Indice Chimica 1 Storia della chimica 14 Legame chimico 27 Atomo 32 Molecola 39 Stato della materia 56 Miscela (chimica) 58 Composto chimico 61 Reazione chimica 63 Processo chimico 68 Ossido-riduzione 70 Reazione acido-base 70 Decomposizione (chimica) 73 Metatesi (chimica) 74 Precipitazione (chimica) 75 Complesso (chimica) 76 Reazione organica 83 Reagente 86 Catalizzatore 87 Solubilità 91 Concentrazione 94 Frazione molare 96 Numero di Avogadro 97 Mole 101 Chimica inorganica 104 Chimica organica 109 Sale 112 Ossido 114 Chimica fisica 117 Biochimica 119 Numero atomico 126 Peso atomico 126 Acido 128 Base (chimica) 132 Radicale libero 135 Metallo 142 Non metallo 147 Semimetalli 148 Gas nobili 148 Formula chimica 149 Legame covalente 152 Gas 154 Soluzione (chimica) 157 Dispersione (chimica) 161 Elettrone 162 Isotopo 184 Idrolisi 186 Attinoidi 188 Lantanoidi 190 Stato di ossidazione 191 Equazione chimica 193 Prodotto (chimica) 194 Note Fonti e autori delle voci 195 Fonti, licenze e autori delle immagini 198 Licenze della voce Licenza 201 Chimica 1 Chimica Bottiglie contenenti sostanze ottenute attraverso processi chimici « Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. » [1] (Antoine-Laurent de Lavoisier ) La chimica (dall'arabo "al kimiaa", e da qui la parola alchimista )ﺍﻟﻜﻴﻤﻴﺎءè la scienza o più precisamente quella branca delle scienze naturali, che interpreta e razionalizza la struttura, le proprietà e le trasformazioni della materia. La chimica ha interessato, anche per motivi pratici derivanti dalle sue applicazioni tecnologiche, le varie popolazioni dell'umanità fin dai tempi antichi. Dal II secolo a.C. si sviluppò, a partire dall'Egitto tolemaico, l'alchimia, un insieme di conoscenze sulla materia e le sue trasformazioni legate a convinzioni filosofiche ed esoteriche; da essa derivò la chimica moderna (in seguito alla rivoluzione scientifica, e più precisamente alla rivoluzione chimica alla fine del XVIII secolo). Anche nel periodo seguente la chimica continuò ad evolversi, perché sempre nuove scoperte ne ampliarono i campi di interesse e i metodi impiegati. Oggetto di studio della chimica sono le proprietà e le strutture dei costituenti della materia (atomi, molecole, cristalli e altri aggregati) e le loro interazioni reciproche, da cui hanno origine gli stati della materia. Tale studio della materia non è limitato alle sue proprietà e struttura in un dato istante, ma riguarda anche le sue trasformazioni, dette reazioni chimiche.[2] Sono studiati anche gli effetti di tali proprietà e interazioni tra i componenti della materia su quelle degli oggetti e della materia con cui comunemente abbiamo a che fare, e le relazioni tra di essi, il che determina un'ampia importanza pratica di tali studi. Si tratta quindi di un campo di studi molto vasto, i cui settori sono tradizionalmente suddivisi in base al tipo di materia di cui si occupano o al tipo di studio. La conoscenza della struttura elettronica degli atomi è alla base della chimica convenzionale, mentre la conoscenza della struttura del nucleo atomico e delle sue trasformazioni spontanee ed indotte è alla base della chimica nucleare. La rottura e la formazione dei legami tra gli atomi e le molecole sono responsabili della trasformazione della materia. La chimica è anche stata definita come "la scienza centrale" (in inglese central science) perché connette le altre scienze naturali, come l'astronomia, la fisica, le scienze dei materiali, la biologia e la geologia.[3][4] Chimica Storia della chimica Due erano le principali scuole di pensiero della filosofia naturale elaborata dai Greci: Democrito sosteneva che la natura fosse formata da corpuscoli indivisibili (gli atomi) che si uniscono e separano in uno spazio vuoto, mentre Aristotele ipotizzava la struttura continua della materia risultante dalla combinazione degli elementi acqua, aria, terra e fuoco. Tra il II e V secolo d.C. si sviluppa ad Alessandria d'Egitto l'alchimia, che conservava le origini filosofiche unite a una forte connotazione esoterica. In questo contesto l'alchimista, o "mago naturale", si poneva come tramite tra macrocosmo e microcosmo, divino e Laboratorio alchemico (illustrazione di Pieter Bruegel il Vecchio). umano. Due erano gli obiettivi fondamentali degli alchimisti, da realizzare con l'ausilio della pietra filosofale: la trasmutazione dei metalli in oro, che corrispondeva anche all'elevazione verso la perfezione delle qualità spirituali umane, e la possibilità di curare ogni genere di malattia e creare la vita. Nel XVI secolo assumeva autonomia propria la branca definita iatrochimica, che ebbe i maggiori contributori in Paracelso e Jean Baptiste van Helmont e che si prefissava di correlare i processi chimici che avvengono all'interno dell'organismo umano con gli stati patologici e con i possibili rimedi. Le basi per lo sviluppo della chimica moderna si pongono nel XVII secolo, con la prima definizione delle reazioni chimiche (nel Tyrocinium Chymicum di Jean Béguin) e il graduale sviluppo del metodo sperimentale, grazie a diversi scienziati tra i quali spicca Robert Boyle. Lo spartiacque simbolico tra alchimia e chimica può essere considerato l'anno 1661, con l'uscita del libro di Boyle Il chimico scettico (The Sceptical Chymist), in cui vengono introdotti i concetti di elemento chimico e composto chimico.[5] Successivamente il lavoro di Antoine Lavoisier, che enunciò per primo la legge della conservazione della massa e confutò la teoria del flogisto, segnò il definitivo superamento dell'alchimia. Nel 1807 Jöns Jacob Berzelius fu uno dei primi a utilizzare il termine "chimica organica" in riferimento alla chimica che caratterizzava i composti prodotti dal regno animale, contrapposti a quelli di origine minerale e di pertinenza della chimica inorganica; sarà Friedrich Wöhler nel 1828 a dimostrare che i composti organici possono essere ottenuti anche da sintesi in laboratorio, riuscendo a sintetizzare l'urea a partire da sostanze inorganiche. Nel 1869 Dmitrij Mendeleev e Julius Lothar Meyer ordinarono gli elementi chimici sistemandoli all'interno della tavola periodica, disposti ordinatamente in base al loro peso atomico. Nel 1937 l'italiano Emilio Segrè scoprì il tecnezio, primo elemento chimico artificiale, e negli anni seguenti verranno sintetizzati artificialmente molti altri nuovi elementi che andranno ad arricchire la tavola periodica. 2 Chimica 3 Concetti base Atomi e molecole La materia è formata da particelle elementari, chiamate atomi: in natura ne esistono un centinaio di tipi, e ognuno di essi ha struttura e proprietà differenti. Quando gli atomi si combinano fra loro si generano delle molecole. Queste ultime possono essere costituite da atomi tutti uguali fra loro, formando quelle che vengono definite le sostanze semplici (ad esempio N2, O2 e S8), mentre le molecole costituite da atomi diversi sono caratteristiche delle sostanze composte (ad esempio H2O, C12H22O11 e H2SO4). Per indicare la quantità di sostanza si fa uso della "mole". Una mole di sostanza risulta costituita da un numero di Avogadro (6,022 x 1023) di atomi o molecole. Considerando che una mole di acqua pesa circa 18 grammi, è facile intuire che la materia che ci circonda è costituita da un enorme numero di particelle elementari. Una singolare forma molecolare del carbonio: il fullerene I legami chimici e le forze di attrazione intermolecolare Gli atomi possono legarsi fra loro, e la forza di natura elettrostatica che li unisce viene definita legame chimico. Tale legame, caratterizzato da intensità differente in relazione al composto a cui dà origine, è fondamentale nel conferire la particolare reattività e stabilità del composto stesso, nonché nel determinarne la struttura e geometria molecolare caratteristica. Esistono poi forze intermolecolari, di minore intensità rispetto al legame chimico, che attraggono atomi e molecole fra di loro. Tali forze originano quello che viene comunemente definito legame chimico secondario e hanno un ruolo importante nel determinare lo stato fisico di una sostanza. Sono inoltre responsabili anche della struttura secondaria, terziaria e quaternaria delle proteine. Cristalli di solfato di rame(II) Stati e aggregazione della materia I composti chimici possono presentarsi in diversi stati di aggregazione, tra cui solido, liquido, aeriforme (vapore o gas) ed infine plasma. La temperatura di un corpo è direttamente legata al movimento microscopico (o meglio all'energia cinetica microscopica)[6] delle particelle elementari (molecole): in particolare a bassa temperatura le molecole sono attratte Chimica 4 fra loro tramite legami più energetici, per cui l'unico moto a cui possono essere sottoposte è quello vibrazionale; lo stato della materia associato a questa condizione è lo stato solido. All'aumentare della temperatura, le molecole acquistano energia in quanto sono legate da legami meno energetici, per cui hanno la capacità di esprimere tre tipologie di moto: traslazionale, rotazionale e vibrazionale; lo stato della materia associato a questa condizione è lo stato liquido. Un ulteriore aumento di temperatura indebolisce ulteriormente i legami che intercorrono tra le molecole, per cui aumentano ulteriormente le distanze tra le molecole e quindi il volume occupato dall'intero sistema;[7] lo stato della materia associato a questa condizione è lo stato di aeriforme. Infine, ionizzando un gas, otteniamo il plasma, che si ritiene costituisca il 99% della materia nell'Universo. Si parla inoltre di "fase" per indicare una porzione omogenea di un sistema termodinamico. A seconda dello stato di aggregazione, si parla di "fase solida", "fase liquida" o "fase aeriforme". I concetti di "fase" e "stato di aggregazione" non vanno confusi: infatti un sistema può essere in un determinato stato di aggregazione ma presentare più fasi. Un esempio è dato dai liquidi immiscibili (come acqua e olio), che condividono lo stesso stato di aggregazione (cioè liquido) ma sono pertinenti a due fasi distinte (infatti l'olio se versato in un contenitore contenente acqua forma uno strato sulla superficie del liquido, diviso in maniera netta dall'acqua sottostante). Un sistema composto da una singola fase è quindi omogeneo, mentre un sistema composto da più fasi è eterogeneo. I composti chimici e le miscele Quando gli atomi si legano fra loro in proporzioni definite e costanti si ottengono dei composti chimici (ad esempio l'acqua, H2O). I composti, oltre ad avere composizione chimica differente rispetto alle sostanze originarie che li hanno prodotti, hanno anche differenti proprietà chimiche e fisiche rispetto a tali sostanze. I sistemi formati da più composti chimici sono detti miscele,[8] e possono essere a loro volta omogenei o eterogenei. Un particolare tipo di miscela omogenea sono le soluzioni, formate da un solvente (composto presente in quantità maggiore) e da uno o più soluti (composto presente in quantità minore). Reazioni chimiche Una reazione chimica è un processo chimico tramite il quale atomi, ioni o molecole che costituiscono le sostanze iniziali (chiamate reagenti) si combinano fra loro originando le sostanze finali (chiamate prodotti). La composizione e le proprietà chimico-fisiche dei prodotti sono differenti rispetto ai reagenti. I reagenti prendono parte alla reazione secondo rapporti in massa ben stabiliti, in base al loro coefficiente stechiometrico; la stechiometria di reazione permette di calcolare il quantitativo teorico di prodotti ottenibili.[9] Una reazione che avviene producendo calore viene detta esotermica, mentre una reazione che avviene assorbendo calore dall'ambiente esterno viene detta endotermica. Mentre la termochimica permette di stabilire se una data reazione può avvenire spontaneamente in Reazione chimica tra acido cloridrico e ammoniaca, con produzione di cloruro di ammonio. Chimica 5 determinate condizioni, la cinetica chimica si occupa di analizzare il meccanismo di reazione e di determinare se una data reazione chimica possa procedere con una velocità di reazione accettabile. Molte reazioni spontanee non avrebbero luogo senza la presenza di un catalizzatore, proprio perché presenterebbero altrimenti una velocità bassissima. La presenza del catalizzatore è necessaria a superare un "muro" energetico che impedisce alla reazione di avvenire. Una volta che la reazione è iniziata, può in certi casi "autoalimentarsi", per cui la presenza del catalizzatore non è più necessaria da un certo momento in poi. Un meccanismo simile avviene nelle reazioni di combustione: queste infatti hanno bisogno di un innesco iniziale per avere luogo (ad esempio una scintilla), ma una volta che la combustione ha avuto origine, si ha produzione di calore che autoalimenta la reazione stessa. Alcuni esempi di reazioni chimiche sono: • Ossido-riduzioni • Es. K2Cr2O7 + 6 FeSO4 + 7 H2SO4 → Cr2(SO4)3 + K2SO4 + 3 Fe2(SO4)3 + 7 H2O • Reazioni acido-base • Es. NaOH + HCl → NaCl + H2O • Decomposizione • Es. CaCO3 → CaO + CO2 • Doppio scambio • Es. KCl + NH4NO3 → KNO3 + NH4Cl • Precipitazione • Es. AgNO3 + NaCl → NaNO3 + AgCl↓ • Complessazione • Es. CuCl2 + NH3 → [Cu(NH3)4]Cl2 • Reazioni organiche • Es. l'acetilazione dell'acido salicilico con anidride acetica a formare acido acetilsalicilico e acido acetico: C7H6O3 + C4H6O3 → C9H8O4 + C2H4O2 La freccia verso destra (→) sta indicare il verso in cui la reazione avviene. In questo caso bisogna anche specificare le condizioni in cui si opera (tra cui temperatura e pressione), in quanto la reazione inversa (cioè da destra verso sinistra) può essere favorita per talune condizioni. Nel caso più generale, i reagenti (primo membro) e i prodotti (secondo membro) sono separati dal segno "=". Il simbolo della freccia verso il basso (↓) indica una sostanza che precipita come corpo di fondo. La precipitazione però non avviene se le condizioni in cui si opera sono tali che da rendere la solubilità del prodotto nella soluzione molto elevata. Nella notazione chimica si utilizza talvolta anche il simbolo di una freccia verso l'alto (↑), ad indicare che il prodotto è gassoso alle condizioni in cui avviene la reazione. Equilibrio chimico L'equilibrio chimico è una condizione di equilibrio dinamico che si ha quando i prodotti di una reazione chimica reagiscono a loro volta fra loro riformando i reagenti di partenza. Una reazione di equilibrio viene indicata utilizzando le doppie frecce che puntano in verso opposto ( utilizzare la classica freccia che punta dai reagenti verso i prodotti. Un esempio è il seguente: ), invece di In teoria tutte le reazioni chimiche possono essere considerate di equilibrio, ma nella pratica comune quelle caratterizzate da valore di costante di equilibrio molto alta sono considerate reazioni "a completamento" (cioè che avvengono verso una sola direzione). La costante d'equilibrio K è definita dal rapporto dell'operazione di moltiplicazione delle concentrazioni delle sostanze prodotte, ognuna elevata al proprio coefficiente stechiometrico, rispetto all'operazione di moltiplicazione delle concentrazioni delle sostanze reagenti, ognuna elevata al proprio Chimica 6 coefficiente stechiometrico. Considerando l'esempio precedente di due reagenti e due prodotti, vale la relazione: La costante di equilibrio K è una costante in condizioni di temperatura costante (e pressione costante, nel caso dei gas). La costante di equilibrio può essere espressa anche in termini di rapporti tra pressioni parziali o anche frazioni molari. Leggi della chimica e della fisica Tutte le reazioni chimiche e le trasformazioni fisiche avvengono secondo leggi chimico-fisiche. Di seguito viene presentato un elenco degli enunciati di alcune leggi di particolare importanza nell'ambito della chimica. • Leggi sui gas • Legge dei gas perfetti: mette in relazione fra loro le funzioni di stato quantità di sostanza, pressione, volume e temperatura di un gas perfetto. • Legge delle pressioni parziali: la pressione totale esercitata da una miscela ideale di gas ideali è uguale alla somma delle pressioni parziali che sarebbero esercitate dai gas se fossero presenti da soli in un eguale volume. Animazione che spiega la legge di Boyle-Mariotte • Legge di Boyle-Mariotte: in condizioni di temperatura costante la pressione di un gas è inversamente proporzionale al suo volume. • Prima legge di Gay-Lussac: in condizioni di pressione costante il volume di un gas aumenta linearmente all'aumentare della temperatura. • Seconda legge di Gay-Lussac: in condizioni di volume costante la pressione di un gas aumenta linearmente all'aumentare della temperatura. • Legge di van der Waals: mette in relazione fra loro le funzioni di stato quantità di sostanza, pressione, volume e temperatura di un gas reale. Animazione che spiega la prima legge di Gay-Lussac • Legge di Henry: a temperatura costante, la quantità di gas che passa in soluzione in un determinato liquido è direttamente proporzionale alla pressione parziale del gas in equilibrio col liquido stesso. • Legge di conservazione della massa: in una reazione chimica, la massa dei reagenti è esattamente uguale alla massa dei prodotti. • Legge delle proporzioni definite: in un determinato composto chimico allo stato puro gli elementi che lo formano stanno fra loro in proporzioni di massa definite e costanti. • Legge delle proporzioni multiple: quando due elementi si combinano in modi diversi per formare diversi composti, una certa massa di un elemento si combina con masse dell'altro che stanno tra loro in un rapporto che si può esprimere con frazioni semplici. • Legge dell'azione di massa: la velocità di una reazione chimica è proporzionale alla concentrazione delle sostanze che vi partecipano. Chimica 7 • Principio di Le Chatelier: ogni sistema in equilibrio tende a reagire ad una modifica impostagli dall'esterno minimizzandone gli effetti. • Legge di Raoult: mette in relazione la pressione di vapore di un liquido in soluzione con la sua pressione di vapore allo stato puro e la sua concentrazione in termini di frazione molare. • Legge di Hess: la variazione di entalpia di una reazione chimica è indipendente dal percorso intermedio attraverso il quale dai reagenti si ottengono i prodotti. • Legge di Debye-Hückel: definisce il coefficiente di attività medio delle soluzioni di elettroliti. • Legge dell'indipendente mobilità degli ioni: la conduttanza equivalente di una soluzione di un elettrolita a diluizione infinita è uguale alla somma della mobilità del catione e dell'anione dai quali è formato l'elettrolita, mobilità che a diluizione infinita non si influenzano reciprocamente. • Legge di Lambert-Beer: mette in relazione la quantità di luce assorbita da una sostanza con la sua natura chimica, la sua concentrazione e lo spessore del mezzo attraversato. Meccanica quantistica La meccanica quantistica è stato il settore della chimica fisica (una disciplina di confine con la fisica) che ha dato maggior impulso allo sviluppo della chimica moderna, spiegando la struttura e le caratteristiche degli atomi e creando i presupposti basilari per la trattazione matematica del legame chimico. Lo spunto iniziale fu dato da De Broglie che nel 1924 ipotizzò la possibilità di associare a una particella in movimento quale l'elettrone un'onda di lunghezza d'onda ricavabile dalla relazione dove rappresenta la costante di Planck mentre il prodotto è la quantità di moto. Quindi, secondo De Broglie, una particella in movimento ha una doppia natura corpuscolo-ondulatoria e tanto minore è la massa tanto maggiore risulterà la lunghezza d'onda dell'onda associata alla massa stessa: a titolo di esempio per un elettrone (massa 9 x 10-31 kg e velocità di rotazione attorno al nucleo di 2 x 106 m/s) si ricava una = 3,68 Å, mentre a un pallone del peso di 500 g che si muove a velocità di 30 m/s corrisponde un'onda con = 4,4 x 10-35 m. Nel 1926 Erwin Schrödinger, basandosi sulla teoria di De Broglie, descrisse un'equazione (l'equazione di Schrödinger, appunto) che rappresenta la propagazione dell'onda materiale tridimensionale associata a un elettrone che orbita attorno al nucleo di un atomo idrogenoide. Le soluzioni matematiche di questa equazione costituiscono la funzione d'onda; sono fisicamente accettabili tutte quelle funzioni d'onda i cui numeri quantici (n, l, m) che le caratterizzano sottostanno alle regole di quantizzazione dettate dalla meccanica quantistica. L'orbitale è formalmente definito come la proiezione della funzione d'onda sulla base della posizione, ovvero rappresenta la componente spaziale della funzione d'onda. In accordo col principio di indeterminazione di Heisenberg, non è possibile conoscere contemporaneamente con la medesima accuratezza la posizione è la quantità di moto dell'elettrone. Approssimativamente, l'orbitale viene considerato come regione dello spazio in cui è massima la probabilità (90%) di rinvenire l'elettrone. Acquisendo o emettendo un quanto di energia l'elettrone è suscettibile di passare a livelli energetici rispettivamente maggiori o minori. Discipline fondamentali della chimica Chimica inorganica La chimica inorganica si occupa dello studio dei composti inorganici, ovvero dei composti non formati da atomi di carbonio (anche se in realtà una ristretta classe di composti del carbonio sono considerati inorganici).[10] Essa tratta lo studio del legame chimico e della simmetria delle molecole; si sofferma sulla caratterizzazione strutturale ed energetica dei solidi cristallini e di quelli metallici. In modo sistematico viene descritta la chimica degli elementi, raggruppando gli elementi chimici in base ai gruppi della tavola periodica. Vengono studiate le reazioni di Chimica ossido-riduzione, acido-base e la sintesi e caratterizzazione dei composti di coordinazione e dei composti metallorganici (contenenti un legame metallo-carbonio). Infine la chimica bioinorganica si occupa del ruolo degli elementi metallici nei processi vitali. Chimica organica La chimica organica studia i composti del carbonio. La sistematica raggruppa le classi di composti organici in base alla presenza di determinati gruppi funzionali, studiandone le proprietà chimico-fisiche, le metodologie di sintesi e le reazioni caratteristiche. La stereochimica e i meccanismi di reazione sono un ambito di studio fondamentale in chimica organica. Nell'ambito di questa disciplina rientrano anche i composti aromatici, composti ciclici dotati di particolare stabilità, e biomolecole quali carboidrati, amminoacidi, proteine, lipidi e acidi nucleici. I polimeri organici sono una variegata classe di composti di elevato interesse industriale e con diverse applicazioni pratiche. I metodi fisici applicati alla chimica organica (NMR, spettroscopia IR, spettrometria di massa, spettroscopia UV) consentono il riconoscimento dei principali gruppi funzionali e della struttura molecolare. Chimica fisica La chimica fisica si propone di studiare e descrivere le reazioni e i fenomeni chimici utilizzando le metodologie e gli strumenti propri della fisica. Vengono studiate le fasi della materia e le transizioni di fase, ponendo enfasi sulle leggi che governano lo stato gassoso, sulla struttura dei solidi cristallini e sui diagrammi di fase. La termodinamica viene affrontata in modo dettagliato così come le sue implicazioni nell'ambito delle reazioni chimiche (termochimica), arrivando a stabilire la spontaneità o meno di una reazione in base al calcolo dell'energia libera di Gibbs di reazione. Analogamente vengono analizzati i fattori in grado di influenzare l'equilibrio chimico e la termodinamica di miscele e soluzioni. Partendo dalle basi della meccanica quantistica, si giunge a descrivere il legame chimico in modo rigoroso su basi matematiche. Appositi modelli risultano utili nello studio del potenziale dovuto alle interazioni intermolecolari (legami chimici secondari). Dalla struttura atomica si passa alla struttura molecolare, determinata applicando l'approssimazione di Born-Oppenheimer. La spettroscopia e le varie tecniche spettroscopiche vengono trattate evidenziandone i fondamenti fisici, piuttosto che le applicazioni pratiche. Altro campo di studio della chimica fisica è rappresentato dai fenomeni di trasporto. L'elettrochimica si occupa dello studio dell'interconversione tra energia chimica ed energia elettrica e di tutto ciò che ne viene implicato. La cinetica chimica si occupa del calcolo della velocità di reazione e della formulazione dei singoli processi elementari di cui si compone una reazione (meccanismi di reazione), mentre la dinamica molecolare applica i principi della dinamica ai sistemi atomici e molecolari. Infine la fotochimica studia l'influenza della luce sulla reattività chimica. Chimica analitica La chimica analitica applica un insieme di tecniche, strumentali e non, allo scopo di riconoscere e quantificare un dato analita. Nello specifico l'analisi qualitativa si occupa del riconoscimento della sostanza oggetto di indagine, mentre l'analisi quantitativa determina la quantità di sostanza presente in un dato campione. In passato l'analisi qualitativa era condotta manualmente in modo sistematico, sfruttando opportuni reattivi; oggigiorno le tecniche strumentali quali quelle spettroscopiche hanno soppiantato tale approccio sistematico e puramente manuale da parte dell'analista. Nell'ambito dell'analisi quantitativa invece convivono tecniche puramente affidate all'operatore, quali le classiche titolazioni, con svariate tecniche strumentali automatizzate. Quest'ultime, come già detto, possono più comunemente essere spettroscopiche, cromatografiche, elettroanalitiche, o termiche (come l'analisi termica differenziale, la calorimetria differenziale a scansione, la termogravimetria). Occorre sottolineare che la chimica analitica si occupa anche della corretta elaborazione statistica del dato analitico, nonché della qualità e affidabilità di tale dato. 8 Chimica 9 Biochimica La biochimica studia i composti e i processi chimici che contraddistinguono gli organismi viventi. Essa si occupa della biosintesi delle biomolecole, del loro ruolo e funzionalità biologica: acidi nucleici e informazione genetica, proteine, lipidi e carboidrati. Studia inoltre gli enzimi e la catalisi enzimatica, fino a giungere alla cinetica di Michaelis-Menten. La biochimica si concentra sugli aspetti chimici del metabolismo, del trasporto di ossigeno tramite emoglobina e mioglobina, della respirazione cellulare, della fotosintesi clorofilliana, dell'omeostasi e della trasduzione del segnale all'interno delle cellule. I canali di membrana e le pompe ioniche consentono il passaggio di ioni e molecole attraverso la membrana cellulare. La biosintesi degli anticorpi e la loro interazione con l'antigene ha un ruolo fondamentale nell'ambito della risposta immunitaria. Altre discipline Esistono numerosissime specializzazioni e discipline della chimica, che possono essere considerate parte delle discipline fondamentali e spesso anche parte di altre discipline scientifiche affini; ad esempio: la chimica farmaceutica, la chimica industriale, la chimica dei polimeri e delle macromolecole, la chimica degli alimenti, la chimica dello stato solido e delle superfici, l'astrochimica, la cosmochimica, l'elettrochimica, la geochimica, la chimica teorica, la citochimica, l'istochimica, la chimica clinica, la chimica nucleare, la radiochimica, la chimica delle radiazioni, la chimica metallorganica, la stereochimica, la chimica ambientale, la chimica verde, la fotochimica, la sonochimica, la chimica del suolo, la chimica dell'atmosfera, la chimica radiofarmaceutica, l'aerotermochimica, la chimica del restauro, la chimica dei beni culturali, la strutturistica chimica, la magnetochimica, la chimica quantistica, la femtochimica, la chimica dei colloidi, la chimica delle interfasi, la chimica combinatoria, la chimica computazionale, la chimica matematica, la chemioinformatica, la chemiometria, la chimica dei materiali, la merceologia. Applicazioni della chimica Chimica e industria La chimica industriale si occupa della sintesi su vasca scala di prodotti chimici destinati a vari utilizzi, ottimizzando il ropporto costi/benefici dell'intero ciclo produttivo chimico. In particolare, disponendo delle opportune materie prime, tramite un insieme di processi realizzati all'interno di un impianto chimico, si giunge a ottenere semilavorati o prodotti finiti in grado di soddisfare le specifiche e i requisiti tecnici richiesti per il loro utilizzo pratico. A titolo di esempio, per indicare alcuni dei processi chimici industriali più noti, si cita il processo Haber-Bosch per la sintesi dell'ammoniaca e il processo Ostwald per la sintesi dell'acido nitrico. L'industria petrolchimica e dei polimeri sintetici è un altro vasto campo molto attivo. Impianto di distillazione a doppio effetto Chimica 10 Chimica e medicina La chimica farmaceutica costituisce il campo di ricerca per la sintesi e applicazione terapeutica dei nuovi farmaci. Pone le sue basi sullo studio teorico delle proprietà chimico-fisiche delle molecole e sui modelli di interazione farmacologica con l'organismo. Si giunge quindi a formulare una conveniente strategia di sintesi, sfruttando anche l'approccio della chimica combinatoria, e il nuovo farmaco ottenuto può iniziare la fase di sperimentazione che se culminerà con esito positivo potrà permettergli l'immissione sul mercato. Oltre questi aspetti farmacologici, la chimica risulta un utile ausilio in medicina diagnostica grazie alla possibilità di effettuare appositi esami chimico clinici di laboratorio. Isotopi radioattivi vengono utilizzati in medicina nucleare. Il principio attivo di un farmaco rappresenta la molecola che possiede attività biologica Chimica e tecnologia L'utilizzo di tecniche chimiche e chimico-fisiche consente in scienza dei materiali di studiare e caratterizzare la struttura e le proprietà dei materiali, permettendo in questo modo di assicurare l'adeguatezza agli standard di utilizzo, di sviluppare nuovi materiali o di migliorare quelli già esistenti. La chimica dei polimeri concentra la propria attività in particolare sui meccanismi di polimerizzazione e sulla relazione esistente tra la struttura e le caratteristiche proprie dei polimeri. La galvanostegia e la fosfatazione sono degli esempi di processi chimici utilizzati per la protezione dalla corrosione, così come possono citarsi apposite vernici e rivestimenti in grado di conferire particolari peculiarità ai materiali. La chimica dello stato solido, tra gli altri campi applicativi, è impegnata attivamente nella sintesi di semiconduttori innovativi destinati a diverse applicazioni tecnologiche. Lo sviluppo della chimica supramolecolare riveste un ruolo fondamentale per le nanotecnologie, consentendo la sintesi di dispositivi molecolari come le nanomacchine. Chimica e ambiente La crescente sensibilità verso un basso impatto ambientale e la necessità di applicare politiche di sviluppo sostenibile hanno condotto alla nascita della cosiddetta chimica verde. Questa disciplina si propone di ridurre l'impatto dei processi chimici mettendo in pratica concetti quali l'utilizzo di materie prime ricavate da fonti rinnovabili, la riduzione di reflui e scarti, l'utilizzo di composti biosostenibili ed ecosostenibili. D'altra parte la chimica ambientale è focalizzata sullo studio del chimismo e biochimismo implicato nell'ambito ambientale: si interessa della chimica delle acque dolci e marine, della chimica del suolo e dell'atmosfera. Non si limita a comprendere i fondamenti chimici, ma estende il proprio campo di studio e ricerca ai fenomeni legati all'inquinamento e all'effetto dei tossici rilasciati in ambiente proponendosi di trovare un rimedio. Chimica Chimica e beni culturali La chimica applicata ai beni culturali si occupa dei materiali utilizzati in ambito artistico e delle tecniche analitiche, invasive e non, utilizzate per le indagini strumentali sulle opere d'arte. Si interessa inoltre della datazione dei reperti, dei metodi di restauro e di conservazione. Studia i meccanismi e i fattori che contribuiscono al degrado dei manufatti artistici cercando di rimediare al loro effetto. Note [1] In Histoire et Dictionnaire de la Révolution Française, Parigi, Éditions Robert Laffont, 1998. [2] Non bisogna confondere le trasformazioni di tipo chimico da quelle di tipo fisico. La differenza principale tra i due tipi di trasformazione risiede nell'entità delle interazioni che si realizzano tra i costituenti della materia: nel caso di rottura e/o creazione di legami meno energetici (quali ad esempio legami di van der Waals e forze di London) si parla di trasformazione fisica (ad esempio miscelazione, assorbimento gas-liquido, distillazione, adsorbimento fisico), mentre nel caso di rottura e/o creazione di legami più energetici (quali ad esempio legami covalenti e legami ionici) si parla di trasformazione chimica. [3] Theodore L. Brown, H. Eugene Lemay, Bruce Edward Bursten, H. Lemay. Chemistry: The Central Science. Prentice Hall; 8 edition (1999). ISBN 0-13-010310-1. Pages 3-4. [4] Carsten Reinhardt. Chemical Sciences in the 20th Century: Bridging Boundaries. Wiley-VCH, 2001. ISBN 3-527-30271-9. Pages 1-2. [5] The Cambridge Dictionary of Scientists, op. cit. [6] Si parla di energia cinetica microscopica per distinguerla dall'energia cinetica macroscopica. La prima compete al movimento di singole molecole, mentre la seconda compete al movimento del corpo nella sua globalità (ad esempio moto di traslazione e rotazione di un corpo rigido). [7] All'aumentare della temperatura, il sistema aumenta il proprio volume, per qualsiasi tipo di stato (solido, liquido o aeriforme). L'aumento del volume (a parità di pressione e temperatura iniziale e finale) è però molto evidente negli aeriformi rispetto ai liquidi e più evidente nei liquidi rispetto ai solidi. Dal punto di vista quantitativo, l'aumento del volume può essere espresso dal coefficiente di dilatazione termica. [8] Esempi di miscele con cui abbiamo spesso a che fare sono: la cioccolata, la birra, l'aria, la benzina e le leghe metalliche. [9] Si parla di "quantitativo teorico" in quanto si tratta del massimo quantitativo ottenibile dal punto di vista termodinamico, cioè all'equilibrio. Nella pratica invece intervengono altri fenomeni, che vengono studiati nell'ambito della cinetica chimica (quali ad esempio la presenza di catalizzatori o inibitori della reazione). [10] Ad esempio, composti come il solfuro di carbonio, l'anidride carbonica, il monossido di carbonio e i carburi sono considerati inorganici. Bibliografia • P. Atkins, L. Jones, Chemical Principles (http://www.whfreeman.com/newcatalog.aspx?disc=Chemistry& course=General+Chemistry&isbn=1429219556), 5th ed., W.H. Freeman, 2010. • I. J. Solov'ev, L'Evoluzione del pensiero chimico - Dal '600 ai giorni nostri (http://www.hoepli.it/libro/ l-evoluzione-del-pensiero-chimico.asp?ib=9786001561634&pc=000012013002000), Mondadori, 1976. • The Cambridge Dictionary of Scientists - "Boyle, Robert (1627 - 1691)" (http://www.credoreference.com/ entry/dicscientist/boyle_robert_1627_1691) (in inglese), Cambridge, Cambridge University Press, 2002. 