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Periodico A.N.P.I. Nuova Resistenza - Sezione Vasco Toti - Palazzolo sull’Oglio
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Periodico A.N.P.I.
Nuova Resistenza - Sezione Vasco Toti - Palazzolo sull’Oglio
Sede
Via Britannici, 1
25036 Palazzolo sull’Oglio (Bs)
Indice
Editoriale
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Redazione
Le interviste
4
Claudia Baitelli
Maria Antonietta Coschignano
Guido Faustini
Francesco Feltri
Licia Pagani
Vania Pedroni
Giulia Rossi
Silvia Toti
Sara Viprati
Considerazioni di Gennaio
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Discriminati e discriminanti
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I vecchi, quando ci accarezzano
10
Questa famiglia partigiana
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Tre anni... Sembra ieri..
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Gioventù Resistente
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Arte, letteratura e oziosità
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Hanno collaborato
Stefano Belotti
Carlo Cornali
Giulio Ghidotti
Grafica e impaginazione
Guido Faustini
Supplemento a
Ieri e oggi resistenza
Periodico quadrimestrale del
Comitato Provinciale ANPI - BS
Pubblicazione registrata presso il Trib di BS
Autorizzazione n. 23 del 26 giugno 1987
Rivista periodica gratuita
Chiusa in redazione il 23 febbraio 2009
è vietata la riproduzione e l’utilizzo
anche parziale dei contenuti
In copertina:
Appunti partigiani
[Ph: Daniele Di Santo ©2003]
Per informazioni, segnalazioni
contattateci all’ indirizzo e-mail:
[email protected]
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Cari amici,
è con grande entusiasmo e un poco di malcelato orgoglio che
vi presentiamo questo ambizioso progetto di Nuova Resistenza.
L’idea non è nuova, già all’inizio della nostra esperienza di “giovani resistenti” vi avevamo proposto la lettura di un periodico.
Oggi, dopo un percorso di crescita e riflessione che ci ha impegnato per diversi mesi, usciamo con questo nuovo Agorà.
Ripartiamo da zero, mantenendo il nome e gli ideali forti
dell’antico progetto, ma con nuove voci e nuovi punti di vista:
quelli delle tante persone che si sono affacciate in questo lasso
di tempo al nostro piccolo mondo.
In questo numero zero vogliamo presentarvi l’appassionato
gruppo di giovani che hanno deciso di vivere e condividere
ideali ed esperienze meditando e agendo “con un piede nel
passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”.
Vi parleremo di giorni e memorie, di generazioni, ma anche e
soprattutto di Resistenza.
Resistenza come tramite per contrastare le follie dilaganti al
giorno d’oggi, siano esse riesumate dal passato o create ad
hoc per riportare il presente in quello stesso passato.
L’antifascismo sarà il nostro compagno di viaggio per tutte queste pagine, come un sogno lungo il suono continuo ed ossessivo del nostro fiume.
Buona lettura.
La redazione
Ieri... oggi... e domani
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Intervista tripla
Parlando con Stefano
Nome: Stefano Belotti
Anni: 17
Professione: Studente
Da quanto tempo sei in Nuova Resistenza?
Da circa due anni.
Come hai conosciuto N.R.?
Vi ho trovati per la prima volta alla festa dell’Unità
di Palazzolo con il vostro stand.
All’interno degli ambienti che frequenti ti senti una
“mosca bianca” oppure ci sono altre persone interessate quanto te?
Penso che i ragazzi di oggi siano un poco disinteressati della politica e dell’attualità; ad ogni modo
ci sono, nel mio gruppo, amici che, hanno delle
idee, anche se opposte tra loro. La stragrande maggioranza dei miei coetanei, però, non se ne interessa o comunque non lo vuole mostrare, poichè
probabilmente pensa si tratti di argomenti da vecchi
o comunqe non adatti a loro.
Quali sono i principi fondamentali per un giovanotto come te?
Prima di tutto l’uguaglianza, la vera democrazia e
la volontà che tutti debbano avere gli stessi diritti e
le stesse oppurtunità; ideali che non vedo rispettati
in alcuni movimenti politici nazionali. Sono cresciuto
in una famiglia che mi ha sempre insegnato questi
principi, che mi ha sempre aiutato a capire meglio
le cose pur lasciandomi sempre la libertà di pensare
ciò che volevo.
Da un po’ di tempo si è formato tra gli studenti un
movimento, l’Onda. Cosa ne pensi?
Penso sia molto meglio che gli studenti si facciano
sentire piuttosto che restare a far nulla.
Un movimento tra l’altro che non vuole avere a che
fare con partiti, sindacati insomma si autorappresenta. Secondo te come mai?
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Probabilmente perché si sta affermando tra i giovani
ciò che sta accadendo in tutto il Paese, ovvero la
diminuizione della fiducia nella politica, sia nei confronti della destra che della sinistra, dove forse gli
studenti non si sentono più rappresentati.
Certi partiti hanno assunto posizioni decisamente diverse da quelle professate in campagna elettorale.
Qui a Palazzolo si è mosso qualcosa?
Nulla che prevedesse una risposta di massa.
I tuoi insegnati ne hanno parlato?
Sinceramente no. Preferiscono non esprimersi.
Sempre rimanendo a scuola, hai mai sentito parlare di Costituzione?
L’abbiamo trattata l’anno scorso, ma solo per un
breve periodo, un mese circa.
Negli USA Obama.
Pensi che il mondo stia cambiando, sia già cambiato o pensi che in Europa abbiamo troppe aspettative?
Obama è una figura positiva e diversa.
Viene dopo Bush, una figura a mio parere negativa
sotto tutti i punti di vista.
Penso che Obama sia una persona valida, pare
che ciò che dice non sia solo retorica, ma sia veramente quello che pensa.
Apprezzo la sua scelta di vita: invece di fare l’avvocato ha preferito star a contatto con la gente, sacrificando la carriera.
mi dà inoltre l’impressione di essere una persona
intelligente che potrà governare bene.
