QUEL CH’È PARIA NON È PARIA di Piero Mioli
Nella fausta ricorrenza e nella prima maturità
Il duca di Calabria, figlio di Ferdinando I di Borbone e pronto
a succedere al padre come Ferdinando II, compiva gli anni il 12
gennaio: nel 1829 ne compiva 19, ed ebbe l’onore di veder festeggiato il suo giorno con un’opera di Donizetti. Era Il Paria, melodramma in due atti di Domenico Gilardoni tratto da una recente
tragedia francese di Delavigne che nel maggior teatro di Napoli fu
accolto senza troppo entusiasmo, soprattutto a causa del prevalente carattere di mondanità o meglio di cortigianeria della serata, ma
anche per la repentina decisione dell’impresario di alzare i prezzi
dei biglietti e per la temperatura polare che quell’anno attanagliava la città e sconsigliava improvvide sortite notturne. Molto era
piaciuto Il pirata di Bellini, poco prima, e in quel torno di tempo
il S. Carlo aveva ospitato anche L’ultimo giorno di Pompei di
Pacini e lo stesso Esule di Roma di Donizetti: tre spartiti - si lesse
sul “Giornale del Regno delle Due Sicilie” - che “sono pressappoco quanto di meglio si è iscritto nella musica melodrammatica di
genere eroico, dopo le opere del Rossini”; ma dopo il capolavoro
belliniano, trionfante in tutt’Italia da un anno e qualche mese, la
nuova fatica di Donizetti poteva davvero sembrare poco interessante.
Appena sei le recite, e almeno doppia la reazione della critica:
secondo “Il Censore universale dei Teatri”, che dalla remota
Milano cercava di districarsi fra i pareri diversi, “quest’opera non
ha verun merito”, e secondo le “Notizie del giorno” alla prima
“ciascun pezzo venne dalle persone di gusto distinto, ed applaudito”. Nello spettacolo ideato da Pasquale Canna, “inventore, direttore e pittore dello scenario”, cantarono Giambattista Campagnoli
(Akebare), Adelaide Tosi (Neala), Luigi Lablache (Zarete),
Giambattista Rubini (Idamore), Gaetano Chizzola (Empsaele) ed
Edvige Ricci (Zaide), artisti tutti di valore e di fatto ammirati come
esecutori, anche se la bravura del tenore era tale da suscitare gli
applausi prima della fine dei singoli pezzi e la bravura del basso
non messa in sufficiente risalto dalla particolare scrittura donizettiana (in aggiunta all’opera il teatro rappresentò Le montagne
russe, “divertimento di ballo” di Salvatore Taglioni). Doppia la
reazione, dunque, o piuttosto mal documentata e forse inficiata
dalle solite partigianerie.
Eppure l’autore fidava assai nel suo lavoro, e quando, alcuni
mesi dopo, vide che Il castello di Kenilworth s’era comportato
tanto meglio, non ebbe dubbi: “Non darei un pezzo del Paria per
tutto il Castello di Kenilworth... Ma intanto. La sorte è bizzarra”.
Del resto in seguito ebbe modo di saccheggiare dichiaratamente la
partitura, riversandone diversi spunti nelle partiture di Anna
Bolena e Torquato Tasso. E ancora una decina d’anni dopo fece
cantare il Duca d’Alba sopra almeno parte dell’aria per basso del
secondo atto.
Nel 1829 il giovane Gaetano Donizetti (Bergamo 1797 – ivi
1848) aveva già lavorato molto, dopo gli studi bergamaschi e bolognesi, l’esordio veneziano del ’18, il bel successo romano di
Zoraida di Granata, quello napoletano della Zingara, l’acquisizione del vantaggioso contratto con l’impresario Barbaja, il sospirato
matrimonio con Virginia Vasselli, il trasferimento della famigliola
a Napoli e l’appagante nomina a direttore dei Reali Teatri di
Napoli (carica per lui decennale).
Nella settantina delle sue opere Il Paria occupa all’incirca il
trentesimo posto: all’epoca Donizetti agiva nei ranghi di un
mestiere efficiente e decoroso, già provvisto ma non ancora copioso delle grazie di una drammaturgia musicale che, in compagnia di
un Bellini un po’ più giovane e alquanto più consapevole, andava
erigendo il monumento del melodramma romantico italiano.
L’originalità contro l’ intolleranza
Due atti compongono Il Paria, per sette e otto scene; il luogo
del dramma è un bosco foltissimo di palme, una parte esterna del
tempio di Brama, un antichissimo tempio, un atrio maestoso; il
tempo è un’alba iniziale (con presumibile prosieguo diurno), una
notte intermedia, un nuovo giorno finale. In una cornice statica e
uniforme, donde la solennità e la sacralità escludono altri e caratteristici connotati esterni, il coro abbonda, ma più di spessore temporaneo che di presenza assidua. Nella prima scena lo compongono appena sei Bramani, cui nella seconda s’aggiungono sacerdoti,
sacerdotesse, custodi, trombettieri, guerrieri, baliadere, balok,
fachiri (addirittura) e popolani per un’insolita serie di quattro strofe ottastiche di ottonari tronchi e quattro strofe tetrastiche di ottonari piani e tronchi (tanto che il libretto stampa quasi tutto il testo
della scena in corpo minore), non senza l’apporto della danza. Il
grande coro rimane durante l’aria di Neala ma poi scompare, per
farsi sentire, ma non vedere, durante il semplice duetto che costituisce il finale primo (e dunque non più comparire), in strana combinazione di ottonario, quadrisillabo e settenario (strofetta raddoppiata). Alla stessa maniera il coro cadenza anche l’aria di Zarete
che sta nel secondo atto, con due quartine di settenari tronchi da
cantarsi internamente; e quando comincia l’imponente finale, allora torna in scena, introduce, proferisce quattro ampollose quartine
di ottonari e all’assieme solistico partecipa come si deve, però solo
nel libretto, non in una partitura evidentemente curiosa di novità.
Presente o incombente, visibile o invisibile, in effetti sempre più
necessario che decorativo, questo coro vanta qualche altra singolarità, nella metrica e nel lessico. Quanto alla metrica, oltre alle strofe regolari di cui sopra e alla forte passione per il verso tronco, si
notano delle strane frasi da recitativo, tali sul libretto e variamente
onorate dalla musica: “In questa a te sacrata antica selva” è l’inizio dell’opera, per sei versi di cui cinque endecasillabi e un settenario (il quarto), in uno stile recitativo-arioso che il tardo spartito
francese non esita ad assegnare a un solista, Akebare; e “Né crolla
il tempio, e vi riman sepolto!” è parte dell’assieme finale, libera
serie di endecasillabi e settenari come quelle di tre dei quattro solisti, fra parentesi a indicare le diverse reazioni mentali dei presenti
davanti all’aperta concione di Zarete (si tratta di quanto lo spartito
cancella, unitamente al sentenzioso distico finale). Quanto al lessico, i grandi cori celebrativi s’allungano a forza di parallelismi,
anafore, variazioni testuali e appellative e così via: “Al monarca
sovrauman” e “Al grand’astro che primier”, “Tu mirasti il
Lusitan” e “Tu ascoltasti il pio guerrier”, “Lode a te che nel periglio” e “Lode a te che nel suo petto”, e “Danze, giuochi, ed inni,
e voti” sono i capoversi del primo caso; mentre nel secondo l’invocazione si rivolge prima a Brama, poi al Sole (nel coro iniziale
detto “apportator d’auro-feconda luce”), quindi al Gange, infine a
tutti i Numi, sempre apostrofati con dovizia d’immagini, concetti
e parole.
Il Lusitano citato è il portoghese, l’esercito portoghese che
aveva cercato di conquistare l’India e l’eroico Idamore era riuscito a sconfiggere, quasi improvvisandosi guerriero e duce (un po’
come il Fernand della Favorite, spagnolo contro i Mori invasori);
ma dopo questo coro encomiastico, di laborioso ringraziamento al
dio e all’uomo, la questione epico-civile è poi messa a tacere, nel
libretto del Paria, a tutto vantaggio di una questione privata che è
anche e soprattutto religiosa, sociale, umana. E qui sta la vera,
grande originalità del dramma, lievitata sopra personaggi di per sé
abbastanza convenzionali. Se Idamore è la tipica figura tenorile,
giovane e speranzosa, vibrante di amor patrio e di passione amorosa, della tipica figura sopranile l’amorosa Neala non ha poco
nemmeno lei, sospesa com’è fra il sentimento per l’amato e la soggezione al padre, fra il pauroso sogno della cavatina e i pur parchi
vezzi femminili onde distribuisce omaggi alle amiche; Akebare e
Zarete, infine, sono i due soliti bassi della tradizione seria, potente
e spietato persecutore l’uno, innocente e inerme vittima l’altro.
Akebare è il motore immobile del dramma, sacerdote e rappresentante di una religione superstiziosa, non primo basso assoluto
bensì “altro primo” basso.
Ampia parte del testo di Gilardoni inscena la miserevole condizione dei Paria e vibra di sdegno contro il fanatismo dei loro nemi-
ci. Già un “cenno” iniziale ragguaglia sul fenomeno, riferendo
come fra le varie caste componenti il mondo dell’India quella dei
Paria fosse stata maledetta da Brama, non potesse convivere con le
altre nei centri abitati, dovesse addirittura segnare le fontane “nelle
quali spegneano la lor sete” gli sciagurati, non sapesse meritare
l’amore di alcuna “indica donzella” e così via. E durante l’azione,
oltre al raccapricciante sogno premonitore di Neala (“un aspide
[...] a... un Paria! /, m’annoda, m’incatena!”), oltre al coro interno
richiesto propizio allo “stuolo prediletto” e micidiale al “paria
maladetto”, oltre alla scena dove Zarete intravvede, si trova a fissare e si sente costretto a descrivere le raccapriccianti stragi dei
Paria istoriate sulla roccia, sono due le grandi scene che raccontano a viva voce la disgrazia della casta. Nel duetto d’amore e di
confessione Idamore fa notare all’amata come quando lui le prende la mano “non trema, si disserra, / manca la terra! / Non di sanguigne nubi il ciel si covre! / Né dal celeste regno / voce di sdegno” a loro “non parlò! / Non fulminò!”, continuando a illustrare
le bellezze di una natura sempre tranquilla e pura, tra cheti palmeti e argentei raggi. E nel finale è Zarete, coraggiosamente ed eloquentemente, a prendere la parola, a insistere su quel favore che ai
Paria la natura non nega giammai, a reclamare l’uguaglianza di
tutti gli uomini (tutti polvere, del resto), tutti figli d’uno stesso Dio
e tutti assolutamente uguali quando poseranno “nell’asilo eterno”.
Akebare, dal canto suo, non si limita a incrudelire contro i
poveri Paria per difendere le altre caste dell’India, in particolare la
sua che è quella dei Bramani, ma anzi teme che il trionfo militare
di Idamore (divenuto capo della casta dei Guerrieri) lo danneggi in
potenza e oltrepassando il comune principio della ragion di stato
concepisce l’idea e ha il cinismo di dargli in sposa la figlia, disarmando un guerriero diventato suo congiunto mediante il sacrificio
della figlia che alla fine non esiterà ad accomunare al supplizio dei
Paria. La qual figlia, Neala, sarebbe, anzi è destinata al culto del
Sole: nondimeno incontra e ama Idamore, il suo giovane guerriero
di successo, come ogni Vestale di Roma e ogni Sacerdotessa
d’Irminsul che si rispetti dalla Vestale di Spontini a quella di
Mercadante, dalla Sacerdotessa d’Irminsul di Pacini alla suprema
Norma di Bellini; con la differenza comunque notevole che dette
Vestali non risultano mai sciolte dai voti, mentre Neala è liberata
dai voti dalla spregiudicata autorità paterna (dai Numi, dice lui) e
assegnata e condotta in sposa a Idamore (anche se poi il rito viene
interrotto).
Quattro arie appena
Le sole quattro arie che cadenzano Il Paria di Gilardoni e
Donizetti sembrano una scelta drammaturgica abbastanza precisa,
da interpretare come l’effetto di una precisa concezione unitaria.
La cavatina del soprano, la cavatina del tenore e l’aria del basso
(Zarete) hanno tipica forma ottocentesca, in due parti (e si taccia
ormai di una tripartizione o quadripartizione, visto che l’aria dell’epoca troppo spesso manca di “tempo d’attacco” e il cosiddetto
“tempo di mezzo” lo intende in maniera più funzionale e drammatica che autonoma e musicale).
Tra l’altro la cavatina di Neala (I, 3) ha luogo quasi come un
colpo di scena, all’improvviso, “in medias res”, senza la statica
cornice di donzelle festanti o compiangenti che dà esca e sfogo alle
passioni di una Sonnambula o di una Beatrice di Tenda e giusto in
tempo per provocare lo sviluppo dell’intreccio: durante la preghiera comune, la giovane sacerdotessa irrompe nel tempio come
impazzita e canta un’aria che è insieme un racconto e un sogno,
narra d’aver sognato che un aspide la avvinghiava a un Paria infame, senza volerlo induce il padre Akebare a scioglierla dai voti e a
farla sposare, infine si dispera nuovamente (non sapendo che lo
sposo sarà Idamore); quanto basta per una scena incalzata da un
fremente motivo strumentale, un bel cantabile cadenzato dal coro,
un movimentato tempo di mezzo e una tipica cabaletta conclusa in
assieme corale. Il recitativo di Akebare è interrotto da un Allegro
agitato in Do min. che descrive l’irruzione della fanciulla, nervoso
di suoni ribattuti, svelti cambi di registro, fitti accordi e note picchettate (e che come Re min. tornerà in Anna Bolena, allorché
Smeton sente rumore e si nasconde ed entra Anna inseguita dal fratello perorante la causa di Percy, in vista del duetto); dopo qualche
nuova battuta di recitativo, ecco il Larghetto in Sol min. e 6/8,
“Parea che mentre l’àloe”, in verità più declamatorio che cantilenante, dal disegno spesso discendente e dal senso talora madrigalistico (“sfonda il terren” a scendere, “che m’agghiaccia il cor” e
“mi manca il cor” con pause, “orror” come nona minore a salire in
“fortissimo”). Alquanto esteso il tempo di mezzo, e poi la cabaletta: Moderato in Sol. magg. e tempo ordinario, “Ah che un raggio
di speranza” è un motivo chiaro e scattante che s’avvale della sincope per esprimere una condizione psicologica diversa ma non
meno tragica della prima, chiuso sulla parola “amor” che verso la
fine sale per vispe terzine e poi si ferma per tre battute fra il La e
il Si bem. oscillando sui semitoni. Forse, una scrittura del genere
basta a qualificare un cantante: allieva di Crescentini, la Tosi era
certo una belcantista, ma forse emergeva ancora di più nel canto
sfogato e declamato, come del resto risulta che facesse quella
Henriette Méric-Lalande che dal Pirata di Bellini sarebbe passata
alla Lucrezia Borgia di Donizetti.
Fremebonda, tanto agitata quanto spettacolare la cavatina di
Neala; e puramente solistica, invece, quella di Idamore (I, 6), lunga
e comoda di recitativo come di cantabile e cabaletta, corta di
tempo di mezzo ma provvista di un preludio più regolare e di una
bella occasione d’arioso. Il preludio in Andante imposta sicuramente il La bem. magg. e ricorre anch’esso al suono ribattuto e
picchettato con qualche battuta accordale (alla maniera, quasi, di
una piccola toccata); il recitativo continua a servirsi del motivo del
preludio, si diffonde in accenti più lirici che narrativi che rappresentano una continua tentazione ariosa (ad esempio il vocalizzo su
“delizia”), all’arioso cede sui tre versi che cominciano sulle parole “Caro quel marmo” con una scrittura centrale dall’aspetto quasi
contraltile, e grazie a un nuovo Andante passa a una lettura di lettera che non sarà recitata (secondo la prassi) ma è certo cantata
sopra suoni ribattuti composti in brevi serie ascedenti per semitoni dal La bem. al Mi bem. del rigo. Finalmente, ecco l’aria vera e
propria, dove il duce vittorioso prima lamenta la perdita della
donna amata e poi reagisce vivacemente: “Lontano io più l’amai”
è il Larghetto in Fa min.-La bem. magg. e 6/8, “Fin dove sorgono”
è l’Allegro meno mosso (del tempo di mezzo) in Fa magg. e tempo
ordinario. Il cantabile sembra cauto e uniforme, cominciando su
quattro Do centrali (che ne sono la dominante), ma intanto si frammenta subito su pause d’ottavo e poi non tarda a muoversi, a salire, a descrivere la perdita con discese cromatiche; e la cabaletta,
che vuole “con forza” e sposta gli accenti del quinario sdrucciolo
dalla seconda alla prima e dalla terzultima all’ultima sillaba, concilia l’energia del ritmo con l’eleganza del belcanto, perché anche
se non si scioglie in particolari melismi prevede diversi, ardui e
acuti “trilli calati”. La prima mezzafrase della melodia è identica
a quella dell’aria della Giovanna di Anna Bolena, “Per questa
fiamma indomita” (questa in Mi, solo un tono sotto).
Classica, omogenea, equivalente a un’intera scena come quella
di Idamore, cadenzata e anzi lievitata da un tempo di mezzo determinante come quella di Neala, l’aria di Zarete (II, 4) è una bella
gemma musicale incastonata in un processo drammatico al quale
tuttavia serve ben poco: il vecchio padre aspetta invano un figlio
che non ha l’abitudine della puntualità, semplicemente; ma intanto il primo basso dell’opera canta una scena memorabile, lunga,
articolata e chiaroscurata, in felice contrasto emotivo e spaziale
con un coro interno. Ad aprire il sipario sopra un “antichissimo
tempio diruto” è un esteso preludio in Larghetto in Mi bem. magg.
e 3/4 la cui bella, sinuosa melodia trocaica descrive la profondità,
più che l’orrore della notte; e proprio sull’apostrofe alla notte
comincia il lungo recitativo del basso, “Notte, ch’eterna a me parevi”, spesso frammisto ad arioso (“che fuggo la luce”, ascendente
per larghi semitoni mentre con stretti semitoni di crome l’accom-
pagnamento scende, sale, riscende, risale e riscende liberamente),
interrotto dalla ripresa del bel tema orchestrale, infine sfociante
sopra un Allegro i cui accordi massicci e progressivi alludono al
raccapriccio provato dal vecchio davanti alle “stragi de’ Paria”
scolpite sulla roccia e al terribile ricordo di un episodio autobiografico (di scarsa funzione d’antefatto, tuttavia). Donde il Cantabile in
Mi bem. magg. e tempo ordinario “Qui pel figlio una madre gridava”, che dopo qualche battuta quasi spezzata dall’ansia prende
spunto dalla lunghezza del decasillabo per lanciarsi in frasi animose, vibranti, bellamente enfatiche, estese dal Si bem. grave al Mi
bem. acuto mediante quarte, quinte, seste dal verso “e spietato il
Bramano furente”. Ma ecco il coro interno, una specie di imeneo
indiano che annuncia il giorno e l’imminente rito matrimoniale di
Neala e Idamore (il figliolo così nemico della puntualità, per l’appunto altrimenti indaffarato), un canto nuziale in Allegro e Sol
magg. festoso, accordale, sempre volto a rispettare i versi tronchi
delle due quartine. Al suo suono, il basso non può corrispondere
che con l’eco di una cabaletta: l’Allegro “Questa adunque, o figlio
ingrato” è prescritto “piangendo” sulla dominante del cantabile
ovvero sul Si bem. magg., tende al registro acuto e risulta ben più
forte e ritmato che vago delle colorature tanto frequenti nella vocalità di Lablache.
