UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO FACOLTA’ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI Corso di Laurea in: CONSERVAZIONE E RESTAURO DEI BENI CULTURALI Degrado, Materiali, Metodi diretti di restauro e preventivi su materiali archeologici Studio, Restauro e Contesto territoriale Relatore: Presentata da: Prof. Domenico Pancucci Daniele Pasta Correlatore: Prof. Angela Lombardo Anno Accademico 2004 - 2005 Alla mia Famiglia INDICE INTRODUZIONE……………………………………………………………………….1 1. METODOLOGIA E TECNICHE DELLO SCAVO ARCHEOLOGICO………3 2. ASPETTI LEGISLATIVI RELATIVI AGLI SCAVI ARCHEOLOGICI........…8 2.1 CARTE E CONVENZIONI INTERNAZIONALI……………………………………………………..9 2.2 INIZIATIVE LEGISLATIVE IN AMBITO NAZIONALE…………………………………………...11 2.3 INIZIATIVE LEGISLATIVE RELATIVE AL TERRITORIO REGIONALE DELLA SICILIA……14 3. TIPOLOGIE DI MATERIALI REPERIBILI NELLO SCAVO………………...16 3.1 MATERIALI INORGANICI…………………………………………………………………………...17 3.2 MATERIALI ORGANICI………………………………………………………………………………20 3.3 REPERIBILI IN SCAVI EXTRAEUROPEI……………………………………………………………29 3.4 FATTORI DI DEGRADO INTRINSECI ED ESTRINSECI …………………………………………..30 4. PROCEDURE E TECNICHE DI PRONTOINTERVENTO…………………….36 5. CONSERVAZIONE A LUNGO TERMINE ……………………………………...42 GRAFICO I: METODOLOGIE E TECNICHE DELLO SCAVO ARCHEOLOGICO…………………………………………………...3 TABELLA I: ASPETTI LEGISLATIVI RELATIVI AGLI SCAVI ARCHEOLOGICI………………………………………………………..8 GRAFICO II: MATERIALI REPERIBILI NELLO SCAVO……………………….16 TABELLE II – III - IV: MATERIALI INORGANICI E ORGANICI; SCAVI EXTRA EUROPEI……………………………………………………...23-26-29 GRAFICO III: PROCEDURE E TECNICHE DI PRONTO INTERVENTO SULLO SCAVO…………………………………………………………………………………..36 GRAFICO IV: CONSERVAZIONE A LUNGO TERMINE………………………...42 CONCLUSIONI………………………………………………………………………….47 RINGRAZIAMENTI……………………………………………………………………48 ELENCO ILLUSTRAZIONI…………………………………………………………...49 BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………………...51 INTRODUZIONE Il motivo che mi ha spinto alla realizzazione del lavoro è stato il mio interesse maturato nell’ambito degli studi archeologici per le problematiche legate alla conservazione dei manufatti archeologici. Le discipline archeologiche, studiate durante il corso di laurea, hanno costituito la base delle conoscenze teoriche sulla storia, la specificità dello studio archeologico e i metodi impiegati dall’archeologia. Il problema della conservazione, affrontato durante le lezioni frontali da un punto di vista teorico, è stato anche affrontato durante le indispensabili ore di tirocinio per rivelarne i suoi aspetti pratici. Lo studio dei materiali archeologici, il loro degrado e le misure di conservazione da potere adottare sono i parametri fondamentali per consentire di consegnare l’opera alle future generazioni, senza che sia alterata o cancellata l’informazione contenuta in essi. Inoltre il seguente studio vuole mettere in evidenza l’importanza di un lavoro interdisciplinare dove la presenza di un conservatore restauratore durante uno scavo archeologico, è fondamentale, soprattutto, quando nello scavo siano presenti materiali molto delicati, come per esempio i materiali organici, i materiali metallici e materiali ceramici con rivestimenti o con la presenza di tracce d’uso. La tesi si compone di cinque parti. La prima vuole spiegare quelli che sono i principi “moderni” di uno scavo archeologico e le tecniche utilizzate per eseguirlo. La seconda parte riassume gli aspetti legislativi, con particolare riferimento a quelle che sono le norme di tutela dei beni archeologici e quella che è la disciplina giuridica della ricerca archeologica e la concessione di scavo. Sono state prese a riferimento norme Internazionali, Nazionali e Regionali. La terza parte è dedicata alla conoscenza dei materiali reperibili in uno scavo archeologico, alle loro caratteristiche tecnologiche e ai problemi di conservazione che i materiali incontrano in ambienti di scavo. La quarta parte affronta le operazioni di conservazione da adottare durante lo scavo, che si basano su norme di buon senso che evitano di compromettere lo stato di conservazione dei reperti e le 1 operazioni vere e proprie, tese a rallentare o bloccare i processi di degrado in atto durante lo scavo archeologico. Il quinto capitolo sintetizza le operazioni di conservazione a lungo termine. Concludendo, insisto nel dire che il lavoro da me svolto ha voluto spiegare l’mportanza della figura del conservatore – restauratore negli scavi archeologici ed evidenziare la sua indispensabilità qualora si rinvengano materiali particolarmente delicati. Mi scuso in anticipo per errori e mancanze dovute alla vastità della materia trattata. 2 1. METODOLOGIA E TECNICHE DELLO SCAVO ARCHEOLOGICO SCOPI: RICERCA DI OGGETTI FINO AGLI STERRO ANNI ‘50 SAGGI METODOLOGIA E TECNICHE DELLO SCAVO ARCHEOLOGICO TECNICHE: TRINCEE SCAVO SCAVO INTEGRALE ARBITRAR SCOPI: RICERCA DI TESTIMONIANZE WHEELER - KENYON DAGLI ANNI ’50 METODI TECNICA: SCAVO STRATIGRAFICO HARRIS - CARANDINI DAGLI ANNI ’70 SAGGI STRATEGIE TRINCEE GRANDI AREE GRAFICO I 3 CAPITOLO 1 METODOLOGIA E TECNICHE DELLO SCAVO ARCHEOLOGICO Se in uno scavo archeologico si vuole differenziare tra strategie, tecniche e metodi, ci si accorge che le strategie sono state sempre le stesse laddove le tecniche e i metodi si sono evoluti nel tempo. Uno scavo archeologico può essere condotto secondo tre strategie: i saggi, le trincee e lo scavo integrale, anche se, le prime due costituiscono molto spesso la strategia iniziale di uno scavo che successivamente verrà condotto integralmente. I saggi “possono dare indicazioni sulla potenzialità stratigrafica di un insediamento e, situati secondo una precisa strategia possono rispondere a problemi topografici fondamentali(…)” 1 , le trincee “utilizzate per lo scavo di strutture lineari, come mura, fossati, strade, permettono di impostare rapidamente un problema e acquisire subito i primi dati” 2 , lo scavo integrale permette di scavare completamente l’area archeologica. Fino agli anni ’50 del secolo scorso, nonostante il regolamento d’esecuzione n° 363 del 1913 affermasse che “lo scavo dovrà essere condotto non solo allo scopo di rinvenire oggetti antichi, ma anche per intenti scientifici”3 , l’obbiettivo della ricerca archeologica era ancora quello di trovare “oggetti antichi”. La tecnica, per tagli arbitrari (di 10, 20, 30 cm), attraverso la quale venivano condotte le ricerche considerava la terra come un impedimento al recupero degli oggetti. Un primo passo in avanti fu fatto quando l’archeologia prese in prestito dalla geologia il concetto di strato e quindi adottò il sistema dello scavo stratigrafico. Tuttavia la stratigrafia geologica è diversa dalla stratigrafia archeologica. Infatti, la prima, è il risultato di processi naturali, caratterizzata dalla presenza di sedimentazioni rocciose, contenenti oggetti vegetali e animali ed è una sua caratteristica generale il fatto che gli strati più profondi sono quelli più antichi e quelli più in superficie sono i più recenti. La stratigrafia archeologica, di carattere incoerente e fragile, è il risultato di eventi naturali ed antropici e contiene manufatti prodotti dall’uomo, si 1 A. CARANDINI, Storie della terra, Torino, Einaudi, 1991. A. CARANDINI, Storie della terra, Torino, Einaudi, 1991. 3 R.D. 30 gennaio 1913 n°363, regolamento d’esecuzione della legge n° 364 del 1909 2 4 aggiunga che la legge di sovrapposizione naturale degli strati, non è qui valida, poiché possono essere intervenuti fattori di sconvolgimento. Tuttavia, tenendo ben presente la differenza tra le due discipline, dagli anni ’50 in archeologia si è affermata la tecnica dello scavo stratigrafico che contrariamente alla tecnica di scavo arbitrario permette di conoscere il contesto da cui provengono i reperti e di coglierne i rapporti reciproci e di originaria giacitura. Nell’ottica di questa tecnica si affermò il metodo di Wheeler - Kenyon, che prevede lo scavo di aree anche estese ripartite in quadrati di 5m x 5. L’area effettivamente scavata all’interno di ogni quadrato occupa i effetti m 4 x 4 giacchè viene risparmiato mezzo metro di terra su ogni lato, al fine di creare intorno a ciascun quadrato un corridoio di terra (non scavata) che durante i lavori serve per il passaggio dei mezzi e degli operatori e a scavo ultimato costituisce un testimone di terra – ove è visibile la stratigrafia verticale – che può essere smontato in qual si voglia momento. Il sistema, che non permette di cogliere lo scavo e le strutture messe in luce in tutta la loro interezza se non nel momento in cui i testimoni vengono “eventualmente” eliminati, presenta un altro inconveniente: attuando questo metodo si è generalmente portati a non studiare attentamente la stratigrafia orizzontale durante i lavori, fidando nel fatto che essa rimarrà visibile sulle pareti laterali (i testimoni) fino a quando essi non saranno rimossi. In effetti è un concetto erroneo poiché al centro dello scavo la stratigrafia poteva presentare caratteri completamente diversi da quelli visibili sulle pareti di terra. 