Tornando alla Resistenza, hai avuto nonni o parenti
che vi hanno partecipato?
Si, ho avuto parenti resistenti; mio nonno, invece, fu
arruolato come soldato in Russia.
Un mondo diverso e un’Italia diversa sono possibili o sono solo utopie a cui noi giovani dobbiamo
rassegnarci?
Un po’ diverso si. Completamente no; anche vedendo come sta andando l’Italia. La destra ha affermato i suoi ideali e la sinistra li ha un po’ persi.
Per quanto riguarda il resto del mondo, spero che la
linea politica di Obama possa influenzare positivamente le altre nazioni, ma senza una collaborazione attiva da parte del globo, un futuro roseo resterà
solo un sogno.
Nel mondo ci sono un sacco di situazioni delicate:
basti pensare all’Africa.
Tanti punti su cui è un dovere inpegnarsi per migliorare... è difficile, ma è necessario.
Cosa vuol dire resistere oggi?
Penso che resistere significhi credere nelle proprie
idee, porsi al servizio di queste per far sì che vengano rispettate.
Parlando con Giulio
Nome: Giulio Ghidotti
Anni: 57
Professione: Insegnante
Buon giorno Giulio... per iniziare parlami un po
di te:
Mi chiamo Giulio Ghidotti, sono nato a Palazzolo
sull’Oglio l’1 giugno del 1951.
Ho abitato per la prima parte della mia vita al Villaggio Marzoli, mio padre era un operaio.
Abitando in un quartiere di operai, sarai stato sensibilizzato fin da piccolo a certe tematiche.. resistenza, piuttosto che diritti sociali..
No... assolutamente... vedi, questo quartiere anche
se legato a una determinata classe lavorativa, non
era ancora un ambiente sensibile, né alla storia della Resistenza, né alle “rivoluzioni” che sarebbero
avvenute alla fine degli anni ‘60.
Era una visone abbastanza diffusa: quando frequentavo le elementari e le medie i miei professori
non fecero mai accenni storici sulle guerre mondiali
e sulla Resistenza partigiana.
Io stesso non ero molto interessato quando avevo
quell’età e con gli amici, pur conducendo discussioni a tema storico, non trattavamo mai argomenti
così recenti.
Preferivamo colloquiare su epoche più antiche, cioè
su quello che ci veniva insegnato a scuola: Impero
Romano e via dicendo.
Quindi quand’è che hai iniziato a interessarti di
Resistenza? Alle superiori forse?
Per l’esattezza finito il liceo, perchè appena iniziate
le superiori, nel ‘65, persi mio padre, e vissi il ‘68
in maniera un po’ distaccata, avevo altri problemi
E perché in America una persona così intelligente è
stata eletta dopo lo sfacelo di Bush e qui in Italia no?
Dopo la rielezione di Bush avevo la sensazione
che gli americani non volessero cambiare la loro
politica estera. Credo lo abbiano appoggiato per
paura; l’America aveva un nemico da combattere,
ma non sappiamo se fosse un nemico in carne ed
ossa o l’ennesimo espediente. Fortunatamente dopo
otto anni sono stati capaci di scegliere una persona
diversa.
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più urgenti a cui pensare.
Nemmeno la città di Bergamo, dove studiavo, era
un ambiente sensibile a questi argomenti.
Fu solo dopo il ‘68 che iniziai a interessarmi di Resistenza e della dinamica politica in corso.
L’evento che mi ha fatto riflettere e che mi ha spinto
a schierarmi è stata la strage di Piazza Loggia, il 28
maggio del ‘74.
È stato li che ho iniziato a rendermi conto di tutto
ciò che stava succedendo, quel qualcosa che mi ha
spinto ad informarmi e documentarmi su cosa era
avvenuto prima, e a cosa si legavano tali eventi.
Fu in particolar modo fondamentale il giorno dei
funerali delle vittime, dove vidi tanti ragazzi miei
coetani, che cantavano “Contessa”, “Morti di Reggio Emilia”.
Vedere questa energia nei giovani mi diede lo stimolo che mi portò a prendere coscenza di ciò che
era successo.
Ho cercato e trovato libri che mi hanno convinto a
iniziare uno studio e una riflessione più profonda
su ciò che è stata la Resistenza, apprendendone i
valori.
Pensi che la resistenza sia ancora viva nel presente?
Più che di Resistenza oggi, io parlerei di “resistenze
oggi”. Penso che il Fascismo non sia stato un incidente di breve durata, ma che sia stato un ventennio
in cui le tensioni, sociali, economiche e politiche in
Italia si incarnarono in una dittatura.
Credo che le spinte più profonde che portarono al
Fascismo non siano finite con la conclusione del regime, ma siano continuate manifestandosi in tanti
modi, anche nei decenni successivi.
Resistenze oggi... perchè?
Resistenze oggi perchè si può resistere in forme diverse, che possono andare dal quotidiano, come
rifiutare dei modelli di “vita consumistica”, a lotte di
tipo politico.
Ci sono resistenze a livello locale e a livello globale. È un panorama molto ampio.
Costituzione, l’eredità più importante che questa lotta e questo impegno ci hanno lasciato.
Lo dimostra il fatto che gran parte dei valori partigiani sono tuttora presenti nella Costituzione.
Voglio sottolineare il “prendere in mano il proprio
destino”: i giovani incarnavano la novità di quella
giovane repubblica che sarebbe nata da li a poco.
Trovo una grande somiglianza tra i ragazzi di Nuova Resistenza e i primi partigiani.
Come i loro “Nonni”, i giovani di Nuova Resistenza
personificano il bisogno di libertà, uguaglianza, e
giustizia, prima ancora che venga espresso in forme istituzionali.
È importante definirsi resistenti nel 2009?
Senz’altro.
Bisogna impegnarsi, bisogna conoscere per scegliere, e scegliere per essere.