Musicalmente il tema del preludio tornerà in Anna Bolena, nel
preludio del duetto fra Giovanna ed Enrico, come Andantino e su
registro più grave; l’idea centrale del cantabile, la frase slanciata
sulla ferocia del bramano furente passerà all’aria del Duca d’Alba,
“Ne’ miei superbi gaudii”; e il motivo della cabaletta, se somiglia
un po’ a “Non tradirmi, o cara speme”, la cabaletta per tenore del
Torquato Tasso del ’33, condivide esattamente la prima mezzafrase con l’attacco del duetto di Anna Bolena, dove Percy canta “S’ei
t’abborre”.
La presenza di un tenore come Rubini invogliava spesso i compositori a concedere due arie al suo personaggio, ma anche Zarete
vanta un altro assolo. Il libretto non ha dubbi: Zarete entra in scena
e si inginocchia a pregare “Tergi, o Dio di pietà”, e dopo un lungo
dialogo con Neala (presente Zaide e in arrivo Empsaele) che fornisce l’indicazione del tempo trascorso dalla fuga di Idamore (un
lustro) esulta dicendo “Il figlio è qui!” (I, 4-5). Ma il testo di
un’aria normalmente bipartita (l’aria “doppia” che piace tanto alla
musicologia anglosassone, come se l’aria scempia esistesse e fosse
abbastanza frequente), lo spartito lo interpreta a piacer suo: la preghiera la intende come un breve arioso bello, sillabico, ascendente, Larghetto in Mi min.-magg. e 3/4, e la serie di strofette d’esultanza come “cavatina” monopartita, Maestoso-Allegro in Mi bem.
magg.; sennonché poi l’andamento è quello della cabaletta e in
sostanza la lunga scena ha tutte le ragioni per ambire alla qualifica
di grande aria di sortita, cavatina non molto diversa da quelle degli
altri due personaggi.
È ancora meno evidente il solismo di Akebare, l’altro basso.
Nell’introduzione del primo atto il gruppo dei Bramani canta un
singolare e breve coro arioso (che il libretto scrive alla maniera del
recitativo), con un tempo Moderato che si mantiene anche quando
Akebare attacca “Che giovommi sudar sugli altari”: è una quartina
di decasillabi impostata sopra un Re magg. abbastanza marziale da
sollecitare il passaggio all’Allegro dell’altra quartina (e poi del
massiccio coro in Si min. della scena successiva, “Al monarca
sovrauman”), e musicata con uno scatto cabalettistico che dura
appena otto battute e con l’Allegro citato ritorna alla scrittura ariosa. Formalmente, insomma, è solo una parte dell’introduzione,
all’incirca come capita alle due strofette di Assur nell’introduzione di Semiramide, “Sì sperate; sì esultate”; come senso, invece, ha
una particolare importanza, giacché alla fine Akebare entra nel
tempio dicendo “Ma s’avanzan le turbe festive... / creda il volgo
me intento ad orar”, assumendo un clamoroso atteggiamento di
ipocrisia che applicato alla religione diventa ancora più grave della
semplice superstizione; e come presenza vocale somiglia alquanto
alla cavatina di Publio nell’Esule di Roma, che è il primo assolo di
tutta l’opera e il primo ma anche l’ultimo di un personaggio già
creato dal creatore di Akebare, il basso Campagnoli (dunque non
più chiamato a partecipare a pezzi solistici).
Senza concertato né rondò
Provvisto di un brevissimo preludio in Allegro giusto e Re
magg. che sopra un implacabile pedale di dominante espone una
prima idea forte e acuta e una seconda idea più grave, espansa e
sommessa, Il Paria è un’opera così incisiva ed essenziale da rinunciare al concertato del finale primo e al rondò del finale ultimo, al
loro classico posto collocando rispettivamente un duetto e un quartetto, e da saper piegare la coralità a fini davvero sostanziali, inserendola in scene e numeri maggiori. I due duetti, tuttavia, sono tradizionali, ampi e tripartiti alla maniera. Nel duetto-finale primo per
tenore e basso il recitativo è lungo, piuttosto accidentato nel canto
e movimentato nell’orchestra, com’è opportuno che sia per un
incontro dove i due personaggi all’inizio, addirittura, stentano a
riconoscersi e alla fine, riconosciutisi, pervengono al colmo della
tensione drammatica. Così suona l’Allegro del tempo d’attacco,
“D’un Akebar la figlia”, un La magg. che salendo sul rigo allunga
i valori in un certo andamento declamatorio non lontano dal recitativo, ma al quarto verso stabilisce una maggior quadratura melodico-ritmica (tra l’altro facendo scendere il basso al La grave, dopo
una scaletta di semicrome); allo sdegno di Zarete Idamore risponde prima con accenti di sorpresa e umiltà, e poi, al suo quarto verso
che dice “Quanto Akebar veleno”, passa al Do magg. acquisendo
lo stesso disegno ritmico e la stessa energia dell’altro (che diceva
“Quanto di più tormento”). Qualche ulteriore battuta di recitativo
è poi interrotta dal coro interno, che maledice i poveri Paria e porta
acqua al mulino di Zarete: “Salvi, o Nume” è un bel Larghetto in
Mi min. / La magg. per tenori e bassi all’ottava che ottiene l’effetto di aumentare il tasso di sdegno di Zarete (e porta il canto da due
versi tutti resi sul Sol centrale, “ad invocar lo scempio”, a un verso
tutto di Si e Do superiori, “l’empio anatema”) e costituisce il
tempo di mezzo del duetto, corale, cantabile e più tardi anche femminile ma pure solistico e movimentato. Dopo un’altra breve scena
di dialogo e di dramma in Allegro, la stretta in “meno” Allegro
conferma il La magg. (per la verità raggiunto solo alla fine del
tempo precedente): l’identità melodica ha luogo soltanto al terzo
verso dei quattro interventi e all’inizio, nel breve inizio dell’ultima
sezione del pezzo, il canto del tenore è tanto agitato, interrogativo
e scandito quanto quello del basso è calmo, lucido e disteso.
Non si dicono poi granché il padre e il figlio nel robusto duettone voluto come finale primo, e dopo smanie, meraviglie, collere
e suppliche si danno un appuntamento che dovrà essere decisivo
(almeno nei loro progetti). Molto dicono e fanno i due giovani,
invece, nel loro duetto posto all’inizio del secondo atto e tale, purtroppo, da vanificare l’appuntamento: si incontrano e si lasciano
amorosissimi, ma intanto lui ha fatto ingoiare a lei il grosso rospo
della sua appartenenza alla casta dei Paria. Anche in questo caso il
recitativo è lungo, sfumato, cromatico nel canto (basti l’esempio
dello spavento di Neala, alle parole “e seppellirne entrambi entro
il seno”, discendenti come vuole l’immagine); e tanto fino al tritono, l’inaudita quarta aumentata che era detta diabolus in musica
perché, di ardua intonazione, esprimeva sensi e presenze soprannaturali o comunque eccezionali. Anche stavolta il tempo d’attacco,
che suona “Ei stesso!!!” in Allegro, è rapido di tempo, ma dopo un
vago movimento arioso di Idamore dà luogo al tempo di mezzo:
lirico, intimistico, il passo è tanto semplice di scrittura quanto squisito di melodia, dal Fa magg. di lui che canta “La mano tua, deh
vedi” (cui lei risponde intercalando “Ahi come a quell’accento”)
allo sviluppo in Re min., sempre sopra un cullante 6/8 di
Larghetto, più acuto per il tenore che per il soprano, assolutamente persuasivo da parte del povero Paria nei confronti della divina
figlia del Bramano. Neala starà dalla parte di Idamore, dunque, e
dopo una veloce sezione di raccordo che frutta l’idea della fuga
come unico scampo, ecco la stretta finale, il solito Moderato, qui
in La magg., “Sarai tu sempre, o caro”, squillante di melodia
(anche arpeggiata) e di ritmo. E anche qui, nelle battute a due voci
parallele, il canto di Idamore supera di una terza quello di Neala:
come vuole il moderno canto del tenore che subentra al contralto
in veste amorosa.
Non meno originale del duetto-finale primo è il quartetto-finale secondo del Paria, svolto non come rondò solistico, ma come
quartetto, un quartetto di soli che il coro l’ha bello e pronto in
scena ma non se ne serve affatto. Zarete s’è appena fatto da parte
protestando contro il figlio ingrato, che il gran finale scatta al canto
di un coro possente, squadrato e marziale a quattro voci, Allegro in
Do magg. per voci femminili e voci maschili inneggianti le sacerdotesse al Sole, i sacerdoti e i soldati al Gange, tutti insieme a tutti
i Numi. Poi Idamore scioglie il suo consueto lirismo nella mobilità del recitativo-arioso e Akebare conferma la sua sacralità in un
recitativo-arioso invece martellante, e quindi attacca il quartetto.
L’orchestra trattiene il Do magg. del coro, i tocchi blandi e ispirati dell’arpa s’avviano sicuri e il quartetto comincia come terzetto:
“Da sì caro e dolce istante” cantano prima il tenore solo e poi il
soprano e il tenore insieme, sopra una schietta melodia ferma nella
prima mezzafrase e ascendente nella seconda che sarà ripresa identica dal soprano di Torquato Tasso, ancora in Larghetto e sulla tonica, alle parole “Non ti sprezzo, se lo credi”. Il basso Akebare non
può certo unirsi a tale rosea cantilena, ma avvia il rito con la solita sequela di suoni ribattuti, mentre al di sotto l’orchestra freme di
semicrome ascendenti per semitoni, quando accorre Empsaele, che
annuncia l’orrorosa presenza, nel tempio, di un Paria. Con l’irruzione di Zarete il quartetto è pieno, anche perché il coro si limita a
qualche pur incisiva minaccia (“Non s’indugi al trucidar!”):
comincia Zarete, in Maestoso e Mi bem. magg., a cantare “Morte
io voglio”, ma ben prima che lui finisca la sua generosa tirata, gli
subentrano Akebare che canta “E un Dio gli porge ascolto!”,
Idamore che canta “La sua morte è sicura”, Neala che canta “Ei
trema! Impallidisce!”: è un quartetto autentico, questo, perché ogni
personaggio dice e canta quanto gli spetta, senza simmetrie, parallelismi, scambi tematici, promiscuità di registro (Zarete, per esempio, è più acuto di Akebare), se non nelle ultime battute dove l’oratore si permette note più veloci con qualche passo d’agilità e gli
altri preferiscono allungarsi per mezzi o per interi. Anche la chiusa del brano è lenta, cauta, quasi inavvertita. Imboccata da Idamore
Neala osa chieder venia per il vegliardo, Idamore dichiara di esser
figlio del profanatore, Akebare ordina che i tre, non i due empi,
vengano condotti a morte, e allora scatta la stretta del quartetto,
“La sorte di noi miseri”, un Allegro giusto in Do magg. stringente
e disperato di disegno melodico e giambico, e precipitoso di ritmo,
che associa il figlio al padre e la figlia al padre suo e che formerà
anche la stretta del finale secondo di Torquato Tasso. Gli ultimi
due versi del coro, “Giorno sì fiero e rio / su l’Indo mai spuntò!”,
secondo Donzetti non meritano di passare dal libretto allo spartito,
giacché rischierebbero di tramutare il quartetto in concertato, ma
non possono non passarvi gli ultimi due di Akebare che, dopo aver
prospettato alla turpe figlia una specie di rinsavimento fra le tenebre eterne, mormora “Regno! L’impero è mio! / Di più bramar non
so!”.
Tragedia e parodia
La carriera di Donizetti vantò ben altri esiti artistici che Il
Paria, alla Scala e al S. Carlo, con Romani e con Cammarano, di
stile italiano e di stile francese, ma questo Paria, opera dal destino
simile a quello della casta negletta cui s’intitola, appuntò diverse
frecce alla mano del suo autore e gliele nascose nella capace faretra perché le scagliasse verso i drammi di Anna e Lucrezia, Lucia
e Belisario, Poliuto e don Sebastiano. Mai, senza dubbio, il teatro
musicale di Donizetti si era più allontanato dai classici e imperanti modelli di Metastasio e di Rossi, del Mozart e del Rossini serio,
di un maestro come Mayr e di un collaboratore come Romani. Per
schizzare finalmente un profilo sintetico, Il Paria è un melodram-
ma (secondo la definizione del libretto) dai lineamenti drammatici
sicuri, decisi, peculiari e originali: si ambienta quasi tutto all’esterno, tra boschi e limitari di templi; nel complesso rispetta le famose unità aristoteliche, cominciando una mattina e finendo la mattina dopo; in un contesto esotico articola una vicenda di carattere
sociale, religioso, umanitario, psicologicamente schietta e la conduce a un finale rapido e funesto; consta di pochi quadri, poche
scene, pochi pezzi, pochi cori, derogando dalla convenzione sia del
concertato e del rondò finale che della coralità puramente decorativa; svolge recitativi cangianti, tendenti all’arioso; nei cantabili
abbonda di Larghetti e nella formulazione melodica sa ricorrere sia
al disegno ascendente, discendente, ribattuto sia alla combinazione di gradi diversi ma vicini e irrequieti; nelle cabalette e nelle
strette non esita a sfoderare tutte le armi della ritmica (su limpidi
schemi tenuti presenti in opere di poi); e non indulge mai al virtuosismo vocale, a costo di non secondare troppo la prassi dell’epoca
e il belcanto dei creatori.
A importare davvero è la solida presenza musicale del quartetto. “Il finale del Proscritto che è un terzetto è di molto effetto per
la scena [...].”, scrisse Donizetti a Mayr del fortunato Esule di
Roma, il 2 febbraio del 1828, continuando “L’anno venturo finirò
il primo atto con un quartetto ed il secondo con una morte a mio
modo. Voglio scuotere il giogo dei finali”. L’anno seguente, Il
Paria finì il primo atto con un duetto, a dire il vero, e l’idea del
quartetto la passò a un finale secondo che la morte non la rappresentava direttamente ma la dava, purtroppo, per certa.
Anni dopo, Donizetti ebbe modo di servirsi ancora di quanto lo
soddisfaceva di più, della musica di un’opera che non riusciva a
circolare, attenendosi all’uso vigente sia della parodia che della
reminiscenza personale. Quanto alla parodia, qua e là segnalata
durante l’esame dei numeri principali dell’opera, s’aggiunga che il
coro e il ballo del primo atto l’autore li recuperò in una ripresa del
Diluvio universale di Gilardoni (Napoli, 1830), a Genova nel ’34,
aggiungendoli di suo pugno nella partitura non autografa dell’archivio Ricordi (l’autografo era rimasto a Napoli). Oltre che alla
Sofronia di Torquato Tasso (e un po’ al coretto iniziale, “Due rivali, un invidioso”), il bel motivo del quartetto Donizetti lo applicò a
un terzetto di un’opera buffa di Gilardoni, La romanzesca e l’uomo nero (Napoli, 1831) e anche, quasi uguale, alla larga frase del
protagonista del Marino Faliero (Parigi, 1835) che nell’ultimo
duetto dice “Santa voce al cor mi suona” (in Fa magg., con inizio
sempre sulla tonica).
Dunque Il Paria venne dimenticato, smembrato, parodiato;
forse più che un dramma, un’opera d’azione, era stato proprio una
tragedia funesta, un’opera dialettica sì, specie grazie all’oratoria di
Idamore e di Zarete, ma assai poco dinamica, bell’e buona per il
tipico finale funesto della tragedia, quella classica da recitarsi e
quella romantica da cantarsi. Insomma, nonostante la definizione
diversa, Il Paria è già una “tragedia lirica”, come le tante di
Romani e di Cammarano da Anna Bolena in avanti, al posto del
dramma per musica, dell’opera seria, dello stesso melodramma
(dramma tragico sarà Lucia di Lammermoor e melodramma tragico Maria di Rohan). Cupo e violento come testo poetico e musicale, limpido e chiaro come messaggio etico ed estetico, il magnanimo Paria che davanti alla corte dei Borboni osò definire “di volubil sorte / schiavo [...] il grande” (e questo fugace cenno a Rossini,
al recitativo precedente l’aria di Isabella nell’Italiana in Algeri, ha
consigliato l’adozione di un titolo che deriva dalla Cenerentola, là
dove Angelina balbetta “quel ch’è padre non è padre”), continua a
sollevare un unico, fortunatamente esile dubbio: visto che il dramma di Idamore è lo stesso di Zarete e che l’arte di Lablache non era
inferiore a quella di Rubini, perché non si chiama I due Paria?
ALL THAT’S PARIA IS NOT PARIA by Piero Mioli
An inauspicious occasion and an early maturity
The duke of Calabria, son of the Bourbon Ferdinando I and
about to succeed his father as Ferdinando II, was born on 12
January 1810. In 1829 he turned 19 and had the honor of celebrating his birthday with an opera by Donizetti. The opera is question was Il Paria, melodrama in two acts by Domenico
Gilardoni based on a recent French tragedy by Delavigne. It was
received with lukewarm enthusiasm in the major opera house of
Naples, primarily because of the cultured and courtly character
which prevailed over the evening. Moreover, the sudden decision
by the impresario to raise the price of the tickets, and the freezing
temperatures which assailed the city that year and discouraged
nightly outings, also played a role in the opera’s lack of success.
Bellini’s Il pirata had been extremely well received a short time
earlier, and in that period the Teatro S. Carlo had also hosted
Pacini’s L’ultimo giorno di Pompei as well as Donizetti’s own
L’Esule di Roma. These three works were, according to the
“Giornale del Regno delle Due Sicilie”, “just about the best operas ever written in the heroic genre, after the works of Rossini”.