5 Figura 1. Sistema Wheele – Kenyon. La tecnica di scavo Wheeler - Kenyon fu superata negli anni 70’ dalla tecnica Harris, codificata in Italia da Andrea Carandini negli anni ’80. Essa è basata sul concetto di unità stratigrafiche (U.U.S.S.). Infatti premesso che il processo di stratificazione è un processo di costruzione e distruzione effettuato dall’uomo o dalla natura, bisogna tenere conto non soltanto degli strati di terra accumulatisi nel tempo, ma quelle delle opere di costruzione e distruzione dell’uomo (rispettivamente U.U.S.S. positive e U.U.S.S. negative). Pertanto sono definite U.U.S.S. e cioè elementi che indicano azioni o eventi, sia gli strati, sia le fondazioni, sia le strutture murarie ( costruzione e distruzione), sia pozzi, buche e fori per pali. Il metodo stratigrafico Harris – Carandini pone, invece, l’accento sulla necessità di studiare e capire lo scavo nel momento in cui viene eseguito e non a posteriori, prevede, infatti, una documentazione precisa e dettagliata di ogni elemento messo in luce: oggetti e U.U.S.S. Pertanto ogni strato viene documentato con una pianta quotata, ogni unità stratigrafica (U.S.) viene numerata e registrata in apposita scheda. Ogni scheda contiene la descrizione generale dell’U.S. e riporta gli eventuali rapporti esistenti con altre U.U.S.S., seguono una serie di annotazioni sui materiali da cui 6 è composta l’U.S., sugli inclusi organici (ossa, carbone, ecc.) e inorganici (pietre, argilla, sabbia ecc.) sulla sua consistenza e stato di conservazione. Tale tecnica, al momento considerata la migliore permette di scavare grandi aree conciliando “il rigore stratigrafico con l’ampia visione dei fenomeni indagati (…)” 4 . 4 A.CARANDINI, Storie della terra, Torino, Einaudi, 1991. 7 2. ASPETTI LEGISLATIVI RELATIVI AGLI SCAVI ARCHEOLOGICI • • • • CARTE E CONVENZIONI INTERNAZIONALI • • • • • INIZIATIVE LEGISLATIVE IN AMBITO NAZIONALE • • • • • • • • • PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI CHE COINVOLGONO IL TERRITORIO REGIONALE DELLA SICILIA • • • • • • Carta di Atene 1931 Raccomandazioni dell’UNESCO del 1956 Carta del restauro Italiana 1972 Assemblea generale dell’ICCROM del 1983 Convegno dell’ICCROM del 1983 Carta del CNR 1987 Convenzione Europea del 1992 Istituzione della Direzione centrale degli scavi e musei del Regno 1875 Varati gli Uffici Regionali per la conservazione 1891 Legge n° 185del 1902 Legge n° 364 del 1909 Legge n° 1089 del 1939 Codice Civile 1942 Costituzione Italiana 1947 Codice dei beni culturali e del paesaggio 2004 I Regi Custodi e la formazione del <<plano delle antichità>> 1778 Provvedimento a scala regionale del 1781 La Commissione di Antichità e Belle Arti 1827 Provvedimento del Ministro di Casa Reale 1839 Istruzione delle Commissioni Provinciali e del “Regio commissariato speciale pei musei e scavi della Sicilia” 1875/76 Legge n°1089 del 1939 Approvazione dello Statuto della Regione Siciliana 1946 L.R. n° 80 del 1977 L.R. n° 116 del 1980 TABELLA I 8 CAPITOLO 2 ASPETTI LEGISLATIVI RELATIVI AGLI SCAVI ARCHEOLOGICI 2.1 CARTE E CONVENZIONI INTERNAZIONALI A livello Internazionale ci sono stati vari provvedimenti tesi alla tutela del patrimonio archeologico e dei beni culturali in generale. I principali documenti culturali realizzati dalla comunità scientifica, non hanno valore normativo e per entrare a far parte della legislazione Nazionale devono essere ratificati. Nel 1931 la comunità ha stimolato il dibattito circa la tutela e il restauro con la “Carta di Atene” che viene redatta grazie all’apporto di circa cento esperti provenienti da una ventina di paesi prevalentemente europei e vengono dibattuti numerosi ed importanti temi riguardanti la tutela e il restauro dei monumenti architettonici. La conferenza auspica che ci sia una collaborazione tra gli Stati per la conservazione del patrimonio artistico e archeologico. Sull’opportunità di “mettere alla luce”, durante uno scavo archeologico, beni che successivamente non possono essere conservati, la commissione si esprime dicendo che “sarà consigliabile seppellirli nuovamente, dopo, beninteso, averne preso precisi rilievi” 1 . Poiché le scoperte archeologiche arricchiscono non solo i singoli Stati, ma anche la Comunità Internazionale, è auspicabile una collaborazione internazionale per quanto riguarda i regolamenti di scavo, in particolare lo studio dei reperti archeologici e la loro conservazione. Questi sono i principi che sono alla base delle “Raccomandazioni dell’Unesco” del 1956. Le raccomandazioni dettano i provvedimenti che ogni Stato Membro dovrebbe assicurare per la protezione del patrimonio archeologico; per quanto riguarda l’atto di concessione esse prescrivono che gli Stati membri dovrebbero stabilire norme che lo regolino, in funzione anche della salvaguardia, manutenzione e restauro del sito e dei reperti archeologici. Nel 1972 la “Carta del restauro Italiana” diramata dal Ministero della Pubblica Istruzione, disciplina “ (…) anche le operazioni atte ad assicurare la 1 Dall’art. 4 della Carta di Atene. 9 salvaguardia e il restauro dei resti antichi in rapporto alle ricerche terrestri e subacquee” 2 . Le maggiori istruzioni in materia di beni e scavi archeologici vengono date nell’Allegato A, dedicato alla salvaguardia del sottosuolo archeologico, necessariamente legato ad una serie di disposizioni e di leggi riguardanti l’esproprio e l’applicazione di particolari vincoli. Per questo motivo è fondamentale eseguire un’ispezione molto dettagliata del suolo al fine di predisporre i provvedimenti necessari. La Carta da delle istruzioni affinchè, nelle normali esplorazioni archeologiche terrestri, sia garantita oltre che la conoscenza storica del sito anche la sua conservazione: “ (…) Durante le esplorazioni archeologiche terrestri, mentre le norme di recupero e di documentazione rientrano più specificatamente nel quadro delle norme relative alla metodologia degli scavi, per ciò che concerne il restauro debbono osservarsi gli accorgimenti che, durante le operazioni di scavo, garantiscono la immediata conservazione dei reperti, specialmente se essi sono più facilmente deperibili e la loro ulteriore possibilità di salvaguardia e restauro definitivi (…) Ai fini dell’attuazione di queste istruzioni si rende necessario che, durante lo svolgimento degli scavi, sia garantita la disponibilità di restauratori pronti, quando necessario, al primo intervento di recupero (…)” 3 . Anche nell’ “Assemblea generale dell’ICCROM”, svoltasi a Roma nel 1983 si raccomanda che gli Stati Membri “prendano le misure necessarie per prevenire l’apertura di siti archeologici , eccettuate speciali circostanze, senza che sia data dovuta considerazione alle esigenze della conservazione” 4 e che “ prendano le misure necessarie per assicurare un deposito adeguato e sicuro dei reperti archeologici per evitare la perdita e il deterioramento di testimonianze scientifiche e culturali e la possibilità di traffici illeciti” 5 . Nel 1986 viene pubblicato il testo “La conservazione sullo scavo archeologico”, che contiene i commenti che alcuni Soprintendenti rilasciarono in occasione di un “Convegno dell’ICCROM” svoltosi a Cipro. Dai commenti si evince che il problema dei fondi necessari agli scavi, alla conservazione, immagazzinaggio, pubblicazione e manutenzione può essere risolto sia “condividendo la 2 Dall’art. 3 della Carta Italiana del Restauro. Dall’allegato A: “Istruzioni per la salvaguardia e il restauro delle antichità” della Carta Italiana del Restauro. 4 Punto a) del documento dell’Assemblea dell’ICCROM, Roma, 1983. 5 Punto b) del documento dell’Assemblea dell’ICCROM, Roma, 1983. 3 10 responsabilità con altri organismi, sia Nazionali che Esteri” sia pubblicando gli scavi eseguiti e sospendendo quelli non urgenti, infine prevedendo nell’atto di concessione tali oneri. La “Carta della conservazione e del restauro” del C.N.R. (1987) contiene delle indicazioni sulla programmazione dell’intervento conservativo nello scavo archeologico e propone, qualora non vengano predisposte le misure necessarie di conservazione, il reinterro dello scavo con un sistema di drenaggio funzionale e con “(…) materiali sterili, inerti leggeri (miscele di pozzolana e lapillo, ecc.). In ogni caso ogni progetto e la relativa attuazione dovranno essere studiati tenendo conto delle differenti esigenze climatiche dei vari ambienti, particolarmente differenziate in Italia” 6 . Gli Stati Membri del Consiglio d’Europa e gli altri Stati parti della Convenzione Culturale Europea hanno redatto, nel 1992, la “Convenzione Europea per la protezione del patrimonio archeologico”, che ha notevolmente contribuito all’identificazione e alla protezione del patrimonio archeologico, definendone quali elementi, le testimonianze e i beni dell’esistenza dell’umanità nel passato, che ogni parte s'impegna a rispettare. Ogni parte s’impegna, inoltre, a garantire il valore scientifico delle operazioni di ricerca archeologica e alla conservazione integrata del patrimonio archeologico, realizzabile attraverso una collaborazione tra archeologi, urbanisti e responsabili del riassetto del territorio. Per il finanziamento della ricerca e la conservazione archeologica le parti s’impegnano a prevedere un sostegno finanziario alla ricerca archeologica e a promuovere una collaborazione internazionale per la prevenzione del traffico illegale del patrimonio archeologico e una mutua assistenza tecnica e scientifica. 