Linguistica applicata Semantica e pragmatica in prospettiva interculturale Parte terza – La categorizzazione linguistica La categorizzazione linguistica Introduzione: • Parlando dell’ipotesi Sapir-Whorf abbiamo più volte fatto riferimento alla categorizzazione linguistica della realtà e agli effetti che le categorie lessicali e grammaticali di una data lingua producono sul comportamento nonlinguistico (in termini di memoria, di manipolazione della realtà, di capacità decisionale e di capacità di valutare le somiglianze). La categorizzazione linguistica Ma come funziona la categorizzazione linguistica? Come sono strutturate le categorie linguistiche? Come vengono apprese? Su che base i parlanti assegnano gli oggetti e le situazioni del mondo reale a una data categoria? Semantica strutturale: le categorie sono oggetti esclusivamente linguistici; il significato di una categoria dipende esclusivamente da quello delle altre categorie presenti nella lingua. Semantica cognitiva: si contrappone criticamente alla visione autonoma e self-contained del significato propria della semantica strutturale, e ritiene che l’esperienza e la cognizione influenzino in modo cruciale l’attività di categorizzazione linguistica. Esperienza e cognizione --- Noi conosciamo la realtà attraverso gli organi di senso, che sono identici per tutti. Compito della semantica è precisare quali sono le restrizioni sulla categorizzazione e sulla classificazione della realtà imposte dagli organi di senso. --- In quanto appartenenti alla razza umana, ci “appropriamo” del mondo esterno, oltre che con gli organi di senso, attraverso l’apparato locomotore, e siamo portati a classificare gli oggetti (sia quelli naturali sia quelli artificiali) anche sulla base della loro funzione. --- La comunanza degli organi di senso e dell’apparato locomotore pone dei limiti non tanto all’arbitrarietà della classificazione e categorizzazione del reale, ma alla sua variabilità interlinguistica. Semantica cognitiva: nature of the world + human biology + culture-specific choices Ripartiamo da Berlin & Kay Berlin & Kay: --- regolarità nell’organizzazione del lessico dei colori; --- all’interno di una realtà “continua” (lo spettro dei colori) esistono dei punti focali, percettivamente più salienti di altri. La maggiore salienza dei punti focali non è dimostrata soltanto dalla loro tendenza a essere codificati linguisticamente: i parlanti di qualsiasi lingua che abbia un termine che include il significato “rosso”, alla richiesta di indicare nello spettro dei colori un esempio di rosso, risponderanno in modo molto simile, indicando la stessa area dello spettro, anche se il termine “rosso” nella loro lingua ha un’estensione diversa (maggiore o minore) rispetto a quella dell’italiano rosso. Ripartiamo da Berlin & Kay La “focalità” di alcuni punti dello spettro è confermata da quanto sappiamo della fisiologia della visione. --- Esperimenti di De Valois & Jacobs sull’apparato visivo dei macachi, simile a quello dell’uomo: nel corpo genicolato della scimmia (la parte del cervello preposta alla visione) De Valois e Jacobs distinguono delle classi di cellule dette ‛opponenti’: rosso eccitatorio e verde inibitorio e viceversa, giallo eccitatorio e blu inibitorio e viceversa. Insieme a queste cellule si distinguono anche un gruppo di cellule non opponenti, atte a trasmettere la luminosità degli oggetti anziché il loro colore, e comunque un’informazione di tipo acromatico. In termini non tecnici, la visione funziona meglio quando si attiva solo una delle cellule: nel caso della percezione del rosso focale, ad esempio, si attiva la cellula +R –V, mentre le altre non si attivano. Ripartiamo da Berlin & Kay • L’esistenza dei colori focali mostra che: • le categorie hanno un centro e una periferia; • non tutti i membri di una categoria hanno uguale status; • i termini dei colori designano in primo luogo il colore focale e acquisiscono l’intero spettro della loro denotazione attraverso un processo di generalizzazione a partire dal punto focale; • il significato di ciascun termine non dipende, come nella semantica strutturale, dal significato dei termini compresenti nel sistema; sia che la lingua abbia solo tre termini per indicare i colori, sia che ne abbia di più, il significato di red comprenderà sempre il punto focale RED. Eleanor Rosch • Eleanor Rosch: esperimenti a partire dai risultati dello studio di Berlin e Kay 1 – parlanti di lingue diverse concordano nella scelta dei colori focali; i colori focali sono nominati più rapidamente dei non focali 2 – gruppo di parlanti inglesi e gruppo di parlanti dani (lingua di Papua Nuova Guinea con solo due termini basici, mola ‘bianco, colori chiari e caldi’, mili ‘nero, colori scuri e freddi’): • riconoscimento dei colori