CARATTERIZZAZIONE DI SCORIE DI ACCIAIERIA E STUDIO DEL RILASCIO DI
CROMO
M. Gelfi, G. Cornacchia, S. Conforti e R. Roberti
Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Industriale
Università degli Studi di Brescia
SOMMARIO
Fin da tempi remoti le emissioni e gli scarti dell'industria siderurgica venivano recuperati per
differenti applicazioni come, ad esempio, l’utilizzo delle scorie da altoforno per la costruzione di
strade. Obbiettivo di questo lavoro di ricerca è lo studio delle scorie prodotte al forno elettrico che,
tuttora, pongono alcuni problemi di smaltimento e difficoltà iniziali di riutilizzo, nonostante le loro
caratteristiche si prestino per gli stessi campi delle applicazioni proposte per le scorie da altoforno.
Il riciclaggio delle scorie nelle costruzioni stradali è sicuramente l’utilizzo più interessante; a questo
scopo le scorie devono possedere specifiche proprietà meccaniche, ambientali e di stabilità. La
sperimentazione si è dedicata allo studio del rilascio di cromo nelle scorie ottenute da due diversi
forni elettrici e raffreddate in diverse condizioni, in particolare si è cercato di trovare una
correlazione tra i risultati di rilascio delle prove di lisciviazione, la composizione e la microstruttura
delle scorie, accuratamente analizzate mediante diffrazione di raggi X e analisi SEM-EDS. Le
analisi sono state effettuate su campioni inglobati in resina e preparati metallograficamente, prima e
dopo l’immersione nella soluzione liscivante per 24 ore. I risultati hanno mostrato che la fase
Ca2SiO3 (larnite) è l’unico costituente ad essere stato fortemente disciolto. Il suo contenuto è molto
elevato nelle scorie raffreddate lentamente, le quali hanno anche prodotto il maggior rilascio di Cr.
KEYWORDS
Scoria, forno elettrico, rilascio di Cr, SEM-EDS, XRD.
INTRODUZIONE
L’acciaio fabbricato in Italia e in Europa ogni anno è prodotto in larga misura al forno elettrico ad
arco (EAF) che, insieme all’altoforno, rappresenta il sistema di produzione prevalentemente
utilizzato dalle acciaierie. La produzione annuale europea (dati 2008) al forno elettrico ad arco è
stata approssimativamente di 210 milioni di tonnellate di acciaio grezzo, accompagnate da poco più
del 10% di scorie da EAF e da minori quantità di altri rifiuti fra i quali, principalmente, polveri da
abbattimento fumi, scorie di metallurgia secondaria, refrattari.
Una parte delle scorie prodotte all’EAF viene smaltita nelle discariche, mentre solo una piccola
percentuale di questo materiale viene trattata, in rispetto delle normative ambientali in vigore, in
modo che possegga le caratteristiche ambientali, fisiche e meccaniche per un possibile utilizzo
nell’ambito delle infrastrutture [1]. La politica degli ultimi anni si spinge sempre più verso la
conservazione delle risorse e la prevenzione degli scarti, obiettivi comuni che possono non solo
minimizzare l’inquinamento ambientale, ma anche generare occasioni e profitti.
Nella maggior parte dei paesi industrializzati le scorie derivanti dalla produzione di ghisa ed acciaio
è considerata un sottoprodotto potenzialmente riutilizzabile, non un rifiuto. In particolare, la scoria
proveniente dall’altoforno viene utilizzata nella produzione del cemento e nei conglomerati
cementizi, mentre le scorie che derivano dal forno elettrico ad arco posseggono caratteristiche tali
da essere particolarmente adatte nella costruzione dei sottofondi e del manto stradali.
Tuttavia, non tutte le scorie prodotte all’EAF possono essere riutilizzate e vi sono notevoli
differenze fra le percentuali di riciclaggio dichiarate da differenti tipi di acciaierie [2]. Ciò è dovuto
fondamentalmente alla mancanza di normative comuni e di guide di riferimento per quanto riguarda
i test, le valutazioni, gli utilizzi e le verifiche nei settori di impiego delle scorie in Europa e,
soprattutto, al timore generale che l'uso di alcune scorie potrebbe essere potenzialmente pericoloso
per l’ambiente, per il rilascio nell’ambiente di elementi nocivi [3].
