Newsletter - Edizione n. 38, dal 1 al 7 novembre 2011 Sommario A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ORGANISMI SOVRANAZIONALI Nel reperire risorse per uscire dalla crisi economica penalizzati ancora l’avvocatura e il settore giustizia Di Ester Perifano - Segretario generale dell’Associazione nazionale forense Primo piano DANNO ALLA IMMAGINE Danno all’immagine da risarcire all'ente se la 'Ndrangheta è attiva sul territorio Tribunale di Milano - Ufficio del Gip - Sentenza 19 luglio 2011 - Francesco Machina Grifeo (Guida al Diritto), 07 novembre 2011 Sentenze del giorno LICENZIAMENTO Il ritiro della patente per guida in stato di ebbrezza durante la “reperibilità” non giustifica il licenziamento Corte di cassazione - Sezione VI civile - Sentenza 7 settembre 2011 n. 23063 CODICE DELLA STRADA Tutor, annullata la multa fatta con i criteri dell'autovelox Giudice di pace di Cassarano - Sentenza 16 settembre 2011 n. 647 REVOCA DELLA DONAZIONE Le dà tutto ma lei lo abbandona, scatta la revoca delle donazioni Corte di cassazione - Sezione II civile - Sentenza 4 novembre 2011 n. 22936 LAVORO Laurea e specializzazioni riscattabili ma con limiti Tar Campania - Napoli - Sezione II - Sentenza 31 ottobre 2011 n. 5092 REATI CONTRO LA PERSONA Diffamazione continuata se la comunicazione è fatta a voce alta Corte di cassazione - Sezione V penale - Sentenza 13 maggio-4 novembre 2011 BANCAROTTA FRAUDOLENTA DOCUMENTALE Bancarotta fraudolenta, nessuno sconto all’amministratore di fatto Corte di cassazione - Sezione V penale - Sentenza 3 novembre 2011 n. 39593 A CURA DI LEX24 IL MERITO Quando la garanzia ipotecaria non è opponibile al fallimento Palumbo Francesco, Lex24 - Il Merito 4 novembre 2011 RISARCIMENTO DANNI La voce di ristoro può essere cancellata solo dopo un'apposita consulenza tecnica 1 Bresciani Remo, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi 24 ottobre 2011 - Pagina 46 INNOVAZIONI PROCESSUALI Rito del lavoro sui verbali Falasca Giampiero, Il Sole 24 ore - Norme e Tributi 3 novembre 2011 - Pagina 35 LAVORO Congedo straordinario per l'assistenza ai disabili: è sufficiente la prova della convivenza Proietti Marco, Lex24 - Il Merito 4 novembre 2011 - Pagina 35 Gli approfondimenti di Lex24 MINORI Effettivo recupero delle capacità genitoriali per evitare l'affidamento etero-familiare Corte Appello di Roma, Sentenza 21 settembre 2011, n. 3839 (LEX24) 7 novembre 2011 REATI CONTRO IL PATRIOMONIO Merito giurisprudenziale sulle varianti dei reati patrimoniali Corte Appello di Firenze, Sezione 2, Sentenza 17 ottobre 2011, n. 2968 (LEX24) 07 novembre 2011 LOCAZIONE Prescrizione biennale del diritto del locatore al rimborso degli oneri accessori Lina Avigliano, Avvocato (Ventiquattrore Avvocato) 07 novembre 2011 DIRITTO INDUSTRIALE Brevetti sequestrabili se il titolare manager è accusato di bancarotta Selene Pascasi, avvocato (Diritto e Pratica delle Società) 07 novembre 2011 2 E D I T O R I A L E ASSOCIAZIONI FORENSI Nel reperire risorse per uscire dalla crisi economica penalizzati ancora l’avvocatura e il settore giustizia DI ESTER PERIFANO - Segretario generale dell’Associazione nazionale forense L a crisi economica che aggredisce tutto il scopiche inefficienze della pubblica amministraziomondo, colpisce - più degli altri - il nostro ne, se è vero - ad esempio - che la medesima dispoPaese. Il Governo, con le manovre d’estate, sizione riconosce tout court tutte le pretese che ha tentato di correre ai ripari. Ha tentato, perché, non superino l’importo di € 500,00 e che formino come è drammaticamente chiaro mentre scrivo, oggetto di giudizi pendenti. Naturalmente, all’estinall’appello manca ancora il decreto sviluppo, il cui zione del giudizio corrisponde la compensazione contenuto, ancora vago e indeterminato, deve andelle spese legali, ennesima dimostrazione dello cora passare il vaglio europeo. svilimento costante del ruolo e del lavoro degli avL’avvocatura, e il settore giustizia in particolare, vocati che questo Governo porta avanti con grande terreno consueto - negli ultimi anni - per reperire determinazione sin dal suo insediamento (conciliarisorse, sono ancora una volta in prima linea. E zione docet). così gli articoli 37, 38 e 39 della prima manovra (Dl Tanto altro ancora prevede il Dl 98/2011, ma non 98/2011, convertito dalla c’è tempo per approfondilegge 111/2011) intervenre tutto, anche perché pogono pesantemente sul chi giorni dopo il primo è comparto. Tra le previsioen venga una nuova geografia giudiziaria in Italia, non arrivato il secondo Dl, il ni, quella che aumenta, può essere un tabú, peró il provvedimento contenuto 138/2011, definitivamente per l’ennesima volta in po- nella manovra economica è inadeguato. Serve un metodo convertito a metà settemco tempo, il contributo razionale». Lo sostiene l’Associazione nazionale forense che si bre, che irrompe con forza unificato necessario per dichiara pronta al confronto con il governo per individuare dei nel tradizionale dibattito, adire le autorità giudizia- corretti e funzionali interventi riorganizzativi. Su questo e sugli un po’ ingessato, della polirie e, se ciò non bastasse, altri temi relativi al comparto giustizia che la recente manovra tica forense, introducendo tra le pieghe del provvedi- economica ha interessato, l’Anf è pronta a collaborare. Dalla elementi di grande novità. mento è già previsto un ul- riforma degli ordinamenti professionali alle tariffe forensi, noInnanzitutto, l’articolo teriore aumento, se è vero nostante i forti ritardi accumulati, secondo il presidente Ester 1-bis affronta, con una deche il ministro della Giusti- Perifano il cambiamento è alle porte. lega al Governo, il problezia potrà con decreto dima della revisione della gesporre in via autonoma ografia giudiziaria, nell’otl’incremento del contributo laddove rilevi che siatica di realizzare risparmi di spesa e incremento di no in procinto di verificarsi scostamenti rispetto efficienza. Diciamo subito che il provvedimento alle risorse stanziate annualmente (Dl 98/2011, arsconta un ritardo di circa 150 anni: come tutti santicolo 37, comma 17). no, tranne pochissime e irrilevanti modifiche, l’orSettori tradizionalmente esclusi per la loro rileganizzazione degli uffici giudiziari sul territorio rivanza sociale ed etica (famiglia, lavoro, previdensale a epoca preunitaria. E si vede. Tanto per dirne za, fisco) , vengono parificati agli altri, per cui non è qualcuna: 17 tribunali, alcuni davvero piccolissimi, azzardato affermare che si ridimensiona fortemenin Piemonte; quattro Corti d’appello in una sola te la tutela giurisdizionale per i cittadini più deboli, regione, la Sicilia, che vanta anche il primato del quelli che di solito hanno maggior bisogno di rivoltribunale con il minor numero di iscritti all’Albo gersi alla giustizia. Il paradosso è che la maggior d’Italia (Mistretta, appena 79 avvocati). Dunque, parte del contenzioso previdenziale (anch’esso coll’avvio della razionalizzazione era atteso da tempo pito dalla manovra, che prevede un accertamento e la delega è certamente un inizio. Quanto buono, tecnico preventivo obbligatorio, con anticipo di però, è ancora tutto da vedere. spese a carico dell’istante) è attribuibile alle macroIntanto non è accettabile che la revisione avven- Il tema della settimana «B GUIDA AL DIRITTO IL SOLE-24 ORE 11 N˚ 45 12 NOVEMBRE 2011 E D I T O R I A L E ASSOCIAZIONI FORENSI ga sulla base di criteri astratti, svincolati dalle pecudivisibile deve ritenersi il coinvolgimento dell’avvoliarità dei singoli uffici e dei territori sui quali insicatura nella parte finale del percorso universitario stono. Affinché questo principio sacrosanto venga che potrà consentire, attraverso la cogestione della rispettato, e non mortificato da rivendicazioni camfase del tirocinio anticipato, la formazione, sin dalpanilistiche per cui chi ha più santi in... Parlamenl’accademia, di aspiranti avvocati motivati all’attivito finisce per prevalere su chi non ne ha, è indispentà professionale. sabile approcciare la questione con grande traspaIl potere disciplinare rimane saldamente nelle renza. Sarà compito del ministero raccogliere, in mani degli avvocati, ma l’organo disciplinare sarà modo esaustivo e obbiettivo, tutti i dati necessari nettamente separato dall’organo amministrativo, (quelli oggi disponibili sono frammentari e incomsia su base circondariale che nazionale. Il che prelupleti), condividerli con tutti gli operatori e formulade, finalmente, a una governance della categoria re proposte motivate. completamente diversa da quella attuale, con la Secondo analisi assolutamente affidabili (dott. possibilità di sperimentare forme gestionali più Renato Romano - Dirigente Cda Trieste) il solo acmoderne e sistemi elettorali più democratici, che corpamento ad altri di circa 300 rispettino e valorizzino la base. piccoli uffici di giudice di pace, da Dall’articolo 3, paradossalmentempo abbandonati a se stessi e te, anche le tariffe professionali Pure condivisibile per lo più inefficienti, consentirebper il momento - escono rivalutadeve ritenersi be di recuperare risorse per oltre te, poiché, accanto alla possibilità il coinvolgimento 60 milioni di euro che, destinate di pattuire il compenso all’atto della categoria magari a implementare gli investidel conferimento dell’incarico, tenella parte finale menti per la digitalizzazione degli nendole come punto di riferimenuffici giudiziari, migliorerebbero to, vengono introdotte fattispecie del percorso universitario le condizioni di lavoro di tutti, avche le richiamano espressamenche potrà consentire