focali più veloce negli inglesi la memoria del colore è aiutata dalla presenza di un termine di colore; • comportamento analogo per i colori non focali; • i parlanti dani apprendono più facilmente i nomi per i colori focali che per quelli non focali. Eleanor Rosch Conferma dell’esistenza di un certo grado di non-arbitrarietà nella categorizzazione del colore: i colori focali hanno una salienza percettiva e cognitiva maggiore dei non-focali, le categorie basiche di colore esistono anche per i parlanti di lingue che non le esprimono. Rosch elabora così una teoria più generale sulla formazione delle categorie, basandola su due ipotesi IPOTESI 1 – esistono fattori percettivi e cognitivi che influiscono sulla formazione e sul contenuto delle categorie linguistiche IPOTESI 2 – una categoria è una struttura graduale organizzata intorno a un centro e digradante verso una periferia Eleanor Rosch E. Rosch replica i suoi esperimenti anche per altre categorie linguistiche. Ad esempio chiede a parlanti inglesi di diverse provenienze di dare un punteggio ai migliori esempi della categoria furniture (1 – ottimo esempio 7 – pessimo esempio), e i risultati sono interessanti… Eleanor Rosch La categorizzazione, dunque, avviene attraverso il confronto di ogni possibile membro di una categoria con il prototipo. In questa ottica, dati i tratti [± ANIMATO], [± ALATO], [± CON PIUME], [± VOLATILE], [± CINGUETTANTE], [± PICCOLO] ecc., non diremo che il lessema uccello ha un significato costituito dalla somma di tutti questi tratti, ma diremo che il passero, che li possiede tutti, è, ad esempio, un uccello più prototipico, mentre il pinguino o il pipistrello sono ai margini della categoria (cf. ted. Fledermaus, fr. chauve souris). Eleanor Rosch I cosiddetti prototype effects secondo Rosch: --- when asked to judge entities according to how good an example they are of a category, people, on average, tend to agree on their rankings; --- when asked to give examples of a category, people tend to name prototypical examples first; --- when asked to judge the truth of a statement of the kind ‘An X is a Y,’ where X is a potential member of category Y, people respond faster to the extent that X is a more prototypical member of Y; --- When reasoning or drawing inferences about a category, people tend to refer to properties of prototypical exemplars, rather than to properties shared by all members of the category. Eleanor Rosch e la teoria dei prototipi • Conclusione: le nozioni di prototipo e grado di appartenenza categoriale hanno realtà psicologica. • La struttura centro-periferia delle categorie linguistiche corrispondenti al lessico dei colori si ritrova anche in altri tipi di categorie linguistiche. • La teoria dei prototipi si contrappone alla teoria classica (aristotelica) della categorizzazione. Un passo indietro: la teoria classica della categorizzazione • Perché classica? • Risale al pensiero greco, e trova la sua sistematizzazione più compiuta nell’opera di Aristotele. • È stata la teoria dominante in psicologia, filosofia e linguistica per molti secoli. In linguistica, è la teoria che caratterizza sia gli approcci strutturalisti che quelli generativi. La teoria classica della categorizzazione • Aristotele: distinzione tra “essenza” e “accidenti” • L’essenza è ciò che rende un’entità ciò che è. • Gli accidenti sono caratteristiche e proprietà “accidentali”, la cui presenza o assenza non modificano la natura dell’entità. • Es.: categoria: uomo; essenza: essere vivente bipede; accidenti: bianco, nero, colto, ignorante, biondo, castano, ecc. La teoria classica della categorizzazione Categoria: uomo; essenza: essere vivente bipede. Uomo [+ essere vivente] [+ bipede] I due tratti che definiscono la categoria “uomo” sono necessari e sufficienti: entrambi devono essere necessariamente presenti (e da soli bastano) per definire un’entità “uomo”. Le categorie aristoteliche sono definite in termini di tratti necessari e sufficienti. I tratti hanno struttura binaria (un’ entità o è bipede o non lo è). La teoria classica della categorizzazione Le categorie hanno confini netti: un’entità o è un uomo o non lo è; una categoria, una volta stabilita, divide il mondo in due insiemi: l’insieme di ciò che è x e l’insieme di ciò che non è x (o è non-x). Tutti i membri di una categoria hanno lo stesso status. In linguistica, la teoria classica della categorizzazione è alla base della fonologia classica: i suoni della lingua sono categorizzati come membri di categorie dette fonemi, ciascuna delle quali è definita da tratti binari (ad es. i tratti [+occlusivo], [+bilabiale], [- sonoro] identificano il fonema /p/). La teoria classica della categorizzazione La fonologia classica ha aggiunto, più o meno consapevolmente, due postulati