Quando sei entrato nell’ANPI?
Molto tardi.
Anche se iniziai ad interessarmi del problema della didattica storica qualche tempo prima di entrare
nell’Associazione.
A quel tempo mi incontravo spesso con altri docenti
dei paesi limitrofi, con cui discutevo su come insegnare nelle scuole ciò che è stata la Resistenza.
Iniziai ad avvicinarmi all’ANPI quando incontrai,
dopo parecchi anni che non lo vedevo, un mio
vecchio compagno di classe: Vasco Toti (Segretario
dell’Associazione per lungo tempo).
Fu lui a “tirarmi dentro”.
Con l’anpi abbiamo fatto molte cose: ad esempio
la 1A festa in piazza con la collaborazione de “Il
Teatro Tascabile” di Bergamo, o la “serata argentina” in biblioteca, con musiche suonate da alcuni
ragazzi scappati dalla dittatura nel ‘77.
L’Anpi non si ferma ad una Resistenza Nazionale,
ma si estende ad una visione globale.
Parlando con Carlo
Nome: Carlo Cornali
Anni: 82
Professione: pensionato
Da quanto tempo resisti?
Dal 1942
Cosa ti ha spinto ad essere Partigiano?
Ascoltavo Radio Londra insieme a mio padre e mi
sono sentito quasi obbligato a fare qualcosa.
Nella tua famiglia eri l’unico a condividere gli ideali della Resistenza?
No, anche mio padre che era di fede socialista.
Quali sono state le tue prime azioni di Resistenza?
Era il 1943... i primi furti di armi ai fascisti.
Resistere. Cosa vuol dire oggi?
E a cosa/chi si deve resistere?
Oggi è un bel problema. Di questo passo e in queste condizioni, nella politica non si capisce più nulla... non si può più andare avanti così!
Che differenza c’è tra i giovani di sessant’anni fa e
quelli di adesso?
Riguardo l’istruzione, ai miei tempi fare la quinta
elementare era già una bella cosa perché non
c’erano possibilità e perché i fascisti comandavano
tutto... Invece oggi è tutto alla portata di mano...
Politicamente invece per me si sta andando indietro
invece che andare avanti... Anche parlando solo
delle sinistre, i pochi giovani che ci sono ora sono
da ammirare; con la speranza che non finiscano
politicamente dove stiamo finendo noi..ovvero a
non capirci più nulla nonostante tutto ciò che è stato
fatto..
Di questi tempi non va più di moda la Costituzione.
Cosa ne pensi?
è una vergogna. Vogliono togliere certe cose dalla
Costituzione per metter in croce la classe operaia;chi
comanda adesso vorrebbe togliere tutte le cose che
non gli vanno bene.
Cosa Pensi di Obama?
Io spero... perchè per me è giovane e ha le capacità e l’intelligenza di rinnovare un po’ questa
politica. Lo vedo bene.
Cosa ne pensi di questi ragazzi che vogliono resistere?
è la cosa più bella che ci sia. è da tanti anni che
parlo di “tirar dentro” nell’Anpi i ragazzi. I giovani
li appoggio in pieno. Mi dispiace solo di una cosa:
avrebbero dovuto aver un futuro più meraviglioso
dopo tutto quello che è stato fatto e con i morti che
ci sono stati; invece, di questo passo, si sta tornando ai tempi del fascio senza accorgersene.
Un mondo diverso è possibile?
Certo che è possibile! Perché se si andasse avanti
così guai! Sarebbe finita!
Definisci la resistenza in una frase.
Penso sia avere responsabilità nei confronti la vita.
Vedo che sei sei molto positivo sulla resistenza
oggi. Pensi che i suoi valori siano vivi anche nel
nostro sistema politico?
Beh... la democrazia e la Costituzione sono il frutto
più alto della Lotta di Liberazione.
Quando penso a questo risultato mi sembra un miracolo: l’Italia usciva da questo sistema culturale
“anarcoide”, dal punto di vista reazionario, e, nel
43-45, dei giovani, nati in un ventennio di oppressione, hanno deciso di prendere in mano la loro
vita, giocandosi il loro futuro.
Dal loro impegno in pochi anni è nato il frutto della
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Considerazioni di Gennaio
Libertà è partecipazione.
(G. Gaber)
La politica (intesa come governo della polis) può essere annoverata tra uno dei mestieri più antichi del
mondo; è la risposta del genere umano ad un bisogno ben preciso, quello che ha portato Aristotele definire l’uomo come “animale sociale”, caratterizzato
dalla necessità di vivere in comunità. Gli eventi, del
resto, danno ragione al caro filosofo greco, che già
qualche millennio fa si era accorto del fatto che nessun individuo può bastare a se stesso, che ciascuno
ha bisogno degli altri per sopravvivere e che questa
sua propensione è un fatto del tutto naturale.
Ma l’uomo non sempre sa convivere in perfetta armonia, talvolta è sopraffatto da impulsi negativi altrettanto naturali. Proprio per questo, fin dai tempi più
antichi sono stati istituiti codici di comportamento e
convenzioni di ogni sorta: dai dieci comandamenti
alla suddivisione in caste, dalla definizione di una
forma di governo all’assegnazione di un ruolo ad
ogni componente della società. Un regolamento che
è scaturito nei secoli sia dall’imposizione dei potenti,
che dalle leggi non scritte che controllano le nostre
pulsioni negative stabilendo la distinzione tra bene
e male, tra vizio e virtù. Tutto questo può essere racchiuso nel sacro scrigno della buona convivenza: rispettare le leggi è “utile” per tutti, tanto più al giorno
d’oggi in cui le leggi ed i doveri dovrebbero essere
fondati sul calcolo razionale di utilità comune.