2.2 INIZIATIVE LEGISLATIVE IN AMBITO NAZIONALE Per fare un excursus sulle principali iniziative legislative in ambito Nazionale, è bene partire dall’Unità d’Italia, momento in cui si avvia un processo di normalizzazione generale per la tutela del patrimonio storico ed artistico, dopo che si era venuta a creare una organizzazione fortemente eterogenea e disarticolata. Nel 1875 viene istituita la Direzione centrale degli scavi e musei del 6 Dall’allegato C: “Istruzioni per la conservazione e il restauro delle antichità” della Carta del C.N.R. 11 Regno, contemporaneamente viene rinnovato l’Organo consultivo Nazionale, la Giunta di archeologia e Belle Arti, in seno al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, alla quale veniva demandato il compito di fornire indirizzi culturali, sia per gli scavi archeologici che per i restauri dei monumenti, validi per l’intero territorio italiano. Nel 1891 vengono varati gli Uffici Regionali per la Conservazione; quest’ultimi hanno varie funzioni per quanto riguarda la conservazione dei monumenti delle Regioni. Per quanto concerne, invece, il settore archeologico, gli Uffici Regionali devono collaborare con la direzione degli scavi, affidata ai direttori dei musei, le specifiche competenze dei due istituti sono espresse nella circolare n° 1036 del 1891. Tuttavia un’ efficace azione di tutela comincia a concretizzarsi solo dopo l’emanazione della prima legge organica del giugno del 1902 n° 185 “per la conservazione dei monumenti e degli oggetti d’antichità e d’arte”. Il regolamento per la sua esecuzione è pronto nel luglio del 1904. Un ulteriore contributo a migliorare la legislazione relativa alla tutela dei beni culturali e archeologici è la legge n° 364 del 1909, il cui regolamento d’esecuzione è il R.D. 30 gennaio 1913, n° 363, tuttora in vigore nella sua originaria formulazione, ove si legge che “lo scavo dovrà essere condotto non solo allo scopo di rinvenire oggetti antichi, ma anche per intenti scientifici”. 7 La legge 1089 del 1939 è stata l’unica legge che ha normato la materia in esame fino al 1999, anno di approvazione del Testo unico 8 . La suddetta legge (n° 1089 del ‘39) definisce che la responsabilità della conservazione dei beni culturali in esame, cioè quelli archeologici, è affidata al Ministro per l'educazione nazionale. Inoltre, è espressa chiaramente la possibilità del Ministero di potere intervenire in qualsiasi momento, per accertarsi sullo stato di conservazione del bene . Il Ministero inoltre si attribuisce la facoltà di “eseguire ricerche archeologiche(…) in qualunque parte del territorio del Regno e a tale scopo può, con suo decreto, ordinare l'occupazione degli immobili ove debbono eseguirsi i lavori. Il proprietario dell'immobile ha diritto ad un indennizzo per i danni subiti (…)” 9 . Inoltre il Ministro per l’Educazione Nazionale è legittimato ad effettuare gli espropri per eseguire ricerche archeologiche. 7 D. PANCUCCI, I beni archeologici, in Guida ai beni culturali ed ambientali di Sicilia, Edikronos 1980 pag. 44. Testo unico delle disposizioni legislative in materia dei beni culturali e ambientali o Decreto legislativo 29 ottobre 1999, n° 490, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n° 352. 9 Dall’art. 43 della legge n° 1089 del 1939. 8 12 Nel caso in cui il Ministro non può eseguire direttamente i lavori di scavo, può affidare il compito a enti o privati attraverso l’atto di concessione che contiene tutte le clausole che il ministro detta e a cui l’ente o il privato devono sottostare, pena la revoca della concessione. Sono previste sanzioni penali per coloro che s’impossessano di cose provenienti da ricerche. Con l’approvazione del Codice Civile nel 1942, le cose di interesse archeologico entrano a far parte del demanio pubblico, se immobili 10 e del patrimonio indisponibile dello Stato se mobili 11 . Un altro contributo alla valorizzazione del patrimonio culturale è dato da Costituzione Italiana, approvata nel 1947, dove all’articolo 9 cita testualmente “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Con l’entrata in vigore del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” nel 2004 è stato abrogato il Testo unico del 1999. Nel codice la tutela dei beni archeologici viene effettuata tramite gli articoli 45, 46 e 47, che sanciscono le prescrizioni di tutela indiretta, e tramite gli articoli 88, 89 e 90. Qualora si tratti di un area archeologica caratterizzata dalla vastità del complesso, si rende indispensabile garantire anche la fruizione estetica e visiva dei beni costituenti il complesso; pertanto, oltre al vincolo diretto sulle presenze esistenti, può essere imposto anche un vincolo indiretto . Il codice sancisce che l’attività di ricerca è riservata al Ministero dei Beni Culturali, attraverso i propri organi periferici (le Soprintendenze archeologiche); il Ministero può dare in concessione a soggetti pubblici o privati l’esecuzione delle ricerche. Ove la domanda di concessione di scavo venga ritenuta accoglibile, l’atto di concessione, da emanarsi a cura del responsabile della direzione generale per i beni archeologici, dovrà fissare tutte le prescrizioni vincolanti per lo stesso concessionario. Il legislatore, nel codice attuale, coinvolge, nella fase istruttoria, il competente sovrintendente territoriale, il quale deve valutare il piano e gli scopi delle ricerche che risulteranno dalla domanda del privato richiedente e formulare al ministero il proprio parere. Nel corso dei lavori di scavo l’amministrazione ha facoltà di intervenire in ogni tempo per fissare nuove prescrizioni, che si impongono in relazione agli sviluppi della ricerca, e può anche disporre la sospensione dello 10 11 Art. 822 del Codice Civile. Art. 826 del Codice Civile. 13 scavo e la revoca della concessione quando ricorrano particolari e motivate ragioni di pubblico interesse. Il codice prevede sanzioni penali e amministrative per chiunque esegue ricerche archeologiche senza autorizzazione o non osserva le prescrizioni date dall’Amministrazione nella concessione di scavo o durante l’esecuzione dei lavori e per colui che non denunci tempestivamente, entro le ventiquattro ore, un rinvenimento fortuito di cose di interesse archeologico. 2.3 INIZIATIVE LEGISLATIVE RELATIVE AL TERRITORIO REGIONALE DELLA SICILIA La cultura della tutela in Sicilia ha origini molto antiche. Nel 1778, con dispaccio Reale, il controllo del territorio venne affidato a due “regi custodi” che avevano il compito di redigere un “plano” delle antichità e definire la spesa che occorreva per conservarli e custodirli. Nel 1781 un altro provvedimento a scala regionale prevedeva che tutti i siti ed i singoli monumenti archeologici erano di proprietà dello Stato. Durante l’attività svolta in questo periodo sono da segnalare numerose campagne di scavo, principalmente a Catania, Siracusa, Selinunte e Solunto, e svariati piccoli interventi manutentivi. Nel 1827 il sistema dei “regi custodi” viene abolito; si insedia a Palermo, con giurisdizione su tutta la Sicilia, la Commissione di Antichità e Belle Arti. Gli specifici compiti di cui viene investita la Commissione sono più di carattere burocratico che culturale ed interessano principalmente i permessi di esportazione ed una sorta di controllo, a distanza, degli scavi archeologici che il luogotenente generale della Sicilia concedeva a chi presentava i documenti di “legale possidenza o consenso del proprietario” 12 . Poiché gli scavi erano concessi senza nessun requisito scientifico e la descrizione dei ritrovamenti era fatta quasi sempre da un inesperto, nel 1839 il Ministro Segretario di Casa Reale accorda che durante le operazioni di scavi archeologici vi fosse la costante presenza di agenti di polizia. Tra il 1840 e il 1847 grazie ai finanziamenti del duca di Serradifalco la ricerca archeologica ha conseguito progressi insperati e ha permesso ritrovamenti di grandissimo valore. 12 F. TOMASELLI, Il ritorno dei Normanni, Officina (Roma), 1994 14 Tra il 1875 e il 1876 si avvia un programma di rinnovamento; viene abolita la Commissione di Antichità e Belle Arti e vengono istituite le Commissioni Provinciali; molte delle attribuzioni che erano state proprie della vecchia Commissione centrale passano al “Regio commissariato speciale pei musei e scavi della Sicilia”. A questo nuovo istituto era demandato il coordinamento dell’attività di ricerca archeologica, quello della manutenzione e del restauro degli edifici demaniali di particolare pregio storico e artistico ed il rilascio dei permessi di esportazione. Dal commissariato dipendevano il museo di Palermo e un ufficio tecnico diretto da un “ingegnere direttore degli scavi”. Dopo la creazione degli Uffici regionali per la conservazione dei monumenti della Sicilia, il ruolo delle Commissioni Conservatrici Provinciali e degli Ispettori agli scavi e ai monumenti viene messo in discussione anche per il sovrapporsi delle competenze proprie ai tre istituti. La legge 1089 del 1939 è stata per molto tempo osservata anche in ambito Regionale. Quando nel 1946 viene approvato lo Statuto della Regione Siciliana, si stabilisce che “Fanno parte del patrimonio indisponibile della Regione (…) le cose d’interesse storico, archeologico, paleontologico ed artistico, da chiunque ed in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo regionale (…)” 13 . La L. R. del 1 Agosto 1977, n. 80 stabilisce le “Norme per la tutela, la valorizzazione e l’uso sociale dei beni culturali ed ambientali nel territorio della Regione Siciliana”. La L. R. del 7 Novembre 1980, n. 116 prevede, invece, le “Norme sulla struttura, il funzionamento e l’organico del personale dell’Amministrazione dei beni culturali in Sicilia”. 13 Dall’art. 33 dello Statuto della Regione Siciliana. 