La composizione chimica delle scorie ottenute dalla produzione dell'acciaio all’EAF è costituita da
ossidi di vari metalli che per una percentuale di circa il 90% del peso della scoria sono ossidi di
calcio, ferro, alluminio, magnesio e silicio. In particolare, alcuni ossidi come quelli di calcio, silicio
ed alluminio derivano dalle materie prime aggiunte al bagno (additivi), l’ossido di ferro deriva
principalmente dalla ossidazione del bagno metallico, mentre la magnesia può essere sia
intenzionalmente aggiunta ma può anche provenire dall'erosione dei mattoni refrattari del forno da
parte della scoria liquida ed infine, i rimanenti sono impurità connesse alla qualità dello rottame
ferroso (Cr, Mo, Ti, V, Cu, ecc.).
Le scorie di acciaieria possono essere considerate come rocce provenienti dalle eruzioni vulcaniche;
infatti, da un punto di vista mineralogico, esse sono principalmente costituite da larnite
(2CaO·SiO2), brownmillerite, una soluzione solida corrispondente a 2CaO·Fe2O3 o a
2CaO·2Al2O3·Fe2O3, di wustite (soluzione solida con composizione variabile basata su FeO, CaO,
MgO, MnO). Altri composti presenti sono silicati anidri di calcio, silico-alluminati (gehlenite e
bredigite, magnetite, magnesio-ferrite) e ossidi di manganese [1].
Un aspetto interessante da considerare nell'ottica della riduzione del rilascio ambientale di elementi
nocivi presenti nelle scorie EAF può essere rappresentato dal raffreddamento veloce, come ad
esempio si effettua per le scorie da AF mediante granulazione in acqua, che porta alla produzione di
scorie vetrose amorfe, che, isolando metalli ed ossidi, produce un abbassamento della solubilità dei
metalli pesanti rendendola confrontabile con quella dei materiali naturali inerti utilizzati per la
fabbricazione delle strade [4]. Scorie con fattore di basicità (CaO+MgO)/(SiO2+Al2O3) > 1, in
funzione della loro analisi chimica, possono formare fasi vetrose quando vengono raffreddate
velocemente. Tuttavia, la formazione di queste ultime non è sempre sufficiente per isolare i metalli
pesanti e per impedire la loro lisciviazione [3].
Oltre alla formazione di fase vetrosa, le condizioni di controllo del raffreddamento, possono essere
un mezzo per influenzare la trasformazione del minerale e conseguentemente la solubilità degli
elementi come il cromo; il raffreddamento veloce, dovrebbe provocare la prevenzione della
lisciviazione del cromo. La velocità di raffreddamento è infatti un parametro molto importante nella
formazione di Cr6+ perché, questo catione, si forma a temperature più basse (inferiori a 1228°C) di
quelle del processo all’EAF [5,6].
I componenti chimici che contengono cromo esavalente (Cr6+) sono generalmente considerati molto
più tossici di quelli che contengono la forma trivalente (Cr3+) [7,8]. In accordo con Lee e Nassaralla
[4], il catione Cr6+ si forma solitamente a basse temperature e un raffreddamento veloce, limitando
la cinetica di reazione, riduce la sua formazione.
Tossavainen ed altri [3] hanno studiato l'effetto della velocità di raffreddamento sul comportamento
di lisciviazione di differenti tipologie di scorie; i risultati ottenuti dalla prova di lisciviazione
mostrano che la solubilità degli elementi quali cromo, molibdeno e vanadio per le differenti scorie
esaminate è generalmente molto bassa.
Per le scorie da EAF sono stati ottenuti risultati controversi per la lisciviazione del cromo, che non
sempre viene impedita dal rapido raffreddamento e che apparentemente non sembrerebbe essere
molto influenzata dalla composizione chimica della scoria.
