QUEL CH’È PARIA NON È PARIA di Piero Mioli Nella fausta ricorrenza e nella prima maturità Il duca di Calabria, figlio di Ferdinando I di Borbone e pronto a succedere al padre come Ferdinando II, compiva gli anni il 12 gennaio: nel 1829 ne compiva 19, ed ebbe l’onore di veder festeggiato il suo giorno con un’opera di Donizetti. Era Il Paria, melodramma in due atti di Domenico Gilardoni tratto da una recente tragedia francese di Delavigne che nel maggior teatro di Napoli fu accolto senza troppo entusiasmo, soprattutto a causa del prevalente carattere di mondanità o meglio di cortigianeria della serata, ma anche per la repentina decisione dell’impresario di alzare i prezzi dei biglietti e per la temperatura polare che quell’anno attanagliava la città e sconsigliava improvvide sortite notturne. Molto era piaciuto Il pirata di Bellini, poco prima, e in quel torno di tempo il S. Carlo aveva ospitato anche L’ultimo giorno di Pompei di Pacini e lo stesso Esule di Roma di Donizetti: tre spartiti - si lesse sul “Giornale del Regno delle Due Sicilie” - che “sono pressappoco quanto di meglio si è iscritto nella musica melodrammatica di genere eroico, dopo le opere del Rossini”; ma dopo il capolavoro belliniano, trionfante in tutt’Italia da un anno e qualche mese, la nuova fatica di Donizetti poteva davvero sembrare poco interessante. Appena sei le recite, e almeno doppia la reazione della critica: secondo “Il Censore universale dei Teatri”, che dalla remota Milano cercava di districarsi fra i pareri diversi, “quest’opera non ha verun merito”, e secondo le “Notizie del giorno” alla prima “ciascun pezzo venne dalle persone di gusto distinto, ed applaudito”. Nello spettacolo ideato da Pasquale Canna, “inventore, direttore e pittore dello scenario”, cantarono Giambattista Campagnoli (Akebare), Adelaide Tosi (Neala), Luigi Lablache (Zarete), Giambattista Rubini (Idamore), Gaetano Chizzola (Empsaele) ed Edvige Ricci (Zaide), artisti tutti di valore e di fatto ammirati come esecutori, anche se la bravura del tenore era tale da suscitare gli applausi prima della fine dei singoli pezzi e la bravura del basso non messa in sufficiente risalto dalla particolare scrittura donizettiana (in aggiunta all’opera il teatro rappresentò Le montagne russe, “divertimento di ballo” di Salvatore Taglioni). Doppia la reazione, dunque, o piuttosto mal documentata e forse inficiata dalle solite partigianerie. Eppure l’autore fidava assai nel suo lavoro, e quando, alcuni mesi dopo, vide che Il castello di Kenilworth s’era comportato tanto meglio, non ebbe dubbi: “Non darei un pezzo del Paria per tutto il Castello di Kenilworth... Ma intanto. La sorte è bizzarra”. Del resto in seguito ebbe modo di saccheggiare dichiaratamente la partitura, riversandone diversi spunti nelle partiture di Anna Bolena e Torquato Tasso. E ancora una decina d’anni dopo fece cantare il Duca d’Alba sopra almeno parte dell’aria per basso del secondo atto. Nel 1829 il giovane Gaetano Donizetti (Bergamo 1797 – ivi 1848) aveva già lavorato molto, dopo gli studi bergamaschi e bolognesi, l’esordio veneziano del ’18, il bel successo romano di Zoraida di Granata, quello napoletano della Zingara, l’acquisizione del vantaggioso contratto con l’impresario Barbaja, il sospirato matrimonio con Virginia Vasselli, il trasferimento della famigliola a Napoli e l’appagante nomina a direttore dei Reali Teatri di Napoli (carica per lui decennale). Nella settantina delle sue opere Il Paria occupa all’incirca il trentesimo posto: all’epoca Donizetti agiva nei ranghi di un mestiere efficiente e decoroso, già provvisto ma non ancora copioso delle grazie di una drammaturgia musicale che, in compagnia di un Bellini un po’ più giovane e alquanto più consapevole, andava erigendo il monumento del melodramma romantico italiano. L’originalità contro l’ intolleranza Due atti compongono Il Paria, per sette e otto scene; il luogo del dramma è un bosco foltissimo di palme, una parte esterna del tempio di Brama, un antichissimo tempio, un atrio maestoso; il tempo è un’alba iniziale (con presumibile prosieguo diurno), una notte intermedia, un nuovo giorno finale. In una cornice statica e uniforme, donde la solennità e la sacralità escludono altri e caratteristici connotati esterni, il coro abbonda, ma più di spessore temporaneo che di presenza assidua. Nella prima scena lo compongono appena sei Bramani, cui nella seconda s’aggiungono sacerdoti, sacerdotesse, custodi, trombettieri, guerrieri, baliadere, balok, fachiri (addirittura) e popolani per un’insolita serie di quattro strofe ottastiche di ottonari tronchi e quattro strofe tetrastiche di ottonari piani e tronchi (tanto che il libretto stampa quasi tutto il testo della scena in corpo minore), non senza l’apporto della danza. Il grande coro rimane durante l’aria di Neala ma poi scompare, per farsi sentire, ma non vedere, durante il semplice duetto che costituisce il finale primo (e dunque non più comparire), in strana combinazione di ottonario, quadrisillabo e settenario (strofetta raddoppiata). Alla stessa maniera il coro cadenza anche l’aria di Zarete che sta nel secondo atto, con due quartine di settenari tronchi da cantarsi internamente; e quando comincia l’imponente finale, allora torna in scena, introduce, proferisce quattro ampollose quartine di ottonari e all’assieme solistico partecipa come si deve, però solo nel libretto, non in una partitura evidentemente curiosa di novità. Presente o incombente, visibile o invisibile, in effetti sempre più necessario che decorativo, questo coro vanta qualche altra singolarità, nella metrica e nel lessico. Quanto alla metrica, oltre alle strofe regolari di cui sopra e alla forte passione per il verso tronco, si notano delle strane frasi da recitativo, tali sul libretto e variamente onorate dalla musica: “In questa a te sacrata antica selva” è l’inizio dell’opera, per sei versi di cui cinque endecasillabi e un settenario (il quarto), in uno stile recitativo-arioso che il tardo spartito francese non esita ad assegnare a un solista, Akebare; e “Né crolla il tempio, e vi riman sepolto!” è parte dell’assieme finale, libera serie di endecasillabi e settenari come quelle di tre dei quattro solisti, fra parentesi a indicare le diverse reazioni mentali dei presenti davanti all’aperta concione di Zarete (si tratta di quanto lo spartito cancella, unitamente al sentenzioso distico finale). Quanto al lessico, i grandi cori celebrativi s’allungano a forza di parallelismi, anafore, variazioni testuali e appellative e così via: “Al monarca sovrauman” e “Al grand’astro che primier”, “Tu mirasti il Lusitan” e “Tu ascoltasti il pio guerrier”, “Lode a te che nel periglio” e “Lode a te che nel suo petto”, e “Danze, giuochi, ed inni, e voti” sono i capoversi del primo caso; mentre nel secondo l’invocazione si rivolge prima a Brama, poi al Sole (nel coro iniziale detto “apportator d’auro-feconda luce”), quindi al Gange, infine a tutti i Numi, sempre apostrofati con dovizia d’immagini, concetti e parole. Il Lusitano citato è il portoghese, l’esercito portoghese che aveva cercato di conquistare l’India e l’eroico Idamore era riuscito a sconfiggere, quasi improvvisandosi guerriero e duce (un po’ come il Fernand della Favorite, spagnolo contro i Mori invasori); ma dopo questo coro encomiastico, di laborioso ringraziamento al dio e all’uomo, la questione epico-civile è poi messa a tacere, nel libretto del Paria, a tutto vantaggio di una questione privata che è anche e soprattutto religiosa, sociale, umana. E qui sta la vera, grande originalità del dramma, lievitata sopra personaggi di per sé abbastanza convenzionali. Se Idamore è la tipica figura tenorile, giovane e speranzosa, vibrante di amor patrio e di passione amorosa, della tipica figura sopranile l’amorosa Neala non ha poco nemmeno lei, sospesa com’è fra il sentimento per l’amato e la soggezione al padre, fra il pauroso sogno della cavatina e i pur parchi vezzi femminili onde distribuisce omaggi alle amiche; Akebare e Zarete, infine, sono i due soliti bassi della tradizione seria, potente e spietato persecutore l’uno, innocente e inerme vittima l’altro. Akebare è il motore immobile del dramma, sacerdote e rappresentante di una religione superstiziosa, non primo basso assoluto bensì “altro primo” basso. Ampia parte del testo di Gilardoni inscena la miserevole condizione dei Paria e vibra di sdegno contro il fanatismo dei loro nemi- ci. Già un “cenno” iniziale ragguaglia sul fenomeno, riferendo come fra le varie caste componenti il mondo dell’India quella dei Paria fosse stata maledetta da Brama, non potesse convivere con le altre nei centri abitati, dovesse addirittura segnare le fontane “nelle quali spegneano la lor sete” gli sciagurati, non sapesse meritare l’amore di alcuna “indica donzella” e così via. E durante l’azione, oltre al raccapricciante sogno premonitore di Neala (“un aspide [...] a... un Paria! /, m’annoda, m’incatena!”), oltre al coro interno richiesto propizio allo “stuolo prediletto” e micidiale al “paria maladetto”, oltre alla scena dove Zarete intravvede, si trova a fissare e si sente costretto a descrivere le raccapriccianti stragi dei Paria istoriate sulla roccia, sono due le grandi scene che raccontano a viva voce la disgrazia della casta. Nel duetto d’amore e di confessione Idamore fa notare all’amata come quando lui le prende la mano “non trema, si disserra, / manca la terra! / Non di sanguigne nubi il ciel si covre! / Né dal celeste regno / voce di sdegno” a loro “non parlò! / Non fulminò!”, continuando a illustrare le bellezze di una natura sempre tranquilla e pura, tra cheti palmeti e argentei raggi. E nel finale è Zarete, coraggiosamente ed eloquentemente, a prendere la parola, a insistere su quel favore che ai Paria la natura non nega giammai, a reclamare l’uguaglianza di tutti gli uomini (tutti polvere, del resto), tutti figli d’uno stesso Dio e tutti assolutamente uguali quando poseranno “nell’asilo eterno”. Akebare, dal canto suo, non si limita a incrudelire contro i poveri Paria per difendere le altre caste dell’India, in particolare la sua che è quella dei Bramani, ma anzi teme che il trionfo militare di Idamore (divenuto capo della casta dei Guerrieri) lo danneggi in potenza e oltrepassando il comune principio della ragion di stato concepisce l’idea e ha il cinismo di dargli in sposa la figlia, disarmando un guerriero diventato suo congiunto mediante il sacrificio della figlia che alla fine non esiterà ad accomunare al supplizio dei Paria. La qual figlia, Neala, sarebbe, anzi è destinata al culto del Sole: nondimeno incontra e ama Idamore, il suo giovane guerriero di successo, come ogni Vestale di Roma e ogni Sacerdotessa d’Irminsul che si rispetti dalla Vestale di Spontini a quella di Mercadante, dalla Sacerdotessa d’Irminsul di Pacini alla suprema Norma di Bellini; con la differenza comunque notevole che dette Vestali non risultano mai sciolte dai voti, mentre Neala è liberata dai voti dalla spregiudicata autorità paterna (dai Numi, dice lui) e assegnata e condotta in sposa a Idamore (anche se poi il rito viene interrotto). Quattro arie appena Le sole quattro arie che cadenzano Il Paria di Gilardoni e Donizetti sembrano una scelta drammaturgica abbastanza precisa, da interpretare come l’effetto di una precisa concezione unitaria. La cavatina del soprano, la cavatina del tenore e l’aria del basso (Zarete) hanno tipica forma ottocentesca, in due parti (e si taccia ormai di una tripartizione o quadripartizione, visto che l’aria dell’epoca troppo spesso manca di “tempo d’attacco” e il cosiddetto “tempo di mezzo” lo intende in maniera più funzionale e drammatica che autonoma e musicale). Tra l’altro la cavatina di Neala (I, 3) ha luogo quasi come un colpo di scena, all’improvviso, “in medias res”, senza la statica cornice di donzelle festanti o compiangenti che dà esca e sfogo alle passioni di una Sonnambula o di una Beatrice di Tenda e giusto in tempo per provocare lo sviluppo dell’intreccio: durante la preghiera comune, la giovane sacerdotessa irrompe nel tempio come impazzita e canta un’aria che è insieme un racconto e un sogno, narra d’aver sognato che un aspide la avvinghiava a un Paria infame, senza volerlo induce il padre Akebare a scioglierla dai voti e a farla sposare, infine si dispera nuovamente (non sapendo che lo sposo sarà Idamore); quanto basta per una scena incalzata da un fremente motivo strumentale, un bel cantabile cadenzato dal coro, un movimentato tempo di mezzo e una tipica cabaletta conclusa in assieme corale. Il recitativo di Akebare è interrotto da un Allegro agitato in Do min. che descrive l’irruzione della fanciulla, nervoso di suoni ribattuti, svelti cambi di registro, fitti accordi e note picchettate (e che come Re min. tornerà in Anna Bolena, allorché Smeton sente rumore e si nasconde ed entra Anna inseguita dal fratello perorante la causa di Percy, in vista del duetto); dopo qualche nuova battuta di recitativo, ecco il Larghetto in Sol min. e 6/8, “Parea che mentre l’àloe”, in verità più declamatorio che cantilenante, dal disegno spesso discendente e dal senso talora madrigalistico (“sfonda il terren” a scendere, “che m’agghiaccia il cor” e “mi manca il cor” con pause, “orror” come nona minore a salire in “fortissimo”). Alquanto esteso il tempo di mezzo, e poi la cabaletta: Moderato in Sol. magg. e tempo ordinario, “Ah che un raggio di speranza” è un motivo chiaro e scattante che s’avvale della sincope per esprimere una condizione psicologica diversa ma non meno tragica della prima, chiuso sulla parola “amor” che verso la fine sale per vispe terzine e poi si ferma per tre battute fra il La e il Si bem. oscillando sui semitoni. Forse, una scrittura del genere basta a qualificare un cantante: allieva di Crescentini, la Tosi era certo una belcantista, ma forse emergeva ancora di più nel canto sfogato e declamato, come del resto risulta che facesse quella Henriette Méric-Lalande che dal Pirata di Bellini sarebbe passata alla Lucrezia Borgia di Donizetti. Fremebonda, tanto agitata quanto spettacolare la cavatina di Neala; e puramente solistica, invece, quella di Idamore (I, 6), lunga e comoda di recitativo come di cantabile e cabaletta, corta di tempo di mezzo ma provvista di un preludio più regolare e di una bella occasione d’arioso. Il preludio in Andante imposta sicuramente il La bem. magg. e ricorre anch’esso al suono ribattuto e picchettato con qualche battuta accordale (alla maniera, quasi, di una piccola toccata); il recitativo continua a servirsi del motivo del preludio, si diffonde in accenti più lirici che narrativi che rappresentano una continua tentazione ariosa (ad esempio il vocalizzo su “delizia”), all’arioso cede sui tre versi che cominciano sulle parole “Caro quel marmo” con una scrittura centrale dall’aspetto quasi contraltile, e grazie a un nuovo Andante passa a una lettura di lettera che non sarà recitata (secondo la prassi) ma è certo cantata sopra suoni ribattuti composti in brevi serie ascedenti per semitoni dal La bem. al Mi bem. del rigo. Finalmente, ecco l’aria vera e propria, dove il duce vittorioso prima lamenta la perdita della donna amata e poi reagisce vivacemente: “Lontano io più l’amai” è il Larghetto in Fa min.-La bem. magg. e 6/8, “Fin dove sorgono” è l’Allegro meno mosso (del tempo di mezzo) in Fa magg. e tempo ordinario. Il cantabile sembra cauto e uniforme, cominciando su quattro Do centrali (che ne sono la dominante), ma intanto si frammenta subito su pause d’ottavo e poi non tarda a muoversi, a salire, a descrivere la perdita con discese cromatiche; e la cabaletta, che vuole “con forza” e sposta gli accenti del quinario sdrucciolo dalla seconda alla prima e dalla terzultima all’ultima sillaba, concilia l’energia del ritmo con l’eleganza del belcanto, perché anche se non si scioglie in particolari melismi prevede diversi, ardui e acuti “trilli calati”. La prima mezzafrase della melodia è identica a quella dell’aria della Giovanna di Anna Bolena, “Per questa fiamma indomita” (questa in Mi, solo un tono sotto). Classica, omogenea, equivalente a un’intera scena come quella di Idamore, cadenzata e anzi lievitata da un tempo di mezzo determinante come quella di Neala, l’aria di Zarete (II, 4) è una bella gemma musicale incastonata in un processo drammatico al quale tuttavia serve ben poco: il vecchio padre aspetta invano un figlio che non ha l’abitudine della puntualità, semplicemente; ma intanto il primo basso dell’opera canta una scena memorabile, lunga, articolata e chiaroscurata, in felice contrasto emotivo e spaziale con un coro interno. Ad aprire il sipario sopra un “antichissimo tempio diruto” è un esteso preludio in Larghetto in Mi bem. magg. e 3/4 la cui bella, sinuosa melodia trocaica descrive la profondità, più che l’orrore della notte; e proprio sull’apostrofe alla notte comincia il lungo recitativo del basso, “Notte, ch’eterna a me parevi”, spesso frammisto ad arioso (“che fuggo la luce”, ascendente per larghi semitoni mentre con stretti semitoni di crome l’accom- pagnamento scende, sale, riscende, risale e riscende liberamente), interrotto dalla ripresa del bel tema orchestrale, infine sfociante sopra un Allegro i cui accordi massicci e progressivi alludono al raccapriccio provato dal vecchio davanti alle “stragi de’ Paria” scolpite sulla roccia e al terribile ricordo di un episodio autobiografico (di scarsa funzione d’antefatto, tuttavia). Donde il Cantabile in Mi bem. magg. e tempo ordinario “Qui pel figlio una madre gridava”, che dopo qualche battuta quasi spezzata dall’ansia prende spunto dalla lunghezza del decasillabo per lanciarsi in frasi animose, vibranti, bellamente enfatiche, estese dal Si bem. grave al Mi bem. acuto mediante quarte, quinte, seste dal verso “e spietato il Bramano furente”. Ma ecco il coro interno, una specie di imeneo indiano che annuncia il giorno e l’imminente rito matrimoniale di Neala e Idamore (il figliolo così nemico della puntualità, per l’appunto altrimenti indaffarato), un canto nuziale in Allegro e Sol magg. festoso, accordale, sempre volto a rispettare i versi tronchi delle due quartine. Al suo suono, il basso non può corrispondere che con l’eco di una cabaletta: l’Allegro “Questa adunque, o figlio ingrato” è prescritto “piangendo” sulla dominante del cantabile ovvero sul Si bem. magg., tende al registro acuto e risulta ben più forte e ritmato che vago delle colorature tanto frequenti nella vocalità di Lablache. Musicalmente il tema del preludio tornerà in Anna Bolena, nel preludio del duetto fra Giovanna ed Enrico, come Andantino e su registro più grave; l’idea centrale del cantabile, la frase slanciata sulla ferocia del bramano furente passerà all’aria del Duca d’Alba, “Ne’ miei superbi gaudii”; e il motivo della cabaletta, se somiglia un po’ a “Non tradirmi, o cara speme”, la cabaletta per tenore del Torquato Tasso del ’33, condivide esattamente la prima mezzafrase con l’attacco del duetto di Anna Bolena, dove Percy canta “S’ei t’abborre”. La presenza di un tenore come Rubini invogliava spesso i compositori a concedere due arie al suo personaggio, ma anche Zarete vanta un altro assolo. Il libretto non ha dubbi: Zarete entra in scena e si inginocchia a pregare “Tergi, o Dio di pietà”, e dopo un lungo dialogo con Neala (presente Zaide e in arrivo Empsaele) che fornisce l’indicazione del tempo trascorso dalla fuga di Idamore (un lustro) esulta dicendo “Il figlio è qui!” (I, 4-5). Ma il testo di un’aria normalmente bipartita (l’aria “doppia” che piace tanto alla musicologia anglosassone, come se l’aria scempia esistesse e fosse abbastanza frequente), lo spartito lo interpreta a piacer suo: la preghiera la intende come un breve arioso bello, sillabico, ascendente, Larghetto in Mi min.