Per noi, generazioni che hanno assorbito i risultati
delle rivoluzioni politiche e culturali dei nostri padri
nate dopo le cadute delle ideologie con il crollo
del muro di Berlino, la politica è, almeno nel mondo occidentale in cui viviamo, il facile sinonimo di
Democrazia. Cosa sia la Democrazia, poi, è una
questione molto controversa, ma chiedete a cento
persone il loro parere e tutte vi diranno qualcosa che
suona più o meno in questo modo: Democrazia è il
governo del popolo. Ai giorni nostri, nella maggior
parte degli stati democratici la sovranità popolare si
esprime quasi esclusivamente nel momento i cui milioni di elettori si accalcano nelle urne per decidere da
chi vogliono essere governati.
Quando ci siamo riproposte di scrivere questo articolo sulla politica, non abbiamo pensato esattamente
a volerci richiamare al “de Repubblica” di Platone,
forse perché la politica di oggi sembra avere molto
poco a che fare con i sommi principi della politica
platonica, o forse semplicemente perché guardiamo
troppa tv in un paese dove la politica nei programmi
televisivi viene assimilata troppo spesso alla partitica.
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E poi, come per magia, sfogliando un libro di filosofia del liceo, ci siamo imbattute in questa frase tratta
proprio dal “de Repubblica”:
‹‹ Il governante si carica della responsabilità di salvare la polis a vantaggio non della propria felicità, ma
degli altri uomini ››.
è un concetto semplice in fondo, ma certamente non
banale, è in realtà “Il Concetto” sul quale dovrebbe
basarsi il meccanismo tramite il quale chi governa
rappresenta l’intera popolazione del suo Stato, ovvero diviene vera rappresentanza politica sia della
maggioranza, che l’ha eletto, che dell’opposizione.
Toqueville, teorizzando nel 1800 il limite paradossale della Democrazia, cioè la dittatura della maggioranza, ci ha messo in guardia già due secoli fa: la
Democrazia moderna non si dovrebbe mai basare
solo sulla volontà della maggioranza ma - anche e
soprattutto - sul rispetto delle minoranze.
Ma se già Platone e Toqueville, in nome di tutti i nostri
antenati, avevano compreso queste semplici verità
fondamentali della politica, com’è mai possibile ritrovarsi oggi con la legge Cirami, senza porsi il dubbio
se questa sia una politica del tutto auspicabile per la
collettività o solo per una parte di essa?
Costituzione docet: tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge! Non importa se studenti, imprenditori,
operai, emigranti, immigrati o Presidenti della Repubblica; questo concetto deve valere per ogni carica
dello Stato. Ostacolare la giustizia in virtù di una carica, seppur eletta dal popolo con libere elezioni,
tende a riportarci molto indietro nei secoli…roba da
Medioevo! E se proprio la giustizia non deve fare
distinzione tra gli individui, come del resto è giusto
che sia, non dobbiamo credere che possa esistere
“l’eccezione che conferma la regola”. Un singolo
individuo considerato “meno uguale degli altri” può
lasciarci solo la parvenza di un’eguaglianza non effettiva. Il bene comune è stato definito dal Concilio
Vaticano II come “l’insieme di quelle condizioni della
vita sociale che permettono, sia alle collettività sia ai
singoli membri, di raggiungere la propria perfezione
più pienamente e più celermente”. Si tratta quindi di
una mediazione tra il benessere dei singoli che porta
alla realizzazione di una sinergia positiva per l’intera
comunità. E questo deve essere l’obiettivo primario
della classe politica: il benessere di tutti cittadini, inteso come maggiore libertà di crescere come individui
unici nel loro speciale percorso, ma anche al contempo uguali di fronte alla legge, detentori di diritti e di
doveri tutelati da una giustizia super partes.
Claudia Baitelli - Sara Viprati
Discriminati e discriminanti
1938. Un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle
università italiane, sotto l’egida del Ministero della
Cultura Popolare redigono il “Manifesto della Razza”, che proclama:
“È tempo che gli Italiani si proclamino francamente
razzisti.
Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è
in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di
razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico,
senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico. Questo […]
vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico
e soprattutto psicologico di razza umana che per i
suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol
dire elevare l’italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.”
Parole queste, citate nell’articolo 7, che nemmeno
val la pena di commentare: credo sia superfluo. Ciò
che risulta sconcertante è la pretesa di dare spiegazioni scientifiche a questa superiorità apparente.
Stesso procedimento adottato in Germania, durante
il periodo nazional-socialista, anche nei confronti
degli omosessuali: l’unico modo per salvarsi la vita
era quello di accettare la castrazione (mentre l’Italia
si “limitava” al confino); ben centomila omosessuali
vennero deportati e sterminati nei campi di concentramento.
Il discorso nei confronti dei portatori di handicap
era solo lievemente diverso: andavano eliminati in
quanto individui inguaribili, e dunque senza alcuna
utilità ai fini del progetto nazista.
2008. Sono passati settant’anni dalla pubblicazione di quel tristemente famoso documento, eppure,
malgrado il cancro del fascismo sia stato apparentemente estirpato, sembra che le sue metastasi abbiano continuato a diffondersi, moltiplicandosi per
riecheggiare in saecula saeculorum, in barba alle
buone intenzioni e al progresso non solo tecnologico ma anche sociale.
è nelle piazze, negli uffici, nelle scuole, nelle case,
nella quotidianità di ognuno di noi.
16 novembre 2006: quattro giovani riprendono con
il cellulare il pestaggio di un compagno affetto da
sindrome di down in una scuola di Torino. La classe
osserva in parte divertita, in parte indifferente.
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6 novembre 2007: a Roma un ragazzo marocchino di quattordici anni viene picchiato a scuola da
quattro compagni e, quel che è peggio, sotto gli
occhi di tutti. Usano calci, pugni e catene: gli spettatori non intervengono.
25 novembre 2007: un ventenne barese viene picchiato con estrema violenza da un gruppo di cinque persone. La sua “colpa”: essere omosessuale.
Anche in questo caso i pochi passanti non sono
intervenuti in favore della vittima.