11 Chimica 12 Voci correlate Chimici illustri Composti chimici Meccanica quantistica Termodinamica Elettrochimica • • • • • • • • • • • • • • • • Premio Nobel per la chimica Atomi e molecole • • • • • • • • • • La struttura dell'atomo La tavola periodica degli elementi Numero atomico, peso atomico, numero di massa Elettronegatività, energia di ionizzazione e affinità elettronica Metalli, nonmetalli, semimetalli, gas nobili La molecola e la struttura molecolare Gli ioni, anioni e cationi I radicali Formula chimica, isomeria, chiralità IUPAC, nomenclatura chimica Legami chimici e forze di attrazione • • • • • • • • • Legame chimico Legame ionico Legame covalente Legame di coordinazione Legame metallico Legame σ Legame π Legame idrogeno Forza di van der Waals • • • • • • • • • • • Composto chimico Composto molecolare Composto organico Composto inorganico Composto ionico Acidi Basi Complessi Cluster Ossidi Sali Polimeri • • • • • • • • • • Stati di aggregazione • • • • • • • • • • • • Stati della materia Fasi della materia Transizioni di fase Gas Solido Liquido Plasma Soluzione Dispersione Cristalli liquidi Colloide Equilibrio chimico • • • • • • • • Equilibrio chimico Costante di equilibrio Costante di dissociazione Principio di Le Châtelier Legge di azione di massa Effetto ione comune Solubilità Costante di solubilità • • • • Elettrone Orbitale Principio di esclusione di Pauli Principio dell'Aufbau Regola di Hund Configurazione elettronica Meccanica quantistica Dualismo onda-particella Nucleo atomico Funzione d'onda Chimica quantistica Orbitale Legame di valenza Combinazione lineare di orbitali atomici Equazione di Schrödinger Livello energetico Numero quantico Teoria degli orbitali molecolari • • • • • • • • • • • Termodinamica Termochimica Funzione di stato Energia libera Entalpia Entropia Energia interna Potenziale chimico Trasformazione termodinamica Processo spontaneo Processo esotermico Processo endotermico Entalpia di legame Entalpia standard di formazione Entalpia standard di reazione Entropia molare standard Energia libera di Gibbs standard di formazione Legge di Hess Equazione di Kirchhoff Equazione di van 't Hoff • • • • • • • • • • • • • Storia della chimica • • • • Cinetica chimica • • • • • • • • • • • • • • • • • • • Cinetica chimica Velocità di reazione Equazione cinetica Ordine di reazione Molecolarità Costante di velocità Catalisi Catalizzatore Teoria delle collisioni Equazione di Arrhenius Equazione di Eyring stato di transizione Teoria dello stato di transizione Meccanismo di reazione Energia di attivazione Effetto isotopico cinetico Elettrochimica Elettrochimica quantistica Elettrolita Elettrodo Catodo Numero di ossidazione Ossidoriduzione Equazione di Nernst Cella elettrochimica Pila Accumulatore di carica elettrica Elettrolisi Elettrosintesi Chimica elettroanalitica Corrosione Alchimia Iatrochimica Iatromeccanica Scoperta degli elementi chimici Storia della chimica Storia dell'industria chimica Teoria del flogisto Altre • • Anno Internazionale della Chimica Laboratorio chimico Chimica 13 Altri progetti • Wikibooks contiene testi o manuali: http://it.wikibooks.org/wiki/Ripiano:Scienza/Chimica • • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Chemistry Wikinotizie contiene notizie di attualità: http://it.wikinews.org/wiki/Categoria:Chimica • Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/chimica • Wikiquote contiene citazioni: http://it.wikiquote.org/wiki/Chimica Collegamenti esterni • • • • • • • • Glossario di chimica 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Storia della chimica Storia della chimica « Forse venticinque secoli fa, sulle rive del mare divino, dove il canto degli aedi si era appena spento, qualche filosofo insegnava già che la mutevole materia è fatta di granelli indistruttibili in continuo movimento, atomi che il caso e il fato avrebbero raggruppato nel corso dei secoli secondo le forme e i corpi che ci sono familiari. » (Jean Perrin, Les atomes, 1912) Le prime teorie che tentavano di spiegare il comportamento della materia risalgono ai filosofi greci (si pensi all'atomismo di Democrito), per i quali la scienza e la religione erano ben distinte. In seguito gli influssi arabi ed egiziani sulla cultura greca portarono alla nascita dell'alchimia, un'antica pratica protoscientifica che combinava elementi di chimica, fisica, astrologia, arte, semiotica, metallurgia, medicina e religione. La storia della chimica intesa come scienza sperimentale ha inizio solo nel XVII secolo, quando si cominciò ad analizzare con metodo scientifico la materia e le sue trasformazioni, allontanandosi dalle vaghe e misteriose teorie legate al misticismo dell'alchimia. Le origini Nel XVI e XVII secolo moltissimi concetti che successivamente risulteranno ovvi, quali pressione, temperatura o fasi della materia, non erano affatto compresi, tantomeno quelli di atomo o molecola. L'alchimista in cerca della Pietra Filosofale (1771) di Joseph Wright of Derby (Derby Museum and Art Gallery, Il processo di transizione tra alchimia e chimica avvenne quindi Derby, Regno Unito). piuttosto gradualmente. Le prime reazioni chimiche appaiono nel Tyrocinium Chymicum dello iatrochimico francese Jean Béguin nel 1610. Dopo che Evangelista Torricelli scoprì il modo di misurare la pressione atmosferica e formulò il concetto di vuoto si diede il via a numerosi esperimenti per lo studio dei gas. L'inglese Robert Boyle fu molto attivo in questo campo, e fu tra i primi ad applicare il metodo scientifico allo studio della materia e delle sue trasformazioni. La sua opera The Sceptical Chymist ("Il Chimico Scettico") (1661) è considerata da molti il primo testo scientifico di chimica; in esso Boyle descrive i suoi esperimenti con i gas, e delinea alcune definizioni (ancora imprecise) di composto chimico. 14 Storia della chimica Robert Boyle, uno dei padri della chimica moderna Ritratto di Lavoisier con la moglie. Opera di Jacques-Louis David, 1818 15 Storia della chimica 16 Una pagina del trattato "Chymical Nomenclature", A. Lavoisier, 1787 La nascita della chimica « Nulla si crea, nulla si distrugge » (Antoine Lavoisier) Nonostante l'opera di numerosi emeriti studiosi, ancora alla fine del XVIII secolo si consideravano validi alcuni concetti del tutto errati, come ad esempio la teoria del flogisto. Nel 1700 emerse la necessità di una teoria che riunisse le varie scoperte nel campo dei gas. L'uomo che fece questo lavoro fu Antoine Lavoisier, il quale demolì la teoria del flogisto con la sua legge di conservazione della massa nel 1789. Egli è considerato il padre della chimica moderna: fra i suoi meriti vi sono, oltre alla citata legge di conservazione, il metodo di lavoro (con attenzione alla purezza dei reagenti, e l'uso della bilancia di precisione), l'opera di nomenclatura di composti binari, la corretta determinazione della composizione dell'aria, l'analisi sulla composizione di grassi, oli e zuccheri, scoprendo la costante presenza di idrogeno, ossigeno e carbonio (i "mattoncini" di base di tutte le sostanze organiche). Inoltre, fino a quel momento, la chimica non possedeva uno status accademico autonomo, ma faceva parte ancora del piano di studi della medicina.[1] Storia della chimica La chimica organica Nel 1828 Friedrich Wöhler sintetizzò accidentalmente dell'urea partendo da sostanze inorganiche. Questo fatto fece comprendere che il mondo della chimica organica e della chimica inorganica avevano delle basi in comune; inoltre aprì degli accesi dibattiti sul vitalismo, teoria che sosteneva una netta demarcazione tra il mondo della vita (organico) e l'inorganico. Lo sviluppo della chimica organica compiuto nei secoli successivi, permise di sintetizzare, partendo da molecole più piccole, innumerevoli sostanze di uso comune, dai coloranti ai medicinali. Proprio in questi anni, nel 1845, a Londra fu fondato il Royal College of Chemistry e un grande salto di qualità nella formazione e nel mestiere del chimico si ebbe in terra tedesca, grazie ai laboratori di Justus von Liebig, che divennero ben presto un modello per l'organizzazione e per la ricerca non solo della chimica, ma un po' di tutta la scienza in generale. Nella prima settimana di settembre del 1860, a Karlsruhe si svolse il primo incontro internazionale di chimica (Congresso di Karlsruhe), al quale confluirono oltre 130 studiosi e ricercatori provenienti da tutta l'Europa, che ebbe il delicato compito di ridefinire i concetti basilari della chimica, una notazione e una nomenclatura comune, e di rivedere la suddivisione della chimica in tre branche particolari: la minerale, la vegetale e la animale. Lo sviluppo industriale L'ultima parte del XIX secolo segna l'inizio dello sfruttamento industriale delle nuove conoscenze chimiche, con la sintesi industriale della soda, lo sviluppo di nuovi coloranti, dei primi polimeri sintetici, la petrolchimica ed i farmaci di sintesi, detersivi, fertilizzanti. I grandi benefici apportati dallo sviluppo della chimica industriale sono evidenti sotto gli occhi di tutti, ma è utile ricordare che questo sviluppo ha avuto anche un costo: da un lato la creazione di armi distruttive utilizzate nelle due guerre mondiali e anche Raffigurazione di un impianto chimico a Rostock (1890 ca.) in seguito, dall'altro incidenti e scarsa sensibilità hanno causato in passato gravi incidenti ambientali e morti prima che si sviluppasse una sufficiente sensibilità ambientale. 17 Storia della chimica 18 La tavola periodica degli elementi Per molto tempo l'esistenza stessa degli elementi chimici fu oggetto di ricerca; la lista degli elementi si ampliava molto spesso, ed i chimici stentavano a dare un senso teorico alle loro scoperte. Fortunatamente i chimici Dmitrij Mendeleev e Julius Lothar Meyer ebbero un' intuizione, sistemando in una tabella gli elementi a seconda del loro peso atomico e del loro stato di ossidazione. Più correttamente oggi si sa che gli elementi sono disposti in ordine progressivo di numero atomico Z e non di peso atomico. Malgrado tale inesattezza, che coinvolge solo pochi elementi (quali Ar e K, Co e Ni, Te e I, Th e Pa) alcuni dei quali all'epoca non ancora scoperti, la tavola periodica permise a Mendeleev di predirre l'esistenza di vari elementi allora sconosciuti (germanio, gallio, e scandio, che lui inizialmente nominò ekasilicon, ekaaluminium, ed ekaboron) nel 1870. In assenza di una coerente e condivisa teoria sulla struttura atomica, la comunità scientifica fu inizialmente scettica, ma in seguito le sue previsioni furono confermate. Tavola di Mendeleev Storia della chimica 19 La chimica moderna Prima del XX secolo la chimica era considerata una scienza con pochi punti in comune con la fisica. Auguste Comte scriveva nel 1830: Ogni tentativo di utilizzare metodi matematici nello studio dei problemi chimici è da considerarsi profondamente irritante e contrario allo spirito della chimica.... Fortunatamente l'atteggiamento cominciò a cambiare dopo la metà de XIX secolo quando Friedrich August Kekulé scriveva, nel 1867: Mi aspetto che un giorno si trovi una spiegazione matematica e meccanica di ciò che chiamiamo atomi... In seguito alla scoperta della radioattività da parte di Marie e Pierre Curie gli scienziati cambiarono drasticamente il loro punto di vista. Gli atomi rivelarono una struttura complessa e non più indivisibile. La teoria atomica Ritratto di Kekulé nel 1890 Nel XVIII secolo i chimici erano piuttosto favorevoli alla teoria atomica (ad esempio John Dalton) ma molto più cauti erano i fisici come ad esempio Wilhelm Ostwald, Ernst Mach e lo stesso Max Planck. Gli atomi potevano essere contati ma nessuno li aveva mai visti! I fautori della teoria come Amedeo Avogadro, Stanislao Cannizzaro, Svante Arrhenius e Ludwig Boltzmann fecero, grazie ad essa, numerosi passi in avanti come ad esempio la spiegazione dei comportamenti dei gas o degli acidi e basi in soluzione o la determinazione dei pesi atomici degli elementi. Ciononostante, la lunga disputa ebbe fine solamente nella prima decade del XX secolo quando Jean Perrin fece una lunga serie di esperimenti, basati anche sulla teoria che Albert Einstein aveva formulato per spiegare il moto Browniano, la quale era appunto fondata sulla teoria atomica; Perrin dimostrò in maniera inoppugnabile l'esistenza degli atomi. « La Natura dispiega lo stesso splendore senza limiti nell'atomo come nella nebulosa, ed ogni nuovo mezzo di conoscenza la mostra più vasta e diversa, più feconda più imprevista, più bella, più ricca d'insondabile immensità. » (Jean Perrin, Les atomes, 1912) I primi modelli atomici degni di nota sono quello a "panettone" di Joseph John Thomson (1904) e quello a "planetario" di Ernest Rutherford (1911), ma, contemporaneamente alle deduzioni di Perrin, la svolta si ebbe con la teoria di Niels Bohr sulla struttura atomica nel 1912. Bohr spiegò la disposizione delle linee spettrali dell'atomo di idrogeno introducendo una "quantizzazione". Finalmente lo studio della chimica non coinvolgeva più solo osservanzioni empiriche sui comportamenti della materia, ma anche aspetti collegati alla nuvola elettronica che avvolge il nucleo atomico. Si delineava un modo coerente per spiegare la natura del legame chimico e la disposizione degli elementi nella tavola periodica: in poche parole aveva inizio la convergenza tra fisica e chimica sollecitata da Kelulé. Storia della chimica 20 Evoluzione dei modelli atomici Modello atomico di Thomson Modello atomico di Rutherford Modello atomico di Bohr Il modello di Bohr ottenne degli eccellenti risultati teorici per l'atomo di idrogeno, ma solo con la meccanica quantistica fu possibile formulare teorie e modelli applicabili ad atomi più complessi. Chimica quantistica La nascita della meccanica quantistica è una pietra miliare per la fisica e per la chimica. La fisica quantistica era di difficile comprensione per i fisici stessi, e ancora dello scetticismo aleggiava intorno alle sue applicazioni nella chimica, ma la storia diede torto agli increduli. Dopo la formulazione dell'equazione di Schrödinger (1926) si ottennero enormi progressi nell'analisi della struttura degli atomi, molecole e del legame chimico in termini fisici. Nel 1927 Walter Heitler e Fritz London scrissero un articolo in cui si utilizzava per la prima volta la meccanica quantistica per descrivere la molecola di H2: era la nascita della chimica quantistica. Negli anni seguenti molti altri studiosi contribuirono ai progressi; per citarne alcuni: Robert S. Mulliken, Max Born, Robert Oppenheimer, Linus Pauling, Erich Hückel, Douglas Hartree, Vladimir Aleksandrovich Fock. Ecco una breve cronologia dei principali sviluppi: • 1924 - Louis de Broglie sostiene che una particella in movimento possiede doppia natura corpuscolo-ondulatoria. Erwin Schrödinger nel 1933 • 1925 - principio di esclusione di Pauli. • 1926 - equazione di Schrödinger e approssimazione di Born-Oppenheimer. • 1927 - Walter Heitler e Fritz London: analisi quantistica del legame di valenza e della molecola di idrogeno.[2] • 1927-29 - Friedrich Hund e Robert S. Mulliken descrivono gli orbitali molecolari. • 1928 - Linus Pauling descrive l'ibridazione degli orbitali di legame. • 1932 - Henry Eyring e Michael Polanyi analizzano il sistema H2+H. Prima della metà del XX secolo si era completata l'integrazione fra chimica e fisica, le maggiori proprietà chimiche potevano essere spiegate in termini di struttura atomica. Storia della chimica 21 Linus Pauling nel suo libro La natura del legame chimico, pubblicato nel 1937 e considerato una pietra miliare nella storia della chimica, utilizzò i principi della meccanica quantistica per dedurre angoli di legame ed altre proprietà molecolari di strutture atomiche complesse. Biologia molecolare e biochimica Nonostante i principi dedotti dalla meccanica quantistica avessero permesso di formulare nuove teorie e comprendere alcuni principi chimici fondamentali, per le molecole di grandi dimensioni caratteristiche della biochimica (enzimi, ormoni, vitamine, proteine) vi erano molte osservazioni empiriche senza una spiegazione teorica. Uno dei problemi più dibattuti era la struttura del DNA, una macromolecola che si sapeva nascondere il "segreto della vita", ma la cui struttura era un busillis. Grazie agli sviluppi della chimica organica fisica e dei metodi analitici (come ad esempio la spettroscopia e la cristallografia a raggi X), nel 1953 viene finalmente decifrata la struttura a doppia elica del DNA da Francis Crick e James Watson (peraltro ispirati da ipotesi di Erwin Schrödinger e Linus Pauling e dalle immagini ai raggi X di Rosalind Elsie Franklin). Ecco una breve cronologia dei principali progressi in biochimica di quegli anni: • 1937 - Hans Adolf Krebs descrive il ciclo di Krebs • 1950 - Chargaff determina nel DNA il rapporto 1:1 fra adenina e timina, e fra guanina e citosina (regole di Chargaff). • 1953 - Watson e Crick propongono la struttura a doppia elica del DNA Animazione di un frammento di DNA • 1953 - Esperimento di Miller-Urey - Stanley Miller e Harold Clayton Urey ipotizzano e simulano una evoluzione chimica come base dell'origine della vita. • 1955 - Sanger determina la sequenza dell'insulina • • • • • 1956-60 - Perutz determina la struttura tridimensionale dell'emoglobina 1957 - Ingram individua la causa molecolare dell'anemia falciforme 1958-60 - Kendrew determina la struttura tridimensionale della mioglobina 1961 - Braunitzer determina la sequenza dell'emoglobina 1983 - Mullis inventa la metodica nota come PCR Storia della chimica I polimeri e le macromolecole I polimeri sono grossi aggregati molecolari costituiti dalla ripetizione sistematica di più unità monomere, mentre la nomenclatura IUPAC attuale utilizza il termine "macromolecola" per indicare singole molecole di grandi dimensioni. Nel 1839 Charles Goodyear scoprì il processo di vulcanizzazione della gomma, sfruttato per aumentarne le proprietà meccaniche e la resistenza agli agenti chimici. Il primo polimero sintetico ad essere stato prodotto industrialmente fu la parkesina, sviluppata da Alexander Parkes nel 1856 e prodotta Giulio Natta nel 1963 per la prima volta su scala industriale nel 1866. Nel 1963 Giulio Natta e Karl Ziegler vincono il premio Nobel per la chimica grazie alla realizzazione della classe di catalizzatori noti come catalizzatori di Ziegler-Natta, che introdussero la possibilità di sintetizzare industrialmente polimeri stereospecifici (il primo fu il polipropilene isotattico). • 1839 - Charles Goodyear scopre il processo di vulcanizzazione della gomma. • 1846 - Christian Schönbein scopre casualmente la nitrocellulosa, che verrà prodotta industrialmente solo nel 1891 a causa delle problematiche legate alla sua esplosività. • 1856 - Alexander Parkes crea la parkesina, primo polimero sintetico che sarà prodotto su scala industriale. • 1883 - La viscosa, prima fibra tessile semisintetica, viene inventata da Hilaire de Chardonnet. • 1907 - Leo Baekeland produce la bachelite. • 1926 - Lo statunitense Waldo Semon, presso la B.F. Goodrich, mette a punto un metodo di sintesi su larga scala del PVC consentendo il vasto utilizzo di questo polimero. • 1929 - Il chimici tedeschi della IG Farben Walter Bock e Eduard Tschunkur sintetizzano la gomma Buna-S. • 1933 - Sintesi industriale del polietilene. • 1935 - Prodotto il nylon 6,6, primo fibra tessile totalmente sintetica. • 1954 - Giulio Natta sintetizza il polipropilene isotattico. 22 Storia della chimica Le nuove frontiere della chimica Chimica supramolecolare La chimica supramolecolare è una branca interdisciplinare, organizzatasi sistematicamente e razionalmente verso la fine degli anni sessanta, che riprendendo princìpi e concetti della chimica moderna rappresenta oggigiorno un campo di ricerca in forte espansione. La linea di indagine che sfociò nella nuova disciplina della chimica supramolecolare ebbe un'origine perfettamente classica, affondando le sue radici nella chimica organica. Charles Pedersen, chimico della Du Pont, nel 1967 annunciò che dei poliesteri macrociclici da lui sintetizzati avevano la curiosa caratteristica di potersi complessare con ioni sodio e potassio, una proprietà dovuta alla loro non meno curiosa forma a corona. Il valore conoscitivo di questa scoperta venne subito reso più Immagine di una struttura supramolecolare descritta da intenso dall'entrata nel nuovo campo del francese Jean-Marie Jean-Marie Lehn e collaboratori in Angew. Chem., Int. Ed. Engl. 1996, 35, 1838-1840 Lehn, un chimico organico fisico che allora era interessato principalmente ai meccanismi di trasporto degli ioni alcalini connessi con i segnali trasmessi nel sistema nervoso. Le ricerche del gruppo di Lehn iniziarono subito, nel 1967, e con la sintesi di nuove strutture tridimensionali già nel 1969 ottenevano il sequestro degli ioni con la formazione di criptati. Un secondo gruppo, diretto da Donald Cram, ebbe una falsa partenza, utilizzando i composti di Pedersen come varianti nelle loro consuete ricerche di chimica organica fisica, ma nel 1973 cominciò a pubblicare un fiume di lavori su ciò che fu battezzata la chimica ospite/ospitante. Lehn nutrì fin dall'inizio l'intenzione di comprendere meglio gli eventi fisiologici costruendo molecole modello che presentassero le stesse caratteristiche dei sistemi naturali, ma nella seconda metà degli anni '70 lo scienziato francese estese le ricerche sperimentali e le interpretazioni teoriche fino a creare, e a definire, l'ambito della chimica supramolecolare come quello in cui sono studiati e (ri)prodotti i processi mediante i quali entità di complessità maggiore risultano da molecole meno complesse a causa dall'azione di forze intermolecolari. Si schiudeva anche da questo punto di vista classico tutto l'orizzonte dell'auto-organizzazione molecolare, con almeno due finalità ben visibili: la mimesi di sistemi biologici (viventi, se interviene l'autocatalisi) e la costruzione di vere macchine molecolari, adatte, ad esempio, al calcolo digitale. Fra le linee di ricerca più attive vi sono: il riconoscimento molecolare; nel campo dell'auto-replicazione quella di oligonucleotidi e di micelle; nel settore dell'auto-organizzazione, l'ottenimento di mesofasi tubulari, recettori fotosensibili, interruttori. Lehn, parafrasando Richard Feynman e il suo noto discorso There's plenty of room at the bottom[3] sulle nanotecnologie (con l'espressione There's even more room at the top[4]) indicò come la chimica non solo deve guardare verso l'estremamente piccolo, ma può andare anche al di sopra delle dimensioni molecolari, studiando la complessità supramolecolare. Davanti al pubblico mondiale dei chimici, nel Congresso della IUPAC di Tokyo, Lehn propose il termine con cui correntemente designano la nuova disciplina: chimica supramolecolare. 23 Storia della chimica 24 Chimica combinatoria Spesso il ricercatore si imbatte in un composto che dimostra una certa attività biologica, che però non è sufficiente per garantire il successo clinico (e commerciale) del composto. A questo punto inizia un processo di screening "quasi casuale": vengono preparati e testati tutti i possibili composti che mantengono una analogia strutturale per il nucleo fondamentale, ma ne differiscono per i sostituenti collegati. Chimica computazionale La chimica computazionale è la branca della chimica teorica che si occupa dello sviluppo di modelli matematici, basati sia sulla meccanica classica che sulla meccanica quantistica, in grado di simulare sistemi chimici, con lo scopo di calcolarne le grandezze fisiche caratteristiche e prevederne le proprietà chimiche. Chimica nucleare La chimica nucleare è un settore della chimica che tratta le reazioni che cambiano la natura del nucleo. Il fenomeno chimico-fisico studiato dalla chimica nucleare è la radioattività e la grandezza fisica corrispondente nel Sistema Internazionale è l'attività. Caos chimico Per caos chimico si intende quell'insieme di reazioni chimiche dipendenti da fattori aleatori con apparenza caotica. Il resoconto di reazioni oscillanti fu pubblicato per la prima volta da Gustav Theodor Fechner nel 1828. Nel 1833 John Herschel, noto astronomo e inventore della cianotipia, scoprì una serie di reazioni periodiche legate al dissolvimento del ferro in acido nitrico a diversi valori di concentrazione. Le reazioni oscillanti si incontrano spesso in elettrochimica, come riportato da Christian Friedrich Schönbein nel 1842 e James Prescott Joule nel 1844. Seguirono sul piano sperimentale descrizioni di reazioni apparentemente caotiche, e la loro interpretazione sulla base di processi autocatalitici, ma solo con la reazione di Belousov-Zhabotinsky l'auto-organizzazione nel tempo e nello spazio di particolari sistemi reagenti divenne un tema accettato di ricerca. Schema grafico della complicata reazione di Belousov-Zhabotinsky Il chimico sovietico Boris Belousov scoprì la reazione che porta il suo nome mentre cercava di riprodurre in provetta un insieme di reazioni che avesse qualche analogia con il ciclo di Krebs. La storia dettagliata dei tentativi di Belousov, sempre frustrati, di pubblicare i suoi risultati (dal 1951 al 1957) entrerà a far parte della leggenda (negativa) della chimica; maggiore fortuna ebbe il biofisico Anatol Zhabotinsky che rese nota la reazione nel 1964. Nel frattempo (1952) Alan Turing aveva pubblicato un articolo seminale dal titolo estremamente significativo: La base chimica della morfogenesi, in cui discuteva in dettaglio gli effetti di meccanismi autocatalitici; inoltre, su un piano più generale, diversi gruppi di ricercatori, fra cui spiccava quello diretto da Ilya Prigogine, avevano fatto progredire la termodinamica dei processi irreversibili (gli unici esistenti nella realtà fisica). Nel 1967 Prigogine e Nicolis proposero il concetto di struttura dissipativa, e avendo dimostrato la relazione fra organizzazione e dissipazione ne sottolinearono la possibile rilevanza rispetto ai "primi passi biogenetici". Attualmente la chimica che studia l'origine dell'ordine a partire dal caos molecolare è un campo attivissimo di ricerca. Nel 1990 i principali temi trattati sulle dinamiche non lineari riguardavano: propagazione di onde e strutture Storia della chimica spaziali; oscillazioni in sistemi eterogenei; oscillazioni biologiche; patterns geochimici; proposta e discussione di sistemi modello. Questo semplice elenco dimostra la pervasività interdisciplinare delle procedure conoscitive della chimica. Note [1] Antonio Di Meo, Storia della chimica, Newton, 1997, Roma, pag.26-28 [2] W. Heitler and F. London, Wechselwirkung neutraler Atome und Homöopolare Bindung nach der Quantenmechanik, Z. Physik, 44, 455 (1927) [3] Trad. "C'è moltissimo spazio in basso" - dove il termine "in basso" è inteso come il mondo al di sotto delle dimensioni molecolari [4] Trad. "C'è ancora più spazio in alto" - dove il termine "in alto" è inteso come il mondo al di sopra delle dimensioni molecolari Bibliografia • Antonio Di Meo; Luciano Caglioti, Storia della chimica: dalla ceramica del neolitico all'età della plastica (http:/ /books.google.it/books?id=-jtNPQAACAAJ&source=gbs_navlinks_s), 2a ed., Marsilio, 1990. ISBN 8-831-75274-X • Ernst von Meyer; George McGowan, A history of chemistry from earliest times to the present day: being also an introduction to the study of the science (http://books.google.it/books?id=sGwtAAAAYAAJ& source=gbs_navlinks_s) (in inglese), Macmillan and Co., 1891. • James Riddick Partington, A short history of chemistry (http://books.google.it/books?id=fanHRlU1bSEC& source=gbs_navlinks_s), 3a ed. (in inglese), Dover Publications, 1989. ISBN 0-486-65977-1 • Henry Marshall Leicester, The historical background of chemistry (http://books.google.it/ books?id=aJZVQnqcwv4C&source=gbs_navlinks_s) (in inglese), Courier Dover Publications, 1971. ISBN 0-486-61053-5 • Aaron John Ihde, The development of modern chemistry (http://books.google.it/books?id=34KwmkU4LG0C& source=gbs_navlinks_s) (in inglese), Courier Dover Publications, 1984. ISBN 0-486-64235-6 • William Hodson Brock, The chemical tree: a history of chemistry (http://books.google.it/ books?id=vqpuET7q6TgC&source=gbs_navlinks_s) (in inglese), Norton, 2000. ISBN 0-393-32068-5 25 Storia della chimica 26 Voci correlate Chimici notevoli Altre voci correlate • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • Mikhail Lomonosov, 1711-1765 Joseph Black, 1728-1799 Joseph Priestley, 1733-1804 Carl Wilhelm Scheele, 1742-1786 Antoine-Laurent de Lavoisier, 1743–1794 Alessandro Volta, 1745-1827 Jacques Charles, 1746-1823 Claude Louis Berthollet, 1748-1822 Joseph-Louis Gay-Lussac, 1778-1850 Humphry Davy, 1778-1829 Jöns Jakob Berzelius, 1779-1848 Michael Faraday, 1791-1867 Friedrich Wöhler, 1800-1882 Justus von Liebig, 1803-1873 Louis Pasteur, 1822-1895 Stanislao Cannizzaro, 1826-1910 Friedrich August Kekulé von Stradonitz, 1829-1896 Willard Gibbs, 1839-1903 Jacobus Henricus van 't Hoff, 1852-1911 Marie Curie, 1867-1934 Victor Grignard, 1871-1935 Ernest Rutherford, 1871–1937 Gilbert Newton Lewis, 1875-1946 Otto Hahn, 1879-1968 Alchimia Chimica Iatrochimica Premio Nobel per la chimica Scoperta degli elementi chimici Storia dell'elettrochimica Storia dell'industria chimica Teoria del flogisto Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:History of chemistry Collegamenti esterni • Minerva: Appunti di storia della chimica (http://www.minerva.unito.it/Storia/AppuntiStoriaChimica/ AppuntiStoria1.htm) • (EN) Testo completo di The Skeptical Chymist online (http://oldsite.library.upenn.edu/etext/collections/ science/boyle/chymist/index.html?) • (EN) Carl Schorlemmer The rise and development of organic chemistry (http://www.archive.org/details/ risedevelopmento00schorich) (London: MacMillan, 1894) • (EN) Karl Hugo Bauer A history of chemistry. Translated by R.V. Stanford (http://www.archive.org/details/ historyofchemist00baueuoft) (London: E. Arnold,1907) • (EN) Thomas Percy Hilditch A concise history of chemistry (http://www.archive.org/details/ concisehistoryof00hilduoft) (London: Methuen, 1911) • (EN) James Campbell Brown A history of chemistry from the earliest times. (http://www.archive.org/details/ historyofchemist00browuoft) 2d ed. (London: J. & A. Churchill,1920) • (EN) William Augustus Tilden Famous chemists, the men and their work (http://www.archive.org/details/ famouschemistsme00tildrich) (London : G. Routledge & Sons, ltd., 1921) • (EN) Francis Preston Venable History of chemistry (http://www.archive.org/details/ historyofchemist00venarich) (Boston: D.C. Heath & Co, 1922) • (EN) Scritti selezionati sulla storia della chimica (http://web.lemoyne.edu/~giunta/papers.html) Legame chimico 27 Legame chimico Si ha un legame chimico quando una forza di natura elettrostatica tiene uniti più atomi in una molecola o in un cristallo (legami forti, o intramolecolari) o più molecole in una sostanza allo stato condensato (legami deboli, o intermolecolari). I legami chimici "più forti" hanno un contenuto energetico maggiore e sono più difficili da rompere, mentre i legami "più deboli" hanno un contenuto energetico minore e sono più facili da rompere. Da ciò deriva che le molecole che hanno al loro interno legami chimici più deboli sono più instabili.[1] Inoltre tanto più un legame è forte, tanto minore è la lunghezza del legame, essendo la forza che tiene uniti gli atomi maggiore.