-magg. e 3/4, e la serie di strofette d’esultanza come “cavatina” monopartita, Maestoso-Allegro in Mi bem. magg.; sennonché poi l’andamento è quello della cabaletta e in sostanza la lunga scena ha tutte le ragioni per ambire alla qualifica di grande aria di sortita, cavatina non molto diversa da quelle degli altri due personaggi. È ancora meno evidente il solismo di Akebare, l’altro basso. Nell’introduzione del primo atto il gruppo dei Bramani canta un singolare e breve coro arioso (che il libretto scrive alla maniera del recitativo), con un tempo Moderato che si mantiene anche quando Akebare attacca “Che giovommi sudar sugli altari”: è una quartina di decasillabi impostata sopra un Re magg. abbastanza marziale da sollecitare il passaggio all’Allegro dell’altra quartina (e poi del massiccio coro in Si min. della scena successiva, “Al monarca sovrauman”), e musicata con uno scatto cabalettistico che dura appena otto battute e con l’Allegro citato ritorna alla scrittura ariosa. Formalmente, insomma, è solo una parte dell’introduzione, all’incirca come capita alle due strofette di Assur nell’introduzione di Semiramide, “Sì sperate; sì esultate”; come senso, invece, ha una particolare importanza, giacché alla fine Akebare entra nel tempio dicendo “Ma s’avanzan le turbe festive... / creda il volgo me intento ad orar”, assumendo un clamoroso atteggiamento di ipocrisia che applicato alla religione diventa ancora più grave della semplice superstizione; e come presenza vocale somiglia alquanto alla cavatina di Publio nell’Esule di Roma, che è il primo assolo di tutta l’opera e il primo ma anche l’ultimo di un personaggio già creato dal creatore di Akebare, il basso Campagnoli (dunque non più chiamato a partecipare a pezzi solistici). Senza concertato né rondò Provvisto di un brevissimo preludio in Allegro giusto e Re magg. che sopra un implacabile pedale di dominante espone una prima idea forte e acuta e una seconda idea più grave, espansa e sommessa, Il Paria è un’opera così incisiva ed essenziale da rinunciare al concertato del finale primo e al rondò del finale ultimo, al loro classico posto collocando rispettivamente un duetto e un quartetto, e da saper piegare la coralità a fini davvero sostanziali, inserendola in scene e numeri maggiori. I due duetti, tuttavia, sono tradizionali, ampi e tripartiti alla maniera. Nel duetto-finale primo per tenore e basso il recitativo è lungo, piuttosto accidentato nel canto e movimentato nell’orchestra, com’è opportuno che sia per un incontro dove i due personaggi all’inizio, addirittura, stentano a riconoscersi e alla fine, riconosciutisi, pervengono al colmo della tensione drammatica. Così suona l’Allegro del tempo d’attacco, “D’un Akebar la figlia”, un La magg. che salendo sul rigo allunga i valori in un certo andamento declamatorio non lontano dal recitativo, ma al quarto verso stabilisce una maggior quadratura melodico-ritmica (tra l’altro facendo scendere il basso al La grave, dopo una scaletta di semicrome); allo sdegno di Zarete Idamore risponde prima con accenti di sorpresa e umiltà, e poi, al suo quarto verso che dice “Quanto Akebar veleno”, passa al Do magg. acquisendo lo stesso disegno ritmico e la stessa energia dell’altro (che diceva “Quanto di più tormento”). Qualche ulteriore battuta di recitativo è poi interrotta dal coro interno, che maledice i poveri Paria e porta acqua al mulino di Zarete: “Salvi, o Nume” è un bel Larghetto in Mi min. / La magg. per tenori e bassi all’ottava che ottiene l’effetto di aumentare il tasso di sdegno di Zarete (e porta il canto da due versi tutti resi sul Sol centrale, “ad invocar lo scempio”, a un verso tutto di Si e Do superiori, “l’empio anatema”) e costituisce il tempo di mezzo del duetto, corale, cantabile e più tardi anche femminile ma pure solistico e movimentato. Dopo un’altra breve scena di dialogo e di dramma in Allegro, la stretta in “meno” Allegro conferma il La magg. (per la verità raggiunto solo alla fine del tempo precedente): l’identità melodica ha luogo soltanto al terzo verso dei quattro interventi e all’inizio, nel breve inizio dell’ultima sezione del pezzo, il canto del tenore è tanto agitato, interrogativo e scandito quanto quello del basso è calmo, lucido e disteso. Non si dicono poi granché il padre e il figlio nel robusto duettone voluto come finale primo, e dopo smanie, meraviglie, collere e suppliche si danno un appuntamento che dovrà essere decisivo (almeno nei loro progetti). Molto dicono e fanno i due giovani, invece, nel loro duetto posto all’inizio del secondo atto e tale, purtroppo, da vanificare l’appuntamento: si incontrano e si lasciano amorosissimi, ma intanto lui ha fatto ingoiare a lei il grosso rospo della sua appartenenza alla casta dei Paria. Anche in questo caso il recitativo è lungo, sfumato, cromatico nel canto (basti l’esempio dello spavento di Neala, alle parole “e seppellirne entrambi entro il seno”, discendenti come vuole l’immagine); e tanto fino al tritono, l’inaudita quarta aumentata che era detta diabolus in musica perché, di ardua intonazione, esprimeva sensi e presenze soprannaturali o comunque eccezionali. Anche stavolta il tempo d’attacco, che suona “Ei stesso!!!” in Allegro, è rapido di tempo, ma dopo un vago movimento arioso di Idamore dà luogo al tempo di mezzo: lirico, intimistico, il passo è tanto semplice di scrittura quanto squisito di melodia, dal Fa magg. di lui che canta “La mano tua, deh vedi” (cui lei risponde intercalando “Ahi come a quell’accento”) allo sviluppo in Re min., sempre sopra un cullante 6/8 di Larghetto, più acuto per il tenore che per il soprano, assolutamente persuasivo da parte del povero Paria nei confronti della divina figlia del Bramano. Neala starà dalla parte di Idamore, dunque, e dopo una veloce sezione di raccordo che frutta l’idea della fuga come unico scampo, ecco la stretta finale, il solito Moderato, qui in La magg., “Sarai tu sempre, o caro”, squillante di melodia (anche arpeggiata) e di ritmo. E anche qui, nelle battute a due voci parallele, il canto di Idamore supera di una terza quello di Neala: come vuole il moderno canto del tenore che subentra al contralto in veste amorosa. Non meno originale del duetto-finale primo è il quartetto-finale secondo del Paria, svolto non come rondò solistico, ma come quartetto, un quartetto di soli che il coro l’ha bello e pronto in scena ma non se ne serve affatto. Zarete s’è appena fatto da parte protestando contro il figlio ingrato, che il gran finale scatta al canto di un coro possente, squadrato e marziale a quattro voci, Allegro in Do magg. per voci femminili e voci maschili inneggianti le sacerdotesse al Sole, i sacerdoti e i soldati al Gange, tutti insieme a tutti i Numi. Poi Idamore scioglie il suo consueto lirismo nella mobilità del recitativo-arioso e Akebare conferma la sua sacralità in un recitativo-arioso invece martellante, e quindi attacca il quartetto. L’orchestra trattiene il Do magg. del coro, i tocchi blandi e ispirati dell’arpa s’avviano sicuri e il quartetto comincia come terzetto: “Da sì caro e dolce istante” cantano prima il tenore solo e poi il soprano e il tenore insieme, sopra una schietta melodia ferma nella prima mezzafrase e ascendente nella seconda che sarà ripresa identica dal soprano di Torquato Tasso, ancora in Larghetto e sulla tonica, alle parole “Non ti sprezzo, se lo credi”. Il basso Akebare non può certo unirsi a tale rosea cantilena, ma avvia il rito con la solita sequela di suoni ribattuti, mentre al di sotto l’orchestra freme di semicrome ascendenti per semitoni, quando accorre Empsaele, che annuncia l’orrorosa presenza, nel tempio, di un Paria. Con l’irruzione di Zarete il quartetto è pieno, anche perché il coro si limita a qualche pur incisiva minaccia (“Non s’indugi al trucidar!”): comincia Zarete, in Maestoso e Mi bem. magg., a cantare “Morte io voglio”, ma ben prima che lui finisca la sua generosa tirata, gli subentrano Akebare che canta “E un Dio gli porge ascolto!”, Idamore che canta “La sua morte è sicura”, Neala che canta “Ei trema! Impallidisce!”: è un quartetto autentico, questo, perché ogni personaggio dice e canta quanto gli spetta, senza simmetrie, parallelismi, scambi tematici, promiscuità di registro (Zarete, per esempio, è più acuto di Akebare), se non nelle ultime battute dove l’oratore si permette note più veloci con qualche passo d’agilità e gli altri preferiscono allungarsi per mezzi o per interi. Anche la chiusa del brano è lenta, cauta, quasi inavvertita. Imboccata da Idamore Neala osa chieder venia per il vegliardo, Idamore dichiara di esser figlio del profanatore, Akebare ordina che i tre, non i due empi, vengano condotti a morte, e allora scatta la stretta del quartetto, “La sorte di noi miseri”, un Allegro giusto in Do magg. stringente e disperato di disegno melodico e giambico, e precipitoso di ritmo, che associa il figlio al padre e la figlia al padre suo e che formerà anche la stretta del finale secondo di Torquato Tasso. Gli ultimi due versi del coro, “Giorno sì fiero e rio / su l’Indo mai spuntò!”, secondo Donzetti non meritano di passare dal libretto allo spartito, giacché rischierebbero di tramutare il quartetto in concertato, ma non possono non passarvi gli ultimi due di Akebare che, dopo aver prospettato alla turpe figlia una specie di rinsavimento fra le tenebre eterne, mormora “Regno! L’impero è mio! / Di più bramar non so!”. Tragedia e parodia La carriera di Donizetti vantò ben altri esiti artistici che Il Paria, alla Scala e al S. Carlo, con Romani e con Cammarano, di stile italiano e di stile francese, ma questo Paria, opera dal destino simile a quello della casta negletta cui s’intitola, appuntò diverse frecce alla mano del suo autore e gliele nascose nella capace faretra perché le scagliasse verso i drammi di Anna e Lucrezia, Lucia e Belisario, Poliuto e don Sebastiano. Mai, senza dubbio, il teatro musicale di Donizetti si era più allontanato dai classici e imperanti modelli di Metastasio e di Rossi, del Mozart e del Rossini serio, di un maestro come Mayr e di un collaboratore come Romani. Per schizzare finalmente un profilo sintetico, Il Paria è un melodram- ma (secondo la definizione del libretto) dai lineamenti drammatici sicuri, decisi, peculiari e originali: si ambienta quasi tutto all’esterno, tra boschi e limitari di templi; nel complesso rispetta le famose unità aristoteliche, cominciando una mattina e finendo la mattina dopo; in un contesto esotico articola una vicenda di carattere sociale, religioso, umanitario, psicologicamente schietta e la conduce a un finale rapido e funesto; consta di pochi quadri, poche scene, pochi pezzi, pochi cori, derogando dalla convenzione sia del concertato e del rondò finale che della coralità puramente decorativa; svolge recitativi cangianti, tendenti all’arioso; nei cantabili abbonda di Larghetti e nella formulazione melodica sa ricorrere sia al disegno ascendente, discendente, ribattuto sia alla combinazione di gradi diversi ma vicini e irrequieti; nelle cabalette e nelle strette non esita a sfoderare tutte le armi della ritmica (su limpidi schemi tenuti presenti in opere di poi); e non indulge mai al virtuosismo vocale, a costo di non secondare troppo la prassi dell’epoca e il belcanto dei creatori. A importare davvero è la solida presenza musicale del quartetto. “Il finale del Proscritto che è un terzetto è di molto effetto per la scena [...].”, scrisse Donizetti a Mayr del fortunato Esule di Roma, il 2 febbraio del 1828, continuando “L’anno venturo finirò il primo atto con un quartetto ed il secondo con una morte a mio modo. Voglio scuotere il giogo dei finali”. L’anno seguente, Il Paria finì il primo atto con un duetto, a dire il vero, e l’idea del quartetto la passò a un finale secondo che la morte non la rappresentava direttamente ma la dava, purtroppo, per certa. Anni dopo, Donizetti ebbe modo di servirsi ancora di quanto lo soddisfaceva di più, della musica di un’opera che non riusciva a circolare, attenendosi all’uso vigente sia della parodia che della reminiscenza personale. Quanto alla parodia, qua e là segnalata durante l’esame dei numeri principali dell’opera, s’aggiunga che il coro e il ballo del primo atto l’autore li recuperò in una ripresa del Diluvio universale di Gilardoni (Napoli, 1830), a Genova nel ’34, aggiungendoli di suo pugno nella partitura non autografa dell’archivio Ricordi (l’autografo era rimasto a Napoli). Oltre che alla Sofronia di Torquato Tasso (e un po’ al coretto iniziale, “Due rivali, un invidioso”), il bel motivo del quartetto Donizetti lo applicò a un terzetto di un’opera buffa di Gilardoni, La romanzesca e l’uomo nero (Napoli, 1831) e anche, quasi uguale, alla larga frase del protagonista del Marino Faliero (Parigi, 1835) che nell’ultimo duetto dice “Santa voce al cor mi suona” (in Fa magg., con inizio sempre sulla tonica). Dunque Il Paria venne dimenticato, smembrato, parodiato; forse più che un dramma, un’opera d’azione, era stato proprio una tragedia funesta, un’opera dialettica sì, specie grazie all’oratoria di Idamore e di Zarete, ma assai poco dinamica, bell’e buona per il tipico finale funesto della tragedia, quella classica da recitarsi e quella romantica da cantarsi. Insomma, nonostante la definizione diversa, Il Paria è già una “tragedia lirica”, come le tante di Romani e di Cammarano da Anna Bolena in avanti, al posto del dramma per musica, dell’opera seria, dello stesso melodramma (dramma tragico sarà Lucia di Lammermoor e melodramma tragico Maria di Rohan). Cupo e violento come testo poetico e musicale, limpido e chiaro come messaggio etico ed estetico, il magnanimo Paria che davanti alla corte dei Borboni osò definire “di volubil sorte / schiavo [...] il grande” (e questo fugace cenno a Rossini, al recitativo precedente l’aria di Isabella nell’Italiana in Algeri, ha consigliato l’adozione di un titolo che deriva dalla Cenerentola, là dove Angelina balbetta “quel ch’è padre non è padre”), continua a sollevare un unico, fortunatamente esile dubbio: visto che il dramma di Idamore è lo stesso di Zarete e che l’arte di Lablache non era inferiore a quella di Rubini, perché non si chiama I due Paria? ALL THAT’S PARIA IS NOT PARIA by Piero Mioli An inauspicious occasion and an early maturity The duke of Calabria, son of the Bourbon Ferdinando I and about to succeed his father as Ferdinando II, was born on 12 January 1810. In 1829 he turned 19 and had the honor of celebrating his birthday with an opera by Donizetti. The opera is question was Il Paria, melodrama in two acts by Domenico Gilardoni based on a recent French tragedy by Delavigne. It was received with lukewarm enthusiasm in the major opera house of Naples, primarily because of the cultured and courtly character which prevailed over the evening. Moreover, the sudden decision by the impresario to raise the price of the tickets, and the freezing temperatures which assailed the city that year and discouraged nightly outings, also played a role in the opera’s lack of success. Bellini’s Il pirata had been extremely well received a short time earlier, and in that period the Teatro S. Carlo had also hosted Pacini’s L’ultimo giorno di Pompei as well as Donizetti’s own L’Esule di Roma. These three works were, according to the “Giornale