Yet following Bellini’s masterpiece, which had triumphed throughout Italy for more than a year, Donizetti’s new efforts might
truly have seemed rather uninteresting. There were a mere six
performances, and the reaction of the critics was at least twofold. “Il Censore universale dei Teatri” from the distant city of
Milan, attempting to disentangle itself from the diverse opinions,
stated that “this opera is entirely without merit”. Yet according to
the “Notizie del giorno”, at the premiere “each piece was distinguished by persons of taste, and applauded”. In the production of
Pasquale Canna, “inventor, director and painter of the scenery”,
the cast consisted of Giambattista Campagnoli (Akebare),
Adelaide Tosi (Neala), Luigi Lablache (Zarete), Giambattista
Rubini (Idamore), Gaetano Chizzola (Empsaele) and Edvige
Ricci (Zaide). Each of these singers were fine artists and were
indeed admired as performers; indeed, the abilities of the tenor
inspired applause before the end of each individual number,
though those of the bass were overshadowed by Donizetti’s particular writing style (In addition to this opera, the theater presented Le montagne russe, a “divertimento di ballo” by Salvatore
Taglioni). The reaction to the opera was thus seemingly two-fold,
or instead poorly documented and perhaps compromised by the
usual partisanship. And yet the author placed great trust in his
work, and when, a few months later, he saw that Il castello di
Kenilworth faired quite a bit better, he was certain in his opinions: “I would not trade a piece of Il Paria for the entire
Castello di Kenilworth... In the meantime, however, fate is bizarre.” In any case, he later had the opportunity to openly dismember the score, transferring various passages to Anna Bolena and
Torquato Tasso. And a decade later, he gave to the Duca d’Alba
at least part of the aria for bass from the second act.
In 1829, the young Gaetano Donizetti (Bergamo, 1797 –
1848) had already worked a great deal, following his studies in
Bergamo and Bologna. He debuted in Venice in 1818, and had
enjoyed great success in Rome with Zoraida di Granata and in
Naples with La Zingara. He had signed an advantageous contract
with the impresario Barbaja, had happily married Virginia
Vasselli, had moved with his family to Naples, and had received
the prestigious position of director of the Royal Theaters of
Naples (which he held for a decade). Among the seventy or so
operas which he composed, Il Paria ranks approximately thirtieth. In those days, Donizetti was an efficient and decorous professional, possessing but not yet overflowing with the gifts of
musical dramaturgy which, together with those of a younger but
wiser Bellini, would erect the monument to Italian romantic
opera.
Originality vs. intolerance
Il Paria is comprised of two acts of seven and eight scenes,
respectively. The plot is set in a woods thick with palm trees, part
of the exterior of the temple of Brahma: the temple is quite
ancient, with a majestic entrance. The time is dawn breaking, followed by an intermediate night and, lastly, the next morning. In
a static and uniform framework in which solemnity and sacredness exclude other characteristic external connotations, the chorus abounds but is more a temporary filler than an assiduous presence. In the first scene it is made up of merely 6 Brahmans, joined in the second by priests, priestesses, custodians, trumpeters,
warriors, dancers, Baluchi, fakirs (no less), and common people.
The scene includes dancing. The large chorus remains during
Neala’s aria but then disappears so that they are heard but not
seen during the simple duet which constitutes the first finale.
Similarly, the chorus also concludes Zarete’s aria in the second
act. As the imposing finale begins, the chorus then returns on the
scene, proffering four bombastic quatrains. It fittingly participates in the solo ensemble, but only in the libretto, curiously
enough, and not in the score. Present or hovering, visible or invisible, always more necessary than decorative, this chorus exhibits other singularities in both meter and vocabulary. Metrically,
in addition to regular strophes and a strong predilection for broken verse, odd phrases of recitative appear in the libretto but are
set in various ways in the music. “In questa a te sacrata antica
selva” is the opening phrase of the opera; there are six verses of
which five are with eleven syllables and one (the fourth) with
seven. It is set in a recitative-arioso style which the late French
score does not hesitate to assign to a soloist, Akebare. “Né crolla
il tempio, e vi riman sepolto!” is part of the finale ensemble number, a free series of eleven and seven-syllable verses like those of
three of the four soloists, written in parenthesis to indicate the
diverse psychological reactions to Zarete’s harangue (this speech
is cancelled in the score, together with the sententious final couplet). As for the vocabulary, the grand celebratory choruses are
drawn out with parallelisms, anaphors, textual variations, appellatives and so on. “Al monarca sovrauman” and “Al grand’astro
che primier”, “Tu mirasti il Lusitan” and “Tu ascoltasti il pio
guerrier”, “Lode a te che nel periglio” and “Lode a te che nel suo
petto”, and “Danze, giuochi, ed inni, e voti” are the first lines of
the first case. In the second, the invocation is addressed first to
Brahma, then to the Sun (called in the initial chorus “apportator
d’auro-feconda luce”), then to the Ganges, and finally to all the
Gods, who are always addressed with an abundance of images,
concepts and words.
The “Lusitanian” cited above refers to the Portuguese: the
Portuguese army had attempted to conquer India and had been
vanquished by the heroic Idamore, in the roles of warrior and
ruler (a bit like Fernand in La Favorite, the Spaniard who fought
against the invading Moors). Yet, after this panegyrical chorus
which laboriously giving thanks to god and man, the epic and
civil questions are then put to rest in the libretto of Il Paria, in
favor of a private issue which is above all religious, social and
humanitarian. Here lies the true, great originality of the drama,
which rises above characters who are per se rather conventional.
If Idamore is the typical tenor, young and hopeful, vibrant with
patriotism and romantic passion, Neala is no less typical, suspended between amorous feelings for her beloved and subservience
to her father, between the fearful dream of the cavatina and the
scant feminine wiles which she employs when distributing gifts
to her friends. Akebare and Zarete, finally, are the two usual basses of opera seria, the former a powerful and merciless persecutor, the latter an innocent and harmless victim of the other.
Akebare is the immobile motor of the plot, high priest and representative of a superstitious religion; not the primo basso assoluto
but rather the altro primo basso.
An ample part of Gilardoni’s text is dedicated to the miserable
conditions of the Pariahs and strikes out indignantly against the
fanaticism of their enemies. An initial mention is already made of
the phenomenon. Of the various castes which comprise Indian
society that of the Pariahs was cursed by Brahma: they were forbidden to live in populated areas with others; they were required
to mark the fountains “where they extinguished their thirst”; they
were unworthy of loving any “Indian maiden”, and so on. In
addition to the terrible foreboding dream of Neala (“un aspide
[…] a… un Paria! /, m’annoda, m’incatena!”), the off-stage chorus called upon to bring good fortune to the “chosen” and deadly
“threshold” of the “cursed pariah”, and the scene in which Zarete
witnesses and feels obliged to describe the terrible massacre of
the Pariahs depicted on stone, there are two great scenes which
recount the ill fate of the caste. In the duet of love and confession,
Idamore points out to his beloved how when he takes her hand,
the heavens do not rebel (“non trema, si disserra, / manca la terra!
/ Non di sanguigne nubi il ciel si covre! / Né dal celeste regno /
voce di sdegno” a loro “non parlò! / Non fulminò!”). He then
goes on to illustrate the beauty of a calm and pure nature, among
peaceful palms and silver rays. And in the finale it is Zarete who
courageously and eloquently speaks out, insisting on those favors
which nature has never denied the Pariahs, and reclaiming the
equality of all men (each of whom will one day turn to dust), all
children of the same God and all absolutely equal at the moment
of “eternal exile”.
Akebare, for his part, does not limit himself to raging against
the poor Pariahs in order to defend the other castes of India, in
particular his own, which is that of the Brahmans. Instead, he
fears that the military triumph of Idamore (who has become head
of the caste of Warriors) will cut into his power. Thus bypassing
the common principle of reasons of state, he conceives of the
idea and is sufficiently cynical to offer his daughter’s hand in
marriage. By such means, he disarms a warrior who has now
become his relative, and sacrifices a daughter who in the end will
not hesitate to share the sufferings of the Pariahs. This daughter,
Neala, is professed to the cult of the Sun. Nonetheless, she
encounters and falls in love with Idamore, the young and successful warrior—like any self-respecting Roman Vestal Virgin or
any priestess of Irminsul, from La Vestale of Spontini to that of
Mercadante, from Pacini’s Sacerdotessa d’Irminsul to Bellini’s
Norma. The remarkable difference is that these virgins are never
released from their vows, while Neala is freed from hers by the
merciless authority of her father (an authority which he has received from the Gods, he claims) and is given in marriage to
Idamore (although the wedding itself is then interrupted).
A mere four arias
The scant four arias in Gilardoni’s and Donizetti’s Il Paria
seem to be the result of a fairly precise dramaturgical choice and
a precise unifying concept. The cavatinas of the soprano and
tenor, respectively, and the aria for bass (Zarete) share the typical
form of the nineteenth century: they are bipartite in form ( by this
time arias were no longer in three or four parts, often lacking the
“tempo d’attacco”, while the so-called “tempo di mezzo” was
understood to be more functional and dramatic than autonomous
and musical). Neala’s cavatina (Act I, Scene 3) is almost a coup
de théâtre, unexpected, “in medias res”, without the static framework of the festive or pitying maidens who unleash the passions
of a Sonnambula or a Beatrice di Tenda. Indeed, it arrives in the
nick of time to provoke the development of the plot. During the
common prayer, the young priestess rushes into the temple as if
crazed and sings an aria which is both a story and a dream. She
tells how she dreamed that an asp had bound her to an foul
Pariah, and she unintentionally induces her father Akebare to
release her from her vows and allow her to marry. At the end of
the aria, she again despairs (unaware that the bridegroom is to be
Idamore). All this suffices to create a scene which is supported by
a quivering instrumental motif, a beautifully cantabile aria rhythmicized by the chorus, a moving “tempo di mezzo” and a typical concluding cabaletta joined by the chorus. Akebare’s recitative is interrupted by an Allegro agitato in C Minor which describes the girl’s entrance in a nervous repetition of notes, quick
changes of register, dense chords and staccato notes. After a few
new bars of recitative, the Larghetto in G Minor in 6/8 meter is
heard: “Parea che mentre l’àloe” is, in reality, more declamatory
than cantabile, and its frequently descending line is at times
almost madrigalistic in its word-painting (the descent on “sfonda
il terren”, pregnant pauses in “che m’agghiaccia il cor” and “mi
manca il cor”, the rising minor ninths in crescendo on “orror”).
The “tempo di mezzo” is rather extended, and is followed by the
cabaletta: a Moderato in G Major in common time, “Ah che un
raggio di speranza” is a clear and lively motif that makes use of
syncopations to express a psychological condition which is different but no less tragic than the first. Closing on the word “amor”,
it rises towards the end by nimble triplets before stopping for
three bars to waver between the half-steps of A and Bb. Such
vocal writing perhaps suffices to define a singer: a pupil of
Crescentini, Tosi was certainly of the bel canto school, but she
shined to an even greater extent in unrestrained and declamatory
singing, as allegedly did Henriette Méric-Lalande, who went on
from Bellini’s Il Pirata to Donizetti’s Lucrezia Borgia.
Neala’s trembling cavatina is as agitated as it is spectacular,
while that of Idamore (Act I, Scene 6) is purely soloistic, with a
long and comfortable recitative, a cantabile and a cabaletta, a
short “tempo di mezzo”, a regular prelude and, as a nice change,
an arioso. The Andante prelude clearly sets the key of Ab Major
and also employs repeated notes and staccatos with a few chordal passages (almost in the style of a small toccata). The recitative continues to make use of the motif from the prelude. More
lyrical than narrative in style, it is continuously tempted by an
arioso writing (see, for example, the vocalization on “delizia”).
Indeed it gives in to this temptation at the three lines which begin
with the words “Caro quel marmo”: the central tessitura is almost
that of a contralto, and thanks to a new Andante, it proceeds to a
reading of the letter which is not recited (as was the practice) but
is clearly sung over repeated notes composed in brief sequences
ascending by half-step from Ab to Eb. Finally we arrive at the
real aria, where the victorious hero first laments the loss of his
beloved and then reacts vigorously: “Lontano io più l’amai” is
the Larghetto in F Minor-Ab Major in 6/8, “Fin dove sorgono” is
the Allegro meno mosso (from the “tempo di mezzo”) in F Major
and common time. The cantabile seems cautious and uniform,
beginning on four middle C’s (the dominant), but it is immediately fragmented by eighth-note rests before quickly moving on,
rising upward, and then describing the loss with chromatic
descents. The “forceful” cabaletta, which readjusts the metric
accents of the text, unites the energy of the rhythm with the elegance of the bel canto singing, for even without particular melismas, there are diverse arduous and high “trilli calati”. The first
half-phrase of the melody is identical to that of Giovanna’s aria
from Anna Bolena, “Per questa fiamma indomita” (the latter in E,
only a tone lower).
Classical and homogeneous, Zarete’s aria (Act II, Scene 4) is
the equivalent to an entire scene like that of Idamore, and is given
shape and even lightness by an important “tempo di mezzo” like
that of Neala. This lovely musical gem is set into a dramatic process, but does virtually nothing to serve it. Simply stated, the
aging father awaits in vain a son who is not habitually punctual.
This said, however, the primo basso of the opera sings a scene
which is memorable, lengthy, structured, full of chiaroscuro
effects, in felicitous emotional and spatial contrast with an offstage chorus. The curtain rises on the “dilapidated ancient temple” with an extended prelude marked Larghetto in Eb Major and
3/4 meter, whose lovely and sinuous trochaic melody describes
the depth, more than the horror, of the night. The bass addresses
the night (“Notte, ch’eterna a me parevi”) in a long recitative
often mixed with arioso (“che fuggo la luce” ascends in wide
half-steps while the accompaniment in eighth notes rises and
falls freely in narrow half-steps). A reprise of the beautiful orchestral theme interrupts this recitative before flowing into an
Allegro whose massive and progressive chords allude to the horror experienced by the old man upon seeing the “massacres of the
Pariahs” carved on the rocks, and to the terrible memory of an
autobiographical episode (which, nonetheless, serves little dramatic purpose). There follows the Cantabile in Eb Major in common time, “Qui pel figlio una madre gridava”. After a few bars
laden with anxiety, the composer takes advantage of the lengthy
ten-syllable line to launch into spirited, vibrant and beautifully
emphatic phrases ranging from low Bb to high Eb, moving by
fourths, fifths and sixths on the line “e spietato il Bramano furente”. Here the off-stage chorus intones a sort of Indian wedding
song which announces the day and the imminent nuptials between Neala and Idamore (the invariably unpunctual son who is,
unsurprisingly, otherwise occupied). This hymeneal, an Allegro
in G Major, is festive, chordal, and always underlines the broken
verse of the two quatrains. At the sound of this song, the bass can
only respond with the echo of a cabaletta: the Allegro “Questa
adunque, o figlio ingrato” “weeps” on the dominant of the
Cantabile (Bb Major), moves toward the high register, and is
consequently much louder and more rhythmic rather than graced
with the coloratura passages so frequent in Lablache’s singing.
Musically, the theme of the prelude returns in Anna Bolena, in
the prelude to the duet between Giovanna and Enrico, as an
Andantino in the low register. The central idea of the Cantabile—
the phrase flung at the ferocity of the furious Brahman—passes
to the aria of the Duca d’Alba, “Ne’ miei superbi gaudii”. And if
the motif of the cabaletta somewhat resembles “Non tradirmi, o
cara speme”, the cabaletta for tenor from Torquato Tasso of 1833,
it shares exactly the first half-phrase of the duet of Anna Bolena,
where Percy sings “S’ei t’abborre”.
The presence of a tenor like Rubini often inspired composers
to give his character two arias, but even Zarete is given another
solo. The libretto leaves no room for doubt: Zarete comes on
stage and kneels down to pray (“Tergi, o Dio di pietà”), and after
a long dialogue with Neala (with Zaide present and Empsaele
about to arrive) which indicates passing of time from Idamore’s
escape (five years), he exults and exclaims “Il figlio è qui!” (Act
I, Scenes 4-5). But the text of a normally bipartite aria (the “double aria” which Anglo-Saxon musicology likes so much, as if the
“single aria” existed and was fairly common), is interpreted differently in the score. The prayer is set as a brief arioso—attractive, syllabic, ascending, marked Larghetto in E Minor-Major and
in 3/4 meter—and the series of short strophes of exultation are set
as a through-composed “cavatina”, marked Maestoso-Allegro in
Eb Major. The pace, however, is that of a cabaletta and the long
scene is in essence a grande aria di sortita, a cavatina which is
not much different from those of the other two characters.
The solo writing for Akebare, the “other bass”, is even less
clear. In the introduction to the first act, the group of Brahmans
sings a unique and brief arioso chorus (which appears in the
libretto in the style of a recitative), with a Moderato tempo marking which continues even when Akebare attacks “Che giovommi sudar sugli altari”. This is a quatrain of ten-syllable lines in D
Major which is fairly martial in character and heralds the transition to the Allegro of the other quatrain (and later the massive
chorus in B Minor of the subsequent scene, “Al monarca sovrauman”). Its musical setting is that of a cabaletta lasting a mere
eight bars, and with the Allegro returns to the arioso writing.
Formally, it is thus only a part of the introduction, more or less
similar to that which occurs to the two strophes of Assur in the
introduction of Semiramide, “Sì sperate; sì esultate”. It has a particularly important dramatic sense, however, since at the end
Akebare enters the temple saying “Ma s’avanzan le turbe festive… / creda il volgo me intento ad orar”, with shocking hypocrisy which, when applied to his religion, is even more serious than
simple superstition. The vocal style employed is quite similar to
Publio’s cavatina in L’Esule di Roma: curiously enough, it is not
only the first solo in the entire opera but also the first and last
given to a character created by the creator of Akebare, the bass
Campagnoli (thereafter never again entrusted with a solo role).