vocati in testa. te, con ciò legittimandole, sopratla formazione, Infine, non può non parlarsi deltutto in caso di liquidazione dei sin dall’accademia, l’articolo 3 della manovra d’agocompensi. di aspiranti legali sto. Sembra che il decreto svilupL’iter avviato dovrà, evidentemotivati nel loro lavoro po in corso di approvazione ne mente, essere completato: difetta confermerà integralmente l’imla giusta considerazione di realtà pianto, precisando che la riforma importanti, quali quelle che vedodegli ordinamenti professionali avverrà con Dpr. no avvocati, giovani ma anche meno giovani, soSi tratta, a nostro avviso, soltanto dell’inizio di un prattutto donne, prestare attività lavorativa nelle percorso che, purtroppo, trova gli avvocati sostancondizioni di dipendenti di fatto in studi riconducizialmente impreparati: è evidente, infatti, che la bili ad altri colleghi, e ciò senza adeguate garanzie legge di riforma professionale, approvata da un e/o tutele di qualunque natura. ramo del Parlamento e sulla quale siamo stati chiaCome pure non viene affatto considerata la nemati a confrontarci negli ultimi due/tre anni, nel cessità di un efficace, effettivo riordino del compresupposto - totalmente errato - che fosse quello parto professionale economico-giuridico, in moil progetto destinato a essere approvato, è del tutto do da riconoscere agli avvocati, anche formalmenincompatibile con la nuova linea che, anche su te, ulteriori ambiti di attività che già oggi rientraprecisa richiesta della Bce, il governo italiano dono, indiscutibilmente, nelle loro competenze provrà adottare. fessionali. Principi quasi tutti condivisibili, quelli dell’artiIl cambiamento è alle porte: nonostante i ritardi colo 3. colpevolmente accumulati, cerchiamo ora di gestiFerma, e ribadita, la differenza tra attività profesre il rinnovamento, senza esserne travolti. n sionale e attività di impresa, si parla di accesso Per saperne di più: libero alle professioni, che non vuol dire, come molti strumentalmente tendono ad accreditare, aboliwww.associazionenazionaleforense.it zione pura e semplice dell’esame di stato. Pure conGUIDA AL DIRITTO IL SOLE-24 ORE 12 N˚ 45 12 NOVEMBRE 2011 G U I D A A L L A www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com Direttore Responsabile: ELIA ZAMBONI Redazione: Agostino Palomba (caporedattore) - Rosa Maria Attanasio (vicecaporedattore) - Daniela Casciola (caposervizio) - Carmine De Pascale (caposervizio) - Remo Bresciani (vicecaposervizio) - Simona Gatti (vicecaposervizio) - Nicola Barone - Beatrice Dalia - Roberta Giuliani Francesco Machina Grifeo - Patrizia Maciocchi - Vittorio Nuti - Luigi Petrella - Giampaolo Piagnerelli - Paola Rossi - Alessandro Vitiello. Proprietario ed Editore: Il Sole 24 ORE S.p.A. 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DANNO ALLA IMMAGINE Danno all’immagine da risarcire all'ente se la 'Ndrangheta è attiva sul territorio Tribunale di Milano - Ufficio del Gip - Sentenza 19 luglio 2011 Francesco Machina Grifeo (Guida al Diritto)07 novembre 2011 Il tribunale di Milano ha riconosciuto a due comuni lombardi il diritto al risarcimento per il danno all’immagine subito a causa dello stabile insediamento sul proprio territorio di cellule della ‘Ndrangheta. La strada percorsa dai municipi di Giussano e Seregno è stata quella di chiedere la costituzione come parte civile in un procedimento per omicidio nell’ambito di un regolamento di conti malavitoso, conclusosi con la condanna dell’imputato, nel proprio territorio. L’assassinio era stato perpetrato in modo plateale da due killer a volto scoperto che avevano sparato ad un esponente di spicco della ‘Ndrangheta lombarda, seduto ai tavolini di un bar di San Vittore Olona. La motivazione della sentenza Il Gip del tribunale di Milano, con la sentenza 19 luglio 2011, ha riconosciuto la richiesta di risarcimento avanzata dai due comuni. Per il giudice, infatti, “Vi è un eclatante danno all’immagine arrecato dalla stessa operatività dell’associazione criminosa nel proprio ambito territoriale, nonché dall’inevitabile clamore mediatico che tale presenza ha inevitabilmente suscitato”. Non solo: “Il fatto stesso che comunità locali operose e fattive, e quindi la loro rappresentanza istituzionale, possano essere associate alla presenza di organizzazioni criminali e al pericolo derivante dai reati da loro commessi e potenziali, costituisce un danno rilevantissimo suscettibile di risarcimento”. Per tutte queste ragioni la sentenza ha attribuito una provvisionale di 10mila euro, a ciascun comune, rinviando però ad un’altra sede, quindi ad un nuovo processo civile, la definizione del danno in concreto subito dai due municipi. E ciò, perché, aldilà dell’indubbia sussistenza di un nocumento per i comuni, riconosciuto dal giudice, le parti civili non hanno portato all’interno del processo alcun elemento per sostanziare più precisamente il danno subito. Per ottenere un risarcimento adeguato all’interno del procedimento penale, dunque, è onere delle amministrazioni territoriali presentare una documentazione tale da permettere al tribunale una valutazione effettiva dell’impatto della presenza mafiosa sull’immagine del territorio. I precedenti La Cassazione penale, con la sentenza 10371/1995, aveva già riconosciuto ad un comune il diritto al risarcimento del danno per la presenza mafiosa. La città di Sanremo era stata ammessa a costituirsi parte civile nel procedimento contro i componenti della organizzazione criminale che gestiva il casinò cittadino. La Suprema corte in quell’occasione aveva stabilito che “doveva essere riconosciuta la sussistenza di un pregiudizio subito dal Comune di Sanremo per effetto della semplice costituzione di un'associazione di tipo mafioso (ma la considerazione vale anche per l'associazione per delinquere di tipo comune) operante dietro lo schermo lecito della …, quanto meno in relazione all'immagine della Città, allo sviluppo turistico ed alle attività produttive ad esso collegate e in primo luogo alla casa da gioco, ed in considerazione dell'appetito dimostrato nei suoi confronti da parte della malavita organizzata”. Nello stesso filone rientra anche un’altra sentenza della Cassazione, datata 15 ottobre 2008 n. 38835, che ha riconosciuto al sindaco di Roma il diritto di costituirsi parte civile e di chiedere il risarcimento dei danni per un abuso sessuale commesso nel proprio territorio. In questo caso i giudici, da un lato, hanno individuato un danno economico diretto per via delle spese che il comune ha dovuto sostenere per alleviare i traumi subiti dalla vittima, dall'altro, un danno morale consistente nella lesione dell'interesse statutariamente perseguito di garantire la libertà d'autodeterminazione sessuale della donna e la pacifica convivenza nell'ambito comunale. © RIPRODUZIONE RISERVATA 7 LICENZIAMENTO Il ritiro della patente per guida in stato di ebbrezza durante la “reperibilità” non giustifica il licenziamento Corte di cassazione - Sezione VI civile - Sentenza 7 settembre 2011 n. 23063 Grave ma non gravissimo alzare il gomito durante la reperibilità. E illegittimo, perché sproporzionato, il licenziamento di chi, impiegato nella ditta di manutenzione di un ascensore, venga fermato alla guida in stato di ebbrezza, durante il turno di “reperibilità”, e subisca la confisca della patente. Il licenziamento è scattato quando il lavoratore ha chiamato il datore di lavoro per avvertirlo che siccome la sera prima gli era stata ritirata la patente non poteva recarsi a lavoro. E da lì il puntuale racconto del dipendente che aveva confessato di essersi recato a cena fuori con la moglie in un ristorante di Torino ma poi all’uscita era incappato nella spiacevole sorpresa. Fermato dai Carabinieri, e sottoposto ai controlli di rito, era risultato fuori dai parametri alcolemici consentiti per la guida con conseguente ritiro immediato della patente. Per i giudici di Piazza Cavour, sentenza 23063/2011 - che se non altro premiano la sincerità del lavoratore il comportamento “pur grave”, come sottolineato anche dalla Corte di appello, non lo era però fino al punto da legittimare il licenziamento. Infatti, come chiarito dalla Corte territoriale, “l’essere inserito nel turno di reperibilità non può essere equiparato all’essere in servizio effettivo e nell’espletamento delle mansioni lavorative”. Non solo, “nella notte in questione non vi sono state chiamate che interessano il turno di reperibilità”, e “lo stato di ebbrezza non può avere immediatamente riflessi sul vincolo fiduciario” senza guardare alle circostanze concrete e al contesto dell’avvenimento, che nel caso sembrava essere una tranquilla serata familiare. Infine, l’assenza di precedenti disciplinari deponeva ancora una volta a favore del dipendente. Del resto, anche a voler incarnare la linea dura, sarebbe stato lo stesso contratto collettivo a sbarrare la strada, prevedendo per una comportamento peggiore, la manifesta ubriachezza, una sanzione più lieve: l’ammonizione o al massimo la sospensione © RIPRODUZIONE RISERVATA CODICE DELLA STRADA Tutor, annullata la multa fatta con i criteri dell'autovelox Giudice di pace di Cassarano - Sentenza 16 settembre 2011 n. 647 Autovelox e Tutor non sono la stessa cosa. A certificarlo arriva una sentenza del giudice di pace di Casarano, in provincia di Bari, che ha annullato una multa per eccesso di velocità perché fondata sul criterio di abbattimento prudenziale della velocità rilevata - il 5% - previsto dal Dm 29/10/1997 per il diverso caso degli autovelox. Un indirizzo questo che se dovesse essere confermato