del Regno delle Due Sicilie”, “just about the best operas ever written in the heroic genre, after the works of Rossini”. Yet following Bellini’s masterpiece, which had triumphed throughout Italy for more than a year, Donizetti’s new efforts might truly have seemed rather uninteresting. There were a mere six performances, and the reaction of the critics was at least twofold. “Il Censore universale dei Teatri” from the distant city of Milan, attempting to disentangle itself from the diverse opinions, stated that “this opera is entirely without merit”. Yet according to the “Notizie del giorno”, at the premiere “each piece was distinguished by persons of taste, and applauded”. In the production of Pasquale Canna, “inventor, director and painter of the scenery”, the cast consisted of Giambattista Campagnoli (Akebare), Adelaide Tosi (Neala), Luigi Lablache (Zarete), Giambattista Rubini (Idamore), Gaetano Chizzola (Empsaele) and Edvige Ricci (Zaide). Each of these singers were fine artists and were indeed admired as performers; indeed, the abilities of the tenor inspired applause before the end of each individual number, though those of the bass were overshadowed by Donizetti’s particular writing style (In addition to this opera, the theater presented Le montagne russe, a “divertimento di ballo” by Salvatore Taglioni). The reaction to the opera was thus seemingly two-fold, or instead poorly documented and perhaps compromised by the usual partisanship. And yet the author placed great trust in his work, and when, a few months later, he saw that Il castello di Kenilworth faired quite a bit better, he was certain in his opinions: “I would not trade a piece of Il Paria for the entire Castello di Kenilworth... In the meantime, however, fate is bizarre.” In any case, he later had the opportunity to openly dismember the score, transferring various passages to Anna Bolena and Torquato Tasso. And a decade later, he gave to the Duca d’Alba at least part of the aria for bass from the second act. In 1829, the young Gaetano Donizetti (Bergamo, 1797 – 1848) had already worked a great deal, following his studies in Bergamo and Bologna. He debuted in Venice in 1818, and had enjoyed great success in Rome with Zoraida di Granata and in Naples with La Zingara. He had signed an advantageous contract with the impresario Barbaja, had happily married Virginia Vasselli, had moved with his family to Naples, and had received the prestigious position of director of the Royal Theaters of Naples (which he held for a decade). Among the seventy or so operas which he composed, Il Paria ranks approximately thirtieth. In those days, Donizetti was an efficient and decorous professional, possessing but not yet overflowing with the gifts of musical dramaturgy which, together with those of a younger but wiser Bellini, would erect the monument to Italian romantic opera. Originality vs. intolerance Il Paria is comprised of two acts of seven and eight scenes, respectively. The plot is set in a woods thick with palm trees, part of the exterior of the temple of Brahma: the temple is quite ancient, with a majestic entrance. The time is dawn breaking, followed by an intermediate night and, lastly, the next morning. In a static and uniform framework in which solemnity and sacredness exclude other characteristic external connotations, the chorus abounds but is more a temporary filler than an assiduous presence. In the first scene it is made up of merely 6 Brahmans, joined in the second by priests, priestesses, custodians, trumpeters, warriors, dancers, Baluchi, fakirs (no less), and common people. The scene includes dancing. The large chorus remains during Neala’s aria but then disappears so that they are heard but not seen during the simple duet which constitutes the first finale. Similarly, the chorus also concludes Zarete’s aria in the second act. As the imposing finale begins, the chorus then returns on the scene, proffering four bombastic quatrains. It fittingly participates in the solo ensemble, but only in the libretto, curiously enough, and not in the score. Present or hovering, visible or invisible, always more necessary than decorative, this chorus exhibits other singularities in both meter and vocabulary. Metrically, in addition to regular strophes and a strong predilection for broken verse, odd phrases of recitative appear in the libretto but are set in various ways in the music. “In questa a te sacrata antica selva” is the opening phrase of the opera; there are six verses of which five are with eleven syllables and one (the fourth) with seven. It is set in a recitative-arioso style which the late French score does not hesitate to assign to a soloist, Akebare. “Né crolla il tempio, e vi riman sepolto!” is part of the finale ensemble number, a free series of eleven and seven-syllable verses like those of three of the four soloists, written in parenthesis to indicate the diverse psychological reactions to Zarete’s harangue (this speech is cancelled in the score, together with the sententious final couplet). As for the vocabulary, the grand celebratory choruses are drawn out with parallelisms, anaphors, textual variations, appellatives and so on. “Al monarca sovrauman” and “Al grand’astro che primier”, “Tu mirasti il Lusitan” and “Tu ascoltasti il pio guerrier”, “Lode a te che nel periglio” and “Lode a te che nel suo petto”, and “Danze, giuochi, ed inni, e voti” are the first lines of the first case. In the second, the invocation is addressed first to Brahma, then to the Sun (called in the initial chorus “apportator d’auro-feconda luce”), then to the Ganges, and finally to all the Gods, who are always addressed with an abundance of images, concepts and words. The “Lusitanian” cited above refers to the Portuguese: the Portuguese army had attempted to conquer India and had been vanquished by the heroic Idamore, in the roles of warrior and ruler (a bit like Fernand in La Favorite, the Spaniard who fought against the invading Moors). Yet, after this panegyrical chorus which laboriously giving thanks to god and man, the epic and civil questions are then put to rest in the libretto of Il Paria, in favor of a private issue which is above all religious, social and humanitarian. Here lies the true, great originality of the drama, which rises above characters who are per se rather conventional. If Idamore is the typical tenor, young and hopeful, vibrant with patriotism and romantic passion, Neala is no less typical, suspended between amorous feelings for her beloved and subservience to her father, between the fearful dream of the cavatina and the scant feminine wiles which she employs when distributing gifts to her friends. Akebare and Zarete, finally, are the two usual basses of opera seria, the former a powerful and merciless persecutor, the latter an innocent and harmless victim of the other. Akebare is the immobile motor of the plot, high priest and representative of a superstitious religion; not the primo basso assoluto but rather the altro primo basso. An ample part of Gilardoni’s text is dedicated to the miserable conditions of the Pariahs and strikes out indignantly against the fanaticism of their enemies. An initial mention is already made of the phenomenon. Of the various castes which comprise Indian society that of the Pariahs was cursed by Brahma: they were forbidden to live in populated areas with others; they were required to mark the fountains “where they extinguished their thirst”; they were unworthy of loving any “Indian maiden”, and so on. In addition to the terrible foreboding dream of Neala (“un aspide […] a… un Paria! /, m’annoda, m’incatena!”), the off-stage chorus called upon to bring good fortune to the “chosen” and deadly “threshold” of the “cursed pariah”, and the scene in which Zarete witnesses and feels obliged to describe the terrible massacre of the Pariahs depicted on stone, there are two great scenes which recount the ill fate of the caste. In the duet of love and confession, Idamore points out to his beloved how when he takes her hand, the heavens do not rebel (“non trema, si disserra, / manca la terra! / Non di sanguigne nubi il ciel si covre! / Né dal celeste regno / voce di sdegno” a loro “non parlò! / Non fulminò!”). He then goes on to illustrate the beauty of a calm and pure nature, among peaceful palms and silver rays. And in the finale it is Zarete who courageously and eloquently speaks out, insisting on those favors which nature has never denied the Pariahs, and reclaiming the equality of all men (each of whom will one day turn to dust), all children of the same God and all absolutely equal at the moment of “eternal exile”. Akebare, for his part, does not limit himself to raging against the poor Pariahs in order to defend the other castes of India, in particular his own, which is that of the Brahmans. Instead, he fears that the military triumph of Idamore (who has become head of the caste of Warriors) will cut into his power. Thus bypassing the common principle of reasons of state, he conceives of the idea and is sufficiently cynical to offer his daughter’s hand in marriage. By such means, he disarms a warrior who has now become his relative, and sacrifices a daughter who in the end will not hesitate to share the sufferings of the Pariahs. This daughter, Neala, is professed to the cult of the Sun. Nonetheless, she encounters and falls in love with Idamore, the young and successful warrior—like any self-respecting Roman Vestal Virgin or any priestess of Irminsul, from La Vestale of Spontini to that of Mercadante, from Pacini’s Sacerdotessa d’Irminsul to Bellini’s Norma. The remarkable difference is that these virgins are never released from their vows, while Neala is freed from hers by the merciless authority of her father (an authority which he has received from the Gods, he claims) and is given in marriage to Idamore (although the wedding itself is then interrupted). A mere four arias The scant four arias in Gilardoni’s and Donizetti’s Il Paria seem to be the result of a fairly precise dramaturgical choice and a precise unifying concept. The cavatinas of the soprano and tenor, respectively, and the aria for bass (Zarete) share the typical form of the nineteenth century: they are bipartite in form ( by this time arias were no longer in three or four parts, often lacking the “tempo d’attacco”, while the so-called “tempo di mezzo” was understood to be more functional and dramatic than autonomous and musical). Neala’s cavatina (Act I, Scene 3) is almost a coup de théâtre, unexpected, “in medias res”, without the static framework of the festive or pitying maidens who unleash the passions of a Sonnambula or a Beatrice di Tenda. Indeed, it arrives in the nick of time to provoke the development of the plot. During the common prayer, the young priestess rushes into the temple as if crazed and sings an aria which is both a story and a dream. She tells how she dreamed that an asp had bound her to an foul Pariah, and she unintentionally induces her father Akebare to release her from her vows and allow her to marry. At the end of the aria, she again despairs (unaware that the bridegroom is to be Idamore). All this suffices to create a scene which is supported by a quivering instrumental motif, a beautifully cantabile aria rhythmicized by the chorus, a moving “tempo di mezzo” and a typical concluding cabaletta joined by the chorus. Akebare’s recitative is interrupted by an Allegro agitato in C Minor which describes the girl’s entrance in a nervous repetition of notes, quick changes of register, dense chords and staccato notes. After a few new bars of recitative, the Larghetto in G Minor in 6/8 meter is heard: “Parea che mentre l’àloe” is, in reality, more declamatory than cantabile, and its frequently descending line is at times almost madrigalistic in its word-painting (the descent on “sfonda il terren”, pregnant pauses in “che m’agghiaccia il cor” and “mi manca il cor”, the rising minor ninths in crescendo on “orror”). The “tempo di mezzo” is rather extended, and is followed by the cabaletta: a Moderato in G Major in common time, “Ah che un raggio di speranza” is a clear and lively motif that makes use of syncopations to express a psychological condition which is different but no less tragic than the first. Closing on the word “amor”, it rises towards the end by nimble triplets before stopping for three bars to waver between the half-steps of A and Bb. Such vocal writing perhaps suffices to define a singer: a pupil of Crescentini, Tosi was certainly of the bel canto school, but she shined to an even greater extent in unrestrained and declamatory singing, as allegedly did Henriette Méric-Lalande, who went on from Bellini’s Il Pirata to Donizetti’s Lucrezia Borgia. Neala’s trembling cavatina is as agitated as it is spectacular, while that of Idamore (Act I, Scene 6) is purely soloistic, with a long and comfortable recitative, a cantabile and a cabaletta, a short “tempo di mezzo”, a regular prelude and, as a nice change, an arioso. The Andante prelude clearly sets the key of Ab Major and also employs repeated notes and staccatos with a few chordal passages (almost in the style of a small toccata). The recitative continues to make use of the motif from the prelude. More lyrical than narrative in style, it is continuously tempted by an arioso writing (see, for example, the vocalization on “delizia”). Indeed it gives in to this temptation at the three lines which begin with the words “Caro quel marmo”: the central tessitura is almost that of a contralto, and thanks to a new Andante, it proceeds to a reading of the letter which is not recited (as was the practice) but is clearly sung over repeated notes composed in brief sequences ascending by half-step from Ab to Eb. Finally we arrive at the real aria, where the victorious hero first laments the loss of his beloved and then reacts vigorously: “Lontano io più l’amai” is the Larghetto in F Minor-Ab Major in 6/8, “Fin dove sorgono” is the Allegro meno mosso (from the “tempo di mezzo”) in F Major and common time. The cantabile seems cautious and uniform, beginning on four middle C’s (the dominant), but it is immediately fragmented by eighth-note rests before quickly moving on, rising upward, and then describing the loss with chromatic descents. The “forceful” cabaletta, which readjusts the metric accents of the text, unites the energy of the rhythm with the elegance of the bel canto singing, for even without particular melismas, there are diverse arduous and high “trilli calati”. The first half-phrase of the melody is identical to that of Giovanna’s aria from Anna Bolena, “Per questa fiamma indomita” (the latter in E, only a tone lower). Classical and homogeneous, Zarete’s aria (Act II, Scene 4) is the equivalent to an entire scene like that of Idamore, and is given shape and even lightness by an important “tempo di mezzo” like that of Neala. This lovely musical gem is set into a dramatic process, but does virtually nothing to serve it. Simply stated, the aging father awaits in vain a son who is not habitually punctual. This said, however, the primo basso of the opera sings a scene which is memorable, lengthy, structured, full of chiaroscuro effects, in felicitous emotional and spatial contrast with an offstage chorus. The curtain rises on the “dilapidated ancient temple” with an extended prelude marked Larghetto in Eb Major and 3/4 meter, whose lovely and sinuous trochaic melody describes the depth, more than the horror, of the night. The bass addresses the night (“Notte, ch’eterna a me parevi”) in a long recitative often mixed with arioso (“che fuggo la luce” ascends in wide half-steps while the accompaniment in eighth notes rises and falls freely in narrow half-steps). A reprise of the beautiful orchestral theme interrupts this recitative before flowing into an Allegro whose massive and progressive chords allude to the horror experienced by the old man upon seeing the “massacres of the Pariahs” carved on the rocks, and to the terrible memory of an autobiographical episode (which, nonetheless, serves little dramatic purpose). There follows the Cantabile in Eb Major in common time, “Qui pel figlio una madre gridava”. After a few bars laden with anxiety, the composer takes advantage of the lengthy ten-syllable line to launch into spirited, vibrant and beautifully emphatic phrases ranging from low Bb to high Eb, moving by fourths, fifths and sixths on the line “e spietato il Bramano furente”. Here the off-stage chorus intones a sort of Indian wedding song which announces the day and the imminent nuptials between Neala and Idamore (the invariably unpunctual son who is, unsurprisingly, otherwise occupied). This hymeneal, an Allegro in G Major, is festive, chordal, and always underlines the broken verse of the two quatrains. At the sound of this song, the bass can only respond with the echo of a cabaletta: the Allegro “Questa adunque, o figlio ingrato” “weeps” on the dominant of the Cantabile (Bb Major), moves toward the high register, and is consequently much louder and more rhythmic rather than graced with the coloratura passages so frequent in Lablache’s singing. Musically, the theme of the prelude returns in Anna Bolena, in the prelude to the duet between Giovanna and Enrico, as an Andantino in the low register. The central idea of the Cantabile— the phrase flung at the ferocity of the furious Brahman—passes to the aria of the Duca d’Alba, “Ne’ miei superbi gaudii”. And if the motif of the cabaletta somewhat resembles “Non tradirmi, o cara speme”, the cabaletta for tenor from Torquato Tasso of 1833, it shares exactly the first half-phrase of the duet of Anna Bolena, where Percy sings “S’ei t’abborre”. The presence of a tenor like Rubini often inspired composers to give his character two arias, but even Zarete is given another solo. The libretto leaves no room for doubt: Zarete comes on stage and kneels down to pray (“Tergi, o Dio di pietà”), and after a long dialogue with Neala (with Zaide present and Empsaele about to arrive) which indicates passing of time from Idamore’s escape (five years), he exults and exclaims “Il figlio è qui!” (Act I, Scenes 4-5). But the text of a normally bipartite aria (the “double aria” which Anglo-Saxon musicology likes so much, as if the “single aria” existed and was fairly common), is interpreted differently in the score. The prayer is set as a brief arioso—attractive, syllabic, ascending, marked Larghetto in E Minor-Major and in 3/4 meter—and the series of short strophes of exultation are set as a through-composed “cavatina”, marked Maestoso-Allegro in Eb Major. The pace, however, is that of a cabaletta and the long scene is in essence a grande aria di sortita, a cavatina which is not much different from those of the other two characters. The solo writing for Akebare, the “other bass”, is even less clear. In the introduction to the first act, the group of Brahmans sings a unique and brief arioso chorus (which appears in the libretto in the style of a recitative), with a Moderato tempo marking which continues even when Akebare attacks “Che giovommi sudar sugli altari”. This is a quatrain of ten-syllable lines in D Major which is fairly martial in character and heralds the transition to the Allegro of the other quatrain (and later the massive chorus in B Minor of the subsequent scene, “Al monarca sovrauman”). Its musical setting is that of a cabaletta lasting a mere eight bars, and with the Allegro returns to the arioso writing. Formally, it is thus only a part of the introduction, more or less similar to that which occurs to the two strophes of Assur in the introduction of Semiramide, “Sì sperate; sì esultate”. It has a particularly important dramatic sense, however, since at the end Akebare enters the temple saying “Ma s’avanzan le turbe festive… / creda il volgo me intento ad orar”, with shocking hypocrisy which, when applied to his religion, is even more serious than simple superstition. The vocal style employed is quite similar to Publio’s cavatina in L’Esule di Roma: curiously enough, it is not only the first solo in the entire opera but also the first and last given to a character created by the creator of Akebare, the bass Campagnoli (thereafter never again entrusted with a solo role). With neither concertato nor rondò Il Paria opens with a very brief prelude marked Allegro giusto in D Major, which over an implacable pedal on the dominant presents a strong and high initial theme and a second lower one that is expansive and understated. This opera is so incisive and essential that it renounces the concertato of the first finale and the rondò in the last finale. In place of these classic numbers are a duet and a quartet, respectively. Moreover, the choral writing is put to truly substantial ends and is inserted to a greater extent in musical numbers and scenes. The two duets, nonetheless, are traditional, ample and tripartite. In the duet-first finale for tenor and bass, the recitative is long, rather irregular in the vocal part and active in the orchestra, as is fitting for an encounter between two characters who initially barely recognize each other, and, at the end when their identities are clear, achieve the height of dramatic tension. Thus the Allegro in the tempo d’attacco, “D’un Akebar la figlia”, in A Major, which rises and lengthens the note values in a certain declamatory progression not unlike the recitative. At the fourth verse, however, a greater melodic-rhythmic regularity is established (in which, among other things, the bass descends a chromatic scale to a low A). At Zarete’s disdain, Idamore responds first with tones of surprise and humility, and then, in his fourth verse at “Quanto Akebar veleno”, he moves to C Major, acquiring the same rhythmic design and the same energy as the other singer (who has sung “Quanto di più tormento”). A few more bars of recitative are then interrupted by the off-stage chorus which curses the poor Pariahs and adds fuel to the fire ignited by Zarete. “Salvi, o Nume” is a lovely Larghetto in E Minor / A Major written for the tenors and basses singing in octaves which has the effect of augmenting Zarete’s indignation (where the music goes from two verses entirely sung on middle G , “ad invocar lo scempio”, to another verse entirely on the B and C above, “l’empio anatema”). This section constitutes the tempo di mezzo of the duet—choral, cantabile and, later, is also for women’s voices in addition to being soloistic and animated. After another brief scene of dialogue and drama in an Allegro, the stretta, marked “meno Allegro” confirms the key of A Major (in actuality established only at the end of the preceding tempo). The melody is only clearly identified at the third verse of the four interventions, and at the beginning, in the brief opening of the last section of the piece, the part of the tenor is as agitated, interrogatory and accented as is that of the bass calm, lucid and relaxed. The father and son do not actually have a lot to say to each other in the robust duet which serves as the first finale, and after yearnings, wonders, rages and pleas, they make an appointment which is to be decisive (at least according to their plans). The two youths, on the other hand, do and say quite a lot in their duet at the beginning of the second act, such as to undermine the abovementioned appointment. They meet and part romantically, but meanwhile he has made her swallow the bitter pill of his belonging to the caste of the Pariahs. Again in this case, the recitative is long, full of nuances, chromatic in the vocal line (see, for example, Neala’s fear at the words “e seppellirne entrambi entro il seno”, descending in illustration of the words). The music even exploits the tritone, the unheard of augmented fourth which was called diabolus in musica because its difficult intonation expressed supernatural or exceptional senses and presences. Here again, the tempo d’attacco, “Ei stesso!!!”, is a rapid Allegro, but after a vague arioso sung by Idamore, there arrives the tempo di mezzo, which is lyrical, intimate, as simply written as it is exquisite melodically. From F Major, in which he sings “La mano tua, deh vedi” (to which she responds “Ahi come a quell’accento”) to the development in D Minor over an incessantly rocking 6/8 marked Larghetto, higher for the tenor than the soprano, the part of the poor Pariah is absolutely persuasive in his discussion with the divine daughter of the Brahman. Neala thus stands by Idamore, and after a quick transitional section which exploits the idea of the fugue as the only means of escape, the final stretta arrives as the usual Moderato, this time in A Major, with the words “Sarai tu sempre, o caro” brilliantly ringing both melodically (complete with arpeggios) and rhythmically. Once again, in the bars for two parallel voices, Idamore’s line is a third above Neala’s, in accordance with the modern concept of the tenor who replaces the contralto as the romantic lead. No less original than the duet-first finale is the quartet-second finale of Il Paria, composed not as a soloistic rondò but rather as a quartet of soloists, with the chorus at the ready on stage but to no purpose. Zarete has just stood aside, protesting against his ungrateful son, when the grand finale takes off with the singing of a powerful four-part chorus, four-square and martial in character, an Allegro in C Major for mixed voices extolling the priestesses to the sun, the priests and soldiers to the Ganges, everyone together to all the gods. At this point Idamore veers from his usual lyricism in favor of the mobility of the recitative-arioso, while Akebare confirms his sacredness in a more pounding recitative-arioso, and this is followed by the attack of the quartet. The orchestra holds on to the C Major of the chorus, the mild and inspired peals of the harp commence, and the quartet begins as a trio: “Da sì caro e dolce istante” is first sung by the tenor, subsequently joined by the soprano, over a pure melody which stands firm in the first half-phrase and ascends in the second (reprised identically by the soprano in Torquato Tasso, again as a Larghetto on the tonic, with the words “Non ti sprezzo, se lo credi”). The bass Akebare cannot certainly not participate in this rosy tunefulness, and instead initiates the rite with the usual sequence of repeated notes, while below, the orchestra trembles with chromatically ascending sixteenth notes. At this point Empsaele rushes in and announces the horrific presence in the temple of a Pariah. With Zarete’s entrance, the quartet is now complete, also because the chorus is limited to a few incisive threats (“Non s’indugi al trucidar!”). Zarete begins with a Maestoso in Eb Major, singing “Morte io voglio”, but well before he finishes his generous tirade, Akebare joins in with “E un Dio gli porge ascolto!”, Idamore sings “La sua morte è sicura”, and Neala sings “Ei trema! Impallidisce!” This is am authentic quartet in the true sense of the word since each character says and sings his due, without symmetry, parallels, thematic exchanges or interchanges of tessituras (Zarete, for example, is higher than Akebare). Only in the last few bars does the orator indulge in faster notes with a few coloratura passages, while the others prefer to hold out half or whole notes. Even the close of the piece is slow, cautious, almost unexpected. Prompted by Idamore, Neala dares to ask that the old man be pardoned, Idamore declares to be the son of the desecrater, Akebare orders that all three (and not only the two illdoers) be put to death, and thus the stretta of the quartet is set in motion: “La sorte di noi miseri”, an Allegro giusto in C Major, gripping and desperate in its melodic and iambic design and rhythmically precipitous, unites the son and the daughter with their respective fathers (and will also form the stretta of the second finale of Torquato Tasso). The last two verses of the chorus, “Giorno sì fiero e rio / su l’Indo mai spuntò!”, did not in Donizetti’s opinion deserve to be carried over from the libretto to the score, since they would risk transforming the quartet into a concertato. Yet, he could not do without the last two verses of Akebare who, after proposing to his dishonorable daughter a sort of rehabilitation in eternal darkness, murmurs “Regno! L’impero è mio! / Di più bramar non so!”. Tragedy and parody Donizetti’s career vaunted many other artistic accomplishments beside that of Il Paria, produced at La Scala and at the Teatro San Carlo, with Romani and Cammarano, an example of Italian and French styles. This Paria, however, whose destiny resembled that of the neglected caste after which it was named, provided the hand of its author with various arrows, which were hid away in his ample quiver only to be sent flying towards the dramas of Anna and Lucrezia, Lucia and Belisario, Poliuto and Don Sebastiano. Never, without question, was the musical theater of Donizetti farther from the classics and the ruling models of Metastasio and Rossi, Mozart and the serious Rossini, a master like Mayr and a collaborator like Romani. In conclusion, a succinct profile of Il Paria might be summed up thusly: a melodramma (according to the libretto) whose dramatic lines are sure, decisive, unique and original. The action takes place almost entirely abroad, among woods and temples. As a whole, it respects the famous Aristotelian unities, beginning one morning and ending the next. Within an exotic context, it portrays a tale whose elements are social, religious, humanitarian, and psychologically transparent, and it brings this tale to a rapid and baneful end. It consists of few tableaus, few scenes, few musical numbers, few choruses. It departs from convention both in regard to the concertato and rondò of the finale and to the purely decorative use of the chorus. The recitatives are changeable and tend towards the arioso. In the cantabile sections, there is an abundance of Larghetto tempos, and the melodic design makes use of ascending and descending lines and repeated notes as well as combinations of various close but restive intervals. In the cabalettas and the strettas, the composer brandishes all of his rhythmic arms (over limpid designs which will be maintained in later operas), but he never indulges in vocal virtuosity at the expense of going against the contemporary practice of bel canto. What is truly important in this opera is the solid musical presence of the quartet. “The finale of Il Proscritto, which is a trio, is very effective on stage […]”, wrote Donizetti to Mayr on 2 February 1828, referring to L’Esule di Roma. He continues: “Next year I will finish the first act with a quartet and the second with a death in my own style. I want to shake up the yoke of finales”. The following year, to tell the truth, Il Paria ended the first act with a duet, and the idea of the quartet was passed on to the second finale, which did not represent a death directly but, unfortunately, left it unequivocally implied. Years later, Donizetti had the opportunity to return to that work which, though unsuccessful, had given him the most satisfaction, and in this he followed the common contemporary practice of both parody and personal reminiscence. As for parody (aside from those examples which we have pointed out here and there in the course of this analysis of the opera’s principle numbers), one may add that the chorus and dance from the first act were retrieved by the author in a reprise of Il Diluvio universale by Gilardoni (Naples, 1830), in a production in Genoa of 1834. Indeed, they were added by the author himself in the copy of the score preserved in the Ricordi archives (the autograph manuscript remained in Naples). In addition to Sofronia from Torquato Tasso (and a bit of the initial chorus, “Due rivali, un invidioso”), Donizetti applied the lovely theme from the quartet to a trio of a comic opera by Gilardoni, La romanzesca e l’uomo nero (Naples, 1831), and also, almost identically, to the phrase sung by the protagonist in Marino Faliero (Paris, 1835) who, in the last duet, says “Santa voce al cor mi suona” (in F Major, beginning again on the tonic). Thus Il Paria was forgotten, dismembered, parodied. Perhaps more than a drama or an opera of action, its true nature was that of a mournful tragedy. It was certainly a dialectic opera, especially thanks to the discourses of Idamore and Zarete, but hardly very dynamic; a fine piece of work for the tragedy’s typically doleful finale, the classic finale suitable for acting, the romantic finale suitable for singing. All told, Il Paria, despite its definition, is already a “lyric tragedy”, like so many written by Romani and Cammarano from Anna Bolena onwards, rather than a dramma per musica, an opera seria, a melodramma (Lucia di Lammermoor will be called a dramma tragico, and Maria di Rohan a melodramma tragico). Gloomy and violent in both text and music, limpid and clear in its ethical and aesthetic message, the magnanimous Il Paria dared to pronounce in the presence of the Bourbon court: “di volubil sorte / schiavo […] il grande”. This fleeting reference to Rossini (in the recitative preceding Isabella’s aria in L’Italiana in Algeri) suggests a title borrowed from La Cenerentola (where Angelina stutters “quel ch’è padre non è padre”), and thus Il Paria continues to raise a single, though fortunately meager, doubt: since the drama surrounding Idamore and Zarete is one and the same, and since the art of Lablache was in no way inferior to that of Rubini, why not call the opera I due Paria? LA TRAMA THE PLOT ATTO PRIMO. Akebare, sommo sacerdote e capo della tribù dei Bramani, esce dal tempio con sei di questi, pregando il dio di proteggere l’eroe vincitore dei nemici che sta per giungere; i Bramani vanno ad accogliere le varie tribù e Akebare, fra sé e sé, si rammarica dei successi di Idamore presso l’esercito e il popolo, a causa dei quali il suo potere scema, per poi rientrare nel tempio. Intanto i Bramani, i Sacerdoti, le Sacerdotesse pregano a lungo il dio protettore del loro popolo, nemico agli invasori Portoghesi. Solennemente, Akebare si mostra poi al popolo; d’improvviso si vede passare Neala, la figlia di Akebare destinata al culto del Sole, che fugge come se fosse inseguita. Calmata dal padre, la fanciulla racconta un sogno: mentre faceva un sacrificio sull’altare, a un tratto la fiamma impallidiva, il tempio si scuoteva e un aspide la incatenava ignominiosamente a un Paria. Fingendo ispirazione, Akebare dichiara sciolta dai voti la fanciulla e la destina in sposa a un valoroso guerriero (cioè ad Idamore, che Akebare pensa così di poter dominare). Neala sa che Idamore non si è mai piegato ad Akebare, e dispera che lo sposo scelto possa essere lui. Neala rimane sola con la fedele Zaide e le Sacerdotesse, e d’improvviso vede un vecchio in cattivo arnese