In questo panorama, questo lavoro vuole avere lo scopo di dare un contributo ad una maggiore
comprensione delle relazioni intercorrenti fra composizione, microstruttura, condizioni di
raffreddamento e di lisciviazione del cromo delle scorie da EAF.
PROCEDURE SPERIMENTALI
Per studiare gli effetti della composizione della scoria sul rilascio di Cr, si sono considerati i
seguenti campioni provenienti da due doversi impianti per la produzione di acciai al carbonio:
- “scoria 1”: scoria prelevata da un forno elettrico UHP (ultra high power);
- “scoria 2”: scoria prelevata da un forno elettrico MP (medium power).
Allo scopo di valutare gli effetti delle diverse velocità di raffreddamento sulle proprietà della scoria
è stato prelevato anche un terzo campione dal forno UHP. Tale campione è stato raccolto dalla porta
di scorifica e versato su una lamiera fredda di acciaio in modo da raffreddarlo in modo
estremamente rapido. Il campione è stato chiamato “scoria 3” per distinguerlo dagli altri due
campioni che, al contrario, sono stati prelevati dalla fossa posta al di sotto del forno elettrico, dove
la scoria viene raccolta e impiega diverse ore per giungere a temperatura ambiente.
La composizione chimica delle scorie è stata determinata mediante la tecnica di fluorescenza a raggi
X (XRF), e le fasi cristallografiche sono state identificate mediante misure di diffrazione dei raggi
X effettuate con un diffrattometro per polveri Philips X-Pert Pro impostato con un tensione di 40
kV e una corrente di 40 mA.
I tre campioni, macinati fino a una dimensione granulometrica inferiore a 4 mm, sono stati
sottoposti a prove di rilascio della durata di 24 ore, in accordo alla normativa prEN 12457-2 [9].
Alcune particelle di scoria a granulometria controllata sono state inglobate in resina a freddo e
sottoposte alla normale preparativa metallografia che consiste in un’operazione di levigatura su
carte abrasive, seguita da una lucidatura su panno diamantato da 1 micron.
I provini così ottenuti sono stati metallizzati con oro per poter essere osservati al microscopio
elettronico a scansione modello LEO EVO 40, che, accoppiato alla microsonda EDXS Link
Pentafet Oxford mod 7060, ha permesso di studiare la microstruttura delle scorie e confermare la
presenza delle le principali fasi mineralogiche individuate anche dalle misure di diffrazione.
In particolare, le misure EDXS sono state effettuate sia sui campioni metallografici tal quali, sia
sugli stessi campioni dopo averli sottoposti alla prova di immersione di 24 ore nella soluzione
prevista dalla normativa prEN 12457-2.
Ciò è stato fatto allo scopo di valutare se alcune delle fasi presenti nelle scorie sono più inclini a
dissolversi rispetto alle altre durante il test di lisciviazione.
Su uno di questi campioni è stata effettuata anche una misura di diffrazione dei raggi X allo scopo
di confermare i risultati emersi dalle analisi SEM-EDXS, identificando con precisione le fasi
cristalline presenti. Considerando la dimensione ridotta delle particelle inglobate nella resina (< 4
mm), si è reso necessario utilizzare un microdiffrattometro a raggi X modello D/max-RAPID
Rigaku, che è dotato di un detector bidimensionale del tipo image plate (IP) cilindrico. L’area che
viene interessata dalla misura può essere scelta variando il diametro del collimatore tra 800 a 10
micron. In questo esperimento è stato utilizzato un collimatore da 300 micron, la corrente è stata
fissata a 30 mA e la tensione a 40 KV.
RISULTATI E DISCUSSIONE
La composizione chimica delle scorie e i risultati dei test di cessione, riferiti al rilascio di cromo,
sono stati riportati in tabella 1.
Nonostante le scorie presentino composizioni chimiche e indici di basicità simili (espressi come IB2
= CaO/SiO2), i risultati del test di lisciviazione sono completamente differenti.