[2] Natura elettrostatica del legame chimico La natura del legame chimico si può spiegare facilmente osservando le forze coulombiane interagenti tra le molecole. Prendiamo ad esempio il catione H2+: esso è costituito da due nuclei di H e da un elettrone. Indichiamo con Ha il primo nucleo di idrogeno e con Hb l'altro nucleo di idrogeno. A ciascuno dei due nuclei è associata una funzione d'onda elettronica, rispettivamente 1sa e 1sb, la cui combinazione lineare forma l'orbitale molecolare Ψ. Ψ avrà valori bassi tra i due nuclei, mentre crescerà avvicinandosi ad essi e poi decrescerà allontanandosi nuovamente da essi. Quindi se si considera un elettrone, ovvero una carica negativa posta tra i due nuclei, esso sarà sottoposto a forze attrattive da parte dei due nuclei che saranno controbilanciate da quelle repulsive fino a quando non si sarà raggiunta la stabilità del sistema; quindi l'elettrone sarà caduto in una buca di potenziale dalla quale gli sarà difficile uscire. In tal modo si è formato un legame chimico. Legami forti Lunghezza di legame tipica [3] ed energia di legame Legame Lunghezza Energia (pm) (kJ/mol) H — Idrogeno H–H 74 436 H–O 96 366 H–F 92 568 H–Cl 127 432 C — Carbonio C–H 109 413 C–C 154 348 C=C 134 614 C≡C 120 839 C–N 147 308 C–O 143 360 C–F 134 488 C–Cl 177 330 Legame chimico 28 N — Azoto N–H 101 391 N–N 145 170 N≡N 110 945 O — Ossigeno O–O 148 145 O=O 121 498 F, Cl, Br, I - Alogeni F–F 142 158 Cl–Cl 199 243 Br–H 141 366 Br–Br 228 193 I–H 161 298 I–I 267 151 I legami chimici forti sono le forze che tengono uniti gli atomi che formano le molecole. Un legame forte è attuato dalla condivisione o dal trasferimento di elettroni tra atomi e dall'attrazione elettrostatica tra protoni ed elettroni. Tali legami generano il trasferimento di un numero intero di elettroni, detto ordine di legame, anche se in alcuni sistemi vi sono quantità intermedie di carica, come nel benzene, in cui l'ordine di legame è 1,5 per ogni atomo di carbonio. I legami forti sono generalmente classificati in tre classi, in ordine di polarità crescente: Legame covalente Il legame covalente è il legame che si instaura tra due atomi appartenenti alla categoria (degli elementi chimici) dei non metalli (uguali o aventi differenza di elettronegatività - scala di Pauling - compresa tra 0 e 0,4) che mettono in compartecipazione una coppia di elettroni (detti coppia di legame) in un orbitale esterno che abbraccia entrambi gli atomi. Il legame covalente viene rappresentato da un trattino che congiunge i due atomi legati. Legame covalente puro Un legame covalente puro (o omopolare) è un legame covalente che s'instaura fra due atomi appartenenti allo stesso elemento. In pratica si stabilisce una interazione (cioè il legame) tra atomi dello stesso tipo: è il caso tipico dell'idrogeno, dell'ossigeno, dell'azoto atmosferico, ecc. Essendo la nube elettronica distribuita simmetricamente, il legame risulta non polarizzato. I legami covalenti che si formano fra due atomi che condividono due coppie di elettroni prendono il nome di doppio legame. I legami covalenti che si formano fra due atomi che condividono tre coppie di elettroni prendono il nome di triplo legame. Per constatare il numero di legami covalenti formatisi fra due atomi bisogna conoscere la valenza dell'atomo degli elementi considerati e dopo aver fatto questo scoprire quanti elettroni gli mancano per essere stabili (regola dell'ottetto). es. N=azoto V gruppo= 5 elettroni di valenza (+ 3 elettroni per completare l'ottetto) I legami fra due azoti sono un triplo legame. Legame chimico Legame covalente polare Il legame covalente polare si instaura tra due atomi con differenza di elettronegatività compresa tra 0,4 e 1,7. In questo caso, gli elettroni coinvolti nel legame risulteranno maggiormente attratti dall'atomo più elettronegativo, il legame risulterà quindi polarizzato elettricamente, cioè ognuno degli atomi coinvolti nel legame presenterà una carica elettrica parziale. Quando una molecola è tenuta coesa da soli legami covalenti puri o possiede una simmetria tale da annullare reciprocamente le polarità dei suoi legami covalenti risulterà complessivamente apolare. Invece una molecola costituita da due atomi legati fra loro da un legame covalente polare è polare (o dipolo elettrico); ciò non significa, in genere, però che la molecola abbia una carica elettrica perché nella sua totalità essa è elettricamente neutra. Si può prevedere facilmente la struttura polare di una molecola nel caso essa sia biatomica. Legame di coordinazione È un tipo particolare di legame covalente detto, in passato, dativo in quanto i due elettroni coinvolti nel legame provengono da uno solo dei due atomi detto donatore (in sostanza tale atomo "dona" il suo lone pair, cioè entrambi gli elettroni appaiati presenti in un suo orbitale), mentre l'altro, che deve essere in grado di mettere a disposizione un orbitale esterno vuoto (cioè con due posti vuoti che possono essere occupati da due elettroni) oppure di riorganizzare la sua configurazione elettronica per accogliere la coppia di elettroni (cioè ad esempio spostare due elettroni presenti su di un orbitale dispari su di un altro orbitale dispari, liberando di fatto un orbitale) viene detto accettore. Il legame dativo può essere rappresentato con una freccia, dal donatore all'accettore, o più impropriamente può essere indicato con un doppio trattino. Legami delocalizzati e legame metallico Alcuni legami covalenti, detti delocalizzati, possono legare insieme tre o più atomi contemporaneamente, come nei borani e nei composti aromatici. Legame metallico La forma più estrema di delocalizzazione del legame covalente si ha nel legame metallico. Secondo questo modello un metallo può essere rappresentato come un reticolo cristallino di ioni positivi tenuti uniti da una nube di elettroni condivisi estesa a tutto il reticolo; essendo tali elettroni non legati a nessun atomo particolare, risultano essere estremamente mobili; tale mobilità è responsabile della elevata conducibilità elettrica dei metalli. Legame ionico Il legame ionico è un legame tra ioni con carica di segno opposto. Tali ioni si formano da atomi aventi differenza di elettronegatività superiore al limite convenzionale di 1,7: in queste condizioni, l'atomo più elettronegativo (quindi caratterizzato da una elevata energia di ionizzazione ed elevata affinità elettronica) priva l'altro atomo meno elettronegativo (caratterizzato da una bassa energia di ionizzazione ed una affinità elettronica quasi assente) di un elettrone; il primo atomo diventa uno ione con carica negativa, il secondo uno ione con carica positiva. Questo legame è di natura prettamente elettrostatica; l'arrangiamento degli atomi nello spazio non ha la direzionalità del legame covalente: il campo elettrico generato da ciascuno ione si diffonde simmetricamente nello spazio attorno ad esso. 29 Legame chimico 30 E' il tipo più semplice di legame chimico, sia dal punto di vista concettuale sia da quello della sua descrizione analitica, essendo interpretabile in base alle leggi classiche dell'elettrostatica. Legami deboli (legami chimici secondari) I dipoli molecolari possono originare delle forze di attrazione intermolecolari. I legami intermolecolari sono essenzialmente costituiti dalla reciproca attrazione tra dipoli statici - è il caso delle molecole polari - o tra dipoli ed ioni - è il caso, ad esempio, di un sale che si scioglie in acqua. Nel caso dei gas nobili o di composti formati da molecole apolari la possibilità di liquefare viene spiegata tramite la formazione casuale di un dipolo temporaneo quando gli elettroni, nel loro orbitare, si trovino casualmente concentrati su un lato della molecola; tale dipolo induce nelle molecole vicine a sé uno squilibrio di carica elettrica (il cosiddetto dipolo indotto) che genera reciproca attrazione e provoca la condensazione del gas. Il legame viene quindi prodotto da queste particolari forze di attrazione dette forze di dispersione o di Van der Waals. Un caso particolare di legame intermolecolare, che può anche essere intramolecolare quando la geometria della molecola lo consente, è il legame idrogeno. Un atomo di idrogeno legato ad un atomo di ossigeno (o di fluoro), a causa della sua polarizzazione positiva e delle sue ridotte dimensioni, attrae con un'intensità relativamente elevata gli atomi di ossigeno (e di fluoro e, in misura minore, di azoto) vicini. Tale legame, benché debole, è responsabile della conformazione spaziale delle proteine e degli acidi nucleici, conformazione da cui dipende l'attività biologica dei composti stessi. Come ordine di grandezza, l'entità delle varie forze di legame può essere indicato dalla seguente tabella: Forza relativa Legame ionico 1000 Interazioni dipolari e Legame idrogeno 10 - 100 Forza di van der Waals 1 Note [1] A tale proposito, un esempio è dato dalla molecola di etilene rispetto alla molecola di etano. Nel caso dell'etilene, i due atomi di carbonio sono legati da due legami: un legame σ, più forte, e un legame π, più debole. Nella molecola di etano invece i due atomi di carbonio sono legati da un singolo legame σ. Per questo motivo, la molecola di etilene è più instabile rispetto alla molecola di etano, in quanto in seguito a riscaldamento si ha l'apertura del legame π, che è più debole. [2] Infatti il legame chimico funge da forza attrattiva, alla quale è contrapposta una forza di tipo repulsivo (che aumenta di intensità al diminuire della distanza), per cui la posizione reciproca degli atomi è una posizione di equilibrio data dall'azione contrastante delle due forze. Per approfondire: potenziale di Lennard-Jones. [3] La lunghezza di legame è espressa in pm e può essere convertita in Å dividendo per 100 (1 Å = 100 pm). L'energia è espressa in kJ/mol. Dati presi da (http:/ / www. science. uwaterloo. ca/ ~cchieh/ cact/ c120/ bondel. html). Legame chimico Bibliografia • Paolo Silvestroni, Fondamenti di chimica, 10a ed., CEA, 1996, pp. 38-97. ISBN 88-408-0998-8 Voci correlate • • • • • Elettronegatività Forza di van der Waals Dipolo molecolare Polarità delle molecole Scissione Tipi di legame chimico • • • • • Antilegame Legame covalente Legame di coordinazione Legame ionico Legame idrogeno • Legame metallico Caratteristiche del legame chimico • • • • • Energia di legame Angolo di legame Energia di dissociazione di legame Lunghezza di legame Regole di Fajans Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Chemical bond Collegamenti esterni • Il legame chimico (http://www.itchiavari.org/chimica/lab/legame.html) 31 Atomo 32 Atomo Proprietà Massa: da ≈ 1,67 × 10−27 a 4,52 × 10−25 kg Carica elettrica: zero (quando numero di elettroni e protoni si equivalgono) Diametro: da 100 pm (He) a 670 pm (Cs) [1] L'atomo (dal greco ἄτομος - àtomos -, indivisibile, unione di ἄ - a - [alfa privativo] + τομή - tomé - [divisione], così chiamato perché inizialmente considerato l'unità più piccola ed indivisibile della materia, risalente alla dottrina dei filosofi greci Leucippo, Democrito ed Epicuro, detta teoria dell'"atomismo") è la più piccola parte di ogni elemento esistente in natura che ne conserva le caratteristiche chimico-fisiche. Verso la fine dell'Ottocento (con la scoperta dell'elettrone) fu dimostrato che l'atomo era divisibile, essendo a sua volta composto da particelle più piccole (alle quali ci si riferisce con il termine "subatomiche"). L'atomo risulta infatti costituito da neutroni, elettroni e protoni. La teoria atomica è la teoria sulla natura della materia la quale afferma che tutta la materia sia costituita da unità elementari chiamati atomi. La teoria atomica si applica agli stati della materia solido, liquido e gassoso, mentre è difficilmente correlabile allo stato plasmico, in cui elevati valori di pressione e temperatura impediscono la formazione di atomi. Atomo 33 Storia Il modello atomico oggi riconosciuto è l'ultima tappa di una serie di ipotesi che sono state avanzate nel tempo. Atomismo In età antica alcuni filosofi greci, quali Leucippo (V secolo a.C.), Democrito (V-IV secolo a.C.) ed Epicuro (IV-III secolo a.C.), e romani, quali Tito Lucrezio Caro (I secolo a.C.), ipotizzarono che la materia non fosse continua, ma costituita da particelle minuscole e indivisibili, fondando così la "teoria atomica". Questa corrente filosofica, fondata da Leucippo, venne chiamata "atomismo"[1]. Si supponeva che i diversi "atomi" fossero differenti per forma e dimensioni. Democrito propose la "teoria atomica", secondo cui la materia è costituita da minuscole particelle, diverse tra loro, chiamate atomi, la cui unione dà origine a tutte le sostanze conosciute. Queste particelle erano la più piccola entità esistente e non potevano essere ulteriormente divise: per questo erano chiamate atomi (da ὰτωμος, in greco "indivisibile"). In contrasto con questa teoria, Aristotele (IV secolo a.C.), nella teoria della continuità della materia, sostenne che una sostanza può essere suddivisa all'infinito in particelle sempre più piccole e uguali tra loro. Queste ipotesi rimasero tali in quanto non suffragate da un approccio scientifico e non verificate con metodologie basate sull'osservazione e sull'esperimento. I diversi ordini di grandezza della materia: 1. Materia (macroscopico) 2.Struttura molecolare (atomi) 3.Atomo (neutrone, protone, elettrone) 4.Elettrone 5.Quark 6.Stringhe Il corpuscolarismo è il postulato del XIII secolo dell'alchimista Geber, secondo il quale tutti i corpi fisici posseggono uno strato interno e uno esterno di particelle minuscole. La differenza con l'atomismo è che i corpuscoli possono essere divisi. Veniva per questo teorizzato che il mercurio potesse penetrare nei metalli modificandone la struttura interna. Il corpuscolarismo rimase la teoria dominante per i secoli successivi. Tale teoria servì come base a Isaac Newton per sviluppare la teoria corpuscolare della luce. In età moderna atomista fu Gassendi per via del suo recupero dell'epicureismo. Atomo 34 Origine del modello scientifico. Solo all'inizio del XIX secolo (più precisamente nel 1808) John Dalton rielaborò e ripropose la teoria di Democrito fondando la teoria atomica moderna, con la quale diede una spiegazione ai fenomeni chimici, affermando che le sostanze sono formate dai loro componenti secondo rapporti ben precisi fra numeri interi (legge delle proporzioni multiple), ipotizzando quindi che la materia fosse costituita da atomi. Nel corso dei suoi studi, Dalton si avvalse delle conoscenze chimiche che possedeva (la legge della conservazione della massa, formulata da Antoine Lavoisier, e la legge delle proporzioni definite, formulata da Joseph Louis Proust) e formulò la sua teoria atomica, che espose nel libro A New System of Chemical Philosophy (pubblicato nel 1808). La teoria atomica di Dalton si fondava su cinque punti: • la materia è formata da piccolissime particelle elementari chiamate atomi, che sono indivisibili e indistruttibili; • gli atomi di uno stesso elemento sono tutti uguali tra loro; • gli atomi di elementi diversi si combinano tra loro (attraverso reazioni chimiche) in rapporti di numeri interi e generalmente piccoli, dando così origine a composti; • gli atomi non possono essere né creati né distrutti; • gli atomi di un elemento non possono essere convertiti in atomi di altri elementi.[2] In definitiva questa è la definizione di atomo per Dalton: "Un atomo è la più piccola parte di un elemento che mantiene le caratteristiche fisiche di quell'elemento". Vari atomi e molecole rappresentati nella prima pagina di "A New System of Chemical Philosophy", di John Dalton, pubblicato nel 1808. Questa viene considerata la prima teoria atomica della materia perché per primo Dalton ricavò le sue ipotesi per via empirica. I modelli atomici L'esperimento di Rutherford: poche particelle alfa vengono deflesse dal campo elettrico del nucleo, la maggior parte di esse attraversa lo spazio vuoto dell'atomo. Con la scoperta della radioattività naturale, si intuì successivamente che gli atomi non erano particelle indivisibili, bensì erano oggetti composti da parti più piccole. Nel 1902, Joseph John Thomson propose il primo modello fisico dell'atomo[3]: aveva infatti provato un anno prima l'esistenza dell'elettrone. Egli immaginò che un atomo fosse costituito da una sfera fluida di materia caricata positivamente (protoni e neutroni non erano stati ancora scoperti) in cui gli elettroni (negativi) erano immersi (modello a panettone, in inglese plum pudding model o modello ad atomo pieno), rendendo neutro l'atomo nel suo complesso. Questo modello fu superato quando furono scoperte da Ernest Rutherford le particelle che formano il nucleo dell'atomo: il protone. Nel 1911 Rutherford fece un esperimento cruciale, con lo Atomo 35 scopo di convalidare il modello di Thomson. Egli bombardò un sottilissimo foglio di oro, posto fra una sorgente di particelle alfa e uno schermo. Le particelle, attraversando la lamina, lasciarono una traccia del loro passaggio sullo schermo. L'esperimento portò alla constatazione che i raggi alfa non venivano quasi mai deviati; solo l'1% dei raggi incidenti era deviato considerevolmente dal foglio di oro (alcuni venivano completamente respinti). Attraverso questo esperimento, Rutherford propose un modello di atomo in cui quasi tutta la massa dell'atomo fosse concentrata in una porzione molto piccola, il nucleo (caricato positivamente) e gli elettroni gli ruotassero attorno così come i pianeti ruotano attorno al Sole (modello planetario).[4] L'atomo era comunque largamente composto da spazio vuoto, e questo spiegava il perché del passaggio della maggior parte delle particelle alfa attraverso la lamina. Il nucleo è così concentrato che gli elettroni gli ruotano attorno a distanze relativamente enormi, aventi un diametro da 10.000 a 100.000 volte maggiore di quello del nucleo. Rutherford intuì che i protoni da soli non bastavano a giustificare tutta la massa del nucleo e formulò l'ipotesi dell'esistenza di altre particelle, che contribuissero a formare l'intera massa del nucleo. Nel modello atomico di Rutherford non compaiono i neutroni, perché queste particelle furono successivamente scoperte da Chadwick nel 1932. Il modello di Rutherford aveva incontrato una palese contraddizione con le leggi della fisica classica: secondo la teoria elettromagnetica, una carica che subisce una accelerazione emette energia sotto forma di radiazione elettromagnetica. Per questo motivo, gli elettroni dell'atomo di Rutherford, che si muovono di moto circolare intorno al nucleo, avrebbero dovuto emettere onde elettromagnetiche e quindi, perdendo energia, annichilire nel nucleo stesso (teoria del collasso), cosa che evidentemente non accade.[5] Inoltre un elettrone, nel perdere energia, potrebbe emettere onde elettromagnetiche di qualsiasi lunghezza d'onda, operazione preclusa nella teoria e nella pratica dagli studi sul corpo nero di Max Planck (e successivamente di Albert Einstein). Solo la presenza di livelli di energia quantizzati per quanto riguarda gli stati degli elettroni poteva spiegare i risultati sperimentali: la stabilità degli atomi rientra nelle proprietà spiegabili mediante la meccanica quantistica. Elettroni nel nucleo? Dopo l'esperimento di Rutherford era abbastanza evidente che gli elettroni non potessero trovarsi all'interno del nucleo. Si può, però, pensare ad una dimostrazione per assurdo: si supponga, per un momento, l'esistenza degli elettroni nel nucleo. Il suo raggio può essere stimato nell'ordine dei 5 fm. L'impulso dell'elettrone, nell'atomo, allora sarà: dove c è la velocità della luce e λ la lunghezza d'onda di de Broglie dell'elettrone. A questo punto si fissa una lunghezza d'onda massima in 10 fm e si può così calcolare il valore minimo per l'impulso, che alla fine risulta essere di circa 124 MeV/c. Ora, poiché la massa dell'elettrone è pari a 0,5 MeV/c2, da un semplice conto relativistico risulta evidente che l'energia totale dell'elettrone è pari a: E2 = p2c2 + m2c4 = 125 MeV Quindi, se ci fossero elettroni nel nucleo, la loro energia sarebbe 250 volte maggiore rispetto alla loro intera massa: elettroni così energetici, però, non sono mai stati emessi da alcun nucleo. L'unico indiziato, l'elettrone emesso nel decadimento beta dei nuclei, ha un intervallo di energia che va da pochi MeV ad un massimo di 20 MeV. Bohr e la meccanica ondulatoria: l'atomo oggi Nel 1913 Niels Bohr propose una modifica concettuale al modello di Rutherford. Pur accettandone l'idea di modello planetario, postulò che gli elettroni avessero a disposizione orbite fisse, dette anche "orbite quantizzate", queste orbite possedevano un'energia quantizzata (ossia un'energia già prestabilita identificata da un numero detto numero quantico principale N) nelle quali gli elettroni non emettevano né assorbivano energia (questa infatti rimaneva costante): in particolare, un elettrone emetteva o assorbiva energia sotto forma di onde elettromagnetiche solo se effettuava una transizione da un'orbita all'altra, e quindi passava ad uno stato a energia minore o maggiore.[6] Ciò nonostante, il modello di Bohr-Sommerfeld si basava ancora su postulati e soprattutto funzionava bene solo per l'idrogeno: tutto ciò, alla luce anche del principio di indeterminazione introdotto da Heisenberg nel 1927, convinse la Atomo 36 comunità scientifica che fosse impossibile descrivere esattamente il moto degli elettroni attorno al nucleo, motivo per cui ai modelli deterministici fino ad allora proposti si preferì ricercare un modello probabilistico, che descrivesse con buona approssimazione qualsiasi atomo. Ciò fu reso possibile grazie ai successivi risultati della meccanica ondulatoria. Nel 1932 fu scoperto il neutrone, per cui si pervenne presto ad un modello dell'atomo pressoché completo, in cui al centro vi è il nucleo, composto di protoni (elettricamente positivi) e neutroni (elettricamente neutri) ed attorno ruotano gli elettroni (elettricamente negativi). Fu abbandonato il concetto di orbita e fu introdotto il concetto di orbitale. Secondo la meccanica quantistica non ha più senso infatti parlare di traiettoria di una particella: da ciò discende che non si può neanche definire con certezza dove un elettrone si trova in un dato momento. Ciò che si poteva conoscere era la probabilità di trovare l'elettrone in un certo punto dello spazio in un dato istante di tempo. Un orbitale quindi non è una traiettoria su cui un elettrone (secondo le idee della fisica classica) poteva muoversi, bensì una porzione di spazio intorno al nucleo definita da una superficie di equiprobabilità, ossia entro la quale c'è il 95% della probabilità che un elettrone vi si trovi. In termini più rigorosi, un orbitale è definito da una particolare funzione d'onda, l'equazione di Schrödinger, in tre variabili, i numeri quantici, ciascuna delle quali è associata rispettivamente all'energia, alla forma e all'orientamento nello spazio dell'orbitale. Fu Erwin Schrödinger (scopritore dell'Equazione di Schrödinger, per cui ha vinto il premio nobel per la fisica nel 1933) a ipotizzare la struttura dell'atomo come costituita da un nucleo centrale carico di energia positiva circondato da una nuvola di elettroni. Alla luce delle ultime ricerche, sfruttando sofisticate e potenti apparecchiature elettroniche, è stato possibile determinare in modo più completo anche la struttura del nucleo. In particolare si è scoperto che i protoni e i neutroni sono a loro volta formati da particelle più piccole: i quark. Componenti L'atomo è composto principalmente da tre tipologie di particelle subatomiche (cioè di dimensioni minori dell'atomo): i protoni, i neutroni e gli elettroni. In particolare: • i protoni (carichi positivamente) e i neutroni (privi di carica) formano il "nucleo" (carico positivamente); protoni e neutroni sono detti quindi "nucleoni"; • gli elettroni (carichi negativamente) sono presenti nello stesso numero dei protoni e ruotano attorno al nucleo senza seguire un'orbita precisa (l'elettrone si dice quindi "delocalizzato"), rimanendo confinati all'interno dei cosiddetti "gusci elettronici" (o "livelli energetici"). In proporzione, se il nucleo atomico fosse grande quanto una mela, gli elettroni gli ruoterebbero attorno ad una distanza pari a circa un chilometro; un nucleone ha massa quasi 1800 volte superiore a quella di un elettrone. La tabella seguente riassume alcune caratteristiche delle tre particelle subatomiche anzidette:[7] Particella Simbolo Carica Massa Note Elettrone e- -1,6 × 10−19 C 9,1093826 × 10−31 kg (0,51099 891 MeV/C²) Scoperto da Thomson in base alle esperienze sui raggi catodici di William Crookes. Con l'esperimento della goccia d'olio Millikan ne determinò la carica. Protone p+ 1,6 × 10−19 C 1,6726231 × 10−27 kg (9,3828 × 102 MeV/C²) Scoperto da Ernest Rutherford con l'esperimento dei raggi alfa, la sua esistenza fu ipotizzata già da Eugene Goldstein, lavorando con i raggi catodici. Neutrone n 0C 1,674 927 29 × 10−27 kg (9,39565 × 102 MeV/C²) Scoperto da James Chadwick, la sua esistenza fu desunta a partire da contraddizioni studiate prima da Walther Bothe, poi da Irène Joliot-Curie e Frédéric Joliot. Atomo Si definiscono due quantità per identificare ogni atomo: • Numero di massa (A): la somma del numero di neutroni e protoni nel nucleo • Numero atomico (Z): il numero dei protoni nel nucleo, che, allo stato neutro, corrisponde al numero di elettroni esterni ad esso.[8] Per ricavare il numero dei neutroni si sottrae al numero di massa il numero atomico. Esiste una grandezza che ne quantifica la massa, definita peso atomico (più correttamente "massa atomica"), espresso nel SI in unità di massa atomica (o uma), dove una unità di massa atomica equivale alla dodicesima parte della massa di un Rappresentazione schematica di un atomo di elio. Attorno al atomo di carbonio-12 (12C). Il numero degli elettroni che nucleo, composto da due neutroni (in verde) e due protoni ruotano attorno al nucleo è uguale al numero dei protoni nel (in rosso), ruotano gli elettroni (in giallo). nucleo: essendo le predette cariche di valore assoluto uguale, un atomo è normalmente elettricamente neutro e pertanto la materia è normalmente elettricamente neutra. Tuttavia esistono atomi che perdono o acquistano elettroni, ad esempio in virtù di una reazione chimica: la specie che ne deriva si chiama ione; gli ioni possono essere quindi di carica positiva o negativa. Gli atomi aventi lo stesso numero atomico hanno le stesse proprietà chimiche: si è dunque convenuto a definirli appartenenti allo stesso elemento. Due atomi possono differire anche nell'avere numero atomico uguale ma diverso numero di massa: simili atomi sono detti isotopi ed hanno medesime proprietà chimiche. Ad esempio l'atomo di idrogeno ha più isotopi: in natura infatti esso è presente in grande maggioranza come 1H (formato da un protone ed un elettrone) e in minore quantità da 2H (o deuterio[9], che è formato da un protone, un neutrone ed un elettrone) e 3H (o trizio, estremamente raro, formato da un protone, due neutroni ed un elettrone). Dal punto di vista chimico, idrogeno, deuterio e trizio presentano identiche proprietà, anche se recenti ricerche stanno rivelando una maggiore instabilità del deuterio nei composti. Proprietà Massa Poiché la parte principale della massa di un atomo deriva dai protoni e neutroni, la massa totale di tali particelle in un atomo è chiamato numero di massa. Come unità di massa atomica si usa la dodicesima parte della massa di un atomo di carbonio-12 (12C); tale unità è chiamata Dalton (Da) e vale approssimativamente 1,66 · 10-27 kg. Dimensione atomica Gli atomi non hanno un limite ben definito, per questa ragione le dimensioni sono normalmente descritte in termini delle distanze che i nuclei hanno quando due atomi sono uniti in un legame chimico. Per questa ragione il raggio varia con la posizione degli atomi nella tavola periodica degli elementi, il tipo di legame chimico, il numero di atomi vicini (il numero di coordinazione) e persino lo spin. Nella tavola periodica degli elementi la dimensione degli atomi tende ad aumentare quando ci si muove in basso lungo le colonne, mentre diminuisce andando da sinistra a destra. Di conseguenza l'atomo più piccolo è l'elio con un raggio di 32 pm, mentre uno degli elementi più grandi è il cesio con 225 pm di raggio. Queste dimensioni sono migliaia di volte più piccole della lunghezza d'onda della luce (400 – 700 nm) per questa ragione non possono essere visti con un microscopio ottico. Mentre possono essere visti con microscopi elettronici a trasmissione (TEM) o microscopi tunnel a scansione. 37 Atomo 38 Alcuni esempi mostrano la piccola dimensione di un atomo. Il diametro di un tipico capello umano corrisponde a circa un milione di atomi di carbonio in fila. Una goccia d'acqua contiene 2 · 1021 atomi di ossigeno e 4 · 1021 atomi di idrogeno. Se una mela diventasse della dimensione della terra, gli atomi nella mela sarebbero approssimativamente delle dimensioni della mela originale. Note [1] [2] [3] [4] [5] [6] L'atomismo era una corrente filosofica e non una teoria scientifica, in quanto queste considerazioni non derivavano da evidenze sperimentali. Queste ultime due proposizioni verranno smentite in seguito dai risultati della Fisica nucleare e subnucleare. Caforio e Ferilli, PHYSICA 3, Ed. Le Monnier, pag. 251 Silvestroni, op. cit., p. 2 Il fenomeno dell'annichilazione invece avviene tra particella e antiparticella. per approfondire si veda l'atomo di Bohr. Questa idea, non compatibile con le leggi della fisica classica di Newton, si fondava sulle idee dell'allora nascente meccanica quantistica. Il modello di Bohr spiegava molto bene l'atomo di idrogeno, ma non quelli più complessi. Sommerfeld propose allora una correzione al modello di Bohr, secondo cui si aveva una buona corrispondenza fra la teoria e le osservazioni degli spettri degli atomi. Uno spettro è l'insieme delle frequenze delle radiazioni elettromagnetiche emesse o assorbite dagli elettroni di un atomo. [7] L'elettrone, il protone e il neutrone non sono le uniche particelle subatomiche; infatti dopo la loro scoperta seguirono le scoperte di molte altre particelle subatomiche. [8] Nel suo complesso ogni atomo presenta quindi carica elettrica nulla. [9] nell'acqua pesante gli atomi di idrogeno sono completamente sostituiti da quelli di deuterio. Bibliografia • Paolo Silvestroni, Fondamenti di chimica, 10a ed., CEA, 1996. ISBN 88-408-0998-8 • Isaac Asimov, 5 in Breve storia della chimica - Introduzione alle idee della chimica, Bologna, Zanichelli [1965], 1968. ISBN 88-08-04064-X Voci correlate • • • • • • • • • • Elettrone Protone Neutrone Quark Numero di Avogadro Storia della chimica Atomo di Bohr Atomismo Particella elementare Superatomo Altri progetti • • • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Atom Wikiquote contiene citazioni: http://it.wikiquote.org/wiki/Atomo Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/Atomo Molecola 39 Molecola In fisica, in particolare in fisica dello stato solido, una molecola, dal latino scientifico molecula, derivato a sua volta da moles, che significa "mole", "piccola quantità", è un insieme di almeno due atomi (dello stesso elemento o di elementi diversi) uniti da un legame chimico covalente.[1][2] Le molecole sono i costituenti fondamentali della maggior parte della materia organica presente nell'universo, oltre che degli oceani e dell'atmosfera terrestre. Nonostante la maggior parte delle sostanze solide che costituiscono la Terra contengano legami covalenti, tuttavia, non è possibile identificare singole molecole all'interno di esse. Modello della molecola del saccarosio (principale componente dello zucchero da tavola) Nella teoria cinetica dei gas il termine "molecola" è spesso usato per indicare qualsiasi particella gassosa indipendentemente dalla sua composizione; secondo tale definizione i gas nobili sono considerati molecole, nonostante siano composti da singoli atomi.[3] Una molecola può essere composta da più atomi di un solo elemento chimico o da atomi di elementi diversi. Molecole costituite dagli stessi atomi, ma disposti nello spazio in maniera diversa sono dette isomeri. Tale disposizione definisce anche le proprietà fisiche della sostanza. Dinamica molecolare Le proprietà fondamentali delle molecole sono determinate delle leggi che governano il moto dei corpi dai quali sono composte. Tali leggi consentono di spiegare l'interazione tra gli atomi di una molecola e tra molecole diverse, permettendo di conoscere la natura dei legami fisici e chimici che stanno alla base dello studio della materia. Lo studio della dinamica molecolare si basa sull'approssimazione di Born-Oppenheimer, anche detta approssimazione adiabatica, che permette di poter considerare il moto dei nuclei indipendente da quello degli elettroni, dal momento che i primi sono estremamente più lenti e pesanti dei secondi. Questo rende possibile la fattorizzazione della funzione d'onda totale della molecola:[4][5] dove il pedice e indica la funzione d'onda degli elettroni, il pedice n dei nuclei, ed e sono rispettivamente le posizioni di nuclei ed elettroni. Tale funzione d'onda soddisfa l'equazione agli autovalori: dove è l'energia cinetica degli elettroni, elettroni, quella dei nuclei, l'interazione coulombiana tra gli elettroni e La precedente espressione è ottenuta grazie al fatto che l'operatore l'interazione coulombiana tra nuclei ed quella tra i nuclei. , contenuto nel termine , non agisce sulle coordinate dei nuclei. La funzione d'onda degli elettroni, nell'approssimazione adiabatica, soddisfa l'equazione agli autovalori: La funzione d'onda dei nuclei, invece, è ricavata a partire dall'equazione totale, che esplicitanto l'operatore impulso diventa: Molecola 40 Essendo che: Si ottiene: Andamento del potenziale adiabatico in funzione della distanza di separazione tra i nuclei in una molecola biatomica che, trascurando per l'approssimazione adiabatica il termine: diventa, inserendo la soluzione dell'equazione elettronica: che è l'equazione del moto dei nuclei. Il potenziale che guida il moto dei nuclei: è detto potenziale adiabatico, e sta alla base della dinamica della molecola. Dall'espressione del potenziale adiabatico si evince che la dinamica dei nuclei è guidata dall'energia fornita dall'equazione elettronica: questo termine è fondamentale, dal momento che rappresenta il "collante" che tiene uniti i nuclei degli atomi che compongono la molecola.[6] Per le molecole biatomiche il potenziale adiabatico è un potenziale armonico, e può essere approssimato dal potenziale di Morse, che a differenza dell'oscillatore armonico quantistico include esplicitamente gli effetti della rottura del legame chimico, come l'esistenza di stati non legati. Molecola 41 Molecole biatomiche Le molecole diatomiche sono composte da due atomi, e si distinguono in molecole omonucleari, quando gli atomi sono dello stesso elemento chimico, ed eteronucleari, quando invece gli atomi differiscono. La molecola H2+ Le molecole diatomiche omonucleari sono composte da due atomi dello stesso elemento chimico; la più semplice di queste è H2+, per la quale l'equazione elettronica assume la forma:[7] Orbitale molecolare di legame Orbitale molecolare di antilegame dove , il secondo ed il terzo termine rappresentano l'attrazione Vne dell'elettrone nei confronti dei nuclei ed il quarto la repulsione dei due nuclei. I due protoni formano due buche di potenziale, e la funzione d'onda dell'elettrone è la combinazione lineare di due funzioni d'onda idrogenoidi :[8] La funzione d'onda [9] antilegame. Le funzioni costituisce l'orbitale molecolare di legame, la funzione costituisce l'orbitale di L'orbitale di legame ha energia minore dell'orbitale di antilegame, ed è per questo il più probabile. , sebbene descrivano bene la distribuzione di probabilità dell'elettrone nello stato fondamentale, non sono soluzioni esatte dell'equazione elettronica. La funzione d'onda , nello spazio tra i due nuclei, è maggiore delle singole funzioni d'onda idrogenoidi , ed è questo fatto che genera il legame covalente tra i due nuclei. Si nota infatti che la densità di probabilità associata alla funzione d'onda: Molecola 42 contiene un termine di interazione, il doppio prodotto, che rappresenta la sovrapposizione delle due funzioni d'onda: si tratta di una regione di carica negativa che unisce i due nuclei di carica opposta. Per quanto riguarda l'orbitale di antilegame , esso si annulla a metà tra i due nuclei, dove genera una densità di probabilità minore di quella che avrebbe senza il termine di sovrapposizione. La molecola H2 Si consideri ora la molecola H2, la più semplice molecola neutra. Avendo due elettroni, la funzione d'onda elettronica di singoletto è data da:[10] Orbitale di legame di H2 Orbitale di antilegame di H2 e rappresenta l'orbitale di legame, mentre quella di tripletto da:[11] che rappresenta l'orbitale di antilegame, dove: e sono gli stati di spin, in cui + rappresenta lo spin-up, - lo spin-down. La densità di probabilità spaziale è:[11] Anche in questo caso il termine di interferenza rappresenta la sovrapposizione delle funzioni d'onda idrogenoidi nella regione tra i nuclei, e comporta un aumento di carica nel caso di singoletto (segno +), ed una diminuzione di carica nel tripletto (segno -). Molecola 43 Molecole eteronucleari Nelle molecole eteronucleari la simmetria che caratterizzava le molecole omonucleari viene a mancare, e gli orbitali non sono una pura combinazione simmetrica e antisimmetrica degli orbitali atomici. In tali molecole gli orbitali possono essere approssimati con gli autostati di una matrice quadrata di dimensione 2:[12] La molecola biatomica eteronucleare dell'acido fluoridrico dove: è l'effettiva hamiltoniana di singolo elettrone mentre gli stati e sono gli orbitali corrispondenti rispettivamente all'atomo sinistro e destro. Gli autovalori associati alla matrice sono: Gli orbitali di legame e antilegame sono dati dagli autostati: con: per si ottiene la molecola omonucleare, ed il termine rappresenta lo splitting tra l'orbitale di legame e di antilegame di una molecola omonucleare, ovvero lo splitting tra le combinazioni simmetriche ed antisimmetriche.[12] Al crescere di gli autostati di legame e di antilegame assomigliano sempre più agli orbitali e dei singoli atomi, e lo stesso avviene per i rispettivi autovalori dell'energia.