COSI’ PARLA L’UOMO DEL VATICANO A MOSCA
Giovedì 17 Luglio 2008 14:30
di Giuseppe Zaccagni
Come dire: eppur si muove. Perché il lungo e forte silenzio tra il Vaticano di papa Ratzinger e la
Chiesa ortodossa di Alessio II viene di tanto in tanto rotto dal rumore di qualche intervento fuori
programma. Questa volta la prima mossa spetta a Paolo Pezzi, arcivescovo cattolico che
rappresenta a Mosca la Chiesa di Roma. Il personaggio si è conquistato in terra russa una certa
notorietà. Nato nel 1960 in Emilia si è dedicato alla filosofia e alla teologia presso la Pontificia
Università di Roma e si è laureato con una tesi - guarda caso - sui cattolici in Siberia. Deve poi
a papa Ratzinger il posto di metropolita dell’Arcidiocesi della “Madre di Dio” a Mosca. Ed è qui
che risiede dall’ottobre 2007 tentando di stringere i rapporti con gli ortodossi. Funzione,
comunque, difficile tenendo conto che Pezzi viene da “Comunione e Liberazione”, movimento
che ha ovviamente esportato anche in Russia. E’ questo uno dei lati deboli della sua missione
di proselitismo. Per ora, comunque, tutto funziona regolarmente. "La situazione dei cattolici
che ho trovato in Russia - dice ora alla stampa il prelato - è quella di una realtà non grande
numericamente, ma significativa per la propria fede". E dicendo questo punta a precisare che la
preoccupazione non è quella dell’ "ingrossare le proprie fila". E qui Pezzi sa bene di affrontare
un terreno minato perché alle spalle ha un Vaticano ricco e potente, sempre pronto a fare la sua
crociata all’Est. Ma sa anche che le sentinelle dell’ortodossia russa sono sempre all’erta.
Tutto questo non gli impedisce di ricordare a tutti che la recente visita nella Federazione
Russa del cardinale Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei
Cristiani, ha dato un segnale importante. "Lo spunto maggiore di lavoro che ha lasciato a me,
ma credo anche all'ambito dell'ortodossia - rileva Pezzi - è stato vedere nel cardinale Kasper
una posizione di reale interesse per l'ortodossia, che l'ha portato ad andare incontro, a
partecipare a momenti di incontro, coi giovani, con la gerarchia, ad andare a vedere più dal vivo
la realtà ortodossa. Questa vicenda l'ho sentita come una provocazione a fare altrettanto”.
Sullo sfondo di queste affermazioni c’è pur sempre quell’idea del viaggio del papa a Mosca. Il
rappresentante vaticano precisa che si è già al lavoro “per il dialogo”. "Ci si sta muovendo in
tale direzione - dice - con l’obiettivo, comunque, di non fare di questo incontro l'evento
mediatico del secolo, ma un momento certamente significativo, che sia davvero costruttivo e
porti verso una piena comunione. Dall'incontro del Papa col Patriarca avremo sicuramente un
impulso in questa direzione. D'altra parte, se questo incontro non fosse adeguatamente
preparato e finisse per rendere più difficoltoso questo cammino, allora è più giusto anche
sapere attendere".
L’attesa - lo sappiamo - data da lontano. Da quello scisma del 1504 quando le chiese
ortodosse si staccarono da Roma. Caratterizzandosi con l'accettazione dei primi sette concili
ecumenici, il rifiuto dell'infallibilità del papa, dall'importanza data al culto e all'esperienza
spirituale e dal riferimento alla prassi ecclesiale del I millennio. E con i secoli ognuna delle
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chiese ortodosse ha poi manifestato la sua indipendenza dalle altre (autocefalia) dal punto di
vista amministrativo. Attualmente sono riconosciute quindici chiese suddivise nei patriarcati di
Alessandria, Antiochia, Belgrado, Bucarest, Bulgaria, Costantinopoli, Georgia, Gerusalemme e
Mosca, negli arcivescovadi maggiori di Cipro, Finlandia e Grecia e le metropolie di Albania,
Cecoslovacchia e Polonia. Il totale dei seguaci supera i 130 milioni di persone. E’ sulla Chiesa
ortodossa russa che il Vaticano, comunque, concentra la sua attenzione. Ricordando che
questa fu repressa dal 1917 al 1988. Ora nell’intero paese -uscito dal crollo dell’Urss - l'autorità
centrale è rappresentata dal concilio ecumenico, l'unica istituzione a poter legiferare per tutte le
chiese riconosciute.