With neither concertato nor rondò
Il Paria opens with a very brief prelude marked Allegro giusto in D Major, which over an implacable pedal on the dominant
presents a strong and high initial theme and a second lower one
that is expansive and understated. This opera is so incisive and
essential that it renounces the concertato of the first finale and the
rondò in the last finale. In place of these classic numbers are a
duet and a quartet, respectively. Moreover, the choral writing is
put to truly substantial ends and is inserted to a greater extent in
musical numbers and scenes. The two duets, nonetheless, are traditional, ample and tripartite. In the duet-first finale for tenor and
bass, the recitative is long, rather irregular in the vocal part and
active in the orchestra, as is fitting for an encounter between two
characters who initially barely recognize each other, and, at the
end when their identities are clear, achieve the height of dramatic tension. Thus the Allegro in the tempo d’attacco, “D’un
Akebar la figlia”, in A Major, which rises and lengthens the note
values in a certain declamatory progression not unlike the recitative. At the fourth verse, however, a greater melodic-rhythmic
regularity is established (in which, among other things, the bass
descends a chromatic scale to a low A). At Zarete’s disdain,
Idamore responds first with tones of surprise and humility, and
then, in his fourth verse at “Quanto Akebar veleno”, he moves to
C Major, acquiring the same rhythmic design and the same energy as the other singer (who has sung “Quanto di più tormento”).
A few more bars of recitative are then interrupted by the off-stage
chorus which curses the poor Pariahs and adds fuel to the fire
ignited by Zarete. “Salvi, o Nume” is a lovely Larghetto in E
Minor / A Major written for the tenors and basses singing in octaves which has the effect of augmenting Zarete’s indignation
(where the music goes from two verses entirely sung on middle
G , “ad invocar lo scempio”, to another verse entirely on the B
and C above, “l’empio anatema”). This section constitutes the
tempo di mezzo of the duet—choral, cantabile and, later, is also
for women’s voices in addition to being soloistic and animated.
After another brief scene of dialogue and drama in an Allegro,
the stretta, marked “meno Allegro” confirms the key of A Major
(in actuality established only at the end of the preceding tempo).
The melody is only clearly identified at the third verse of the four
interventions, and at the beginning, in the brief opening of the
last section of the piece, the part of the tenor is as agitated, interrogatory and accented as is that of the bass calm, lucid and relaxed.
The father and son do not actually have a lot to say to each
other in the robust duet which serves as the first finale, and after
yearnings, wonders, rages and pleas, they make an appointment
which is to be decisive (at least according to their plans). The two
youths, on the other hand, do and say quite a lot in their duet at
the beginning of the second act, such as to undermine the abovementioned appointment. They meet and part romantically, but
meanwhile he has made her swallow the bitter pill of his belonging to the caste of the Pariahs. Again in this case, the recitative
is long, full of nuances, chromatic in the vocal line (see, for
example, Neala’s fear at the words “e seppellirne entrambi entro
il seno”, descending in illustration of the words). The music even
exploits the tritone, the unheard of augmented fourth which was
called diabolus in musica because its difficult intonation expressed supernatural or exceptional senses and presences. Here again,
the tempo d’attacco, “Ei stesso!!!”, is a rapid Allegro, but after a
vague arioso sung by Idamore, there arrives the tempo di mezzo,
which is lyrical, intimate, as simply written as it is exquisite
melodically. From F Major, in which he sings “La mano tua, deh
vedi” (to which she responds “Ahi come a quell’accento”) to the
development in D Minor over an incessantly rocking 6/8 marked
Larghetto, higher for the tenor than the soprano, the part of the
poor Pariah is absolutely persuasive in his discussion with the
divine daughter of the Brahman. Neala thus stands by Idamore,
and after a quick transitional section which exploits the idea of
the fugue as the only means of escape, the final stretta arrives as
the usual Moderato, this time in A Major, with the words “Sarai
tu sempre, o caro” brilliantly ringing both melodically (complete
with arpeggios) and rhythmically. Once again, in the bars for two
parallel voices, Idamore’s line is a third above Neala’s, in accordance with the modern concept of the tenor who replaces the contralto as the romantic lead.
No less original than the duet-first finale is the quartet-second
finale of Il Paria, composed not as a soloistic rondò but rather as
a quartet of soloists, with the chorus at the ready on stage but to
no purpose. Zarete has just stood aside, protesting against his
ungrateful son, when the grand finale takes off with the singing
of a powerful four-part chorus, four-square and martial in character, an Allegro in C Major for mixed voices extolling the priestesses to the sun, the priests and soldiers to the Ganges, everyone
together to all the gods. At this point Idamore veers from his
usual lyricism in favor of the mobility of the recitative-arioso,
while Akebare confirms his sacredness in a more pounding recitative-arioso, and this is followed by the attack of the quartet. The
orchestra holds on to the C Major of the chorus, the mild and
inspired peals of the harp commence, and the quartet begins as a
trio: “Da sì caro e dolce istante” is first sung by the tenor, subsequently joined by the soprano, over a pure melody which stands
firm in the first half-phrase and ascends in the second (reprised
identically by the soprano in Torquato Tasso, again as a Larghetto
on the tonic, with the words “Non ti sprezzo, se lo credi”). The
bass Akebare cannot certainly not participate in this rosy tunefulness, and instead initiates the rite with the usual sequence of
repeated notes, while below, the orchestra trembles with chromatically ascending sixteenth notes. At this point Empsaele rushes
in and announces the horrific presence in the temple of a Pariah.
With Zarete’s entrance, the quartet is now complete, also because the chorus is limited to a few incisive threats (“Non s’indugi
al trucidar!”). Zarete begins with a Maestoso in Eb Major, singing “Morte io voglio”, but well before he finishes his generous
tirade, Akebare joins in with “E un Dio gli porge ascolto!”,
Idamore sings “La sua morte è sicura”, and Neala sings “Ei
trema! Impallidisce!” This is am authentic quartet in the true
sense of the word since each character says and sings his due,
without symmetry, parallels, thematic exchanges or interchanges
of tessituras (Zarete, for example, is higher than Akebare). Only
in the last few bars does the orator indulge in faster notes with a
few coloratura passages, while the others prefer to hold out half
or whole notes. Even the close of the piece is slow, cautious,
almost unexpected. Prompted by Idamore, Neala dares to ask that
the old man be pardoned, Idamore declares to be the son of the
desecrater, Akebare orders that all three (and not only the two illdoers) be put to death, and thus the stretta of the quartet is set in
motion: “La sorte di noi miseri”, an Allegro giusto in C Major,
gripping and desperate in its melodic and iambic design and rhythmically precipitous, unites the son and the daughter with their
respective fathers (and will also form the stretta of the second
finale of Torquato Tasso). The last two verses of the chorus,
“Giorno sì fiero e rio / su l’Indo mai spuntò!”, did not in
Donizetti’s opinion deserve to be carried over from the libretto to
the score, since they would risk transforming the quartet into a
concertato. Yet, he could not do without the last two verses of
Akebare who, after proposing to his dishonorable daughter a sort
of rehabilitation in eternal darkness, murmurs “Regno! L’impero
è mio! / Di più bramar non so!”.
Tragedy and parody
Donizetti’s career vaunted many other artistic accomplishments beside that of Il Paria, produced at La Scala and at the
Teatro San Carlo, with Romani and Cammarano, an example of
Italian and French styles. This Paria, however, whose destiny
resembled that of the neglected caste after which it was named,
provided the hand of its author with various arrows, which were
hid away in his ample quiver only to be sent flying towards the
dramas of Anna and Lucrezia, Lucia and Belisario, Poliuto and
Don Sebastiano. Never, without question, was the musical theater of Donizetti farther from the classics and the ruling models of
Metastasio and Rossi, Mozart and the serious Rossini, a master
like Mayr and a collaborator like Romani.
In conclusion, a succinct profile of Il Paria might be summed
up thusly: a melodramma (according to the libretto) whose dramatic lines are sure, decisive, unique and original. The action
takes place almost entirely abroad, among woods and temples.
As a whole, it respects the famous Aristotelian unities, beginning
one morning and ending the next. Within an exotic context, it
portrays a tale whose elements are social, religious, humanitarian, and psychologically transparent, and it brings this tale to a
rapid and baneful end. It consists of few tableaus, few scenes,
few musical numbers, few choruses. It departs from convention
both in regard to the concertato and rondò of the finale and to the
purely decorative use of the chorus. The recitatives are changeable and tend towards the arioso. In the cantabile sections, there is
an abundance of Larghetto tempos, and the melodic design
makes use of ascending and descending lines and repeated notes
as well as combinations of various close but restive intervals. In
the cabalettas and the strettas, the composer brandishes all of his
rhythmic arms (over limpid designs which will be maintained in
later operas), but he never indulges in vocal virtuosity at the
expense of going against the contemporary practice of bel canto.
What is truly important in this opera is the solid musical presence of the quartet. “The finale of Il Proscritto, which is a trio,
is very effective on stage […]”, wrote Donizetti to Mayr on 2
February 1828, referring to L’Esule di Roma. He continues:
“Next year I will finish the first act with a quartet and the second
with a death in my own style. I want to shake up the yoke of finales”. The following year, to tell the truth, Il Paria ended the first
act with a duet, and the idea of the quartet was passed on to the
second finale, which did not represent a death directly but, unfortunately, left it unequivocally implied.
Years later, Donizetti had the opportunity to return to that
work which, though unsuccessful, had given him the most satisfaction, and in this he followed the common contemporary practice of both parody and personal reminiscence. As for parody
(aside from those examples which we have pointed out here and
there in the course of this analysis of the opera’s principle numbers), one may add that the chorus and dance from the first act
were retrieved by the author in a reprise of Il Diluvio universale
by Gilardoni (Naples, 1830), in a production in Genoa of 1834.
Indeed, they were added by the author himself in the copy of the
score preserved in the Ricordi archives (the autograph manuscript remained in Naples). In addition to Sofronia from Torquato
Tasso (and a bit of the initial chorus, “Due rivali, un invidioso”),
Donizetti applied the lovely theme from the quartet to a trio of a
comic opera by Gilardoni, La romanzesca e l’uomo nero (Naples,
1831), and also, almost identically, to the phrase sung by the protagonist in Marino Faliero (Paris, 1835) who, in the last duet,
says “Santa voce al cor mi suona” (in F Major, beginning again
on the tonic).
Thus Il Paria was forgotten, dismembered, parodied. Perhaps
more than a drama or an opera of action, its true nature was that
of a mournful tragedy. It was certainly a dialectic opera, especially thanks to the discourses of Idamore and Zarete, but hardly very
dynamic; a fine piece of work for the tragedy’s typically doleful
finale, the classic finale suitable for acting, the romantic finale
suitable for singing. All told, Il Paria, despite its definition, is
already a “lyric tragedy”, like so many written by Romani and
Cammarano from Anna Bolena onwards, rather than a dramma
per musica, an opera seria, a melodramma (Lucia di
Lammermoor will be called a dramma tragico, and Maria di
Rohan a melodramma tragico). Gloomy and violent in both text
and music, limpid and clear in its ethical and aesthetic message,
the magnanimous Il Paria dared to pronounce in the presence of
the Bourbon court: “di volubil sorte / schiavo […] il grande”.
This fleeting reference to Rossini (in the recitative preceding
Isabella’s aria in L’Italiana in Algeri) suggests a title borrowed
from La Cenerentola (where Angelina stutters “quel ch’è padre
non è padre”), and thus Il Paria continues to raise a single,
though fortunately meager, doubt: since the drama surrounding
Idamore and Zarete is one and the same, and since the art of
Lablache was in no way inferior to that of Rubini, why not call
the opera I due Paria?
LA TRAMA
THE PLOT
ATTO PRIMO. Akebare, sommo sacerdote e capo della tribù dei
Bramani, esce dal tempio con sei di questi, pregando il dio di proteggere l’eroe vincitore dei nemici che sta per giungere; i Bramani
vanno ad accogliere le varie tribù e Akebare, fra sé e sé, si rammarica dei successi di Idamore presso l’esercito e il popolo, a causa dei
quali il suo potere scema, per poi rientrare nel tempio. Intanto i
Bramani, i Sacerdoti, le Sacerdotesse pregano a lungo il dio protettore del loro popolo, nemico agli invasori Portoghesi. Solennemente,
Akebare si mostra poi al popolo; d’improvviso si vede passare
Neala, la figlia di Akebare destinata al culto del Sole, che fugge
come se fosse inseguita. Calmata dal padre, la fanciulla racconta un
sogno: mentre faceva un sacrificio sull’altare, a un tratto la fiamma
impallidiva, il tempio si scuoteva e un aspide la incatenava ignominiosamente a un Paria. Fingendo ispirazione, Akebare dichiara sciolta dai voti la fanciulla e la destina in sposa a un valoroso guerriero
(cioè ad Idamore, che Akebare pensa così di poter dominare). Neala
sa che Idamore non si è mai piegato ad Akebare, e dispera che lo
sposo scelto possa essere lui. Neala rimane sola con la fedele Zaide
e le Sacerdotesse, e d’improvviso vede un vecchio in cattivo arnese
scendere da una collina. È Zarete, che cerca spasmodicamente il
figlio perduto e si inginocchia presso un idolo, ma quando apprende
da Neala di essere davanti al tempio di Brama fa per fuggire (essendo lui un Paria, un appartenente alla disprezzata tribù inferiore e proscritto dal luogo, pena la morte). Frattanto il bramano Empsaele
viene ad annunciare l’arrivo del vincitore Idamore, e Zarete capisce
che si tratta del figlio, assente da casa da ben cinque anni. Le donne
si ritirano (non prima che Neala abbia lasciato un messaggio per
l’amante). Zarete gioisce perché, comunque sia, sta per rivedere il
figlio amato. Nella scena successiva, presso il tempio di Brama,
Idamore, solo, esultante per la vittoria riportata e per l’amore conquistato, trova e legge il messaggio dove Neala gli comunica la sua
volontà di morire: si dispera, ma poi riesce a rasserenarsi. Rientra
quindi in scena Zarete, che si sdegna a vedere il figlio vestito come
un nemico; commosso, Idamore gli comunica che, partito da casa per
vedere la grande città, aveva combattuto contro i Portoghesi con tale
valore da meritare il grado di generale dell’esercito indiano, e non
era tornato a causa dell’amore per una fanciulla. Purtroppo, è la figlia
di Ikebare, l’acerrimo nemico dei Paria. Intanto si sentono i
Sacerdoti che imprecano contro i Paria aborriti: Zarete impone al
figlio di fuggire con lui e Idamore promette, ma solo dopo aver visto
Neala un’ultima volta.
ACT ONE. Akebare, high priest and chief of the Brahmans’ tribe,
leaves the temple with six Brahmans, praying, together with them,
their God to protect the incoming hero, winner of the enemies. The
Brahmans welcome the various tribes, while Akebare, in his
thoughts, regrets Idamore’s success to the army and the people,
because of which his power looks diminished; then he enters the
temple. The Brahmans, the Priests and the Priestesses pray at God,
protecting his people against the Portuguese which are invading the
country. Akebare shows himself to the people in his majesty, but, all
of a sudden, Neala, Akebare’s daughter devoted to the cult of the
Sun, breaks through as if somebody was running after her, and has
words of terror. Calmed down by her father, the girl exposes a vision
she had: while she was attending to a ceremony on the altar, the
flame became feeble, the temple shook and an asp shamefully chained her to a Pariah. Pretending to be inspired, Akebare releases her
daughter from her vows and gives her in marriage to a valiant warrior (he thinks of Idamore, certain, in this way, to dominate him).
Neala knows that Idamore has never obeyed to Akebare, therefore
despairing that he will ever become her spouse, still she’s aware that
her life without him will be nonsense. Neala is left alone with her faithful Zaide, and so she suddenly notices an old miserable man walking down the hill. He’s Zarete, who desperately looking for his lost
son; learning from Neala that he is in the nearby of Brahma’s temple, he tries to escape (as he’s a Pariah, that is to say belonging to the
wicked inferior tribe and not allowed in that place under penalty of
death).
Brahman Empsaele comes to announce that the victorious Idamore
is back; Zarete realizes that it’s his son, who left the family five years
before. The women retire (not before Neala had left a message for
her lover). Zarete rejoices because, at any rate, he will soon see his
beloved son again. By Brahma’s temple, Idamore exults for his victory and for his conquered love; when he finds and reads Neala’s
message, announcing her will to die, after a first desperate reaction,
gets reassured. Zarete comes in, very offended by the sight of his son
dressed up like an enemy; moved to tears, Idamore confesses him
that, after having left home moved by the curiosity of seeing the
town, he had fought against the Portuguese so bravely to deserve to
become a general of the Indian army, and that he had not returned
home for love of a girl. Unfortunately, she’s Akebare’s daughter, the
Pariahs’ worst enemy. In the meanwhile, the Priests raise a litany
against the wicked Pariahs; Zarete, as a consequence, orders his son
to escape with him. Idamore promises, but only after having seen
Neala for the very last time.
ATTO SECONDO. Da Ikebare Idamore apprende con gioia che gli è
stata destinata in sposa Neala, e poi rimane solo. Nella scena successiva Idamore rivede l’amata: la fanciulla esulta all’inaspettata notizia, assicura di amarlo non come capo dell’esercito ma come giovane virtuoso, lui incalza e immagina che lei provi pietà per i poveri
Paria e poi si svela come tale lui stesso. Neala prima inorridisce, ma
poi si arrende all’amore e accetta di fuggire con l’amante subito dopo
il rito nuziale.
All’interno di un tempio scavato nel monte e mezzo distrutto, sulle
cui pareti stanno scolpite le stragi dei Paria, Zarete aspetta il figlio
che non viene, impreca contro di lui, ricorda le persecuzioni subite;
poi vede e sente passare i Sacerdoti che inneggiano al matrimonio fra
Neala e Idamore, e vieppiù sdegnato decide di entrare nel tempio e
di svelarsi come Paria allo stesso Ikebare. Ma Idamore purtroppo
non è riuscito a mettersi in comunicazione col padre. Ikebare gli conduce Neala e comunica ai Bramani che il promesso sposo della figlia
appartiene alla tribù delle Armi: i due si inginocchiano e comincia il
rito. Ma ecco Empsaele che ha avvistato un Paria nel tempio. Nello
sgomento generale viene condotto Zarete, che con orgogliosa energia difende la tribù dei Paria e condanna l’odio ingiusto di cui è fatta
segno da sempre. Akebare e il Coro sono fuori di sé, Neala guarda
Idamore immaginando che conosca Zarete, Idamore chiede sottovoce a Neala di salvare il povero vecchio. Neala si getta ai piedi del
padre inorridito, ma Idamore ferma le guardie che stanno per catturare il padre, getta la spada e si dice figlio dell’uomo, chiedendo
pietà almeno come difensore della patria. Gli dèi hanno maledetto i
Paria, risponde però Ikebare: Idamore e Zarete sono trascinati verso
una morte abominevole, Neala s’appresta a seguirli, Ikebare ha raggiunto il potere supremo.