15 3. MATERIALI REPERIBILI NELLO SCAVO PREISTORIA INORGANICI LAPIDEI CERAMICHE METALLI ETA’ CLASSICA LAPIDEI CERAMICHE METALLI VETRI MEDIOEVO CONOSCENZA OSSA E AVORI PREISTORIA ORGANICI ETA’ CLASSICA OSSA E AVORI LEGNI LEGNI CUOIO MEDIOEVO RESTI VEGETALI E ALIMENTARI RESTI VEGETALI E ALIMENTARI MATERIALI REPERIBLI NELLO SCAVO CAUSE INTRINSECHE DI DEGRADO IL SUOLO COSCIENZA CAUSE ESTRINSECHE DI DEGRADO GLI ASPETTI CLIMATICI GRAFICO II 16 CAPITOLO 3 TIPOLOGIE DI MATERIALI REPERIBILI NELLO SCAVO 3.1 MATERIALI INORGANICI LAPIDEI Ne fanno parte i reperti mobili e le strutture. I primi possono essere costituiti da materiali come il calcare, la selce, l’ossidiana e da pietre semi – preziose, utilizzati per la realizzazione di strumenti, statuette e per oggetti d’ornamento personale. Le strutture sono costituite da murature e suoli. Le murature possono essere dipinte e non, i suoli possono essere composti da terra battuta o realizzati con una malta di allettamento ed elementi decorativi 1 . Le prime tecniche di realizzazione delle murature si avvalevano dei piani di posa tenuti assieme da argille o da altre sostanze, le tecniche successive, invece, sono caratterizzate della presenza di un legante, solitamente costituito da calce. L’uso di argille che sono Silicati idrati di Alluminio è dovuto alla loro capacità di gonfiare quando assorbono acqua, permettendo di fare aderire i piani di posa, esse tuttavia non fungono da leganti. Dei veri e propri leganti, invece, sono le calci ottenute dalle rocce calcaree che cotte si trasformano in una polvere incoerente (ossido di calcio anidro) la quale viene idratata per legare a se gli altri materiali da costruzione. Le malte a base di calce includono sempre un inerte che serve a dare maggiore consistenza alla calce pura, inoltre esse possono essere distinte in aeree e idrauliche, le prime sono le malte che danno vita al materiale legante reagendo con l’aria, le seconde invece reagiscono anche sotto acqua. Le malte a base di calce idraulica sono state usate per la realizzazione di cisterne, le malte a base di calce aerea per la realizzazione di dipinti murali. Le murature dipinte possono essere distinte in pitture parietali, pitture “a fresco” e pitture “a secco. Nelle prime l’immagine pittorica è stesa direttamente sul supporto “grezzo”, questa tecnica è praticata nel periodo preistorico. Le pitture “a fresco” sono eseguite stendendo il colore quando il supporto di calce è ancora bagnato, esse si caratterizzano per 1 I frammenti con funzione decorativa possono essere di laterizio e ciottoli di fiume policromi nel caso dell’opus signinum e frammenti di pietra policromi nel caso dell’opus sectile. 17 la resistenza all’umidità e all’abrasione. La pittura “a secco” si avvale di colori a tempera stesi sull’intonaco ormai asciutto, essa è connotata da fragilità e sensibilità ai fattori atmosferici. CERAMICI La classe dei ceramici è assai vasta, ma la tipologia dei manufatti ceramici prodotti in epoca antica è riconducibile alla classe delle terrecotte che hanno un processo di lavorazione simile a quasi tutti gli altri ceramici. Il processo di lavorazione consta di quattro fasi e cioè, della preparazione dell’impasto, della foggiatura, dell’essiccamento e della cottura. Per quanto riguarda l’impasto è possibile l’impiego di una o più argille che sono composte essenzialmente da minerali argillosi, da altri minerali, di cui il principale è il quarzo, e da altri componenti tra i quali i più comuni sono i carbonati (calcite: CaCO3) e gli idrossidi di ferro (goethite FeOOH). L’Argilla proveniente dal luogo di estrazione deve essere depurata da quelle parti più grossolane e fastidiose per la lavorazione. Prima di essere cotta l’argilla viene fatta essiccare affinché perda l’Acqua assorbita in fase di lavorazione. Il processo di cottura ha lo scopo di stabilizzare la forma dei manufatti e conferisce ad essi una struttura cristallina eventualmente combinata ad una fase vetrosa che li rende resistenti alla compressione ma sensibili alle tensioni e agli urti (sono fragili). La cottura della terracotta si esegue ad una temperatura compresa tra i 700°C e i 1000°C. Talvolta, alcuni manufatti ceramici “archeologici”, hanno solo sfiorato la temperatura di 600°C, ciò fa si che questi reperti siano generalmente molto porosi. Un’ulteriore caratteristica del materiale ceramico è la presenza o meno di un rivestimento che può essere realizzato con colori a freddo o con colori ceramici; i primi coincidono con i rivestimenti argillosi 2 , essi non richiedono alcun trattamento termico dopo l’applicazione e il loro colore definitivo coincide sostanzialmente con quello che hanno al momento stesso dell’applicazione. I colori ceramici, invece, sono detti anche smalti perché richiedono una ricottura del manufatto dopo 2 Possono essere definiti argillosi i rivestimenti prevalentemente a base di argille come ad esempio gli ingobbi e le patine ceramiche. 18 la loro applicazione così da trasformare il materiale colorante in uno strato vetroso, inoltre, il loro colore finale è molto diverso da quello di partenza. Per quanto riguarda i ceramici senza rivestimento, essi caratterizzano il periodo preistorico e romano e sono state utilizzate per la realizzazione di vasellame, urne, anfore, olpi, lucerne, buccheri statuaria, oggettistica, elementi architettonici e ornamentali. Per quanto riguarda, invece, i ceramici con “patina ceramica” essi costituiscono il vasellame greco (a “figure rosse” o “nere”) e il vasellame romano del tipo “sigillate” chiare o italiche “a vernice nera”. La terracotta smaltata, invece, è caratteristica del periodo medioevale. METALLI I reperti metallici possono essere costituiti da metalli puri (es.: Oro, Argento, Rame o Ferro) o da leghe metalliche (es.: Bronzo, Peltro). Quali prodotti finiti e non deteriorati, i metalli e le leghe metalliche sono: lucenti, duri, non sono porosi, hanno una struttura cristallina ed una elevata resistenza meccanica, sono insolubili nell’Acqua, si ossidano, sono attaccabili dagli acidi, dagli alcali e dai biodeteriogeni, non bruciano ma possono fondere. VETRI Il vetro antico è ottenuto dalla fusione della Silice (sottoforma di sabbia) con gli alcali (Sodio, Potassio) e gli alcalino-terrosi (es.: Calcio). Talvolta il Piombo può sostituire il Sodio conferendo al vetro una maggiore trasparenza. Le colorazioni sono dovute all’aggiunta di coloranti di tipo ionico come il Ferro e il Manganese o attraverso l’aggiunta di aggregati di sostanze coloranti. I vetri, nel senso più stretto del termine, non hanno una struttura cristallina bensì uno stato amorfo (stato di aggregazione di aggregazione di tipo vetroso). Pertanto, essi non possiedono una buona resistenza alla compressione né alla tensione né agli urti (sono molto fragili). Sono caratterizzati dalla trasparenza, variabile in base alle impurità, al contenuto di bolle d’aria e allo stato di 19 conservazione (fanno eccezione le paste vitree). Presentano una leggera capacità di assorbimento, sono sensibili agli sbalzi termici, hanno una discreta resistenza agli agenti chimici. Un eccesso o un difetto di ossidi alcalini lo rendono particolarmente sensibile all’umidità. I vetri sodici sono particolarmente sensibili all’Acqua, quelli con troppo carbonato di calcio hanno tendenza a devetrificare. La devetrificazione avviene quando la struttura del vetro si avvicina a quella di un cristallo, fragile poiché si possono creare dei piani di rottura lungo le superfici di sfaldamento dei cristalli; è questa la ragione della delicatezza dei vetri antichi. 3.2 MATERIALI ORGANICI OSSA E AVORI Ossa e Avori hanno proprietà simili, a cominciare dalla composizione: entrambi sono costituiti, per il 30% circa, da proteine (collagene, osseina) e grassi e da sali minerali a base di calcio (fosfato di Calcio associato a carbonato e fluoruro di Calcio). Il componente organico e quello inorganico si compenetrano tanto intimamente che le ossa e gli avori mantengono inalterate le proprie forme, sia che si distruggano le sostanze organiche, sia che si disciolgono le sostanze minerali. Possiedono entrambi una doppia struttura: spugnosa ed irregolare all’interno, compatta e laminata esternamente (parte corticale). Quella dell’Osso è più porosa e discontinua; quella dell’Avorio più dura, compatta, regolare. Le tipologie di ossa reperibili nello scavo possono provenire da scheletri umani o animali, gli scheletri umani sono costituiti da ossa “lunghe” che hanno due strutture e da ossa come quelle del cranio, a sezione ricurva, che hanno invece, tre strutture, due esterne di tipo compatto e una interna spugnosa. 20 Infine, le ossa e gli avori sono stati utilizzati per la realizzazione di oggetti come dimostrano i seguenti esempi: Figura 2. Pantera in avorio intarsiato con lapislazzuli, Uruk (ca. III millennio a.C.) Figura 3. Osso a globuli, Cultura di Castelluccio, Sicilia, 2200/2100-1400° a.c. età del Bronzo LEGNO Il legno proviene dagli alberi, ha una struttura differenziata costituita da cellule, organizzate in tessuti rispondenti alle diverse esigenze connesse con la vita dell’ albero e condizionate dall’ ambiente. Il materiale si origina dal Cambio e si struttura in Corteccia, Alburno, Durame e Midollo. 3 b 2 c a Figura 4. 1 Corteccia; 2 Alburno; 3 Durame; 4 Midollo. a sezione longitudinale; b sezione trasversale; c sezione radiale. 4 1 Le specie legnose hanno un’anatomia differente a secondo se appartengono alla famiglia delle Conifere o delle Latifoglie, inoltre, esse, hanno proprietà come la densità, la resistenza a flessione e il modulo di elasticità che dipendono dalla specie legnosa d’origine. Il legno è composto da lignina, cellulosa, emicellulosa, estrattivi e inclusi minerali.; la cellulosa costituisce la struttura portante di ogni fascio, rivestito esternamente dalla lignina e si avvolge a spirale all’interno dei tubi di lignina; l’emicellulosa, invece, occupa gli spazi tra la cellulosa e la lignina. 