alla teoria classica della categorizzazione: --- i tratti sono primitivi (cioè non sono scomponibili in entità più piccole); --- i tratti sono universali (cioè rappresentano l’insieme delle possibilità articolatorie dell’uomo). In semantica, la teoria classica della categorizzazione è alla base dell’analisi componenziale. Questo tipo di analisi condivide con la fonologia l’idea che i tratti semantici siano “primitivi” e “universali”, almeno in parte. La teoria classica della categorizzazione L’obiezione più comune all’analisi componenziale è che i tratti semantici non possono essere di numero finito come i tratti fonologici. In alcune versioni dell’analisi componenziale si distinguono i markers (cioè tratti come [HUMAN], [MALE], ecc., che possono essere considerati universali) e i distinguishers (cioè tratti culturalmente determinati, come ad esempio [NEVER MARRIED], tratto che definisce la parola bachelor e che presuppone l’esistenza di un’istituzione come il matrimonio che non è necessariamente universale). Wittgenstein Molte delle obiezioni alla teoria classica della categorizzazione sono state anticipate dal filosofo Wittgenstein in un passo famoso delle Philosophical Investigations (1945): Consider for example the proceedings that we call ‘games’. I mean board games, card-games, ball-games, Olympic games, and so on. What is common to them all?—Don’t say: “There must be something common, or they would not be called ‘games’”—but look and see whether there is anything common to all.—For if you look at them you will not see something that is common to all, but similarities, relationships, and a whole series of them at that. Wittgenstein To repeat: don’t think, but look!—For example at board-games, with their multifarious relationships. Now pass to card-games; here you find many correspondences with the first group, but many common features drop out, and others appear. When we pass next to ball-games, much that is common is retained, but much is lost.—Are they all ‘amusing’? Compare chess with noughts and crosses. Or is there always winning and losing, or competition between players? Think of patience. In ball games there is winning and losing; but when a child throws his ball at the wall and catches it again, this feature has disappeared. Look at the parts played by skill and luck; and at the difference between skill in chess and skill in tennis. Think now of games like ring-a-ring-a-roses; here is the element of amusement, but how many other characteristic features have disappeared! Wittgenstein And we can go through the many, many other groups of games in the same way; we see how similarities crop up and disappear. And the result of this examination is: we see a complicated network of similarities overlapping and criss-crossing: sometimes overall similarities, sometimes similarities of detail. I can think of no better expression to characterise these similarities than ‘family resemblances’; for the various resemblances between members of a family: build, features, colour of eyes, gait, temperament, etc. etc. overlap and criss-cross in the same way.—And I shall say: ‘games’ form a family [H]ow is the concept of a game bounded? What still counts as a game and what no longer does? Can you give the boundary? No. You can draw one; for none has so far been drawn. (But that never troubled you before when you used the word ‘game’.) Wittgenstein - I membri della categoria “gioco” non condividono un insieme di tratti comuni necessari e sufficienti che permettano di distinguerli dai “non-giochi”. - I confini della categoria “gioco” sono sfumati, ma ciò non toglie che la categoria stessa sia utile dal punto di vista comunicativo. - Può perfino capitare che due membri della stessa categoria non abbiano niente in comune tra loro, pur rimanendo membri di quella categoria. - Lo stesso tipo di struttura caratterizza altre categorie linguistiche! Wittgenstein I significati delle parole hanno contorni sfumati, vaghi: esistono casi in cui è possibile stabilire se un termine è applicabile o no a un’entità e casi in cui questo è più difficile. Es. - caccia alla volpe: gioco? - donna che dà alla luce un figlio concepito con l’ovulo di un’altra donna: madre? - sedia imbottita e coi braccioli: sedia o poltroncina? Gioco, sedia, madre vengono usati comunemente per riferirsi a questi concetti: il linguaggio, seppur vago, funziona! Wittgenstein Wittgenstein teorizza la vaghezza come proprietà costitutiva e normale del linguaggio verbale. La vaghezza non è un difetto, ma anzi è la proprietà che per eccellenza permette al linguaggio di essere un sistema comunicativo efficace. La vaghezza è legata all’apertura, alla creatività, alla possibilità di innovazione dei significati linguistici. Le parole possono essere continuamente rimaneggiate per accogliere nuovi e imprevedibili sensi. Quindi la linguistica deve essere una teoria dei confini più che una teoria delle categorie. Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi Certainly, from one point of view, the most efficient categories— categories based on a perfect correlation of attributes over their members—are classical categories. Yet […] the very rigidity of classical categories would make them highly inefficient for human cognition, since the flux of experience rarely presents us with the perfect correlation of attributes which classical categories require. In a sense, prototype categories give us the best of both worlds. The central members of a prototype category do share a large number of attributes […] —in this respect, the centre of a prototype category approaches the ideal of a classical category. At the same time, prototype categories permit membership to entities which share only few attributes with the more central members. In this respect, prototype categories achieve the flexibility required by an everchanging environment. (J. Taylor, Linguistic Categorization, p. 54) Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi Labov (1973): studio sulla categorizzazione di vari tipi di recipiente da parte di parlanti inglesi Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi Labov (1973) Ai soggetti è stato chiesto di dire il nome degli oggetti 1. in contesto neutrale; 2. immaginando di vedere qualcuno che vi beve il caffè; 3. immaginando l’oggetto pieno di purè; 4. immaginandolo pieno di fiori. Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi Importanza del contesto e della funzione culturale! (ricordare: semantica cognitiva = nature of the world + human biology + culture-specific choices) 1. Il confine tra le categorie varia in modo graduale: zone nette, zone in cui due denominazioni diverse si equivalgono (cup, bowl, vase, glass, dish…). 2. Nella categorizzazione di un oggetto non conta tanto la presenza di tratti discreti, ma contano anche la forma, le dimensioni, il materiale e soprattutto il contesto d’uso in cui è immaginato: nel contesto “caffè”, l’uso di cup è molto più frequente. Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi La categorizzazione di un’entità dipende da quanto l’oggetto si avvicina a un valore ottimale che fa da punto di riferimento per la categoria. Esistono tratti accidentali (materiale, rapporti dimensionali, etc.) che si rivelano cruciali per associare un dato oggetto a una categoria, ma non sono tratti necessari né sufficienti. Esprimono solamente come una tazza è comunemente, tipicamente, più o meno. Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi These ‘prototypes’ serve as reference points for the categorization of non-so-clear instances. Prototypes contain a richness of sometimes culturally bound detail which, on a strictly Aristotelian view, would have to be regarded as accidental. Thus, the prototypical cup (in Western societies) has a handle, it is made of porcelain, it comes with a saucer; it has a certain overall shape and a typical size; cups are used for drinking hot tea or coffee, and you usually buy them in sets of six. None of these attributes is essential for membership in the category. A plastic container, with no handle and without a saucer such as might be delivered from a coffee vending machine, is still a cup, albeit not a typical one. (J. Taylor, Linguistic Categorization, Oxford, 1995, p. 42) Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi Il concetto di prototipo rispecchia l’effettiva struttura delle categorie. Occorre tuttavia introdurre un secondo concetto per rendere conto dei processi di categorizzazione: il livello basico. Le categorie linguistiche intrattengono rapporti sia orizzontali che verticali (o gerarchici) Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi LIVELLO BASICO: nell’elencare gli attributi di una certa categoria, i parlanti hanno in mente il livello degli esemplari, non troppo specifici e rari, ma neanche troppo generali. Es. Nella descrizione delle proprietà della categoria MOBILE i parlanti hanno in mente il livello SEDIA, e ragionano a partire da questo livello. Per la categoria ANIMALI, i parlanti ragionano a partire dal livello CANE, GATTO, MUCCA (non dal livello GATTO PERSIANO, LABRADOR, ecc.) Esiste un livello di categorizzazione più importante degli altri, un livello in cui la categorizzazione è cognitivamente e linguisticamente più saliente. Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi È al livello basico che costruiamo immagini mentali rappresentative di una categoria: dovendo immaginare un mobile, immaginiamo un oggetto appartenente al livello basico, come una sedia, o un tavolo. È al livello basico a cui solitamente facciamo riferimento parlando: A – come si chiama l’oggetto su cui sei seduto? B – Sedia (*mobile, *manufatto) È nella codifica linguistica del livello basico che troviamo i termini meno marcati. Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi Basic level terms – termini del livello basico: • Comuni • Brevi • Morfologicamente semplici Termini dei livelli subordinati: spesso sono composti (sedia a dondolo, tavolino da soggiorno, scala a chiocciola) Termini dei livelli sovraordinati: spesso poco comuni o irregolari (ingl. furniture, manufatto, vertebrato) Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi “The dime in my pocket is not only a dime. It is also money, a metal object, a thing, and, moving to subordinates, it is a 1952 dime, in fact, a particular 1952 dime with a unique pattern of scratches, discolorations, and smooth places. The dog on the lawn is not only a dog but is also a boxer, a quadruped, an animate being […] While a dime can be called a coin or money or a 1952 dime, we somehow feel that dime is its real name. The other categorizations seem like achievements of the imagination” (R. Brown, Social Psychology, 1965, p. 320). Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi Come mai esiste un livello che è più saliente rispetto agli altri? Come mai sia sull’asse verticale che sull’asse orizzontale esistono delle aree più importanti (livello basico e prototipo)? La categorizzazione non è l’esito di fattori arbitrari, ma è il risultato di precise caratteristiche della fisiologia umana e di precise caratteristiche della realtà. Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi Due fattori in gioco: 1. Economia cognitiva: tendenza a esprimere il massimo dell’informazione col minimo sforzo (cioè che un’entità è simile ad altre e diversa da altre ancora). 2. Salienza: nella realtà certi “stimoli” sono più salienti di altri, spesso perché occorrono più frequentemente. Es. ‘avere le ali’ e ‘volare’ sono attributi che frequentemente co-occorrono nella realtà – ‘avere le ali’ e ‘non volare’ cooccorrono più raramente. ‘Avere le pinne’ e ‘nuotare’ cooccorrono più spesso di ‘avere le pinne’ e ‘volare’. Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi Una categoria è tanto più efficiente quanto più rispecchia la salienza della realtà naturale e massimizza l’economia comunicativa: il livello basico è il livello in cui sono più visibili le somiglianze e le differenze tra le entità, e pertanto è a questo livello che si ha il massimo di informazione categoriale. Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi Il basic level: Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi Perché il basic level? --- Rappresenta il livello al quale si colloca la nostra “interazione” con gli oggetti; tutti noi abbiamo un’immagine astratta di una sedia, e sappiamo come sederci su una sedia; al contrario non abbiamo un’immagine astratta di un mobile (se non di specifici sottotipi di mobile, che appartengono appunto al livello basico) e non sappiamo come interagire con un mobile. Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi “Why should most information be organized at a single conceptual level and why should it be this level in particular? To me, the most convincing hypothesis to date comes from the research of Tversky and Hemenway (1984). Berlin (Berlin, Breedlove, Raven 1974) and Hunn (1977) had suggested that gestalt perception—perception of overall part-whole configuration—is the fundamental determinant of the basic level. The experimental evidence accumulated by Tversky and Hemenway supports the Berlin-Hunn hypothesis. Their basic observation is that the basic level is distinguished from other levels on the basis of the type of attributes people associate with a category at that level, in particular, attributes concerned with parts … Un’alternativa alla teoria classica: la teoria dei prototipi … Our knowledge at the basic level is mainly organized around part-whole divisions. The reason is that the way an object is divided into parts determines many things. First, parts are usually correlated with functions, and hence our knowledge about functions is usually associated with knowledge about parts. Second, parts determine shape, and hence the way that an object will be perceived and imaged. Third, we usually interact with things via their parts, and hence part-whole divisions play a major role in determining what motor programs we can use to interact with an object. Thus, a handle is not just long and thin, but it can be grasped by the human hand. As Tversky and Hemenway say, ‘We sit on the seat of a chair and lean against the back, we remove the peel of a banana and eat the pulp.’” (G. Lakoff, Women, Fire, and dangerous things, Chicago, 1987, p. 47)