metterebbe a rischio numerosi ricorsi in atto. L’annullamento della multa ruota, dunque, tutta intorno alla domanda relativa alla percentuale di abbattimento della velocità da applicare in caso di infrazioni identificate con il sistema tutor. Una domanda a cui il giudice di pace risponde parzialmente indicando come riferimento più pertinente la disciplina prevista dalla legge per i rilevamenti “casello casello”. Il tutor, infatti, spiega la sentenza, diversamente dall’autovelox funziona misurando la velocità media tra due postazioni di rilevamento. E l’articolo 355 del regolamento di attuazione del codice della strada norma, al comma 3, il caso in cui il controllo della velocità avvenga mettendo in relazione “le annotazioni cronologiche stampigliate sui biglietti autostradali all'atto dell'emissione e dell'esazione del pedaggio” con la distanza tra i caselli di ingresso e di uscita. Per queste ipotesi, la legge prevede che “alla determinazione della velocità è associato l'errore relativo - a favore del trasgressore - pari al 5, 10, 15 per cento a seconda che la velocità dedotta risulti, rispettivamente, inferiore a 70 km/ora, ovvero pari a 70 km/ora ed inferiore a 130 km/ora, ovvero pari o 8 superiore a 130 km/ora”. Anche qui, dunque, il calcolo si basa su di una velocità media. Se così fosse, anche nel caso dei tutor andrebbero applicate le percentuali di riduzione “progressiva” del 5%, 10% e 15%”. Ma, termina il giudice, siccome non si conosce il criterio da utilizzare nei casi in cui vi è il tutor “ne deriva l’impossibile corretta verifica del comma della norma ex art. 142 violato”. Per cui “in ogni caso in cui venga applicata tout court la sola riduzione del 5% nei casi di accertata violazione mediante calcolo della velocità media non vi è certezza dell’esatto accertato superamento della velocità massima consentita”. E in tale situazione “la verbalizzazione effettuata è dubbia in quanto applicato un criterio (riduzione del 5 %) non previsto per legge”. “Pertanto - conclude la sentenza - nell’ipotesi di specie, non potendosi esattamente conoscere l’effettiva violazione commessa si deve propendere per un errore di accertamento, che comporta la nullità dello stesso”. La questione della competenza Fissato anche un importante principio in tema di competenza. Infatti, non essendo possibile individuare il luogo esatto in cui si è commessa l'infrazione, dal momento che il tutor registra una "media" della velocità, la competenza è del giudice di residenza del trasgressore, in quanto è in quella sede che è stato notificato il provvedimento da impugnare. © RIPRODUZIONE RISERVATA REVOCA DELLA DONAZIONE Le dà tutto ma lei lo abbandona, scatta la revoca delle donazioni Corte di cassazione - Sezione II civile - Sentenza 4 novembre 2011 n. 22936 Se la giustizia non è di questo mondo questa volta la Cassazione ci ha messo una toppa. È la storia, neppure tanto inconsueta, di un uomo maturo che infervorato dall’amore per una donna molto più giovane di lui, le aveva trasferito titoli azionari e donato la casa, per poi ritrovarsi solo e abbandonato, una volta divenuto vecchio e malato. La ex, al contrario, aveva avuto un figlio con l’amante che non aveva mai lasciato, neppure dopo il matrimonio seguito alla loro convivenza. L’ormai anziano signore, però, non si è perso d’animo ed è corso dall’avvocato per riavere quanto regalato alla ingrata compagna. E in parte l’ha riottenuto. La Cassazione, con la sentenza 22936/2011, infatti, ha condiviso il giudizio della Corte di appello di Roma, che aveva identificato l’ingratitudine della donna - alla base della revoca della donazione - proprio nel fatto che ella aveva portato avanti negli anni una relazione adulterina, anche dunque dopo essersi sposata ed aver ricevuto abbondanti regali, fino ad abbandonare il marito per l’amante, in un momento in cui egli risultava bisognoso di assistenza. Non è scattata, invece, la revoca anche per i 730 milioni di vecchie lire in titoli donati alla donna, perché l’intestazione era avvenuta in un momento successivo, quando i due erano già conviventi, e dunque, per la Corte, poteva trattarsi non di una donazione ma soltanto di una particolare modalità di gestione delle risorse comuni. Tuttavia, la proprietà di un numero così ingente di azioni, anche se non è tornata nel portafoglio del marito, è comunque servita ai giudici per ravvisare nel complessivo comportamento della donna “quella mancanza di solidarietà e riconoscenza, quel malanimo” verso l’ex in difficoltà, che pure era stato così generoso con lei nel donarle la casa, tali da “assurge ad ingiuria grave”, legittimando così la revoca della donazione dell’appartamento. © RIPRODUZIONE RISERVATA 9 LAVORO Laurea e specializzazioni riscattabili ma con limiti Tar Campania - Napoli - Sezione II - Sentenza 31 ottobre 2011 n. 5092 Non si può riscattare il corso di specializzazione svolto contemporaneamente alla normale attività lavorativa anche se propedeutico all’impiego. Il Tar Campania con la sentenza n. 5092 del 31 ottobre 2011 ricorda infatti che il dipendente può riscattare in tutto o in parte il periodo di tempo corrispondente alla durata degli studi universitari e dei corsi speciali di perfezionamento - corrispondendo un contributo pari al 7 per cento, commisurato all'80% dello stipendio spettante alla data di presentazione della domanda, in relazione alla durata del periodo riscattato - se gli è stato richiesto, come condizione necessaria per l'ammissione in servizio, il diploma di laurea o quello di specializzazione rilasciato dopo la frequenza di corsi universitari di perfezionamento e, quindi, prima di iniziare a lavorare. © RIPRODUZIONE RISERVATA REATI CONTRO LA PERSONA Diffamazione continuata se la comunicazione è fatta a voce alta Corte di cassazione - Sezione V penale - Sentenza 13 maggio-4 novembre 2011 Per la diffamazione continuata è ininfluente il numero di persone che hanno effettivamente sentito le affermazioni lesive, è sufficiente che chi manifesta il proprio pensiero lo faccia con l'intenzione e la consapevolezza di essere ascoltato. La Corte di cassazione con la sentenza 39768, annulla l'assoluzione di una dottoressa che, nel corridoio dell'ospedale parlando a voce alta, aveva detto a una sua paziente di fare attenzione a un operatore che lavorava nella stessa struttura perché "aveva già violentato due ragazze". Per la Corte d'Appello di Potenza non si poteva però parlare di diffamazione continuata perché la "notizia" era stata data a un solo interlocutore, né erono stati indicati nomi di altre persone presenti all'episodio. Una lettura dell'accaduto che gli ermellini smentiscono. La Suprema corte - sottolinea, infatti, che per il reato di diffamazione continuata non serve la simultaneità della comunicazione a più persone, né esiste la necessità di capire chi abbia realmente ascoltato. Il reato scatta se è evidente l'intenzione e la consapevolezza di chi parla di essere ascoltato. © RIPRODUZIONE RISERVATA BANCAROTTA FRAUDOLENTA DOCUMENTALE Bancarotta fraudolenta, nessuno sconto all’amministratore di fatto Corte di cassazione - Sezione V penale - Sentenza 3 novembre 2011 n. 39593 Nessuna distinzione tra amministratori “di fatto” e “di diritto” di una società di fronte alla responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta. Chi si muove dietro le quinte, dunque, risponde appieno delle condotte antigiuridiche dell’azienda senza limitazioni di sorta. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza 39593/2011, respingendo il ricorso di un signore di Palermo già condannato, in primo grado e poi in appello, per il fallimento di una società a responsabilità limitata operante nel settore della pesca. Il suo nome come amministratore di fatto della Srl era saltato fuori dalle dichiarazioni rese da due soggetti diversi, il primo risultato poi coimputato ed il secondo un ex amministratore della società fallita, durante una ispezione amministrativa della Guardia di Finanza. All’epoca dell’ispezione, avvenuta in sua presenza, le scritture contabili furono esibite soltanto in parte, per cui il giudice di merito ritenne provato il dolo specifico del soggetto per aver scientemente sottratto delle carte che se mostrate avrebbero portato ad una puntuale verifica sullo stato e sulle ragioni del passivo di 417mila euro in cui versava la società. Fu perciò ritenuto provato il dolo specifico consistente nella precisa volontà di ostacolare gli accertamenti della Finanza. Nella motivazione la Suprema Corte torna poi su di un proprio indirizzo ormai consolidato secondo cui l’amministratore di fatto, ai sensi dell’articolo 2639 del codice civile, è da ritenersi “gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore di diritto”, e, dunque, “egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili”, ovviamente quando ricorrano anche le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo. © RIPRODUZIONE RISERVATA 10 A CURA DI LEX24 . IL MERITO Quando la garanzia ipotecaria non è opponibile al fallimento Palumbo Francesco, Lex24 - Il Merito 4 novembre 2011 Tribunale di Latina, Sentenza 23 maggio 2011, n. 1180 - Giudice Dott. Roberto Amatore La fattispecie. Nel giudizio di opposizione allo stato passivo ex art.98 L.F. l'opponente in qualità di cessionaria di un credito assistito da garanzia ipotecaria deduceva di essere subentrata nella medesima posizione del cedente, per cui chiedeva l'ammissione del proprio credito in via privilegiata. Nella precedente fase della verifica dei crediti il Giudice Delegato non aveva ammesso il suddetto privilegio, stante la mancata