21 Il legno nell’antichità ha avuto un uso enorme per la costruzione di capanne, imbarcazioni, palafitte. I ritrovamenti dei manufatti di legno possono avvenire sia sulla terraferma sia in acqua; sulla terra ferma possiamo ritrovare resti di capanne ecc., in mare possono essere rinvenuti relitti di navi, pali di capanne risalenti alle popolazioni palafitticole. CUOIO Il cuoio è ottenuto per trattamento chimico (conciatura) delle pelli animali. Le sostanze utilizzate per tale trattamento (tannino, oli, fumi, ecc.) ne preservano il costituente principale, il collagene. Il cuoio ha una struttura fibrosa “aggrovigliata” che gli conferisce una buona resistenza fisica. Sebbene sia meno igroscopico del legno è comunque estremamente sensibile all’azione dell’Acqua e all’attacco biologico; quest’ultimo può portare il cuoio al completo deterioramento. RESTI VEGETALI E ALIMENTARI Ne fanno parte i resti dei contenuti delle anfore usate per le libagioni o per il trasporto di olio e di vino, i pollini archeologici e le tracce di piante e di radici sul terreno. Tali resti sono una fonte molto preziosa perché danno informazioni circa la vita, l’alimentazione, la cultura e l’ambiente delle società che ci hanno preceduto. 22 MATERIALI REPERIBILI I UNO SCAVO PREISTORICO MATERIALI INORGANICI CLASSI MATERICHE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI OGGETTI MATERIALI LAPIDEI • Pitture parietali, Graffiti, Statuette • Suoli e Murature • Strumenti • Ceramica con decorazione impressa • Ceramica con decorazione incisa • Ceramica con decorazione dipinta • Oggetti in Rame • Oggetti in bronzo • Oggetti in Ferro • Oggetti in materiali preziosi Figura 5. Pittura rupestre, Altamira (Spagna), Paleolitico superiore. CERAMICHE Figura 6. Ceramica tricromica, cultura di Stentinello (Sicilia), Neolitico medio. METALLI Figura 7. Coppa d’oro, cultura di S.Angelo Muxaro – Polizzello (Sicilia), età del ferro TABELLA II 23 MATERIALI REPERIBILI IN UNO SCAVO DI ETA’ CLASSICA CLASSI MATERICHE MATERIALI LITICI PRINCIPALI TIPOLOGIE DI OGGETTI • Epigrafi • Pitture murali • Statue • Suoli in “opus signinum” “opus sectile” e “mosaicati” • Ceramica figurata e non • Monete • Lastre in bronzo • Oggetti d’uso comune e d’ornamento personale • Armi • Vetri colorati e non, d’uso comune e per la mensa Figura 8. Pittura su tufo, Tarquinia, 450 circa a.C. CERAMICHE Figura 9. Vaso greco a figure rosse, 510 – 500 a.C. METALLI Figura 10. Locri Epizefiri, Tabella di bronzo scritta. VETRI Figura 11. Vasi Romani della fine del I sec. a. C. TABELLA II 24 MATERIALI REPERIBILI IN UNO SCAVO MEDIEVALE CLASSI MATERICHE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI OGGETTI MATERIALI LAPIDEI Figura 12. Mosaico pavimentale, Piazza Armerina, IV sec. d.C. CERAMICHE • Epigrafi • Pitture murali • Statue • Suoli in “opus signinum” “opus sectile” e “mosaicati” • Ceramica invetriata • Ceramica smaltata • Ceramica piombifera • Ceramica stannifera • Monete • Lastre in bronzo • Oggetti d’uso personale • Armi • Vetri colorati e non, d’uso comune e per la mensa Figura 13. Ceramica smaltata. METALLI comune e d’ornamento Figura 14. Puntali di cintura in bronzo altomedievali. VETRI Figura 15. Bottiglia ad ampolla, Gela (Sicilia) fine XIII sec. TABELLA II 25 MATERIALI REPERIBILI IN UNO SCAVO PREISTORICO MATERIALI ORGANICI CLASSI MATERICHE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI OGGETTI OSSA E AVORI Figura 16. Sepoltura di epoca Paleolitica, Barma Grande dei Balzi Rossi presso Imperia. • Ossa umane e animali • Denti • Capelli • Spilloni • Bottoni • Relitti • Pali di capanne • Pollini • Semi • Frumento • Paglia LEGNI Figura 17. Resti di palafitte, II millennio a.C. Fiavè (Trento) RESTI VEGETALI E ALIMENTARI Figura 18. Cereali selvatici e domestici. TABELLA III 26 MATERIALI REPERIBILI IN UNO SCAVO DI ETA’ CLASSICA CLASSI MATERICHE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI OGGETTI OSSA E AVORI Figura 19. Tomba femminile, Alianello (Basilicata). • Ossa umane e di animali • Denti, Capelli • Pettini • Spilloni • Bottoni • Relitti • Pali di capanne • Calzature • Foderi • Rivestimenti di scudi • Pollini • Semi • Frumento • Paglia • Recipienti contenenti vino e olio LEGNI Figura 20. Resti lignei,Ercolano. CUOIO Figura 21. Calzari romani. RESTI VEGETALI E ALIMENTARI Figura 21. Anfora olearia, I sec. a.C. TABELLA III 27 MATERIALI REPERIBILI IN UNO SCAVO MEDIEVALE CLASSI MATERICHE PRINCIPALI TIPOLOGE DI OGGETTI • Ossa umane e di animali • Denti, Capelli • Pettini • Spilloni • Bottoni • Relitti • Pali di capanne • Calzature • Foderi • Rivestimenti di scudi • Pollini • Semi • Frumento • Paglia • Recipienti contenenti vino e olio OSSA E AVORI Figura 23. Pettine in osso, Villa Oliveti di Rosciano, altomedioevo. LEGNI Figura 24. Relitto tardoromano. CUOIO Figura 25. Abbigliamento maschile Longobardo. RESTI VEGETALI E ALIMENTARI Figura 26. Semi deposti in tomba, Arsalo Seprio. TABELLA III 28 3.3 MATERIALI REPERIBILI IN SCAVI EXTRAEUROPEI Esempi di manufatti in materiali organici e inorganici appartenenti ai tre periodi Preistoria – età classica - Medioevo Figura 27. Imbarcazione in legno e corda; Egitto. Figura 29. Muro decorato, Trujlo, Perù. Figura 28. Poncho, in lana e cotone; Perù Figura 30. Cina, Xi’ an; Guerrieri di terracotta TABELLA IV 29 3.4 FATTORI DI DEGRADO INTRINSECI ED ESTRINSECI MATERIALI INORGANICI LAPIDEI La porosità è, più di ogni altro, il fattore responsabile del comportamento dei materiali in pietra. Nel sottosuolo umido o bagnato, essa consente all’Acqua (liquida o vapore), di avere accesso all’interno del corpo di un reperto e di percorrere ogni canale della sua struttura, sino ad impregnarlo completamente. Durante il percorso, l’Acqua deposita le sostanze in essa disciolte o sospese (acidi, basi, sali, gas, biodeteriogeni, ecc.), ognuna delle quali, interagisce con la pietra, innescando reazioni chimiche (es.: acidi con composti carbonatici) o dando luogo a fenomeni fisici ciclici (es.: cristallizzazione / deliquescenza dei sali). L’Acqua stessa, nel caso di temperature sotto gli 0°C può gelare, trasformandosi in cristalli solidi di volume maggiore che crescono all’interno dei pori più grandi. In seguito all’attacco acido le pietre di natura carbonatica possono subire fenomeni di parziale dissoluzione e lisciviazione, che impoveriscono la microstruttura interna. I fenomeni di cristallizzazione causano forti stress fisici alla struttura fino a provocare lesioni sempre più ampie, fratture esfoliazioni, distacchi di parti 1 . CARAMICA La porosità della maggior parte dei manufatti ceramici “archeologici” fa si che restino sensibili alla migrazione dei sali solubili che provocano danni nei confronti del sistema supporto/rivestimento e alla variazione di stato dell’acqua che avviene all’interno dei pori. Le temperature relativamente basse di cottura favoriscono i fenomeni di riargillificazione in seguito al contatto dei manufatti con l’acqua. In generale gli acidi, invece, sono in grado di attaccare il materiale ceramico cambiandone la composizione, altrettanto possono fare anche i sali solubili innescando reazioni chimiche dannosi 1 I vocaboli da usare per la definizione delle alterazioni macroscopiche dei materiali lapidei sono contenuti nella Normal 1/88. 30 per i manufatti stessi; altre reazioni chimiche che si possono verificare sono la ricarbonatazione dell’ossido e dell’idrossido di calcio da parte dell’anidride carbonica atmosferica e le reazioni generate dagli inquinanti atmosferici veicolati dall’aria e dall’acqua. Alcune procedure, come il semplice lavaggio con acqua, o la pulitura in generale, possono provocare fenomeni di lisciviazione cioè l’asportazione di uno o più componenti dal materiale ceramico, sono assolutamente escluse le puliture effettuate con acidi e, invece, sono da praticare le puliture che prendono in considerazione il tipo di manufatto ceramico e il suo stato di conservazione. METALLI I metalli, ottenuti artificialmente (fatta eccezione per l’oro), reagiscono con elementi esterni (O2, SO2, CO2, H2O, sali, acidi, ecc.) contenuti nel suolo o nell’aria dando vita a processi di corrosione. I processi di corrosione hanno luogo in ambienti con presenza di umidità e Ossigeno e sono generati da un attacco di tipo elettro-chimico ai danni del metallo. Durante il periodo di interramento, i processi di corrosione apportano le maggiori trasformazioni chimiche, dopodiché si stabilisce un equilibrio tra il metallo e l’ambiente. L’equilibrio si interrompe e la corrosione si riavvia durante la messa in luce. VETRI Il vetro “archeologico” è soggetto a corrosione. Si può dire che il fenomeno è determinato dalla perdita selettiva del Sodio e del Potassio, a partire dal primo strato superficiale, il quale, di conseguenza, diventa particolarmente fragile. In seguito alla corrosione il vetro può presentare caratteristici effetti di deterioramento: porosità, puntinatura, opalescenza (parziale perdita di trasparenza), iridescenza associata ad effetti madreperlacei e/o argentei, cristallizzazione superficiale (aspetto saccaroide), esfoliazioni degli strati corrosi, distacchi e assottigliamento. 