "tutte le decisioni sulle predette questioni di fatto sono tratte esclusivamente in via logico deduttiva da un unico presupposto: l'effettivo compimento delle operazioni soggettivamente inesistenti"; "nessuno specifico elemento probatorio... viene indicato nella sentenza impugnata a sostegno delle decisioni medesime". B. Nella seconda doglianza la contribuente denunzia "insufficiente motivazione... per mancata illustrazione delle ragioni del dissenso dal convincimento espresso dal primo giudice" il quale ha (a) "negato la decadenza dalle agevolazioni previste dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 11... in quanto ha ritenuto la documentazione prodotta" probatoria dei "requisiti di mutualità richiesti... per godere delle agevolazioni", (b) "ritenuto che il verbale della Guardia di Finanza... non può sopperire da solo all'onere probatorio dell'Ufficio", (c) "ammesso la produzione documentale in corso di giudizio, in quanto a legittimamente eseguita nell'esercizio del diritto di difesa" e (d) "ritenuto... la mancata documentazione dei costi di carburante... dovuta ad errore formale" a "causa della esiguità dell'importo". C. In terzo luogo la cooperativa, richiamato "l'insegnamento" di questa Corte ("22 gennaio 2002 n. 1030") ("che", a suo dire, "mai ha applicato la preclusione de qua in caso di espressa riserva di successiva produzione di documenti"), denunzia - con "riferimento ai recuperi... per costi... non deducibili" ("costi per acquisto di carburanti e lubrificanti... non documentati"; "costi per servizi non documentati", tra cui "diritti sanitari... assicurazioni e bolli auto"; "costi... da condono previdenziale... non deducibili perchè non inerenti... e comunque non di competenza del... 1993"; "documenti prodotti": "mastrino dei diritti sanitari con le relative quietanze" ("L. 89.181.000"); "ricevute di pagamento delle spese di assicurazione e bolli auto" ("L. 3. 644.642") - "violazione e falsa applicazione" del "combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1, con il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5" affermando che essa "non si era affatto rifiutata di esibire documenti in sede di verifica fiscale... ma... si era espressamente riservata di produrli in giudizio". D. Nella quarta (ultima) doglianza la ricorrente censura l'affermazione del giudice di appello secondo cui "va... comunque affermata... l'indeducibilità dei costi non di competenza dell'esercizio (16.134.390) e ... di quelli non documentati fin dall'origine (L. 380.000)" e denunzia "violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 52, e art. 15, comma 1, e del canone di ragionevolezza": (1) "la mancata documentazione di un importo oggettivamente assai esiguo (L. 1.380.000)" ("spese sostenute per acquisto di carburanti e lubrificanti") deve essere interpretata "alla luce del canone" detto ("Cass. 17 giugno 2002 n. 8715... e 27 febbraio 1998 n. 2198") ed integra, quindi, "errore meramente formale commesso nella redazione della contabilità"; (2) i "costi derivanti dal pagamento del condono previdenziale..., essendo stati pagati nel 1993, non possono che essere dedotti in tale esercizio, per lo meno quanto al capitale e agli interessi, conformemente a quanto deve dedursi dal combinato disposto" delle norme indicate, "interpretato alla luce del predetto canone". p.4. Le ragioni della decisione. Il ricorso deve essere respinto perchè infondato. A. Il corretto scrutinio della prima doglianza ("omessa e insufficiente motivazione in merito" alla "revoca delle agevolazioni fiscali godute... ai sensi del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 10 e ss.") impone di ribadire, in via preliminare, "fa costante giurisprudenza di questa Corte" (tale definita da Cass., trib., 17 giugno 2011 n. 13327, la quale richiama "ex plurimis, da ult. Cass. nn. 27162 del 2009, 6288 del 2011") secondo cui ";7 vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducìbile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione". Al medesimo fine si deve, poi, ricordare (Cass., lav., 12 agosto 2004 n. 15693; id., lav., 9 agosto 2004 n. 15355) che: (a) il vizio di omessa od insufficiente motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) sussiste soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento; (b) il ricorrente che deduca l'omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (art. 