scendere da una collina. È Zarete, che cerca spasmodicamente il figlio perduto e si inginocchia presso un idolo, ma quando apprende da Neala di essere davanti al tempio di Brama fa per fuggire (essendo lui un Paria, un appartenente alla disprezzata tribù inferiore e proscritto dal luogo, pena la morte). Frattanto il bramano Empsaele viene ad annunciare l’arrivo del vincitore Idamore, e Zarete capisce che si tratta del figlio, assente da casa da ben cinque anni. Le donne si ritirano (non prima che Neala abbia lasciato un messaggio per l’amante). Zarete gioisce perché, comunque sia, sta per rivedere il figlio amato. Nella scena successiva, presso il tempio di Brama, Idamore, solo, esultante per la vittoria riportata e per l’amore conquistato, trova e legge il messaggio dove Neala gli comunica la sua volontà di morire: si dispera, ma poi riesce a rasserenarsi. Rientra quindi in scena Zarete, che si sdegna a vedere il figlio vestito come un nemico; commosso, Idamore gli comunica che, partito da casa per vedere la grande città, aveva combattuto contro i Portoghesi con tale valore da meritare il grado di generale dell’esercito indiano, e non era tornato a causa dell’amore per una fanciulla. Purtroppo, è la figlia di Ikebare, l’acerrimo nemico dei Paria. Intanto si sentono i Sacerdoti che imprecano contro i Paria aborriti: Zarete impone al figlio di fuggire con lui e Idamore promette, ma solo dopo aver visto Neala un’ultima volta. ACT ONE. Akebare, high priest and chief of the Brahmans’ tribe, leaves the temple with six Brahmans, praying, together with them, their God to protect the incoming hero, winner of the enemies. The Brahmans welcome the various tribes, while Akebare, in his thoughts, regrets Idamore’s success to the army and the people, because of which his power looks diminished; then he enters the temple. The Brahmans, the Priests and the Priestesses pray at God, protecting his people against the Portuguese which are invading the country. Akebare shows himself to the people in his majesty, but, all of a sudden, Neala, Akebare’s daughter devoted to the cult of the Sun, breaks through as if somebody was running after her, and has words of terror. Calmed down by her father, the girl exposes a vision she had: while she was attending to a ceremony on the altar, the flame became feeble, the temple shook and an asp shamefully chained her to a Pariah. Pretending to be inspired, Akebare releases her daughter from her vows and gives her in marriage to a valiant warrior (he thinks of Idamore, certain, in this way, to dominate him). Neala knows that Idamore has never obeyed to Akebare, therefore despairing that he will ever become her spouse, still she’s aware that her life without him will be nonsense. Neala is left alone with her faithful Zaide, and so she suddenly notices an old miserable man walking down the hill. He’s Zarete, who desperately looking for his lost son; learning from Neala that he is in the nearby of Brahma’s temple, he tries to escape (as he’s a Pariah, that is to say belonging to the wicked inferior tribe and not allowed in that place under penalty of death). Brahman Empsaele comes to announce that the victorious Idamore is back; Zarete realizes that it’s his son, who left the family five years before. The women retire (not before Neala had left a message for her lover). Zarete rejoices because, at any rate, he will soon see his beloved son again. By Brahma’s temple, Idamore exults for his victory and for his conquered love; when he finds and reads Neala’s message, announcing her will to die, after a first desperate reaction, gets reassured. Zarete comes in, very offended by the sight of his son dressed up like an enemy; moved to tears, Idamore confesses him that, after having left home moved by the curiosity of seeing the town, he had fought against the Portuguese so bravely to deserve to become a general of the Indian army, and that he had not returned home for love of a girl. Unfortunately, she’s Akebare’s daughter, the Pariahs’ worst enemy. In the meanwhile, the Priests raise a litany against the wicked Pariahs; Zarete, as a consequence, orders his son to escape with him. Idamore promises, but only after having seen Neala for the very last time. ATTO SECONDO. Da Ikebare Idamore apprende con gioia che gli è stata destinata in sposa Neala, e poi rimane solo. Nella scena successiva Idamore rivede l’amata: la fanciulla esulta all’inaspettata notizia, assicura di amarlo non come capo dell’esercito ma come giovane virtuoso, lui incalza e immagina che lei provi pietà per i poveri Paria e poi si svela come tale lui stesso. Neala prima inorridisce, ma poi si arrende all’amore e accetta di fuggire con l’amante subito dopo il rito nuziale. All’interno di un tempio scavato nel monte e mezzo distrutto, sulle cui pareti stanno scolpite le stragi dei Paria, Zarete aspetta il figlio che non viene, impreca contro di lui, ricorda le persecuzioni subite; poi vede e sente passare i Sacerdoti che inneggiano al matrimonio fra Neala e Idamore, e vieppiù sdegnato decide di entrare nel tempio e di svelarsi come Paria allo stesso Ikebare. Ma Idamore purtroppo non è riuscito a mettersi in comunicazione col padre. Ikebare gli conduce Neala e comunica ai Bramani che il promesso sposo della figlia appartiene alla tribù delle Armi: i due si inginocchiano e comincia il rito. Ma ecco Empsaele che ha avvistato un Paria nel tempio. Nello sgomento generale viene condotto Zarete, che con orgogliosa energia difende la tribù dei Paria e condanna l’odio ingiusto di cui è fatta segno da sempre. Akebare e il Coro sono fuori di sé, Neala guarda Idamore immaginando che conosca Zarete, Idamore chiede sottovoce a Neala di salvare il povero vecchio. Neala si getta ai piedi del padre inorridito, ma Idamore ferma le guardie che stanno per catturare il padre, getta la spada e si dice figlio dell’uomo, chiedendo pietà almeno come difensore della patria. Gli dèi hanno maledetto i Paria, risponde però Ikebare: Idamore e Zarete sono trascinati verso una morte abominevole, Neala s’appresta a seguirli, Ikebare ha raggiunto il potere supremo. ACT TWO. Idamore learns with joy from the Priest that he has been given Neala in marriage. In the following scene, Idamore meets again his beloved: the girl rejoices the unexpected news, and reassures him that she loves him not as the chief of the army but because of his virtue. Pressed by him, who imagines that she might feel pity for the Pariahs, he reveals to her that he belongs to this caste. At first Neala is filled with shame, but she later gives up to her feelings and accepts to run away with him soon after the nuptial ceremony. In the interior of a temple, its walls engraved with scenes of the massacres of the Pariahs, Zarete waits for his son who’s late to come; and he curses him, remembering the prosecutions he underwent; then he sees and hears the Priests passing by and cheering to the marriage between Idamore and Neala. Blind with rage, he decides to reach the temple and to reveal to Akebare his condition of Pariah. Idamore, unfortunately, did not manage to inform his father of the happenings. Akebare brings Neala in and informs the Brahmans that his daughter’s bridegroom belongs to the caste of the warriors: both of them kneel down and the rite begins. Empsaele breaks in announcing that a Pariah has been seen inside the temple. Everybody is astonished. Zarete is brought in. With pride and force he defends the caste of Pariahs and condemns the hate that there’s always been against them. Akebare and the Choir are completely upset. Neala, supposing that Idamore may know the man, looks at him, and Idamore whispers to her to save that poor old man. Neala throws herself at the feet of her horrified father. Idamore stops the guards, who are going to arrest his father, throws away his sword and announces to be the old man’s son, invoking pity on him as defender of their native country. Akebare, in answer, says that the Gods have damned the Pariahs: Idamore and Zarete are condemned to an horrible death, Neala joins them, while Akebare has finally reached the supreme power. IL PARIA Personaggi/Characters: AKEBARE, sommo Sacerdote, capo della tribù de’ Bramani....................... basso padre di Neala / High Priest, Chieftain of the Brahmans and Neala’s father NEALA, destinata al culto del Sole / devoted to Sun cult ......................... soprano ZARETE, padre d’Idamore/ Idamore’s father ........................................... baritono IDAMORE, capo della tribù de’ guerrieri / chief of the warriors’ tribe ...... tenore EMPSAELE, Bramano, confidente di Akebare ............................................ tenore Brahman, Akebare’s friend ZAIDE, Sacerdotessa / priestess ...................................................... mezzosoprano Coro di Bramani, Sacerdoti, Sacerdotesse, Baliadere, Balok, Trombettieri, Guerrieri, Popolo, Custodi del Tempio, Fachiri. L’azione è presso Benarez. Chorus of Brahmans, Priests, Priestesses, Bayaderes, Balols, Buglers, Warriors, People, Guardians of the temple, Fakirs. The action takes place in Benarez. ATTO PRIMO ACT ONE SCENA PRIMA SCENE ONE Bosco foltissimo di palme. A destra dell’attore, vestibulo del tempio di Brama. A sinistra, principio di strada che conduce a Benarez. In fondo monti e colline. Sorge il Sole. Akebare con sei Bramani discende dal tempio, e tutti inginocchiati e rivolti al simulacro del nume dicono: A grove of closely-planted palms. To the actor’s right hand side, the vestibule of Brahma’s temple. To the left hand side, the street leading to Benarez. In the background, mountains and hills. The Sun rises. Akebare, together with six Brahmans, descends from the temple; kneeling towards God’s temple, they say: CORO CHORUS In questa a te sacrata antica selva, Dove natura più diffonde il verde, Nume, accogli il mortal, che offerte arreca Pe’ conquistati allori, Or che per l’etra i suoi corsieri adduce L’apportator d’auro, feconda luce. (I sei Bramani si dividono per dare ingresso alle varie Tribù. Akebare solo s’avanza, e fra sé ripiglia:) In this ancient grove, hallowed to you, where nature spreads its utter green, oh God, accept a man, bringing offerings for the conquered laurels, right now that, across the sky, the gold-fingered deity, the rich light, rides his horses. (The six Brahmans split giving the way to the other tribes. Akebare alone steps forward, talking to himself:) AKEBARE AKEBARE Che giovommi il sudar sugli altari, Se il superbo Idamore ha l’impero Sulle schiere, sul popolo intero, Né la fronte a me volle piegar!… Oggi ei riede!… E fra nuovi trofei!… Il potessi domare, annientar!… Ma s’avanzan le turbe festive… Creda il volgo me intento a pregar. Idamor, se il potessi annientar! (si ritira nel tempio) What did I bent on the altars for, if the superb Idamore has the power on the armies, on the whole people, and didn’t want to bend his brows to me! And here he’s back! With new triumphs! If only I could tame him, wipe him out! But the rejoicing crowds are approaching! Let people believe i’m intent on prayers! Idamore, ah, may I destroy him! (he retires in the temple) SCENA SECONDA SCENE TWO Bramani, Sacerdoti, Sacerdotesse, e Custodi, Trombettieri e guerrieri. Le Baliadere ed i Balok arrivano danzando. Il popolo ed i Fachiri arrecano le offerte al Nume. Brahmans, Priests, Priestesses, Guardians, Buglers and warriors. The bayaderes and Balol come in dancing; the people, the Fakirs bring their offerings to the God. BRAMANI, SACERDOTI, SACERDOTESSE BRAHMANS, PRIESTS AND PRIESTESSES Al Monarca Sovrauman, Re de’ Numi, Dio Signor, Che fia sempre, ed era già Pria che ‘l tempo avess’età; Che ad un fiato, ad un respir Puote il mondo far crollar, Polve l’uomo addivenir, Corpo l’ombra ritornar; Al grand’astro che primier Sulle sfere sfolgorò, L’orbe cieco illuminò, Fu del giorno il condottier, Le stagioni variò, Al creato dié color; Al cui riso, al cui fulgor L’universo s’animò; Danze, e giuochi, ed inni, e voti, Trombe, cetre, ed oricalchi, Tutti spieghino, devoti, Il gioir d’un sì bel dì, Che fra lauri mireremo Ritornar nella cittade Vincitrici quelle spade, Che per l’Indo ognun brandì. To the Superhuman Monarch, the king of deities, Kingly God; who has always been, and was before the age of times; at its sigh, at its breath the world may even crumble; man become dust, shade be embodied again; to the prince of stars who first blazed in the spheres, enlightened the blind globe; the condottiere of the day, it who created seasons; and gave colour to creation; for its laugh, for its splendour life begun in the universe; Dances, and plays, and hymns and vows, trumpets, lyres and brass, may everybody explain, with devotion, the joy of such a beautiful day ‘cause with laurels we will admire returning in our city those victorious swords that everybody took for Indus. TUTTI ALL Tu mirasti il Lusitan Scior le vele all’Oceàn, Ed audace qui venir I tuoi templi a incenerir, Discendesti, e ‘l patrio acciar Di tua possa si vestì; Di nostr’armi al balenar Cadde l’oste, impallidì. Tu ascoltasti il pio guerrier, Che smarrito t’invocò, E ‘l tuo raggio lo guidò Di vittoria pel sentier; La tua fiamma divampò De’ tuoi figli in ogni cor, E la destra d’Idamor Vinse, spense, trionfò. Lode a te che nel periglio Desti invitto difensore, Che di sangue ostil vermiglio Tinse il Gange, lo salvò. Lode a te che nel tuo petto Incendesti tue scintille, Onde all’ombre a mille a mille Gli inimici tramandò. You saw the Portuguese loosing the sails to the Ocean, and coming here, audacious, to burn down your temples; You descended, and our patriotic swords were swollen with your puissance; to the glittering of our weapons the offender fainted, fading. You heard the loyal warrior invoking you, bewildered; your ray drove him onto the path of victory; your flame broke out in the hearts of your breed, And Idamore’s right hand won, defeated, triumphed. Praise be to you, who, in the danger, gave us an invincible defender; who made Ganges waters become red with the enemies’ blood, and saved it. Praise be to you, who sent off your sparkles in his heart; for which he sent to the Shades thousands and thousands of them. (dalla soglia del tempio) Il Pontefice degna THE BRAHMANS I BRAMANI (on the temples threshold) The Pontiff does you the honour A voi mostrarsi, o popoli, Umìle a lui si prostri ognun. (Tutti s’inginocchiano). of showing himself, peoples! May everybody kneel at him, humbly. (Everybody kneels). SCENA TERZA SCENE THREE Akebare, infine Neala. Akebare, then Neala. AKEBARE AKEBARE Sorgete. Brama, non men che l’igneo Dio gradisce I cantici pietosi, gl’innovate, Allor che il patrio suolo Ricalcheran le trionfanti squadre. (discende dal tempio, e venendo innanzi) Ma… Neala?… Che miro!… Par che l’insegua alcun!… (Neala viene dal soggiorno delle Sacerdotesse, come se fosse perseguita. Poi si ferma, guarda di nuovo dond’è venuta, si copre il volto per l’orrore, passa dalla parte opposta ov’è Akebare, e senza accorgersi ch’è il padre si tiene a lui abbracciata). Tu tremi?… Piangi?… (si scuote alla voce del padre, e con rispetto si scosta a poco a poco) Svela al supremo in fra i ministri sacri Qual ria cagion sì ti rattrista, e t’ange?… Raise. Brahma, as well as the God of Fire, accepted, the devoted hymns, renew them, when the winning armies will step on the native soil! (he descends from the temple, and stepping forward) But... Neala?... What do I see? It just looks as if somebody’s running after her!... (Neala comes from the Priestesses’ hall, as if she was pursued; then she stops, looking around at where she came from. She covers her face in horror, steps on the opposite side where Akebare is and, without realizing that it’s her father, holds him). You shiver!... You cry?!... (she shakes out at her father’s voice, leaving respectfully her father’s arms) Reveal to the supreme priest what’s that makes you so sad, and hurts so bad? NEALA NEALA Orrendo sogno!… Vision tremenda!… Horrid dream! Terrible vision! AKEBARE AKEBARE Che mai t’apparve? Di’… What ever appeared to you? Tell me! NEALA NEALA Sì. Tutti udite… Non ho forza… Yes. Listen you all... I am not strong enough... AKEBARE AKEBARE Obbedisci. Obey. NEALA NEALA Inorridite: Parea che mentre l’àloe Mia destra all’ara desse, A un tratto fosca e pallida La sacra fiamma ardesse!… Lunge fuggisse il tripode, Il tempio si scuotesse!… Ahi, più non posso dir… Mi manca già il respir!… You will be shocked: it seemed to me that while with my right hand, I was pouring aloe on the altar, all of a sudden the sacred flame became pale and shadowy... and the tripod would slip away and the temple shook! Ah, I can’t say more... I can’t breathe! AKEBARE AKEBARE (Un lampo a quell’accento Balena al mio desir). (A stroke to these words flashed to my mind). TUTTI ALL A quel sinistro accento Mi sento abbrividir! (a Neala) Prosegui. To those ominous words I feel shuddering! (to Neala) Go on. NEALA NEALA S’avventa al core un aspide, Lo squarcia, l’avvelena; E gemebonda a un… Paria!