annotazione della intervenuta cessione del credito. L'opponente deduceva che l'annotazione della cessione era stata effettuata dopo la dichiarazione di fallimento. La curatela convenuta eccepiva in via riconvenzionale la revocabilità ex Art. 67 I° comma, n.4, L.F. della iscrizione della garanzia ipotecaria. Con il provvedimento in esame ed in accoglimento dell'eccezione revocatoria veniva respinta l'opposizione. La sentenza n.1180 del 23 maggio 2011 del Tribunale di Latina Il giudizio di opposizione allo stato passivo : Va precisato in termini generali e ricostruttivi, che l'opposizione ex art. 98 l. fall. è configurabile come gravame a carattere tipicamente sostitutivo, atto a promuovere il diretto riesame, a cognizione piena ed esauriente, delle stesse situazioni soggettive ( sostanziali e processuali ), oggetto della domanda di ammissione al passivo, e ciò in vista di una pronuncia che tenga luogo di quella precedentemente emanata al riguardo dal giudice delegato a cognizione meramente sommaria. Il rimedio, pertanto, introduce un giudizio, a rito speciale, di cognizione di natura contenziosa - nel quale l'opponente assume la veste di attore ed il curatore quella di convenuto - sull'esistenza e sull'efficacia nei confronti del fallimento del credito insinuato ( così, Cass. 74/2133 ; Cass. 71/393 ) ovvero delle garanzie che lo assistono o del diritto di ottenere la restituzione o la rivendicazione di un bene. Peraltro, va aggiunto che, nel vigore della precedente disciplina, applicabile ratione temporis anche al caso di specie, si è sempre affermato che l'opposizione allo stato passivo costituisce lo sviluppo, in sede contenziosa, della precedente fase di verificazione e di accertamento dei crediti ( cfr. Cass. 86/5496 ). Deve tuttavia essere precisato che un principio regolatore del giudizio di opposizione nel regime previgente era quello secondo cui l'indagine del tribunale non era limitata alla legittimità del provvedimento del g.d., ma era estesa al riesame dell'intero rapporto da cui trae origine il credito insinuato ( cfr. Appello Bologna 19.12.1972, D. fall. II, 173 ; Trib. Como 20.11.1981, Fall. 82, 1273 ; Trib. Milano 25.07.1983, Fall. 83, 1199 ), risultando, pertanto, consentito al giudice e alle parti esaminare tutte le ragioni ed eccezioni dirette, rispettivamente, a sorreggere ed a contrastare il fondamento delle domande originarie ( Appello Bologna, cit. ) ed al curatore, più in particolare, di far valere, nei limiti entro cui le regole del processo di cognizione lo consentono, ragioni di infondatezza della pretesa del ricorrente diverse da quella enunciate nell'originario provvedimento di non ammissione del credito al passivo ( Cass. 96/6963 ). L'eccezione di revocatoria Ciò premesso, il tribunale di Latina ritiene che la eccezione di revocatoria della garanzia ipotecaria sia da considerarsi legittima ed ammissibile, anche se non era stata sollevata in precedenza dal curatore ed anche se è decorso ormai il termine per proporre la revocatoria in via di azione ( Trib. Milano 26.02.2007, Fall. 07, 941 ). Ebbene, il nuovo testo dell'art. 95 prevede che, nell'esaminare le domande di ammissione al passivo e nel predisporre gli elenchi dei creditori, rassegnando per ciascuno le sue motivate conclusioni, il curatore possa eccepire i fatti estintivi, modificativi o impenditivi del diritto fatto valere, nonché l'inefficacia su cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se è prescritta la relativa azione. La norma ammette dunque l'eccezione di revoca, da parte del curatore, nel procedimento di formazione del passivo. Prima della riforma ex d.lgs. 5/2006 della legge fallimentare si era deciso che l'esercizio dell'azione revocatoria mediante domanda riconvenzionale esperita nel giudizio di opposizione a stato passivo doveva ritenersi ammissibile qualora si fondasse sui medesimi fatti o rapporti dedotti in giudizio e non implicasse alcun ampliamento della materia già portata all'attenzione del giudice (Cass. 2007/9904 ; Cass. 96/6963) ; si era anche statuito che un credito o una garanzia potessero venire esclusi dal passivo a causa della loro revocabilità senza che il curatore esercitasse la relativa azione dinanzi al tribunale fallimentare (Cass. 90/2546). 11 Stabilita pertanto l'ammissibilità della revoca in via di eccezione, deve applicarsi al caso di specie l'invocato art. 67, primo comma, n. 4 l. fall., norma a tenore della quale “Sono revocati, salvo che l'altra parte provi che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore ... 4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituite entro l'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti”. Ciò premesso, il tribunale di Latina afferma che ai sensi del sopra richiamato art. 67, primo comma, n. 4, l. fall., e ferma la presunzione iuris tantum della ricorrenza della scientia decotionis in capo al creditore garantito in assenza di una contraria prova allegata in giudizio, la originaria costituzione della ipoteca giudiziale sia in realtà soggetta a revocatoria e sia pertanto inefficace ai sensi del predetto art. 67, qualora l' iscrizione ipotecaria sia stata effettuata nel periodo infraaanuale previsto dalla norma in esame. La retrodatazione del periodo sospetto : Il magistrato precisa inoltre, che nel caso di consecuzione di procedure concorsuali (nella specie, un concordato preventivo cui è seguita la dichiarazione di fallimento), la identificazione del cd periodo sospetto avviene tramite la retrodatazione dello stesso dalla prima presentazione della domanda di concordato preventivo. Quindi, deve farsi riferimento alla data di apertura della prima procedura a carico della società e non a quella del fallimento (Trib. Monza 9.11.1987, Il fall. 88, 586 ; Trib. Bologna 19.03.1988, Il Fall. 89, 301). Ne consegue che se l'iscrizione della ipoteca è avvenuta nel periodo infraannuale previsto dalla norma in esame, essa è revocabile in relazione ai debiti già scaduti con conseguente inefficacia della stessa nei confronti della curatela. RISARCIMENTO DANNI La voce di ristoro può essere cancellata solo dopo un'apposita consulenza tecnica Piselli Mario, Guida al Diritto 5 novembre 2011, N. 44 - Pagina 55 Il tema del risarcimento del danno, nelle sue variegate voci, è stato ancora una volta oggetto della pronuncia da parte del giudice di legittimità che con la sentenza 18641/2011 è intervenuto sulla questione della liquidazione del danno morale in favore di un minore, risolvendo il quesito se il danno non patrimoniale da lesione del diritto alla salute debba considerarsi una categoria onnicomprensiva di tutti i pregiudizi patiti dal soggetto leso, tale da impedire al giudice l'utilizzo di più voci a fronte di un'identica lesione. La vicenda - Nella fattispecie esaminata era accaduto, appunto, che un ginecologo era stato condannato, sia in primo grado che in appello, a risarcire i genitori di un minore per i gravi danni colpevolmente cagionatigli al momento della nascita. A seguito del ricorso proposto dal professionista che contestava il criterio di liquidazione seguito dai giudici di merito, la Suprema corte, nel confermare la sentenza impugnata, ha ritenuto corretta la liquidazione congiunta del danno biologico e del danno morale sulla scorta di quanto stabilivano le tabelle del tribunale di Milano, vigenti all'epoca dei fatti. Queste ultime, prima della loro rivisitazione a seguito delle sentenze delle sezioni Unite nn. 26972-26975 del 2008, prevedevano la liquidazione del danno morale come frazione del danno biologico, salvo personalizzazione. Il tribunale di Milano, poi, modificò le tabelle nel 2009 e il giudice di legittimità, con le sentenze 12408/2011 e 14402/2011, le ha dichiarate applicabili su tutto il territorio nazionale, ma ciò nonostante non è stato mai rimosso il concetto secondo cui la fattispecie del danno morale dovesse essere intesa come voce integrante la più ampia categoria del danno non patrimoniale. C'è voluto il legislatore che, con l'emanazione di due successivi Dpr, il n. 37 del 2009 e il n. 191 sempre del 2009, ha manifestato la chiara intenzione di voler distinguere tra la voce di danno biologico, da una parte, e la voce di danno morale, dall'altro. L'articolo 5 del Dpr 37/2009 stabilisce, infatti, che la percentuale del danno biologico viene determinata sulla scorta delle tabelle delle menomazioni di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni, mentre la determinazione della percentuale del danno morale deve essere stabilita, caso per caso, tenendo conto dell'entità della sofferenza e della lesione alla dignità della persona, nella misura massima di due terzi del valore percentuale del danno biologico. La relazione introduttiva alle tabelle - Nella sentenza in esame il giudice di legittimità ha, poi, ulteriormente affermato che nella relazione introduttiva alle nuove tabelle del tribunale di Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale, derivante da lesione all'integrità psicofisica, viene precisato proprio che prima delle sentenze delle sezioni Unite nn. 26972-26975 del 2008 la liquidazione del danno morale avveniva in misura variabile da un quarto a un mezzo di quanto liquidato a titolo di danno biologico, con possibilità di aumento di 12 questo fino al 30% dei valori standard; dopo l'intervento delle sezioni Unite, invece, si è posta l'esigenza di una liquidazione congiunta del danno biologico e del danno conseguente alle medesime lesioni in termini di dolore e di sofferenza soggettiva in via di presunzione. I precedenti - Nella recente sentenza 12408/2011 la