La scoria 1 raffreddata lentamente rilascia un’elevata quantità di Cr (721 ppb), ben al di sopra del
limite di 50 ppb stabilito dalla normativa italiana per il recupero delle scorie d’acciaieria. Il rilascio
è significativamente minore nella scoria 2 raffreddata lentamente (46 ppb) e praticamente zero (< 5
ppb) per la scoria 3 raffreddata velocemente.
Ad una prima semplice analisi, il maggior rilascio della scoria 1 rispetto alla scoria 2 potrebbe
essere attribuito al suo maggior contenuto di Cr2O3. Tuttavia, la stessa ipotesi perde di validità per
la scoria 3, che presenta il più alto contenuto di ossido di cromo, ma registra anche il minor rilascio.
Appare quindi evidente che la velocità di raffreddamento influisce in modo significativo sulla
cessione di Cr, modificando le fasi presenti e la loro solubilità, a prescindere dal contenuto di Cr2O3
nella scoria.
Tabella 1 – Composizione chimica dei campioni di scoria (peso percentuale) e risultati del test di
lisciviazione
I diffrattogrammi ricavati dai tre campioni di scoria sono riportati in figura 1 e mostrano, in tutti i
casi, un elevato grado di cristallinità, nonostante la velocità di raffreddamento sia notevole nel caso
della scoria 3. Ciò è spiegabile considerando l’elevata basicità delle scorie, in accordo con quanto
affermato da Daugherty et al.[10].
L’identificazione delle fasi è stata complicata dal loro numero e dal fatto che alcune di esse spesso
contengono ioni metallici sostitutivi che ne allontanano la composizione da quella teorica,
modificando leggermente la posizione dei picchi di diffrazione.
Gli ossidi che sono stati identificati sono i seguenti:
- FeO, wustite (W);
- Ca2SiO4, larnite (L);
- Ca12Al14O33, mayenite (M);
- FeCr2O4, cromite (C);
- (Mg ,Fe)(Cr,Al)2O4: magnesiocromite (O);
- Ca2Al2SiO7, gehlenite (G).
I diffrattogrammi sono piuttosto simili tra loro e mostrano in tutti i casi la presenza preponderante di
due fasi: wustite e larnite.
Tuttavia, mentre nei campioni 2 e 3 i riflessi della wustite sono più intensi di quelli della larnite, nel
campione 1 vale il discorso opposto, indicando che la scoria 1 ha bassi contenuti di wustite ed
elevati di larnite.
Questo fatto può essere spiegato considerando che la scoria 1 ha un contenuto di ossido di ferro
(32.77%) inferiore rispetto a quello degli altri due campioni (41.53% - scoria 2 e 37.66% - scoria 3)
e viceversa ha il maggior contenuto di CaO e SiO2
A questa differenza si aggiunge il fatto che nella scoria 1 ci sono anche notevoli quantità di cromite
e magnesiocromite, mentre negli altri due campioni la cromite è assente e la magnesiocromite è
presente ma i suoi riflessi sono di modesta intensità.
Un’altra differenza è la presenza di gehlenite nei campioni raffreddati lentamente.
L
L
C
O
M
W
G
M
C/O
L
L
C/O
SCORIA 1
W
W
C
O
M
M G
L
L
G
L
C
W
W
O
W
Intensity (a.u.)
W
SCORIA 2
LL
M
M
G
15
O
20
25
W
L
M
G
M 30O
O M
L35
40
45
L
L
50
L
55
G
O
60
O
65
70
W
75
W
2Theta
W
W
15
20
25
30
35
L
40
45
50
55
60
65
70
SCORIA 3
75
2Theta (
W
L
M
O
M
15
15
20
25
25
O
M
30
M
L
L
O
35
35
M
L
L
40
45
45
O
L
50
55
55
W
O
60
65
65
70
W
75
75
2Theta
2Theta
Fig. 1 – Spettri di diffrazione ricavati da i tre campioni di scoria
Per studiare la morfologia e la distribuzione di queste fasi all’interno delle diverse scorie, i
campioni sono stati preparati metallograficamente e analizzati mediante l’impiego del microscopio
elettronico a scansione (SEM), operante in modalità back-scattering, in modo da rendere più
evidenti la zone del campione con diversa composizione chimica.