ACT TWO. Idamore learns with joy from the Priest that he has been
given Neala in marriage. In the following scene, Idamore meets
again his beloved: the girl rejoices the unexpected news, and reassures him that she loves him not as the chief of the army but because
of his virtue. Pressed by him, who imagines that she might feel pity
for the Pariahs, he reveals to her that he belongs to this caste. At first
Neala is filled with shame, but she later gives up to her feelings and
accepts to run away with him soon after the nuptial ceremony. In the
interior of a temple, its walls engraved with scenes of the massacres
of the Pariahs, Zarete waits for his son who’s late to come; and he
curses him, remembering the prosecutions he underwent; then he
sees and hears the Priests passing by and cheering to the marriage
between Idamore and Neala. Blind with rage, he decides to reach the
temple and to reveal to Akebare his condition of Pariah. Idamore,
unfortunately, did not manage to inform his father of the happenings.
Akebare brings Neala in and informs the Brahmans that his daughter’s bridegroom belongs to the caste of the warriors: both of them
kneel down and the rite begins. Empsaele breaks in announcing that
a Pariah has been seen inside the temple. Everybody is astonished.
Zarete is brought in. With pride and force he defends the caste of
Pariahs and condemns the hate that there’s always been against them.
Akebare and the Choir are completely upset. Neala, supposing that
Idamore may know the man, looks at him, and Idamore whispers to
her to save that poor old man. Neala throws herself at the feet of her
horrified father. Idamore stops the guards, who are going to arrest his
father, throws away his sword and announces to be the old man’s
son, invoking pity on him as defender of their native country.
Akebare, in answer, says that the Gods have damned the Pariahs:
Idamore and Zarete are condemned to an horrible death, Neala joins
them, while Akebare has finally reached the supreme power.
IL PARIA
Personaggi/Characters:
AKEBARE, sommo Sacerdote, capo della tribù de’ Bramani....................... basso
padre di Neala / High Priest, Chieftain of the Brahmans and Neala’s father
NEALA, destinata al culto del Sole / devoted to Sun cult ......................... soprano
ZARETE, padre d’Idamore/ Idamore’s father ........................................... baritono
IDAMORE, capo della tribù de’ guerrieri / chief of the warriors’ tribe ...... tenore
EMPSAELE, Bramano, confidente di Akebare ............................................ tenore
Brahman, Akebare’s friend
ZAIDE, Sacerdotessa / priestess ...................................................... mezzosoprano
Coro di Bramani, Sacerdoti, Sacerdotesse, Baliadere, Balok, Trombettieri,
Guerrieri, Popolo, Custodi del Tempio, Fachiri.
L’azione è presso Benarez.
Chorus of Brahmans, Priests, Priestesses, Bayaderes, Balols, Buglers,
Warriors, People, Guardians of the temple, Fakirs.
The action takes place in Benarez.
ATTO PRIMO
ACT ONE
SCENA PRIMA
SCENE ONE
Bosco foltissimo di palme. A destra dell’attore, vestibulo del tempio di
Brama. A sinistra, principio di strada che conduce a Benarez.
In fondo monti e colline. Sorge il Sole.
Akebare con sei Bramani discende dal tempio,
e tutti inginocchiati e rivolti
al simulacro del nume dicono:
A grove of closely-planted palms. To the actor’s right hand side,
the vestibule of Brahma’s temple. To the left hand side,
the street leading to Benarez. In the background, mountains and hills.
The Sun rises. Akebare,
together with six Brahmans, descends from the temple;
kneeling towards God’s temple, they say:
CORO
CHORUS
In questa a te sacrata antica selva,
Dove natura più diffonde il verde,
Nume, accogli il mortal, che offerte arreca
Pe’ conquistati allori,
Or che per l’etra i suoi corsieri adduce
L’apportator d’auro, feconda luce.
(I sei Bramani si dividono per dare
ingresso alle varie Tribù.
Akebare solo s’avanza, e fra sé ripiglia:)
In this ancient grove, hallowed to you,
where nature spreads its utter green,
oh God, accept a man, bringing offerings
for the conquered laurels, right now that,
across the sky, the gold-fingered deity,
the rich light, rides his horses.
(The six Brahmans split giving the way
to the other tribes. Akebare alone steps
forward, talking to himself:)
AKEBARE
AKEBARE
Che giovommi il sudar sugli altari,
Se il superbo Idamore ha l’impero
Sulle schiere, sul popolo intero,
Né la fronte a me volle piegar!…
Oggi ei riede!… E fra nuovi trofei!…
Il potessi domare, annientar!…
Ma s’avanzan le turbe festive…
Creda il volgo me intento a pregar.
Idamor, se il potessi annientar!
(si ritira nel tempio)
What did I bent on the altars for,
if the superb Idamore has the power
on the armies, on the whole people,
and didn’t want to bend his brows to me!
And here he’s back! With new triumphs!
If only I could tame him, wipe him out!
But the rejoicing crowds are approaching!
Let people believe i’m intent on prayers!
Idamore, ah, may I destroy him!
(he retires in the temple)
SCENA SECONDA
SCENE TWO
Bramani, Sacerdoti, Sacerdotesse, e Custodi, Trombettieri e guerrieri.
Le Baliadere ed i Balok arrivano danzando.
Il popolo ed i Fachiri arrecano le offerte al Nume.
Brahmans, Priests, Priestesses, Guardians, Buglers and warriors.
The bayaderes and Balol come in dancing;
the people, the Fakirs bring their offerings to the God.
BRAMANI, SACERDOTI, SACERDOTESSE
BRAHMANS, PRIESTS AND PRIESTESSES
Al Monarca Sovrauman,
Re de’ Numi, Dio Signor,
Che fia sempre, ed era già
Pria che ‘l tempo avess’età;
Che ad un fiato, ad un respir
Puote il mondo far crollar,
Polve l’uomo addivenir,
Corpo l’ombra ritornar;
Al grand’astro che primier
Sulle sfere sfolgorò,
L’orbe cieco illuminò,
Fu del giorno il condottier,
Le stagioni variò,
Al creato dié color;
Al cui riso, al cui fulgor
L’universo s’animò;
Danze, e giuochi, ed inni, e voti,
Trombe, cetre, ed oricalchi,
Tutti spieghino, devoti,
Il gioir d’un sì bel dì,
Che fra lauri mireremo
Ritornar nella cittade
Vincitrici quelle spade,
Che per l’Indo ognun brandì.
To the Superhuman Monarch,
the king of deities, Kingly God;
who has always been, and was before
the age of times;
at its sigh, at its breath
the world may even crumble;
man become dust,
shade be embodied again;
to the prince of stars who first
blazed in the spheres,
enlightened the blind globe;
the condottiere of the day,
it who created seasons;
and gave colour to creation;
for its laugh, for its splendour
life begun in the universe;
Dances, and plays, and hymns and vows,
trumpets, lyres and brass,
may everybody explain, with devotion,
the joy of such a beautiful day
‘cause with laurels we will admire
returning in our city
those victorious swords
that everybody took for Indus.
TUTTI
ALL
Tu mirasti il Lusitan
Scior le vele all’Oceàn,
Ed audace qui venir
I tuoi templi a incenerir,
Discendesti, e ‘l patrio acciar
Di tua possa si vestì;
Di nostr’armi al balenar
Cadde l’oste, impallidì.
Tu ascoltasti il pio guerrier,
Che smarrito t’invocò,
E ‘l tuo raggio lo guidò
Di vittoria pel sentier;
La tua fiamma divampò
De’ tuoi figli in ogni cor,
E la destra d’Idamor
Vinse, spense, trionfò.
Lode a te che nel periglio
Desti invitto difensore,
Che di sangue ostil vermiglio
Tinse il Gange, lo salvò.
Lode a te che nel tuo petto
Incendesti tue scintille,
Onde all’ombre a mille a mille
Gli inimici tramandò.
You saw the Portuguese
loosing the sails to the Ocean,
and coming here, audacious,
to burn down your temples;
You descended, and our patriotic swords
were swollen with your puissance;
to the glittering of our weapons
the offender fainted, fading.
You heard the loyal warrior
invoking you, bewildered;
your ray drove him
onto the path of victory;
your flame broke out
in the hearts of your breed,
And Idamore’s right hand
won, defeated, triumphed.
Praise be to you, who, in the danger,
gave us an invincible defender;
who made Ganges waters become red
with the enemies’ blood, and saved it.
Praise be to you, who sent off
your sparkles in his heart;
for which he sent to the Shades
thousands and thousands of them.
(dalla soglia del tempio)
Il Pontefice degna
THE BRAHMANS
I BRAMANI
(on the temples threshold)
The Pontiff does you the honour
A voi mostrarsi, o popoli,
Umìle a lui si prostri ognun.
(Tutti s’inginocchiano).
of showing himself, peoples!
May everybody kneel at him, humbly.
(Everybody kneels).
SCENA TERZA
SCENE THREE
Akebare, infine Neala.
Akebare, then Neala.
AKEBARE
AKEBARE
Sorgete.
Brama, non men che l’igneo Dio gradisce
I cantici pietosi, gl’innovate,
Allor che il patrio suolo
Ricalcheran le trionfanti squadre.
(discende dal tempio, e venendo innanzi)
Ma… Neala?… Che miro!…
Par che l’insegua alcun!…
(Neala viene dal soggiorno delle Sacerdotesse, come se fosse perseguita.
Poi si ferma, guarda di nuovo dond’è
venuta, si copre il volto per l’orrore, passa dalla parte opposta ov’è
Akebare, e senza accorgersi ch’è il padre si tiene a lui abbracciata).
Tu tremi?… Piangi?…
(si scuote alla voce del padre, e con
rispetto si scosta a poco a poco)
Svela al supremo in fra i ministri sacri
Qual ria cagion sì ti rattrista, e t’ange?…
Raise.
Brahma, as well as the God of Fire,
accepted, the devoted hymns, renew them,
when the winning armies
will step on the native soil! (he descends
from the temple, and stepping forward)
But... Neala?... What do I see? It just looks as if somebody’s running after
her!...
(Neala comes from the Priestesses’ hall, as if she was pursued; then she
stops, looking around at where she came from.
She covers her face in horror, steps on the opposite side where Akebare is
and, without realizing that it’s her father, holds him).
You shiver!... You cry?!...
(she shakes out at her father’s voice,
leaving respectfully her father’s arms)
Reveal to the supreme priest what’s that makes you so sad, and hurts so
bad?
NEALA
NEALA
Orrendo sogno!… Vision tremenda!…
Horrid dream! Terrible vision!
AKEBARE
AKEBARE
Che mai t’apparve? Di’…
What ever appeared to you? Tell me!
NEALA
NEALA
Sì. Tutti udite…
Non ho forza…
Yes. Listen you all...
I am not strong enough...
AKEBARE
AKEBARE
Obbedisci.
Obey.
NEALA
NEALA
Inorridite:
Parea che mentre l’àloe
Mia destra all’ara desse,
A un tratto fosca e pallida
La sacra fiamma ardesse!…
Lunge fuggisse il tripode,
Il tempio si scuotesse!…
Ahi, più non posso dir…
Mi manca già il respir!…
You will be shocked:
it seemed to me that while with my right hand,
I was pouring aloe on the altar,
all of a sudden the sacred flame
became pale and shadowy...
and the tripod would slip away
and the temple shook!
Ah, I can’t say more...
I can’t breathe!
AKEBARE
AKEBARE
(Un lampo a quell’accento
Balena al mio desir).
(A stroke to these words
flashed to my mind).
TUTTI
ALL
A quel sinistro accento
Mi sento abbrividir!
(a Neala)
Prosegui.
To those ominous words
I feel shuddering!
(to Neala)
Go on.
NEALA
NEALA
S’avventa al core un aspide,
Lo squarcia, l’avvelena;
E gemebonda a un… Paria!…
M’annoda, m’incatena!
Sfonda il terren, precipito,
Dannata a eterna pena!
Ahi, che m’agghiaccia il cor
L’idea d’un tanto orror!
An asp clings to the heart,
shatters it, poisons it;
and wires me and chains me
to a Pariah, me shivering!
And the earth caved in, and I fall,
condemned to eternal punishment!
Ah, my heart turns into ice
to idea of such an horror!
TUTTI
(ad Akebare)
O tu, luce del vero,
Interprete del Ciel,
Deh spiega un tal mistero,
Sgombra l’arcano vel.
ALL (to Akebare)
Oh, you, the light of the truth,
prophet of the Heavens,
unravel the mystery
disclose this secret veil.
AKEBARE
(fra sé)
(Porga a Idamor la mano,
Sposo lo stringa al sen.
Prestigio falso e vano
Serva a un privato ben).
AKEBARE
NEALA (fra sé)
(Me, che agli altari tuoi
Seppe Idamor rapir
Punisci, o Dio, se il vuoi,
Ma rea non mi scovrir!)
NEALA (to herself)
(You’d rather punish me,
whom Idamore could tear from your altars,
oh God, if you like,
but don’t reveal my sin!)
AKEBARE
(in tono ispirato)
Onde al trionfo rendere
Compenso eccelso, eletto,
Neala i Numi vogliono
Sposa a un eroe guerrier.
AKEBARE
NEALA
NEALA
E fia costui?
Is it him?
AKEBARE
AKEBARE
Quell’inclito che vive
May it be known
(to himself)
(May she give her hand to Idamore;
may she hold him as a spouse!
May a deceitful and vain prestige
serve to a private purpose!)
(claiming to be inspired)
May Neala be released, and free,
from her vows, from the temples,
Gods allows her
to be a warrior’s bride!
ognor soggetto
del padre, del Pontefice
al divo e sol poter.
when, from the altar,
you will swear to obey to me
as interpreter of God, and my only will.
TUTTI
ALL
(Favor sì immenso a cogliere
Non havvi che Idamore.
Ei forte, prode, ed inclito,
E’ d’ogni eroe maggior).
(No one but Idamore
might tighten such a tie.
He, the strong, brave and bold
is the greatest hero!)
NEALA
NEALA
(Ahi lassa! Son pur misera!
No, che non è Idamore!
Ei mai non volle cedere,
piegarsi al genitor!
Ah che un raggio di speranza
Più non veggio, non m’avanza!
Oh Neala sventurata,
E vivrai senza Idamor?
No, la vita io non desìo,
Se non è dell’idol mio;
Solo accanto a lui respiro;
Per lui solo io sento amor).
(Alas! I’mreally wicked!
No, he can’t be Idamore!
He would never surrender,
bow to my father!
Ah, no longer can I see
a gleam of hope no more!
Oh poor Neala,
shall you then live far from Idamore?
No, it’s not life that I wish
if not with my idol;
I can’t breath if not at his side;
For him only I feel love).
AKEBARE
AKEBARE
(M’è pur grave ad un che aborro
Dare ancor la stessa figlia!
Ahi che il core nol consiglia,
Ma chi regna ha schiavo il cor!)
TUTTI
Già festoso vola amore,
Già inghirlanda, tesse, e intreccia
Colla rosa, colla freccia
La beltade, ed il valor.
AKEBARE
Gemina pompa nel gran tempio adunque
Al ritornar delle vittrici insegne
A compier, Sacerdoti, v’apprestate:
E l’onor del trionfo
Alle temute schiere;
E ‘l nodo che inspirommi dalle sfere
Il nume. Intanto ogni tribù si renda
Fuor de la selva, e il vincitore attenda.
(Akebare co’ Bramani rientra nel tempio. Tutte le altre Tribù si ritirano.
Neala, Zaide e le Sacerdotesse rimangono in scena).
(It’s so hard for me to give my daughter
in marriage to the one I hate!
Ah, in my heart I would never agree
but let my heart be slave to will!)
ALL
Love already flies magnificently,
and makes a garland, weaves and twists
the rose with the arrow
beauty with valour.
AKEBARE
O Priests, you are going to celebrate
a double ceremony in the major temple
when the victorious army will return:
both the honour of triumph
to the fearsome ranks;
and the tie that God inspired to me from his heights. On the meanwhile,
may each tribe leave the woods, and await the winner.
(Akebare and the Brahmans enter the temple. All the other tribes leave.
Neala, Zaide and the Priestesses stay on stage).
NEALA
NEALA
(Sì, decisi…
Nulla, tranne Idamor, mi fia consorte!)
(Yes. I took my decision...
No one be my husband, but Idamore!)
ZAIDE
ZAIDE
Neala? Ah, perché mai nel dì più lieto
Quel palpitar frequente, e irrequieto?
Un ridente avvenir non t’offre?…
Neala? Oh why, in your happiest day,
you shiver, and tremble?
Isn’t life offering you delightful prospects?
NEALA
NEALA
Oh cara,
Qual mai compenso v’ha che adegui appieno
L’età dell’innocenza,
Ch’io qui trascorsi a voi compagna? Amiche,
Ah pria che v’abbandoni, (e chiuda i lumi!)
Dell’amor mio ciascuna un pegno s’abbia.
Questo monile il cui lavor lodavi,
(Sulla collina compare Zarete.
La prima a scorgerlo è Zaide).
Delide è tuo; e a te Zaide…
Oh, darling,
what on earth may be a fit reward
to the age of innocence,
that ìve been living together with you?
Oh my friends, before I leave you (and close my eyes!) may each one have a
pledge of my love. Delide, yours will be
this jewel whose working you appreciated;
(Zarete makes his appearance on the hill;
Zaide is the first one to catch sight of him).
And to you, Zaide...
ZAIDE
ZAIDE
Un veglio!
Uno stranier!
An old man!
A foreigner!
NEALA
NEALA
Il suo sembiante, gli atti
Son d’uom, che d’alta pena vien consunto.
His look, his manners
are those of a pained man!
ZAIDE
ZAIDE
Del sacro cinto oltrepassò la meta!
Tosto si rieda, o suore…
He crossed the threshold of the sacred enclosure!
Let’s return immediately, oh sisters!
NEALA
NEALA
E che? Un vegliardo
Privo d’ogni difesa,
Potria destarvi tema?…
Prestiamgli aiuto. Egli compianto ispira.
Mirate. E’ prono al suol! Geme! Sospira!
What? Does an old man,
defenceless,
scare you? Let’s give him help.
He rather moves to pity! Look! He lies
on the ground! He moans! He sighs!
SCENE FOUR
SCENA QUARTA
Zarete knelt before an idol, and the aforesaid.
Zarete inginocchiato a pie’ di un Idolo, e dette.
ZARETE
ZARETE
Tergi, o Dio di pietà, tergi il mio ciglio,
Rendimi il caro figlio.
Dimmi, o Nume, ove sta? Dove s’aggira?
Dimmi se ancor respira?