366 c.p.c.), ha l'onere di specificare (trascrivendole integralmente) le prove non valutate o mal valutate, nonchè di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse atteso che il mancato esame di una (o più) risultanze processuali può dar luogo al vizio di omessa o insufficiente motivazione unicamente se quelle risultanze processuali non valutate o mal valutate siano tali da invalidare l'efficacia probatoria delle altre sulle quali il convincimento si è formato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (Cass., 2^, 17 febbraio 2004 n. 3004). L'applicazione al caso dei richiamati principi mostra l'evidente insussistenza di entrambi i profili di censura ("omessa e insufficiente motivazione") contenuti nella doglianza atteso che: - l'"occultamento o distruzione della documentazione fiscale e sanitaria" - riscontrati dalla Guardia di Finanza e richiamati dalla stessa contribuente - non integrano solo (o tanto) "illeciti fiscali o amministrativi" ma costituiscono accertamento obiettivo, logicamente significativo anche di una "inesistenza soggettiva", per mancanza di idonea organizzazione di uomini e mezzi atti a poter esercitare le attività imprenditoriali", della Italcarni srl; - l'"affermazione" della "Guardia di Finanza" secondo cui "la srl Italcarni non aveva idonea organizzazione di uomini e mezzi atti a poter esercitare le attività imprenditoriali accertate" non è necessariamente frutto di un giudizio, potendo anche essere, in via logica, il mero risultato di una obiettiva constatazione della corrispondente realtà fattuale sulla inesistenza dell'"organizzazione di uomini e mezzi" a consentire l'esercizio delle "attività imprenditoriali" desumibili dalle fatture emesse: il conseguente giudizio della Commissione Tributaria Regionale per il quale la "Italcarni srl" era una "ditta priva di una organizzazione che le consentisse di svolgere alcuna attività" risulta, pertanto, privo di qualsivoglia vizio logico; - l'osservazione (fondata sul richiamo ad una decisione di merito, quindi, priva di qualsiasi valore nomofilattico) per la quale "l'assenza di ulteriori prove addotte dall'amministrazione finanziaria, l'accertamento basato esclusivamente su di un processo verbale... redatto... a carico di soggetti terzi... non costituisce presunzione... in grado di legittimare l'accertamento" non può essere assunta come principio giuridico perchè erronea: il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 1, infatti, consente agli Uffici di procedere "al controllo delle dichiarazioni e alla individuazione dei soggetti che ne hanno omesso la presentazione sulla scorta" anche "delle informazioni di cui siano comunque in possesso", fra le quali "informazioni" rientrano certamente anche i "rilievi della Guardia di Finanza effettuati in sede di verifica fiscale... eseguita nei confronti... di un soggetto terzo". Ai fini "fiscali", poi, il disconoscimento di un costo di cui si sia comunque accertata l'inesistenza (anche solo) "soggettiva", non richiede la ricorrenza (e, quindi, la prova) anche di un "accordo fraudolento" con chicchessia in quanto il reddito è costituito unicamente dai dati oggettivi (attivi e passivi) della complessiva attività economica svolta nel periodo, senza nessuna considerazione delle ragioni extraeconomiche che eventualmente hanno sorretto o determinato ogni singolo dato. Ai medesimi fini, ancora, (1) l'"esito" dell'"ispezione ordinaria del Ministero del Lavoro" (subita "nel mese di aprile 1995", "all'esito della quale", si assume, "non era stata riscontrata alcuna irregolarità che impedisse di godere delle agevolazioni fiscali previste dalla legge") è irrilevante (per cui non inficia in alcun modo la motivazione della sentenza impugnata), non rientrando nei compiti e nelle funzioni degli ispettori del lavoro procedere ad accertamenti e/o a rilevamenti propriamente (nonchè direttamente) "fiscali", e (2) si palesa priva di incidenza sulla conclusione adottata dal giudice del merito l'assunta emissione di "15 fatture per prestazioni di servizi di macellazione nei confronti della... Italcarni srl", non avendo la ricorrente esposto (nè rilevandosi, comunque, altrimenti) - come impone l'art. 366 c.p.c. - i necessari concreti elementi economici di raffronto tra le fatturazioni attive e passive per formulare un qualche giudizio circa la asserita inesistenza ("non reca") di "alcun vantaggio economico", quindi la pretesa incompatibilità ("è del tutto incompatibile") di tale "emissione" con "la volontà di frodare il fisco". L'"esistenza di reddito... non dichiarato", infine, costituisce ovvia conseguenza algebrica dell'accertata inesistenza dell'elemento negativo dato dai costi indicati nelle fatture contestate e rimasti, quindi, privi dell'afferente supporto probatorio documentale: detta "esistenza", pertanto, non era bisognevole di alcuna "motivazione" propria nè, soprattutto, del conforto di un qualche ulteriore "specifico elemento probatorio". Del pari e correlativamente, il giudice del merito non doveva motivare il ritenuto "mancato... accantonamento" del predetto "reddito... non dichiarato" e la "sua distribuzione ai soci" - cui, come riconosce la stessa ricorrente, consegue il "superamento... dei limiti di percezione degli utili di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 11", e, quindi, la non spettanza dei relativi benefici fiscali - nè, comunque, ricercare ulteriori prove al riguardo, perchè di quel reddito, proprio perchè "non dichiarato", non vi è traccia (nè si allega che ve ne sia) nei documenti contabili della contribuente si che la conseguenza accolta dal giudice del merito diventa l'unica logicamente traditale dalla accertata omessa dichiarazione di quel reddito. B. La sentenza impugnata, di poi, non risulta in alcun modo affetta dal vizio ("insufficiente motivazione... per mancata illustrazione delle ragioni del dissenso dal convincimento espresso dal primo giudice") denunziato con il secondo motivo di ricorso in quanto, come si evince dalle considerazioni testuali riportate al precedente 2, ha espressamente esposto le ragioni del proprio "dissenso" su singoli punti ("requisiti di mutualità richiesti... per godere delle agevolazioni"; "il verbale della Guardia di Finanza... non può sopperire da solo all'onere probatorio dell'Ufficio"; "produzione documentale in corso di giudizio" e "mancata documentazione dei costi di carburante") indicati dalla ricorrente. Questa, peraltro, in violazione dei principi richiamati al punto A di questo p., si è limitata a dedurre il vizio ("insufficiente motivazione") ma non ha indicato nemmeno una ragione (logica o giuridica) per la quale quella della sentenza impugnata sarebbe "insufficiente" a giustificare l'opposto convincimento raggiunto dalla Commissione Tributaria Regionale su tutti detti punti: la doglianza, quindi, si risolve unicamente nell'esposizione della opinione (interessata perchè ad essa favorevole) della contribuente. Nel caso, l'indicazione detta si rileva indispensabile perchè il giudice di appello, diversamente da quanto ritenuto da quello di primo grado, ha (a) affermato "la decadenza dalle agevolazioni previste dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 11", in base a ragioni che non investono "la documentazione prodotta", come esposto al punto A (1) di questo p.; (b) negato l'utilizzabilità della "produzione documentale in corso di giudizio" in conseguenza dell'interpretazione "del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1973, art. 52" e non per effetto di una valutazione di concreti elementi fattuali (solo in ordine alla quale è invocabile il principio, posto dalla ricorrente a fondamento della complessiva doglianza in esame, dell'obbligo del giudice di secondo grado di esporre le "ragioni del dissenso dal convincimento espresso dal primo giudice": cfr. Cass., 2^, 14 dicembre 1999 n. 14038, invocata dalla società, la quale ha ritenuto "in sufficiente", per mancata esposizione delle "ragioni del dissenso dal convincimento espresso dal primo giudice", la "pronunzia" del giudice di appello sull'accertamento della "proprietà" di un bene ivi in contestazione) diversa da quella adottata dalla Commissione Tributaria Provinciale. C. La "non utilizzabilità" ("a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52") dei "documenti prodotti in giudizio" dalla contribuente - affermata dalla Commissione Tributaria Regionale, oggetto della terza doglianza -, ancora, non si rivela validamente ed efficacemente contrastata dal mero richiamo all'"insegnamento" che si assume tradibile dalle decisioni di questa Corte invocate dalla ricorrente atteso che: (a) nella sentenza 24 giugno 1995 n. 7161 si è espressamente statuito che il "il