E si potrebbe andare avanti all’infinito portando
esempi come quelli appena citati.
La discriminazione oggi è una piaga profonda ma
sottile, che passa quasi inosservata proprio perché
è all’ordine del giorno: viene accettata come un
dato di fatto, come un ché di inevitabile e di insito
nella cultura di molti.
Quale mondo è mai questo, nel quale l’evoluzione
scientifica e tecnologica va di pari passo con il regresso socio-culturale?
Quale mondo è mai questo, in cui un individuo deve
avere paura ad essere se stesso?
E soprattutto, quale mondo è mai questo, in cui la
gente resta indifferente davanti a tali ingiustizie?
Credo allora che sia questo ciò a cui dobbiamo
resistere. E resistere alla discriminazione significa
anche impegnarsi per fare in modo che l’informazione sia vera informazione, che la cronaca non
abbia mode del momento da seguire, non diventi il
veicolo per la diffusione di stereotipi. L’informazione
non è tale quando viene “selezionata”, “adattata”,
“strumentalizzata”. E poi è importante lottare affinché episodi di emarginazione e violenza non si ripetano. Come recita un famoso motto, “Solo uniti si
vince” e la lotta per l’uguaglianza, quella tra uomo
e donna, tra eterosessuali ed omosessuali, tra persone di diverse etnie, di diverse religioni, di diverse
visioni politiche è ancora più simile a un’utopia che
alla realtà.
Licia Pagani
“Spesso dividiamo l’umanità con dei muri, la categorizziamo, quasi obbligati a scegliere se essere
dalla parte dei belli, bravi e buoni o dei brutti, cattivi e “stronzi” . Più muri politici, religiosi, economici,
sociali costruiamo più siamo pericolosi. Più ponti
invece costruiamo, più favoriamo la relazione”.
Don Fabio Corazzina
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I vecchi, quando ci accarezzano
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Questa famiglia partigiana
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I vecchi quando accarezzano,
hanno il timore di far troppo forte.
( Fabrizio De Andrè, “Il sogno di Maria” )
è stato un attimo.
Un sogno primordiale che esplica il nostro bisogno
assillante di avere un contatto con persone che hanno già vissuto.
Ecco tutto quello che cerchiamo. Un contatto. E dico
cerchiamo perché è una splendida parola: non cerco solo io, ma cerchiamo in tanti. Così, da singoli e
perduti, diventiamo una piccola comunità, un piccolo clan con delle regole, dei confini, e, cosa ancor
più fondamentale, degli antenati.
Un popolo non è un popolo, infatti, senza una storia. E chiunque cerca di annullare o liquidare in
poche parole il proprio passato, non ha vissuto.
Ma bisogna fare attenzione: l’operazione potrebbe
anche essere inversa. Anche chi riconosce il proprio
passato ma non trova occhi per poter vedere il proprio futuro è perduto. E questo è quel che succede a
chi si aggrappa esclusivamente al mythos, al myo,
e se ne sta racchiuso in se stesso, come un mollusco
nella propria conchiglia.
La magia avviene quando invece la mano rugosa
dal vecchio si apre e accarezza quella delicata del
giovane. Ed è stata magia tra noi e gli anziani partigiani. La magia di un secondo che apre le porte
al futuro.
Le loro mani ricche di rughe e di ricordi, ci hanno
raggiunto, qui, nei bassifondi dove noi giovani ci
ubriachiamo e ci odiamo, dove la noia ci comanda
e la solitudine ci tagliuzza come foglie di prezzemolo.
E allora, il nostro bisogno di avere un passato dietro
le spalle si è concretizzato in loro e noi, per loro,
siamo diventati uno splendido futuro da osservare.
Questo legame, tra noi e loro, ci rende forti di fronte
alle difficoltà e ci rende nobili di fronte a chi incontriamo nel nostro cammino.
Nobili perché ci è stata affidata un’immensa responsabilità: raccontare.
A che serve starcene qui, in una stanza, a discutere,
a scrivere, a riflettere, ad arrabbiarci e a scherzare?
A che serve fare sforzi, lavorare per questa umile
rivista, fare del teatro e della musica, dello scrivere
e del pensare?
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Siamo uomini e donne. Ecco perché serve. A null’altro. Abbiamo scoperto che è bello raccontare e che
ancor più bello è ascoltare.
L’unico modo per poterlo fare è questo: trovarci seduti ad un tavolo, guardarci negli occhi, pensare
alle nostre parole, scrivere su questi fogli di carta.
Per resistere, nuovamente.
Francesco Feltri
[Ph: Illibeth ©2008]
Eroismo. Coraggio. Queste parole vengono spesso
usate quando si parla di partigiani e antifascisti.
Come negarlo?
Basta pensare a quei ragazzi, poco meno ventenni,
cresciuti in un’Italia già in mano a Mussolini, che
decisero di ribellarsi. Ragazzi che non potevano
accettare di vedere la propria patria accartocciarsi
come una foglia secca, ragazzi che volevano un’Italia libera e nuovamente democratica. Non è facile
a diciott’anni lasciare tutto e “salire in montagna”.
Si rischia la propria vita ogni giorno, e si mette a
repentaglio pure quella dei propri cari a casa.
Ebbene, nonostante tutto, questi ragazzi decisero di
di lottare, di resistere anche a costo della propria
pelle. Ci vuole tanto coraggio. Chi di noi sarebbe
disposto a farlo oggi?
Un’altra caratteristica di quei giovani che mi piacerebbe sottolineare è la loro umanità.
Ci vuole tanto coraggio a resistere, ma ci vuole tanta paura per spingerti a lottare.
Poiché prima di tutto erano uomini, fatti di carne e
sentimenti. Uomini che avevano paura, che soffrivano e piangevano quando un loro compagno veniva
assassinato, uomini a cui non piaceva sparare e
uccidere perché non era un gioco, un divertimento.