[13] Quando la differenza da comportare un trasferimento completo di carica tra i due atomi, il legame si dice ionico. è tale Molecola 44 Molecole poliatomiche Le molecole poliatomiche possiedono più di due atomi, che nella maggior parte dei casi sono diversi fra loro. La loro struttura è estremamente diversificata poiché le possibili combinazioni tra gli orbitali atomici che formano gli orbitali molecolari sono estremamente numerose. Oltre al legame che caratterizza le molecole biatomiche, nelle molecole poliatomiche gli orbitali atomici s e p si possono combinare fra loro per formare orbitali detti ibridi. La molecola dell'acqua Si riportano di seguito due esempi di molecole poliatomiche, l'acqua ed il metano: La molecola H2O Una delle più semplici molecole poliatomiche è quella dell'acqua, in cui l'ossigeno ha un orbitale p caratterizzato da una tripla degenerazione sui tre assi cartesiani, che genera due possibili configurazioni elettroniche: la prima è il caso in cui i 4 elettroni riempiono completamente due lobi dell'orbitale, lasciando il terzo vuoto, mentre la seconda è il caso in cui si abbiano due elettroni su un lobo, ed uno su ognuno dei restanti due. Tale orbitale può essere quindi scritto come 2pxpypz2, in cui si è supposto che il lobo diretto lungo l'asse z contenga due elettroni, e questo rende possibile la formazione di due legami covalenti, in cui ai lobi x e y si legano i due atomi di idrogeno.[14] Gli orbitali ibridi nella molecola di metano La molecola CH4 Il metano è una molecola con un orbitale ibrido. Il carbonio ha configurazione elettronica 1s22s22p2, e l'orbitale p e nel suo stato fondamentale può quindi legarsi con solo due atomi di idrogeno. La molecola di metano esiste, tuttavia, dal momento che un elettrone dell'orbitale 2s2 viene promosso all'orbitale p, sicché la configurazione elettronica diventa 1s22s2pxpypz, generando quattro elettroni disaccoppiati che possono legarsi ad altrettanti atomi di idrogeno. I quatro orbitali molecolari ibridi sono quindi una combinazione lineare degli stati , , , della forma:[15] La struttura della molecola di metano e formano un tetraedro con l'atomo di carbonio al centro. Orbitali e legami molecolari L'orbitale molecolare caratterizza la configurazione elettronica di una molecola, definendo la distribuzione spaziale e l'energia degli elettroni, ed è stato introdotto da Friedrich Hund[16][17] e Robert S. Mulliken[18][19] nel 1927 e 1928.[20][21] Un orbitale molecolare è rappresentato da una funzione d'onda il cui quadrato descrive la distribuzione di probabilità relativa alla posizione dell'elettrone. Tale funzione d'onda si ottiene dall'equazione d'onda che descrive l'intera molecola, che in generale non è di facile soluzione: questa problematica viene risolta mediante un'approssimazione che consiste nello scrivere l'orbitale molecolare come combinazione lineare degli orbitali atomici dei singoli atomi. Molecola 45 Tale approssimazione è descritta dalla teoria degli orbitali molecolari. L'ordine di legame è inoltre la semidifferenza tra il numero di elettroni leganti e il numero di elettroni antileganti. L'ordine di legame è un indice della forza del legame stesso e viene utilizzato estensivamente anche nella teoria del legame di valenza. Teoria degli orbitali molecolari La teoria degli orbitali molecolari è una tecnica per determinare la struttura molecolare in cui si pone che gli elettroni non siano assegnati a particolari legami chimici, ma siano trattati come oggetti che si muovono sotto l'influenza dei nuclei all'interno dell'intera molecola.[22] La funzione d'onda totale degli elettroni combinazione lineare: dove è quindi scritta come [23] sono gli orbitali atomici, e i coefficienti della sommatoria, ricavati risolvendo l'equazione di Schrödinger per ed applicando il principio variazionale. Le proprietà principali degli orbitali molecolari così definiti sono: • Il numero degli orbitali molecolari è pari al numero di orbitali atomici contenuti nella combinazione lineare dalla quale sono costituiti, poiché gli stati stazionari non si creano né si distruggono.[24] • Se la molecola possiede simmetrie, gli orbitali atomici degeneri, caratterizzati dalla stessa energia, sono raggruppati in combinazioni lineari che appartengono alla rappresentazione del gruppo di simmetria. Combinazione degli orbitali atomici 1s nella molecola biatomica omonucleare E2. In alto vi è la combinazioni antisimmetrica, che costituisce l'orbitale antilegante, in basso quella simmetrica, meno energetica, che costituisce l'orbitale legante. • Il numero di orbitali molecolari appartenenti alla rappresentazione di un gruppo è pari al numero di orbitali atomici appartenenti a tale rappresentazione. • All'interno di una particolare rappresentazione, gli orbitali atomici si mischiano maggiormente tanto più i loro livelli di energia atomici sono vicini. Rappresentazione degli orbitali molecolari La nomenclatura degli orbitali molecolari ricalca quella degli orbitali atomici: quando un orbitale ha simmetria cilindrica rispetto alla congiungente dei due nuclei, detta direzione di legame, viene indicato con la lettera greca ; quando si trova da parti opposte rispetto alla direzione di legame viene indicato con . Accanto alla lettera si scrive un indice che indica da quale tipologia di legame atomico è formato l'orbitale molecolare.[25] Vi è inoltre una terza tipologia di legame, denotato con , ottenuto dalla sovrapposizione di quattro lobi di due orbitali atomici. Esistono in questo caso due piani nodali siti fra i due Molecola 46 nuclei che contraggono tale legame. Il legame δ è riscontrato nel legame quadruplo, legame multiplo importante in chimica inorganica e che caratterizza complessi quale [Re2Cl10]4- o altri tipi di cluster. L'orbitale di antilegame si denota inoltre con un asterisco, ad esempio la molecola H2 possiede un orbitale di legame ed un orbitale di antilegame . Combinazione degli orbitali atomici 2p e 2s nella molecola biatomica omonucleare O2. In alto vi sono le combinazioni degli orbitali atomici 2p, in basso quelle degli orbitali 2s. • Nelle molecole biatomiche omonucleari gli elettroni riempiono gli orbitali con lo stesso schema con cui avviene il riempimento degli orbitali atomici, con l'uinica eccezione che tra gli orbitali derivanti dagli orbitali atomici 2p, gli orbitali , hanno energia minore degli orbitali a causa del fatto che la repulsione coulombiana degli orbitali derivati dagli orbitali atomici 1s e 2s aumenta l'energia degli stati . Questo è dovuto al fatto che gli elettroni dei due legami sono situati nella regione tra i due nuclei, e pertanto si respingono; nelle molecole più pesanti dell'ossigeno gli orbitali hanno energia minore e sono situati in prossimità dei nuclei, pertanto il naturale ordinamento energetico è ristabilito. La combinazione lineare delle funzioni d'onda che forma l'orbitale molecolare è rappresentata a lato, dove sono schematizzate la molecola He2 e la molecola O2, la quale ha configurazione elettronica: .[26] • Nel caso di molecole biatomiche eteronucleari, se il numero atomico dei due atomi differisce di poco il procedimento che forma gli orbitali è lo stesso delle molecole omonucleari. Vi è tuttavia una differenza di elettronegatività tra i due atomi, e ciò implica la presenza di un dipolo elettrico tra di essi dovuto al fatto che gli elettroni si distribuiscono nelle vicinanze dell'atomo più elettronegativo:[27] il legame che si viene a formare prende il nome di covalente polare. Molecola 47 Tale legame viene rappresentato come in figura a lato, e si può notare che gli elettroni di hanno energia maggiore, e costituiscono un orbitale detto HOMO (Highest Occupied Molecular Orbital), mentre gli elettroni di e costituiscono gli orbitali vuoti a minore energia detti La molecola del monossido di carbonio CO LUMO (Lowest Unoccupied Molecular Orbital). L'orbitale LUMO è il centro in cui la molecola può subire un attacco nucleofilo di una base di Lewis, e si tratta quindi del centro di acidità di Lewis. Viceversa, HOMO è il centro di basicità di Lewis della molecola, e può subire un attacco elettrofilo. Se la differenza di elettronegatività è maggiore di un valore convenzionale fissato a 1,9 vi è un trasferimento completo di carica tra i due atomi, cioè la nuvola elettronica può considerarsi come spostata completamente sull'elemento più elettronegativo. Tale legame prende il nome di legame ionico. Se il numero atomico dei due atomi differisce di molto accade che gli orbitali molecolari si formino tra orbitali atomici con energia simile, invece che dello stesso tipo.[28] • All'aumentare del numero di atomi convolti diventa complessa la caratterizzazione degli orbitali, a nell'ambito della teoria degli orbitali molecolari sono stati sviluppati diversi metodi di calcolo degli orbitali, tra i quali vi sono il Metodo di Hückel, proposto da Erich Hückel nel 1930, consiste in un semplice metodo LCAO utilizzato per la determinazione delle energie degli orbitali molecolari di sistemi π rappresentati da idrocarburi con legami coniugati, risultando applicabile a molecole quali ad esempio l'etilene, il benzene e il butadiene.[29][30] La nota regola di Hückel trae origine da queste basi. Il metodo di Hückel esteso, sviluppato da Roald Hoffmann, rappresenta invece la base delle regole di Woodward-Hoffmann[31] ed è un'estensione a tutti gli orbitali di valenza. Negli anni successivi il metodo fu reso applicabile anche agli eterocicli come la piridina, il pirrolo e il furano.[32] Vi è infine il metodo di Pariser–Parr–Pople, che sfrutta metodi semi-empirici della chimica quantistica nell'ambito della chimica organica. Moti interni nelle molecole biatomiche I nuclei sono soggetti al potenziale adiabatico definito in precedenza, che nelle molecole biatomiche è indipendente dalla posizione del centro di massa della molecola e dall'orientazione della retta congiungente i due nuclei. Il potenziale gode quindi di invarianza rispetto alle traslazioni ed alle rotazioni, e il moto dei nuclei può essere studiato come un problema a due corpi, sicché l'equazione di Schrödinger può essere separata in moto radiale, dipendente dalla distanza tra i due nuclei, e moto orbitale, dipendente dal numero quantico orbitale. L'equazione di Schrödinger nel caso di un moto in un campo centrale è: dove indica la posizione del centro di massa e rispettive posizioni. la posizione relativa dei due nuclei, differenza delle Molecola 48 Il problema può essere quindi separato in due equazioni, una per il centro di massa ed una per la particella di massa μ che si muove in un campo centrale rispetto al centro di massa. La funzione d'onda si può quindi fattorizzare nel seguente modo: . L'equazione per , che rappresenta il problema della particella della molecola. L'equazione per si può ulteriormente fattorizzare in parte radiale, dipendente da r, e parte angolare, dipendente dalle coordinate angolari: La soluzione per . sono le armoniche sferiche, ed i rispettivi stati sono autostati del momento angolare orbitale e della sua componente lungo l'asse z. L'equazione per è invece, detta :[33] dove il secondo termine rappresenta il contributo energetico rotazionale , che dipende dal numero quantico orbitale l. Il potenziale adiabatico può essere inoltre sviluppato in serie di Taylor, che troncata al secondo ordine è:[5] dove è il valore di che minimizza , e rappresenta la posizione di equilibrio dei due nuclei. Tale espressione rappresenta un moto armonico attorno a dell'equazione elettronica contenuta in Detta la lunghezza caratteristica data dalla relazione e detta , dell'equazione per dove grado le che fornisce un contributo energetico dato dall'energia e dall'energia vibrazionale . soluzioni sono: è il polinomio di Hermite di . Lo spettro energetico contiene in definitiva tre termini: Tali termini sono i contributi energetici che caratterizzano la dinamica della molecola biatomica, e nello specifico sono:[5][34] • Il contributo elettronico, dato dal termine di , che definisce la profondità Livelli energetici di una molecola: per ogni livello elettronico, associato ad una superficie adiabatica, vi sono diversi livelli vibrazionali, e per ogni livello vibrazionale vi sono diversi livelli rotazionali. della buca di potenziale generata dai due nuclei, responsabile del legame chimico. I livelli energetici associati a questo termine sono detti superfici adiabatiche, e corrispondono ai diversi stati energetici degli elettroni. Gli elettroni che vengono promossi da un orbitale ad un altro, ad esempio da un orbitale di legame ad uno di antilegame, effettuano una transizione Molecola 49 tra due valori e del potenziale adiabatico. Tali transizioni sono dell'ordine di 10 eV, e a differenti superfici adiabatiche corrispondono anche diversi valori di . Le transizioni elettroniche tra due di tali superfici sono inoltre accompagnate da transizioni tra diversi stati vibrazionali e rotazionali. • Il contributo vibrazionale, meno energetico del precedente, che nell'approssimazione di moto armonico fornita dall'esclusione dei termini superiori al secondo ordine nel precedente sviluppo di è dato dagli autovalori dell'oscillatore armonico quantistico: dove è la costante di Planck e Rappresentazione dei livelli energetici vibrazionali all'interno di una superficie adiabatica, approssimata dal potenziale di Morse. In verde il potenziale ed i rispettivi livelli eccitati dell'oscillatore armonico corrispondente. la frequenza angolare dell'oscillazione intorno a . La frequenza è data da: con e la massa ridotta dell'oscillatore a due corpi, data dal rapporto tra il prodotto e la somma delle masse dei due nuclei. Tale contributo descrive il moto armonico dei due nuclei intorno alla posizione di equilibrio, e transizioni tra due livelli vibrazionali sono dell'ordine del decimo di eV. • Il contributo rotazionale, il meno energetico dei tre, fornito dall'equazione angolare dell'atomo di idrogeno, pari a: dove è il momento angolare orbitale e il momento d'inerzia. Tale contributo è generalmente dell'ordine dei meV, ed è calcolato assumendo In conclusione, quindi, l'energia interna di una molecola biatomica è: dove i termini sono elencati in ordine di importanza. . Molecola 50 Moti interni nelle molecole poliatomiche Nelle molecole poliatomiche il calcolo dello spettro energetico può essere molto complesso. Le simmetrie della molecola giocano spesso un ruolo determinante al fine di ottenere gli autovalori dell'energia vibrazionale e rotazionale. Moto vibrazionale Nelle molecole poliatomiche l'energia cinetica data dal moto vibrazionale è espressa come: dove le coordinate cartesiane sono le posizioni del nucleo α-esimo rispetto alla posizione di equilibrio. Utilizzando coordinate mass–weighted: è possibile definire la matrice di elementi: E quindi, come nelle molecole biatomiche, l'energia vibrazionale può essere espressa come: dove è il vettore che ha per componenti Le equazioni del moto sono date dal sistema di equazioni differenziali: Ogni atomo vibra con la stessa frequenza angolare, e tali frequenze sono dette modi normali di vibrazione, che si ottengono dalle radici dell'equazione caratteristica per la matrice : Moto rotazionale Considerando la moelcola un corpo rigido, è possibile definire il momento d'inerzia attorno a un asse a come: Gli assi d'inerzia di una molecola sono tre, e i rispettivi momenti d'inerzia sono Se , il corpo rigido è detto asymmetrical top, se , , è detto symmetrical top, mentre se è detto spherical top. All'interno dei corpi rigidi symmetrical top, se oblato , si tratta di una molecola piatta, come il benzene, se invece . il copo è detto è detto prolato, e si tratta di una molecola allungata, come il pentacloruro di fosforo. L'energia cinetica è data da: dove , ed sono le tre componenti dell'operatore momento angolare totale di rotazione della molecola lungo gli assi di inerzia a, b e c. • Nel caso di uno spherical top si ottiene immediatamente che gli autovalori dell'energia rotazionale sono: e la degenerazione degli autovalori è . Molecola 51 • Nel caso di un symmetrical top si ha: e dal momento che commuta con ogni sua componente e con , l'autofunzione associata all'energia vibrazionale è simultanea a questi tre operatori. L'energia rotazionale è data allora da: con degenerazione se m è diverso da zero, se è invece nullo. • Il caso di asymmetrical top è più complesso, ed è necessario diagonalizzare la matrice di nella basse delle autofunzioni di L e Lz. Spettro elettromagnetico molecolare Lo spettro elettromagnetico molecolare è generato dalle transizioni tra due autostati dell'energia totale. Nel caso si studi lo spettro di emissione la molecola passa da uno stato eccitato allo stato fondamentale, mentre nel caso si studi lo spettro di assorbimento si osserva la transizione inversa. Tale passaggio comporta l'emissione o l'assorbimento di un fotone, la cui frequenza è data dalla legge di Planck: dove è la differenza di energia tra i due stati di partenza e arrivo: Le transizioni elettroniche dallo stato fondamentale ai primi stati eccitati sono dell'ordine di alcuni eV, e sono osservate nella regione del visibile e dell'ultravioletto dello spettro elettromagnetico, mentre le transizioni roto-vibrazionali sono osservate nella regione dell'infrarosso.[35] Le transizioni tra due autostati dell'energia totale vengono studiate attraverso le transizioni tra autostati del momento di dipolo elettrico, definito come:[5] con e la carica dell'elettrone. Tale operatore è esplicitato dall'espressione: Diagramma delle transizioni energetiche roto-vibrazionali in una molecola tra due stati vibrazionali. Le transizioni del Q branch non sono permesse, in quanto non è permesso, mentre si ha per il P branch e per il Q branch. Molecola dove 52 è l'operatore di momento dipolare elettronico della molecola: Ognuno dei livelli vibrazionali che caratterizzano una superficie adiabatica è associato a diversi stati rotazionali. Nel diagramma spettroscopico le transizioni rotazionali costituiscono due rami: il primo è detto R Branch, e rappresenta le transizioni rotazionali tra i numeri quantici , mentre il secondo, detto P branch, rappresenta le transizioni . Tra i due rami vi è un vuoto, motivato dal fatto che la transizione è proibita [36] dalle regole di selezione. Quando la transizione viene effettuata da un elettrone, essa genera anche transizioni tra autostati dell'energia roto-vibrazionale dei nuclei: tali transizioni sono dette vibroniche, e sono causate dal fatto che a due differenti superfici adiabatiche corrispondono geometrie diverse della molecola. In particolare, nelle molecole biatomiche, corrispondono a distanze internucleari differenti. Spettro nucleare Spettro nelle molecole biatomiche Nel caso di molecole biatomiche omonucleari il momento di dipolo elettrico è nullo per motivi di simmetria,[37] e questo fatto spiega la trasparenza dell'atmosfera terrestre, composta prevalentemente da O2 e N2. Nelle molecole biatomiche eteronucleari, invece, l'elemento di matrice della componente lungo l'asse z del Spettro di assorbimento rotovibrazionale della molecola di HCl nella transizione tra lo stato fondamentale ed il primo stato eccitato: a sinistra l'R Branch e a destra il P branch. momento di dipolo è:[5] dove sono gli autostati simultanei dell'energia vibrazionale e rotazionale. Lo stesso accade per le componenti x e y. Dalle proprietà delle armoniche sferiche e dallo sviluppo di attorno alla distanza di equilibrio si ottengono le regole di selezione: che definiscono le transizione permesse tra autostati dell'operatore associato all'osservabile dipolo elettrico. Spettro nelle molecole poliatomiche L'operatore di momento dipolare elettronico di una molecola poliatomica è dato da:[5] in cui sono i versori degli assi d'inerzia. Il momento di dipolo elettrico diventa: Detto il vettore delle coordinate normali, le cui componenti sono: Molecola ed espandendo in serie di Taylor 53 attorno alla posizione di equilibrio: si ottengono i due termini che generano le transizioni. Le transizioni dovute al primo termine del secondo membro sono nella regione delle microonde dello spettro, mentre le transizioni dovute al secondo termine nell'infrarosso. Il secondo termine fornisce inoltre le regole di selezione relative all'osacillatore armonico corrispondente: . Per quanto riguarda lo spettro rotazionale, si ha che gli spherical top ed i symmetrical top planari hanno dipolo nullo, e pertanto non generano transizioni di dipolo. Nel caso di symmetrical top non planari, il dipolo è diretto lungo l'asse di simmetria, e le transizioni tra autostati degli operatori , ed sono rispettivamente: e si rilevano nella regione delle microonde dello spettro. Spettro elettronico Una transizione elettronica molecolare consiste in una transizione da parte dell'elettrone tra due superfici adiabatiche. Tali transizioni sono simili a quelle atomiche, e consistono nella promozione di un elettrone da un orbitale molecolare ad un altro orbitale vuoto.[35] Le regole di selezione si ricavano osservando che l'operatore di spin totale: commuta con l'hamiltoniana elettronica e con , l'operatore di dipolo non agisce sullo spin, e pertanto si ha che .[5] Per l'operatore di momento angolare nelle molecole biatomiche: Transizioni elettroniche tra due superfici adiabatiche approssimate dal potenziale di Morse, in cui si evidenzia la sovrapposizione delle funzioni d'onda che sta alla base del principio di Franck Condon. solo la componente lungo l'asse z commuta con , ottenendo che , mentre per le altre due componenti si ricava che . In definitiva si ha: Il principio di Franck Condon Il principio di Franck Condon afferma la probabilità associata ad una transizione vibrazionale, data da: aumenta all'aumentare della sovrapposizione delle funzioni d'onda dei rispettivi stati iniziale e finale. Questo comporta che i livelli vibrazionali associati allo stato finale sono favoriti nel momento in cui la transizione comporta un cambiamento minimo nelle coordinate nucleari. Una conseguenza del principio è che, ad esempio, come mostrato nella figura a sinistra, se le funzioni d'onda tra lo stato fondamentale della superficie adiabatica iniziale e il secondo Molecola stato eccitato della superficie adiabatica finale si sovrappongono, tale transizione è più probabile delle altre dal momento che minimizza la variazione delle coordinate dei nuclei. Note [1] [2] [3] [4] [5] Pauling, Linus, op. cit. Ebbin, Darrell, op. cit. Sulekh Chandra, Comprehensive Inorganic Chemistry, New Age Publishers. ISBN 8122415121 Manini, op. cit., Pag. 61 Renzo Cimiraglia - Note al corso di Spettroscopia Molecolare (http:/ / chim183. unife. it/ chifi3/ files/ chifi3. pdf). URL consultato il 15 novembre 2010. [6] Manini, op. cit., Pag. 62 [7] Brehm, Mullins, op. cit., Pag. 503 [8] Brehm, Mullins, op. cit., Pag. 504 [9] Brehm, Mullins, op. cit., Pag. 507 [10] Brehm, Mullins, op. cit., Pag. 509 [11] Brehm, Mullins, op. cit., Pag. 510 [12] Manini, op. cit., Pag. 70 [13] Manini, op. cit., Pag. 71 [14] Brehm, Mullins, op. cit., Pag. 521 [15] Brehm, Mullins, op. cit., Pag. 522 [16] F. Hund, "Zur Deutung einiger Erscheinungen in den Molekelspektren" [On the interpretation of some phenomena in molecular spectra] Zeitschrift für Physik, vol. 36, pages 657-674 (1926). [17] F. Hund, "Zur Deutung der Molekelspektren," Zeitschrift für Physik, Part I, vol. 40, pages 742-764 (1927); Part II, vol. 42, pages 93-120 (1927); Part III, vol. 43, pages 805-826 (1927); Part IV, vol. 51, pages 759-795 (1928); Part V, vol. 63, pages 719-751 (1930). [18] R. S. Mulliken, "Electronic states. IV. Hund's theory; second positive nitrogen and Swan bands; alternate intensities," Physical Review, vol. 29, pages 637 - 649 (1927). [19] R. S. Mulliken, "The assignment of quantum numbers for electrons in molecules," Physical Review, vol. 32, pages 186 - 222 (1928). [20] Friedrich Hund and Chemistry, Werner Kutzelnigg, on the occasion of Hund's 100th birthday, Angewandte Chemie, 35, 573 - 586, (1996) [21] Robert S. Mulliken's Nobel Lecture, Science, 157, no. 3785, 13 - 24, (1967). [22] Daintith, J., Oxford Dictionary of Chemistry, New York, Oxford University Press, 2004. ISBN 0-19-860918-3 [23] Licker, Mark, J., McGraw-Hill Concise Encyclopedia of Chemistry, New York, McGraw-Hill, 2004. ISBN 0-07-143953-6 [24] Spinicci, op. cit., Pag. 185 [25] Spinicci, op. cit., Pag. 181 [26] Spinicci, op. cit., Pag. 182 [27] Spinicci, op. cit., Pag. 187 [28] Spinicci, op. cit., Pag. 188 [29] E. Hückel, Zeitschrift für Physik, 70, 204, (1931); 72, 310, (1931); 76, 628 (1932); 83, 632, (1933) [30] Hückel Theory for Organic Chemists, C. A. Coulson, B. O'Leary and R. B. Mallion, Academic Press, 1978 [31] Stereochemistry of Electrocyclic Reactions R. B. Woodward, Roald Hoffmann J. Am. Chem. Soc.; 1965; 87(2); 395-397 [32] Andrew Streitwieser, Molecular Orbital Theory for Organic Chemists, Wiley, New York, 1961 [33] Brehm, Mullins, op. cit., Pag. 523 [34] Manini, op. cit., Pag. 76 [35] Manini, op. cit., Pag. 79 [36] Manini, op. cit., Pag. 78 [37] Brehm, Mullins, op. cit., Pag. 528 54 Molecola Bibliografia • (EN) John Brehm; William J. Mullins, Introduction To The Structure Of Matter: A Course In Modern Physics, Greenville, NC, U.S.A., John Wiley & Sons, 1989. ISBN 978-0-471-60531-7 • (EN) Nicola Manini, Introduction to the Physics of Matter, Milano, CUSL, 2008. ISBN 978-88-8132-552-8 • Roberto Spinicci, Elementi di Chimica, Firenze, Firenze University Press, 2009. ISBN 978-88-6453-062-8 • (EN) Pauling, Linus, General Chemistry, New York, Dover Publications, Inc., 1970. ISBN 0486656225 • (EN) Ebbin, Darrell, D., General Chemistry, 3rd Ed., Boston, Houghton Mifflin Co., 1990. ISBN 0395433029 • (EN) Brown, T.L., Chemistry – the Central Science, 9th Ed., New Jersey, Prentice Hall, 2003. ISBN 0130669970 • (EN) Chang, Raymond, Chemistry, 6th Ed., New York, McGraw Hill, 1998. ISBN 0071152210 • (EN) Zumdahl, Steven S., Chemistry, 4th ed., Boston, Houghton Mifflin, 1997. ISBN 0669417947 Voci correlate • • • • Atomo Composto organico Formula chimica Macromolecola • • • • • • • Molecola biatomica omonucleare Interazione debole Isomeria Legame chimico Simmetria molecolare Storia della chimica Orbitale molecolare Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/ Category:Molecules • Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/Molecola 55 Stato della materia Stato della materia Con stato della materia o stato di aggregazione si intende una classificazione convenzionale dello stato di aggregazione della materia a seconda delle sue proprietà meccaniche. Tre stati classici La distinzione tra gli stati della materia viene storicamente fatta basandosi sulle seguenti differenze qualitative: • un materiale allo stato solido ha un volume e una forma propria; • un materiale allo stato liquido ha un volume proprio, ma acquisisce la forma del recipiente che lo contiene; • un materiale allo stato gassoso non ha né volume né forma propria, ma si espande fino a occupare tutto lo spazio disponibile. Solido Nello stato solido i costituenti della materia sono legati da forze molto intense che consentono soltanto moti di vibrazione, nella maggior parte dei casi le molecole si distribuiscono secondo un reticolo cristallino o in maniera amorfa. L'unico modo per variare la forma di un solido consiste nell'applicazione di forze abbastanza intense da spezzare i legami, causando però la rottura o il taglio del corpo. Liquido Nello stato liquido le forze agenti tra i costituenti sono meno intense ed essi sono liberi di scorrere gli uni sugli altri. Un liquido va incontro a variazioni di volume molto meno marcate rispetto ai gas [1] e tende ad assumere la forma del recipiente nel quale è contenuto. 56 Stato della materia Aeriforme Nello stato aeriforme le interazioni sono estremamente deboli ed ai costituenti è consentito muoversi indipendentemente, non hanno dunque forma propria e tendono ad espandersi ed occupare tutto il volume disponibile, risultando comprimibili. Particolari aeriformi sono i gas, i vapori e i fluidi supercritici. Altri stati Nella scienza moderna in realtà questa semplice classificazione risulta inadeguata a descrivere esaustivamente le numerose possibilità che ha la materia di organizzarsi. Il plasma è stato probabilmente il primo nuovo stato della materia ad essere aggiunto a questa catalogazione,[2] ma ce ne sono molti altri, i quali compaiono in condizioni particolari di temperatura e pressione come i vari tipi di ghiaccio (denominati ghiaccio I, ghiaccio II, ghiaccio III e così via fino al ghiaccio XII) e lo stato superfluido che l'elio raggiunge a bassissime temperature. Altri stati della materia di moderna concezione sono lo stato supercritico, superfluido, supersolido, colloidale, neutronio, materia fortemente simmetrica, materia fortemente asimmetrica, materia strana, condensato chirale, materia degenere, plasma di quark e gluoni, condensato di Bose-Einstein e lo stato di cristallo liquido. Cambiamenti di stato Con i precedenti stati della materia, qui sopra menzionati riscontriamo i passaggi di stato della materia: • • • • • • sublimazione: passaggio dallo stato solido a quello aeriforme o gassoso; brinamento: passaggio dallo stato gassoso a quello solido; fusione: passaggio dallo stato solido a quello liquido; solidificazione: passaggio dallo stato liquido a quello solido; evaporazione: passaggio dallo stato liquido a quello aeriforme; condensazione: passaggio dallo stato aeriforme a quello liquido. Note [1] tanto che nel linguaggio comune si dice impropriamente che il volume dei liquidi non varia, ma questo non è vero: piuttosto, a parità di variazione di temperatura ΔT o variazione di pressione ΔP, la variazione di volume nei liquidi è molto più bassa della variazione di volume nei gas. [2] Rolla, op. cit., p. 89 Bibliografia • Luigi Rolla, Chimica e mineralogia. Per le Scuole superiori, 29a ed., Dante Alighieri, 1987. Voci correlate • • • • • • • Cristalli liquidi Fase (chimica) Aeriforme Liquido Solido Plasma Fluido • Superfluido • Colloide • Stato supercritico 57 Stato della materia • Cambiamento di stato • Entalpia Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:State of aggregation Collegamenti esterni • Esperienze in laboratorio - Gli stati di aggregazione della materia ed i passaggi di stato (http://www.itchiavari. org/chimica/lab/stataggr.html) Miscela (chimica) In chimica si intende per miscela o miscuglio[1] l'insieme di più sostanze chimiche (composti chimici ed elementi chimici) che insieme conservano comunque inalterate le loro singole caratteristiche (come il colore, il sapore, l'odore) e lo stato fisico. Normalmente è assai improbabile che la materia si trovi sotto forma di sostanza pura; il più delle volte si presenta sotto forma di miscuglio o miscela. I componenti di un miscuglio possono essere solidi, liquidi o gassosi. Un esempio di miscuglio di sostanze gassose, liquide e solide è l'aria: i gas sono principalmente l'azoto, l'ossigeno e l'anidride carbonica, le particelle di polvere costituiscono la parte solida e le goccioline d'acqua costituiscono la parte liquida. Miscugli omogenei e eterogenei Un miscuglio è detto omogeneo (o fisico) se i suoi componenti non sono più distinguibili all'osservazione diretta e si presenta in un'unica fase.[2] Un miscuglio omogeneo in cui una sostanza è in netta prevalenza rispetto alle altre prende il nome di soluzione. Un esempio di miscugli omogenei è rappresentato dalle leghe. I miscugli omogenei possono essere separati solo attraverso passaggi di stato che coinvolgano i componenti in maniera differente. Ad esempio il sale disciolto nell'acqua costituisce un miscuglio omogeneo, e può essere separato riscaldando il miscuglio: in questa maniera l'acqua evapora, mentre il sale precipita sotto forma di solido (questo processo avviene nelle saline). Un miscuglio è eterogeneo (o meccanico) se è costituito da due o più fasi e i suoi componenti sono facilmente distinguibili.[2] La sospensione è un esempio di miscuglio eterogeneo. I miscugli eterogenei possono essere separati più facilmente dei miscugli omogenei, anche attraverso metodi meccanici.[2] Quando due o più sostanze si uniscono per formare un miscuglio, queste non modificano la loro intima struttura, come avviene invece nelle reazioni chimiche. Alcuni esempi di miscugli omogenei sono: • vino e acqua • acqua e sale. Alcuni esempi di miscugli eterogenei sono: • roccia • sale e pepe 58 Miscela (chimica) Classificazione delle miscele • Miscele omogenee: si presentano in un'unica fase (diametro delle particelle <1 nm) • Soluzioni • leghe • Miscele gassose • Miscele eterogenee: si presentano in più fasi (diametro delle particelle >1 nm) • Dispersioni (diametro delle particelle >1 μm) • • • • • schiume (fase dispersa:gas; fase continua:liquido) emulsioni (fase dispersa:liquido; fase continua:liquido) sospensioni (fase dispersa:solido; fase continua:liquido) nebbie (fase dispersa:liquido; fase continua:gas) fumi (fase dispersa:solido; fase continua:gas) • Colloidi (diametro delle particelle <1 μm) • emulsione colloidale (fase dispersa:liquido; fase continua:liquido) • aerosol liquido (fase dispersa:liquido; fase continua:gas) • • • • • • aerosol solido (fase dispersa:solido; fase continua:gas) schiuma colloidale (fase dispersa:gas; fase continua:liquido) sol (fase dispersa:solido; fase continua:liquido) schiuma solida (fase dispersa:gas; fase continua:solido) gel (fase dispersa:liquido; fase continua:solido) sospensione solida colloidale (fase dispersa:solido; fase continua:solido) Separazione dei componenti di un miscuglio Per separare due componenti di un miscuglio in laboratorio si possono utilizzare le seguenti tecniche: • filtrazione • decantazione • centrifugazione. La filtrazione è la separazione dei componenti di un miscuglio per mezzo di un filtro o di un setaccio. Alcuni particolari filtri servono anche per depurare l'aria; essi sono dotati di piccolissimi fori (detti "pori") che riescono a trattenere minuscole particelle di polvere. La filtrazione si applica per separare i liquido dai solidi, i solidi dai liquidi e i solidi dalle sostanze gassose. La decantazione è la separazione dei componenti di un miscuglio tramite la forza peso: quelli che hanno un peso specifico maggiore vanno a fondo, quelli che hanno peso specifico minore restano a galla. La decantazione si usa per separare i solidi dai liquidi, i solidi dai gas, due liquidi immiscibili. La centrifugazione sfrutta la forza centrifuga. Le fasi del miscuglio vengono separate attraverso la rapida rotazione a cui è soggetto il miscuglio stesso, dove le fasi di peso maggiore vengono convogliate verso l'esterno. Esistono anche altri tipi di separazione. Dal punto di vista industriale, la separazione di una miscela può avvenire seguendo una molteplicità di operazioni unitarie (ad esempio: distillazione, adsorbimento, assorbimento gas-liquido, estrazione, cristallizzazione). 