31 MATERIALI ORGANICI OSSA La composizione, unitamente alla struttura, rende i materiali ossei “archeologici” meno soggetti a putrefazione e, più in generale, al deterioramento, rispetto ad altri reperti organici; tuttavia essi possono essere colonizzati da muffe e batteri. In un terreno umido o bagnato subiscono l’idrolisi dell’Osseina; più in generale, la componente organica è soggetta all’attacco alcalino mentre la componente minerale è soggetta all’attacco acido. LEGNO Il legno subisce i danni maggiori se interrato in sottosuoli umidi e areati: viene attaccato dalle muffe e dai funghi, in particolare la cellulosa viene degradata dalle sostanze acide e alcaline qualora queste siano particolarmente concentrate, raramente si conserva. In suoli o ambienti asciutti, il legno può essere attaccato da tarli. Al contrario, se il suolo è scarsamente areato, molto umido e bagnato, aumentano le probabilità di conservazione. In quest’ultimo caso il legno assorbe grandi quantità d’Acqua fino a saturazione: l’Acqua dissolve lentamente la cellulosa (idrolisi) fino a sostituirla quasi del tutto. CUOIO Il cuoio può essere rinvenuto, talvolta in discrete condizioni, qualora il suolo di interramento sia completamente asciutto oppure completamente bagnato, il tenore di Ossigeno sia molto basso e il pH acido. Come accade per il legno, l’Acqua svolge una doppia azione: dapprima solubilizza alcuni componenti (es.: i tannini), poi colma i vuoti chimici provocati dai fenomeni di lisciviazione e idrolisi, diventando essa stessa parte integrante e supportante della struttura. Il cuoio si comporta come un “filtro”: trattiene diversi materiali inorganici (es.: carbonati, silicati, ossidi, ecc.) trasportati dall’Acqua, con preferenza per i sali insolubili del Ferro: mentre i primi cristallizzano all’interno della struttura fibrosa contribuendo al suo sfaldamento, i secondi infondono una 32 colorazione bruno nerastra al cuoio e lo rendono ulteriormente fragile. Il cuoio può laminarsi già durante l’interramento. RESTI VEGETALI E ALIMENTARI Il degrado è legato alla decomposizione a cui vanno incontro in seguito alla permanenza nel terreno. I pollini possono fossilizzarsi, qualora ci sono le condizioni adatte, mentre le radici e i resti alimentari si conservano meno facilmente. IL SUOLO Il suolo può essere composto da 4 tipi di particellati, spesso alternati o mescolati fra loro: sabbia, terriccio più o meno grasso, limo e argilla. Un terreno sabbioso è ricco di Ossigeno (O2), è permeabile all’Acqua (H2O); viceversa, un deposito argilloso assorbe e trattiene grandi quantità d’ acqua ed è poco permeabile ai gas atmosferici, quali ad esempio Ossigeno, Anidride Carbonica(CO2) e Anidride Solforosa (SO2). L’Acqua, nel suolo come altrove, gioca un ruolo fondamentale ai fini degli equilibri chimici, fisici e biologici: scatena reazioni chimiche e vi partecipa, agisce sia come solvente sia come veicolo delle sostanze solute, umidifica o bagna, fino ad impregnazione, sia il suolo sia i materiali porosi, determinando fenomeni fisici il più delle volte dannosi nei riguardi di questi ultimi. Il pH del suolo, normalmente, è situato tra 5 e 9 e da 2 a 11 nei casi estremi. Il pH del suolo può variare nel caso in cui si verifichino pioggie che determinino un apporto di Idrogeno (H+), che, combinato con l’Anidride Carbonica (CO2) forma l’Acido Carbonico (H2CO3). L’Anidride Carbonica è prodotta anche dalle radici e dai microrganismi che in presenza di acqua fanno aumentare l’acidità del suolo. Un suolo ricco di ioni alcalini (Na+, K+) o alcalinoterrosi (Ca2+, Mg2+), molto probabilmente ha una predominanza basica. La neutralità è raggiunta a valori di pH intorno a 7. Sia la temperatura, sia l’Ossigeno, generalmente diminuiscono verso la profondità del suolo. Ciò fa supporre che negli strati più bassi del suolo vi siano maggiori probabilità che i materiali si conservino meglio e più a lungo. 33 ASPETTI CLIMATICI Hanno un ruolo determinante sulla conservazione dei reperti archeologici. In particolare la temperatura (T) influenza la velocità delle reazioni chimiche, un riscaldamento comporta l’espansione dei materiali e un raffreddamento generalmente la loro contrazione (con l’eccezione dell’acqua); inoltre in certe gamme di temperatura si può sviluppare la vita biologica (es.: piante, batteri); infine la temperatura influenza direttamente l’umidità relativa (UR) dell’aria e, quindi, lo stato di equilibrio dei materiali con l’atmosfera circostante. In riferimento ai fattori che la influenzano la T dell’aria è strettamente collegata alla presenza dei raggi infrarossi (IR) e, pertanto, sarà direttamente proporzionale alla durata dell’irradiazione solare e alla sua intensità. Un altro aspetto climatico importante è l’umidità assoluta (UA) dell’aria che è strettamente collegata alle precipitazioni e ai fenomeni di evaporazione dei corsi d’acqua e del terreno; l’ UR, invece, è il risultato della correlazione fra UA e T. La variazione dei valori di T e UR è determinante per la conservazione dei materiali archeologici soprattutto quando essa è molto repentina, in quanto, lascia pochissimo tempo ai materiali per trovare un equilibrio, innescando sollecitazioni meccaniche causate dall’assorbimento e dal rilascio di umidità; l’evaporazione di acqua dal materiale saturo porta, anche, alla formazione di cristalli salini, le cosiddette efflorescenze, prodotte dalla precipitazione dei sali disciolti nell’acqua che cristallizzando aumentano di volume. Altre sollecitazioni possono essere causate dall’azione meccanica dell’acqua di precipitazione, dai fenomeni di gelo/disgelo e, per alcuni di essi, dall’assorbimento dell’acqua in fase liquida con conseguente aumento del volume. Infine, i fattori ambientali non controllati, uniti a un’assenza di ventilazione e di luce possono provocare la proliferazione di microrganismi sui manufatti di origine organica o su altri manufatti purchè sia presente una fonte di nutrimento organica. All’interno degli aspetti climatici come fattori estrinseci di degrado, rientrano senz’altro gli inquinanti atmosferici prodotti da processi naturali ma soprattutto dalle attività antropiche. Fra gli inquinanti gassosi, i più comuni sono gli ossidi di zolfo e di azoto ci sono poi le polveri metalliche ( 34 come il piombo degli scarichi delle automobili ) che possono fungere da catalizzatori in determinate reazioni. Gli inquinanti atmosferici possono innescare fenomeni chimici di degrado nei manufatti archeologici, oppure limitarsi a formare delle incrostazioni. Tra le reazioni chimiche più comuni possiamo annoverare le “croste nere” che sono il risultato della reazione tra l’acido solforico (H2SO4) e il carbonato di calcio; il prodotto finale è chiamato crosta nera o più in generale crosta perché il solfato di calcio che si genera dalla suddetta reazione forma un’incrostazione che tende a essere dilavata con il conseguente impoverimento materico per i manufatti a base di calcare. Un’altra reazione chimica è provocata dall’anidride carbonica che disciolta in acqua forma l’acido carbonico (H2CO3) il quale reagisce con i manufatti a base di calcare per produrre bicarbonato di calcio Ca(HCO3)2 che è un sale molto solubile. Le incrostazioni, invece, possono essere provocati dal particellato atmosferico, generalmente di colore scuro, che può creare dei problemi al momento della sua rimozione qualora sia molto spesso e molto ben ancorato al supporto. 35 4. PROCEDURE E TECNICHE DI PRONTO INTERVENTO METODOLGIE DURANTE L’ESTRAZIONE PROCEDURE E PRIMA PULITURA ATTEGGIAMENTI CORRETTI DURANTE LO SCAVO COPERTURE E PROTEZIONI TEMPORANEE OPERAZIONI DI CONSERVAZIONE OPERAZIONI DI CONSOLIAMENTO PROCEDURE DOPO LO SCAVO A SCAVO EFFETTUATO OPERAZIONI DI PRELIEVO PREVENZIONE DALL’ATTACCO BIOLOGICO PRIMO IMBALLAGGIO DOCUMENTAZIONE ALTRE OPERAZIONI REGISTRAZIONE ED ETICHETTATURE DEPOSITO TEMPORANEO IN SITO GRAFICO III 36 CAPITOLO 4 PROCEDURE E TECNICHE DI PRONTOINTERVENTO Le procedure e le tecniche di pronto intervento comprendono tutte quelle pratiche da adottare durante lo scavo, per evitare la perdita di informazioni e drastici interventi di restauro dopo la messa in luce. Le metodologie di estrazione devono valutare il tipo di reperto, il suo stato di conservazione, i casi in cui è possibile asportare il terreno in prossimità dei reperti, i tempi di sosta degli stessi nell’area di scavo ed infine gli strumenti idonei da utilizzare in prossimità delle loro superfici. Altrettanto idonei devono essere gli strumenti per la prima pulitura che devono soltanto togliere la terra o il fango attraverso l’applicazione di acqua. A tal fine possono essere usati pennelli di setole naturali di lunghezza variabile e spugnette. Tra gli accorgimenti sono consigliati, anche, le coperture e le protezioni temporanee. Le coperture che spesso vengono utilizzate sono costituite da una struttura portante verticale, da una struttura portante di copertura e da una tettoia che può essere realizzata in laminati plastici di Poliestere rinforzati con fibre di vetro, con lamiere metalliche “grecate” oppure su siti particolarmente esposti all’irraggiamento diretto del sole con pannelli metallici coibentati. Ovviamente si possono realizzare altri tipi di coperture in funzione dell’area di scavo e ad altre esigenze. Le protezioni temporanee possono comprendere i teli in “plastica”, impermeabili, solitamente in PoliEtilene (PE) che risultano appropriati per la protezione di reperti organici rinvenuti in terreni umidi o bagnati, se invece sono impiegati per coprire le strutture si deve porre attenzione al fatto che l’impermiabilità di tali teli può rivelarsi dannosa, perché l’acqua si può accumulare producendo pericolose sollecitazioni alle strutture emergenti e alle creste dei muri e inoltre può formarsi, al di sotto di essi, un microclima che favorisce la crescita di piante e colonie batteriche le quali indeboliscono e impoveriscono i materiali. La dimensione dei teli è importante affinché la 37 rimozione degli stessi non diventi, in una fase successiva pericolosa per le strutture e problematica per gli addetti ai lavori; inoltre, con l’abbassamento della temperatura nelle ore notturne, si producono fenomeni di condensazione che bagnano inevitabilmente i reperti. Risulta, inoltre indispensabile un controllo periodico delle condizioni dei teli in PE, in quanto sono soggetti a deterioramento relativamente rapido se sottoposti a prolungato irraggiamento solare e in caso di fenomeni di gelo. Altrettanto utili sono i tessuti per “colture protette”, di cui fanno parte le reti ombreggianti e i tessuti per pacciamatura. Le prime sono composte da filamenti di PoliEtilene (HDPE) e il loro uso nelle campagne di scavo è dovuto al fatto di essere traspiranti, leggere