Le analisi confermano che le scorie sono costituite principalmente da ossidi, ma con in alcuni casi
una presenza significativa di particelle metalliche, come si può osservare ad un basso ingrandimento
nella Fig. 2. Le particelle metalliche sono quasi sferiche, con diametro di circa 200 µm. La loro
forma indica che si sono solidificate quando la scoria circostante era ancora liquida. Dall’analisi
emerge che tali goccioline sono composte principalmente da ferro, senza elementi di lega, che,
quindi, dovrebbe corrispondere alla composizione chimica dell’acciaio alla fine del processo di
fusione, quando quasi tutto il carbonio e gli elementi di lega sono stati ossidati.
Tornando a considerare gli ossidi, per quanto riguarda la scoria 1 (vedi Fig. 3), essa è costituita
principalmente da due fasi che sono presenti in forma di grandi particelle e che in accordo con le
analisi di diffrazione risultano essere larnite (Ca2SiO4) e una soluzione solida tipo wustite ((Fe, Mg,
Mn)O) contenente anche piccole percentuali di Cr, che in seguito verrà genericamente indicata
“wustite”.
Tra le fasi minori si osservano alcune particelle molto grandi ricche di ossido di Cr e contenenti
percentuali inferiori di Fe, Mg, Mn e Al, corrispondenti alle fasi identificate con la diffrazione come
cromite e magnesiocromite e che in seguito saranno genericamente indicate con il nome di
“spinello”. Tali particelle hanno una forma spigolosa e sono raggruppate a formare grandi cluster..
Sono frequenti anche particelle più piccole contenenti elevati tenori di Ca e Al, la cui composizione
chimica è molto vicina a quella della mayanite, identificata dalla diffrazione dei raggi X. Appaiono
solo poche tracce delle gehlenite.
Nella scoria 2 appare evidente che la fase principale è la wustite, come già ipotizzato in precedenza
(Fig. 4). Tale fase è presente non solo in forma di grandi grani isolati, ma anche come componente
di una struttura eutettica estremamente fine, che può essere risolta chiaramente solo ad alti
ingrandimenti. Il secondo componente di tale eutettico è un ossido Ca-Al, la cui composizione è
difficile da identificare con precisione considerato il fatto che tali particelle hanno una dimensione
di pochi micron, inferiore alla risoluzione spaziale della microsonda EDXS. Tuttavia, in alcuni
punti del campione l’ossido Ca-Al è presente anche come particella isolata di dimensioni maggiori.
L’analisi effettuata in tali punti ha permesso di stabilire con una miglior precisione che si tratta
ancora di mayanite.
A differenza del campione di scoria 1, nella scoria 2 le particelle di larnite sono molto meno
frequenti e generalmente compaiono come particelle isolate, racchiuse all’interno della matrice
eutettica appena descritta, che probabilmente ha solidificato ad una temperatura inferiore, andando a
riempire gli interstizi tra le particelle solide di silicato bicalcico.
Riguardo le fasi minori, si osserva qualche grano isolato di spinello ricco di Cr, mentre non si
distinguono chiaramente le particelle di gehlenite.
Nella scoria 3, la microstruttura è fine e uniforme (Fig. 5). La wustite è ancora abbondante, sia
come particella di forma arrotondata, sia come componente estremamente fine dell’eutettico
wustite/mayanite. Le particelle di larnite sono piccole ed isolate, circondate dal composto eutettico.
Si osservano anche numerosi grani di spinello di piccole dimensioni.
Fig. 2 - Micrografia delle particelle metalliche all’interno della scoria.
Fig. 3 - Micrografia della scoria 1 e risultati delle analisi EDXS (peso %).
Fig. 4 - Micrografia della scoria 2 e risultati delle analisi EDXS (peso %).
Fig. 5 - Micrografia della scoria 3 e risultati delle analisi EDXS (peso %).