59 Miscela (chimica) Note [1] In genere si preferisce il termine miscuglio quando almeno una delle fasicirconcise è un solido, mentre si preferisce il termine miscela nel caso di fasi fluide (gas o liquidi). [2] Rolla, op. cit., p. 10 Bibliografia • Luigi Rolla, Chimica e mineralogia. Per le Scuole superiori, 29a ed., Dante Alighieri, 1987. Voci correlate • • • • • Operazioni unitarie Soluzione (chimica) Dispersione (chimica) Colloide Miscelazione Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Chemical mixtures • Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/Miscela (chimica) Collegamenti esterni • I miscugli ed i composti (http://www.itchiavari.org/chimica/lab/miscugli.html) 60 Composto chimico 61 Composto chimico Un composto chimico è una sostanza formata da due o più elementi, con un rapporto fisso tra di loro che ne determina la composizione (composto stechiometrico). Generalmente si attribuisce la proprietà di composto ad un insieme di elementi sufficientemente stabile da poter essere isolato o studiato, anche se non raramente si parla di composto instabile riferendosi a composti dalla vita estremamente corta, come può essere per un intermedio di reazione. I concetti di "elemento chimico" e "composto chimico" furono illustrati da Robert Boyle nel 1661 nel suo libro Il chimico scettico (The Sceptical Chymist).[1] Flaconi contenenti vari composti chimici in un laboratorio chimico Proprietà In generale, il rapporto fisso deve essere determinato da proprietà chimiche o fisiche, piuttosto che da arbitrarie selezioni e scelte umane. Per esempio l'acqua è un composto chimico stabile formato da idrogeno e ossigeno in rapporto di due a uno, mentre sostanze come l'ottone e la cioccolata sono considerate miscugli e non composti chimici. La proprietà fondamentale del composto chimico è la sua formula chimica. La formula descrive il rapporto del numero di atomi nell'unità minima della sostanza. Per esempio, nella formula H2O (acqua) ci sono due atomi di idrogeno per ogni atomo di ossigeno. Fra le diverse fasi possibili della materia, un composto chimico deve possederne almeno una in cui sia possibile l'identificazione della struttura chimica. Tutti i composti chimici si disgregano in composti chimici più semplici od in singoli atomi se vengono riscaldati ad una temperatura sufficientemente alta. Questa viene chiamata temperatura di decomposizione. Normativa Ogni composto chimico che sia stato individuato e descritto nella letteratura scientifica, ha un suo numero di identificazione univoco detto numero CAS, mentre per l'Unione Europea nel momento in cui un composto viene immesso sul mercato deve possedere un identificativo detto numero EINECS. Gradi di purezze dei composti chimici • • • • Tecnico Reagente Standard primario Reagente speciale (es: per spettroscopia, per HPLC, ...) Composto chimico Tipi di composti chimici • • • • • • • • • Acidi Basi Composti organici Composti inorganici Composti ionici Composti non stechiometrici Composto idiocromatico Ossidi Sali Note [1] The Cambridge Dictionary of Scientists, op. cit. Bibliografia • The Cambridge Dictionary of Scientists - "Boyle, Robert (1627 - 1691)" (http://www.credoreference.com/ entry/dicscientist/boyle_robert_1627_1691) (in inglese), Cambridge, Cambridge University Press, 2002. Voci correlate • International Uniform Chemical Information Database Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Chemical compounds 62 Reazione chimica 63 Reazione chimica Una reazione chimica è una trasformazione della materia che avviene senza variazioni misurabili di massa, in cui uno o più reagenti iniziali modificano la loro struttura e composizione originaria per generare i prodotti coinvolgendo gli elettroni esterni attraverso la formazione o la rottura dei cosiddetti legami chimici. Alcuni processi in cui intervengono reazioni chimiche sono: • la corrosione del ferro a ruggine (che è composta da ossidi di ferro); • la combustione del metano o altri combustibili (il metano con l'ossigeno si trasforma in anidride carbonica e vapore acqueo); • la digestione (gli alimenti sono decomposti dai succhi gastrici in sostanze chimiche assimilabili dall'organismo); Reazione chimica tra acido cloridrico e ammoniaca, con produzione di cloruro di ammonio. • la solubilizzazione e la formaione di miscele negli stati liquidi e solidi genera reazioni di complessazione e di dissociazione. Premesse e definizioni della reazione chimica La materia è composta da atomi. Ogni atomo possiede proprietà peculiari, derivanti dalla sua struttura atomica. Gli atomi possono legarsi tra loro per formare le molecole. Un composto chimico è un tipo particolare di molecola nella quale gli atomi sono diversi tra loro. Ad esempio, l'ossigeno forma una molecola fatta con due atomi di ossigeno, mentre l'acqua è una molecola composta da due atomi di idrogeno legati ad un atomo di ossigeno, e quindi è anche un composto chimico. Le molecole si formano attraverso una reazione chimica, che consiste in una rottura e formazione di legami chimici tra atomi. Più in generale, le reazioni chimiche possono coinvolgere anche altre specie chimiche (ioni, radicali, ecc.) oltre le molecole. Le reazioni chimiche non provocano un cambiamento di natura della materia, perché non influenzano i suoi costituenti fondamentali (gli atomi) ma solo la maniera in cui sono aggregati in molecole; non influenzano nemmeno l'aggregazione di molecole simili, quindi le trasformazioni puramente fisiche, come i cambiamenti di stato (fusione, solidificazione, evaporazione, ebollizione, ecc.), l'usura e l'erosione, la frattura, ecc. non sono reazioni chimiche. Allo stesso modo, non fanno parte delle reazioni chimiche le trasformazioni dei nuclei atomici, cioè le reazioni nucleari. Purtuttavia tali reazioni assumono anche un certo interesse in chimica e vengono studiate dalla chimica nucleare. Le reazioni chimiche, dunque, riguardano esclusivamente le variazioni dei legami tra gli atomi (legame covalente, legame ionico, legame metallico). Reazione chimica Reazioni endotermiche ed esotermiche Una reazione può sviluppare calore, in tal caso è detta esotermica, o assorbire calore, ed essere quindi endotermica. Una reazione esotermica è quindi una reazione che comporta un trasferimento di calore dal sistema all'ambiente. Analogamente una reazione endotermica è una reazione che comporta un trasferimento di calore dall'ambiente al sistema. Necessita dunque di energia esterna per procedere. Il sistema è la parte dell'universo oggetto di studio (nel nostro caso sistema chimico, ad es. solvente, reagenti e prodotti presenti in un becher (che rappresenta il contorno del sistema), mentre l'ambiente è tutto ciò che circonda il sistema stesso. Sistema + ambiente costituiscono un sistema isolato: l'universo è un sistema isolato. Reagenti e prodotti I composti chimici presenti all'inizio della reazione sono detti reagenti, quelli che si ottengono alla fine della reazione sono invece i prodotti di reazione. I fenomeni che hanno luogo durante una reazione chimica vengono rappresentati mediante una equazione chimica. Un'equazione chimica è scritta in maniera simile ad un'equazione matematica, ed in essa compaiono due membri: al primo membro (cioè a sinistra della freccia o altro simbolo di reazione) compaiono i reagenti, mentre al secondo membro (cioè a destra della freccia o altro simbolo di reazione) stanno i prodotti. Una reazione non può avere luogo, o viene rallentata fino a fermarsi o addirittura a regredire se non è soddisfatta una serie di condizioni, come presenza dei reagenti in misura adeguata e condizioni di temperatura, pressione e luce adatte alla specifica reazione. Bilanciamento delle masse Dal postulato fondamentale di Lavoisier, che dice: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma ne deriva necessariamente che la somma delle masse dei reagenti è necessariamente uguale alla somma delle masse dei prodotti di reazione. Siccome la materia è costituita da atomi, anche il numero degli atomi a destra e a sinistra dell'equazione deve restare invariato.[1] Ad esempio nell'equazione: che rappresenta la reazione tra idrossido di sodio ed acido cloridrico per produrre cloruro di sodio, che conosciamo bene come sale da cucina, troviamo esattamente lo stesso numero di atomi dello stesso tipo sia nella parte sinistra (reagenti) che nella parte destra (prodotti) della reazione, ma combinati in maniera diversa. In questo caso, essendo questa una reazione tra un acido (HCl) e una base (NaOH) la reazione procederà verso la neutralizzazione completa, a meno che uno dei reagenti non sia in eccesso rispetto all'altro: in questo caso, la soluzione rimarrà acida o basica a seconda del reagente in eccesso. Bilanciamento delle cariche Oltre al bilanciamento delle masse, nelle equazioni chimiche deve essere soddisfatto il bilanciamento delle cariche.[1] Le reazioni chimiche infatti possono avvenire anche tra specie chimiche cariche elettricamente, dette ioni. Esempio Un esempio di reazione chimica in cui sono coinvolti ioni è la reazione di autoionizzazione dell'acqua: In questo caso si ha una carica positiva sulla specie H3O+ e una carica negativa sulla specie OH-, mentre a primo membro compare una specie neutra (avente carica nulla). Considerando i coefficienti stechiometrici, il bilancio delle cariche in questo caso può essere scritto come: 64 Reazione chimica 65 2×(0) = (+1) + (-1) ovvero: 0=0 Per cui si ha l'uguaglianza della somma delle cariche che competono ai reagenti rispetto alla somma delle cariche che competono ai prodotti, come deve essere. Reazioni catalizzate Alcune reazioni per avvenire hanno bisogno, o vengono facilitate, della presenza di una terza sostanza (rispetto a reagenti e prodotti) detta catalizzatore. Il catalizzatore permette o facilita la reazione, ma viene ritrovato invariato (o quasi) tra i prodotti di reazione. In biologia i catalizzatori sono denominati enzimi. Le trasformazioni che hanno luogo durante una reazione chimica spontanea portano ad una diminuzione dell'energia totale del sistema. In effetti, in una molecola o in un cristallo, l'organizzazione reciproca degli atomi implica un'energia, l'energia di legame; perché un legame venga rotto è necessario fornire al sistema una quantità di energia almeno pari all'energia di legame. Quando gli atomi si ricombinano, formando nuovi legami, tale energia viene liberata. Al termine di una reazione, l'energia immagazzinata nei legami dei prodotti di reazione è minore di quella inizialmente presente nei legami dei reagenti iniziali. Attivazione e velocità di reazione Durante la reazione, tuttavia, esiste un momento in cui i vecchi legami si sono rotti e quelli nuovi non si sono ancora formati, è lo stato di transizione dove l'energia del sistema è massima, cosa che costituisce una vera barriera per la realizzazione della reazione (vedi: energia di attivazione). Lo studio dell'aspetto energetico delle reazioni chimiche è la termodinamica, che ci permette di verificare se una reazione può o meno avere luogo e quanta energia è necessario fornire per superare la barriera dell'energia di attivazione; ma esiste un altro parametro importante: la velocità di reazione. Alcune reazioni sono molto rapide, addirittura violente, come le esplosioni, altre sono talmente lente che possono continuare per anni, o secoli. Alcune sono talmente lente che i reagenti coinvolti sembrano in realtà composti stabili, come nel caso dell'ossidazione dell'alluminio, si parla in tal caso di composti "metastabili" (la forma stabile, in ambiente con presenza di ossigeno, è l'ossido di alluminio, mentre quella metastabile è l'alluminio metallico); ad occuparsi di studiare la velocità di reazione è la cinetica chimica. Per quantificare la velocità di una reazione si utilizza il grado di avanzamento della reazione ξ, definito globalmente come la proporzione di miscela che ha già reagito (ξ=0 all'inizio della reazione, ξ=1 quando la reazione è completa). Si può così definire la velocità di reazione come la derivata del grado di avanzamento rispetto al tempo: . La reversibilità delle reazioni Alcune reazioni sono reversibili, cioè il guadagno di energia avuto con la reazione è minimo, in tal modo risulta possibile anche la reazione inversa; è questo il caso della dissociazione dell'acqua, H2O, negli ioni: H3O+ e OH-. In questi casi il sistema evolve in generale verso un equilibrio dinamico, ossia il valore di α rimane stabile e compreso tra 0 e 1, il numero di molecole che reagiscono in un senso è quindi compensato dal numero di molecole che reagiscono nell'altro. La cinetica di una reazione dipende da numerosi fattori, il più importante è la temperatura: l'energia termica permette sia di superare la barriera dell'energia di attivazione più facilmente, sia di avere un numero maggiore di collisioni tra Reazione chimica le molecole reagenti. Reazioni e stati della materia Un altro parametro importante è la fase in cui si trovano i reagenti. Da questo punto di vista le reazioni maggiormente favorite sono quelle in fase gassosa o liquida, dove i reagenti sono mescolati tra loro e possono facilmente venire a contatto. In tutti gli altri casi, cioè per reazioni tra: • • • • • un solido e un gas; un solido e un liquido; un solido e un solido; un liquido e un gas; due liquidi immiscibili; dette reazioni eterogenee, la reazione può aver luogo esclusivamente nei punti di contatto tra le due fasi, quindi sarà più veloce se i reagenti vengono dispersi l'uno nell'altro come nel caso di: • aerosol (fini gocce di liquido disperse in un gas); • emulsioni (dispersioni di gocce di un liquido in un altro immiscibile); • miscugli di polveri; • sol (dispersioni di polveri in un liquido); • schiume (bolle di gas disperse in un liquido). in questo modo vengono massimizzate le superfici di contatto tra i reagenti e quindi la possibilità di reazione. Per i solidi questo può esser quantificato misurando la superficie specifica, ossia la superficie esposta per unità di massa; una polvere o un solido poroso hanno elevati valori di superficie specifica. Tipi di reazioni chimiche A seconda del modo in cui si combinano i reagenti per dare luogo ai prodotti, si possono avere le seguenti tipologie di reazioni chimiche: • • • • Decomposizione: un reagente da luogo a più prodotti; Sintesi: più reagenti danno luogo a un prodotto; Sostituzione: un gruppo di una specie chimica viene sostituite da un altro gruppo; Metatesi: scambio di due o più ioni fra elementi e gruppi aventi la stessa valenza. Una reazione viene detta di ossido-riduzione (o redox) se durante il suo svolgimento alcune specie chimiche modificano il proprio numero di ossidazione.[2] Le reazioni che non sono di ossido-riduzione sono reazioni acido-base (ovvero i reagenti di tali reazioni sono un acido e una base). 66 Reazione chimica Note [1] Silvestroni, op. cit., p. 636 [2] Silvestroni, op. cit., p. 635 Bibliografia • Paolo Silvestroni, Fondamenti di chimica, 10a ed., CEA, 1996. ISBN 88-408-0998-8 • Luigi Rolla, Chimica e mineralogia. Per le Scuole superiori, 29a ed., Dante Alighieri, 1987. Voci correlate • • • • • • • Entropia Entalpia standard di reazione Legge di Hess Cinetica chimica Termochimica Reazione spontanea Processo spontaneo • • • • • • • • • • • • Processo endotermico Processo esotermico Processo unitario Reattore chimico Reazione di ossido-riduzione Reazione acido-base Reazione di neutralizzazione Reazione organica Reazione oscillante Reazione multicomponente Semireazione Sintomi di reazione Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Chemical reactions Collegamenti esterni • Le reazioni chimiche (http://www.itchiavari.org/chimica/lab/reazioni.html) 67 Processo chimico Processo chimico Il termine processo chimico viene impiegato per indicare una sequenza di una o più operazioni che realizzano la trasformazione di sostanze chimiche. I processi chimici si differenzia anzitutto in: • processi chimici di laboratorio: svolti nell'ambito di un laboratorio chimico; • processi chimici industriali: svolti su scala industriale • processi chimici naturali. I processi chimici naturali si realizzano in natura senza l'azione dell'uomo. A questa categoria appartengono ad esempio i processi chimici che avvengono naturalmente all'interno degli organismi viventi (tra cui il metabolismo e la fotosintesi clorofilliana) e le reazioni di biodegradazione. I processi chimici di laboratorio e industriali fanno invece riferimento a processi chimici messi a punto dall'uomo. La differenza principale tra processi chimici di laboratorio e processi chimici industriali risiede nelle quantità di sostanze chimiche reagenti e prodotte. Ad esempio, la produzione annuale di etilene su scala industriale nel 2000 è stata di circa 100 milioni di tonnellate,[1] mentre nel caso dei processi chimici di laboratorio si possono avere anche pochi grammi di sostanza prodotta all'anno. Inoltre è differente la destinazione d'uso dei prodotti: le sostanze che vengono prodotte su scala industriale sono destinate ad essere commercializzate, per cui la quantità prodotta segue la legge della domanda e dell'offerta, mentre solo una parte delle sostanze prodotte in laboratorio sono destinate al commercio, infatti molti processi chimici di laboratorio sono svolti per scopi differenti dalla commercializzazione diretta, ad esempio per scopo analitico, per ricercare nuovi materiali o per fini didattici. Processi chimici di laboratorio Esempi Esempi di processi chimici che avvengono in laboratorio sono: • • • • • Sviluppo fotografico; Analisi calcimetrica per la determinazione del carbonato di calcio; Test di Molisch per la determinazione delle aldeidi; Metodo complessometrico per la determinazione della durezza dell'acqua Sterilizzazione con ossido di etilene.[2] 68 Processo chimico 69 Processi chimici industriali I processi chimici industriali che si svolgono in un impianto chimico possono contenere al loro interno, oltre a trasformazioni di tipo chimico (processi unitari) anche trasformazioni di tipo fisico (operazioni unitarie). Le apparecchiature in cui si svolgono tali trasformazioni prendono il nome di "apparecchiature chimiche", sebbene in alcune di esse avvengano esclusivamente trasformazioni di tipo fisico (ad esempio colonna di distillazione non reattiva). Rappresentazione di un processo chimico industriale I processi chimici industriali possono essere rappresentati in vari modi, ad esempio da un semplice schema di processo (dove vengono rappresentate le apparecchiature e le correnti materiali principali) o da un Piping & Instrumentation Diagram (dove vengono messe in evidenza tutte le apparecchiature e la strumentazione di controllo). Esempi Di seguito vengono indicati alcuni processi chimici industriali: • Cracking del grezzo per ottenimento di idrocarburi a catena corta; • • • • • • • Esempio di P&ID Idroformilazione delle olefine per l'ottenimento di aldeidi; Polimerizzazione dell'etilene per produrre polietilene; Processo Claus perl'ottenimento di zolfo elementare da acido solfidrico; Processo Fischer-Tropsch per la produzione di combustibili da gas di sintesi; Processo Monsanto per la sintesi dell'acido acetico a partire da metanolo; Processo Wacker per l'ossidazione dell'etilene a acetaldeide; Vulcanizzazione della gomma. Note [1] Weissermel-Arpe, op. cit., p. 63 [2] La sterilizzazione può avvenire anche tramite riscaldamento o per azione di radiazioni: in questi casi non si tratta di un processo chimico, ma fisico. Bibliografia • Klaus Weissermel; Hans-Jürgen Arpe, Charlet R. Lindley, Industrial organic chemistry (http://books.google. com/books?id=OUGVPYqtnNgC&dq=weissermel+arpe+"industrial+organic+chemistry"&hl=it& source=gbs_navlinks_s), 4a ed. (in inglese), Wiley-VCH, 2003. ISBN 3-527-30578-5 Processo chimico 70 Voci correlate • Processo di produzione industriale • Processo batch • Sintesi chimica Ossido-riduzione 1. RINVIA Ossidoriduzione Reazione acido-base È detta, in chimica, reazione acido-base una reazione chimica in cui non vi è alcuna variazione dagli stati di ossidazione degli elementi dei reagenti a quelli dei prodotti. Il nome deriva dalla partecipazione alla reazione di un reagente, detto acido e un altro detto base. La definizione di questi due concetti, acido e base, è diversa a seconda della teoria utilizzata per definire e modellizzare questo tipo di reazione, teoria che si è evoluta col tempo, partendo da un approccio empirico e sperimentale fino alle più recenti definizioni, sempre più generali, legate al modello molecolare ad orbitali. Un esempio di reazione acido-base è quella che avviene tra bicarbonato di sodio e acido acetico, con produzione di acetato di sodio:[1] CH3COOH + NaHCO3 = CH3COONa + H2O + CO2 Differenza (convenzionale) tra reazioni acido-base e reazioni di ossido-riduzione Un campione di acido cloridrico (HCl) che rilascia vapori che reagiscono con vapori di ammoniaca (NH3), producendo un fumo bianco di cloruro d'ammonio (NH4)Cl Le reazioni acido-base si differenziano quindi da quelle di ossido-riduzione, in cui invece vi è variazione dello stato di ossidazione di almeno un elemento coinvolto nella reazione varia. Poiché l'assegnazione dello stato d'ossidazione (detto anche "numero di ossidazione") teoricamente è convenzionale, anche la variazione dello stato di ossidazione e quindi la distinzione tra reazioni acido-base e reazioni d'ossido-riduzione sono convenzionali. Nella pratica però gli stati d'ossidazione vengono assegnati con un unico metodo convenzionale, e quindi queste due fondamentali tipologie di reazioni chimiche costituiscono una ben noto e importante metodo di classificazione univoco delle reazioni chimiche. Reazione acido-base 71 Comuni teorie e definizioni di acido-base Come detto vi sono varie teorie riguardanti le reazioni acido base (e relative definizioni dei concetti di acido e base), che si è evoluta col tempo, partendo da un approccio empirico e sperimentale fino alle più recenti definizioni, sempre più generali, legate al modello atomico ad orbitali. Tra le più comuni vi sono, in ordine cronologico: Teoria di Arrhenius Questa teoria è stata sviluppata, da Svante Arrhenius nel 1884, per le soluzione acquose e quindi ha in tale ambito la maggiore applicabilità e utilità. Secondo la teoria acido-base di Arrhenius, • un acido è una sostanza che in soluzione acquosa, dà luogo in qualche modo alla formazione di ione idrogeno ( H+ ) • una base è una sostanza che in soluzione acquosa, dà luogo in qualche modo alla formazione di ione idrossido ( OH- ) Teoria di Brønsted-Lowry Questa teoria, sviluppata da Johannes Nicolaus Brønsted e Thomas Martin Lowry nel 1923, estende le definizioni di acido e base a quelle sostanze di cui non è possibile o non è pratico valutare il comportamento in acqua. Svante Arrhenius Secondo la teoria acido-base di Brønsted-Lowry, • un acido è una sostanza capace di donare uno o più ioni idrogeno ( H+ ) accettati da una base • una base è una sostanza capace di accettare uno o più ioni idrogeno ( H+ ) ceduti da un acido Una reazione acido-base è quindi una reazione di una specie chimica che trasferisce elettroni ad un'altra specie capace di accettarli. In tale reazione l'acido si trasforma nella propria base coniugata. Pertanto viene introdotto il concetto di complementarietà tra acido e base, dato che l'acido non è tale se non in presenza di una controparte cui donare il proprio ione H+, e la base non è tale se non in presenza di una controparte da cui accettare uno ione H+. Una sostanza non è quindi acida o basica in assoluto, ma relativamente alla reazione considerata. Teoria di Lewis Questa teoria, sviluppata da Gilbert Newton Lewis anch'essa nel 1923, è legata al modello atomico ad orbitali. Estende ulteriormente le definizioni di acido e base, riuscendo così a spiegare l'acidità di sostanze come ZnCl2, BF3, AlF3, BH3 e la basicità di sostanze come PCl3 o Br2, che non sono spiegabili con la Teoria di Brønsted-Lowry. Secondo la teoria acido-base di Lewis, • un acido è una sostanza capace di accettare un doppietto elettronico (ovvero un orbitale doppiamente occupato, non impegnato in legame chimico) da un'altra specie chimica. • una base è una sostanza capace di donare un doppietto elettronico a un'altra specie chimica. Simile alla teoria di Brønsted-Lowry, sostituisce al trasferimento dello ione H+ il trasferimento in senso inverso di un doppietto elettronico. Sono quindi acidi anche composti come il cloruro di alluminio ed il borano, che presentano nella loro struttura un orbitale vuoto capace di alloggiare un doppietto elettronico proveniente da una molecola donatrice, la base, e legarsi quindi ad essa tramite un legame dativo. Viceversa sono quindi basi anche composti come il tricloruro di fosforo o la Reazione acido-base piridina, che presentano nella loro struttura un doppietto elettronico non condiviso che possono trasferire ad una molecola accettrice, l'acido, e legarsi quindi ad essa tramite un legame dativo. Gli acidi di Lewis sono noti in chimica organica anche come reagenti elettrofili, mentre le basi di Lewis anche come reagenti nucleofili. Relatività dei concetti di acido e base Come indicato sopra, secondo la teoria acido-base di Brønsted-Lowry e quella di Lewis, una certa sostanza chimica non è definita come acida o basica in senso assoluto, ma in relazione alla sostanza con la quale trasferisce uno ione H+ o un doppietto elettronico e quindi relativamente a una specifica reazione. Quindi anche se una sostanza ha comportamento acido in alcune reazioni (e magari nel suo nome compare la parola acido) può avere un comportamento differente (persino uno basico) in altre. Viceversa una sostanza che ha comportamento basico in alcune reazioni può avere un comportamento differente (persino uno acido) in altre. Un esempio su tutti è quello relativo alla reazione acido-base sfruttata in chimica organica per effettuare la nitrazione tramite sostituzione elettrofila aromatica: H2SO4 + HNO3 → NO2+ + HSO4- + H2O dove l'acido solforico H2SO4 (acido più forte) protona l'acido nitrico HNO3(acido meno forte che funge da base) formando lo ione nitronio NO2+, che è la specie nitrante, e acqua H2O. Note [1] http:/ / www. funsci. com/ fun3_it/ acidi/ acidi. htm Voci correlate • • • • Acido Base (chimica) Nomenclatura chimica Protonazione 72 Decomposizione (chimica) 73 Decomposizione (chimica) La decomposizione chimica (o degradazione o reazione di analisi) è una reazione di scissione di un composto chimico in componenti più piccoli o nei suoi elementi. È definibile come l'opposto della sintesi chimica e spesso è una reazione indesiderata. La stabilità di un composto chimico è influenzata dalle condizioni ambientali come calore, radiazioni, umidità o acidità di un solvente. Generalmente un processo di decomposizione non è molto ben definito, dato che una molecola può rompersi in una moltitudine di pezzi più piccoli. La decomposizione chimica è sfruttata in diverse tecniche analitiche, in particolare nella spettrometria di massa, nell'analisi gravimetrica tradizionale e nella termogravimetria (TGA). Reazioni La decomposizione chimica può essere generalizzata nella formula: AB → A + B ad esempio l'elettrolisi dell'acqua nei suoi componenti gassosi idrogeno e ossigeno sarà: 2H2O → 2H2 + O2 Un esempio di decomposizione spontanea è quella dell'acqua ossigenata, che lentamente si decompone in acqua e ossigeno: 2H2O2 → 2H2O + O2 I carbonati si decompongono quando vengono riscaldati producendo il corrispondente ossido metallico e anidride carbonica. Nell'esempio la decomposizione del carbonato di calcio: CaCO3 → CaO + CO2 Grafico che mostra l'andamento della corrente al variare del potenziale di cella all'interno di una cella elettrolitica. Ogni curva corrisponde ad un sale immerso nella soluzione elettrolitica e il punto in cui tali curve variano la propria pendenza corrisponde al "potenziale di decomposizione" del sale, cioè la differenza di potenziale elettrico oltre la quale il sale subisce una reazione di decomposizione. Anche i clorati metallici si decompongono per riscaldamento generando il corrispondente cloruro metallico e ossigeno. Nell'esempio la decomposizione del clorato di potassio: 2KClO3 → 2KCl + 3 O2 Voci correlate • Chimica analitica • Dissociazione (chimica) • Termolisi Metatesi (chimica) Metatesi (chimica) La metatesi (o doppio scambio o doppia sostituzione) è una reazione chimica basata, appunto, sullo scambio di due o più ioni fra elementi e gruppi aventi la stessa valenza. Semplice esempio di reazione di metatesi è il seguente: Na2SO4 + ZnCl2 → ZnSO4 + 2NaCl Esempio Una reazione di metatesi può essere scritta nel modo seguente: AB + CD = AD + CB In cui A, B, C e D sono gli ioni di cui sono formati i composti AB, CD (reagenti), AD e CB (prodotti). La reazione è di doppio scambio in quanto vengono scambiati due ioni tra: AB e CD. Ad esempio consideriamo come reagenti l'idrossido di calcio e l'acido fluoridrico. La reazione di doppio scambio che li interessa è del tipo: Ca(OH)2 + 2 HF ---> CaF2 + 2 H2O L'idrossido di calcio reagisce con l'acido fluoridrico formando fluoruro di calcio e acqua. Volendo seguire la simbologia anzidetta, abbiamo: • • • • • • • • A: ione Ca2+ B: 2 ioni OHC: 2 ioni H+ D: 2 ioni FAB: Ca(OH)2 CD: 2 molecole di HF AD: CaF2 CB: 2 molecole di H2O (oppure HOH evidenziando gli ioni) Il fluoro presente nell'acido fluoridrico va a sostituire il gruppo ossidrile (OH) formando il bifluoruro di calcio, e a sua volta il gruppo ossidrile va a sostituire il fluoro nell'acido fluoridrico formando acqua. Voci correlate • Metatesi olefinica 74 Precipitazione (chimica) 75 Precipitazione (chimica) In chimica il termine precipitazione descrive il fenomeno di separazione di una sostanza solida da una soluzione. Nelle equazioni chimiche il precipitato, ovvero il composto poco solubile ottenuto, viene evidenziato con una freccia che punta verso il basso. Tale separazione può avvenire a seguito di una reazione chimica o per una variazione delle condizioni fisiche della soluzione - ad esempio, la temperatura. La formazione di precipitati è alla base dei saggi a umido dell'analisi chimica qualitativa, in cui la verifica della presenza di un dato ione o gruppo funzionale viene resa evidente dalla comparsa di un precipitato a seguito del trattamento con un opportuno reagente - ad esempio, l'uso del nitrato d'argento per evidenziare la presenza di cloruri, bromuri e ioduri. AgNO3 + Cl- → AgCl↓ + NO3- Meccanismo della precipitazione Il tipico aspetto bianco caseoso del precipitato di AgCl Le fasi della precipitazione si possono distinguere in nucleazione e accrescimento. La nucleazione consiste nella formazione di microcristalli di soluto, appunto dei "nuclei" di cristallizzazione, che tendono ad accrescersi; l’accrescimento consiste invece nell’ingrossamento di questi cristalli ad opera di altro soluto che attornia il cristallo e stabilisce con esso interazioni di tipo elettrostatico. È possibile che a causa di una soprassaturazione, la nucleazione prevalga sull’accrescimento, formando in tal caso un colloide, che è inseparabile mediante ordinari mezzi fisici dal resto della soluzione. Una soluzione colloidale è piuttosto stabile. I microcristalli di soluto formatisi hanno tutti la stessa carica e poiché si respingono evitano il loro accrescimento. Per questo motivo non si forma un agglomerato di forma geometrica definita. Talvolta può capitare che con l’aggiunta di un elettrolita si vada incontro alla formazione di un precipitato fioccoso o caseoso. La formazione di un precipitato fioccoso viene detta anche coagulazione o flocculazione e avviene quando si forma una sostanza idrofila, quindi nel reticolo cristallino della sostanza vengono intrappolate fisicamente molecole d’acqua. La formazione di un precipitato caseoso avviene invece quando si forma una sostanza idrofoba. Accanto al fenomeno della precipitazione vi è anche il fastidioso fenomeno della cooprecipitazione che determina una impurità del precipitato, determinando così interferenze quando si effettua un'analisi. La cooprecipitazione può avvenire per • adsorbimento di ioni estranei sulla superficie del precipitato principale; • per inclusione nel precipitato di composti estranei; • per occlusione in cavità che si formano nel precipitato durante l’accrescimento, di sostanze e ioni estranei. La postprecipitazione è un altro fenomeno che può interferire nell’analisi e consiste nella precipitazione di sostanze aventi uno ione in comune col precipitato principale sulla sua superficie. L’invecchiamento del precipitato si ha quando il precipitato rimane troppo tempo nella soluzione madre oppure rimane a contatto con sostanze ossidanti o riducenti. Esso consiste nella modificazione della struttura o della composizione del precipitato. Precipitazione (chimica) 76 Processo industriale A livello industriale, la precipitazione è un'operazione unitaria di separazione liquido-solido in presenza di un campo di forze, che viene svolta all'interno di precipitatori. Più precisamente, se il campo di forze responsabile della separazione è la forza di gravità, si parla di sedimentazione o decantazione, mentre se il campo di forze è quello elettrostatico, si parla di precipitazione elettrostatica. Precipitazione biotica Quando il processo di precipitazione viene effettuato da un organismo vivente. Un esempio è il carbonato di calcio nello scheletro dei coralli marini o nel guscio di alcuni molluschi. In questo caso gli ioni di calcio e carbonato precipitano dall'acqua all'interno dell'organismo a formare la sua parte calcarea. Voci correlate • Flocculazione • Solubilità • Precipitatore elettrostatico Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Solid precipitation Complesso (chimica) Un complesso in chimica e in biochimica è il prodotto della formazione, spesso reversibile, di un legame tra un atomo o ione centrale (o "ione coordinante") e degli atomi, ioni o molecole (detti leganti o ligandi o "ioni coordinati") che circondano l'atomo centrale.[1] Una definizione più rigorosa di complesso chimico può essere: "Un complesso è un composto chimico in cui un atomo lega un numero di altre specie chimiche superiore al suo numero di ossidazione". Con il termine ione complesso si indica lo ione che contiene l'atomo centrale e i ligandi in soluzione acquosa, mentre per composto di coordinazione si intende il sale secco dello ione complesso. Il complesso tris(bipiridina)rutenio (II) cloruro Esistono moltissime tipologie di complessi, che vanno dal semplice metallo in soluzione acquosa (coordinato quindi da molecole d'acqua) a complessi metallo-enzimi, che prendono parte a svariati processi biochimici. Complesso (chimica) 77 Struttura dei complessi Leganti I leganti possono formare uno o più legami con l'atomo centrale; nel secondo caso si dicono agenti chelanti (per affinità con le chele di molti crostacei). A seconda dei legami che un legante forma con l'atomo centrale, questo si chiama monodentato, bidentato o, in generale, polidentato.[2] Esempi di chelanti sono l'EDTA (etilen-diammino-tetraacetato) o l'en (etilen-diammina), bidentato. I leganti come l'acqua o il cloro formano un solo collegamento con l'atomo centrale, e sono quindi monodentati. L'EDTA è esadentato, il che spiega la grande stabilità di molti dei suoi complessi. I leganti polidentati possono formare anche legami con più di uno ione metallico, formando quindi un unico complesso con più ioni metallici. In questo caso si parla di complesso polimetallico. Se invece è il metallo a formare un legame con un altro metallo coordinato si parla di complesso a cluster. Numero di coordinazione e geometria del complesso L'atomo centrale è spesso, ma non esclusivamente, un metallo di transizione (ovvero un elemento del blocco d della tavola periodica).