… M’annoda, m’incatena! Sfonda il terren, precipito, Dannata a eterna pena! Ahi, che m’agghiaccia il cor L’idea d’un tanto orror! An asp clings to the heart, shatters it, poisons it; and wires me and chains me to a Pariah, me shivering! And the earth caved in, and I fall, condemned to eternal punishment! Ah, my heart turns into ice to idea of such an horror! TUTTI (ad Akebare) O tu, luce del vero, Interprete del Ciel, Deh spiega un tal mistero, Sgombra l’arcano vel. ALL (to Akebare) Oh, you, the light of the truth, prophet of the Heavens, unravel the mystery disclose this secret veil. AKEBARE (fra sé) (Porga a Idamor la mano, Sposo lo stringa al sen. Prestigio falso e vano Serva a un privato ben). AKEBARE NEALA (fra sé) (Me, che agli altari tuoi Seppe Idamor rapir Punisci, o Dio, se il vuoi, Ma rea non mi scovrir!) NEALA (to herself) (You’d rather punish me, whom Idamore could tear from your altars, oh God, if you like, but don’t reveal my sin!) AKEBARE (in tono ispirato) Onde al trionfo rendere Compenso eccelso, eletto, Neala i Numi vogliono Sposa a un eroe guerrier. AKEBARE NEALA NEALA E fia costui? Is it him? AKEBARE AKEBARE Quell’inclito che vive May it be known (to himself) (May she give her hand to Idamore; may she hold him as a spouse! May a deceitful and vain prestige serve to a private purpose!) (claiming to be inspired) May Neala be released, and free, from her vows, from the temples, Gods allows her to be a warrior’s bride! ognor soggetto del padre, del Pontefice al divo e sol poter. when, from the altar, you will swear to obey to me as interpreter of God, and my only will. TUTTI ALL (Favor sì immenso a cogliere Non havvi che Idamore. Ei forte, prode, ed inclito, E’ d’ogni eroe maggior). (No one but Idamore might tighten such a tie. He, the strong, brave and bold is the greatest hero!) NEALA NEALA (Ahi lassa! Son pur misera! No, che non è Idamore! Ei mai non volle cedere, piegarsi al genitor! Ah che un raggio di speranza Più non veggio, non m’avanza! Oh Neala sventurata, E vivrai senza Idamor? No, la vita io non desìo, Se non è dell’idol mio; Solo accanto a lui respiro; Per lui solo io sento amor). (Alas! I’mreally wicked! No, he can’t be Idamore! He would never surrender, bow to my father! Ah, no longer can I see a gleam of hope no more! Oh poor Neala, shall you then live far from Idamore? No, it’s not life that I wish if not with my idol; I can’t breath if not at his side; For him only I feel love). AKEBARE AKEBARE (M’è pur grave ad un che aborro Dare ancor la stessa figlia! Ahi che il core nol consiglia, Ma chi regna ha schiavo il cor!) TUTTI Già festoso vola amore, Già inghirlanda, tesse, e intreccia Colla rosa, colla freccia La beltade, ed il valor. AKEBARE Gemina pompa nel gran tempio adunque Al ritornar delle vittrici insegne A compier, Sacerdoti, v’apprestate: E l’onor del trionfo Alle temute schiere; E ‘l nodo che inspirommi dalle sfere Il nume. Intanto ogni tribù si renda Fuor de la selva, e il vincitore attenda. (Akebare co’ Bramani rientra nel tempio. Tutte le altre Tribù si ritirano. Neala, Zaide e le Sacerdotesse rimangono in scena). (It’s so hard for me to give my daughter in marriage to the one I hate! Ah, in my heart I would never agree but let my heart be slave to will!) ALL Love already flies magnificently, and makes a garland, weaves and twists the rose with the arrow beauty with valour. AKEBARE O Priests, you are going to celebrate a double ceremony in the major temple when the victorious army will return: both the honour of triumph to the fearsome ranks; and the tie that God inspired to me from his heights. On the meanwhile, may each tribe leave the woods, and await the winner. (Akebare and the Brahmans enter the temple. All the other tribes leave. Neala, Zaide and the Priestesses stay on stage). NEALA NEALA (Sì, decisi… Nulla, tranne Idamor, mi fia consorte!) (Yes. I took my decision... No one be my husband, but Idamore!) ZAIDE ZAIDE Neala? Ah, perché mai nel dì più lieto Quel palpitar frequente, e irrequieto? Un ridente avvenir non t’offre?… Neala? Oh why, in your happiest day, you shiver, and tremble? Isn’t life offering you delightful prospects? NEALA NEALA Oh cara, Qual mai compenso v’ha che adegui appieno L’età dell’innocenza, Ch’io qui trascorsi a voi compagna? Amiche, Ah pria che v’abbandoni, (e chiuda i lumi!) Dell’amor mio ciascuna un pegno s’abbia. Questo monile il cui lavor lodavi, (Sulla collina compare Zarete. La prima a scorgerlo è Zaide). Delide è tuo; e a te Zaide… Oh, darling, what on earth may be a fit reward to the age of innocence, that ìve been living together with you? Oh my friends, before I leave you (and close my eyes!) may each one have a pledge of my love. Delide, yours will be this jewel whose working you appreciated; (Zarete makes his appearance on the hill; Zaide is the first one to catch sight of him). And to you, Zaide... ZAIDE ZAIDE Un veglio! Uno stranier! An old man! A foreigner! NEALA NEALA Il suo sembiante, gli atti Son d’uom, che d’alta pena vien consunto. His look, his manners are those of a pained man! ZAIDE ZAIDE Del sacro cinto oltrepassò la meta! Tosto si rieda, o suore… He crossed the threshold of the sacred enclosure! Let’s return immediately, oh sisters! NEALA NEALA E che? Un vegliardo Privo d’ogni difesa, Potria destarvi tema?… Prestiamgli aiuto. Egli compianto ispira. Mirate. E’ prono al suol! Geme! Sospira! What? Does an old man, defenceless, scare you? Let’s give him help. He rather moves to pity! Look! He lies on the ground! He moans! He sighs! SCENE FOUR SCENA QUARTA Zarete knelt before an idol, and the aforesaid. Zarete inginocchiato a pie’ di un Idolo, e dette. ZARETE ZARETE Tergi, o Dio di pietà, tergi il mio ciglio, Rendimi il caro figlio. Dimmi, o Nume, ove sta? Dove s’aggira? Dimmi se ancor respira? Questo avanzo d’età, deh fa’ che almeno, Vada in tomba sereno. Oh Lord of mercy, wipe, wipe my tears, give me back my beloved son! Tell me, oh God, tell me, where is he? Where does he go? Tell me if he’s still alive? This short life I still have to live, please let me live it in peace at least! NEALA, ZAIDE E SACERDOTESSE NEALA, ZAIDE AND PRIESTESSES Chi fia? Chi mai sarà? Si strugge in pianto! Al simulacro accanto! Who is he? Who ever shall he be? He’s melt into tears! Beside the simulacrum! NEALA NEALA Qual tu sia, qui t’inoltra. (Come quell’egro aspetto, Mi desta in appressarsi, ignoto affetto!) Whomever you may be, come here! (What an unknown, tender affection does his sick look inspire to me, while I’mapproaching him!) ZARETE (dopo essere disceso al piano, e aver fissato attentamente il guardo sul vestibulo del tempio) (Che miro! Ah non m’illudo!) Oh vergini pietose, deh mi dite, E’ questo forse il bosco?… ZARETE (after having descended, staring at the temple hall) (What do I see! Oh, I have no illusions) Oh pitiful virgins, tell me please, for your sake, is this the sacred wood? NEALA NEALA Sacro a Brama. Sacred to Brahma. ZARETE ZARETE (Ahi dove sconsigliato Spinsi le piante! Ahi dove, tu Idamore, Il padre trascinasti?… Di qui proscritto il Paria, Se il Braman lo ravvisa, morte riceve in dono Dal feroce Akebare! E un Paria io sono! Si fugga!…) (Ah, where, me crazy, have I opened my way to, through the branches! Ah, Idamore, where did you bring your father? A Pariah, banished from here, if he’s seen by the Brahman receives death as a reward by fearsome Akebare! And I’ma Pariah! Let me escape!) NEALA NEALA E a che da noi, che men dovresti Temer, t’involi alto terror spirando? And is it us, whom you should least be afraid for, that you want to flee, in your dread? ZARETE ZARETE Deh credi, è il cor che, Ovunque il passo io mova, Pace non mai rinvien, più duol ritrova! Believe me, it is my heart that, wherever I take a step, cannot find its peace, and renews its pain! NEALA NEALA E la cagion? What for? ZARETE ZARETE Perduto ha un ben… It lost its love... NEALA NEALA Ti calma, Il riavrai se da un mortal dipende. Calm down. You will get it back, if it depends on a man. ZARETE ZARETE Un solo il puote. Io lo sperai finora, Ma fra ‘l pianto, e ‘l lamento, Invan cittadi e… Qual marzial concento? One only person can. I kept hoping, still among the tears and the laments in vain towns and... What’s this martial event? NEALA NEALA (Ah! Giunse l’idol mio!) (Ah! My idol was back then!) SCENE FIVE SCENA QUINTA Empsaele, and the aforesaid. Empsaele e detti. NEALA NEALA Che mai rechi Empsael? What do you bring Empsaele? EMPSAELE EMPSAELE Nunzio son’io Ad Akebar del trionfal ritorno D’Idamore… (entra nel tempio) I bring to Akebare the announcement of Idamore’s triumphal return... (he enters the temple) ZARETE (in disparte) Idamor! (a Neala) Dimmi, de l’armi? ZARETE (aside) Idamore! (to Neala) Tell me, about the army? NEALA NEALA È il primo Duce. He’s the first Chief. ZARETE ZARETE E un lustro or compie?… And is it five years eversince?... NEALA NEALA In Balassor pervenne. He got to Balassor. ZARETE ZARETE (E’ desso!) (It’s him!) NEALA NEALA Ti è noto? Do you know him? ZARETE (rimettendosi) Ah sì, m’è grato Rivederlo… ZARETE (recovering) Oh yes! I’m glad to see him again... NEALA NEALA Compagne N’andiam. (Trov’Idamore al loco usato Il simbolico intreccio, e apprenda in quello Il voler d’Akebare, Non men che il mio pensier!) My dear companions, let’s go. (May Idamore find at the usual place, the symbolic plait, and from that may he learn Akebare’s will, and mine as well!) ZAIDE ZAIDE Si torni all’are. (Neala, Zaide e le Sacerdotesse si ritirano. Appena Zarete rimane solo, Let’s go back to the altars! (Neala, Zaide and the Priestesses dandosi in preda alla gioia:) retire. Left alone, Zarete gives vent to his joy:) ZARETE ZARETE Il figlio è qui! Io lo vedrò? In questo dì! Lo abbraccerò?… Ah no, che il core Non regge in petto! Maggior diletto Bramar non sa! E tanta gioia In tal momento, Ogni tormento Scordar mi fa! (parte) My son is here! Shall I see him? Today! Shall I hold him? Ah, my heart can’t hold out! It can’t figure any greater joy! And such a happiness in such a moment makes me forget every torment! (he leaves) SCENA SESTA SCENE SIX Parte esterna del tempio di Brama, circondata di monumenti sepolcrali. Idamore venendo dalla città si avanza con precauzione. The exterior of Brahma’s temple, surrounded by monumental graves. Idamore, coming from the city, walks in with caution. IDAMORE Là dove al ciel si estolle Per mille e mille ripetute grida, Di plausi adorno d’Idamore il nome, Stupido il cor parea di vita privo! Qui dove il salce sull’avello piange, E delle tombe il sol silenzio regna, Palpita in sen, tutto divampa e m’arde! Sì, più che onor d’impero, Puote forza d’amor! Delizia porge! Come vaghe a me rende Quelle soglie ove tragge il dì Neala! Caro quel marmo in cui ripor solea I suoi pensieri! Io mi vi appresso, e intanto Di gioia il ciglio dolce versa un pianto. (si appressa ad una colonnetta, trovata una ghirlanda la svolge, e trattone un foglio legge) “Brama scioglie i miei voti. Sposa me dona il padre ad un che ignoro. Ma fida a te son’io. Senza poter vederti, io moro. Addio”. (gli cade il foglio di mano e rimane colpito) Lontano, io più l’amai… Pugnando, a lei pensava… Ferito, io la chiamava… Vinceva, e lei vedea… Gloria, poter, trofei, Mentre recava a lei… A lei… soltanto… a lei… La perdo, e mia non è!… Ma no, non v’ha, o Neala, Chi possa a me involarti! Non v’ha chi, per ritrarti Donde sepolta sei, S’opponga a’ passi miei, Osi arrestarmi il pie’! Fin dove sorgono I sacri altari, Se pur ti avessero In braccio i Numi, Da lor disvellerti Io ben saprò! E ognor sorridere A me d’accanto Vedrò que’ lumi, Per cui quest’anima I primi palpiti D’amor provò. Ma chi è colui?… Nel manto il volto asconde! E con cammin sospeso Il passo avanza, e ‘l guardo torna indietro! IDAMORE There, where Idamore’s name was extolled to the heavens among the plauses of thousand and thousands acclaiming people, the heart, idle, looked as if lifeless! And here, where the willow weeps over the graves and the silence of tombs reigns alone, my heart beats, swallowed by a fire, and set me aflame! Yes, much more puissant of honour is the power of love! And gives such a pleasure! How dear does it make to me those thresholds where Neala spends her day! How dear is to me that stone she used to commit her thoughts to! I get closer, and in the meanwhile my eyes cry sweet tears of joy. (he gets closer to a little column, and unfolds the garland he found, reading from a paper he found into it) “Desire releases my vows. My father gives my hand to somebody I don’t know. But I keep faithful to you. I die without having seen you again. Adieu”. (the paper slips from his hand, and he remains frowned) The farthest I were, the most I loved her... Fighting, she was in my thoughts... Wounded, it’s her I called... Winner, it’s her I would see... Glory, power, trophies I would bring to her to her... only to her! I loose her, and never she’s been mine! No, there’s no one, Neala, who could bring me away from you! There is no one who, to get you out from the place yoùre buried in, can oppose to my steps, and stop my feet! Up to the place where sacred altars stand, should even the Gods hold you in their arms, I will find the way to get you out! And I will always see her eyes smiling at me standing by her, for her only my pour soul knew the first throbs of love! But who is that man? His face is hidden in the mantle! And he takes uncertain steps going forward, while looking backwards! SCENA SETTIMA SCENE SEVEN Zarete e detto. Zarete coprendosi il mento giunge, e nel vedere Idamore: Zarete and the aforesaid. Zarete, covering his chin, arrives, and at seeing Idamore from a distance: ZARETE ZARETE (Possibil mai! Qui solo!) (Is it ever possible! Me here alone!) IDAMORE IDAMORE (S’arresta!) (He stops!) ZARETE (avvicinandoglisi) (Oh sorte!) ZARETE (getting closer to him) (Oh destiny!) IDAMORE IDAMORE (A me s’appressa). (He’s getting closer to me). ZARETE ZARETE (È il figlio!) (It’s my son!) IDAMORE IDAMORE Stranier, che cerchi? What are you looking for, stranger? ZARETE ZARETE De’ guerrieri il Duce… The warriors’ Chief... IDAMORE IDAMORE Ciel! Qual voce! Good Heavens! This voice! ZARETE (proseguendo) Idamor… ZARETE (going on) Idamor... IDAMORE IDAMORE Fia ver? Is it true? ZARETE (scoprendosi il volto) Te stesso. ZARETE (unveiling his face) You yourself. IDAMORE IDAMORE Padre?… Father?... ZARETE ZARETE Il ravvisi?… Can you recognize him?... IDAMORE IDAMORE Oh gioia! O me beato! Deh stringimi al tuo sen… ZARETE (è per abbracciarlo, poi respingendolo) Ti scosta, ingrato! IDAMORE Mi fuggi? (guardando le vestimenta del figlio) Oh Numi, e mi serbaste in vita, Perch’io di duol morissi Nel rimirarlo sotto spoglia infida! ZARETE IDAMORE M’odi… ZARETE Snuda quel ferro parricida. (scoprendosi il petto) Qui, in questa ch’hai pur anco sul tuo petto Di Paria impronta, vibralo. E al gran Braman lo reca Con feroce sorriso, Tutto del sangue di tuo padre intriso!… IDAMORE Che parli mai? Deh credi, Opra del mio valore Armi e vesti cangiò, ma non il core! ZARETE E le stragi che un giorno i Sacerdoti Qui fèan, volendo noi Dal Nume maledetti, e ch’io narrate Ognor t’avea, ché spettator men fui, Potevi obliar?… IDAMORE What joy! Oh, blessed me! Hold me... ZARETE (on the point of holding him, then pushing him back) Stand aside, ungrateful! IDAMORE Do you flee me? ZARETE (looking at his son’s clothes) Oh Gods, and you kept me alive, so that I could die of grief, staring at him in this treacherous clothes! IDAMORE You hate me... ZARETE Draw your parricidal sword! (baring his breast) Here, in this mark of Pariah that you also have on your breast, deal your blow! And bring it to the great Brahman, with a cruel smile, soaked in your father’s blood!... IDAMORE What are you saying? Believe me, it was the work of my value to change my clothes and my weapons, but not my heart! ZARETE And what about the slaughters that the Priests did one day, as they wanted us to be wicked by the Gods, and that I also told you once, as I have been witness to them, how could you forget this all? Le rammentava, e tutto Vinse il desìo di contemplar d’appresso Questa cittade, e nelle pelli avvolto, Te lasciando pervenni in Balassorre. Il Lusitan guerra movea. M’offersi A battagliar. Pugnai. E al par della vittoria or or compiuta, Salvando l’Indostano, Dell’armi ognun m’elesse allor Sovrano. IDAMORE ZARETE ZARETE I remembered them, but my wish of staring at this town at close range was superior to everything else, and wrapped in pelts, after having left you I got to Balassorre. The Portuguese was at war. I offered myself to serve. And I fought. And as well as the victory just won, saving the Hindostan, I was acclaimed king of the armies. No, tutto obliavi… No, you forgot everything... IDAMORE IDAMORE Ah ch’io tornar volea. Ah, I was longing for my return. ZARETE ZARETE Menti. You are lying. IDAMORE IDAMORE E amor… Love... ZARETE ZARETE Amor!… Love!... IDAMORE IDAMORE Perdona… È rea Anch’ella per me… Forgive me... She’s also guilty because of me. ZARETE ZARETE Rea? Narra! Svela! Chi osavi amar?… Guilty! Tell me? Open your heart to me. Whom did you dare to give your love to?... (perplesso) Donzella… IDAMORE ZARETE ZARETE Prosegui. Go on. IDAMORE IDAMORE Ch’or da l’are… Who, now, from her vows... IDAMORE (undecided) A girl... ZARETE ZARETE Finisci. Go on. IDAMORE IDAMORE È sciolta… She’s been released... ZARETE ZARETE E il padre suo?… And what about her father? IDAMORE IDAMORE Che chiedi?… What kind of questions are these?... ZARETE (prendendolo per mano) Impallidisci? Tremi? Qual sospetto! Parla. Sarebbe mai? ZARETE (taking him by the hand) You are getting pale?! You shiver! What a suspicion! Speak. What’s the matter? IDAMORE IDAMORE Chi… sull’altare… De’ Sacerdoti è il pri… The one who... on the altar... Among the Priests is the first... ZARETE ZARETE Stelle! Akebare! D’un Akebar la figlia! D’un inimico acerrimo! Che l’aula fé vermiglia Del sangue tuo medesimo?