Questo avanzo d’età, deh fa’ che almeno,
Vada in tomba sereno.
Oh Lord of mercy, wipe, wipe my tears,
give me back my beloved son!
Tell me, oh God, tell me, where is he? Where does he go?
Tell me if he’s still alive?
This short life I still have to live,
please let me live it in peace at least!
NEALA, ZAIDE E SACERDOTESSE
NEALA, ZAIDE AND PRIESTESSES
Chi fia? Chi mai sarà? Si strugge in pianto!
Al simulacro accanto!
Who is he? Who ever shall he be? He’s melt into tears!
Beside the simulacrum!
NEALA
NEALA
Qual tu sia, qui t’inoltra.
(Come quell’egro aspetto,
Mi desta in appressarsi, ignoto affetto!)
Whomever you may be, come here!
(What an unknown, tender affection does his sick look inspire to me,
while I’mapproaching him!)
ZARETE (dopo essere disceso al piano, e aver fissato
attentamente il guardo sul vestibulo del tempio)
(Che miro! Ah non m’illudo!)
Oh vergini pietose, deh mi dite,
E’ questo forse il bosco?…
ZARETE (after having descended, staring at the
temple hall)
(What do I see! Oh, I have no illusions)
Oh pitiful virgins, tell me please, for your sake,
is this the sacred wood?
NEALA
NEALA
Sacro a Brama.
Sacred to Brahma.
ZARETE
ZARETE
(Ahi dove sconsigliato
Spinsi le piante! Ahi dove, tu Idamore,
Il padre trascinasti?…
Di qui proscritto il Paria,
Se il Braman lo ravvisa,
morte riceve in dono
Dal feroce Akebare! E un Paria io sono!
Si fugga!…)
(Ah, where, me crazy, have I opened my way to,
through the branches! Ah, Idamore,
where did you bring your father?
A Pariah, banished from here,
if he’s seen by the Brahman
receives death as a reward
by fearsome Akebare! And I’ma Pariah!
Let me escape!)
NEALA
NEALA
E a che da noi, che men dovresti
Temer, t’involi alto terror spirando?
And is it us, whom you should least be afraid for,
that you want to flee, in your dread?
ZARETE
ZARETE
Deh credi, è il cor che,
Ovunque il passo io mova,
Pace non mai rinvien, più duol ritrova!
Believe me, it is my heart that,
wherever I take a step,
cannot find its peace, and renews its pain!
NEALA
NEALA
E la cagion?
What for?
ZARETE
ZARETE
Perduto ha un ben…
It lost its love...
NEALA
NEALA
Ti calma,
Il riavrai se da un mortal dipende.
Calm down. You will get it back,
if it depends on a man.
ZARETE
ZARETE
Un solo il puote. Io lo sperai finora,
Ma fra ‘l pianto, e ‘l lamento,
Invan cittadi e… Qual marzial concento?
One only person can. I kept hoping,
still among the tears and the laments
in vain towns and... What’s this martial event?
NEALA
NEALA
(Ah! Giunse l’idol mio!)
(Ah! My idol was back then!)
SCENE FIVE
SCENA QUINTA
Empsaele, and the aforesaid.
Empsaele e detti.
NEALA
NEALA
Che mai rechi Empsael?
What do you bring Empsaele?
EMPSAELE
EMPSAELE
Nunzio son’io
Ad Akebar del trionfal ritorno
D’Idamore…
(entra nel tempio)
I bring to Akebare
the announcement
of Idamore’s triumphal return...
(he enters the temple)
ZARETE (in disparte)
Idamor!
(a Neala)
Dimmi, de l’armi?
ZARETE (aside)
Idamore!
(to Neala)
Tell me, about the army?
NEALA
NEALA
È il primo Duce.
He’s the first Chief.
ZARETE
ZARETE
E un lustro or compie?…
And is it five years eversince?...
NEALA
NEALA
In Balassor pervenne.
He got to Balassor.
ZARETE
ZARETE
(E’ desso!)
(It’s him!)
NEALA
NEALA
Ti è noto?
Do you know him?
ZARETE
(rimettendosi)
Ah sì, m’è grato
Rivederlo…
ZARETE (recovering)
Oh yes! I’m glad
to see him again...
NEALA
NEALA
Compagne
N’andiam. (Trov’Idamore al loco usato
Il simbolico intreccio, e apprenda in quello
Il voler d’Akebare,
Non men che il mio pensier!)
My dear companions,
let’s go. (May Idamore find
at the usual place, the symbolic plait,
and from that may he learn Akebare’s will,
and mine as well!)
ZAIDE
ZAIDE
Si torni all’are.
(Neala, Zaide e le Sacerdotesse si ritirano. Appena Zarete rimane solo,
Let’s go back to the altars!
(Neala, Zaide and the Priestesses
dandosi in preda alla gioia:)
retire. Left alone, Zarete gives vent to his joy:)
ZARETE
ZARETE
Il figlio è qui!
Io lo vedrò?
In questo dì!
Lo abbraccerò?…
Ah no, che il core
Non regge in petto!
Maggior diletto
Bramar non sa!
E tanta gioia
In tal momento,
Ogni tormento
Scordar mi fa!
(parte)
My son is here!
Shall I see him?
Today!
Shall I hold him?
Ah, my heart
can’t hold out!
It can’t figure
any greater joy!
And such a happiness
in such a moment
makes me forget
every torment!
(he leaves)
SCENA SESTA
SCENE SIX
Parte esterna del tempio di Brama,
circondata di monumenti sepolcrali.
Idamore venendo dalla città si avanza
con precauzione.
The exterior of Brahma’s temple,
surrounded by monumental graves.
Idamore, coming from the city, walks in with caution.
IDAMORE
Là dove al ciel si estolle
Per mille e mille ripetute grida,
Di plausi adorno d’Idamore il nome,
Stupido il cor parea di vita privo!
Qui dove il salce sull’avello piange,
E delle tombe il sol silenzio regna,
Palpita in sen, tutto divampa e m’arde!
Sì, più che onor d’impero,
Puote forza d’amor! Delizia porge!
Come vaghe a me rende
Quelle soglie ove tragge il dì Neala!
Caro quel marmo in cui ripor solea
I suoi pensieri! Io mi vi appresso, e intanto
Di gioia il ciglio dolce versa un pianto.
(si appressa ad una colonnetta, trovata una ghirlanda la svolge, e trattone
un foglio legge)
“Brama scioglie i miei voti.
Sposa me dona il padre ad un che ignoro.
Ma fida a te son’io.
Senza poter vederti, io moro. Addio”.
(gli cade il foglio di mano e rimane colpito)
Lontano, io più l’amai…
Pugnando, a lei pensava…
Ferito, io la chiamava…
Vinceva, e lei vedea…
Gloria, poter, trofei,
Mentre recava a lei…
A lei… soltanto… a lei…
La perdo, e mia non è!…
Ma no, non v’ha, o Neala,
Chi possa a me involarti!
Non v’ha chi, per ritrarti
Donde sepolta sei,
S’opponga a’ passi miei,
Osi arrestarmi il pie’!
Fin dove sorgono
I sacri altari,
Se pur ti avessero
In braccio i Numi,
Da lor disvellerti
Io ben saprò!
E ognor sorridere
A me d’accanto
Vedrò que’ lumi,
Per cui quest’anima
I primi palpiti
D’amor provò.
Ma chi è colui?… Nel manto il volto asconde!
E con cammin sospeso
Il passo avanza, e ‘l guardo torna indietro!
IDAMORE
There, where Idamore’s name was extolled
to the heavens among the plauses of
thousand and thousands acclaiming people,
the heart, idle, looked as if lifeless!
And here, where the willow weeps over
the graves and the silence of tombs reigns alone,
my heart beats, swallowed by a fire,
and set me aflame!
Yes, much more puissant of honour is the power
of love! And gives such a pleasure!
How dear does it make to me those thresholds
where Neala spends her day!
How dear is to me that stone
she used to commit her thoughts to!
I get closer, and in the meanwhile my eyes cry sweet tears of joy.
(he gets closer to a little column, and unfolds the garland he found, reading
from a paper he found into it)
“Desire releases my vows.
My father gives my hand to somebody I don’t know.
But I keep faithful to you.
I die without having seen you again. Adieu”.
(the paper slips from his hand, and he remains frowned)
The farthest I were, the most I loved her...
Fighting, she was in my thoughts...
Wounded, it’s her I called...
Winner, it’s her I would see...
Glory, power, trophies
I would bring to her
to her... only to her!
I loose her, and never she’s been mine!
No, there’s no one, Neala,
who could bring me away from you!
There is no one who, to get you out
from the place yoùre buried in,
can oppose to my steps,
and stop my feet!
Up to the place where
sacred altars stand,
should even the Gods hold you
in their arms,
I will find the way
to get you out!
And I will always see her eyes
smiling at me standing by her,
for her only my pour soul
knew the first throbs
of love!
But who is that man?
His face is hidden in the mantle!
And he takes uncertain steps
going forward, while looking backwards!
SCENA SETTIMA
SCENE SEVEN
Zarete e detto.
Zarete coprendosi il mento giunge,
e nel vedere Idamore:
Zarete and the aforesaid.
Zarete, covering his chin, arrives, and
at seeing Idamore from a distance:
ZARETE
ZARETE
(Possibil mai! Qui solo!)
(Is it ever possible! Me here alone!)
IDAMORE
IDAMORE
(S’arresta!)
(He stops!)
ZARETE
(avvicinandoglisi)
(Oh sorte!)
ZARETE (getting closer to him)
(Oh destiny!)
IDAMORE
IDAMORE
(A me s’appressa).
(He’s getting closer to me).
ZARETE
ZARETE
(È il figlio!)
(It’s my son!)
IDAMORE
IDAMORE
Stranier, che cerchi?
What are you looking for, stranger?
ZARETE
ZARETE
De’ guerrieri il Duce…
The warriors’ Chief...
IDAMORE
IDAMORE
Ciel! Qual voce!
Good Heavens! This voice!
ZARETE
(proseguendo)
Idamor…
ZARETE (going on)
Idamor...
IDAMORE
IDAMORE
Fia ver?
Is it true?
ZARETE
(scoprendosi il volto)
Te stesso.
ZARETE (unveiling his face)
You yourself.
IDAMORE
IDAMORE
Padre?…
Father?...
ZARETE
ZARETE
Il ravvisi?…
Can you recognize him?...
IDAMORE
IDAMORE
Oh gioia! O me beato!
Deh stringimi al tuo sen…
ZARETE
(è per abbracciarlo, poi respingendolo)
Ti scosta, ingrato!
IDAMORE
Mi fuggi?
(guardando le vestimenta del figlio)
Oh Numi, e mi serbaste in vita,
Perch’io di duol morissi
Nel rimirarlo sotto spoglia infida!
ZARETE
IDAMORE
M’odi…
ZARETE
Snuda quel ferro parricida.
(scoprendosi il petto)
Qui, in questa ch’hai pur anco sul tuo petto
Di Paria impronta, vibralo.
E al gran Braman lo reca
Con feroce sorriso,
Tutto del sangue di tuo padre intriso!…
IDAMORE
Che parli mai? Deh credi,
Opra del mio valore
Armi e vesti cangiò, ma non il core!
ZARETE
E le stragi che un giorno i Sacerdoti
Qui fèan, volendo noi
Dal Nume maledetti, e ch’io narrate
Ognor t’avea, ché spettator men fui,
Potevi obliar?…
IDAMORE
What joy! Oh, blessed me!
Hold me...
ZARETE (on the point of holding him,
then pushing him back)
Stand aside, ungrateful!
IDAMORE
Do you flee me?
ZARETE (looking at his son’s clothes)
Oh Gods, and you kept me alive,
so that I could die of grief,
staring at him in this treacherous clothes!
IDAMORE
You hate me...
ZARETE
Draw your parricidal sword!
(baring his breast)
Here, in this mark of Pariah that you also
have on your breast, deal your blow!
And bring it to the great Brahman,
with a cruel smile,
soaked in your father’s blood!...
IDAMORE
What are you saying? Believe me,
it was the work of my value to change my clothes
and my weapons, but not my heart!
ZARETE
And what about the slaughters that the Priests did
one day, as they wanted us
to be wicked by the Gods, and that I also told you once,
as I have been witness to them,
how could you forget this all?
Le rammentava, e tutto
Vinse il desìo di contemplar d’appresso
Questa cittade, e nelle pelli avvolto,
Te lasciando pervenni in Balassorre.
Il Lusitan guerra movea. M’offersi
A battagliar. Pugnai.
E al par della vittoria or or compiuta,
Salvando l’Indostano,
Dell’armi ognun m’elesse allor Sovrano.
IDAMORE
ZARETE
ZARETE
I remembered them, but my wish of
staring at this town at close range was superior to everything else,
and wrapped in pelts, after having left you I got to Balassorre.
The Portuguese was at war.
I offered myself to serve. And I fought.
And as well as the victory just won,
saving the Hindostan,
I was acclaimed king of the armies.
No, tutto obliavi…
No, you forgot everything...
IDAMORE
IDAMORE
Ah ch’io tornar volea.
Ah, I was longing for my return.
ZARETE
ZARETE
Menti.
You are lying.
IDAMORE
IDAMORE
E amor…
Love...
ZARETE
ZARETE
Amor!…
Love!...
IDAMORE
IDAMORE
Perdona… È rea
Anch’ella per me…
Forgive me... She’s also guilty
because of me.
ZARETE
ZARETE
Rea? Narra! Svela!
Chi osavi amar?…
Guilty! Tell me? Open your heart to me.
Whom did you dare to give your love to?...
(perplesso)
Donzella…
IDAMORE
ZARETE
ZARETE
Prosegui.
Go on.
IDAMORE
IDAMORE
Ch’or da l’are…
Who, now, from her vows...
IDAMORE
(undecided)
A girl...
ZARETE
ZARETE
Finisci.
Go on.
IDAMORE
IDAMORE
È sciolta…
She’s been released...
ZARETE
ZARETE
E il padre suo?…
And what about her father?
IDAMORE
IDAMORE
Che chiedi?…
What kind of questions are these?...
ZARETE
(prendendolo per mano)
Impallidisci? Tremi? Qual sospetto!
Parla. Sarebbe mai?
ZARETE (taking him by the hand)
You are getting pale?! You shiver! What
a suspicion! Speak. What’s the matter?
IDAMORE
IDAMORE
Chi… sull’altare…
De’ Sacerdoti è il pri…
The one who... on the altar...
Among the Priests is the first...
ZARETE
ZARETE
Stelle! Akebare!
D’un Akebar la figlia!
D’un inimico acerrimo!
Che l’aula fé vermiglia
Del sangue tuo medesimo?…
Quanto di più tormento
Dall’uom crear si può!
Tanto quel solo accento
A darmi appien bastò!
Good stars! Akebare!
Right the daughter of that Akebare!
Of my worst enemy!
The one who made the temple
red with the blood of your breed?
What torments, always greater,
can a man provoke?
Just these last words of yours
were enough to bowl me over!
IDAMORE
IDAMORE
Ed è mai forse rea
Un’innocente vergine,
Ahi sol perché nascea
Di genitor colpevole?
Quanto Akebar veleno
Nel core aver si può!
Tanta Neala in seno
Virtude ognor serbò!
ZARETE
Nel germe d’un crudele
Virtù non mai discese!
IDAMORE
Dono del Cielo è questo,
E non dell’uom favor.
ZARETE
Ahi stolto!
(per andare)
Ormai decisi!…
IDAMORE
Padre?…
ZARETE
Tel fui finor.
Là in quelle sacre mura,
Altri ten diede amor!…
Là… (S’ode uno squillo
dall’interno del tempio).
Ma qual suon? Quai voci?…
IDAMORE
Del priego è l’ora…
(inginocchiandosi)
Ah Nume…
ZARETE
AKEBARE, BRAMANI E SACERDOTESSE
(dal tempio)
Salvi, o Nume, e ognor difenda
La tua spada,
Lo stuolo prediletto.
La tua folgore tremenda
Piombi, e cada
Sul Paria maledetto.
How can an innocent virgin
be just culpable
only because she was born
of a guilty father?
Such is the poison Akebare
can have in his heart
such is the virtue
that Neala hosted in her heart.
ZARETE
In the seed of a cruel man
there will never be virtue.
IDAMORE
This is a heavenly gift,
and not men’s courtesy.
ZARETE
Ah, fool!
(about to leave)
I ‘ve already taken my decision!...
IDAMORE
Father?...
ZARETE
I have been until now.
But over there, among those sacred walls
other people gave love to you!
There... (A trumpet blare is heard
from the inside of the temple).
What’s this sound? What are these voices?
IDAMORE
It’s time for prayers...
ZARETE (kneeling)
Ah, God...
AKEBARE, BRAHMANS, PRIESTESSES
(from the temple)
May the beloved troops
save, o God, and defend in every hour
your sword.
May your terrible thunderbolt
plunge, and strike
the wicked Pariah.
ZARETE
(sorto in piedi, e preso per mano il figlio)
Udisti? Esulta!
Ad invocar lo scempio
Di stirpe inulta,
Non vai tu pur nel tempio?…
Tu delle squadre
Primo e supremo Duce!
Sovra tuo padre,
Su chi ti diè la luce,
L’empio anatema…
ZARETE
IDAMORE
IDAMORE
Taci! Né onor, né trono
Virtude in me non scema!
Ancor quell’io mi sono
Che sempre odiai
Questa de’ Numi prole!
S’io t’obliai,
Non più rivegga il Sole!
Shut up! Neither the honours, neither power
will diminish virtue in me!
Me too, I am still the one
who has always been hating
the progeny of the Gods!
Had I forgotten you,
may I see the sunlight never more!
(standing up and taking his son by the hand)
Have you heard? Rejoice!
Won’t you join the others, you yourself, in the temple,
to invoke the ruin of an unrevenged breed?
You, the supreme first chief
of your ranks!
May the wicked anathema
fall upon your father
the one who gave you life...
ZARETE
ZARETE
Non m’obliasti?
So you didn’t forget me?
IDAMORE
IDAMORE
No!
No!
ZARETE
ZARETE
Seguimi adunque…
Follow me then...
IDAMORE
IDAMORE
E vuoi?…
Do you want?...
ZARETE
ZARETE
Trarti da un empio suolo!
Get you out of an impious soil!
IDAMORE
IDAMORE
Ahi duro cenno!…
Ah, what a severe order!
ZARETE
ZARETE
Risolvi!
Decide.
IDAMORE
(fra sé)
Oh pena! Oh duolo!
Padre... Neala...
IDAMORE
ZARETE
ZARETE
Indugi?