Quanto ai rapporti fra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica, questi furono interrotti dal
1923 fino al 1990 e questioni aperte restano i rapporti in Ucraina e le attività missionarie dei
cattolici. Ci sono poi i problemi prettamente religiosi, con le principali differenze con il credo
cattolico che sono il riconoscimento del pontefice (che gli ortodossi ritengono scismatico rispetto
alla giusta fede), la struttura collegiale dell'autorità decisionale (il sinodo dei vescovi), la natura
non indissolubile del matrimonio, una diversa concezione della Trinità, il non riconoscimento dei
dogmi cattolici formulati dopo il 1054 (Immacolata Concezione, infallibilità del papa,
l'assunzione di Maria), il sacerdozio celibatario (i sacerdoti ortodossi possono avere moglie) e
l'accettazione usuale del calice nella liturgia della comunione (per i cattolici si usa solo in
occasioni particolari come il matrimonio).
Ora quegli ortodossi più attenti, che seguono lo sviluppo dei rapporti con Roma guardando alla
politologia e all’evolversi delle relazioni, sanno bene - diversamente da Stalin, che valutava la
capacità strategica del papa in termini strettamente militari («Quante divisioni ha il papa?») dell’estrema importanza della Santa Sede come protagonista sui generis della politica
internazionale. Vedono nel Vaticano un centro di irradiazione religioso, morale, e insieme
l’istanza di un particolare potere, che non può astenersi dal ragionare sullo spazio, sul territorio,
sui confini. Ecco perché esplorano ora la Chiesa “straniera” quasi come una terra incognita, da
dissodare con gli arnesi della geopolitica.
Il rappresentante Vaticano a Mosca è al corrente di tutto ciò. Ecco perché anche lui si muove
utilizzando gli strumenti della diplomazia terrena. Considerando, appunto, gli ortodossi come
uno stato col quale fare i conti. E sapendo, soprattutto, che quella vaticana è, in effetti, una
geopolitica paradossale. Proprio perché corso della storia al papa è molte volte accaduto di
modificare il territorio ecclesiastico secondo criteri geopolitici. Come avvenuto dopo la seconda
guerra mondiale, con le diocesi germano-polacche a cavallo della linea Oder-Neisse. L’unità di
misura essenziale della geopolitica vaticana è stata sempre la diocesi. E le diocesi cattoliche
nella Russia di oggi hanno un valore strategico più che religioso.
Gestirne il territorio, rivederne le frontiere tenendo conto dell’evoluzione della scena
internazionale e interna, è anche questa un’attività primaria della Chiesa. Ecco perché il
tracciato delle frontiere diocesane è oggetto, a Roma, di una riflessione geopolitica intensa e
raffinata. Si tiene conto delle parti in causa, della pertinenza dei loro ragionamenti sul territorio,
ma soprattutto dell’interesse complessivo della cattolicità. Quello che per uno Stato si definisce
come “interesse nazionale”, per la Sede vaticana è invece ”interesse cattolico”. Di qui le
“preoccupazioni” degli ortodossi russi che temono una penetrazione organizzata del Vaticano
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all’Est. E comunque sia dalla capitale dell’ortodossia russa non è giunta ancora alcuna
dichiarazione in merito all’eventuale viaggio di Ratzinger in Bielorussia, così come auspicato dal
capo di Minsk Lukashenko nelle settimane scorse. L’attesa continua e per ora il papa è lontano
dall’Est perché viaggia in Australia.
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