Per capire se la differente tipologia e distribuzione delle fasi nelle scorie è la causa dei differenti
rilasci di Cr dei test di cessione, è stato condotto un esperimento appositamente ideato e messo a
punto.
Sui campioni di scoria lucidati si sono selezionate alcune aree e su queste si sono effettuate alcune
analisi SEM-EDXS. Successivamente gli stessi campioni sono stati immersi nella soluzione usata
per le prove di lisciviazione per 24 ore. Al termine, i campioni sono stati nuovamente osservati al
SEM e rianalizzati negli stessi punti per studiare i cambiamenti prodotti dall’immersione nella
soluzione di prova.
I risultati ottenuti per le tre scorie sono riportati nelle figure da 6 a 8.
Ogni figura si riferisce ad una diversa scoria mostrando in alto l'immagine SEM e la composizione
chimica dell'area selezionata prima della prova di immersione e in basso l'immagine e la
composizione chimica della stessa area dopo l’immersione.
Per quanto riguarda la scoria 1, è evidente che la soluzione lisciviante ha fortemente attaccato la
larnite (Fig. 6). Le aree occupate dalla larnite, dopo l'immersione, si sono completamente disciolte,
lasciando buchi molto profondi, da cui, a volte, il segnale EDXS non riesce nemmeno a fuoriuscire.
Al contrario, la wustite, lo spinello e la mayanite non sembrano essere stati attaccate in modo
significativo dalla soluzione lisciviante.
Nel caso della scoria 2, l’attacco sembra essere meno esteso. Le aree occupate dalla larnite sono
corrose solo superficialmente, mostrando sotto di esse, la presenza di una fase più resistente, con
composizione chimica vicina a quella del FeSiO3, che contiene anche piccole quantità di Al2O3,
P2O5 e CaO. Stranamente questa fase non è stata rilevata durante l’analisi preliminare della scoria 2;
forse si tratta di una sorta di sottile intrusione nei grani di larnite, che diventa evidente soltanto dopo
la dissoluzione degli strati più esterni.
Fig. 6 - Analisi SEM-EDXS (peso %) della scoria 1, prima e dopo il test di lisciviazione.
Fig. 7 - Analisi SEM-EDXS (peso %) della scoria 2, prima e dopo il test di lisciviazione.
Fig. 8 - Analisi SEM-EDXS (peso %) della scoria 3, prima e dopo il test di lisciviazione.
Attacchi più profondi interessano invece il bordo dei grani di larnite e delle particelle di wustite. Le
più piccole spesso sembrano essere state scalzate dalla loro posizione originale, a seguito della
dissoluzione della larnite intorno ad esse.
La mayanite sembra essere immune all’aggressione e anche le particelle di wustite e lo spinello non
sembrano essere stati attaccati dalla soluzione lisciviante, come già osservato per la scoria 1.
Infine, si può osservare che la scoria 3 resiste molto bene all’attacco della soluzione del test. La
dissoluzione interessa solo le poche e piccole isole di larnite, circondate dall’eutettico. L’eutettico
wustite/mayanite forma una struttura compatta e continua, non facilmente solubile nella soluzione
di acqua acidificata.
Per avere un’ulteriore conferma di queste osservazioni, i tre campioni di scoria che erano stati
immersi in acqua acidificata per 24 h sono stati sezionati e preparati metallograficamente per essere
analizzati con il microscopio elettronico a scansione anche nello spessore.
Le immagini, raccolte in modalità backscattering sono riportate in figura 9.
Nel caso del campione di scoria 1, lo strato superficiale è stato uniformemente aggredito dall’acqua
fino ad una profondità di almeno 60-70 micron, a seguito della dissoluzione dei grani di larnite,
portando alla formazione di buchi e cavità. Al contrario, nel caso dei campioni 2 e 3 l’attacco è
rimasto estremamente superficiale.
Come dimostrato da studi recenti [11], il rilascio dei principali elementi presenti nelle scorie
durante le prove di lisciviazione dipende fortemente dai fenomeni di diffusione attraverso lo strato
superficiale della scoria.