È figlia d’Akebar!
Are you still lingering?
She is the Akebar’s daughter!
IDAMORE
IDAMORE
Lascerò colei che adoro?
Che a me visse ognor fedele?
Ahi per esser sì crudele
Non dovrei più core aver!
Dirle almeno io sol desìo
Qual destino a lei m’invola;
Una sola, estrema volta
Io la bramo almen veder!)
Shall I then leave the one I adore?
Whòs always been living faithfully?
Ah, to be so cruel
I shouldn’t have my heart any longer!
My only wish is to tell her, at least,
which destiny draws me away from her.
Once, just for the very last time
I long for seeing her again!)
ZARETE
ZARETE
Veggo ben che più del padre
Caro estimi un folle orgoglio!
Vivi all’ombra pur del soglio,
Godi in grembo del poter!
Moribondo nel deserto
Cercherà tuo padre il figlio!
Ed il figlio, in quel momento,
Non potrà nemmen veder!
I realize that, much more than your father,
you value your crazy pride!
You can, by all means, live in the shade of the throne,
enjoy in the bosom of power!
Your father, coming to death in the desert,
will still seek his son!
And his son, in that moment,
won’t either be able to see him!
IDAMORE
IDAMORE
M’ascolta…
Listen...
ZARETE
ZARETE
Ebben?…
And so?...
IDAMORE
IDAMORE
Ti seguo. Ma…
I follow you. Still...
ZARETE
ZARETE
Parla.
Speak.
IDAMORE
IDAMORE
Ove di piante
Più folto è il bosco, in breve
M’avrai…
In a very short while, you will have me
there, where the wood
has its trees more closely planted...
ZARETE
ZARETE
No. In quest’istante…
No, right now...
IDAMORE
IDAMORE
Deh t’arrendi, e mi concedi,
Ch’io le dica solo: “addio”.
Ahi! Se pure il labbro mio
A dir tanto arriverà!…
Poi fa’ pur de’ giorni miei
Quel che più t’aggrada e vuoi,
Sono tuoi, ma il fier dolore,
Credi a me, li troncherà!
Give up, and let me
just tell her: “goodbye”.
Ah! If only my mouth
will even be able of saying that!
Afterwards, you can by all means
decide of my days as you think fit,
they’re yours, but my harsh sorrow,
believe me, will put them an end.
ZARETE
ZARETE
Tel concedo; ma rammenta,
Che capace ancor son’io
Di dar fine al viver mio,
Se tua fede mancherà;
E quel suolo che a te porge
De’ mortali il fren supremo
Fia l’estremo, ch’io calpesto;
Per me tomba diverrà!
(partono dividendosi)
I agree; still, remember
that I am still able
to put an end to my life,
should you break your promise;
and the same earth offering you
the supreme limit of mankind
will be the last one – for me to walk on
it will become my grave!
(they leave in opposite directions)
(to himself)
Oh, my grief! Oh my pain!
Father... Neala...
FINE DEL PRIMO ATTO
END OF ACT ONE
ATTO SECONDO
ACT TWO
SCENA PRIMA
SCENE ONE
Bosco come nell’Atto Primo. Notte con luna.
Empsaele, ed Akebare.
A wood like in act one. Night with
moonshine. Empsaele and Akebare.
EMPSAELE
EMPSAELE
Discendi.
Get down.
AKEBARE
AKEBARE
Ed Idamor?
What about Idamor?
EMPSAELE
EMPSAELE
Qui tel vedrai.
(parte)
You will see him here.
(he leaves)
AKEBARE
AKEBARE
Seggio d’impero! Sol tu puoi ridurmi
A tanto estremo! Io stesso
Offerirgli la figlia!.. Ma... sì... è desso.
The empire throne! You only can compel me to that!
Me myself, to offer
my daughter to him! But... yes... it’s him.
SCENA SECONDA
SCENE TWO
Akebare, ed Idamore.
Akebare, and Idamore.
IDAMORE
IDAMORE
Fra l’ombre della notte,
E in questo loco, a sé Akebar mi chiede?
Is Akebare calling for me, in this place
and in the nightshade?
AKEBARE
AKEBARE
Quell’Akebar, che tuo nemico credi.
It is that Akebare you consider enemy.
IDAMORE
IDAMORE
Quai detti!
What words!
AKEBARE
AKEBARE
Or t’offre quanto di più caro
S’abbia.
And he’s now offering you
what he has dearest....
IDAMORE
IDAMORE
Che mai?
What ever?
AKEBARE
AKEBARE
La figlia.
My daughter.
IDAMORE
(deponendo la sua dignità)
Tu?... Neala?...
IDAMORE
AKEBARE
AKEBARE
Ov’è pago il tuo core,
Lei consorte a te rendo al novo albore.
Wherever your heart may content,
take her as your bride at the making of dawn.
IDAMORE
IDAMORE
(stringendogli, e quasi baciandogli la mano)
Ah che bramar potrei di più?
Tel sappi, da’ primi miei trionfi,
Amore a lei m’avvinse,
Quando del serto il crin sua man mi cinse!
(grasping, and almost kissing his hand)
What ever more might I wish?
Please know, that ever since my very first victories,
I was caught by love for her,
since her hand crowned my head with laurel!
AKEBARE
AKEBARE
A tanta pompa adunque
Le schiere ancor fian pronte.
(Piegasti pur superbo a me la fronte!)
(si ritira)
Be the army then prepared to such
magnificence! (Even if superb,
still you bent your brows at me!)
(he leaves)
IDAMORE
IDAMORE
Ei la figlia mi dona...
E il padre?... Ahi lasso!
Per fuggir m’attende.
Ch’io qui venia seppe Neala intanto...
Ed or la rivedrò? Che mai risolvo?..
Ah sì... Paria svelar mi deggio a lei...
E certo io son che allor meco Neala...
He’s giving me his daughter...
And what about my father?... Alas!
He awaits me to escape. But on the
meanwhile Neala learnt that I was here...
Shall I see her again now?
What have I got to do? Oh yes...
I must reveal her that I’m a Pariah...
And I’m certain that Neala, then, with me...
(losing his frown)
You?... Neala?...
SCENA TERZA
SCENE THREE
Idamore e Neala.
Idamore and Neala.
NEALA
NEALA
Idamor? Sul tuo labbro era il mio nome?
Se il padre...
Idamor? Was my name on your lips?
If my father...
IDAMORE
(confuso)
Non temer, compie i tuoi voti.
IDAMORE
NEALA
NEALA
Che! Ti spiega!
What! Explain!
IDAMORE
(freddamente)
Tuo sposo me destina.
IDAMORE
NEALA
NEALA
Ciel! Fia vero? Idamor! Sei mio! Tu taci?
Figgi lo sguardo al suol? Nè il tuo sembiante
Tanta scoperse mai
Tristezza quanta or che mia destra avesti
Ravvisarne mi è dato?..
Good Heavens! Is it true? Idamor! Are you mine! But your silence?
Are you fixing your eyes at the earth?
Neither your face has ever shown
so much sadness as I can see now
that you have been promised my hand!
IDAMORE
IDAMORE
Neala?..
Neala?...
NEALA
NEALA
Parla...
Tell me...
(confused)
Don’t be afraid, he’s granting your vows.
(coldly)
He makes me your bridegroom.
IDAMORE
IDAMORE
È immenso
L’amor che per me nutri?
Is really so immense
the love you feel for me?
NEALA
NEALA
E tu? Chieder mel puoi?
Spenta financo io sempre t’amerò,
Più che t’amai finora,
S’è vero che s’ama oltre la tomba ancora.
And you? How can you ask me that?
Even dead, I will always love you,
more than I have ever loved you until now,
if it’s true that love goes beyond death.
IDAMORE
IDAMORE
Né perché de’ guerrieri il prence or sono
M’ami?
Don’t you love me
just because I am now the warriors’ prince?
NEALA
NEALA
Amo Idamor. Del caso è l’opra
La tua grandezza, e di volubil sorte
Schiavo è il grande. Virtude è sol tesoro,
Ch’eterno vive. Io tua virtude adoro.
I love Idamore. Your greatness is the will of fate;
every great man is slave to changeable destiny.
Virtue is the only treasure that lives eternally.
And I adore your virtue.
IDAMORE
IDAMORE
Adunque tu pietade avrai puranco
Dell’uom che per ventura
Nacque di lor, che senza colpa alcuna,
A viver son costretti
Miseri, erranti, dispregiati, abbietti!
You shall then have pity
for a man who, by chance,
was born among those people,
though guiltless, are compelled to live
as miserable, wandering, despised, wicked!
NEALA
NEALA
Di che favelli mai?
What are you talking about?
IDAMORE
IDAMORE
Dell’infelice,
Che al mondo i rai dischiuse,
E forza, non ragion dal mondo escluse!
About the miserable
who opened his eyes to the world, and, from the world,
was excluded because of man will rather than reason!
NEALA
NEALA
Cielo! Forse!..
My God! Perhaps!...
IDAMORE
IDAMORE
Del Pa...
Of the Pa...
NEALA
NEALA
Deh taci... Ah taci...
Miseri noi se nel recinto sacro
La maledetta casta il piè volgesse!
Vedresti il ciel fosco sanguigno farsi!
Spalancarsi il terreno,
E seppellirne entrambi entro ’l suo seno!
Shut up! Ah, shut up...
Poor us, if the wicked caste
should set foot in the sacred enclosure!
You would then see the sky
turning to darkness, to blood!
The earth would open and swallow both of them!
IDAMORE
IDAMORE
E s’un di loro ignoto vien fra voi,
Pugna, vince, trionfa,
E col proprio suo sangue il vostro salva?
And what about, if one of them, unknown,
comes among you, fights, wins and triumphs,
saving, with his own blood, your blood?
NEALA
NEALA
Svelandosi non mai
La vita in premio avria,
Sempre trafitto egli cader dovria!
Io stessa, io stessa, me l’impone il nume,
Dargli morte dovrei,
Se mel vedessi innanzi agli occhi miei!
Without ever revealing his secret,
he might even be rewarded with life,
because he should always receive death,
being put to the sword! Me myself, me myself,
God wants it, I should give him death,
should I ever see one of them in front of me!
IDAMORE
IDAMORE
Un d’essi, ahi pur s’aggira
Fra queste piante!
Though, one of them, just one of them
is now wandering in this wood!
NEALA (abbracciando
NEALA (holding
Ah ch’io nol vegga...
Idamore)
Idamore)
Ah, may I not see him!
IDAMORE
IDAMORE
Troppo
Si tenne occulto. A te mostrarsi ei vuole.
Egli è già presso.
It has been hidden for too long.
He wants to reveal himself to you.
And he is already in the nearby.
NEALA (passando
all’altro lato d’Idamore, ed afferrando il suo pugnale)
Ov’è?... L’altro tuo ferro
Meco unito brandisci.
Feriamo!
NEALA (moving
IDAMORE
(gettandosi ai suoi piedi)
Ebben! Lo sposo tuo ferisci!
IDAMORE
NEALA (le
cade il pugnale, rimane
immobile, e senza guardarlo)
Ei stesso!!!
NEALA (the
IDAMORE
IDAMORE
A un culto barbaro
Il tuo consorte immola!
Sacrifice your husband
to a barbaric cult!
NEALA
NEALA
Ah fuggi, e i Numi s’abbiano
Il sangue di me sola!
Ah, run away, and let the Gods have
my only blood!
IDAMORE
IDAMORE
Sangue gli Dei non bramano.
The Gods do not yearn for blood.
NEALA
NEALA
E nol prescrisse il cielo?
Haven’t the Gods imposed this custom?
IDAMORE
IDAMORE
No, umana, empia tirannide,
No. A cruel and tyrannical law
to Idamore’s other side, and grasping his dagger)
Where is he? Hold the other sword of yours,
and keep it by mine...
Let’s stab him!
(throwing himself at her feet)
Go, then! Stab your bridegroom!
dagger slipping off her hand, she remains astonished,
and without looking at him)
He himself!!!
Cui religion fa velo!
provides men with such a chance!
NEALA
NEALA
Vero fu il sogno! Involati...
Ch’io porti altrove il piè.
The dream came true then! Run away...
Let me go everywhere else.
IDAMORE
IDAMORE
(sorge e, trattenendola, le prende la mano)
Parti? E un sol guardo ed ultimo,
Nemmeno aver da te?
La mano tua, deh vedi;
Or che concedi,
Ch’io stringa al core di te sola amante;
Non trema, non si disserra,
Non manca la terra!
Non di sanguigne nubi il ciel si covre!
Nè dal celeste regno
Voce di sdegno
A noi parlò!
Non fulminò!
Tutta tranquilla e pura,
Mira, è natura,
Ve’ come intorno è cheto
Ogni palmeto;
Come financo arride,
E a me sorride
L’astro di notte con l’argenteo raggio.
E tu crudel soltanto
Condanni al pianto
Chi t’adorò?
NEALA
Ahi come a quell’accento,
Svanire io sento
L’orror che di sua stirpe avea finora...
Ahi che lasciarlo, oh Dio!
No. Non poss’io...
Assai soave in cor scende il suo detto!
Non più. Di me disponi.
Che vuoi? Lo imponi.
Sì. Tua sarò,
Con te vivrò.
(standing up, catches hold of her, take her hand and says)
Are you leaving? Can’t I even have from you the very last glance?
Your hand, please, see:
now that you allow me
to hold it to your heart, you my only lover;
not yet is the earth trembling
nor caving in, it’s not falling either!
Nor does the sky
cover with bloody clouds!
Neither from the highest Heavens
a voice of disdain
raised against us!
We were not struck with lightning!
Look, nature keeps being
calm and pure,
look how calm is, all around,
each palm-tree; how
even shines,
smiling to me,
the nightly star and his silver ray!
And you only, you cruel,
do you condemn to tears
the one who has always been loving you?
NEALA
Ah, how, to your words,
I just feel the horror that I felt
for your breed vanishing...
Ah, oh God, I cannot leave him, no...
So sweetly his words are touching my heart!
No more.
You decide of me.
What do you want? You order.
Yes. I will be yours.
I will live with you.
IDAMORE
IDAMORE
Tu? Mia?
You? Mine?
NEALA
NEALA
Tel giuro. Disponi. Con te sarò.
I swear it.
IDAMORE
IDAMORE
Il sei,
Ove compiuto il rito,
Che a te mi rende unito,
Meco fuggir...
You will be,
when, celebrated the rite
that will make me and you united,
you will escape with me...
NEALA
NEALA
Fuggir!...
Escape!...
IDAMORE
IDAMORE
Nol puoi?...
Can’t you?
NEALA
NEALA
Che udii!...
What have I heard?...
IDAMORE
IDAMORE
Rimanti.
Io sol...
(per andare)
Stay then.
Me alone...
(about to leave)
NEALA
NEALA
T’arresta...
Stop...
IDAMORE
IDAMORE
E spero?
Should I hope?
NEALA
NEALA
Vincesti!...
You won!...
IDAMORE
IDAMORE
Oh ciel! Fia vero?
Lo sposo tuo seguir!..
Oh Heavens! Shall it come true?
Will you follow your man?
NEALA
NEALA
Ahi come non seguirti,
Se il cor più mio non è...
Ah, how could I not follow you,
since my heart is no longer mine...
IDAMORE
IDAMORE
Ahi quale, nell’udirti,
Contento io provo in me!
Ah, what a happiness do I feel,
listening to your words!
A2
TOGETHER
Sarai tu sempre, o cara/o,
Il solo mio pensier;
Ognor dal tuo voler
Il mio dipenderà,
E se fra le tue braccia
Avvien che un giorno io mora,
Bella la morte ancora
Idolo mio sarà!
You will always be, my dear,
my only thought;
every hour my will
will depend from yours,
and if one day it happens
that I will die in your arms,
even death will be
beautiful for me!
IDAMORE
IDAMORE
All’ara andiam, mio bene,
Imen ci annoderà!
Let’s go to the altar, my love,
love will be our tie.
NEALA
NEALA
Sulle deserte arene
Amor ci guiderà!
(partono)
Love will lead us
in the desert lands!
(they leave)
SCENA QUARTA
SCENE FOUR
Antichissimo tempio diruto, e formato
nell’incavo d’un monte. Sui massi si
scorgono scolpite le stragi de’ Paria.
Zarete; infine coro di Sacerdoti.
Ruined ancient temple, in a mountain cave.
Over the blocks, engravings with scenes
of massacres of Pariahs.
Zarete; then Priests’ choir.
ZARETE
ZARETE
Notte, ch’eterna a me parevi, eterna
A che per me non fosti?...
A tal ridotto or non sarei, che fuggo
La luce, e par ch’ella m’insegua ovunque!
Gente appressar mi parve,
E forza fu di nuovo uscir dal grembo
Della foresta, dove attesi indarno
Il fi... No... Che mai dico!..
Il traditore! Il mio più fier nemico!...
Ma dov’io trassi il piede? Ove son’io?
Numi!!! Ahi ben ti ravviso,
Alla scolpita roccia,
Recinto infame di delitti pieno!...
Un dì sacrato a strage d’ogni Paria,
Mel rammento, di qui con la consorte,
Solo in fuggir trovai scampo alla morte!...
Quest’è il terren che bevve
Per man Sacerdotal sangue innocente!
Ahi dì fatale! Ancor mi sei presente!
Qui pel figlio una madre gridava
“Nol ferite! Me sola uccidete!”
Là pel padre donzella esclamava
“Deh salvatelo, e me trafiggete”
Pel germano la suora moriva;
Per la sposa il consorte si offriva...
E spietato il Bramano furente,
Sordo al pianto, e col ferro alla mano,
Di sangue avido irato e fremente,
Padre, figlio, consorte, germano,
Sotto l’empio e sacrilego acciar,
Gli era gioia il vederli spirar!
(di lontano)
Mai fulgido così
L’aurato crin dal mar...
Night, you who have always seemed eternal to me,
why weren’t you eternal for me?
I wouldn’t be forced to this all, me that have
to hide from light, a light that seems to follow me everywhere!
Some people seem to be approaching;
and I had again to make an effort on myself
to leave the heart of the forest,
where I awaited, in vain, my son.. No!
What am I saying? The traitor! My worst enemy!
But where did I get? Where am I?
Good grief!!! Ah, I can well recognize,
at the engraved walls,
this horrible enclosure full of murders!
I remember it, in a day devoted to the Pariahs massacre,
when, with my wife, I could find in escaping my only way out of here,
my salvation from death!
This is the land that was soaked with innocent blood
by the hand of the Priests! Oh, cruel day!
You are stamped in my memory!