Cassazione, poi, non ha inteso cancellare il danno morale quale duplicazione del risarcimento del danno biologico ma ha dettato dei criteri di valutazione ai quali i giudici del merito dovranno attenersi nel liquidare il danno non patrimoniale alla persona. In quest'ultima decisione, infatti, il giudice di legittimità, preso atto che la specifica tabella unica su tutto il territorio della Repubblica prevista dall'articolo 138 del codice delle assicurazioni private non è stata emanata, al fine di evitare disparità di trattamento ha fatto ricorso al concetto di equità, inteso come parità di trattamento, in modo che la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da tale tipo di lesione avvenga mediante l'adozione, da parte di tutti i giudici, di valutazioni uniformi che vengono individuati nei criteri tabellari, elaborati dal tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto. A più riprese la giurisprudenza della Corte ha ribadito il criterio della congiunta attribuzione del risarcimento da danno biologico e da danno morale, liquidando quest'ultimo in una percentuale, salvo personalizzazione; così, nella sentenza 29191/2008 viene escluso che, in presenza di lesioni gravissime con esiti dolorosi dal punto di vista psichico il danno morale possa essere liquidato nella misura del 30% di quello biologico, oppure, con la sentenza 10864/2009, in una controversia in tema di demansionamento, la Corte ha riconosciuto sia il danno biologico che quello morale nell'ambito del danno non patrimoniale. Nel confermare la pronuncia del giudice di appello la Corte ha precisato inoltre che il risarcimento del danno morale può essere escluso soltanto quando risulti con certezza, all'esito di un'apposita consulenza tecnica, l'assoluta incapacità del soggetto a percepire il dolore e, quindi, il suo permanente e irreversibile stato totalmente vegetativo. Per quanto concerne, infine, la liquidazione del cosiddetto danno parentale la Suprema corte, richiamando la propria recente giurisprudenza, ha affermato che la sua quantificazione deve essere tanto più elevata quanto più gravi risultino le lesioni subite dal danneggiato, specialmente se in tenerissima età, in quanto debbono essere ristorati anche gli aspetti relazionali da perdita del rapporto parentale, inteso come danno esistenziale, e del conseguente sconvolgimento dell'esistenza, inteso cambiamento di vita, a causa della necessità dell'assistenza familiare comportante l'assoluto sacrifico dell'individuo verso il macroleso. INNOVAZIONI PROCESSUALI Rito del lavoro sui verbali Falasca Giampiero, Il Sole 24 ore - Norme e Tributi 3 novembre 2011 - Pagina 35 Con la circolare 28 emanata ieri il ministero del Lavoro fornisce le prime interpretazioni sulle innovazioni processuali in materia di lavoro contenute nel decreto legislativo 150/2011. Con il decreto è stato completato il progetto di semplificazione dei riti civili, avviato dalla legge 69/2009, con la quale tutti i procedimenti giudiziari civili sono stati ricondotti a tre sole tipologie: il rito ordinario di cognizione, il rito di lavoro e il rito sommario di cognizione. Il decreto legislativo 150/2011, attuando tali norme, colloca dentro il rito del lavoro i giudizi di opposizione ad ordinanza ingiunzione, se relative a violazioni in materia di lavoro; questi giudizi, quindi, cessano di essere disciplinati dalla legge 689/1981 sul procedimento amministrativo. La novità si applica a tutti i giudizi instaurati dopo l'entrata in vigore del decreto, quindi a partire 6 ottobre 2011. Da questa data, il giudizio di opposizione sarà regolato dalle norme del processo del lavoro, e dall'articolo 6 del dlgs 150/2011. La nuova disciplina è informata ad alcuni principi giurisprudenziali che sono ricordati nella circolare: il vincolo del giudice ad attenersi alle domande delle parti, e l'impossibilità di rilevare d'ufficio casi diversi dall'inesistenza o dalla nullità assoluta dell'atto. Per quanto riguarda la fase introduttiva del giudizio, restano confermate le regole sulle competenza del giudice, le eventuali eccezioni di incompetenza vanno proposte a pena di decadenza nella comparsa di risposta, salva la possibilità del giudice di rilevarla d'ufficio non oltre l'udienza di discussione. Non cambiano i termini per proporre il ricorso, in quanto l'articolo 6 ribadisce la regola precedente, chi fissava tale termine in 30 giorni dalla data di notificazione dell'ordinanza (i giorni diventano 60 per i residenti all'estero). Una novità riguarda invece la forma di presentazione del ricorso: viene ammessa la possibilità di 13 presentarlo a mezzo posta. La riforma modifica i termini di comparizione; non si applica più la regola secondo cui tra il giorno della notificazione e l'udienza di comparizione devono obbligatoriamente intercorrere 90 giorni, ma si applica un nuovo e più breve termine di 30 giorni (tipico del rito del lavoro). Questa innovazione costringerà le pubbliche amministrazioni chiamate a difendersi a essere più rapide nella scrittura degli atti. In merito alla costituzione in giudizio, la circolare ricorda che le amministrazioni possono essere difese da un funzionario, la cui procura è sottratta alle formalità della procura alle liti rilasciata a un legale, ma devono comunque depositare un fascicolo di parte. Cambia anche la procedura di sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato. La sospensione, secondo la nuova disciplina, può essere concessa dal giudice - con ordinanza non impugnabile - nei soli casi in cui sia stata espressamente richiesta dall'opponente, e solo dopo aver sentito le parti; inoltre, la sospensione deve essere motivata dall'esistenza di «gravi e circostanziate ragioni», di cui il giudice deve dare esplicitamente conto nella motivazione del provvedimento con cui la concede. Le uniche eccezioni a questa regola riguardano il rischio di grave e irreparabile danno le ragioni dell'opponente. Con la riforma entra in vigore il regime di decadenze del processo del lavoro, e quindi nella memoria difensiva (da depositare almeno 10 giorni prima dell'udienza), a pena di decadenza, devono essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, le difese in fatto e in diritto, e devono essere indicati i mezzi di prova, oltre ai documenti che si depositano. Da ultimo la circolare ricorda che in materia di crediti derivanti da sanzioni amministrative non è possibile procedere ad atti transattivi, non potendo la sanzione amministrativa, nel suo complesso, formare oggetto di tali accordi; essa costituisce un credito dello Stato e, in quanto, tale, è sottratto alla disponibilità delle parti. © RIPRODUZIONE RISERVATA Nuove regole 01 | OPPOSIZIONE Il Decreto legislativo 150/2011 sottrae i giudizi di opposizione ad ordinanza ingiuntivi, in materia di lavoro, alle regole sul procedimento amministrativo (legge 689/1981). A tali ordinanze si applicano, a partire dal 6 ottobre scorso, le regole del processo del lavoro 02 | TERMINI E FORME Restano uguali in termini per proporre il ricorso (30 giorni dalla notifica, 60 per i residenti all'estero), ma la presentazione potrà essere fatta anche a mezzo posta 03 | UDIENZA PIÙ VELOCE La prima udienza deve aver luogo entro 30 giorni (al posto di 90). Questo costringerà la Pa a predisporre difese più veloci 04 | SOSPENSIONE La sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato nelle more del procedimento può essere concessa solo per «gravi e circostanziate ragioni» LAVORO Congedo straordinario per l'assistenza ai disabili: è sufficiente la prova della convivenza Proietti Marco, Lex24 - Il Merito 4 novembre 2011 - Pagina 35 Introduzione La disciplina relativa al congedo straordinario per l'assistenza ai disabili è stata oggetto di un interessante lavoro interpretativo da parte della giurisprudenza degli ultimi due anni, soprattutto quella di merito, con conseguente importanti circa la valutazione di alcuni elementi come quello della c.d. “convivenza” ritenuti fondamentali per la fruizione dei benefici. Il Tribunale di Reggio Emilia, nella sentenza del 20 settembre 2011, n. 382, si è inserito in un importante filone giurisprudenziale relativo al riconoscimento del diritto al congedo straordinario ex art. 42, comma 5°, D.lgs. 26.3.2001, n. 151, ed ha confermato che tale diritto sussiste in capo al figlio di genitore disabile a prescindere dalla residenza dichiarata ma, essenziale, purché venga provato una convivenza duratura e ininterrotta. La sentenza, certamente molto forte, entra in un contesto già più volte ritoccato da parte dell'INPS e del Ministero del Lavoro – oltre che, prima ancora, da parte della Corte Costituzionale – ed è quindi opportuna una disamina sull'istituto in sé per poter comprendere la portata della decisione in esame. 