… Quanto di più tormento Dall’uom crear si può! Tanto quel solo accento A darmi appien bastò! Good stars! Akebare! Right the daughter of that Akebare! Of my worst enemy! The one who made the temple red with the blood of your breed? What torments, always greater, can a man provoke? Just these last words of yours were enough to bowl me over! IDAMORE IDAMORE Ed è mai forse rea Un’innocente vergine, Ahi sol perché nascea Di genitor colpevole? Quanto Akebar veleno Nel core aver si può! Tanta Neala in seno Virtude ognor serbò! ZARETE Nel germe d’un crudele Virtù non mai discese! IDAMORE Dono del Cielo è questo, E non dell’uom favor. ZARETE Ahi stolto! (per andare) Ormai decisi!… IDAMORE Padre?… ZARETE Tel fui finor. Là in quelle sacre mura, Altri ten diede amor!… Là… (S’ode uno squillo dall’interno del tempio). Ma qual suon? Quai voci?… IDAMORE Del priego è l’ora… (inginocchiandosi) Ah Nume… ZARETE AKEBARE, BRAMANI E SACERDOTESSE (dal tempio) Salvi, o Nume, e ognor difenda La tua spada, Lo stuolo prediletto. La tua folgore tremenda Piombi, e cada Sul Paria maledetto. How can an innocent virgin be just culpable only because she was born of a guilty father? Such is the poison Akebare can have in his heart such is the virtue that Neala hosted in her heart. ZARETE In the seed of a cruel man there will never be virtue. IDAMORE This is a heavenly gift, and not men’s courtesy. ZARETE Ah, fool! (about to leave) I ‘ve already taken my decision!... IDAMORE Father?... ZARETE I have been until now. But over there, among those sacred walls other people gave love to you! There... (A trumpet blare is heard from the inside of the temple). What’s this sound? What are these voices? IDAMORE It’s time for prayers... ZARETE (kneeling) Ah, God... AKEBARE, BRAHMANS, PRIESTESSES (from the temple) May the beloved troops save, o God, and defend in every hour your sword. May your terrible thunderbolt plunge, and strike the wicked Pariah. ZARETE (sorto in piedi, e preso per mano il figlio) Udisti? Esulta! Ad invocar lo scempio Di stirpe inulta, Non vai tu pur nel tempio?… Tu delle squadre Primo e supremo Duce! Sovra tuo padre, Su chi ti diè la luce, L’empio anatema… ZARETE IDAMORE IDAMORE Taci! Né onor, né trono Virtude in me non scema! Ancor quell’io mi sono Che sempre odiai Questa de’ Numi prole! S’io t’obliai, Non più rivegga il Sole! Shut up! Neither the honours, neither power will diminish virtue in me! Me too, I am still the one who has always been hating the progeny of the Gods! Had I forgotten you, may I see the sunlight never more! (standing up and taking his son by the hand) Have you heard? Rejoice! Won’t you join the others, you yourself, in the temple, to invoke the ruin of an unrevenged breed? You, the supreme first chief of your ranks! May the wicked anathema fall upon your father the one who gave you life... ZARETE ZARETE Non m’obliasti? So you didn’t forget me? IDAMORE IDAMORE No! No! ZARETE ZARETE Seguimi adunque… Follow me then... IDAMORE IDAMORE E vuoi?… Do you want?... ZARETE ZARETE Trarti da un empio suolo! Get you out of an impious soil! IDAMORE IDAMORE Ahi duro cenno!… Ah, what a severe order! ZARETE ZARETE Risolvi! Decide. IDAMORE (fra sé) Oh pena! Oh duolo! Padre... Neala... IDAMORE ZARETE ZARETE Indugi? È figlia d’Akebar! Are you still lingering? She is the Akebar’s daughter! IDAMORE IDAMORE Lascerò colei che adoro? Che a me visse ognor fedele? Ahi per esser sì crudele Non dovrei più core aver! Dirle almeno io sol desìo Qual destino a lei m’invola; Una sola, estrema volta Io la bramo almen veder!) Shall I then leave the one I adore? Whòs always been living faithfully? Ah, to be so cruel I shouldn’t have my heart any longer! My only wish is to tell her, at least, which destiny draws me away from her. Once, just for the very last time I long for seeing her again!) ZARETE ZARETE Veggo ben che più del padre Caro estimi un folle orgoglio! Vivi all’ombra pur del soglio, Godi in grembo del poter! Moribondo nel deserto Cercherà tuo padre il figlio! Ed il figlio, in quel momento, Non potrà nemmen veder! I realize that, much more than your father, you value your crazy pride! You can, by all means, live in the shade of the throne, enjoy in the bosom of power! Your father, coming to death in the desert, will still seek his son! And his son, in that moment, won’t either be able to see him! IDAMORE IDAMORE M’ascolta… Listen... ZARETE ZARETE Ebben?… And so?... IDAMORE IDAMORE Ti seguo. Ma… I follow you. Still... ZARETE ZARETE Parla. Speak. IDAMORE IDAMORE Ove di piante Più folto è il bosco, in breve M’avrai… In a very short while, you will have me there, where the wood has its trees more closely planted... ZARETE ZARETE No. In quest’istante… No, right now... IDAMORE IDAMORE Deh t’arrendi, e mi concedi, Ch’io le dica solo: “addio”. Ahi! Se pure il labbro mio A dir tanto arriverà!… Poi fa’ pur de’ giorni miei Quel che più t’aggrada e vuoi, Sono tuoi, ma il fier dolore, Credi a me, li troncherà! Give up, and let me just tell her: “goodbye”. Ah! If only my mouth will even be able of saying that! Afterwards, you can by all means decide of my days as you think fit, they’re yours, but my harsh sorrow, believe me, will put them an end. ZARETE ZARETE Tel concedo; ma rammenta, Che capace ancor son’io Di dar fine al viver mio, Se tua fede mancherà; E quel suolo che a te porge De’ mortali il fren supremo Fia l’estremo, ch’io calpesto; Per me tomba diverrà! (partono dividendosi) I agree; still, remember that I am still able to put an end to my life, should you break your promise; and the same earth offering you the supreme limit of mankind will be the last one – for me to walk on it will become my grave! (they leave in opposite directions) (to himself) Oh, my grief! Oh my pain! Father... Neala... FINE DEL PRIMO ATTO END OF ACT ONE ATTO SECONDO ACT TWO SCENA PRIMA SCENE ONE Bosco come nell’Atto Primo. Notte con luna. Empsaele, ed Akebare. A wood like in act one. Night with moonshine. Empsaele and Akebare. EMPSAELE EMPSAELE Discendi. Get down. AKEBARE AKEBARE Ed Idamor? What about Idamor? EMPSAELE EMPSAELE Qui tel vedrai. (parte) You will see him here. (he leaves) AKEBARE AKEBARE Seggio d’impero! Sol tu puoi ridurmi A tanto estremo! Io stesso Offerirgli la figlia!.. Ma... sì... è desso. The empire throne! You only can compel me to that! Me myself, to offer my daughter to him! But... yes... it’s him. SCENA SECONDA SCENE TWO Akebare, ed Idamore. Akebare, and Idamore. IDAMORE IDAMORE Fra l’ombre della notte, E in questo loco, a sé Akebar mi chiede? Is Akebare calling for me, in this place and in the nightshade? AKEBARE AKEBARE Quell’Akebar, che tuo nemico credi. It is that Akebare you consider enemy. IDAMORE IDAMORE Quai detti! What words! AKEBARE AKEBARE Or t’offre quanto di più caro S’abbia. And he’s now offering you what he has dearest.... IDAMORE IDAMORE Che mai? What ever? AKEBARE AKEBARE La figlia. My daughter. IDAMORE (deponendo la sua dignità) Tu?... Neala?... IDAMORE AKEBARE AKEBARE Ov’è pago il tuo core, Lei consorte a te rendo al novo albore. Wherever your heart may content, take her as your bride at the making of dawn. IDAMORE IDAMORE (stringendogli, e quasi baciandogli la mano) Ah che bramar potrei di più? Tel sappi, da’ primi miei trionfi, Amore a lei m’avvinse, Quando del serto il crin sua man mi cinse! (grasping, and almost kissing his hand) What ever more might I wish? Please know, that ever since my very first victories, I was caught by love for her, since her hand crowned my head with laurel! AKEBARE AKEBARE A tanta pompa adunque Le schiere ancor fian pronte. (Piegasti pur superbo a me la fronte!) (si ritira) Be the army then prepared to such magnificence! (Even if superb, still you bent your brows at me!) (he leaves) IDAMORE IDAMORE Ei la figlia mi dona... E il padre?... Ahi lasso! Per fuggir m’attende. Ch’io qui venia seppe Neala intanto... Ed or la rivedrò? Che mai risolvo?.. Ah sì... Paria svelar mi deggio a lei... E certo io son che allor meco Neala... He’s giving me his daughter... And what about my father?... Alas! He awaits me to escape. But on the meanwhile Neala learnt that I was here... Shall I see her again now? What have I got to do? Oh yes... I must reveal her that I’m a Pariah... And I’m certain that Neala, then, with me... (losing his frown) You?... Neala?... SCENA TERZA SCENE THREE Idamore e Neala. Idamore and Neala. NEALA NEALA Idamor? Sul tuo labbro era il mio nome? Se il padre... Idamor? Was my name on your lips? If my father... IDAMORE (confuso) Non temer, compie i tuoi voti. IDAMORE NEALA NEALA Che! Ti spiega! What! Explain! IDAMORE (freddamente) Tuo sposo me destina. IDAMORE NEALA NEALA Ciel! Fia vero? Idamor! Sei mio! Tu taci? Figgi lo sguardo al suol? Nè il tuo sembiante Tanta scoperse mai Tristezza quanta or che mia destra avesti Ravvisarne mi è dato?.. Good Heavens! Is it true? Idamor! Are you mine! But your silence? Are you fixing your eyes at the earth? Neither your face has ever shown so much sadness as I can see now that you have been promised my hand! IDAMORE IDAMORE Neala?.. Neala?... NEALA NEALA Parla... Tell me... (confused) Don’t be afraid, he’s granting your vows. (coldly) He makes me your bridegroom. IDAMORE IDAMORE È immenso L’amor che per me nutri? Is really so immense the love you feel for me? NEALA NEALA E tu? Chieder mel puoi? Spenta financo io sempre t’amerò, Più che t’amai finora, S’è vero che s’ama oltre la tomba ancora. And you? How can you ask me that? Even dead, I will always love you, more than I have ever loved you until now, if it’s true that love goes beyond death. IDAMORE IDAMORE Né perché de’ guerrieri il prence or sono M’ami? Don’t you love me just because I am now the warriors’ prince? NEALA NEALA Amo Idamor. Del caso è l’opra La tua grandezza, e di volubil sorte Schiavo è il grande. Virtude è sol tesoro, Ch’eterno vive. Io tua virtude adoro. I love Idamore. Your greatness is the will of fate; every great man is slave to changeable destiny. Virtue is the only treasure that lives eternally. And I adore your virtue. IDAMORE IDAMORE Adunque tu pietade avrai puranco Dell’uom che per ventura Nacque di lor, che senza colpa alcuna, A viver son costretti Miseri, erranti, dispregiati, abbietti! You shall then have pity for a man who, by chance, was born among those people, though guiltless, are compelled to live as miserable, wandering, despised, wicked! NEALA NEALA Di che favelli mai? What are you talking about? IDAMORE IDAMORE Dell’infelice, Che al mondo i rai dischiuse, E forza, non ragion dal mondo escluse! About the miserable who opened his eyes to the world, and, from the world, was excluded because of man will rather than reason! NEALA NEALA Cielo! Forse!.. My God! Perhaps!... IDAMORE IDAMORE Del Pa... Of the Pa... NEALA NEALA Deh taci... Ah taci... Miseri noi se nel recinto sacro La maledetta casta il piè volgesse! Vedresti il ciel fosco sanguigno farsi! Spalancarsi il terreno, E seppellirne entrambi entro ’l suo seno! Shut up! Ah, shut up... Poor us, if the wicked caste should set foot in the sacred enclosure! You would then see the sky turning to darkness, to blood! The earth would open and swallow both of them! IDAMORE IDAMORE E s’un di loro ignoto vien fra voi, Pugna, vince, trionfa, E col proprio suo sangue il vostro salva? And what about, if one of them, unknown, comes among you, fights, wins and triumphs, saving, with his own blood, your blood? NEALA NEALA Svelandosi non mai La vita in premio avria, Sempre trafitto egli cader dovria! Io stessa, io stessa, me l’impone il nume, Dargli morte dovrei, Se mel vedessi innanzi agli occhi miei! Without ever revealing his secret, he might even be rewarded with life, because he should always receive death, being put to the sword! Me myself, me myself, God wants it, I should give him death, should I ever see one of them in front of me! IDAMORE IDAMORE Un d’essi, ahi pur s’aggira Fra queste piante! Though, one of them, just one of them is now wandering in this wood! NEALA (abbracciando NEALA (holding Ah ch’io nol vegga... Idamore) Idamore) Ah, may I not see him! IDAMORE IDAMORE Troppo Si tenne occulto. A te mostrarsi ei vuole. Egli è già presso. It has been hidden for too long. He wants to reveal himself to you. And he is already in the nearby. NEALA (passando all’altro lato d’Idamore, ed afferrando il suo pugnale) Ov’è?... L’altro tuo ferro Meco unito brandisci. Feriamo! NEALA (moving IDAMORE (gettandosi ai suoi piedi) Ebben! Lo sposo tuo ferisci! IDAMORE NEALA (le cade il pugnale, rimane immobile, e senza guardarlo) Ei stesso!!! NEALA (the IDAMORE IDAMORE A un culto barbaro Il tuo consorte immola! Sacrifice your husband to a barbaric cult! NEALA NEALA Ah fuggi, e i Numi s’abbiano Il sangue di me sola! Ah, run away, and let the Gods have my only blood! IDAMORE IDAMORE Sangue gli Dei non bramano. The Gods do not yearn for blood. NEALA NEALA E nol prescrisse il cielo? Haven’t the Gods imposed this custom? IDAMORE IDAMORE No, umana, empia tirannide, No. A cruel and tyrannical law to Idamore’s other side, and grasping his dagger) Where is he? Hold the other sword of yours, and keep it by mine... Let’s stab him! (throwing himself at her feet) Go, then! Stab your bridegroom! dagger slipping off her hand, she remains astonished, and without looking at him) He himself!!! Cui religion fa velo! provides men with such a chance! NEALA NEALA Vero fu il sogno! Involati... Ch’io porti altrove il piè. The dream came true then! Run away... Let me go everywhere else. IDAMORE IDAMORE (sorge e, trattenendola, le prende la mano) Parti? E un sol guardo ed ultimo, Nemmeno aver da te? La mano tua, deh vedi; Or che concedi, Ch’io stringa al core di te sola amante; Non trema, non si disserra, Non manca la terra! Non di sanguigne nubi il ciel si covre! Nè dal celeste regno Voce di sdegno A noi parlò! Non fulminò! Tutta tranquilla e pura, Mira, è natura, Ve’ come intorno è cheto Ogni palmeto; Come financo arride, E a me sorride L’astro di notte con l’argenteo raggio. E tu crudel soltanto Condanni al pianto Chi t’adorò? NEALA Ahi come a quell’accento, Svanire io sento L’orror che di sua stirpe avea finora... Ahi che lasciarlo, oh Dio! No. Non poss’io... Assai soave in cor scende il suo detto! Non più. Di me disponi. Che vuoi? Lo imponi. Sì. Tua sarò, Con te vivrò. (standing up, catches hold of her, take her hand and says) Are you leaving? Can’t I even have from you the very last glance? Your hand, please, see: now that you allow me to hold it to your heart, you my only lover; not yet is the earth trembling nor caving in, it’s not falling either! Nor does the sky cover with bloody clouds! Neither from the highest Heavens a voice of disdain raised against us! We were not struck with lightning! Look, nature keeps being calm and pure, look how calm is, all around, each palm-tree; how even shines, smiling to me, the nightly star and his silver ray! And you only, you cruel, do you condemn to tears the one who has always been loving you? NEALA Ah, how, to your words, I just feel the horror that I felt for your breed vanishing... Ah, oh God, I cannot leave him, no... So sweetly his words are touching my heart! No more. You decide of me. What do you want? You order. Yes. I will be yours. I will live with you. IDAMORE IDAMORE Tu? Mia? You? Mine? NEALA NEALA Tel giuro. Disponi. Con te sarò. I swear it. IDAMORE IDAMORE Il sei, Ove compiuto il rito, Che a te mi rende unito, Meco fuggir... You will be, when, celebrated the rite that will make me and you united, you will escape with me... NEALA NEALA Fuggir!... Escape!... IDAMORE IDAMORE Nol puoi?... Can’t you? NEALA NEALA Che udii!... What have I heard?... IDAMORE IDAMORE Rimanti. Io sol... (per andare) Stay then. Me alone... (about to leave) NEALA NEALA T’arresta... Stop... IDAMORE IDAMORE E spero? Should I hope? NEALA NEALA Vincesti!... You won!... IDAMORE IDAMORE Oh ciel! Fia vero? Lo sposo tuo seguir!.. Oh Heavens! Shall it come true? Will you follow your man? NEALA NEALA Ahi come non seguirti, Se il cor più mio non è... Ah, how could I not follow you, since my heart is no longer mine... IDAMORE IDAMORE Ahi quale, nell’udirti, Contento io provo in me! Ah, what a happiness do I feel, listening to your words! A2 TOGETHER Sarai tu sempre, o cara/o, Il solo mio pensier; Ognor dal tuo voler Il mio dipenderà, E se fra le tue braccia Avvien che un giorno io mora, Bella la morte ancora Idolo mio sarà! You will always be, my dear, my only thought; every hour my will will depend from yours, and if one day it happens that I will die in your arms, even death will be beautiful for me! IDAMORE IDAMORE All’ara andiam, mio bene, Imen ci annoderà! Let’s go to the altar, my love, love will be our tie. NEALA NEALA Sulle deserte arene Amor ci guiderà! (partono) Love will lead us in the desert lands! (they leave) SCENA QUARTA SCENE FOUR Antichissimo tempio diruto, e formato nell’incavo d’un monte. Sui massi si scorgono scolpite le stragi de’ Paria. Zarete; infine coro di Sacerdoti. Ruined ancient temple, in a mountain cave. Over the blocks, engravings with scenes of massacres of Pariahs. Zarete; then Priests’ choir. ZARETE ZARETE Notte, ch’eterna a me parevi, eterna A che per me non fosti?... A tal ridotto or non sarei, che fuggo La luce, e par ch’ella m’insegua ovunque! Gente appressar mi parve, E forza fu di nuovo uscir dal grembo Della foresta, dove attesi indarno Il fi... No... Che mai dico!.. Il traditore! Il mio più fier nemico!... Ma dov’io trassi il piede? Ove