E’ dunque chiaro che nel caso del campione 1 la formazione di uno strato superficiale poroso
facilita fortemente il rilascio degli elementi, Cr compreso, anche dagli strati più interni del
materiale.
SCORIA 1
SCORIA 2
SCORIA 3
Fig. 9 - Micrografie dei campioni di scoria visti in sezione dopo 24 ore in acqua acidificata.
Per completare questo studio, sono state eseguite anche alcune misure di microdiffrazione sul
campione lucidato di scoria 1, prima e dopo la prova di immersione.
La figura 10 mostra le immagini di diffrazione raccolte dal rivelatore bidimensionale di raggi X e i
relativi diffrattogrammi ottenuti eseguendo un’integrazione in direzione 2θ lungo gli anelli di
Debye per ciascuna condizione.
L’identificazione delle fasi è complicata dal fatto che la quantità di materiale irraggiato è
estremamente ridotta, tuttavia conferma che la scoria 1 prima dell’immersione contiene una grande
quantità di wustite e di larnite. Si osserva anche la presenza di alcune delle fasi minori già
identificate in precedenza: spinello, mayenite e gehlenite.
Dopo la prova di immersione nell’acqua, i picchi di diffrazione della larnite e della gehlenite
scompaiono, mentre quelli della wustite, dello spinello e della mayenite rimangono pressoché
inalterati.
Ciò è un’ulteriore conferma del fatto che wustite, spinello e mayanite sono piuttosto resistenti
all’aggressione della soluzione, mentre le fasi contenenti ossido di Ca e Si, si sciolgono quasi
completamente nell’acqua.
Fig. 10 – Immagini e spettri di diffrazione della scoria 1 prima e dopo immersione.
CONCLUSIONI
Il nuovo approccio utilizzato in questo studio delle scorie di acciaieria ha permesso di dimostrare
che le fasi contenenti ossido di Ca e Si, e in particolar modo la larnite, vengono facilmente disciolte
dalla soluzione utilizzata nei test di lisciviazione. Al contrario wustite e spinello, che sono le due
fasi contenenti Cr, e la mayanite sembrano essere molto più resistenti.
La scoria 1, avendo un contenuto di calce e silice superiore a quello degli altri due campioni e un
bassissimo contenuto di ossido di ferro è stata fortemente attaccata durante l'immersione, con la
conseguente formazione di uno strato poroso sulla superficie delle particelle di scoria.
La scoria 1 è anche quella che ha prodotto il maggior rilascio di Cr nel corso del test di cessione.
Pur non potendo provare una relazione diretta tra rilascio di Cr e dissoluzione della larnite, poiché
essa non sembra contenere Cr in quantità apprezzabili, resta da considerare il fatto che la maggior
porosità e permeabilità superficiale della scoria 1 và ad aumentare fortemente l’interazione tra la
soluzione e le fasi contenenti Cr, incoraggiandone il rilascio.
Se questa considerazione può giustificare il maggior rilascio di Cr della scoria 1 rispetto alla scoria
2, tuttavia non spiega l’assenza di rilascio nel caso della scoria 3.
La netta riduzione del rilascio di Cr della scoria 3, conseguente all’aumento della velocità di
raffreddamento, appare in linea con i risultati di alcuni dei lavori richiamati nell’introduzione
dell’articolo. Tuttavia, l’analisi SEM-EDXS non ha permesso di evidenziare particolari differenze
nella composizione delle fasi mineralogiche che possano spiegare tale risultato.
La microstruttura estremamente fine della scoria 3, conseguenza del raffreddamento veloce,
potrebbe avere una qualche influenza nella riduzione del rilascio. Tuttavia tale dipendenza non è
chiara e andrà approfondita in studi futuri.
RINGRAZIAMENTI
Gli autori desiderano ringraziare le ricercatrici M. Brisotto e A. Zacco del Laboratorio di Chimica
per le Tecnologie dell’Università di Brescia per aver eseguito le misure di diffrazione dei raggi X
sui campioni di scoria.
BIBLIOGRAFIA
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