GLI STATI UNITI
tra riconversione
post-1a guerra mondiale,
Wall Street e Grande Crisi,
e secondo dopoguerra
slides lezione 12.05.2010
LA “COBELLIGERANZA”
STATUNITENSE
NELLA 1a GUERRA MONDIALE
GLI USA: sono i “grandi fornitori” della
quadruplice Intesa (Francia, Russia,
Gran Bretagna e Italia) contro gli Imperi
Centrali (Germania ed Austria-Ungheria)
1917: gli Stati Uniti dichiarano la propria
cobelligeranza a fianco dell’Intesa. E’
l’inizio della fine per gli Imperi Centrali.
Gli Stati Uniti erano dagli ultimi due
decenni dell’800 la più colossale
macchina produttiva del mondo.
I metodi di pianificazione strategica delle
“imprese giganti”, già estremamente
sofisticati, subiscono un ulteriore
miglioramento nei primi anni Dieci del
‘900 con il porre ad elemento cardine
delle scelte espansive una corretta
definizione della redditività degli
investimenti.
Ci si arrivò per progressive
approssimazioni, fino alla individuazione
da parte della Dupont de Nemours (la
principale impresa chimica del paese,
che controllava anche la General
Motors) di due diversi strumenti utili a
valutare tale redditività:
a) il rapporto tra profitti e capitale;
b) l’indice di “rotazione” del capitale,
vale a dire il rapporto
vendite
.
investimenti totali + capitale circolante
Tale indice di “rotazione del capitale”
divenne il parametro più realistico
dell’efficienza (e quindi della redditività)
di una “large corporation”.
Più elevato esso era,
più profittevole era l’impresa.
LA CRISI DI RICONVERSIONE
POST-BELLICA
Si è soliti considerare la gravità della crisi
di riconversione postbellica in Europa,
ed anche in Italia, dove essa portò alla
conquista del potere da parte del
fascismo mussoliniano.
Essa fu tuttavia ancora più grave negli
USA, dove l’euforia di una economia al
servizio del conflitto europeo aveva
dilatato ancor più l’apparato produttivo.
LA RIPRESA
Il biennio 1920-21 fu durissimo, stante le
difficoltà di riconvertire una economia di
guerra ad una economia totalmente
rivolta al mercato civile.
Era, del resto la prima recessione che si
verificava dopo i grandi processi di
concentrazione produttiva, i quali
avevano garantito un lungo periodo di
elevata domanda, e quindi di prosperità
diffusa.
La recessione mise in luce la fragilità di
quei settori i cui processi di produzione
e/o commercializzazione implicavano
larghe scorte di materie prime e di
semilavorati.
Tali settori erano quelli dell’industria
dell’acciaio, della grande meccanica, ma
anche dell’automobile ed in generale dei
macchinari complessi, delle produzioni
chimiche. Ma la crisi colpì anche la
grande distribuzione di massa.
In questi comparti, gli ordini di materie
prime, di semilavorati, degli stessi beni
finiti, ed anche il loro trasporto,
dovevano essere programmati con largo
anticipo rispetto alla loro utilizzazione o
vendita finale.
La recessione provocò perciò un brusco,
e critico, rialzo del volume delle scorte,
causando per molte imprese giganti
drammatiche crisi finanziarie che
compromisero, od annullarono, i livelli
di redditività.
Ciò non era invece avvenuto in quei
settori, ad esempio nella produzione e
commercializzazione di beni deperibili,
usi da sempre a coordinare i flussi fisici
tra le unità di acquisto, trasformazione e
vendita attraverso l’uso sistematico del
telegrafo.
Le imprese di tali settori non incontrarono
eccessive difficoltà nel contrarre i
volumi prodotti e/o commercializzati.
Anche perché si trattava produzioni “a
ciclo corto”, agevolmente (e
flessibilmente) gestibile rispetto il “ciclo
lungo” dei comparti prima ricordati.
I quali, per uscire dalla crisi, dovettero
concentrarsi ancor più di prima sulle
previsioni a lungo periodo.
La programmazione degli acquisti, della
produzione e dell’occupazione, venne
sempre più basata – al pari di quella
delle consegne dei prodotti finiti, e nella
stessa determinazione dei prezzi alla
vendita (che dipendevano dal costo
unitario, che a sua volta derivava dal
volume prodotto nell’unità di tempo) –
su proiezioni annue dell’andamento
della domanda, modificate
periodicamente per tener conto della
variabilità dei cicli congiunturali.
Fu grazie a ciò che il processo di
riconversione fu tutto sommato
abbastanza veloce, e l’economia riprese
a crescere. Determinando una nuova
euforia, e la sensazione che questa volta
il ciclo espansivo non si sarebbe più
arrestato…
L’ottimismo finì bruscamente con il crollo
di Wall Street (1929)…
Le cause…
E dopo?
LE GRANDI
RISTRUTTURAZIONI
 le reti di comunicazione
(ferrovie, telegrafo, telefono, viabilità)
 le grandi reti infrastrutturali
(le compagnie elettriche)
I NUOVI MEZZI
di
TRASPORTO
 auto
 autobus
 autotreni
 aereo
 grandi compagnie aeree a base regionale
modellate come le compagnie ferroviarie
LE “NUOVE” IMPRESE
 “media” ed industria dello spettacolo
 Gli sviluppi tecnici nel campo della
fotografia, della cinematografia, e
dei primi rudimenti dell’elettronica
diedero vita, a partire dal 1920, a
due settori industriali interamente
nuovi: il cinema e la radio.