son’io? Numi!!! Ahi ben ti ravviso, Alla scolpita roccia, Recinto infame di delitti pieno!... Un dì sacrato a strage d’ogni Paria, Mel rammento, di qui con la consorte, Solo in fuggir trovai scampo alla morte!... Quest’è il terren che bevve Per man Sacerdotal sangue innocente! Ahi dì fatale! Ancor mi sei presente! Qui pel figlio una madre gridava “Nol ferite! Me sola uccidete!” Là pel padre donzella esclamava “Deh salvatelo, e me trafiggete” Pel germano la suora moriva; Per la sposa il consorte si offriva... E spietato il Bramano furente, Sordo al pianto, e col ferro alla mano, Di sangue avido irato e fremente, Padre, figlio, consorte, germano, Sotto l’empio e sacrilego acciar, Gli era gioia il vederli spirar! (di lontano) Mai fulgido così L’aurato crin dal mar... Night, you who have always seemed eternal to me, why weren’t you eternal for me? I wouldn’t be forced to this all, me that have to hide from light, a light that seems to follow me everywhere! Some people seem to be approaching; and I had again to make an effort on myself to leave the heart of the forest, where I awaited, in vain, my son.. No! What am I saying? The traitor! My worst enemy! But where did I get? Where am I? Good grief!!! Ah, I can well recognize, at the engraved walls, this horrible enclosure full of murders! I remember it, in a day devoted to the Pariahs massacre, when, with my wife, I could find in escaping my only way out of here, my salvation from death! This is the land that was soaked with innocent blood by the hand of the Priests! Oh, cruel day! You are stamped in my memory! Here a mother cried, for her son “Don’t hurt him! Kill only me!” There for her father a girl invoked “Save his life, and stab me instead!” The sister would have died instead of the brother, the husband offered his life to save his wife’s... But the furious, pitiless Brahman, deaf to grieves, the sword in his hand, eager for blood, and always thirsty, rejoiced at seeing the father, the son, the wife and the brother die under the strokes of an impious and sacrilegious sword! CHOIR (from afar) Never so refulgent before the golden rays from the sea... ZARETE ZARETE Alcun s’inoltra?.. Ah sì... Fia d’uopo ognun schivar. (Zarete si nasconde dietro un masso. In questa andando verso il tempio il coro de’ Sacerdoti, e recando la corona per Idamore e l’onda lustrale dice:) Is someone coming towards here? Yes... I would better avoid everyone. (Zarete hides behind a rock. In the meanwhile, the Priests’ choir moves toward the temple, carrying Idamore’s crown, and the holy water, saying): CORO CHOIR Mai fulgido così L’aurato crin dal mar, Nel ricondurre il dì, Spiegò l’astro maggior. Vogliamo al tempio il piè, E voli ad annodar Indissolubil fe’ Neala ed Idamor. (si perdono di vista attraversando la scena) Never so refulgent before the prince of stars unfolded his golden rays from the sea in bringing back the day. Let’s move our steps to the temple, and may the indissoluble faith fly to bond Neala and Idamore together. (they loose each other of sight crossing the stage) ZARETE ZARETE Che intesi! Oh Cielo! E v’ha Maggior del mio martir? E il figlio... ah sì, vedrà Il padre in pria morir! Cotanta crudeltà Nel figlio discovrir! Fra’ nemici un Idamor Come mai poter gioir! E spietato, il genitor Obliare e fin tradir!.. Il sacro, io varcherò Augusto limitar! Me Paria svelerò Al barbaro Akebar! Questa adunque, o figlio ingrato, Dopo il corso di tanti anni, Spesi in lagrime ed affanni, Questa adunque, è la mercé? Ma se il padre abbandonasti, E il rendesti disperato! Godi appieno, o figlio ingrato, Lo vedrai spirarti al piè! What did I hear! Oh my God! Is there a worst torture than mine? And my son... ah he ‘ll see First his father dying! To discover in the son so much cruelty! How could I ever feel happy if I can see Idamore among my enemies! Pitiless, he who could forget and even betray his father!... I will trespass that august, sacred threshold! I will reveal myself as a Pariah to the savage Akebare! Such, then, ungrateful son, after so many years spent in tears and troubles, such is then my reward? But if you abandoned your father, making him desperate! Be satisfied, ungrateful son, you will see him dying at your feet! CORO SCENA QUINTA SCENE FIVE Atrio maestoso, ed ombreggiato di palme. In fondo l’interno del Tempio di Brama cui si ascende per vasta scalinata. Entra tutto l’esercito. E dall’interno del Tempio vengono i Sacerdoti, e le Sacerdotesse. Stately hall, shaded by palm-trees. On the background, the inside of Brahmàs temple, and a large stairway leading to it. The whole army enters. From the inside of the Temple, the Priests and the Priestesses arrive. CORO CHOIR Brama, autor dell’universo, Che dal soglio etereo, augusto, Dolce speme inspiri al giusto, Ai colpevoli terror; Sol, che flutti, e prati, e selve, Monti, e piani, e valli inostri, Quando al mondo sciogli e mostri La irradiante chioma d’or; Gange, o tu che al guardo umano Il tuo nascere nascondi, Ed i campi ognor fecondi Col fuggente e ricco umor; Tutti, o Numi qui scendete, E avvincete in nodi immoti I guerrieri, e i Sacerdoti, La beltade, ed il valor. Brahma, maker of the Universe, you who, from your heavenly throne, solemnly, inspire sweet hope to the just men and terror to the sinners; O Sun, you who fill waves, and meadows, and woods, and mountains and dales and valleys, when you disclose and show to the world your shining golden rays; Ganges, you who hide to human eye your birth, and fertilize the fields with your rich flowing water; all of you, Gods, descend here; and unite with eternal bonds the warriors and the Priests beauty and value. SCENA SESTA SCENE SIX Idamore, e detti. Idamore, and the aforesaid. IDAMORE IDAMORE Quanto di lieto qui sorride e brilla Al guardo mio divien tristo, funebre! Invan mi trassi al designato loco Il padre ad avvertir, che di me donna Appena fusse d’Akebar la figlia, Giunto lo avrei!.. Trascorsa l’ora ei vide, E chi sa dove incauto il piè rivolse! Ei potria d’un sol detto Offrir de’ suoi nemici al ferro il petto! Oh pensier che d’orror m’invadi E ingombri! Che non soffre per te, Neala... Eccola... E’ dessa... Ahi benda nuziale, Non sei su quella fronte in tal momento Che ferale per me atro ornamento! Whatever happily smiles and shines here just becomes sad and gloomy at my look! In vain have I left the fixed place to warn my father, that as soon as Akebare’s daughter would have become my spouse, I would have reached him! The hour passed, he saw us, and who knows where he went, without taking any care! He might have offered his chest to the enemies’ sword just at one single word! Oh what a thought that fills up and clutters my heart with horror! What do I not suffer for you, Neala.. Here she is... It’s her... Ah, nuptial veil, you are not but a gloomy ornament on her head, for me, in this moment! SCENA SETTIMA SCENE SEVEN Akebare con la figlia per mano, seguito da Bramani, e detti. Akebare with his daughter by the hand, followed by the Brahmans, and the aforesaid. AKEBARE AKEBARE Di profanar tai sacrosante soglie Se ad un Paria venisse il reo talento Cada trafitto, e vi rimanga spento. Should a Pariah ever wish, guiltily, to violate the sacro-sant thresholds may he fall stabbed, and may he die. NEALA NEALA (Io l’ascolto e non spiro!) (I listen to him and do not breath!) IDAMORE IDAMORE (Io tremo! E fremo!) (I am afraid and thrilled!) AKEBARE AKEBARE Sacerdoti, guerrier, popoli, udite: Come Brama concesse ad uom Neala, Ognuno lo apprese. Io la tribù de l’armi Elessi a darle sposo. E in lei prescelsi Quei che al trionfo la guidò, Idamore. Obbedirmi ei giurò dinanzi al Nume. (Qui vien portata l’ara da’ custodi). E ’l serto vincitor mentre sul crine Ad imporgli discendo, In un consorte a lui la figlia io rendo. (Idamore, e Neala inginocchiati innanzi all’ara). Priests, warriors, peoples, listen: everybody has learnt the way Brahma conceded Neala to a man. But I choose to give her to the tribe of the army. And within it, I selected the one who brought it to victory, Idamore. And he swore on God to obey. (The guardians bring the altar in). And while I descend to crown him with the victorious laurel, I give my daughter to him as his bride. (Idamore and Neala kneel before the altar). IDAMORE, NEALA IDAMORE, NEALA Da sì caro e dolce istante, Che consorte a me tu sei, A te sacro i giorni miei, A te giuro eterna fe’. Since this beloved and sweet moment that you become my spouse, I devote my days to you to you I promise eternal trust. AKEBARE AKEBARE Dal celeste e divo impero, Voi dell’Indo eterni Dei, Accogliete i voti miei, Che... From the heavenly and divine empire, you eternal Gods of Hindus, accept my gifts, that... SCENA OTTAVA SCENE EIGHT Empsaele ansante, e detti. Empsaele, panting, and the aforesaid. EMPSAELE EMPSAELE T’arresta... Stop it... AKEBARE AKEBARE Oh Ciel! Perché? Good Heavens, why? EMPSAELE EMPSAELE Profanato è il rito!.. Un Paria v’è fra noi!.. (sorpresa generale) The rite has been violated!... There’s a Pariah between us!... (general astonishment) TUTTI ALL Gran Dio! Che orrore! Good Lord! What a shame! NEALA NEALA (Idamore!) (Idamore!) IDAMORE IDAMORE (Il genitore!) (My father!) AKEBARE AKEBARE Dov’è mai?... Wherever is he?... EMPSAELE EMPSAELE Sul limitar... On the threshold... AKEBARE AKEBARE L’uccidete... Kill him... EMPSAELE EMPSAELE E’ già qui tratto Da’ custodi... He’s already been captured by the guardians... SCENA ULTIMA LAST SCENE Zarete tratto dal popolo, e detti. Zarete conducted by the people, and the aforesaid. TUTTI ALL Oh vista! Muoia! What a shameful sight! To death! NEALA NEALA (Chi mai fia?) (Who is he?) IDAMORE IDAMORE (Oh suol m’ingoia!) (May the Earth swallow me!) TUTTI ALL Non s’indugi al trucidar! Morte... May his death not be delayed! Death... ZARETE (subito) Morte io voglio, Mi è d’uopo. Non la temo. Io la desio. Ma tu, sommo Bramano, Che in tanto errore avvolgi il core umano, In che diverso sei Dai Paria che tu vuoi proscritti, e rei? Forse non abbiam noi Un sangue nelle vene al par di voi? O pur vedesti mai Oscurarsi per noi del Sole i rai? Od arretrarsi il flutto, E sulla pianta inaridirsi il frutto? Sei polve qual son’ io; Tutti siam prole d’uno stesso Dio; E s’eguale n’è il merito, E ’l Sacerdote e ’l figlio del deserto, Là nell’asilo eterno Eguale ognun sarà! E tutti al sen paterno Il Nume accoglierà! ZARETE AKEBARE AKEBARE E un Dio gli porge ascolto! Nè crolla il tempio, e vi riman sepolto! Sotto il più fier tormento La spoglia sua cadrà! And God is also listening to him! Neither does the temple ruin, to bury him! And his remains will be fallen under the most terrible torture! CORO CHOIR Non sorge orrenda face, Che spenga e incenerisca il labbro audace! Maligno spirto è in lui, Ma in breve scenderà ne’ regni bui! Sotto il più fier tormento La spoglia sua cadrà! E sparsa in brani, il vento Gli avanzi spergerà! No terrible spark is rising to close and burn his brave mouth! An evil spirit possesses him. But he will descend to the reign of Shades in a short while! And his remains will be fallen under the most terrible torture! And reduced to powder, wind will spread his mortal remains! NEALA (guardando Idamore) (Ei trema! Impallidisce! A quei parlar vorria. Ma non ardisce! Ahi forse il conosce! E se quegli lo svela? Ahi quale idea! Vittima ei pur cadria! E di Neala, oh Cielo, allor che fia? Ah sì! Quel ferro istesso, Che a me lo involerà, Vibrando ov’egli è impresso, Unirmi a lui saprà). NEALA (looking IDAMORE IDAMORE (La sua morte è sicura! Qual tumulto in me desta amor, natura! Deh mi consiglia, oh Cielo, Parlo? Taccio? Mi scopro? O ancor mi celo? In così rio periglio, Difesa può niegare al padre un figlio? Ahi che nel mentre il core Frenarsi più non sa! Pur gli rammenta amore (His death is sure! Oh, my mind is in turmoil, caught in between love, and nature! Give me a suggestion, Heaven, shall I talk? Shall I keep silent? Shall I take my mask off? Or should I keep hiding? Such in a cruel danger, can a son refuse to defend his father? Ah, my heart cannot stand still in this meanwhile! Still love reminds me (quickly) I wish death I deserve it. I am not afraid. I am longing for it. But you, august Brahman, who envelope human heart in such shades, what do you think the difference is between you and the Pariahs, that you want secluded and guilty? Do we not, perhaps, have blood in veins, as well as you do? Or have you ever seen the sunrays getting darker, because of us? Or water withdraw, and fruits wither on the branches? You are powder as I am; we are all creatures of the same God; and if his merits are equal, both the Priest and the son of the desert, in the eternal hostel everybody will be equal! And the God will receive all of us in his paternal embrace! at Idamore) (He is quivering! He is getting pale! He ‘d like to talk to him. But he doesn’t dare! Oh, may be he knows him! What if he’s going to unmask him? Ah, what a though! He might also fall as a victim! And what would it be, then, of Neala? Ah yes! The same sword that will take him away from me vibrating on his mark will be able to unite me to him!) Aver di lui pietà!) (apprensandosi a Neala, e di soppiatto indicando Zarete) (Salvalo). that I should have mercy of her!) (getting closer to Neala, and pointing furtively at Zarete) (Save his life). (a Zarete) Scellerato! AKEBARE NEALA (a Idamore) (Tu lo conosci?) NEALA (to IDAMORE IDAMORE (Assai). (Very well indeed). ZARETE (guardando Idamore) (Fugge il mio guardo! Ingrato!) ZARETE AKEBARE (alle guardie) Scellerato! Quell’empio pera ormai! AKEBARE NEALA (gettandosi subito ai piedi di Akebare) Deh!... un folle ardir perdona... Trionfi... in te... pietà... NEALA (throwing AKEBARE AKEBARE Ed osi?.. Oh quale orrore! Tu d’implorar?... You dare?... Oh, what a shame! You... to pray me?... ZARETE (alle guardie) Ferite!... ZARETE (alle stesse) Fermate!... IDAMORE AKEBARE AKEBARE E tu... Idamore! Olà! Me solo udite. Svenate! And you... Idamore! Hez! You must listen to me only . Slash his veins! IDAMORE (facendosi scudo a Zarete, e gettando il ferro ai piedi delle guardie) Ebben... Svenate! Col padre il figlio ferite... IDAMORE (shielding Zarete with his own body, and throwing his sword before the guards) Well then, slash both father’s and son’s veins... TUTTI ALL Ah!!! Ah!!! IDAMORE IDAMORE Ma un sangue ch’io versai... La patria per salvar... Pietade... The blood I shed... to defend our country... Have mercy! AKEBARE AKEBARE Un Paria mai Non può pietà sperar... Gli Dei v’han maladetti! Never can a Pariah hope to have compassion! The Gods have damned you! NEALE, IDAMORE, ZARETE NEALE, IDAMORE, ZARETE Ahi mi si gela il cor! A quei tremendi detti Io manco! Ahi quale orror! Ah, my heart sank! To those tremendous words I feel fainting! Ah, what a shame! AKEBARE AKEBARE Della cittade tratti fuor le porte S’abbiano atroce abominevol morte! (Nel mentre Idamore e Zarete sono per esser condotti fuori del tempio, Neala cerca unirsi al suo consorte, ma vien trattenuta da Akebare). Lead them out of the city walls may they find a horrible, atrocious death! (While Idamore and Zarete are on the point of being lead out of the temple, Neala tries to join her spouse, but is held back by Akebare). ZARETE, IDAMORE ZARETE, IDAMORE La sorte di noi miseri, Le stragi e tanti orrori, Ai tardi e colti posteri Il tempo additerà! E legge così barbara, Scudo agli oppressori, Sapran distrurre i popoli Di più lontane età. Of our miserable destiny of the massacres and the shames, time will reveal the judgement of posterity! And the peoples of the times to come will destroy such a cruel law, shield to the oppressor! NEALA NEALA La benda ch’io mi lacero, E premo nel terreno, A tutti fia memoria, D’amore e fedeltà! E sciolto il crine, e pallida, Volando a morte in seno; La tomba a lui serbandomi Il nodo eternerà. This veil that I tear to pieces, and throw on the ground may it be a memory to everybody of love and faithfulness! My hair loosen, pale in the face, I long for my death; and the grave will preserve me for him saving our marriage tie for ever. AKEBARE AKEBARE Morrai tu ancora, o perfida, Se spegnere non sai L’amor che per un Paria E’ colpa ed empietà! E fra l’eterne tenebre Il fallo piangerai, Fuggir vorrai dai reprobi, Ma tardi allor sarà! You will also die, o cruel, if you can’t repress your love, which is an impious fault if it’s for a Pariah! And among the eternal shadows you will repent of your sin, you will wish to escape from the wicked but it will be too late then! ZARETE ZARETE Sommo Braman v’è un Dio! Paventa! A morte io vo! August Brahman, still there is one God! Fear! I am condemned! AKEBARE IDAMORE (to Zarete) Wicked! Idamore) (Do you know him?) (looking at Idamore) (He avoids my eyes! How ungrateful!) (to the guards) Let the impious die, by now! herself suddenly at Akebare’s feet) I pray you, forgive... my crazy impudence... May pity triumph inside your heart! (to the guards) Wound me!... (to the guards) Stop it!... IDAMORE IDAMORE Parto, o Neala, addio Mai più ti rivedrò! I am leaving, Neala, goodbye, never more shall I see you again! NEALA NEALA Teco bell’idol mio, In breve io pur sarò! In a very short while, I will reach you, my beloved idol! AKEBARE AKEBARE (Regno! L’impero è mio! Di più bramar non so!) (Mine is the kingdom! Mine is the empire! I couldn’t yearn for more!) TUTTI ALL Giorno sì fiero e rio Su l’Indo mai spuntò! Never before has such a cruel and fierce day risen on the Hindus! FINE THE END