Prima di essere eroi erano padri di famiglia, fratelli,
figli, nipoti e compagni.
Come non ricordare le lettere che i condannati a
morte scrivevano ai propri cari. Con quanta semplicità ed emozione dicevano addio ai loro amati,
cercando di convincerli che andavano a morire per
una causa giustissima.
E come non pensare ai loro occhi adesso, occhi pieni di rughe ed occhiaie, occhi di ottantenni. Questi
occhi che si illuminano e si riempiono di lacrime
nel vedere giovani ragazzi ventenni che decidono,
come fecero loro sessant’anni fa, di continuare a
lottare e di prendere in mano il loro testimone in
questa continua Resistenza.
Perché ormai quei ragazzi sono dei “nonni” e noi
“giovani leve” siamo i loro nipotini. Nonni e nipoti
in questa famiglia partigiana.
Una vera famiglia, unita e resistente.
Io per esempio posso dire di essere nata e cresciuta
in questa famigliola. Avendo i genitori iscritti all’Anpi, fin da piccola bazzicavo per la sede e venivo
coccolata dai vecchi partigiani. Per me loro non erano “combattenti”, erano dei nonni. Nonni con cui
andavo in gita e che mi riempivano di caramelle.
Crescendo ho iniziato a capire il vero significato della parola Partigiano e ho iniziato ad apprezzare e a
stimare questi uomini in modo ancora più completo.
Passare in Nuova Resistenza è stato qualcosa di
estremamente naturale. Ovviamente c’è la voglia di
lavorare per rendere questa Italia più democratica e
meno razzista, per mantenere la memoria della Resistenza sempre viva nella mente di ogni cittadino,
ma c’è di più.
C’è la voglia di tramandare la “tradizione” di questi
nonni, una tradizione fatta di libertà giustizia sociale e democrazia.
Far parte dell’Anpi o di Nuova Resistenza non vuol
dire avere solo una tessera di carta in mano, vuol
dire lottare insieme e condividere ogni momento
felice e non. Proprio come in una famiglia. Una famiglia dove ogni singolo membro, ventenne o novantenne, ha gli stessi diritti e doveri, una famiglia
forte, resistente, unita e che ha voglia di fare e di
lavorare. Una famiglia dove di ride, si scherza, si
pensa, si ricorda e ci si emoziona. Una famiglia
che ogni tanto perde qualche amico lungo il suo
cammino, ma si rialza e va avanti, magari accogliendone degli altri.
è la nostra famiglia partigiana.
La nostra grande famiglia resistente.
Silvia Toti
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Tre anni... Sembra ieri..
L’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia)
è un Ente Morale (apartitico), fondato a Roma, nel
1944, dai volontari che avevano partecipato alla
Resistenza Partigiana durante l’occupazione fascista. Attualmente l’Associazione è presente in tutta
Italia, con sede principale a Roma, ed è organizzata in comitati provinciali e regionali.
Gli scopi che si propone sono codificati dallo Statuto Associativo, che prevede di riunire in associazione tutti i partecipanti in prima persona alla Lotta
Partigiana, coloro che hanno combattuto per la
democrazia, contro l‘assolutismo; si vuole valorizzarne e ricordarne l’opera, tutelandone l’onore e il
rispetto; difende la Costituzione, frutto della Guerra
di Liberazione; promuove poi iniziative di lavoro ed
educazione, ai fini del progresso democratico della società, formando anche le giovani generazioni
verso i principi di libertà e democrazia, ed offre
aiuto a coloro che si battono singolarmente o in
associazione per tali valori.
Detto così forse agli occhi di molte persone l’ANPI
potrà sembrare qualcosa che riguarda il passato,
che non c’entra con i giorni nostri, e soprattutto che
non riguarda noi giovani; eppure attualmente molti ragazzi come noi, sono iscritti e partecipano a
questa Associazione, lottando per le stesse idee e
promuovendo attività che ne riflettono gli ideali.
La sezione di Nuova Resistenza è nata a Palazzolo
sull’Oglio ormai 3 anni fa con meno di dieci iscritti.
Attualmente tra tesserati e simpatizzanti siamo diventati una trentina.
Ci incontriamo una volta a settimana, più o meno,
e discutiamo riguardo i temi più attuali, proponiamo
iniziative, ci confrontiamo.
Certo, non è facile per un gruppo così numeroso,
e così giovane, muoversi in un mondo così grande,
eppure in questi primi tre anni possiamo essere soddisfatti di ciò che abbiamo realizzato…
Siamo andati tra la gente con i nostri stand, distribuendo volantini e materiale informativo su diversi
temi, perché le nostre voci non restino tra le quattro mura della sede dell’Associazione, ma possano
giungere alla gente; così ci siamo mossi in occasione del referendum di 2 anni fa contro la modifica
della Costituzione Italiana.
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agorà
Abbiamo anche condotto dei nostri studi sull’inquinamento del fiume Oglio, traendone risultati interessanti.
Durante la ricorrenza del 25 aprile, poi, ogni anno
partecipiamo attivamente alle attività cittadine contribuendo all’organizzazione di spettacoli teatrali
(che hanno riscosso un grande successo!), proiezioni, letture...
Come ragazzi di Nuova Resistenza, con l’aiuto di
tutto il gruppo ANPI, ci siamo impegnati, negli ultimi
due anni, nelle scuole superiori, con un progetto
che porta i ragazzi sui Sentieri Partigiani, in una
giornata all’aria aperta, immersi nella natura e nella
storia, sul colle del San Fermo.