e facili da montare. I tessuti per pacciamatura, invece, sono composti da trame fitte di PoliPropilene (PP) e nello scavo possono essere impiegati come passatoie protettive su superfici stratigrafiche, per recinzioni o coperture ombreggianti provvisorie. Altri tipi di tessuto utilizzati per la protezione temporanea possono essere i tessuti-non-tessuti e i geotessuti. I tessuti-non-tesuti sono composti da sottili filamenti di PP stabilizzato ai raggi UV saldati tra loro per termo-pressione. Vengono impiegati, inoltre, durante la movimentazione di piccoli reperti archeologici “mobili” e nelle fasi d’imballaggio. I geo-tessuti sono ottenuti dalla combinazione di fibre di Poliestere (PET) e sono caratterizzati da una forte resistenza alla trazione, si prestano ad essere modellati a contatto con superfici di pavimentazione e non sono impermiabili. Un loro uso improprio, qualora vengano usati per coprire le superfici in elevato, può determinare la compromissione degli spigoli delle creste, inoltre i geo-tessuti si comportano come ricettori di polvere, terra, acqua e sporco in genere e subiscono un deterioramento meccanico relativamente veloce. Non se ne conoscono al momento molti esempi di applicazione nel campo della conservazione, ma il Gore-Tex che è una membrana con una struttura micro porosa, inattaccabile dagli acidi e dagli agenti chimici e biologici, assicura una perfetta impermeabilità e traspirazione. All’interno delle protezioni temporanee si possono distinguere le protezioni localizzate, assolvono a questa funzione le piccole coperture modulari che possono essere facilmente posizionate e rimosse 38 al di sopra del reperto. A scopo esemplificativo è possibile prendere in considerazione un prototipo realizzato nel 1999 dal Servizio Beni Archeologici della Regione Autonoma Valle d’Aosta: Figura 31. Applicazione per una protezione localizzata temporanea di una sepoltura in corso di scavo. Il prototipo è costituito da una struttura portante in archi di trafilato in ferro zincato e da un tessuto in poliestere di colore blu scuro. Un altro tipo di protezione localizzata è il “wafer climatico”. Di questo tipo di intervento possono essere realizzate diverse varianti, in particolare quello per l’intervento sui reperti di origine organica di piccole e medie dimensioni impregnati d’acqua e molto delicati, consiste nel fare aderire una pellicola sottile di PE per “alimenti” al reperto, a questa si sovrappone delicatamente del fango e si ricopre il tutto con un foglio di Alluminio. Delle vere e proprie azioni di pronto intervento sono le operazioni di stabilizzazione, realizzabili attraverso la puntellatura, delle grandi porzioni di intonaco, le cinghiature e i bendaggi affinché parti non coese si perdano. Per la riadesione o la ricoesione di parti o frammenti si possono eseguire fissaggi e consolidamenti entrambi con materiali specifici 1 . 1 Per i fissaggi si possono usare le resine acriliche in soluzione (es.: PARALOID B-72 al 20% in Acetone), oppure colle monocomponenti a base di nitrato di cellulosa o a base di copolimeri clorovinilici e chetonici. Per i consolidamenti si possono usare resine acriliche e viniliche in soluzione o in emulsione oppure materiali inorganici come l’ Idrossido di Calcio, l’Idrossido di Bario e i Silicati di Etile. 39 Uno dei problemi d’affrontare durante il pronto intervento sullo scavo è il consolidamento e la stabilizzazione delle stratigrafie. Durante le fasi di scavo, può essere necessario prelevare il reperto insieme alla zolla di terreno che lo contiene, per quest’azione si fa ricorso a due tecniche; il prelievo in blocco senza supporto, che permette di prelevarlo insieme alla zolla di terra e il prelievo in blocco con supporto che permette di prelevarlo dopo la stabilizzazione del terreno circostante. Tra le operazioni finalizzate alla salvaguardia dell’intera area archeologica rientra la prevenzione dell’attacco biologico, che può essere eseguito attraverso l’uso di diversi mezzi fisici, meccanici e chimici 2 . Quest’ultimi possono essere o ad ampio spettro che permettono lo sterminio della maggior parte degli agenti biologici, o selettivi che debellano soltanto la specie nociva. Dopo la fase di recupero viene la fase di imballaggio, che deve essere effettuata con tecniche e materiali idonei. L’imballaggio dovrà tenere conto delle classi materiche, dello stato di conservazione e della dimensione dei reperti. I contenitori e sub – contenitori saranno compatibilmente alle risorse economiche dello scavo, idonei soprattutto con i materiali di origine organica e quindi dedicati ad essi (Carton-plum, Buste non acide ecc.). Le informazioni relative ai reperti: la documentazione, le registrazioni, l’etichettatura e l’annotazione di informazioni di carattere anagrafico-amministrative gestionali vengono effettuati secondo un criterio utile sia all’archeologo che al conservatore. La documentazione, costituisce una fonte di riferimento per valutare l’evoluzione dello stato di conservazione dei reperti e una registrazione scritta del giornale di cantiere con annotate le indicazioni che fanno riferimento al tipo di prodotti usati, al tipo di diluizione e alle modalità di applicazione. Le registrazioni vengono effettuate su moduli prestampati contenenti dati relativi al sito, al contenitore e al reperto. L’etichettatura è eseguita sia sui contenitori da trasporto che sui sub-contenitori, queste non devono rilasciare sostanze dannose per i reperti e non devono deteriorarsi, a questo scopo possono essere utilizzate etichette in PP ed in PE. I 2 I mezzi meccanici non consentono la rimozione delle spore e quindi hanno una efficacia limitata nel tempo, i mezzi fisici, come i raggi U.V., i raggi Gamma, le correnti a bassa frequenza, le basse temperature e gli ultrasuoni, possono danneggiare i materiali del substrato. 40 dati trascritti devono essere leggibili essenziali e stabili, a tale scopo è preferibile utilizzare pennarelli ad alcol o a vernice stabili. Realizzato un corretto imballaggio i reperti possono sostare per un periodo più o meno lungo in un deposito temporaneo in sito. Fra i depositi inadatti per i materiali di origine organica, tra quelli impiegati abitualmente, si collocano le “baracche” prefabbricate in lamiera zincata oppure le serre “a tunnel” in teli di PE trasparente. Opportunamente, invece, vengono utilizzate piccole coperture mobili e strutture semifisse di medie dimensioni costituite appositamente. Tra le coperture mobili posseggono dei buoni requisiti quelle costituite da piccole strutture leggere e da tessuti oscuranti in PET per tende da sole o da tende da accampamento in cotone o in PET, o infine, i gazebo per stand con teli in PET anziché in PoliVinilCloruro (PVC). Come strutture fisse, invece, possono essere impiegati i prefabbricati in laminati coibentati con schiume poliuretaniche e i container abitativi in pannelli coinbentati. 41 5. CONSERVAZIONE A LUNGO TERMINE MUSEALIZZAZIONE REPERTI MOBILI IMMAGAZZINAMENTO LA CONSERVAZIONE A LUNGO TERMINE ALL’APERTO MUSEALIZZAZIONE SOTTO STRUTTURE DI PROTEZIONE ALL’INTERNO DI EDIFICI STRUTTURE REINTERRO PROVVISORIO DEFINITIVO GRAFICO IV 42 CAPITOLO 5 CONSERVAZIONE A LUNGO TERMINE La conservazione a lungo termine riguarda sia i reperti mobili che le strutture. I reperti possono essere esposti in un museo oppure essere immagazzinati, qualora la scelta del detentore del museo ricada su quest’ultima possibilità. In entrambi i casi è necessario che l’ambiente sia idoneo alla conservazione dei reperti, l’esposizione funzionale alla fruizione e l’immagazzinamento alla consultazione. I fattori di degrado vengono evitati se l’ambiente viene monitorato attraverso i termoigrografi e l’esposizione avviene all’interno di vetrine, è possibile rendere adatti gli ambienti attraverso l’istallazione di termoconvettori o ventilatori (rispettivamente per l’innalzamento e l’abbassamento della temperatura) e di deumidificatori. Anche le vetrine devono avere un microclima controllato e devono essere evitati gli scambi d’aria con l’ambiente esterno. Ottime vetrine, funzionali alla fruizione e alla conservazione, sono predisposte di alloggiamenti per i prodotti essiccanti (gel di silice) di lastre di vetro che hanno subito un processo antiriflettente e hanno dispositivi di illuminamento a fibre ottiche contenenti bassi valori di raggi U.V., dannosi per i materiali. I magazzini adibiti alla conservazione dei reperti archeologici, quindi, non devono essere umidi e freddi ma i valori termoigrometrici devono potere essere controllati attraverso l’istallazione di termoconvettori e deumidificatori e, infine, è necessario che “la gestione… sia simile a quella delle biblioteche…” 1 1 G. DE BENEDICTIS, L’Archeologo da ripensare, in I Beni Culturali tutela e valorizzazione, 2001, p.18. 43 Figura 32. Deposito “temporaneo” sul cantiere archeologico. In questo caso non sono state rispettate le norme sulla conservazione. Figura 33. Deposito di materiale archeologico. In questo caso potrebbe non essere favorita la consultazione. La musealizzazione delle strutture può essere fatta all’aperto, sotto strutture di protezione o all’interno di edifici. La musealizzazione all’aperto favorisce la fruibilità cercando una conservazione duratura anche attraverso la realizzazione di “copertine” in muratura sulle strutture da proteggere. Le “copertine” devo essere distinguibili dalla muratura originaria, e devono avere una resistenza ai fattori metereologici inferiori a ciò che devono proteggere. Queste pratica perciò presuppone un attento monitoraggio e un programma di manutenzione, qualora esso non dovesse avvenire si verificherà il deterioramento dello strato di sacrificio (le copertine) e delle strutture. La musealizzazione sotto strutture di protezione dovrebbe tutelare il sito da critiche condizioni climatiche e dovrebbe salvaguardare i manufatti di alto valore, ciò è possibile sulle strutture di medie dimensioni che richiedono un tipo di protezione superiore alla semplice musealizzazione all’aperto, ma non sempre riescono nell’intento. 