[3] L'insieme dei leganti forma la sfera di coordinazione del complesso e il numero di legami esistenti tra metallo e leganti è detto numero di coordinazione (NC o CN).[2] Tale numero varia, in genere, da 2 a 12; i casi più comuni sono 4 e 6. Parametri che influenzano il numero di coordinazione sono: • le dimensioni e la carica dello ione centrale • il tipo di leganti (leganti molto grandi ed ingombranti riducono il NC) • le interazioni all'interno del complesso. A seconda del numero di coordinazione, il complesso può assumere differenti geometrie. Nella tabella seguente sono illustrate le geometrie più frequentemente osservate. La geometria regolare non è sempre rispettata; ad esempio si osservano deviazioni quando i leganti non sono tutti uguali e le distanze metallo-legante possono risultare diverse, o quando i leganti hanno requisiti particolari di ingombro sterico, o per effetti elettronici come l'effetto Jahn-Teller. Inoltre ci sono casi nei quali due strutture diverse possono interconvertirsi facilmente, perché differiscono di poco in energia; ad esempio questo è piuttosto comune per le strutture a numero di coordinazione 4 e 5. Numero di coordinazione Forma Geometria Esempi e note 2 Lineare [CuCl2]–, [Ag(NH3)2]+ 3 Trigonale planare molto rara [HgI3]− 4 Tetraedrica piuttosto comune [ReO4]2–, Ni(CO)4 4 Planare quadrata XeF4, [AuCl4]–, [PtCl4]2– 5 Bipiramidale trigonale [CdCl5]3–, Fe(CO)5 Complesso (chimica) 78 5 Piramidale a base quadrata [NbCl4(O)]–, [V(acac)2(O)] 6 Ottaedrica la più comune [Cr(H2O)6]3+, [Fe(CN)6]3– 7 Bipiramidale pentagonale rara [Nb(O)(ox)3]3– 8 Antiprismatica quadrata [Mo(CN)8]4–, [ReF8]2– Sfera esterna e sfera interna Si dice complesso della sfera esterna (o complesso esterno o complesso di alto spin) il composto ottenuto per interazione elettrostatica del catione centrale con un anione che viene legato senza però alterare la sfera di coordinazione. Sono complessi esterni quelli in cui non si ha accoppiamento degli elettroni dispari dell'atomo centrale.[4] Ad esempio, [Co(NH3)6](NO2)3 è un complesso della sfera esterna. Di contro, se il metallo centrale si lega a un anione alterando la sua sfera di coordinazione si dice che si è formato un complesso della sfera interna (o complesso interno o complesso di basso spin). Sono complessi interni quelli in cui si ha accoppiamento degli elettroni dispari dell'atomo centrale.[4] In analogia con l'esempio precedente, lo ione nitrito NO2- è anche in grado di formare il nitroso-complesso [Co(NH3)3(NO2)3] che rappresenta un complesso della sfera interna. Legame chimico nei complessi Il legame chimico nei complessi deriva fondamentalmente dalle interazioni tra gli orbitali d dell'atomo centrale e orbitali s e p dei leganti. I legami risultanti, hanno energie tali che le lunghezze d'onda del visibile causano transizioni elettroniche; molti ioni complessi (e in genere molti ioni di metalli di transizione) sono per questo motivo colorati.[3] La comparsa di effetti cromatici nei composti contenenti metalli di transizione (e nella fattispecie, nei complessi coordinati) sono spiegati dalla cosiddetta teoria del campo cristallino (o TCC).[5] Teoria del legame di valenza Fu opera di Linus Pauling la teoria del legame di valenza, che fu la prima teoria (degli anni trenta) sulla formazione di un legame legato-legante per sovrapposizione degli orbitali d del metallo e gli orbitali ibridi spn dei leganti.[6] In questo modo si verrebbero a formare quindi dei legami dativi tali da riempire tutto l'ultimo livello di orbitali dell'atomo centrale (10d 6p 2s) per un totale di 18 elettroni. Teoria del campo cristallino Fu introdotta da Hans Bethe e nel 1929 ed assume che l'interazione metallo-leganti sia di tipo elettrostatico.[6] Le funzioni d'onda degli orbitali d possono essere graficamente rappresentate come superfici di confine a 4 lobi orientate rispetto agli assi x,y,z: ciò avviene poiché i leganti assumono una geometria tetraedrica intorno all'atomo centrale e il campo elettrico generato dai leganti, non avendo simmetria sferica, provoca una separazione dei livelli energetici degli orbitali d. Tale separazione conduce ad una stabilizzazione del complesso. Complesso (chimica) 79 Teoria del campo dei leganti L'evidenza sperimentale mostra che l'interazione legante-legato non può essere spiegata solo attraverso un modello puramente elettrostatico. Infatti fra i leganti che danno complessi più stabili c'è il monossido di carbonio (ligando a campo forte) che non ha cariche o dipoli permanenti. Quindi è chiara la necessità di introdurre un certo carattere covalente nella teoria. Quindi la teoria del campo dei leganti estende quella del campo cristallino descrivendo l'interazione legante-legato attraverso l'aggiunta di un certo carattere covalente descritto mediante il modello dell'orbitale molecolare (MO).[6] Equilibri di complessazione Indicando con M un generico elemento metallico e con L un ligando, gli equilibri di complessazione sono usualmente schematizzati così: M + L ML + L ML2 + L MLn-1 + L ML ; ML2 ; ML3 ; MLn ; Sommando membro a membro si ottiene l'espressione totale dell'equilibrio: M + nL MLn con costante di formazione Come tutti gli equilibri multipli è verificata l'uguaglianza Kf = K1 · K2 · K3...Kn da cui pKf = pK1 + pK2 + pK3 + ... pKn Il reciproco di Kf esprime la costante di instabilità Kins ed è un altro modo di rappresentare l'equilibrio (in questo caso in funzione della dissociazione): Molto spesso, nella pratica di laboratorio, capita di avere a che fare con leganti suscettibili a variazioni di pH e con metalli che tendono ad essere complessati da altre specie presenti in soluzione. Tali equilibri sono regolati quantitativamente da un'altra costante che tiene conto di tali fattori: la costante in oggetto è la costante condizionale di formazione K'f. K'f è in relazione con Kf tramite l'equazione K'f = Kf · α · β dove (per un dato pH) α = α-valore, frazione del ligando libero presente in soluzione e β = β-valore, frazione di metallo non complessato presente in soluzione. Complesso (chimica) 80 Isomeria dei complessi Esistono vari tipi di isomeria. I tipi più importanti sono: • isomeria geometrica • isomeria ottica • isomeria di legame. Isomeria geometrica Si ha quando gli stessi leganti sono disposti in modo differente attorno al metallo. I casi principali riguardano i complessi a numero di coordinazione 4 planari quadrati di formula generica ML2X2 e i complessi a numero di coordinazione 6 ottaedrici di tipo ML4X2 e ML3X3. Nei complessi planari quadrati si definisce isomero cis il composto di coordinazione che reca leganti identici sui vertici adiacenti del quadrato. Quando i leganti occupano vertici opposti del quadrato si ha l'isomero trans. Alcuni complessi del platino sono utilizzati nella chemioterapia antitumorale: solamente gli isomeri di tipo cis del Pt(II) possono legarsi alle basi del DNA ed esplicare la loro relativa azione farmacologica. Nei complessi ottaedrici di tipo ML4X2 si possono analogamente avere i due isomeri cis o trans, quando i due leganti X occupano posizioni rispettivamente adiacenti od opposte. Anche nei complessi ottaedrici di tipo ML3X3 sono possibili due diversi isomeri geometrici. Quando i tre leganti dello stesso tipo occupano tre posizioni vicine corrispondenti alla faccia dell'ottaedro si ha l'isomero fac (=facciale). Quando i tre leganti dello stesso tipo occupano tre posizioni nello stesso piano che contiene anche il metallo si ha l'isomero mer (=meridionale). cis-[CoCl2(NH3)4]+ trans-[CoCl2(NH3)4]+ fac-[CoCl3(NH3)3 mer-[CoCl3(NH3)3 Isomeria ottica L'isomeria ottica genera una coppia di complessi che sono l'uno l'immagine speculare non sovrapponibile dell'altro. Le due forme isomeriche rappresentano una coppia di enantiomeri ognuno dei quali ruota il piano della luce polarizzata in un determinato modo (destrorso o sinistrorso). La configurazione assoluta dei complessi chirali si assegna notando il verso di rotazione assunto dai ligandi lungo un asse ternario di un ottaedro regolare (meccanismo dell'avvolgimento di una vite). La rotazione sinistrorsa dell'elica costituita dai ligandi indica l'isomero Λ, quella destrorsa l'isomero Δ. Complesso (chimica) Λ-[Fe(ox)3]3− 81 Δ-[Fe(ox)3]3− Λ-cis-[CoCl2(en)2]+ Δ-cis-[CoCl2(en)2]+ Isomeria di legame Questo tipo di isomeria si ha con leganti ambidentati, cioè che possono legarsi in due modi diversi al metallo. L'esempio più noto è dato dallo ione nitrito (NO2−) che può legarsi con l'ossigeno o con l'azoto: • [Co(NH3)5(NO2)]2+ contiene un legame Co−NO2 ed è chiamato isomero nitro; • [Co(NH3)5(ONO)]2+ contiene un legame Co−ONO ed è chiamato isomero nitrito. Struttura dei due isomeri di legame [Co(NH3)5(NO2)]2+ e [Co(NH3)5(ONO)]2+. Altri leganti ambidentati comuni sono lo ione tiocianato (SCN−) e solfito (SO3−). Reattività dei complessi I complessi possono dar luogo a vari tipi di reazioni, che si possono classificare nel modo seguente: Reazioni di sostituzione dei leganti In queste reazioni un legante già presente nella sfera di coordinazione viene sostituito da un altro legante presente in soluzione. Il processo può avvenire con vari meccanismi e velocità. I casi più studiati riguardano i complessi a numero di coordinazione quattro e sei. Reazioni di riarrangiamento dei leganti In questo caso prima e dopo la reazione sono presenti gli stessi leganti coordinati, ma può variare la geometria di coordinazione o la stereochimica del complesso. Sono possibili vari meccanismi, a seconda che tali reazioni avvengano con o senza rottura di legami metallo-legante. In quest'ultimo caso si parla di complessi flussionali o stereochimicamente non-rigidi. Complesso (chimica) 82 Reazioni sui leganti In questo caso avviene una reazione chimica sul legante mentre è coordinato al metallo. Queste reazioni sono comuni soprattutto in chimica metallorganica (ad esempio, reazioni di inserzione), ma ne esistono anche nella chimica dei complessi classici (ad esempio, reazioni a stampo e sintesi di macrocicli). Reazioni di trasferimento elettronico Queste reazioni sono caratterizzate dal trasferimento di uno (o più) elettroni tra due specie chimiche. Sono possibili due meccanismi: (1) reazioni a sfera esterna, dove durante il trasferimento dell'elettrone la sfera di coordinazione dei due complessi non viene modificata; (2) reazioni a sfera interna, dove il trasferimento dell'elettrone avviene dopo che si è formato un legante a ponte tra i due centri metallici. Nomenclatura dei complessi Il procedimento di base per denominare un complesso è il seguente:[7] • Si scrivono i nomi dei ligandi in ordine alfabetico. • I ligandi monodentati che appaiono più volte ricevono un prefisso secondo il numero di occorrenze: di-, tri-, tetra-, penta-, o esa-. I ligandi polidentati (per esempio, etilenediamina, ossalato) ricevono i prefissi bis-, tris-, tetrakis-, e così via. • Gli anioni finiscono in o. Per esempio: cianuro diventa ciano. • Ai ligandi neutri si danno i loro soliti nomi, con qualche eccezione: NH3 diventa amino; H2O diventa aquo; CO diventa carbonile. • Si scrive il nome dell'atomo/ione centrale. Se il complesso è un anione, il nome dell'atomo centrale finirà in -ato. • Se lo stato di ossidazione dell'atomo centrale deve essere specificato (quando è uno di vari stati possibili), lo si scrive come numero romano (o 0) tra parentesi. Esempi:[7] Formula chimica Note [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] Silvestroni, op. cit., pp. 863-864 Silvestroni, op. cit., p. 868 Silvestroni, op. cit., p. 861 Silvestroni, op. cit., p. 869 Silvestroni, op. cit., pp. 870-873 Silvestroni, op. cit., p. 864 Silvestroni, op. cit., pp. 865-866 Nome del complesso [NiCl4]2- ione tetracloronichelato (II) [CuNH3Cl5]3- ione aminopentaclorocuprato (II) [Cd(en)2(CN)2] dicianobisetilendiaminocadmio (II) [Fe(NH3)6]Cl3 esamminoferro (III) cloruro K3[Fe(CN)6] potassio esacianoferrato (III) Complesso (chimica) Bibliografia • T. W. Graham Solomons, Chimica organica, 2a ed., Bologna, Zanichelli, 2001, pp. 583-596. ISBN 88-08-09414-6 • Paolo Silvestroni, Fondamenti di chimica, 10a ed., CEA, 1996. ISBN 88-408-0998-8 Voci correlate • • • • Chimica di coordinazione Cluster Curva di Ringbom Effetto Jahn-Teller Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/ Category:Coordination compounds Collegamenti esterni • Le reazioni di complessazione (http://www.itchiavari.org/chimica/lab/comples.html) Reazione organica Una reazione organica è il risultato della trasformazione di uno o più composti organici in altri con caratteristiche chimico-fisiche differenti. Le reazioni organiche sono impiegate per ottenere composti sintetici, artificiali, trasformare composti economici e largamente disponibili in altri a maggior valor aggiunto, identificare un composto per reazione con reagenti specifici (saggi e test chimici) o trasformare dei composti in altri meno pericolosi. Le reazioni organiche più anticamente conosciute sono la combustione e la saponificazione. Attualmente delle reazioni organiche se ne conoscono qualche migliaio ed aumentano ogni anno con la scoperta di nuove possibili interazioni fra i composti, nonché prodotti di reazione ottenuti da reagenti e catalizzatori sempre più complessi. Comunemente ad ogni reazione organica veniva dato il nome dello scopritore o del prodotto ottenuto. Con l'aumentare delle reazioni e soprattutto con la necessità di indagare il meccanismo di reazione, si è reso indispensabile organizzarle e classificarle. Per la classificazione si possono adottare differenti metodi, ma il rimando ad un nome proprio della reazione, spesso riferita ai suoi primi scopritori, rimane una pratica molto diffusa e comunemente accettata. 83 Reazione organica Elenco delle reazioni che possiedono un nome proprio Il termine reazione e sintesi sono spesso usati con lo stesso significato. Per un elenco vedere la lista nel progetto "Lista di reazioni organiche". Classificazione in base al meccanismo di reazione • Reazione di addizione (indicata con A). Reazioni plurireagente con formazione di nuovi legami, si suddividono a loro volta in • Addizione elettrofila (AE) • Addizione nucleofila (AN) • Addizione radicalica (AR) • Reazione di eliminazione (indicata con E) • Reazione di sostituzione (indicata con S). Reazioni bi-reagente con scambio di legami, si suddividono in • • • • Sostituzione elettrofila (SE) Sostituzione elettrofila aromatica (SEA) Sostituzione nucleofila (SN) Sostituzione nucleofila aromatica (SNA) • Sostituzione radicalica (SR) • Reazione di trasposizione o riarrangiamento (indicata con T). Reazioni mono-reagente con modifica interna alla molecola di ordine di legami. Si dividono in • Riarrangiamenti 1,2 • Reazioni pericicliche • Metatesi • Reazione di condensazione (indicata con C) • Reazione di ossido-riduzione (indicata con RedOx) Classificazione secondo il numero di molecole che determinano la velocità della reazione Si dividono in reazioni mono-molecolari, bi-molecolari, tri-molecolari...a molecolarità superiore. Classificazione secondo la natura del riassestamento dei legami • radicaliche (R) • ioniche polari, ulteriormente suddivise in • nucleofile • elettrofile 84 Reazione organica Classificazione in base al gruppo funzionale reagente o al gruppo funzionale da ottenere • • • • • • • • • • • • • • • acidi carbossilici aciloine aldeidi alcani alcheni alchini alcoli alogenuri acilici alogenuri alchilici alogenuri arilici amidi ammine areni azidi aziridine • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • chetoni cianine cianidrine cicloalcani cicloalcheni decarbossilazione dioli enammine enoli epossidi esteri eteri fenoli immine isocianati isotiocianati lattami nitrili nitrosi ossime tiocianati 85 Reazione organica Classificazione in base al tipo di reagente impiegato Questo approccio è spesso adottato qualora si utilizzi un reagente altamente selettivo, o specifico, come ad esempio nel caso degli ossidanti inorganici come il tetrossido di osmio, o nel caso di riducenti come il litio alluminio idruro. Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Organic reactions Collegamenti esterni • list of named reactions from UConn [1] • organic reactions [2] Bibliografia • • • • Nomenclature for organic chemical transformations (Pure Appl. Chem., 1989, 61, 725). System for symbolic representation of reaction mechanisms (Pure Appl. Chem., 1989, 61, 23). Detailed linear representation of reaction mechanisms (Pure Appl. Chem., 1989, 61, 57). Reazioni Organiche a cura di D. Pocar, Casa Ed. Ambrosiana, Milano 1966. Reagente Si definisce reagente qualsiasi sostanza che prende parte ad una reazione chimica. i reagenti sono sostanze originarie nella composizione chimica. Col procedere della reazione, i reagenti - scritti solitamente nella parte sinistra di un'equazione chimica - si trasformano nei "prodotti di reazione" - scritti solitamente nella parte destra dell'equazione chimica. Spesso i prodotti di una reazione chimica a loro volta possono essere reagenti di altre reazioni, anche concomitanti. Esempio: nella reazione A + B →C + D A e B sono i reagenti, C e D sono i prodotti di reazione. Affinché la reazione abbia luogo, le molecole dei reagenti devono urtarsi con un'energia, detta energia di attivazione, sufficiente per produrre uno stato di transizione che evolve successivamente nei prodotti di reazione.Zanini Voci correlate • • • • Velocità di reazione Catalizzatore Reazione chimica Prodotto (chimica) 86 Catalizzatore Catalizzatore Un catalizzatore è una sostanza, fonte o dispositivo che interviene in una reazione chimica aumentandone la velocità ma rimanendo inalterato al termine della stessa.[1] L'aumento di velocità viene reso possibile grazie alla diminuzione dell'energia di attivazione (energia potenziale), che deve essere raggiunta per far sì che i reagenti evolvano poi spontaneamente verso il prodotto/i. L'effetto è tale da rendere possibili reazioni che in condizioni normali non procederebbero in maniera apprezzabile: i casi più eclatanti si hanno in biochimica sia in laboratorio che nella ingegneria biochimica, dove gli enzimi aumentano la velocità delle reazioni anche di 1020 volte. Azione Un catalizzatore, in generale, modifica il "meccanismo di reazione" della reazione a cui partecipa tramite un percorso reattivo alternativo al quale compete una minore energia di attivazione. Lo schema più semplice di intervento di un catalizzatore C nella reazione fra due composti A e B è: A + C → AC AC + B → AB + C La reazione netta è sempre A + B → AB , mentre C viene rigenerato alla fine di ogni ciclo e non si consuma. Nel caso in cui un composto presente Diagramma di una reazione catalitica che mostra l'energia richiesta a vari stadi lungo nell'ambiente di reazione (prodotto, l'asse del tempo (coordinate di reazione). I substrati normalmente necessitano di una solvente, ecc.) si leghi al catalizzatore notevole quantità di energia (picco rosso) per giungere allo stato di transizione, onde in modo permanente, si parla di reagire per formare il prodotto. La presenza di un catalizzatore (come un enzima) crea un microambiente nel quale i substrati possono raggiungere lo stato di transizione (picco blu) avvelenamento del catalizzatore (o più facilmente, riducendo così la quantità d'energia richiesta. Essendo più facile arrivare a disattivazione), che perde così la sua uno stato energetico minore la reazione può avere luogo più frequentemente e di efficacia. In alcuni casi si avvelena conseguenza la velocità di reazione sarà maggiore. volontariamente parte del catalizzatore per modularne l'efficacia, consentendo così l'ottenimento di intermedi di reazione altrimenti non sintetizzabili. La frequenza di turnover definisce il rendimento di un catalizzatore ed è data dalla formula dove v è la velocità di reazione e [Q] la concentrazione molare del catalizzatore omogeneo. In caso di catalisi eterogenea, al denominatore compare la massa del catalizzatore o la sua estensione superficiale. Una classe particolare di catalizzatori è rappresentata dai catalizzatori per trasferimento di fase, come ad esempio gli eteri corona,che permettono la reazione fra composti in fasi distinte, che non potrebbero reagire altrimenti. Ci sono sostanze che invece di aumentare la velocità di reazione, la diminuiscono. Questi composti vengono definiti catalizzatori negativi[2] o inibitori.[3] 87 Catalizzatore Catalizzatori omogenei ed eterogenei Catalizzatori omogenei Un catalizzatore è detto omogeneo se si trova nella stessa fase dei reagenti. Il vantaggio dei catalizzatori omogenei sta nel miglior contatto con i reagenti; questo è al tempo stesso uno svantaggio, perché è difficile separare e recuperare il catalizzatore alla fine della reazione. Siccome la molecola che costituisce il catalizzatore omogeneo è completamente esposta ai reagenti, essi presenterebbero (se usati tal quali) un'elevata attività catalitica e una selettività bassa. Per ovviare a questo inconveniente, spesso si uniscono ai Struttura di un tipico catalizzatore omogeneo al rodio impiegato nel processo di catalizzatori dei leganti, che sono idroformilazione. In questo caso il legante è costituito da tre gruppi di trifenilfosfina costituiti da gruppi stericamente solfonata. ingombranti, che diminuiscono il numero di siti attivi ma ne aumentano la selettività. Un esempio di catalizzatore omogeneo è dato dalla molecola cloro-tris(trifenilfosfina)-rodio(I) (avente formula RhCl(PPh3)3), detto anche catalizzatore di Wilkinson e usato per l'idrogenazione in soluzione degli alcheni. Nel caso del catalizzatore di Wilkinson, l'azione di legante è svolto dai gruppi di trifenilfosfina. 88 Catalizzatore 89 Catalizzatori eterogenei Un catalizzatore è detto eterogeneo se non si trova nella stessa fase in cui sono presenti i reagenti. Un catalizzatore eterogeneo è in genere formato da un supporto (inerte o reattivo) su cui sono posizionati il catalizzatore vero e proprio, ed eventualmente composti per prevenire la sinterizzazione, oltre ad eventuali promotori (sostanze che agiscono in modo particolare migliorando o modulando la performance catalitica). Le particelle di catalizzatore eterogeneo presentano una struttura porosa, quindi la catalisi avviene sia sulla superficie esterna del catalizzatore sia sulla superficie interna. Questo fa sì che la superficie disponibile allo scambio di materia sia di diversi ordini di grandezza maggiore di quella che si avrebbe se la struttura del catalizzatore eterogeneo fosse compatta. Siccome la superficie interna di un catalizzatore eterogeneo è molto più estesa della sua superficie esterna, in fase di progettazione bisogna tenere conto del trasporto di materia all'interno dei pori del catalizzatore. I catalizzatori eterogenei sono più vulnerabili all'avvelenamento rispetto alla catalisi omogenea, in quanto è sufficiente che la superficie esterna del catalizzatore sia avvelenata (per esempio a causa di fouling) per rendere inservibile l'intera particella di catalizzatore. Catalizzatori di interesse industriale Dal punto di vista pratico, l'uso principale dei catalizzatori nell'industria chimica consente condizioni di reazione meno drastiche per fare procedere velocemente reazioni di sintesi. Si stima che almeno il 60% di tutte le sostanze commercializzate oggi richiedano l'uso di catalizzatori in qualche stadio della loro sintesi. Idrogenazione dell'etene su un catalizzatore eterogeneo Dal punto di vista chimico, i catalizzatori eterogenei possono essere raggruppati come segue: • • • • metalli: ferro, platino, argento, rutenio, rodio (idrogenazione e deidrogenazione) ossidi isolanti: ossido di alluminio, silice, ossido di magnesio (disidratazione) ossidi semiconduttori: ossido di zinco, ossido di nichel (ossidazione) acidi: ossido di alluminio su silice, zeoliti (polimerizzazione, cracking, alchilazione) Alcuni fra i più importanti catalizzatori eterogenei usati nell'industria chimica sono: • platino con 10% rodio (processo Ostwald, produzione di acido nitrico) • tetracloruro di titanio e un composto organometallico di alluminio (processo Ziegler-Natta, polimerizzazione di vari polimeri) • ossido di cromo (processo Phillips, polimerizzazione del polietilene) • la zeolite ZSM-5 (conversione di idrocarburi,decomposizione NOx) • i silicoalluminofosfati SAPO (conversione di idrocarburi) • pentossido di vanadio (produzione di anidride ftalica) Alcuni esempi di catalizzatori omogenei d'interesse industriale: • nichel(IV) acetilacetonato (sintesi del benzene) • dicarbonildiiodo-iridio(III) (processo Cativa, sintesi dell'acido acetico) • ottacarbonilcobalto(II) (idroformilazione, sintesi di aldeidi) • cloruro di alluminio(III) (reazione di Friedel-Crafts, sintesi dell'etilbenzene) Catalizzatore Biocatalizzatori Come biocatalizzatori si intendono i catalizzatori che agiscono in reazioni biochimiche, di solito proteine (enzimi,[4] a volte abzimi), raramente RNA (ribozimi). Anche nel caso dei biocatalizzatori si può usare un promotore di catalisi che si chiama cofattore di tipo effettore, dei substrati di supporto e si hanno le varie tecniche di immobilizzazione delle cellule o i catalizzatori possono essere avvelenati da un cofattore di tipo inibitore enzimatico. Gli enzimi possono catalizzare molti tipi di reazioni chimiche, e ciascun tipo di enzima è specifico per un tipo di reazione. Le reazioni avvengono con grande velocità proprio grazie alla specificità degli enzimi, alcuni enzimi sono vicini alla perfezione catalitica. La parte della molecola reagente con cui questi catalizzatori enzimatici hanno specificità è chiamata substrato. Si forma quindi un complesso enzima-substrato, la cui formazione è dovuta a interazioni deboli di tipo elettrostatico o legami covalenti. Non tutto l'enzima è interessato alla formazione del complesso enzima-substrato, ma solo una parte detta sito attivo. A seconda delle condizioni di flessibilità tra enzima e substrato si avranno diversi gradi di specificità: assoluta, di gruppo, di legame, stereochimica. Catalisi ambientale I catalizzatori usati nelle marmitte delle automobili sono formati da metalli nobili (generalmente platino e rodio) dispersi su un supporto ceramico, formato da ossido di cerio e ossido di zirconio. Promuovono la contemporanea ossidazione del carburante incombusto e del monossido di carbonio ad anidride carbonica e acqua, e la riduzione degli ossidi di azoto ad azoto e acqua. Data la contemporanea attività su tre reazioni, sono detti catalizzatori a tre vie (TWC). Note [1] D'Ischia, op. cit., p. 375 [2] http:/ / www. google. it/ search?hl=& q=%22catalizzatore+ negativo%22& sourceid=navclient-ff& rlz=1B3MOZA_itIT362IT362& ie=UTF-8 [3] Silvestroni, op. cit., p.364 [4] Silvestroni, op. cit., p. 369 Bibliografia • Paolo Silvestroni, Fondamenti di chimica, 10a ed., CEA, 1996. ISBN 88-408-0998-8 • Marco D'Ischia, La chimica organica in laboratorio (http://books.google.com/books?id=XVPt6yF9yDMC& hl=it&source=gbs_navlinks_s), Piccin, 2002. ISBN 88-299-1621-8 Voci correlate • • • • • • • • Attività catalitica Catalisi Catalisi enzimatica Catalisi eterogenea Disattivazione dei catalizzatori Enzima Fotocatalisi Supporto catalitico 90 Catalizzatore 91 Altri progetti • • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Catalysts Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/catalizzatore Solubilità In chimica si definisce solubilità di un soluto in un solvente, a una data temperatura, la massima quantità di un soluto che a quella temperatura si scioglie in una data quantità di solvente. Una soluzione si dice satura quando, in una data quantità di solvente a una certa temperatura, non è possibile sciogliere ulteriore soluto. Il rapporto tra soluto e solvente per unità di soluzione è espressa dalla concentrazione. La solubilità di un certo soluto in un certo solvente dipende, oltre che dalle caratteristiche delle due sostanze, anche dalla temperatura e dalla pressione. La solubilità in cui e si esprime come: sono le concentrazioni attuale e a saturazione, e è la frazione di sovrassaturazione. La solubilità in genere viene espressa come grammi di soluto (per esempio NaCl) disciolti in 100 grammi di solvente (per esempio acqua) per una data temperatura.[1][2] Regole di solubilità di alcuni soluti solidi Le regole di solubilità ci permettono di sapere quali composti sono solubili in acqua e le loro eccezioni (casi in cui non si sciolgono). Le regole di solubilità sono utili per determinare quale prodotto di una reazione di doppio scambio (a cui è associato un fenomeno di precipitazione), con i reagenti in soluzione acquosa, non è solubile in acqua e quindi formerà un precipitato solido dentro la soluzione stessa. Sono solubili: • • • • • • • • • Tutti i sali di litio, sodio, potassio e ammonio; I cloruri, i bromuri e gli ioduri (tranne HgI, AgCl, AgBr, AgI, PbCl2 e HgCl) Gli acetati (tranne CH3COOAg); Tutti i nitrati; I sali di bario (tranne BaSO4 e BaCO3); Tutti gli idrossidi (tranne quelli di calcio e dei metalli di transizione); I solfuri dei metalli alcalini, dei metalli alcalino terrosi e dell'ammonio; I fosfati, i cromati e i carbonati dei metalli alcalini e dello ione ammonio; I solfati, tranne quelli di bario, mercurio, piombo (assolutamente insolubili), calcio e argento (un poco più solubili dei precedenti). Solubilità 92 Sistemi a solubilità diretta e a solubilità inversa La curva di saturazione esprime il valore della concentrazione del soluto in condizioni di saturazione (ovvero la sua solubilità in funzione della temperatura). Se la solubilità cresce con la temperatura il sistema solvente-soluto è detto a solubilità diretta, mentre se al crescere della temperatura la solubilità diminuisce, il sistema è detto a solubilità inversa. In generale all'aumento della temperatura aumenta la solubilità delle sostanze solide (ad esempio il cloruro di sodio[1]), mentre diminuisce quella delle sostanze gassose. È però da rilevare che non tutte le sostanze hanno comportamenti analoghi riguardo alla dipendenza della solubilità dalla temperatura ad esempio la solubilità del carbonato di litio in acqua diminuisce con l'aumentare della temperatura. Le tabelle seguenti indicano la solubilità di alcune sostanze in acqua:[2] Curve di solubilità per sistemi a solubilità diretta e inversa. Solubilità del cloruro di sodio in acqua (grammi di soluto in 100 grammi di acqua) Temperatura (°C) 0 Solubilità 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 35,7 35,8 36,0 36,3 36,6 37,0 37,3 37,8 38,4 39,0 39,8 Solubilità del diossido di zolfo in acqua (grammi di soluto in 100 cm3 di soluzione H2O-SO2, a P = 1 atm) Temperatura (°C) 0 10 20 30 40 50 Solubilità 16,21 11,29 7,81 5,41 4,5 22,83 Si può notare dalle tabelle precedenti che la solubilità del cloruro di sodio (solido) aumenta con la temperatura, mentre quella del diossido di zolfo (gas) diminuisce. Anche l'aumento di pressione provoca un aumento della solubilità. Esempio di ciò è la solubilità dell'anidride carbonica nelle bevande gassate: fino a quando la bottiglia è sigillata la maggior pressione interna permette all'anidride di rimanere in soluzione, quando la bottiglia viene aperta la diminuzione di pressione comporta la rapida gassificazione dell'anidride disciolta con la conseguente formazione delle bollicine. La solubilità dei gas in acqua è ben descritta la legge di Henry p=k*C ove p è la pressione parziale del gas sulla soluzione, C è la concentrazione del gas nella soluzione e k è una costante tipica di ciascun gas che correla la pressione del gas sulla soluzione e la sua concentrazione; K come tutte le costanti di equilibrio dipende dalla temperatura. Si deve considerare però che CO2, Solubilità SO2 ed NH3,per quanto siano spesso indicate, non sono degli esempi ottimali in quanto queste specie chimiche formano dei composti con il solvente e quindi presentano delle solubilità anomale. L'aumento della solubilità dipendentemente dalla pressione è un fenomeno apprezzabile solamente nei gas. Solubilità nello stato solido La solubilità in fase solida è fondamentale per capire il comportamento di alcune leghe. Alcuni materiali metallici (per esempio Au e Cu o, entro certi limiti, Fe e Cr) quando solidificano formano una sola fase, in cui un elemento è indistinguibile dall'altro. In questo caso si dice che i due metalli formano una soluzione solida. La solubilità degli elementi nella matrice cristallina dell'elemento base può essere totale (vedi i casi indicati sopra), in generale in questo caso si ha una lega di sostituzione, cioè gli atomi di un materiale sostituiscono quelli dell'altro nel reticolo cristallino, ne consegue che, per avere questo tipo di lega, i due materiali devono avere lo stesso reticolo cristallino. In altri casi la solubilità non è totale, ma solo parziale, cioè quando si supera una certa percentuale del materiale soluto nella matrice del materiale solvente (per soluto si intende il materiale in percentuale atomica più bassa e solvente quello con percentuale atomica più alta) supera un certo valore, si forma una fase diversa formata solo dal soluto. Il caso più noto è quello del C nel Fe (vedi Diagramma ferro-carbonio), in cui il C è solubile nel Fe per un massimo di circa il 2% a 1150 °C, mentre a temperatura ambiente è praticamente insolubile. In genere questa solubilità forma leghe interstiziali, in cui gli atomi del soluto (che devono avere un raggio atomico molto più basso di quello del solvente) occupano gli spazi lasciati liberi dentro il reticolo dagli atomi di dimensioni maggiori. Naturalmente la presenza di corpi estranei modifica sensibilmente i parametri reticolari. Note [1] Chemistry 30 Solution Chemistry - Solubility Curves (http:/ / www. saskschools. ca/ curr_content/ chem30_05/ 4_solutions/ solution3_1. htm) [2] Perry's Chemical Engineers' Handbook, cap.2, p.120 Bibliografia • Robert Perry; Don W. Green, Perry's Chemical Engineers' Handbook, 8a ed. (in inglese), McGraw-Hill, 2007. ISBN 0-07-142294-3 Voci correlate • • • • • Concentrazione Prodotto di solubilità Saturazione chimica Solvente Parametro di solubilità di Hansen 93 Concentrazione Concentrazione La concentrazione di un componente in una miscela è una grandezza che esprime il rapporto tra la quantità del componente rispetto alla quantità totale di tutti i componenti della miscela (compreso il suddetto componente), o, in alcuni modi di esprimerla, del componente più abbondante. Nel caso specifico di una soluzione (che è Esempi di soluzioni diluite e concentrate. La concentrazione è evidenziata un tipo particolare di miscela), la qualitativamente dalla colorazione data dall'inchiostro. concentrazione di un determinato soluto nella soluzione esprime il rapporto tra la quantità del soluto rispetto alla quantità totale di soluzione, o, in alcuni modi di esprimerla, del solo solvente (ad esempio molalità). Quando la sostanza in esame ha una concentrazione molto elevata nella miscela, si parla in genere di purezza; se non è diversamente specificato, la purezza viene intesa come la percentuale in peso della sostanza in esame rispetto al peso totale della miscela. Ad esempio se un campione di 100 grammi di argento presenta una purezza del 99,9% vuol dire che tale campione contiene 99,9 grammi di argento e 0,1 grammi di altre sostanze (dette impurezze). Modi per esprimere la concentrazione Esistono diversi modi per esprimere la concentrazione di una soluzione, a seconda che ci si riferisca a misure di volume, di peso, o di mole del soluto, della soluzione o del solvente. Per indicare la concentrazione di una soluzione ci si può riferire a: • concentrazione in massa di un componente i è data dal rapporto tra la massa del componente i rispetto al volume della soluzione.