Uno dei temi su cui stiamo lavorando nell’ultimo
anno, è quello attualissimo dell’immigrazione: avevamo progettato una festa multi-culturale che per
vari motivi non è stato possibile realizzare, ma che
è stata, per ora, degnamente anticipata, dallo spettacolo “Vite globali, paure locali” al Teatro Sociale
di Palazzolo, tenuto da Don Fabio Corazzina, che
ben oltre le nostre migliori aspettative ha suscitato
un grande interesse; nostro compito è ora quello di
proseguire questo progetto ripetendo un’ esperienza che ha arricchito noi e tutti coloro che vi hanno
partecipato. Per questo siamo anche in contatto con
numerose associazioni locali di Brescia, Provaglio e
Rodengo Saiano, oltre che con l’Associazione
“Il Porto” di Dalmine.
Per contattarci, o sapere qualcosa in più su di noi è
possibile visitare il nostro blog, che attualmente registra numerosi utenti, grazie a cui è stato possibile
realizzare, interessanti dibattiti.
Per concludere, ecco forse il nostro progetto più impegnativo ed a lungo termine: Agorà, un mezzo
per raccogliere ed esprimere liberamente le nostre
idee, proponendo di volta in volta temi diversi che
possano interessare e, speriamo, regalare, a chi
leggerà, un momento di svago e allo stesso tempo
riflessione.
Maria Antonietta Coschignano
Gioventù Resistente
Nuova Resistenza: ciò in cui crediamo è la libertà.
Resistere = contrastare con la propria l’altrui forza;
non lasciarsi smuovere o abbattere (Garzanti).
Definire il significato più comune del verbo “resistere” è semplice, ma la parte difficile subentra nel
momento in cui ci si deve applicare, nel momento in
cui siamo noi a dover fare resistenza a qualcosa.
Resistere significa anche, a mio avviso, avere ben
chiaro che persone si è e in che modo, in che mondo, si vuole vivere. Tutto questo implica una ribellione alle ingiustizie, alle forme di anti - democrazia
che talvolta aleggiano nella scena giornaliera.
Noi tutti dobbiamo farci partecipi alla vita sociale, alla lotta contro le ingiustizie, dobbiamo essere
partigiani, parteggiare e difendere libertà e democrazia.
Lottare per respirare, lottare per far valere i propri
diritti, lottare per ciò in cui si crede, ribellarsi a chi
lede diritti e democrazia.
Questo ci hanno insegnato i partigiani ed è questo
che noi ragazzi di Nuova Resistenza cerchiamo di
fare. Cerchiamo di non lasciar morire valori estremamente vitali che ci hanno tramandato le generazioni antecedenti la nostra, cerchiamo di diffondere
l’anti - fascismo, ci ribelliamo al razzismo e a tutto
ciò che si oppone alla pacifica convivenza di culture differenti.
Crediamo che l’unica razza esistente sia quella
umana e che la difesa dei diritti di tutti sia la lotta
più nobile che un uomo possa sostenere.
Crediamo nel dialogo e usufruiamo di esso per
esplicare le nostre ragioni, per far sentire le nostre
giovani, ma sicure, voci.
Aderiamo ai valori della Costituzione e riteniamo
assolutamente inadeguati i tentativi di smantellamento dei credo in essa presenti.
Lottiamo pacificamente ogni giorno per costruirci
un futuro ricco di democrazia e rispetto delle altrui
esistenze.
Siamo ancora in fase di crescita e lo saremo sempre, per questo accettiamo le critiche costruttive, ma
non sopportiamo chi disprezza il nostro lavoro, chi
ci diffama ingiustamente, chi vuole farci credere che
ciò che facciamo è inutile.
Non è assolutamente così per noi.
Crediamo negli strumenti che abbiamo e cerchiamo
di fare del nostro meglio, avventurandoci in varie
iniziative quali conferenze, spettacoli, piccole gite,
dibattiti, al fine di portare avanti il cammino democratico che incominciò l’8 settembre ’43. Noi lo
facciamo senza fucili, senza doverci nascondere tra
i boschi delle montagne, senza perdere compagni
innocenti. Ci sediamo ad un tavolo e decidiamo
di renderci utili ribellandoci, opponendo resistenza
a chi, tutt’oggi, nella democrazia non crede, a chi
crede che la Costituzione non valga nulla, a chi
crede che la propria razza sia superiore alle altre,
a chi non tollera, a chi
non sa rispettare l’Altro,
a chi vorrebbe un regime dittatoriale che tuteli
i propri interessi.
Resistenza è la nostra
parola chiave, è il nostro mestiere, è il nostro
modo di farci sentire e
di contribuire alla costruzione di un mondo
meno ingiusto.
Noi siamo eredi dei
valori partigiani, oggi
siamo noi i partigiani e
continueremo ad esserlo, continueremo sempre
a lottare, a resistere!
Vania Pedroni
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Arte, letteratura e oziosità
Lettera da Bologna
Cari lettori di Agorà, eccoci qua, siamo ripartiti
con tante nuove idee ed esperienze da proporvi.
Questa sezione è dedicata all’arte e alle intuizioni
creative di ogni genere. Ci sarà spazio per recensioni di film, per proposte musicali provenienti dal
panorama contemporaneo o passato: giacché sappiamo che l’arte non esaurisce mai ciò che ha da
comunicare e trasmettere. Grazie a questa lubrica,
fidatevi, non rimarrete a digiuno di arte e i vostri
sensi saranno sempre appagati. L’obiettivo di questo spazio è quello di essere un luogo d’incontro
fra chi scrive e chi legge, pertanto saremo aperti a
qualsiasi vostro suggerimento. Inviateci all’indirizzo
di posta... le vostre idee o sensazioni che un libro,
un film, uno spettacolo teatrale, un concerto, una
mostra vi hanno suscitato e provvederemo ad inserirle nei prossimi numeri.
Cosa ci spinge a dedicare una sezione di Agorà
all’arte? Ebbene, una domanda a cui dovrebbe essere semplice rispondere diventa motivo di riflessione.