44 Le possibilità di coperture sono varie e possono fare ricorso a strutture ed a materiali diversi, sarà il caso per caso a determinare la scelta, ma una copertura comunque deve assicurare: - la resistenza agli agenti atmosferici locali, - la facile manutenzione della struttura stessa. La musealizzazione all’interno di edifici può essere effettuata qualora lo scavo si trovi già all’interno di un edificio e quando un monumento importante debba essere protetto da avverse condizioni climatiche. Entrambe le ipotesi esigono una realizzazione e una progettazione estremamente accurate, che tenga in considerazione l’ambiente esterno e l’interazione di esso con l’ambiente espositivo. La progettazione non può prescindere da: - l’utilizzo di coperture con materiali coibentati, - accurato drenaggio e canalizzazione delle acque piovane attorno all’edificio, - adeguato impianto per stabilizzare l’UR anche in caso di assidua presenza di visitatori, - adeguato controllo dell’illuminazione, nella fattispecie dei raggi infrarossi ed ultravioletti - disponibilità economica pere le spese di manutenzione ordinarie e straordinarie, per il personale di sorveglianza, per il monitoraggio del clima e la manutenzione degli impianti di climatizzazione - L’ utilizzo di fonti luminose non a luce diretta e compatibili con la conservazione. Il reinterro può essere, invece, provvisorio o definitivo. Il reinterro provvisorio può essere eseguito attraverso: • i geo-tessuti che separano le strutture dal riempimento il quale deve essere esente da sali solubili ed impurità metalliche • l’argilla espansa oppure il polistirolo espanso che garantisce la sua facile rimozione. 45 Il procedimento da seguire per l’utilizzo corretto di quest’ultimo mezzo è il seguente: si usano grandi e piccoli blocchi di polistirolo, per colmare rispettivamente grandi e piccole cavità, al di sopra di essi vengono posti strati di geo-tessuti per evitare che il terreno di riporto possa raggiungere lo strato archeologico. Il reinterro definivo viene intrapreso quando lo scavo ha fornito tutte le informazioni ottenibili e quando il suo potenziale archeologico non ne motiva la musealizzazione. In questo caso si dovrebbe tenere presente che l’area archeologica potrà essere scavata in futuro e che si dovranno utilizzare materiali di riempimento riconoscibili e stabili chimicamente. 46 CONCLUSIONI A conclusione del lavoro di ricerca mi preme sottolineare che nel materiale trovato in letteratura spesso si evidenzia il problema della conservazione dello scavo archeologico, in quanto è doveroso rispettare tali testimonianze che si trovano, spesso, in uno stato di conservazione molto compromesso, a causa di fattori naturali o antropici. Il Corso di Laurea da me intrapreso tre anni fa ha lo scopo di creare figure professionali che operano per la conservazione intesa come salvaguardia del messaggio oggettivo contenuto nei Beni Culturali, attraverso l’insegnamento delle discipline scientifiche teoriche e pratiche e di quelle umanistiche comprendenti: la storia, la teoria del restauro, la storia dell’arte che hanno sviluppato il mio senso critico. Infine voglio dire che alcune delle pratiche di conservazione da me analizzate nel capitolo del pronto intervento e della conservazione a lungo termine, risultano essere oggi come desuete, ma il loro utilizzo è spiegato nella letteratura a cui ho fatto riferimento. Quindi è auspicabile che nel settore della conservazione dei beni archeologici si intraprendano sperimentazioni per l’uso di nuovi materiali che hanno la funzione di prevenire certe tipologie di degrado, tenendo sempre presente che “ogni opera d’arte è un unicum (…). Pertanto anche le indagini da compiere, i rilevamenti, le cautele, non saranno mai le stesse (…)” (C.BRANDI, Teoria del restauro, Einaudi, 1977); inoltre poiché il restauro non è una scienza esatta ma la sua interpretazione può cambiare in futuro e portare a nuove conclusioni, bisogna che si rispettino i principi della riconoscibilità, minimo intervento, compatibilità espressi anch’essi, ampiamente, nella Teoria del restauro di Cesare Brandi. 47 RINGRAZIAMENTI Devo iniziare i ringraziamenti con due persone straordinarie vale a dire il Prof. Pancucci e la Prof.ssa Lombardo che mi hanno sostenuto, incoraggiato, aiutato e che mi hanno fatto conoscere alcuni aspetti del vasto argomento oggetto della mia tesi di Laurea. A loro vorrei aggiungere la dott.ssa Alfano, le bibliotecarie e la Prof.ssa Pellegrino, dipendenti del Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro. Un particolare ringraziamento ai docenti di tirocinio e ai loro assistenti tecnici. Grazie anche ai colleghi con i quali ho trascorso gli ultimi tre anni di studi nel migliore dei modi. Poi un grazie di vero cuore a tutti i Professori per i loro spunti stimolanti e per la loro disponibilità. Una menzione particolare, infine, all’Università degli studi di Palermo e al Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro e a tutti i loro dipendenti per l’assistenza prestata e per la possibilità che ci hanno offerto di avviare questo innovativo Corso di studi a Palermo. 48 ELENCO ILLUSTRAZIONI • Figura 1. Metodo Wheeler – Kenyon. Elaborazione personale. • Figura 2. Pantera in avorio intarsiato. Immagine tratta dal testo: Dalla preistoria all’antico Egitto, AA.VV., la Biblioteca di Repubblica 2004. • Figura 3. Osso a globuli. Immagine contenuta nelle dispense di Preistoria e Protostoria, 2005 • Figura 4. Struttura del legno. Immagine contenuta nelle dispense di Scienze e Tecnologie dei materiali 2003. • Figura 5. Pittura parietale. Immagine tratta dal testo: Dalla preistoria all’antico Egitto, AA.VV., la Biblioteca di Repubblica 2004, pag. • Figura 6. Ceramica tricromia. Immagine contenuta nelle dispense di Preistoria e Protostoria, 2005. • Figura 7. Coppa d’oro. Immagine contenuta nelle dispense di Preistoria e Protostoria, 2005. • Figura 8. Pittura su tufo. Immagine tratta dal testo: Arte in Occidente, E. BAIRATI A.FINOCCHI, Loescher 1995. • Figura 9. Ceramica a figura rosse. Immagine tratta dal testo: L’arte Italiana, P.ADORNO, D’Anna 1992. • Figura 10. Lastra in bronzo. Immagine tratta dal web. • Figura 11. Vetri del I sec. a.C. Immagine contenuta nelle dispense di Degrado dei materiali e Diagnostica, 2004. • Figura 12. Mosaico pavimentale. Immagine tratta dal web. • Figura 13. Ceramica smaltata. Immagine tratta dal web. • Figura 14. Puntali in bronzo. Immagine tratta dal web. • Figura 15. Bottiglia ad ampolla. Immagine tratta dal testo: Federico e la Sicilia, AA.VV., 2000. • Figura 16. Sepoltura paleolitica. Immagine tratta dal testo: Dalla preistoria all’antico Egitto, AA.VV., la Biblioteca di Repubblica 2004, pag. 49 • Figura 17. Palafitte. Immagine tratta dal testo: L’arte Italiana, P.ADORNO, D’Anna 1992. • Figura 18. Cereali selvatici e cereali domestici. Immagine tratta dal testo: Archeologia, teorie, metodi e pratica, RENFREW e BAHN, Zanichelli 2002. • Figura 19. Tomba femminile. Immagine tratta dalla rivista “Archeo”, gennaio 1992. • Figura 20. Armadio ligneo. Immagine tratta dal web. • Figura 21. Calzari romani. Immagine tratta dala rivista “Archeo”, novembre 2003. • Figura 22. Anfora olearia. Immagine tratta dal web. • Figura 23. Pettine in osso. Immagine tratta dal web. • Figura 24. Relitto tardo romano.Immagine tratta dal testo: La tutela e la valorizzazione dei manufatti d’interesse storco in archeologia navale, S. LORUSSO, Bologna 2004. • Figura 25. Abbigliamento maschile Longobardo. Immagine tratta dal web. • Figura 26. Semi deposti. Immagine tratta dalla rivista: Archeologia Medievale XXXI, 2004. • Figura 27. Imbarcazione in legno e corda.Tratta dal testo: L’arte Italiana, P.ADORNO, D’Anna 1992. • Figura 28. Muro decorato. Immagine tratta dal testo: Archeologia recupero e conservazione, AA.VV., Nardini 1993. • Figura 29. Poncho in lana e cotone. Immagine tratta dal testo: I popoli del sol e della luna, tesori d’arte dall’antico Perù, AA.VV., Fabbri editori1990. • Figura 30. Guerrieri di terracotta. Immagine tratta dal web. • Figura 31. Protezione localizzata. Immagine tratta dal testo: C.PEDELI’ S. PULGA, Pratiche conservative sullo scavo archeologico,All’Insegna del Giglio, 2002. • Figura 32. Deposito “temporaneo” in sito. Immagine tratta dal testo: C.PEDELI’ S. PULGA, Pratiche conservative sullo scavo archeologico,All’Insegna del Giglio, 2002. • Figura 33. Deposito di materiale archeologico. Immagine tratta dalla rivista: i Beni Culturali, tutela e valorizzazione, anno IX, 2001. 50 BIBLIOGRAFIA • E. HARRIS, Principi di stratigrafia archeologica, Firenze, La nuova Italia, 1983. • A. CARANDINI, Storie della terra, Torino, Einaudi, 1991. • P. BARKER, Tecniche dello scavo archeologico, Milano, 1977. • C. TRONCHETTI, Metodo e Strategie dello scavo archeologico, Carocci, 2005. • R. TAMIOZZO, La legislazione dei beni culturali e paesaggistici, Giuffrè, 2004. • C. PEDELI’, S. PULGA, Pratiche conservative sullo scavo archeologico, All’Insegna del Giglio, 2002. • AA.VV., Archeologia recupero e conservazione, Nardini, 1993. • G. DE PALMA, Il “Pronto” intervento sullo scavo, in Archeo, gennaio 1992, p.62 e ss. • ICCROM – CCA, La conservazione sullo scavo archeologico, Roma, 1986. • C. RENFREW, P. BAHN, Archeologia : Teorie Metodi Pratica, Zanichelli, 2002 51