[1] • concentrazione molare di un componente i è data dal rapporto tra il numero di moli del componente i rispetto al volume della soluzione.[1] Grandezze relative • percentuale in peso (%P/P m/m: massa soluto / massa soluzione x 100) Indica quanti grammi di soluto sono sciolti in 100g di soluzione. • percentuale peso/volume (% P/V ) Indica quanti grammi di soluto sono sciolti in 100 cm³ di soluzione • percentuale in volume (C % V/V: volume soluto / volume soluzione x 100) Indica quanti cm³ di un soluto liquido sono sciolti in 100 cm³ di soluzione • percentuale mista (C % m/V: massa soluto / volume soluzione x 100) • parti per milione (ppm) Indica quanti milligrammi di soluto sono sciolti in 1 dm³ di soluzione • molarità (M = moli soluto / litri soluzione) Indica quante moli di soluto sono sciolte in 1 dm³ (1 L) di soluzione • molalità (m = moli soluto / kg solvente) 94 Concentrazione Indica quante moli di soluto sono state aggiunte a 1000 grammi di solvente • normalità (N =equivalenti / litri soluzione) • frazione molare (x = moli soluto / moli soluto+solvente) Indica il rapporto tra il numero di moli di un componente della soluzione e il numero di moli totali. Può essere anche espressa come il rapporto tra la concentrazione molare del componente i rispetto alla densità molare della soluzione.[1] • La frazione in massa di un componente i è data dal rapporto tra la concentrazione in massa del componente i rispetto alla densità (di massa in questo caso) della soluzione.[1] La concentrazione viene utilizzata nei calcoli relativi agli equilibri chimici e per ricavare svariate grandezze termodinamiche. In alcuni casi (in particolare per sistemi che deviano dall'idealità) si rende necessario utilizzare il concetto di attività al posto della concentrazione. Note [1] Bird, op. cit., p. 506 Bibliografia • R. Byron Bird; Warren E. Stewart, Edwin N. Lightfoot, Enzo Sebastiani (a cura di), Fenomeni di trasporto (http:/ /www.libreriauniversitaria.it/fenomeni-trasporto-bird-byron-cea/libro/9788840800516), Milano, Casa editrice ambrosiana, 1979. ISBN 88-408-0051-4 Voci correlate • Diluizione infinita • Composizione chimica Altri progetti • Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/Concentrazione 95 Frazione molare 96 Frazione molare La frazione molare è una grandezza che viene impiegata per esprimere la concentrazione di una specie chimica in una miscela omogenea, sia che si tratti di una soluzione liquida, di una miscela solida o di una miscela gassosa. La frazione molare della specie j in una miscela è definita come il rapporto delle moli di j e le moli di tutte le specie presenti nella miscela.[1] Poiché le moli di ciascuna specie nella miscela è direttamente proporzionale al numero di entità (molecole, atomi, ioni, zwitterioni) di tale specie (più precisamente è dato dal numero di entità chimiche diviso per il numero di Avogadro), si può anche definire la frazione molare della specie j come il rapporto tra le moli di j e le moli totali presenti nella miscela. Dalla definizione si deduce immediatamente che xj sarà uguale a 0 nel caso in cui la specie j non sia presente nella miscela e sarà uguale a 1 quando j è il solo costituente del sistema. Dalla definizione segue anche che la somma delle frazioni molari di tutte le specie chimiche presenti nella miscela sarà uguale a 1. Il rapporto molare, inteso come rapporto tra le moli di una j-esima specie e le moli di una k-esima specie, si può porre in relazione con la frazione molare tramite l'equazione Il termine rappresenta il rapporto adimensionale fra le moli nj/nk. Moltiplicando il valore della frazione molare per 100, si ottiene il valore della percentuale molare (o percentuale in moli). Note [1] Silvestroni, op. cit., p. 235 Bibliografia • Paolo Silvestroni, Fondamenti di chimica, 10a ed., CEA, 1996. ISBN 8840809988 Voci correlate • • • • Composizione chimica Concentrazione Frazione ponderale Percentuale in volume Numero di Avogadro 97 Numero di Avogadro Il numero di Avogadro, chiamato così in onore di Amedeo Avogadro e denotato dal simbolo o , è il numero di particelle (solitamente atomi, molecole o ioni) contenute in una mole. Tale numero di particelle è pari a circa 6,022·1023. Viene formalmente definito come il numero di atomi di carbonio isotopo 12 presenti in 12 grammi di tale sostanza. Significato fisico del numero di Avogadro Anche se definito con riferimento al carbonio-12, il numero di Avogadro si applica a qualsiasi sostanza. Corrisponde al numero di atomi o molecole necessario a formare una massa pari numericamente al peso atomico o al peso molecolare in grammi rispettivamente della sostanza. Ad esempio, il peso atomico del ferro è 55,847, quindi un numero di Avogadro di atomi di ferro (ovvero, una mole di atomi di ferro) ha una massa di 55,847 g. Viceversa, 55,847 g di ferro, contengono un numero di Avogadro di atomi di ferro. Quindi il numero di Avogadro corrisponde anche al fattore di conversione tra grammi (g) e unità di massa atomica (u): Poiché l'unità di massa atomica viene definita facendo riferimento alla massa del carbonio-12 anche la definizione di numero di Avogadro si riferisce a questo isotopo. L'altra unità di misura che appare nella definizione, cioè il kg, è arbitraria e viene definita con una massa campione che si trova a Sèvres. Di conseguenza, essendo un fattore di conversione tra due unità di misura non-omogenee, è completamente arbitrario e non viene considerato una costante fondamentale. Per la sua importanza e diffusione viene comunque tabulato in ogni tabella di costanti fisiche. Il numero di Avogadro compare anche in altre relazioni fisiche, come fattore di scala tra costanti microscopiche e macroscopiche: • la costante universale dei gas • la costante di Faraday e la costante di Boltzmann e la carica elementare : : Valore numerico Al momento non è tecnologicamente possibile contare il numero esatto di atomi in 0,012 kg di carbonio-12, quindi il valore preciso del numero di Avogadro è sconosciuto. Il valore raccomandato dal CODATA [1] del 2010 per il numero di Avogadro è , dove il numero tra parentesi rappresenta la deviazione standard sulle ultime due cifre del valore (ovvero queste possono passare da 29-27=02 a 29+27=56). A scopo di semplificazione, il numero di Avogadro viene spesso approssimato a: , che è sufficientemente accurato per la maggior parte delle applicazioni. Numero di Avogadro 98 Connessione tra massa dei protoni e dei neutroni Un atomo di carbonio-12 consiste di 6 protoni e 6 neutroni (che hanno approssimativamente la stessa massa) e da 6 elettroni (la cui massa è in prima approssimazione trascurabile al confronto essendo a riposo 1836 volte inferiore a quella del protone). Si potrebbe quindi pensare che un di protoni o neutroni abbia massa 1 grammo. Anche se questo è approssimativamente corretto, la massa di un protone libero a riposo è di 1,00727 u, quindi una mole di protoni ha una massa di 1,00727 g. Similarmente, una mole di neutroni a riposo ha massa pari a 1,00866 g. Chiaramente, 6 moli di protoni combinate con 6 moli di neutroni dovrebbero avere massa superiore a 12 g. Ci si potrebbe chiedere quindi come è possibile che una mole di atomi di carbonio-12, che deve consistere di 6 moli di neutroni, 6 di protoni e 6 di elettroni, possa avere una massa di appena 12 g. Cosa ne è della massa in eccesso? La risposta è legata all'equivalenza massa-energia, derivata dalla teoria della relatività ristretta. Nella struttura del nucleo, i protoni e i neutroni sono tenuti assieme dalla forza nucleare forte. I legami corrispondono a stati di energia potenziale minore rispetto ai protoni e neutroni liberi e isolati. In altre parole durante la formazione del nucleo atomico viene liberata una grande quantità di energia e, poiché la massa è equivalente all'energia, si ha una "perdita di massa" del nucleo rispetto alla semplice somma delle masse dei protoni e dei neutroni liberi. La differenza tra massa del nucleo e la somma delle masse dei suoi nucleoni, o numero di massa A, non è costante e dipende dalla forza dei legami. È massima per gli elementi più stabili (in particolare l'elio-4, nonché Fe, Co e Ni) ed è minore per gli elementi meno stabili, cioè con legami nucleari più deboli (come il deuterio e gli isotopi radioattivi degli elementi). Per il carbonio-12 la differenza è all'incirca dello 0,7% e rende conto, per definizione, della massa "mancante" in una mole dell'elemento (difetto di massa). Si può quindi dire che è il rapporto tra massa in grammi di una mole di elemento e la sua massa nucleare in u, tenendo però conto che è un'approssimazione, anche se molto precisa; perché la massa di un nucleo atomico non dipende solo dal numero di protoni e neutroni che lo compongono ma anche dalla sua struttura. Misurazione sperimentale del numero di Avogadro Numerosi metodi possono essere usati per misurare il numero di Avogadro, a seconda delle conoscenze che si danno per note all'atto della misurazione. Un metodo moderno è quello di calcolarlo dalla densità di un cristallo, la sua massa atomica relativa e dalla lunghezza della singola cella determinata tramite cristallografia a raggi X. Valori molto accurati di queste quantità, dai quali deriva la attuale stima numerica di , sono stati misurati per il silicio al National Institute of Standards and Technology (NIST). Numero di Avogadro 99 Tuttavia non è necessario ricorrere alla cristallografia: nota la carica dell'elettrone, la formula chimica dell'idrogeno gassoso molecolare e l'equazione di stato dei gas perfetti si può misurare con un semplice esperimento di elettrolisi dell'acqua. Nella figura a rappresentazione sperimentale: destra si può schematica vedere una dell'apparato 1. In un contenitore pieno d'acqua (distillata per maggiore precisione) sono immersi due elettrodi, uno dei quali è coperto con un contenitore graduato rovesciato anch'esso pieno d'acqua. 2. I due elettrodi sono collegati a un amperometro e un generatore di corrente orientato in modo che l'elettrodo coperto diventi il catodo. 3. Viene fatta circolare della corrente attraverso il circuito, l'elettrolisi dell'acqua provoca la liberazione di idrogeno sul catodo e ossigeno sull'anodo. 4. L'ossigeno e l'idrogeno si combinano immediatamente in molecole di H2 e O2, ma mentre l'ossigeno può sfuggire dal contenitore, l'idrogeno gassoso, rimane intrappolato nel contenitore graduato. Diagramma dell'apparato sperimentale. 5. Dopo un certo tempo, durante il quale la corrente deve rimanere costante, il circuito viene aperto. Si possono misurare due quantità: 1. Il volume di idrogeno prodotto 2. La carica totale transitata nel circuito dove è l'intensità di corrente e il tempo trascorso. da queste due quantità se ne possono ricavare direttamente altre due: 1. Le moli di idrogeno, tramite l'equazione di stato dei gas perfetti: 2. Il numero di elettroni transitati nel circuito in cui è la carica dell'elettrone, nella stessa unità di misura di . Per motivi pratici si può supporre la pressione e la temperatura interne del contenitore graduato pari alla pressione atmosferica e alla temperatura atmosferica. Disegno di una tipica ampolla per apparato sperimentale didattico. Numero di Avogadro 100 Come ultima considerazione osserviamo che a due elettroni transitati nel circuito corrisponde l'elettrolisi di una molecola d'acqua, con la conseguente liberazione di due atomi di idrogeno e la formazione di una molecola di H2. Tenendo a mente che il numero di molecole di H2 è pari ad moli per ricaviamo: , e, infine: . Rappresentazioni del numero di Avogadro Per avere un'idea di quanto sia grande il numero di Avogadro, possiamo servirci delle seguenti visualizzazioni: Se si prendesse un numero di palle da tennis pari a quello di Avogadro (quindi una "mole" di palle da tennis) e le si disponesse in modo omogeneo su tutta la superficie terrestre, si raggiungerebbe un'altezza di cinquanta chilometri, ovvero più di sei volte l'altezza del monte Everest. Ancora: se si disponessero tali palle in un'unica fila essa avrebbe una lunghezza pari a circa 20 128 000 000 volte la larghezza di tutto il Sistema solare. Il numero di tazzine d'acqua contenute nell'Oceano atlantico è dell'ordine di grandezza del numero di Avogadro, così come il numero di molecole d'acqua in una tazzina. Se la stessa quantità di centesimi di euro fosse distribuita uniformemente tra la popolazione mondiale, ogni abitante della Terra avrebbe mille miliardi di euro. Curiosità • NA ≈ 279, corretto allo 0.4% circa. È una delle più note coincidenze matematiche. Note [1] Fundamental Physical Constants (http:/ / physics. nist. gov/ constants) in The NIST Reference on Constants, Units, and Uncertainty. NIST, 2010 Bibliografia • Paolo Silvestroni, Fondamenti di chimica, 10a ed., CEA, 1996, pp. 166-167. ISBN 88-408-0998-8 Voci correlate • Mole • Giorno della mole Collegamenti esterni • Avogadro and molar Planck constants for the redefinition of the kilogram (http://www.inrim.it/Nah/ Web_Nah/home.htm) Mole 101 Mole La mole (ex grammomole, simbolo mol; il simbolo della grandezza quantità è n) è una delle sette unità di misura fondamentali del Sistema internazionale. Misura la quantità delle sostanze; essa contiene tante entità elementari quante sono gli atomi contenuti in 12 grammi dell'isotopo 12 del carbonio. La mole è definita come la quantità di sostanza di un sistema che contiene un numero di unità interagenti[1] pari al numero degli atomi presenti in 12 grammi di carbonio-12.[2] Tale numero è noto come numero di Avogadro, dal matematico italiano Amedeo Avogadro, ed è pari a 6,02214179(30) · 1023 .[3] Una mole è quindi associata ad un numero enorme di entità o particelle (più di seicentomila miliardi di miliardi). Nel caso di un composto chimico, si può definire la mole come il valore della quantità (ad esempio espressa in grammi) di particelle uguale al peso molecolare di ogni singola molecola. Tale quantità in realtà varia a seconda della miscela isotopica che prendiamo in considerazione, ma la sua variazione può in genere assumersi trascurabile. Il concetto di mole fu introdotto da Wilhelm Ostwald nel 1896.[3] Rappresentazioni del numero di Avogadro Per avere un'idea di quanto sia grande il numero di Avogadro, possiamo servirci delle seguenti visualizzazioni: • Se si prendesse un numero di palle da tennis pari a quello di Avogadro (quindi una "mole" di palle da tennis) e le si disponesse in modo omogeneo su tutta la superficie terrestre, si raggiungerebbe un'altezza di cinquanta kilometri, ovvero più di sei volte l'altezza del monte Everest. • Ancora: se si disponessero tali palle in un'unica fila essa avrebbe una lunghezza pari a circa 20 128 000 000 volte la larghezza di tutto il Sistema solare. • Il numero di tazzine d'acqua contenute nell'Oceano atlantico è dell'ordine di grandezza del numero di Avogadro, così come il numero di molecole d'acqua in una tazzina. • Se la stessa quantità di centesimi di euro fosse distribuita uniformemente tra la popolazione mondiale, ogni abitante della Terra avrebbe mille miliardi di euro. Definizioni aggiornate di mole La grammomole e la grammomolecola sono state eliminate nel 1963 dal XIII CGPM e sostituite dalla "mole di sostanza". Dal 1972 la mole fa parte del SI e in Italia il SI è diventato, per legge, l'unico sistema ufficiale di unità di misura. Dal 2002 il SI è in vigore in tutto il mondo (ultimi arrivati: gli USA, che mantengono in vigore il vecchio sistema per gli usi interni). Dalla definizione segue che una quantità di sostanza è pari a una mole quando contiene un numero di particelle uguale al numero di Avogadro. Una mole della sostanza B contiene 6,022 1023 particelle di B. Il rapporto fra il numero delle particelle considerate e la quantità di B (in moli) si chiama costante di Avogadro e vale NA = 6,022 1023 molB-1 cioè il numero di Avogadro moltiplicato per il fattore di conversione (numero/molB) Normalmente la sostanza B è una sostanza pura o una miscela ben definita (l'aria, per esempio, contiene 4 molecole di azoto e 1 molecola di ossigeno, in prima approssimazione). La "quantità della sostanza B" diventa la "quantità di B" quando la sostanza viene esplicitata; ad esempio "la quantità dell'aria" o "la quantità dell'ossigeno"). La quantità di B è il rapporto fra il numero delle particelle considerate e la costante di Avogadro: nB = N°B / NA in cui: • n è espresso in moli Mole 102 • NA in mol-1 • N° è un numero adimensionale. La massa molare di una sostanza B (MB) è data dal rapporto fra la massa e la sostanza di un corpo. Ad esempio,la massa atomica del sodio è pari a 22,99 u; una mole di sodio ( cioè un numero di atomi di sodio pari al numero di Avogadro) corrisponde a 22,99 grammi di sostanza. La massa molare del sodio è 22,99 g/molNa. Analogamente, nel caso dell'acqua (H2O), la massa molecolare è pari a 18,016 u; una mole di questa sostanza è pari a 18,016 grammi. La massa molare dell'acqua 18,016 g/molH2O. Nel caso del metano (CH4), la cui massa molecolare è 16,04, mezza mole (quindi mezzo numero di Avogadro di molecole) corrisponde a 8 grammi. Talvolta si preferisce esplicitare i due casi usando le denominazioni ormai obsolete di grammoatomo (mole di un elemento) e grammomolecola (mole di un composto).[4] Nei paesi anglosassoni vengono inoltre utilizzate le definizioni di libbramolecola e libbramole, che sono simili alle definizioni di grammomolecola e grammomole, tranne per il fatto che ci si riferisce alla libbra per la misura della massa. Non ci si può riferire alla mole di atomi o molecole come massa molare perché la massa molare in grammi/mole è una grandezza diversa. Indicando con le moli e con la massa molare (mole di entità), abbiamo: Alcune applicazioni del concetto di mole Il concetto di mole è utilizzato spesso in chimica, in quanto permette di paragonare particelle di massa differente. Inoltre, riferendoci alle moli anziché al numero di entità, ci divincoliamo dall'uso di numeri molto grandi. La mole è utilizzata anche nelle definizioni di altre unità di misura; ad esempio la carica di una mole di elettroni è chiamata costante di Faraday[5], pari a 96 485 coulomb, mentre una mole di fotoni è detta einstein. Il concetto di mole è utilizzato anche nelle equazioni di stato dei gas ideali; si ha che una mole di molecole di un qualunque gas ideale, in condizioni normali (temperatura di 0 °C e pressione 101 325 Pa = 1 atm) occupa un volume di 22,414 L per la legge di Avogadro. Così è possibile calcolare il numero di molecole presenti in un dato volume di gas, e quindi la sua massa. Esempio - calcoli stechiometrici Nel seguente esempio, le moli sono usate per calcolare la massa di CO2 emessa, quando è bruciato 1 g di etano. La formula coinvolta è: 3,5 O2 + C2H6 → 2 CO2 + 3 H2O Qui, 3,5 moli di ossigeno reagiscono con 1 mole di etano, per produrre 2 moli di CO2 e 3 moli di H2O. Si noti che la quantità di molecole non necessita di essere bilanciata su ambo i lati dell'equazione: da 4,5 moli di gas si passa a 5 mol di gas. Questo perché la quantità delle molecole di gas non conta la massa o il numero di atomi coinvolti, ma semplicemente il numero di particelle individuali. Nel nostro calcolo è prima di tutto necessario calcolare la quantità dell'etano che è stato bruciato. La massa di una mole di sostanza è definita come pari alla sua massa atomica o molecolare, moltiplicata per il numero di Avogadro. La massa atomica dell'idrogeno è pari a 1 u, mentre la massa molare di H è pari a 1 g/molH; la massa atomica del carbonio è pari a 12 u, la sua massa molare a 12 g/molC; quindi la massa molare del C2H6 è: 2×12 + 6×1 = 30 g/molC2H6. Una mole di etano pesa 30 g. La massa dell'etano bruciato era di 1 g, o 1/30 di mole. La massa molare della CO2 (con massa atomica del carbonio 12 u e dell'ossigeno 16 u) è: 2×16 u + 12 u = 44 u, quindi una mole di diossido di carbonio ha una massa di 44 g. Dalla formula sappiamo che: • 1 mole di etano produce 2 moli di diossido di carbonio. Conosciamo anche la massa dell'etano e del diossido di carbonio, quindi: Mole • 30 g di etano producono 2×44 g di diossido di carbonio. È necessario moltiplicare per due la massa del diossido di carbonio perché ne vengono prodotte due moli . Comunque, sappiamo anche che solo 1/30 dell'etano è stato bruciato. E di nuovo: • 1/30 di mole di etano produce 2 × 1/30 di mole di biossido di carbonio. E infine: • 30 × 1/30 g di etano producono 44 × 2/30 g di biossido di carbonio = 2,93 g Note [1] Le entità chimiche e fisiche a cui si fa riferimento nella definizione di mole possono essere atomi, molecole, ioni, radicali, elettroni, fotoni, e altre particelle o raggruppamenti specifici di queste entità. Si veda anche lista delle particelle. [2] (EN) Unit of amount of substance (mole) (http:/ / www. bipm. org/ en/ si/ si_brochure/ chapter2/ 2-1/ mole. html) in SI brochure, Section 2.1.1.6. BIPM. URL consultato il 10 marzo 2011. [3] Silvestroni, op. cit., p. 157 [4] Silvestroni, op. cit., p. 156 [5] da non confondere con l'unità della capacità elettrica, il farad Bibliografia • Paolo Silvestroni, Fondamenti di chimica, 10a ed., CEA, 1996. ISBN 88-408-0998-8 • Silvio Gori, Chimica fisica, 1a ed., Padova, PICCIN, 1999. • IUPAC,IUPAP,ISO, "Green Book", 1a ed., Londra, Blackwell, 1993. Voci correlate • Equivalente • Frazione molare • Molarità 103 Chimica inorganica Chimica inorganica ATTENZIONE: l'interpretazione dell'articolo non può essere effettuata - è mostrato come testo semplice. Le possibili cause del problema sono (a) un errore nel software che crea il file PDF (b) un errore nella codifica MediaWiki (c) una tabella troppo grande La chimica inorganica è quella branca della chimica che studia gli elementi e la sintesi e caratterizzazione dei composto inorganicocomposti inorganici.I composti inorganici possono essere di tipi molto diversi:A: il diborano possiede legami molto inusualiB: il cloruro di cesio è un prototipo di Sistema cristallinostruttura cristallinaC: il tetracarbonilbis(ciclopentadienil)diferroFp2 è un complesso Chimica metallorganicaorganometallicoD: il silicone ha numerose applicazioni, da adesivi a protesi mammarieE: il catalizzatore di Grubbs ha fatto vincere nel 2005 il Premio Nobel per la chimica al Robert H. Grubbssuo scopritoreF: le zeoliti sono molto usate come setacci molecolariG: l'acetato di rame(II) sorprese i Chimica teoricachimici teorici per il suo diamagnetismoDefinizione Secondo la definizione storica la chimica inorganica si occupa delle sostanze non prodotte dalla materia vivente, oggetto di studio della chimica organica, quali sono i composti derivati dal mineraleregno minerale che non possiede forza vitale, in accordo con la teoria vitalismovitalista. Caratteristica delle sostanze inorganiche era considerata anche la loro possibilità di sintesi in laboratorio. Dopo la sintesi dell'urea effettuata da Friedrich Wöhler nel 1828, utilizzando il composto inorganico cianato d'ammonio, i confini tra le due branche della chimica si sono ristretti essendo dimostrato che anche i composto organicocomposti organici sono in realtà sintetizzabili in laboratorio. Successivamente è stato constatato che gli organismo viventeorganismi viventi sono anch'essi in grado di sintetizzare composti inorganici e con l'ulteriore affinarsi di conoscenze e tecniche sono addirittura fioriti campi di studio "ibridi" come quelli della chimica metallorganica e della chimica supramolecolare. Tuttavia permane una certa differenza fondata sulla diversa e caratteristica reattività della quale godono i composti organici e che si evidenzia in meccanismo di reazionemeccanismi di reazione del tutto peculiari. Concetti chiave Struttura cristallina dell'ossido di potassio, K2O, un composto ionicoMolti composti inorganici sono composti ionici, sali costituiti da cationi e anioni tenuti assieme da legame ionico. Esempi di sali sono: il cloruro di magnesio MgCl2, costituito da cationi magnesio Mg2+ e anioni cloruro Cl–, e l'ossido di sodio Na2O, costituito da cationi sodio Na+ e anioni ossido O2–. In tutti i sali la carica totale dei cationi è bilanciata da quella degli anioni, in modo che il composto solido è elettricamente neutro. La facilità di formazione di ioni monoatomici può essere valutata dal potenziale di ionizzazione (per i cationi) o dall'affinità elettronica (per gli anioni) dell'elemento corrispondente. Ossidi, carbonati, solfati e alogenuri costituiscono importanti famiglie di sali inorganici. Molti composti inorganici hanno punto di fusione elevato. Allo stato solido i sali inorganici in genere sono cattivi Resistività elettricaconduttori di elettricità. Una caratteristica abbastanza comune è la solubilità in acqua e la facilità di cristallizzazione (ad es. NaCl), ma molti sono invece insolubili (ad es. SiO2SiO2). La più semplice reazione chimica inorganica è il doppio scambio, dove mettendo assieme due sali gli ioni si scambiano senza variazioni del numero di ossidazione. Nelle reazioni di ossidoriduzione un reagente, detto ossidante, acquista elettroni e diminuisce il proprio stato di ossidazione, mentre l'altro, detto riducente, cede elettroni e aumenta il proprio stato di ossidazione. Scambi di elettroni possono avvenire anche indirettamente, ad esempio nelle Pila (elettrotecnica)pile, che sono dispositivi Elettrochimicaelettrochimici.Quando uno dei reagenti contiene atomi di idrogeno si può avere una reazione acido-base, dove vengono trasferiti protoni. In una definizione più generale, qualsiasi specie chimica capace di legarsi ad una coppia di elettroni è detta acido di Lewis; per contro, ogni specie che tende a cedere una coppia di elettroni è detta base di Lewis. Un trattamento più raffinato delle interazioni acido-base è la teoria HSAB, che tiene conto della polarizzabilità e della dimensione degli ioni. I composti inorganici si trovano in natura come minerali. Il suolo può contenere solfuro di ferro sotto forma di 104 Chimica inorganica pirite o solfato di calcio sotto forma di Gesso (minerale)gesso. I composti inorganici possono svolgere molte funzioni anche in campo biologico: come elettroliti (cloruro di sodio), come riserva di energia (Adenosina trifosfatoATP), come materiali strutturali (i gruppi fosfato che formano lo scheletro del DNA). Il primo composto inorganico importante prodotto artificialmente è stato il nitrato d'ammonio, un fertilizzante ottenuto con il processo Haber-Bosch. Alcuni composti inorganici si sintetizzano per utilizzarli come catalizzatori, come V2O5V2O5 e TiCl3TiCl3, altri servono come reagenti in chimica organica, come LiAlH4LiAlH4. Chimica inorganica industriale La chimica inorganica è un ambito scientifico con molte applicazioni industriali. La quantità di acido solforico prodotto è un parametro utile per valutare l'economia di una nazione. Nel 2005 i primi 20 composti chimici inorganici prodotti in Canada, Cina, Europa, Giappone e Stati Uniti sono stati (in ordine alfabetico):(lingua ingleseEN) (10 luglio 2006) Facts & figures of the chemical industry. Chem. Eng. News. acido cloridrico, acido fosforico, acido nitrico, acido solforico, ammoniaca, azoto, carbonato di sodio, clorato di sodio, cloro, diossido di titanio, idrogeno, idrossido di sodio, ossigeno, nero di carbone, nitrato d'ammonio, perossido di idrogeno, silicato di sodio, solfato d'ammonio, solfato di alluminio, solfato di sodio. Un'altra applicazione pratica della chimica inorganica industriale è la produzione di fertilizzanti. Chimica inorganica descrittiva La chimica inorganica descrittiva si occupa di classificare i composti in base alle loro proprietà. La classificazione è basata in parte sulla posizione occupata nella tavola periodica dall'elemento con il più alto numero atomico presente nel composto, e in parte raggruppando i composti che presentano somiglianze strutturali. Succede spesso che un certo composto possa essere classificato in più categorie. Ad esempio, un composto organometallico può essere anche un composto di coordinazione, e può avere proprietà interessanti allo stato solido. Una serie di usuali classificazioni è riportata nel seguito. Composti di coordinazione L'EDTA Chelazionechela uno ione Co3+ formando il complesso ottaedrico [Co(EDTA)]– Nei composti di coordinazione o complessi classici un metallo è legato tramite una coppia di elettroni ad un atomo di un ligandolegante come H2O, NH3, Cl– e CN–. Nella chimica di coordinazione moderna quasi tutti i composti organici e inorganici possono essere usati come leganti. Il "metallo" appartiene in genere ai gruppi 3–13, oppure ai lantanoidi o attinoidi, ma da un certo punto di vista tutti i composti chimici possono essere descritti come complessi. La stereochimica dei complessi può essere molto ricca, come già osservato da Alfred WernerWerner nel 1914 con la separazione dei due enantiomeri di Exolo[Co{(OH)2Co(NH3)4}3]6+, che dimostrò per la prima volta che la Chiralità (chimica)chiralità non era proprietà esclusiva dei composti organici. Un argomento di attualità all'interno di questa specializzazione è la chimica di coordinazione supramolecolare.(lingua ingleseEN)J.-M. Lehn, Supramolecular chemistry: Concepts and perspectives, Weinheim, Wiley-VCH, 1995. ISBN 978-3527293117Esempi: [Co(EDTA)]–, Cloruro di esamminocobalto(III)[Co(NH3)6]3+, TiCl4TiCl4(TetraidrofuranoTHF)2. Composti dei gruppi principali Il tetranitruro di tetrazolfo, S4N4, un composto dei gruppi principali che continua a incuriosire i chimici Queste specie contengono elementi dei Gruppo della tavola periodicagruppi 1, 2 e 13–18 della tavola periodica, escludendo l'idrogeno. Spesso si aggiungono anche gli elementi dei gruppi 3 (ScandioSc, IttrioY e LantanioLa) e 12 (ZincoZn, CadmioCd e Mercurio (elemento)Hg) perché hanno una reattività simile.(lingua ingleseEN)N. N. Greenwood; A. Earnshaw, Chemistry of the elements, 2a ed., Oxford, Butterworth-Heinemann, 1997. ISBN 0-7506-3365-4A questo gruppo si possono aggiungere specie note sin dagli albori della chimica, ad esempio lo zolfo elementare S8 e il fosforo bianco P4. Antoine LavoisierLavoisier e Joseph PriestleyPriestley con i loro esperimenti sull'ossigeno, OssigenoO2, non solo identificarono un importante gas Molecola biatomicadiatomico, ma permisero di descrivere composti e reazioni in base a rapporti Stechiometriastechiometrici. All'inizio del 900 Carl Bosch e Fritz Haber resero possibile la sintesi dell'ammoniaca usando catalizzatori a base di ferro, una scoperta che ebbe un enorme impatto sulla storia dell'umanità, dimostrando l'importanza della sintesi di composti inorganici. Esempi tipici di composti dei gruppi principali sono SiO2SiO2, SnCl4SnCl4 e N2ON2O. Molti composti dei gruppi principali si possono anche considerare organometallici, dato che contengono gruppi organici, come ad esempio TetrametilsilanoSi(CH3)4. Composti dei gruppi principali sono reperibili anche in natura, ad esempio i fosfati nel DNA e nelle Ossoossa, e quindi si possono classificare come bioinorganici. Viceversa possono essere considerati "inorganici" i composti organici senza (molti) idrogeni, come ad esempio i Fullerenefullereni, i nanotubi di carbonio, e gli ossidi di carbonio Composto binariobinari. Esempi: 105 Chimica inorganica tetranitruro di tetrazolfo S4N4, diborano B2H6, siliconi, fullerene C60. Composti dei metalli di transizione Il cisplatino è un complesso dei metalli di transizione usato nella chemioterapia di alcuni tumori I composti che contengono metalli dei Gruppo della tavola periodicagruppi 4–11 sono considerati composti dei metalli di transizione. I composti con metalli dei gruppi 3 e 12 sono a volte inclusi in questa categoria, ma spesso sono considerati composti dei gruppi principali. I composti dei metalli di transizione hanno una chimica di coordinazione ricca, spaziando da composti tetraedrici come TiCl4TiCl4 a composti planari quadrati come i complessi di platino, e a composti ottaedrici per i complessi del cobalto. Vari metalli di transizione si trovano in composti di importanza biologica, come il ferro nell'emoglobina. Esempi: tetracloruro di titanio, ferrocianuro di potassio, cisplatinoComposti organometallici Struttura di n-butillitio; i composti organometallici del litio esistono spesso in forma polimerica I composti organometallici sono quelli dove dove un metallo è legato covalentemente ad uno o più atomi di carbonio di un gruppo organico. Il metallo M di queste specie può appartenere ai gruppi principali o ai metalli di transizione. In pratica è comunemente usata una definizione più ampia di composto organometallico, includendo i Metallocarbonilemetallocarbonili e anche i metallo alcossidi. I composti organometallici sono di solito considerati una categoria particolare perché i leganti organici sono spesso sensibili all'idrolisi e all'ossidazione, e quindi la preparazione di composti organometallici richiede tecniche più sofisticate rispetto ai tradizionali complessi di Werner. Le nuove procedure di sintesi, e in particolare la capacità di manipolare i complessi in solventi poco coordinanti, hanno permesso di utilizzare leganti scarsamente coordinanti come gli idrocarburi, H2 e N2. La chimica organometallica ha tratto molti vantaggi dal fatto che questi leganti sono in un certo qual modo prodotti dell'industria petrolifera. Esempi: ferrocene Fe(C5H5)2, molibdeno esacarbonile Mo(CO)6, clorotris(trifenilfosfina)rodio(I) RhCl(PPh3)3Composti cluster Il decaborano è un Cluster (chimica)cluster del boro estremamente tossicoI centri di ferro-zolfo sono i componenti centrali di proteine essenziali per il metabolismo umano Composti cluster si possono trovare in tutte le classi di composti chimici. A rigore, un cluster prevede più centri metallici legati tra loro con legami covalenti, ma si considerano cluster anche quelli formati da non metalli come il boro. Esistono cluster puramente inorganici, ma anche organometallici o bioinorganici. La distinzione tra cluster molto grandi e solidi estesi è sempre più sfumata. A questo livello di dimensioni si parla di nanoscienza e nanotecnologia, e sono importanti gli studi di effetti quantici. I cluster di grandi dimensioni possono essere considerati come un insieme di atomi legati tra loro, con caratteristiche intermedie tra una molecola e un solido. Esempi: Triferro dodecacarbonileFe3(CO)12, DecaboranoB10H14, Cloruro di molibdeno(II)[Mo6Cl14]2−, Centri di ferro-zolfo4Fe-4SComposti bioinorganici Il centro di cobalto ottaedrico della CobalaminaVitamina B12 Questi composti sono presenti in natura per definizione, ma questa categoria comprende anche specie antropogeniche come inquinanti (ad es. metilmercurio) e farmaci (ad es. cisplatino).