Sebbene si creda che l’arte, in tutte le sue molteplici
sfaccettature (dalle arti performative: musica, danza, poesia, teatro; alle arti visive: pittura e scultura),
si sia finalmente presa il suo spazio legittimo, questo
non significa sarà sempre così in futuro. Siete invitati
a non dare nulla per scontato. Troppo spesso si sentono pronunciare frasi come “Questa non è arte, lo
so fare anch’io!”. Cerchiamo di renderci conto cosa
significhi essere liberi di creare senza limitazioni di
sorta. La storia insegna che nei regimi totalitari tutto
ciò che poteva minimamente scatenare un pensiero divergente veniva estirpato alla radice, perché
considerato pericoloso per il potere dei dominatori.
Quando parliamo di creatività, a mio avviso, parliamo di una spinta inesauribile e imprevedibile, che
necessita solo di un ostacolo contro cui urtare per
poter rafforzarsi e uscire rinvigorita dallo scontro.
Più la forza creativa è sottoposta a restrizione e più
al contrario si attiva, cresce. Essa si esplica in molte
direzioni e trova innumerevoli soluzioni allo stesso
problema. Il “creare” sta nell’istinto umano quando
l’individuo si trova in situazione di bisogno, di disagio, si potrebbe anche dire. Questa, credo sia
la più grande risorsa di cui disponiamo nella vita;
nell’arte questa qualità si dispiega in modo completamente svincolato e libero: lì sta il “creare puro”.
Sentiamoci perciò privilegiati se abbiamo la libertà
di esprimere noi stessi con molti strumenti e nelle
modalità più disparate. Sforziamoci di non vede14
agorà
re l’arte come un “bidone” colmo di spazzatura e
banalità, dove solo raramente ci è dato di trovare
l’insuperabile, l’inarrivabile, il Genio. Data l’imprevedibilità della facoltà creativa essa può dare vita
a intuizioni più o meno generose, più o meno apprezzabili, ma questo è un altro discorso. Tutto ciò
per dirvi che la creatività artistica ha l’opportunità di sorgere laddove siamo spinti o costretti a far
fronte alla durezza delle circostanze, in altre parole
a “resistere”. Ovvero RE-ESISTERE: perpetuare l’esistenza, rinascere e rinnovare il nostro quieto vivere.
Non so se, anche voi che leggete state pensando a
quello che penso io. Penso a quella fetta di storia,
breve, ma che ha segnato il destino comune: la
Resistenza. Non mi pare un collegamento forzato:
ora mi spiego, se penso alla Resistenza mi immagino giovani, padri, madri, lavoratori, studenti, gente
comune che in ogni modo e con ogni mezzo portava avanti la causa della libertà. Cosa facevano sui
monti i partigiani? Là sui monti re-esistevano, giorno
per giorno, per dare una possibilità di futuro a noi,
ai posteri. Capiamo allora come l’arte abbia origini
profonde; è un bisogno viscerale che fa rima con
l’istinto di sopravvivenza insito negli esseri umani.
L’arte come forma di resistenza . L’arte come libertà.
L’arte contemporanea a tutte le epoche.
Da Leggere...
Mi addentro ora nella proposta di lettura per i prossimi giorni. Mi sto riferendo a “Chiedi alla polvere”
(titolo originale “Ask the dust”), scritto da John Fante,
autore statunitense che molti di voi già conosceranno, nato nel 1909 e morto nel 1983 a Denver (Colorado). I suoi genitori di origini abruzzesi emigrarono negli Stati Uniti nei primi del ‘900 che sono lo
sfondo di tutte le opere di John Fante. La vicenda di
“Chiedi alla polvere” si snoda a partire dai ricordi
del protagonista, Arturo Bandini emigrato italiano
che vive a Boulder e che è l’ater-ego dell’autore.
Bandini è uno scrittore squattrinato alla ricerca di
qualcuno che abbia letto la sua prima pubblicazione, un libricino intitolato “Il cagnolino rise”.
Il protagonista si innamora di una cameriera, una
ragazza messicana, la sua “principessa Maya” che
lavora al bar di fronte all’albergo in cui alloggia. Camilla e Arturo vivono una storia
d’amore tutta particolare che si rivelerà un
fallimento dato che lei è innamorata di un
suo collega barman tubercolotico che vive
in solitudine nella sua casa alle soglie del
deserto e che ogni volta che la giovane
donna va elemosinando il suo amore la
picchia e la caccia brutalmente. Non starò a raccontarvi come si evolve e come si
conclude la storia, la cosa più intrigante è
la costante presenza della polvere, tanto
che sembra persino di poterla annusare
in certi momenti. La polvere che s’insinua
nelle pieghe degli abiti consunti di Arturo,
la polvere che sembra raccontarti di quella
vita fatta di stenti. Arturo Bandini, lo scrittore che nessuno conosce attende con ansia
i soldi dall’editore per poter finalmente cominciare a mangiare e vivere degnamente.
Polvere e sabbia che si posano sulle fronti
sudate e sugli abiti riarsi dal sole e dalla
calura, non tradiscono e parlano della terra da cui proviene John Fante. Egli racconta la sua storia. La vita di Arturo coinvolge
il lettore soprattutto in uno degli incontri
magici che segnano quasi il ritorno ad un
mondo di Innocenza. È il caso dell’incontro
con Judith, una ragazzina di tredici anni,
l’unica persona che abbia letto il suo libro
“Il cagnolino rise”. Arturo si commuove nel
vedere che una così esile e candida creatura possa apprezzare ciò che ha scritto, per
questo la supplica di leggere ad alta voce un frammento del libro, e anche Judith si commuove a tal
punto da non riuscire più a procedere nella lettura.
Il modo in cui l’autore descrive gli stati emotivi rende i personaggi palpabili e delicati, intrisi di liricità
e allo stesso tempo simboli della caducità. In tutto
questo la polvere è testimonianza viva dei ricordi di
Arturo e delle sue esperienze.
La polvere che è nell’aria sa tutto, chiedete a lei e
non vi tradirà.
Alla prossima
Giulia Rossi
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Periodico ANPI Nuova Resistenza - Sezione Vasco Toti