14 Il congedo straordinario La disciplina del congedo straordinario è fissata dal D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, che all'art. 42 nel prevedere le modalità ed i presupposti per la fruizione di riposi e permessi per i figli con handicap grave – già disciplinata dalla l. 8 marzo 2000, n. 53 – stabilisce che il beneficio straordinario per l'assistenza i disabili spetta solo ad alcuni soggetti che, nello specifico, sono ridotti a quattro categorie: (i) il coniuge convivente della persona gravemente disabile; (ii) i genitori, anche adottivi; (iii) i fratelli o sorelle; (iv) il figlio del convivente. La tematica è stata oggetto di diversi interventi, in primis, da parte dell'INPS che ha fornito importanti chiarimenti con il messaggio 2 settembre 2009, n. 19583, e con il successivo messaggio 4 marzo 2010, n. 6512; in secondo luogo, è stato il Ministero del lavoro a provvedere con alcune smussature della disciplina (cfr. circ. min. 18 febbraio 2010, n. 3884) ed ha cercato di qualificare, in modo incontrovertibile, il concetto stesso di convivenza oggetto di discussione da più parti in ragione della (forse) eccessiva chiusura di vedute. In un primo momento, infatti, l'INPS ha ritenuto di poter riconoscere il beneficio in esame unicamente in presenza di un rapporto molto stretto tra i soggetti beneficiari ed il soggetto disabile, ricollegando tutto il sistema al luogo di residenza di quest'ultimo; nel messaggio del 2009 si può leggere che “... alla luce della necessità di una assistenza continuativa, per convivenza si deve fare riferimento, in via esclusiva, alla residenza, luogo in cui la persona ha la dimora abituale, ai sensi dell'art. 43 c.c., non potendo ritenersi conciliabile con la predetta necessità la condizione di domicilio né la mera elezione di domicilio speciale previsto per determinati atti o affari dall'art. 47 c.c.”: in poche parole l'INPS, chiudendo le porta ad interpretazioni estensive della norma, aveva stabilito che la residenza del disabile fosse un requisito non aggirabile da chi richiedeva il beneficio del congedo ex art. 42, 5° co., nemmeno con una elezione di domicilio e nemmeno dimostrando di essere assiduamente ed ininterrottamente convivente. Nel caso del figlio convivente con il genitore disabile, inoltre, la norma escludeva il beneficio del congedo straordinario. Solo con la sentenza della Corte Costituzionale 30 gennaio 2009, n. 19, si è inserito anche questo soggetto nel novero di chi può beneficiare del congedo, seppur sempre subordinando la fruizione dei permessi alla sussistenza del requisito della residenza; residenza che, si chiarisce, doveva corrispondere esattamente con l'appartamento del soggetto disabile escludendo automaticamente anche il figlio residente nello stesso stabile ma in un appartamento diverso (al piano superiore). A questo punto, sono sorte numerose controversie contro l'INPS promosse da parte di chi, figlio di portatore di handicap grave, si è visto negare il beneficio del congedo straordinario poiché la propria residenza non corrispondeva a quella del soggetto con disabilità; la giurisprudenza di merito, come accennato, è intervenuta e – bastandosi anche sulla circolare ministeriale 18 febbraio 2010, n. 3884 – ha spinto verso una radicale modifica del sistema o quantomeno ad una interpretazione meno rigida della norma; i giudici del merito hanno posto l'accento sulla tutela psico-fisica del disabile a cui è funzionale la fruizione del congedo, tutela che si fonda sui principi costituzionali di solidarietà sociale stabiliti dagli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione: per tali ragione, si sosteneva, un'eccessiva rigidità dell'applicazione della norma in questione sarebbe chiaramente anti-costituzionale. In questo senso una primissima sentenza di merito è stata emessa da parte del tribunale di Udine che, tramite ordinanza del 2 settembre 2009, n. 565, relativa ad un procedimento ex art. 700 c.p.c., ha ritenuto che il figlio di soggetto con disabilità grave abbia pienamente diritto al congedo straordinario anche quando domicilio e residenza sono fissati altrove tenuto conto che la convivenza è una situazione di fatto per la prova della quale è sufficiente una semplice dichiarazione delle parti resa nelle forme di legge. La portata della sentenza è evidentemente molto forte. Il requisito della convivenza viene, ovviamente, qualificato come situazione di fatto e che – pertanto – non richiede una specifica normazione al fine di essere tutelato poiché si ritiene sufficiente la semplice prova della c.d. abitualità; su questo punto la circ. min. lav. 18 febbraio 2010, n. 3884, è stata ancora più esaustiva e si legge infatti che: “... è di tutta evidenza che la residenza nel medesimo stabile, sia pur in interni diversi, non pregiudica in alcun modo l'effettività e la continuità dell'assistenza al genitore disabile. Ancorare, quindi, la concessione del diritto esclusivamente alla coabitazione priverebbe in molti casi il disabile della indispensabile assistenza atteso che, il più delle volte, gli aventi diritto hanno già conseguito una propria indipendenza”. Il Ministero del lavoro, pertanto, ha posto le basi di un'interpretazione estensiva della norma fondandosi, giustamente, sull'ampio respiro dell'art. 32 della Costituzione e su quel concetto di diritto inviolabile che si ravvede nell'integrità psico-fisica di ogni cittadino. 15 La sentenza del Tribunale di Reggio Emilia Partendo da questi presupposti sono giunte una serie di decisioni di merito conformi a quella del tribunale di Udine, tutte unite dalla medesima valutazione dei diritti costituzionali in evidenza nel caso del congedo straordinario; sulla stessa linea anche la sentenza in esame che, nello specifico, ha assunto connotati ancora più rilevanti con particolare riferimento all'onere della prova. Il giudice di Reggio Emilia è partito da considerazioni analoghe a quelle effettuate dai propri omologhi: il bene della vita e, meglio ancora, dell'integrità psico-fisica, ha valore preminente che nell'ambito di una disabilità grave viene ad essere intimamente connesso con il diritto all'assistenza verso un proprio congiunto o parente prossimo. Più nello specifico, l'esclusione del figlio dal beneficio del congedo straordinario in favore del padre disabile o, in ogni caso, la limitazione dello stesso ai soli casi di “residenza coincidente”, comporterebbe una ingiustificata compromissione e compressione dei diritti costituzionali in gioco – già oggetto di sentenza della Corte – soprattutto quando, come in molti casi, si è di fronte ad un figlio unico: una vera e propria disparità di trattamento priva di ogni ragionevole giustificazione. In questo senso il Tribunale di Reggio Emilia ha ritenuto sussistente il diritto del figlio unico ad assistere il padre con disabilità grave anche se residente in altro Comune (nel caso di specie, infatti, il padre era residente a Napoli); all'esito dell'istruttoria è dunque emerso che, seppur con diversa residenza, il figlio risultava convivente abituale e continuativo, oltre ad essere l'unico che – concretamente – si è preso cura del padre disabile: negare il diritto al congedo straordinario avrebbe equivalso ad un mancato riconoscimento alla dovuta assistenza. E' chiaro che la sentenza ha ampliato quanto già ragionato dalla giurisprudenza di merito ed ha preso in considerazione la prova, a carico del richiedente, a dimostrazione dell'esistenza di una convivenza abituale; la situazione di fatto, come si analizzava poco sopra, diviene tutelabile a tutti gli effetti a prescindere da un'effettiva normazione o riconoscimento in diritto e ciò ha evidentemente una portata interdisciplinare anche con istituti lontani dal congedo straordinario; in buona sostanza, la prova di una convivenza assidua e – a questo punto – necessaria per il disabile (poiché privo di altri congiunti o parenti) garantisce l'automatico diritto del figlio convivente a vedersi riconoscere i permessi straordinari ex art, 42 5° co., D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151. La sintesi della Sentenza n. 382/2011 del Tribunale di Reggio Emilia FATTO E DIRITTO "L'attrice chiede congedo straordinario ex art. 42, co. 5, L. 151/01, dovendo assistere il padre non autosufiiciente. La convenuta contesta il requisito ddla convivenza, poiché il padre è ancora residente a Napoli. Posto che di sicuro rileva la convivenza effettiva in base alla norma, il teste ha confermato la convivenza duratura da vari anni e i motivi per cui è stata mantenuta la residenza anagrafica a Napoli. Quanto al fatto che vi sarebbe la moglie a poter accudire il padre dell'attrice, si rileva che a stare alla deduzione dell'inps, la moglie vive a Napoli, sicchè non è convivente dell'assistendo, Esclusi danni, perché non provati. Le spese sono compensate in quanto la prova è stata ottenuta solo col teste e legittimo fu il rifiuto dell'inps sulla base del certificato di residenza angrafica, prima di avere prova piena con il teste. P.Q.M. dichiara il diritto attoreo a fruire del congedo ex art. 42, co. 5, L. 151/01 sin dalla data della prima domanda. Spese compensate. (....) " GLI APPROFONDIMENTI DI DIRITTO24 . MINORI Effettivo recupero delle capacità genitoriali per evitare l'affidamento etero-familiare Corte Appello di Roma, Sentenza 21 settembre 2011, n. 3839 - Rassegna giurisprudenziale a cura di Lex24 Minori - Stato di abbandono - Accertamento - Capacità genitoriali - Valutazione - Elementi. (L. 04.05.1983 n. 184, art. 1; L. 28.03.2001, n. 149) Lo stato di abbandono del minore si verifica anche nel caso in cui non sia sopravvenuta l'autonomia genitoriale necessaria - pur dopo i necessari e reiterati interventi dei servizi sociali e nonostante la 16 collaborazione e l'affetto dimostrati per il minore dal genitore - e risulti impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con le necessità del minore di uno stabile contesto familiare. Corte d'Appello di Roma, Sentenza 21 settembre 2011, n. 3839 Adozione - Adozione (dei minori d'età) - Adottandi - Adottabilità - Condizioni - Situazione di abbandono - In genere - Diritto del minore a vivere nell'ambito della famiglia naturale - Comprovata mancanza di capacità genitoriale per un tempo protratto ed incompatibile con l'armonico sviluppo psico-fisico del minore Situazione di abbandono - Sussistenza - Affidamento etero-familiare - Configurabilità - Esclusione. L'art. 1 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (nel testo novellato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149) attribuisce al diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine un carattere prioritario considerandola l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico - e mira a garantire tale diritto attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere situazioni di difficoltà e di disagio familiare. Pertanto, è immune da vizi l'accertamento dello stato di abbandono, nel caso in cui non sia sopravvenuta l'autonomia genitoriale necessaria - pur dopo i necessari e reiterati interventi dei servizi sociali e nonostante la collaborazione e l'affetto dimostrati per il minore dal genitore - e risulti impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di uno stabile contesto familiare, con conseguente legittimo rigetto della domanda di affidamento etero-familiare, il quale ha per legge carattere solo temporaneo. Corte di Cassazione, Sezione 1 Civile, Sentenza 26 gennaio 2011, n. 1837 Dichiarazione di adottabilità - Stato di abbandono - Presupposti per il riconoscimento. Ai fini della dichiarazione dello stato di adottabilità, la situazione di abbandono, intesa come violazione dei più ampi doveri che incombono sui genitori, tale da arrecare grave pregiudizio alla sana ed equilibrata crescita dei figli, va valutata in un'ottica di tutela degli interessi dei soggetti coinvolti, tenuto conto, in maniera particolare, dell'esigenza del minore di crescere nella famiglia d'origine; tale dichiarazione, quindi, non può discendere da un mero ed ipotetico apprezzamento circa l'inidoneità dei genitori del minore a svolgere il proprio ruolo, ma deve basarsi necessariamente su un'obbiettiva situazione esistente in atto; pertanto la ricorrenza dei presupposti per la dichiarazione dello stato di adottabilità dovrà essere esclusa dal giudice ogni qual volta, dagli atti in suo possesso, emerga una evoluzione positiva della condizione dei genitori e del progressivo formarsi in loro di una consapevolezza del loro ruolo genitoriale. Tribunale per i Minorenni Palermo Civile, Sentenza 4 febbraio 2010, n. 41 Adozione - Adozione (dei minori d'età) - Adottandi - Adottabilità - Condizioni - Situazione di abbandono - In genere - Condizioni - Mancanza di assistenza morale e materiale - Disponibilità dei genitori ad un miglioramento della situazione - Mera espressione di volontà - Rilevanza - Limiti. In tema di dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, la condizione della persistente mancanza di assistenza morale e materiale e l'indisponibilità a porre rimedio a tale situazione non viene meno per effetto di una mera espressione di volontà da parte dei genitori, poichè una "speranza" di recupero delle capacità genitoriali non è sicuramente idonea al superamento dello stato di abbandono. Corte di Cassazione, Sezione 1 Civile, Sentenza 17 luglio 2009, n. 16795 Adozione e affidamento - Stato di abbandono - Mera volontà di recupero delle capcità genitoriali Irrilevanza. In tema di adozione dei minori la mera espressione di volontà dei genitori, che si traduca in una speranza di recupero delle capacità genitoriali, non può ritenersi idonea ad escludere lo stato di abbandono. Corte di Cassazione, Sezione 1 Civile, Sentenza 17 luglio 2009, n. 16795 © RIPRODUZIONE RISERVATA REATI CONTRO IL PATRIOMONIO Merito giurisprudenziale sulle varianti dei reati patrimoniali Corte Appello di Firenze, Sezione 2, Sentenza 17 ottobre 2011, n. 2968 (LEX24) 07 novembre 2011 17 Truffa - Falsificazione realizzata per commettere la truffa - Configurabilità del concorso materiale tra il reato di falso in atto pubblico e quello di truffa - Sussistenza. (Cp, artt. 485 e 640) È configurabile il concorso materiale - e non l'assorbimento - tra il reato di falso in atto pubblico e quello di truffa, quando la falsificazione costituisca artificio per commettere la truffa. In tal caso, infatti, non ricorre l'ipotesi del reato complesso per la cui configurabilità è necessario, invece, che sia la legge a prevedere un reato come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro e non quando siano le particolari modalità di realizzazione in concreto del fatto tipico a determinare una occasionale convergenza di più norme e, quindi, un concorso di reati. Corte d'Appello di Firenze, Sez. 2, Sentenza 17 ottobre 2011, n. 2968 Ricettazione - Compatibilità del riconoscimento dell'ipotesi attenuata con la concessione della circostanza attenuante ex art. 62, n. 4, c.p. - Esclusione qualora il valore della cosa ricettata assurga ad unico elemento di valutazione per il riconoscimento dell'ipotesi attenuata. (Cp, artt. 62, n. 4,e 648, co. 2) In tema di ricettazione, pur essendo compatibile il riconoscimento dell'ipotesi attenuata prevista dall'art. 648, co. 2 c.p., con la concessione della circostanza attenuante della speciale tenuità del danno, di cui all'art. 62, n. 4 c.p., deve essere esclusa la riconoscibilità dell'attenuante comune nel caso in cui il valore della cosa ricettata assurga ad unico elemento di valutazione per il riconoscimento dell'ipotesi attenuata, onde evitare la duplicazione di circostanze favorevoli basate sulla considerazione del medesimo parametro. Corte d'Appello di Firenze, Sez. 2, Sentenza 4 ottobre 2011, n. 2715 Furto dell'autovettura parcheggiata sulla pubblica via - Circostanze del reato - Configurabilità dell'aggravante di cui al n. 7 dell'art. 625 c.p. (Cp, artt. 624 e 625) In merito all'imputazione del delitto di furto, commesso dall'imputato che compiva atti idonei ad impossessarsi, in modo non equivoco, al fine di trarne profitto, dell'auto regolarmente parcheggiata sulla via pubblica, si configura l'aggravante di cui al n. 7 dell'art. 625 c.p. trattandosi di bene esposto per necessità e comunque per consuetudine alla pubblica fede. In merito alla circostanza aggravante contestata nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che essa si configuri anche nel caso in cui l'auto sia dotata di sistema di antifurto satellitare poiché detto sistema non impedisce la sottrazione della vettura ed il conseguente impossessamento dal parte del prevenuto consentendo soltanto di porre rimedio all'azione delittuosa con il successivo recupero del bene. Corte d'Appello di Milano, Sez. 3, Sentenza 28 settembre 2011, n. 3335 Rapina - Circostanze del reato - Presupposti di configurabilità - Configurabilità dell'aggravante di cui al n. 3 dell'art. 628 - Contemporanea presenza di una pluralità di aggressori nel momento e nel luogo di consumazione del reato. (Cp, art. 628) In merito all'imputazione per il reato di rapina, commesso dal prevenuto che in concorso con altri due soggetti non identificati, mediante violenza e minaccia in danno della vittima, colpita con una bottiglia di vetro, si siano impossessati del telefono cellulare e del portafoglio della stessa, si configura l'aggravante di cui al n. 3 dell'art. 628 c.p. Ai fini della configurabilità dell'aggravante in esame è sufficiente la simultanea presenza, nel momento e nel luogo in cui la violenza o la minaccia si realizzino, di almeno due persone. L'aggravante de qua è giustificata dagli effetti fisici e psicologici che la contemporanea presenza di una pluralità di aggressori, può produrre sulla vittima di cui viene eliminata o ridotta la forza di reazione. Corte d'Appello di Milano, Sez. 3, Sentenza 26 settembre 2011, n. 3484 Reati contro il patrimonio - Rapina - Circostanze del reato - Colpevolezza dell'imputato - Conferma della sentenza di primo grado - Richiamo della motivazione espressa in primo grado. (Cp, art. 628) Merita conferma la sentenza di prime cure con la quale gli appellanti siano stati ritenuti colpevoli, e quindi condannati, perché, in concorso tra loro, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, usando violenza nei confronti della vittima e minacciandola con la pistola, si siano impossessati dei beni personali della stessa. In tal caso la Corte, laddove condivida l'articolata motivazione del giudice di prime cure, sinteticamente richiamata e trascritta, conferma il giudizio di responsabilità formulato dai giudici di primo grado saldandosi, la motivazione espressa in appello, con quella precedente, formando un unico complesso corpo argomentativo. Corte d'Appello di Milano, Sez. 3, Sentenza 23 settembre 2011, n. 3447 18 Rapina - Minaccia degli impiegati attraverso l'uso di un'arma giocattolo - Circostanze del reato Configurabilità dell'aggravante dell'uso dell'arma - Idoneità dell'arma giocattolo ad ingenerare timore e reazioni psico-fisiche incontrollate. (Cp, art. 628) In merito al reato di rapina, commesso dal prevenuto che in concorso con altri soggetti, armati di una pistola giocattolo, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, si introduceva all'interno dell'istituto bancario ove, minacciando gli impiegati di "fare una strage", intimava loro di consegnare tutto il denaro, si configura l'aggravante dell'uso dell'arma nonostante si tratti di un'arma giocattolo. Secondo il consolidato orientamento della S.C., l'esibizione di un'arma giocattolo, della quale non sia visibile il tappo rosso, è idonea ad ingenerare nelle vittime un panico in tutto identico a quello generato da un'arma vera con possibilità di reazioni psicologiche e fisiche incontrollate e gravi. Corte d'Appello di Milano, Sez. 3, Sentenza 1° settembre 2011, n. 3261 © RIPRODUZIONE RISERVATA LOCAZIONE Prescrizione biennale del diritto del locatore al rimborso degli oneri accessori Lina Avigliano, Avvocato (Ventiquattrore