Here a mother cried, for her son
“Don’t hurt him! Kill only me!”
There for her father a girl invoked
“Save his life, and stab me instead!”
The sister would have died instead of the brother,
the husband offered his life to save his wife’s...
But the furious, pitiless Brahman, deaf to grieves,
the sword in his hand, eager for blood,
and always thirsty,
rejoiced at seeing the father, the son,
the wife and the brother die under the strokes
of an impious and sacrilegious sword!
CHOIR (from afar)
Never so refulgent before
the golden rays from the sea...
ZARETE
ZARETE
Alcun s’inoltra?.. Ah sì...
Fia d’uopo ognun schivar.
(Zarete si nasconde dietro un masso. In questa andando
verso il tempio il coro de’ Sacerdoti, e recando la corona
per Idamore e l’onda lustrale dice:)
Is someone coming towards here? Yes...
I would better avoid everyone.
(Zarete hides behind a rock.
In the meanwhile, the Priests’ choir moves toward the temple,
carrying Idamore’s crown, and the holy water, saying):
CORO
CHOIR
Mai fulgido così
L’aurato crin dal mar,
Nel ricondurre il dì,
Spiegò l’astro maggior.
Vogliamo al tempio il piè,
E voli ad annodar
Indissolubil fe’
Neala ed Idamor.
(si perdono di vista attraversando la scena)
Never so refulgent before
the prince of stars
unfolded his golden rays
from the sea in bringing back the day.
Let’s move our steps to the temple,
and may the indissoluble faith
fly to bond
Neala and Idamore together.
(they loose each other of sight crossing the stage)
ZARETE
ZARETE
Che intesi! Oh Cielo! E v’ha
Maggior del mio martir?
E il figlio... ah sì, vedrà
Il padre in pria morir!
Cotanta crudeltà
Nel figlio discovrir!
Fra’ nemici un Idamor
Come mai poter gioir!
E spietato, il genitor
Obliare e fin tradir!..
Il sacro, io varcherò
Augusto limitar!
Me Paria svelerò
Al barbaro Akebar!
Questa adunque, o figlio ingrato,
Dopo il corso di tanti anni,
Spesi in lagrime ed affanni,
Questa adunque, è la mercé?
Ma se il padre abbandonasti,
E il rendesti disperato!
Godi appieno, o figlio ingrato,
Lo vedrai spirarti al piè!
What did I hear! Oh my God! Is there
a worst torture than mine?
And my son... ah he ‘ll see
First his father dying!
To discover in the son
so much cruelty!
How could I ever feel happy
if I can see Idamore among my enemies!
Pitiless, he who could
forget and even betray his father!...
I will trespass that august,
sacred threshold!
I will reveal myself as a Pariah
to the savage Akebare!
Such, then, ungrateful son,
after so many years
spent in tears and troubles,
such is then my reward?
But if you abandoned your father,
making him desperate!
Be satisfied, ungrateful son,
you will see him dying at your feet!
CORO
SCENA QUINTA
SCENE FIVE
Atrio maestoso, ed ombreggiato di palme.
In fondo l’interno del Tempio di Brama cui si ascende per vasta scalinata.
Entra tutto l’esercito. E dall’interno del Tempio
vengono i Sacerdoti, e le Sacerdotesse.
Stately hall, shaded by palm-trees.
On the background, the inside of Brahmàs temple, and a large stairway
leading to it. The whole army enters. From the inside of the Temple,
the Priests and the Priestesses arrive.
CORO
CHOIR
Brama, autor dell’universo,
Che dal soglio etereo, augusto,
Dolce speme inspiri al giusto,
Ai colpevoli terror;
Sol, che flutti, e prati, e selve,
Monti, e piani, e valli inostri,
Quando al mondo sciogli e mostri
La irradiante chioma d’or;
Gange, o tu che al guardo umano
Il tuo nascere nascondi,
Ed i campi ognor fecondi
Col fuggente e ricco umor;
Tutti, o Numi qui scendete,
E avvincete in nodi immoti
I guerrieri, e i Sacerdoti,
La beltade, ed il valor.
Brahma, maker of the Universe,
you who, from your heavenly throne,
solemnly, inspire sweet hope to the just men
and terror to the sinners;
O Sun, you who fill waves, and meadows,
and woods, and mountains and dales and valleys,
when you disclose and show
to the world your shining golden rays;
Ganges, you who hide to human eye
your birth,
and fertilize the fields
with your rich flowing water;
all of you, Gods, descend here;
and unite with eternal bonds
the warriors and the Priests
beauty and value.
SCENA SESTA
SCENE SIX
Idamore, e detti.
Idamore, and the aforesaid.
IDAMORE
IDAMORE
Quanto di lieto qui sorride e brilla
Al guardo mio divien tristo, funebre!
Invan mi trassi al designato loco
Il padre ad avvertir, che di me donna
Appena fusse d’Akebar la figlia,
Giunto lo avrei!.. Trascorsa l’ora ei vide,
E chi sa dove incauto il piè rivolse!
Ei potria d’un sol detto
Offrir de’ suoi nemici al ferro il petto!
Oh pensier che d’orror m’invadi
E ingombri!
Che non soffre per te, Neala...
Eccola... E’ dessa... Ahi benda nuziale,
Non sei su quella fronte in tal momento
Che ferale per me atro ornamento!
Whatever happily smiles and shines here
just becomes sad and gloomy at my look!
In vain have I left the fixed place
to warn my father, that as soon as Akebare’s
daughter would have become my spouse,
I would have reached him! The hour passed, he saw us,
and who knows where he went, without taking any care!
He might have offered his chest to the
enemies’ sword just at one single word!
Oh what a thought that fills up and
clutters my heart with horror!
What do I not suffer for you, Neala..
Here she is... It’s her... Ah, nuptial veil,
you are not but a gloomy ornament
on her head, for me, in this moment!
SCENA SETTIMA
SCENE SEVEN
Akebare con la figlia per mano,
seguito da Bramani, e detti.
Akebare with his daughter by the hand,
followed by the Brahmans, and the aforesaid.
AKEBARE
AKEBARE
Di profanar tai sacrosante soglie
Se ad un Paria venisse il reo talento
Cada trafitto, e vi rimanga spento.
Should a Pariah ever wish, guiltily,
to violate the sacro-sant thresholds
may he fall stabbed, and may he die.
NEALA
NEALA
(Io l’ascolto e non spiro!)
(I listen to him and do not breath!)
IDAMORE
IDAMORE
(Io tremo! E fremo!)
(I am afraid and thrilled!)
AKEBARE
AKEBARE
Sacerdoti, guerrier, popoli, udite:
Come Brama concesse ad uom Neala,
Ognuno lo apprese. Io la tribù de l’armi
Elessi a darle sposo. E in lei prescelsi
Quei che al trionfo la guidò, Idamore.
Obbedirmi ei giurò dinanzi al Nume.
(Qui vien portata l’ara da’ custodi).
E ’l serto vincitor mentre sul crine
Ad imporgli discendo,
In un consorte a lui la figlia io rendo.
(Idamore, e Neala inginocchiati innanzi all’ara).
Priests, warriors, peoples, listen:
everybody has learnt the way
Brahma conceded Neala to a man. But I choose to give her
to the tribe of the army. And within it, I selected
the one who brought it to victory, Idamore.
And he swore on God to obey.
(The guardians bring the altar in).
And while I descend to crown him
with the victorious laurel,
I give my daughter to him as his bride.
(Idamore and Neala kneel before the altar).
IDAMORE, NEALA
IDAMORE, NEALA
Da sì caro e dolce istante,
Che consorte a me tu sei,
A te sacro i giorni miei,
A te giuro eterna fe’.
Since this beloved and sweet moment
that you become my spouse,
I devote my days to you
to you I promise eternal trust.
AKEBARE
AKEBARE
Dal celeste e divo impero,
Voi dell’Indo eterni Dei,
Accogliete i voti miei,
Che...
From the heavenly and divine empire,
you eternal Gods of Hindus,
accept my gifts,
that...
SCENA OTTAVA
SCENE EIGHT
Empsaele ansante, e detti.
Empsaele, panting, and the aforesaid.
EMPSAELE
EMPSAELE
T’arresta...
Stop it...
AKEBARE
AKEBARE
Oh Ciel! Perché?
Good Heavens, why?
EMPSAELE
EMPSAELE
Profanato è il rito!.. Un Paria v’è fra noi!..
(sorpresa generale)
The rite has been violated!... There’s a Pariah between us!...
(general astonishment)
TUTTI
ALL
Gran Dio! Che orrore!
Good Lord! What a shame!
NEALA
NEALA
(Idamore!)
(Idamore!)
IDAMORE
IDAMORE
(Il genitore!)
(My father!)
AKEBARE
AKEBARE
Dov’è mai?...
Wherever is he?...
EMPSAELE
EMPSAELE
Sul limitar...
On the threshold...
AKEBARE
AKEBARE
L’uccidete...
Kill him...
EMPSAELE
EMPSAELE
E’ già qui tratto
Da’ custodi...
He’s already been captured
by the guardians...
SCENA ULTIMA
LAST SCENE
Zarete tratto dal popolo,
e detti.
Zarete conducted by the people,
and the aforesaid.
TUTTI
ALL
Oh vista! Muoia!
What a shameful sight! To death!
NEALA
NEALA
(Chi mai fia?)
(Who is he?)
IDAMORE
IDAMORE
(Oh suol m’ingoia!)
(May the Earth swallow me!)
TUTTI
ALL
Non s’indugi al trucidar!
Morte...
May his death not be delayed!
Death...
ZARETE
(subito)
Morte io voglio,
Mi è d’uopo. Non la temo. Io la desio.
Ma tu, sommo Bramano,
Che in tanto errore avvolgi il core umano,
In che diverso sei
Dai Paria che tu vuoi proscritti, e rei?
Forse non abbiam noi
Un sangue nelle vene al par di voi?
O pur vedesti mai
Oscurarsi per noi del Sole i rai?
Od arretrarsi il flutto,
E sulla pianta inaridirsi il frutto?
Sei polve qual son’ io;
Tutti siam prole d’uno stesso Dio;
E s’eguale n’è il merito,
E ’l Sacerdote e ’l figlio del deserto,
Là nell’asilo eterno
Eguale ognun sarà!
E tutti al sen paterno
Il Nume accoglierà!
ZARETE
AKEBARE
AKEBARE
E un Dio gli porge ascolto!
Nè crolla il tempio, e vi riman sepolto!
Sotto il più fier tormento
La spoglia sua cadrà!
And God is also listening to him!
Neither does the temple ruin, to bury him!
And his remains will be fallen
under the most terrible torture!
CORO
CHOIR
Non sorge orrenda face,
Che spenga e incenerisca il labbro audace!
Maligno spirto è in lui,
Ma in breve scenderà ne’ regni bui!
Sotto il più fier tormento
La spoglia sua cadrà!
E sparsa in brani, il vento
Gli avanzi spergerà!
No terrible spark is rising
to close and burn his brave mouth!
An evil spirit possesses him.
But he will descend to the reign of Shades in a short while!
And his remains will be fallen
under the most terrible torture!
And reduced to powder, wind
will spread his mortal remains!
NEALA (guardando
Idamore)
(Ei trema! Impallidisce!
A quei parlar vorria. Ma non ardisce!
Ahi forse il conosce!
E se quegli lo svela? Ahi quale idea!
Vittima ei pur cadria!
E di Neala, oh Cielo, allor che fia?
Ah sì! Quel ferro istesso,
Che a me lo involerà,
Vibrando ov’egli è impresso,
Unirmi a lui saprà).
NEALA (looking
IDAMORE
IDAMORE
(La sua morte è sicura!
Qual tumulto in me desta amor, natura!
Deh mi consiglia, oh Cielo,
Parlo? Taccio? Mi scopro? O ancor mi celo?
In così rio periglio,
Difesa può niegare al padre un figlio?
Ahi che nel mentre il core
Frenarsi più non sa!
Pur gli rammenta amore
(His death is sure! Oh, my mind is in
turmoil, caught in between love, and nature!
Give me a suggestion, Heaven, shall I talk?
Shall I keep silent? Shall I take my mask off? Or should I keep hiding?
Such in a cruel danger,
can a son refuse to defend his father?
Ah, my heart cannot stand still
in this meanwhile!
Still love reminds me
(quickly)
I wish death
I deserve it. I am not afraid. I am longing for it.
But you, august Brahman,
who envelope human heart in such shades,
what do you think the difference is between
you and the Pariahs, that you want secluded and guilty?
Do we not, perhaps, have blood in veins,
as well as you do?
Or have you ever seen the sunrays
getting darker, because of us?
Or water withdraw,
and fruits wither on the branches?
You are powder as I am;
we are all creatures of the same God;
and if his merits are equal,
both the Priest and the son of the desert,
in the eternal hostel
everybody will be equal!
And the God will receive all of us
in his paternal embrace!
at Idamore)
(He is quivering! He is getting pale!
He ‘d like to talk to him. But he doesn’t dare!
Oh, may be he knows him!
What if he’s going to unmask him? Ah, what a though!
He might also fall as a victim!
And what would it be, then, of Neala?
Ah yes! The same sword
that will take him away from me
vibrating on his mark
will be able to unite me to him!)
Aver di lui pietà!)
(apprensandosi a Neala, e di
soppiatto indicando Zarete)
(Salvalo).
that I should have mercy of her!)
(getting closer to Neala, and
pointing furtively at Zarete)
(Save his life).
(a Zarete)
Scellerato!
AKEBARE
NEALA (a
Idamore)
(Tu lo conosci?)
NEALA (to
IDAMORE
IDAMORE
(Assai).
(Very well indeed).
ZARETE
(guardando Idamore)
(Fugge il mio guardo! Ingrato!)
ZARETE
AKEBARE
(alle guardie)
Scellerato! Quell’empio pera ormai!
AKEBARE
NEALA (gettandosi
subito ai piedi di Akebare)
Deh!... un folle ardir perdona...
Trionfi... in te... pietà...
NEALA (throwing
AKEBARE
AKEBARE
Ed osi?.. Oh quale orrore!
Tu d’implorar?...
You dare?... Oh, what a shame!
You... to pray me?...
ZARETE
(alle guardie)
Ferite!...
ZARETE
(alle stesse)
Fermate!...
IDAMORE
AKEBARE
AKEBARE
E tu... Idamore!
Olà! Me solo udite.
Svenate!
And you... Idamore!
Hez! You must listen to me only .
Slash his veins!
IDAMORE
(facendosi scudo a Zarete, e
gettando il ferro ai piedi delle guardie)
Ebben... Svenate!
Col padre il figlio ferite...
IDAMORE (shielding Zarete with his own body,
and throwing his sword before the guards)
Well then, slash both
father’s and son’s veins...
TUTTI
ALL
Ah!!!
Ah!!!
IDAMORE
IDAMORE
Ma un sangue ch’io versai...
La patria per salvar...
Pietade...
The blood I shed...
to defend our country...
Have mercy!
AKEBARE
AKEBARE
Un Paria mai
Non può pietà sperar...
Gli Dei v’han maladetti!
Never can a Pariah
hope to have compassion!
The Gods have damned you!
NEALE, IDAMORE, ZARETE
NEALE, IDAMORE, ZARETE
Ahi mi si gela il cor!
A quei tremendi detti
Io manco! Ahi quale orror!
Ah, my heart sank!
To those tremendous words
I feel fainting! Ah, what a shame!
AKEBARE
AKEBARE
Della cittade tratti fuor le porte
S’abbiano atroce abominevol morte!
(Nel mentre Idamore e Zarete sono per esser condotti fuori del tempio,
Neala cerca unirsi al suo consorte, ma vien trattenuta da Akebare).
Lead them out of the city walls
may they find a horrible, atrocious death!
(While Idamore and Zarete are on the point of being lead out of the temple,
Neala tries to join her spouse, but is held back by Akebare).
ZARETE, IDAMORE
ZARETE, IDAMORE
La sorte di noi miseri,
Le stragi e tanti orrori,
Ai tardi e colti posteri
Il tempo additerà!
E legge così barbara,
Scudo agli oppressori,
Sapran distrurre i popoli
Di più lontane età.
Of our miserable destiny
of the massacres and the shames,
time will reveal
the judgement of posterity!
And the peoples
of the times to come
will destroy such a cruel law,
shield to the oppressor!
NEALA
NEALA
La benda ch’io mi lacero,
E premo nel terreno,
A tutti fia memoria,
D’amore e fedeltà!
E sciolto il crine, e pallida,
Volando a morte in seno;
La tomba a lui serbandomi
Il nodo eternerà.
This veil that I tear to pieces,
and throw on the ground
may it be a memory to everybody
of love and faithfulness!
My hair loosen, pale in the face,
I long for my death;
and the grave will preserve me for him
saving our marriage tie for ever.
AKEBARE
AKEBARE
Morrai tu ancora, o perfida,
Se spegnere non sai
L’amor che per un Paria
E’ colpa ed empietà!
E fra l’eterne tenebre
Il fallo piangerai,
Fuggir vorrai dai reprobi,
Ma tardi allor sarà!
You will also die, o cruel,
if you can’t repress
your love, which is an impious fault
if it’s for a Pariah!
And among the eternal shadows
you will repent of your sin,
you will wish to escape from the wicked
but it will be too late then!
ZARETE
ZARETE
Sommo Braman v’è un Dio!
Paventa! A morte io vo!
August Brahman, still there is one God!
Fear! I am condemned!
AKEBARE
IDAMORE
(to Zarete)
Wicked!
Idamore)
(Do you know him?)
(looking at Idamore)
(He avoids my eyes! How ungrateful!)
(to the guards)
Let the impious die, by now!
herself suddenly at Akebare’s feet)
I pray you, forgive... my crazy impudence...
May pity triumph inside your heart!
(to the guards)
Wound me!...
(to the guards)
Stop it!...
IDAMORE
IDAMORE
Parto, o Neala, addio
Mai più ti rivedrò!
I am leaving, Neala, goodbye,
never more shall I see you again!
NEALA
NEALA
Teco bell’idol mio,
In breve io pur sarò!
In a very short while, I will reach you,
my beloved idol!
AKEBARE
AKEBARE
(Regno! L’impero è mio!
Di più bramar non so!)
(Mine is the kingdom! Mine is the empire!
I couldn’t yearn for more!)
TUTTI
ALL
Giorno sì fiero e rio
Su l’Indo mai spuntò!
Never before has such a cruel and fierce day
risen on the Hindus!
FINE
THE END
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QUEL CH`È PARIA NON È PARIA di Piero Mioli Nella