 Dimensioni industriali sia per la messa
a punto di macchinari sempre più
sofisticati, che per il livello degli
investimenti ad essi destinati.
 La comparsa delle grandi imprese
moderne nel cinema fece fare un
salto di qualità (e di quantità) alla
produzione di film, che divenne
sempre più costosa e
tecnologicamente complessa: e che
dovette perciò dotarsi di strutture
organizzative in grado di
programmare la distribuzione del
prodotto anche su scala
internazionale.
 L’affermazione su vasta scala della
radiofonia, seguì invece il modello
dell’industria elettrica:
con la nascita di un certo
numero di network regionali o
nazionali che collegavano
tra loro molteplici emittenti locali.
LA SECONDA
GUERRA MONDIALE
In molti campi fu invece la seconda guerra
mondiale ad imporre veloci
riorganizzazioni e/o ristrutturazioni
produttive: con salti tecnologici prima
impensabili.
La messa a punto di nuovi prodotti
tecnologicamente complessi richiesti
dall’esercito americano – gomma
sintetica, benzina ad elevato numero di
ottani, radar e strumenti elettronici
antisommergibili, ordigni d’offesa e di
difesa di vario genere, ma anche altri
apparentemente banali – esaltò,
generalizzandola, l’utilizzazione congiunta
delle conoscenze scientifiche e del
normale background tecnico.
Ciò diede l’avvio a una fase di rapido
sviluppo nell’applicazione sistematica
della scienza alla produzione industriale
(spesso anche di largo consumo). E non
poche delle innovazioni che ne
derivarono, soprattutto nei settori
elettrico e radiofonico, fluirono poi al
mercato più vasto delle generalità delle
imprese.
La mobilitazione militare dell’economia
spinse, inoltre, il governo di Washington a
favorire l’ampia diffusione dei metodi
gestionali, e delle procedure di controllo,
fino agli anni Trenta patrimonio solo delle
grandi imprese tecnologicamente
avanzate ed integrate.
IL DOPOGUERRA
Il boom produttivo bellico – che riportò il
mercato statunitense a quelle condizioni
di virtuale piena occupazione interrotta
dalla crisi del 1929 – protrasse i suoi
effetti per almeno il ventennio successivo
grazie al vasto programma di sostegno
della domanda aggregata varato nel 1946
con una legge federale sull’occupazione,
e grazie anche al c.d. Piano Marshall.
Ciò - se da un lato favorì la crescita
ininterrotta delle società giganti,
segnando il trionfo della moderna impresa
burocratica e impersonale - riversò
sull’intero sistema economico gli effetti di
una domanda aggregata che crebbe più di
due volte tra il 1948 e il 1969.
 a prezzi costanti, il prodotto nazionale
lordo passò infatti da 300,9 miliardi di
dollari del 1948 a 725,5 del 1969.
Questo determinò la formazione di un
mercato di massa di dimensioni mai
prima conosciute, tanto che la domanda
di singole aree regionali raggiunse in
quegli anni il livello già enorme di quella
dell’intero paese negli ultimi due decenni
del XIX secolo.
Nel secondo dopoguerra, l’espansione
fuori dei confini nazionali – soprattutto in
Europa e in Estremo Oriente – ebbe per
l’impresa gigante americana importanza
anche maggiore dell’impulso governativo
alla domanda aggregata interna.
I soli investimenti diretti delle imprese
americane passarono da
1,7 miliardi nel 1950 a 24,5 nel 1970.
LA “SFIDA” AMERICANA
Una duplice conseguenza in Europa:
 Da un lato, la invasiva presenza delle
multinazionali statunitensi costrinse le
aziende europee ad un rapido adeguamento
organizzativo, che mutuò schemi e
comportamenti fino allora praticamente
sconosciuti ai sistemi economici europei,
segnatamente nell’uso intensivo della R&S,
nella diversificazione spinta e nella
divisionalizzazione.
 Dall’altro, la generalizzazione del modello
multinazionale portò le “larges
Corporations” americane ad arricchire la
loro struttura di una divisione
internazionale chiamata a coordinare le
attività estere, e a interagire con lo staff
centrale per quanto riguardava gli
investimenti e le strategie di espansione
all’estero.
Con una variante, tuttavia,: che quando
una multinazionale giunse a replicare
all’estero la forte diversificazione di
prodotto sviluppata in patria, si preferì
eliminare il filtro della divisione
internazionale, attribuendo alle singole
divisioni di produzione anche la
responsabilità internazionale degli stessi
prodotti che rientravano nella loro
competenza all’interno del paese.
 CENTRALITA’ DELLE STRATEGIE
DI INVESTIMENTO
 Nel 1947 le duecento più grandi società
degli Stati Uniti detenevano il 30% del
valore aggiunto, e il 47,2% delle attività
manifatturiere del paese;
 Nel 1963 tali percentuali erano salite
rispettivamente al 41 e al 56,3%;
 Alle soglie degli anni Settanta esse
erano attorno al 45 e al 61%.
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8. Lezione 12 Maggio 2010