Avvocato) 07 novembre 2011 L'art. 2948 n. 3 del Codice civile statuisce che il credito del locatore a percepire il canone di locazione si prescrive in cinque anni. Controverso, invece, è stato per lungo tempo il termine di prescrizione per gli oneri accessori ossia per tutte le spese che, per contratto o per legge, fanno carico al conduttore e cioè le spese di manutenzione ordinaria delle parti comuni e degli impianti (ascensore, autoclave, riscaldamento ecc.). Il diritto alla restituzione degli oneri accessori, al pari di qualsiasi altro diritto, in caso di inerzia del titolare per il periodo determinato dalla legge, si estingue per prescrizione. Al riguardo l’art. 6, ultimo comma, della legge 22 dicembre 1973, n. 841, in deroga alla disposizione dell’art. 2948 c.c. n. 3 che prevede la prescrizione quinquennale per i canoni ed ogni altro corrispettivo di locazione, ha stabilito la prescrizione biennale del diritto al rimborso delle spese sostenute dal locatore per la fornitura dei servizi posti, per contratto, a carico del conduttore. Tale norma, inserita in una legge relativa alla proroga dei contratti di locazione degli immobili ad uso abitazione e nel periodo di vigenza del regime vincolistico, introduce una deroga al principio codicistico della prescrizione quinquennale del canone di locazione e di ogni altro corrispettivo di locazione, rispondendo ad una esigenza di rapida definizione di quell’accessorio rapporto giuridico, quale gli oneri a carico del conduttore, comune ad ogni locazione. Sennonché il problema dibattuto per tanti anni è stato se detta norma fosse stata abrogata dalla successiva legge n. 392 del 1978 sull’equo canone con ripristino, quindi, del termine codicistico di cinque anni. In giurisprudenza è prevalsa l’opinione della sopravvivenza dell’art. 6 della legge n. 841/1973, non ritenendosi sostenibile l’ipotesi dell’abrogazione espressa o tacita di tale disposizione normativa (Cass. civ., Sez. III, 22 aprile 1995, n. 4588; Cass. civ., Sez. III, 22 maggio 1993, n. 5795). Anche l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 6 legge n. 841 del 1973 sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui dispone che il credito del locatore per il pagamento degli oneri accessori posti a carico del conduttore si prescrive nel termine di due anni è stata ritenuta manifestamente infondata, non sussistendo, una irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina stabilita dall'art. 2948 n. 3, cod. civ., che fissa in cinque anni il termine di prescrizione del credito per le pigioni delle case, trattandosi di situazioni non omologhe, in quanto il credito per oneri accessori ha ad oggetto somme di importo variabile in relazione alla concreta erogazione dei servizi e la relativa spesa è confortata da una specifica documentazione, ed, inoltre, la fissazione di un più breve termine di prescrizione è giustificata dall'esigenza di contenere le relative contestazioni in un lasso temporale ragionevolmente breve (Cass. 12 aprile 2006, n. 8609). Conseguentemente il tempo utile in cui il locatore può richiedere la restituzione delle somme anticipate per gli oneri condominiali di competenza del conduttore rimane fissato in due anni, termine applicabile sia nelle locazioni ad uso abitativo che nelle locazioni commerciali. 19 Nell’ipotesi di unico proprietario e locatore delle singole unità immobiliari che compongono l’edificio, la data di decorrenza della prescrizione biennale del diritto al rimborso degli oneri accessori posti (per legge o per contratto) a carico dei conduttori, deve essere individuata in relazione a quella di chiusura della gestione annuale dei servizi accessori, secondo la cadenza con cui questa in concreto si svolge nell’ambito del rapporto di locazione (Cass. 12 aprile 2006,n. 8609). © RIPRODUZIONE RISERVATA DIRITTO INDUSTRIALE Brevetti sequestrabili se il titolare manager è accusato di bancarotta Selene Pascasi, avvocato (Diritto e Pratica delle Società) 07 novembre 2011 Sentenza Cass., Sez. I pen., 09.05.2011, n. 18028 (Presidente Bardovagni, Relatore Di Tomassi) Brevetti per invenzioni industriali – Realizzazione da parte del manager e amministratore unico della società finanziatrice, indagato per bancarotta fraudolenta - Cessione del brevetto – Potenziale pregiudizio ai creditori – Sequestro preventivo – Legittimità (art. 64 D.Lgs. n. 30/2005; art. 321 cod. proc. pen.) La massima - In materia di misure cautelari, è legittimo il sequestro preventivo avente a oggetto i brevetti per invenzione industriale di cui sia titolare il manager della società indagato per bancarotta fraudolenta il quale, dopo aver realizzato il trovato utilizzando le risorse economiche della società, ne abbia ceduto il brevetto registrato a suo nome a società terze, così ponendo in potenziale pregiudizio i diritti dei creditori. La Corte di Cassazione, Sez. I penale, con sentenza 09.05.2011 n. 18028, si è pronunciata ancora una volta sulla questione della titolarità del brevetto industriale, nella peculiare fattispecie in cui lo stesso sia stato realizzato dal lavoratore “in via complementare o sostitutiva rispetto alle sue ordinarie mansioni”. Ad aprire il caso, la decisione dell’amministratore unico di una s.r.l. di cedere a terzi alcuni brevetti per macchine industriali, registrati a suo nome ma conseguiti utilizzando mezzi e utili della società di cui era azionista di maggioranza. Lo stato fallimentare in cui versava la stessa s.r.l. aveva fatto scattare nei confronti del manager/inventore le indagini per bancarotta fraudolenta, posto che – secondo l’ipotesi accusatoria – detti brevetti costituivano oggetto della distrazione per la quale era indagato. I brevetti, pertanto, venivano vincolati per sequestro preventivo. La misura cautelare trova conferma in sede di riesame, e la vicenda arriva dinanzi ai giudici di legittimità. Secondo la tesi difensiva, il diritto sui brevetti spettava al solo amministratore, unico autore dell’invenzione. La Cassazione annulla l’ordinanza con rinvio: occorre – si rileva – un più approfondito vaglio circa la riferibilità dei diritti sui brevetti al titolare delle invenzioni, ovvero alla ditta presso la quale erano state realizzate e finanziate in via esclusiva le ricerche necessarie per la scoperta. In effetti, sostiene il Collegio, la persona fisica autore dell’invenzione potrebbe anche non coincidere con il titolare del diritto di goderne economicamente. Tuttavia, ove il manager avesse svolto attività di ricerca quale amministratore della società, il rapporto di immedesimazione organica consentirebbe di “riversare sulla stessa gli effetti dell’attività svolta”, compreso lo sfruttamento dell’invenzione. Così, accertato che l’indagato aveva effettuato attività di ricerca come amministratore della ditta da egli controllata anche finanziariamente, il Tribunale interviene a confermare la misura. Le società interessate, con ricorso, lamentano l’erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice del rinvio, giusta l’assenza di prove che l’attività inventiva fosse oggetto del mandato di amministratore rilasciato all’indagato dall’assemblea dei soci, o che questi avesse ricevuto un compenso per tale attività. La Cassazione, nella parte motiva, ricorda che per ogni invenzione realizzata in costanza o prossimità del rapporto di impiego vige una sorta di presunzione d’invenzione d’azienda. Ebbene, se ciò è vero, una volta dimostrato che l’amministratore unico, proprietario pressoché esclusivo delle quote della s.r.l. abbia realizzato l’invenzione durante la sua permanenza nella società, e con le risorse di questa, due sono le ipotesi: «o le invenzioni vanno ricondotte al soggetto che ha agito in veste appunto di amministratore, e il 20 ruolo di immedesimazione organica con la società comporta che già la registrazione a suo nome privato da questa effettuata integra di per sé una forma di sottrazione di valori; oppure non resta che ricollegare l’invenzione all’esercizio di una attività lavorativa parasubordinata contemporaneamente esercitata da quello stesso soggetto e non incompatibile in astratto con la carica di amministratore, e la sottrazione dei diritti di sfruttamento che spettavano all’azienda a mente delle norme richiamate, rappresenta, in quanto realizzata avvalendosi del doppio ruolo, comunque una distrazione di attività». In ambo i casi, è evidente, sussiste una distrazione, da intendersi come un “rivolgere ad altro fine” le risorse economiche della società. Ciò posto, la cessione dei diritti di sfruttamento dei brevetti potrà ritenersi senz’altro idonea a pregiudicare le aspettative dei creditori, integrando un’attività almeno in fumus fraudolenta giusto il cagionato disequilibrio tra attività e passività derivante dall’avvenuta distrazione. La condotta dell’amministratore, pertanto – seppur aderente agli schemi dispositivi disegnati dal codice civile – assumerà rilevanza penale finendo per celare «un’attività negoziale sostanzialmente fraudolenta». Per tali ragioni la Cassazione, stringendo sulle conclusioni, si sofferma a puntualizzare che la «riconducibilità della cessione di tutti i brevetti ad un’attività distruttiva posta in essere dall’indagato» – amministratore e fruitore delle risorse della s.r.l. – è dato senz’altro sufficiente a «legittimare il provvedimento cautelare» disposto sui brevetti. Per un approfondimento, cfr. l'articolo di Selene Pascasi, «Sequestro del brevetto del titolare indagato per bancarotta fraudolenta», nel prossimo numero di Diritto e Pratica delle Società n. 11-12/2011. © RIPRODUZIONE RISERVATA 21