divieto... contenuto" nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 5, per il quale (1) "i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l'esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa" e (2) "per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione", applicabile anche "per la esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche" ai fini dell'"accertamento delle imposte sui redditi" ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33, comma 1) "deve ritenersi operante non solo nell'ipotesi di rifiuto (per definizione doloso) dell'esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all'ispezione i documenti in suo possesso, ancorchè non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non sanabile, di diritto (cfr. D.P.R. n. 636 del 1972, art. 39 bis) o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.) e, quindi, per colpa...", e (b) nella decisione 28 gennaio 2002 n. 1030 si è specificato che "per superare la preclusione probatoria, il contribuente può anche addurre la non volontarietà della sottrazione originaria della documentazione poi tardivamente prodotta (v. Cass. SS. UU. 45-2000), ma deve provare il proprio assunto". Siffatti principi, però, nel caso, risultano del tutto irrilevanti avendo la stessa contribuente precisato che essa "non si era affatto rifiutata di esibire documenti in sede di verifica fiscale... ma, al contrario, si era espressamente riservata, di produrli in giudizio": la (confessata) volontaria mancata esibizione (peraltro, non altrimenti giustificata) alla Guardia di Finanza, "in sede di verifica", dei "documenti" - a spiegazione della quale non si è nemmeno adombrato un qualsivoglia "errore", quand'anche "non sanabile" -, infatti, giuridicamente integra il "rifiuto" di esibizione sanzionato dalla norma in quanto questa attesa la finalità perseguita di "contemperare il diritto di difesa del cittadino col principio di buona amministrazione, parimenti costituzionalizzato (art. 97 Cost.) e, quindi, non disinvoltamente sacrificabili in presenza di comportamenti che ne ostacolino ingiustificatamente la realizzazione", come precisato nella richiamata decisione del 1995 di questa Corte non attribuisce al contribuente nessuna facoltà di scelta tra esibizione immediata agli inquirenti o differita (in giudizio): la riserva espressa dalla contribuente, quindi, si rivela evidentemente illegittima perchè, nella sostanza, suppone una interpretazione della norma che ne rimette l'effettiva osservanza al mero arbitrio del contribuente. D. Il "canone di ragionevolezza" invocato dalla ricorrente, infine, non è giuridicamente idoneo per affermare la "deducibilità" di "costi" che (come riconosciuto dalla stessa contribuente) (1) non sono "di competenza" di un determinato esercizio e (2) non risultano "documentati" perchè tale "canone" (insieme con quello di "non discriminazione") è stato enunciato ed applicato nelle pronunce ("Cass. 17 giugno 2002 n. 8715... e 27 febbraio 1998 n. 2192") della sezione lavoro di questa Corte invocate dalla società, unicamente ai fini del controllo del rispetto, nell'interpretazione di un "accordo" privato da parte del giudice del merito, del canone ermeneutico previsto dall'"art. 1362 c.c." e non, come vorrebbe la contribuente, (1) per definire un concetto di "competenza" fiscale diverso da quello imperativamente rinvenibile nel testo (vecchia numerazione, applicabile al caso ratione temporis) del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, (del quale la ricorrente enuncia ma non spiega la pretesa "violazione e falsa applicazione") e (2) per affermare il principio giuridico della non necessità della prova (facente carico alla contribuente in base ai criteri di riparto fissati dall'art. 2697 c.c.) di un costo esposto in detrazione solo in ragione della assunta sua esiguità. La censura concernente il costo per "condono previdenziale", peraltro e comunque, è anche inammissibile perchè investe solo la "competenza" e non anche la sua "inerenza", la cui mancanza (pure contestata dall'Ufficio, secondo deduce la stessa società ) è, di per se sola, idonea a supportare il suo disconoscimento fiscale. 5. Delle spese processuali. Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, non avendo i due enti intimati svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso contro il Ministero e rigetta, quello contro l'Agenzia.