(lingua ingleseEN)S. J. Lippard, J. M. Berg, Principles of bioinorganic chemistry, Mill Valley, CA, University Science Books, 1994. ISBN 0-935702-73-3 In questo campo si incontrano molti aspetti della biochimica e molti tipi di composti, ad esempio i fosfati nel DNA, complessi metallici con leganti che spaziano da macromolecole biologiche come i peptidi a specie poco definite come gli acidi umici, all'acqua coordinata in complessi di gadolinio (usati per imaging a risonanza magnetica). Un campo d'indagine tradizionale della chimica bioinorganica riguarda i processi di trasferimento di elettroni e di energia nelle proteine che servono nella respirazione. La chimica inorganica in campo medico studia anche quali siano gli Sali mineralielementi essenziali costituenti delle biomolecole, con relativa applicazione a diagnosi e terapia. Esempi: emoglobina, metilmercurio, carbossipeptidasi, ferritinaComposti allo stato solido YBa2Cu3O7, abbreviato come YBCO, è un superconduttore capace di Effetto Meissner-Ochsenfeldlevitare sopra un magnete a temperature inferiori alla sua temperatura critica, circa 90 K (−183°C) Questa area della chimica inorganica si focalizza su struttura,(lingua ingleseEN)U. Müller, Inorganic structural chemistry, 2a ed., Chichester, Wiley, 2006. ISBN 978-0470018651 legami e proprietà fisiche dei materiali. In pratica la chimica inorganica dello stato solido usa tecniche come la cristallografia per comprendere le proprietà che si generano dall'insieme di interazioni tra i componenti presenti nel solido. Questa area si interessa anche di metalli, Lega (metallurgia)leghe e derivati intermetallici. Campi di studio correlati sono la fisica della materia condensata, la mineralogia e la scienza dei materiali. Esempi: zeoliti, YBCOYBa2Cu3O7, semiconduttoriChimica inorganica teorica Un altro modo di 106 Chimica inorganica avvicinarsi alla chimica inorganica è partire dal modello atomico di Bohr, e usare gli strumenti e i modelli della chimica teorica e della chimica computazionale per spiegare i legami in molecole semplici, per poi passare a specie più complesse. I composti inorganici contengono molti elettroni, ed è quindi arduo descriverli accuratamente con i metodi della meccanica quantistica. Per affrontare queste difficoltà sono stati inventati molti approcci semiquantitativi o semiempirici, tra i quali la teoria degli orbitali molecolari e la teoria del campo dei leganti. Oltre a queste descrizioni teoriche si usano anche metodi approssimati, come la teoria del funzionale della densità. I composti che si comportano in modo inspiegabile per le teorie, sia in senso qualitativo che quantitativo, sono molto importanti per l'avanzamento delle conoscenze. Ad esempio, Acetato di rame(II)CuII2(OAc)4(H2O)2 è quasi diamagnetico al di sotto della temperatura ambiente, mentre la teoria del campo cristallino predice che la molecola abbia due elettroni spaiati. Il disaccordo tra teoria (paramagnetico) e osservazione sperimentale (diamagnetico) ha portato allo sviluppo di modelli di "accoppiamento magnetico", che a loro volta hanno generato nuove tecnologie e nuovi materiali magnetici. Teorie qualitative La teoria del campo cristallino spiega perché Ferricianuro di potassio[FeIII(CN)6]3− ha un solo elettrone spaiato La chimica inorganica ha tratto grandi vantaggi dalle teorie qualitative, che sono più facili da comprendere perché richiedono poche conoscenze di chimica quantistica. La teoria VSEPR è in grado di razionalizzare e predire le strutture di molti composti dei gruppi principali; ad esempio spiega perché NH3NH3 è piramidale mentre ClF3ClF3 ha forma a T. Nei metalli di transizione la teoria del campo cristallino permette di interpretare le proprietà magnetiche di molti complessi; ad esempio Ferricianuro di potassio[FeIII(CN)6]3− ha un solo elettrone spaiato, mentre [FeIII(H2O)6]3+ ne ha cinque. Simmetria molecolare e teoria dei gruppi Il diossido di azoto, NO2, ha simmetria molecolaresimmetria C2v Un concetto molto utile in chimica inorganica è quello di simmetria molecolare.(lingua ingleseEN)F. A. Cotton, Chemical applications of group theory, New York, John Wiley & Sons, 1990. ISBN 0471510947 In matematica, la teoria dei gruppi fornisce il formalismo adatto a descrivere la forma delle molecole a seconda del gruppo puntuale cui appartengono. La teoria dei gruppi permette anche di semplificare i calcoli teorici. In spettroscopia, le applicazioni più comuni della teoria dei gruppi riguardano spettri vibrazionali ed elettronici, perché conoscendo le proprietà di simmetria dello stato fondamentale e degli stati eccitati di una specie chimica si può prevedere numero e intensità delle bande di assorbimento. Una applicazione comune della teoria dei gruppi è la previsione del numero di vibrazioni C–O in complessi Metallocarbonilemetallocarbonilici sostituiti. La teoria dei gruppi è anche uno strumento didattico per evidenziare somiglianze e differenze nelle proprietà di legame di specie diversissime come Esafluoruro di tungstenoWF6 e Molibdeno esacarbonileMo(CO)6, o Diossido di carbonioCO2 e Diossido di azotoNO2. Termodinamica e chimica inorganica Un differente approccio quantitativo alla chimica inorganica considera l'energia scambiata durante le reazioni. Questo approccio è molto tradizionale ed Ricerca empiricaempirico, ma di grande utilità. Potenziale standard di riduzionePotenziale redox, acidoacidità e Fase (chimica)transizioni di fase sono alcuni dei concetti che si possono esprimere in termini termodinamici. Un altro concetto classico della termodinamica inorganica è il ciclo di Born-Haber, usato per determinare l'energia di processi elementari che non possono essere misurati direttamente, come l'affinità elettronica. Meccanismi in chimica inorganica Un altro aspetto della chimica inorganica è lo studio dei meccanismi di reazione, che vengono in genere discussi in base alle differenti categorie di composti. Elementi dei gruppi principali e lantanoidi Nel discutere i meccanismi di composti dei gruppi principali (soprattutto 13-18) si utilizzano in genere gli approcci della chimica organica, dato che in fin dei conti anche i composti organici fanno parte dei gruppi principali. Gli elementi più pesanti di CarbonioC, AzotoN, OssigenoO e FluoroF possono formare composti con più elettroni di quanti previsti dalla regola dell'ottetto, e per questo motivo possono avere meccanismi di reazione diversi da quelli dei composti organici. Elementi più leggeri del carbonio (BoroB, BerillioBe, LitioLi) nonché AlluminioAl e MagnesioMg formano spesso strutture elettron deficienti in qualche modo simili ai carbocationi, che tendono a reagire con meccanismi associativi. La chimica dei lantanoidi rispecchia per molti aspetti quella dell'alluminio. Complessi dei metalli di transizione I meccanismi di reazione coinvolgenti metalli di transizione sono discussi in modi diversi da quelli degli elementi dei gruppi principali, perché la presenza degli orbitali d influenza notevolmente la loro reattività. Alcuni tipi di reazione osservabili nei complessi sono i seguenti. Reazioni di sostituzione dei leganti La presenza degli orbitali d è 107 Chimica inorganica determinante nell'influenzare velocità e meccanismo delle reazioni di sostituzione e di dissociazione dei leganti. Queste reazioni possono avvenire con meccanismi associativi o dissociativi. Un aspetto generale della chimica dei metalli di transizione è la labilità cinetica degli ioni metallici, come si osserva nei tipici complessi [M(H2O)6]n+ che scambiano l'acqua coordinata con quella del solvente: [M(H2O)6]n+ + 6H2O* → [M(H2O*)6]n+ + 6H2O dove H2O* denota acqua isotopoisotopicamente arricchita, cioè H217O Le velocità di scambio dell'acqua variano di 20 ordini di grandezza nella tavola periodica; i lantanoidi sono i più veloci e i composti di Ir(III) sono i più lenti. Reazioni redox Le reazioni redox sono comuni per i metalli di transizione. Si possono suddividere in due classi: le reazioni di trasferimento di atomi, come le reazioni di addizione ossidativa/eliminazione riduttiva, e le reazioni di trasferimento di elettroni. Una reazione fondamentale è la reazione di scambio, dove i reagenti sono uguali ai prodotti. Ad esempio gli ioni permanganato e manganato reagiscono scambiandosi un elettrone:[MnO4]− + [Mn*O4]2− ⇄ [MnO4]2− + [Mn*O4]−Reazioni sui leganti I leganti coordinati reagiscono in modo diverso dai leganti liberi. Ad esempio, l'acidità dei leganti ammoniaca in Cloruro di esamminocobalto(III)[Co(NH3)6]3+ è maggiore rispetto a NH3 non coordinata. Gli alcheni legati a cationi metallici reagiscono con nucleofili, mentre gli alcheni liberi di solito non lo fanno. La Catalizzatorecatalisi è un'area importante per l'industria, e si basa sulla capacità dei metalli di modificare la reattività di leganti organici. La catalisi omogenea è condotta in soluzione, e la catalisi eterogenea si ha quando substrati gassosi o disciolti reagiscono con superfici solide. Tradizionalmente, la catalisi omogenea è considerata parte della chimica organometallica mentre la catalisi eterogenea è parte della scienza delle superfici, un settore della chimica dello stato solido, ma i principi basilari di chimica inorganica sono gli stessi. Alcuni composti dei metalli di transizione hanno la peculiarità di reagire con piccole molecole come Monossido di carbonioCO, IdrogenoH2, OssigenoO2 ed EtileneC2H4. L'importanza industriale di queste materie prime traina lo sviluppo della catalisi. Caratterizzazione dei composti inorganici I composti chimici inorganici possono contenere praticamente tutti gli elementi della tavola periodica e avere proprietà diversissime, quindi la loro caratterizzazione può richiedere i metodi di analisi più disparati. I metodi più vecchi tendevano ad esaminare proprietà generali come punto di fusione, solubilità, acidità e conducibilità elettrica in soluzione. Successivamente, l'avvento della meccanica quantistica e il perfezionamento delle apparecchiature elettroniche hanno reso disponibili nuovi strumenti per studiare le proprietà elettroniche di molecole e solidi inorganici. I dati così ottenuti hanno spesso permesso di perfezionare i modelli teorici. Ad esempio, la determinazione dello Spettroscopia fotoelettronica ultraviolettaspettro di fotoelettroni del metano ha dimostrato non è del tutto appropriata la descrizione della molecola in base alla teoria del legame di valenza, che prevede legami a due centri e due elettroni tra carbonio e idrogeno. Risultati come questo hanno favorito la diffusione della teoria degli orbitali molecolari, basta su orbitali totalmente delocalizzati, che permettono di descrivere più accuratamente cosa succede rimuovendo un elettrone. Tecniche comunemente utilizzate: CristallografiaCristallografia a raggi X, per determinare la struttura tridimensionale delle molecole. Interferometria a doppia polarizzazione, per determinare conformazione e variazioni di conformazione nelle molecole SpettroscopiaMetodi spettroscopici di vario tipo: Spettroscopia ultravioletta/visibile (UV/Vis), storicamente importante, dato che molti composti inorganici sono fortemente colorati Spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (NMR); oltre a 1idrogenoH e 13CarbonioC, molti altri nuclidi sono adatti per la spettroscopia NMR (ad es. 11BoroB, 19FluoroF, 31FosforoP e 195PlatinoPt) e forniscono informazioni sulla struttura dei composti. Anche la spettroscopia NMR di sostanze paramagnetiche può fornire informazioni strutturali. L'analisi NMR 1idrogenoH è importante anche perché il nucleo dell'idrogeno è molto leggero ed è difficile da localizzare con la cristallografia a raggi X Spettroscopia infrarossa (IR), usata soprattutto per i Metallocarbonilecomplessi metallocarboniliciSpettroscopia ENDORSpettroscopia Mössbauer Spettroscopia di risonanza paramagnetica elettronica (EPR), permette di osservare l'intorno di centri metallici Paramagnetismoparamagnetici Metodi Elettrochimicaelettrochimici come la ciclovoltammetria e tecniche simili forniscono informazioni sulle proprietà redox dei composti. Chimica inorganica sintetica Le specie inorganiche che si possono trovare pure in natura sono poche; tutte le altre devono essere sintetizzate in impianti e laboratori chimici. I metodi di sintesi della chimica inorganica si possono classificare grossolanamente a seconda della volatilità o della solubilità dei reagenti utilizzati.(lingua ingleseEN)G. S. Girolami, T. B. Rauchfuss, R. J. Angelici, Synthesis and technique in inorganic 108 Chimica inorganica 109 chemistry, Mill Valley, CA, University Science Books, 1999. ISBN 0935702482 I composti inorganici solubili si preparano con metodi analoghi a quelli della sintesi organica. Composti che reagiscono con l'aria richiedono tecniche tipo linea Schlenk e glove box. Composti volatili e gas sono manipolati in linee da vuoto, costituite da tubi di vetro connessi tramite valvole, entro cui si può fare un Vuoto (fisica)vuoto di 0,1 Pascal (unità di misura)Pa o meno; i composti vengono condensati usando azoto liquido, che ha punto di ebollizione 77 K, o altri Liquido criogenoliquidi criogeni. I solidi sono in genere preparati usando forni tubolari: i reagenti sono chiusi in contenitori, spesso fatti di silice fusa (SiO2 amorfo), ma a volte sono necessari materiali speciali come tubi saldati di tantalio e "navicelle" di platino. Aree Principali aree di interesse della chimica inorganica sono: Chimica degli elemento (chimico)elementiChimica nucleareChimica di coordinazioneMetallorganicaChimica dello stato solidoElettrochimicaDiffrazione dei raggi XCristallografiaChimica bioinorganicaChimica supramolecolareGeochimicaMineralogiaAstrochimicaSpettroscopia molecolareChimica teoricaMetallurgiaChimica ambientaleStrutturistica chimicaSintesi e tecniche speciali inorganicheNote Altri progetti Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Inorganic compounds Chimica organica La chimica organica si occupa delle caratteristiche chimiche e fisiche delle molecole organiche. Si definiscono convenzionalmente composti organici i composti del carbonio con eccezione degli ossidi, monossido e diossido, e dei sali di quest'ultimo: anione idrogenocarbonato ed anione carbonato rispettivamente, derivati solo formalmente dall'acido carbonico (in realtà inesistente in soluzione acquosa), oltre ad altre piccole eccezioni. Storia Il termine "chimica organica" fu adottato per la prima volta nel 1807 da Jöns Jacob Berzelius.[1] L'aggettivo "organica" fu inizialmente legato al fatto che questa branca della chimica studiava composti più o meno complessi estratti da organismi viventi, vegetali o animali, o dai loro metaboliti. Tale definizione fu abbandonata a favore di quella sopra esposta nel 1828, quando il chimico tedesco Friedrich Wöhler per primo riuscì nella sintesi di un composto organico (l'urea) a partire da composti inorganici,[2] dimostrando che le sostanze prodotte in laboratorio a partire da composti inorganici erano in tutto identiche a quelle aventi la medesima struttura isolate da organismi viventi, e confutando quindi l'ipotesi vitalistica che voleva le sostanze "organiche" in qualche modo peculiari per via della loro origine biologica. Jöns Jacob Berzelius Nel 1861 August Kekulè identificò la chimica organica come "lo studio dei composti del carbonio".[3] Idrocarburi ed eteroatomi I composti organici costituiti solo da atomi di idrogeno (H) e carbonio (C) sono detti idrocarburi; ad esempio il metano, avente formula chimica CH4, è il più semplice degli idrocarburi. Chimica organica 110 Altri elementi, spesso presenti nelle molecole organiche, sono denominati collettivamente "eteroatomi" e sono l'ossigeno, l'azoto, il fosforo, lo zolfo, il boro, gli alogeni (fluoro, cloro, bromo e iodio), ed anche altri elementi semimetallici, nonché alcuni metalli in grado di formare composti di coordinazione col carbonio stesso. In particolare i composti organici contenenti atomi metallici direttamente legati ad atomi di carbonio sono detti metallorganici od organo-metallici; tra i metallorganici si annoverano gli organo-litio, -sodio, -magnesio, -manganese, -mercurio, -piombo, -tallio, -zinco. I composti ciclici il cui anello contiene uno o più eteroatomi sono invece definiti "eterociclici". Friedrich Wöhler Sistematica organica L'approccio più classico allo studio della chimica organica consiste nel raggruppare i composti in classi di sostanze che presentano un medesimo gruppo funzionale, definendo così una serie omologa. I composti che fanno parte di una stessa classe possiedono la stessa composizione e le stesse proprietà chimiche, mentre le proprietà chimico-fisiche (come punto di fusione, tensione di vapore etc.) variano in funzione del peso molecolare. All'interno di questa classificazione gli alcani rappresentano la famiglia di composti più semplice, essendo formati solamente da atomi di carbonio e idrogeno che instaurano tra loro un legame semplice. Alcheni e alchini sono simili agli alcani, ma presentano rispettivamente doppi e tripli legami. Queste tre classi di composti rappresentano gli idrocarburi alifatici, che si differenziano dagli idrocarburi aromatici (come il benzene) per il fatto di non possedere aromaticità. Man mano che si vanno aggiungendo altri elementi chimici differenti dal carbonio e dall'idrogeno si tende ad ottenere molecole più complesse. Gli alogenuri alchilici sono derivati direttamente dagli idrocarburi alifatici aggiungendo atomi di alogeno, allo stesso modo dagli idrocarburi aromatici si ottengono gli alogenuri arilici. Carbonio, idrogeno e ossigeno possono formare due classi di composti caratterizzati dal gruppo ossidrilico (-OH): gli alcoli e i fenoli (composti aromatici). Questi tre elementi possono formare anche gli eteri, composti caratterizzati da un legame R-O-R', e composti ciclici noti come epossidi. L'ossigeno può anche legarsi al carbonio con un doppio legame formando aldeidi (R-CHO) e chetoni (R-CO-R'); la contemporanea presenza di un gruppo -OH porta inoltre alla formazione degli acidi carbossilici (R-COOH). Negli alogenuri acilici, che sono dei derivati degli acidi carbossilici, il carbonile (C=O) è legato a un atomo di alogeno. Altri importanti derivati degli acidi carbossilici sono gli esteri, composti caratterizzati dalla presenza del gruppo estereo -COOR. Con l'azoto, un altro importante eteroatomo, si possono ottenere i nitrili (R-C≡N), le ammidi (R-CONH2), i nitrocomposti (R-NO2) e le ammine (R-NH2), le basi della chimica organica. I composti che presentano sia il gruppo amminico che quello carbossilico sono definiti amminoacidi. Tra le biomolecole si hanno infine i carboidrati, le proteine, i lipidi e gli acidi nucleici. Chimica organica Meccanismi di reazione in chimica organica Le sostanze organiche reagiscono in modo caratteristico in base alla loro natura e alla presenza di determinati gruppi funzionali, oltre che in funzione delle condizioni di reazione (tipo di solvente usato, temperatura, pH etc.). I meccanismi di reazione maggiormente diffusi in chimica organica sono i seguenti: • • • • • sostituzione radicalica; sostituzione nucleofila (alifatica e aromatica); reazione di addizione (elettrofila, nucleofila, radicalica, periciclica); reazione di eliminazione; reazione di riarrangiamento. Note [1] (EN) Carbon Chemistry: The Breakdown of Vitalism (http:/ / www. 3rd1000. com/ history/ carbon. htm) [2] Reazione di metatesi del cianato d'ammonio, ottenuto a sua volta per reazione fra cianato d'argento e cloruro d'ammonio, o fra cianato di piombo ed ammoniaca acquosa. Solomons, op. cit., p. 2 [3] Solomons, op. cit., p. 3 Bibliografia • T. W. Graham Solomons, Chimica organica, 2a ed., Bologna, Zanichelli, 2001. ISBN 88-08-09414-6 • (EN) Andrew Streitwieser; Clayton H. Heathcock, Edward M. Kosower, Introduction to Organic Chemistry , 4a ed., New York, Macmillan Publishing Company, 1992. ISBN 0-02-418170-6 • Paula Y. Bruice, Chimica organica, 4a ed., Napoli, Edises, 2004. ISBN 88-08-09414-6 Voci correlate • • • • • • • • • • • • • • • • • • Chimica organica fisica Chimica Chimica inorganica Chimica fisica Chimica farmaceutica Sistematica Stereochimica Sintesi organica Meccanismi di reazione Chimica combinatoria Chimica biorganica Chimica dei composti eterociclici Geochimica organica NMR Spettrometria di massa Petrolchimica Chimica dei polimeri e delle macromolecole Chimica supramolecolare 111 Chimica organica 112 Altri progetti • Wikibooks contiene testi o manuali: http://it.wikibooks.org/wiki/Chimica organica • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Organic compounds • Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/chimica organica Collegamenti esterni • chimicaorganica.net (http://www.chimicaorganica.net) • Chimica organica (http://www.chem4tech.it/index.php?option=com_docman&task=doc_download& gid=76&Itemid=11&lang=en) • Documenti di sintesi di composti con meccanismi di reazione e procedura di laboratorio (http://www. itiskennedy.it/modules.php?op=modload&name=Downloads&file=index&req=viewsdownload&sid=35) • (EN) organicworldwide.net (http://www.organicworldwide.net) Sale In chimica, un sale è un composto chimico ottenuto sostituendo gli atomi di idrogeno di un acido con atomi metallici o con un gruppo funzionale che abbia comportamento metallico (per esempio il gruppo ammonio, NH4) Un sale può essere organico o inorganico. In generale, i sali sono composti ionici costituiti da atomi appartenenti ad un reticolo cristallino. Presentano caratteristiche esteriori variabili e diverse (colore, odore, sapore, trasparenza) a seconda della loro composizione. Possono essere molto solubili o completamente insolubili in acqua, dove i due gruppi uniti da legame ionico si dissociano. Sono altresì solubili in altri solventi, e tipicamente i sali formati da elettroliti forti si sciolgono bene in solventi polari. I sali hanno punto di fusione variabile, spesso bassa durezza, e bassa comprimibilità. Se fusi o dissolti in acqua son detti elettroliti e conducono elettricità proporzionalmente all'elettronegatività degli atomi costituenti, comportandosi da conduttori di seconda specie. I due elementi di un sale binario (come ad esempio il cloruro di sodio) possono essere separati per elettrolisi del sale fuso. Ciò che comunemente viene chiamato sale o sale da cucina è in realtà uno dei tanti sali possibili, cioè il cloruro di sodio (NaCl). Reazioni che producono sali Reagenti Risultato Equazione di esempio idrossido + acido sale + acqua 2NaOH + H2SO4 Na2SO4 + 2H2O (solfato di sodio) metallo + acido sale + idrogeno Zn + H2SO4 ZnSO4 + H2 (solfato di zinco) anidride + ossido basico sale CO2 + CaO CaCO3 (carbonato di calcio) ossido basico + acido sale + acqua metallo + non metallo (del VI o del VII gruppo A della Tavola Periodica) sale (non ossigenato) Fe2O3 + 6 HNO2 2 Fe(NO2)3 + 3 H2O (nitrito ferrico) Zn + Cl2 ZnCl2 (cloruro di zinco) Sale 113 idrossido + anidride sale + acqua 2NaOH + SO2 Na2SO3 + H2O (solfito di sodio) NB: ci sono altri modi per ottenere sali partendo da sali: sale + acido, sale + non-metallo, sale + idrossido, sale + sale. Nomenclatura Le regole di nomenclatura usate in chimica assegnano ai sali nomi a partire dagli ioni che li costituiscono. Frequentemente nomi dei componenti cationici, spesso ioni metallici o ammonici, sono dati per primi, seguiti dai nomi del componente anionico. Gli anioni sono spesso chiamati in accordo al loro acido coniugato, sostituendo il suffisso -idrico con il suffisso -uro, il suffisso -oso con il suffisso -ito ed il suffisso -ico con il suffisso -ato; alcuni esempi: • acetati sono sali dell'acido acetico • carbonati sono sali dell'acido carbonico Cristalli di cloruro di sodio • cloruri sono sali dell'acido cloridrico • cianuri sono sali dell'acido cianidrico • nitrati sono sali dell'acido nitrico • • • • nitriti sono sali dell'acido nitroso fosfati sono i sali dell'acido fosforico solfati sono sali dell'acido solforico fluoruri sono i sali dell'acido fluoridrico Sali acidi Nelle reazioni di preparazione dei sali con acidi con più di un atomo di idrogeno può accadere in determinate condizioni che al radicale acido rimangano uno o più atomi di idrogeno, quindi legandosi al metallo si ottiene un sale acido. 2H2SO4 + 2Na → 2NaHSO4 + H2 (solfato acido di sodio o bisolfato di sodio) Sali basici Nelle reazioni di preparazione dei sali partendo dagli idrossidi con più di un gruppo idrossido in determinate condizioni può accadere che dall'idrossido non si stacchino tutti i suddetti gruppi ed uno (o più d'uno) rimanga legato al sale. Si ha così un sale basico. Es. Ca(OH)2 + HCl → Ca(OH)Cl + H2O (cloruro basico di calcio o idrossicloruro di calcio) Sapore dei sali I sali possono avere due sapori: amaro o salato. Se l'uno o l'altro dipende dalla somma dei diametri delle specie ioniche.[1] Come riferimento viene preso il bromuro di potassio che ha un sapore intermedio e la somma dei diametri ionici è pari a 0,658 nm. Sali che hanno un valore minore di questa somma sono salati (il cloruro di sodio ha 0,556 nm); valori superiori (come quello del cloruro di magnesio, 0,850 nm) conferiscono il sapore amaro. Sale 114 Note [1] P.T. Coultate, La chimica degli alimenti, Zanichelli, pag 209 Bibliografia • I. Bertini, C. Luchinat, F. Mani, Chimica, CEA, ISBN 88-408-1285-7 Voci correlate • • • • • • Legame chimico Igroscopia Deliquescenza Efflorescenza Acque salse Salinità Altri progetti • • • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Salt Wikiquote contiene citazioni: http://it.wikiquote.org/wiki/Sale Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/Sale Ossido Un ossido è un composto chimico binario che si ottiene dall'ossidazione dell'ossigeno su di un altro elemento. Nel XVII secolo erano compresi nelle arie, nel XVIII secolo erano conosciuti genericamente come calci, mentre si è passati al termine attuale dopo Lavoiser e la scoperta dell'ossigeno. Gli ossidi sono estremamente diffusi sulla superficie terrestre, e sono i costituenti base di molti minerali: ad esempio, la magnetite è un ossido misto di ferro, e la silice è un ossido di silicio. Ossidi di terre rare Ossidi basici Gli ossidi basici vengono formati dal legame tra un elemento e l'ossigeno quando reagendo con l'acqua danno luogo a idrossidi, comportandosi come basi. Tutti i metalli alcalini e i metalli alcalino terrosi hanno solo un numero di ossidazione, Ossido cioè formano esclusivamente un ossido ciascuno ed esso è sempre basico: perciò secondo la nomenclatura IUPAC, questi ossidi vengono identificati come "ossido di..." seguito dal nome dell'elemento. Ad esempio Na2O è un ossido basico e secondo la nomenclatura IUPAC sarà chiamato semplicemente ossido di sodio. Se invece l'elemento ha più numeri di ossidazione, come nel caso dei metalli di transizione e dei non metalli soprattutto dal terzo periodo in poi, di norma esso si comporta come basico se il suo numero di ossidazione è compreso tra 0 e +3: per Ossido di ferro, comunemente conosciuto con il nome di "ruggine" esempio il cromo, il manganese possono anche formare ossidi acidi pur essendo metalli, mentre il carbonio e lo zolfo possono formare ossidi basici pur essendo non metalli. Si noti però che con ciascun numero di ossidazione questi quattro elementi hanno un unico comportamento possibile: diverso è il caso degli ossidi anfoteri. Ossidi acidi Gli ossidi acidi sono ossidi che reagendo con l'acqua formano un ossiacido, comportandosi quindi in soluzione come un acido di Arrhenius. In prima approssimazione si formano dalla ossidazione di un non metallo; in realtà ciò contraddice il comportamento basico osservato in particolari ossidi di non metalli come il monossido di carbonio, gli ossidi basici dello zolfo, il biossido di stagno, e non spiegherebbe il fatto che anche alcuni ossidi di metalli di transizione come l'ossido di zirconio e gli ossidi di molibdeno hanno comportamento acido. Si arriva perciò parallelamente a quanto stabilito per gli ossidi basici al criterio empirico che per gli ossidi acidi il numero di ossidazione sia maggiore o uguale a +3, tenendo però presente che esistono ancora eccezioni come il monossido di dicloro. Il comportamento acido è comunque per ogni elemento in generale tanto più marcato e puro quanto più è alto il numero di ossidazione, come nel caso del cloro. Ossidi anfoteri Gli ossidi possono avere in realtà comportamento anfotero anche secondo Arrhenius, specie quando il numero di ossidazione è nell'intorno di +3: è il caso in particolare dell'ossido di zinco[1], che reagisce in modo differente in base al pH della soluzione, • Soluzione acida: ZnO + 2HCl → ZnCl2 + H2O • Soluzione basica: ZnO + 2NaOH + H2O → Na22+[Zn(OH)4]2come anche dell'ossido di piombo: • Soluzione acida: PbO + 2HCl → PbCl2 + H2O • Soluzione basica: PbO + Ca(OH)2 +H2O → Ca2+[Pb(OH)4]2e anche notevolmente dell'ossido di alluminio. Altri elementi che formano ossidi anfoteri sono silicio, titanio, vanadio, ferro, cobalto, germanio, zirconio, argento, stagno, oro[2]. Per convenzione i composti che formano reagendo con l'acqua si inseriscono negli idrossidi, poiché esistono maggiori analogie come la solubilità che è 115 Ossido 116 piuttosto bassa. Anche questi però, non bisogna dimenticare, hanno carattere anfotero: per esempio si osservi come l'Idrossido di alluminio reagisca in • Soluzione acida: Al(OH)3 + 3HCl → AlCl3 + 3H2O • Soluzione basica: Al(OH)3 + NaOH → Na[Al(OH)4] o anche l'idrossido di berillio: • Soluzione acida: Be(OH)2 + 2HCl → BeCl2 + 2H2O • Soluzione basica: Be(OH)2 + 2NaOH → Na2Be(OH)4 Nomenclatura attuale La nomenclatura IUPAC è molto semplice e dipende unicamente da tre fattori: dalla quantità di atomi di ossigeno e dell'elemento nella formula bruta, inserita sotto forma di prefissi derivanti dai numeri in greco, e dal numero di ossidazione dell'elemento, che si scriverà tra parentesi in caratteri romani al termine. Il comportamento acido o basico potendo dipendere in generale come si è visto nel paragrafo precedente dall'ambiente, non rientra nella nomenclatura, anche se per il criterio precedentemente illustrato sul numero di ossidazione esso di fatto ci indirizza verso la previsione del comportamento secondo Arrhenius in generale dell'ossido. Ad esempio il rame, ha come numeri di ossidazione +1 e +2. Avremo di conseguenza per Cu2O il nome monossido di dirame (I) e per CuO il nome monossido di rame (II), che prevederemmo a ragione avere carattere basico, mentre per N2O3 il nome è triossido di diazoto (III), per N2O5 il nome è pentaossido di diazoto (V), ed entrambi prevederemmo (a ragione) avere carattere acido secondo Arrhenius. Nomenclatura classica Nella nomenclatura classica ormai in disuso gli ossidi erano molto più macchinosamente e arbitrariamente distinti in base al comportamento: quelli reputati sempre basici erano detti propriamente ossidi mentre quelli reputati generalmente acidi erano detti anidridi, termine che invece viene oggi utilizzato in senso più specifico.[3] • Gli ossidi erano nominati in funzione del numero di atomi di ossigeno della molecola e della valenza dell'atomo del metallo ossidato. La nomenclatura non era rigidamente definita: nel caso di elementi a con diversi numeri di ossidazione basici, che quindi possono dare diversi ossidi, si usava la desinenza -oso per il più basso, e quello -ico per il più alto.[3]. Però era anche possibile utilizzare prefissi [3] come: sottossido con un atomo di ossigeno con metallo monovalente, nessun suffisso per un atomo di ossigeno con metallo bivalente, sesquiossido con tre atomi di ossigeno e metallo trivalente, biossido con due atomi di ossigeno e metallo tetravalente. Ad esempio: • • • • FeO → ossido ferroso o ossido di ferro Fe2O3 → ossido ferrico o sesquiossido di ferro Cu2O → ossido rameoso o sottossido di rame CuO → ossido rameico o ossido di rame • Per le anidridi di elementi con un solo numero di ossidazione acido, il termine era seguito dal nome dell'elemento e dalla desinenza -ica. Ad esempio l'ossido di boro B2O3 era chiamato anidride borica, e il biossido di carbonio, in cui il carbonio ha ossidazione +4, era chiamato anidride carbonica mentre nel CO il carbonio avendo ossidazione +2 basica si chiamava monossido di carbonio.[3] Se i numeri di ossidazione acidi sono due, si usava il suffisso -osa per quello minore[3]. Come nel caso dello zolfo: • SO → monossido di zolfo (+2) • SO2 → anidride solforosa (+4) • SO3 → anidride solforica (+6) Se fossero stati tre numeri di ossidazione acidi, per il minore avremmo introdotto anche il prefisso ipo- oltre al suffisso -osa; con quattro, avremmo introdotto una quarta forma con prefisso per- oltre al suffisso -ica.[3] È il caso Ossido 117 del manganese e del cloro: • • • • Cl2O → anidride ipoclorosa (+1) Cl2O3 → anidride clorosa (+3) Cl2O5 → anidride clorica (+5) Cl2O7 → anidride perclorica (+7) Note [1] C.E. Housecroft and A.G. Sharpe, "Inorganic Chemistry" (2nd edn, Pearson 2005), p.173-4 [2] CHEMIX School & Lab - Software for Chemistry Learning, by Arne Standnes (http:/ / home. c2i. net/ astandne/ ) (program download required) [3] Anna Guglielmi, Chimica e mineralogia per le scuole medie superiori, Signorelli Editore, Milano, 1949 Voci correlate • • • • Anidride Ossidazione Ossigeno Idrossido • Base Altri progetti • • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Oxides Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/ossido Chimica fisica La chimica fisica è la branca della chimica che più si avvicina alla fisica, adottandone il rigore metodologico sia a livello sperimentale che teorico e adoperando un significativo formalismo matematico, nel tentativo di descrivere nella maniera più accurata possibile i fenomeni fondamentali che stanno alla base dei sistemi chimici. Storia Il termine "chimica fisica" è stato probabilmente utilizzato per la prima volta da Michail Lomonosov nel 1752, quando davanti agli studenti dell'Università Statale di San Pietroburgo presentò il corso intitolato <<Corso di vera chimica fisica>>.[1] Fondatore della moderna chimica fisica viene considerato il chimico statunitente Willard Gibbs, che con la sua pubblicazione "On the Equilibrium of Heterogeneous Substances" (Sull'equilibrio delle sostanze eterogenee) del 1876 introdusse alcuni concetti quali quelli di energia libera, potenziale chimico e regola delle fasi che risulteranno tra i principali fondamenti di questa disciplina. Il successivo sviluppo fu dato dal contributo di chimici quali Svante Arrhenius, Jacobus Henricus van 't Hoff, Wilhelm Ostwald e Walther Nernst verso la fine degli anni 1800. Gli sviluppi del ventesimo secolo comprendono l'applicazione della meccanica statistica ai sistemi chimici e lavori riguardanti i colloidi e la chimica delle superfici, dove Irving Langmuir diede un notevole contributo. Altri importanti sviluppi riguardarono la nascita della chimica quantistica, evolutasi dalla meccanica quantistica negli anni 1930, dove Linus Pauling fu uno dei maggiori contributori. Gli sviluppi teorici sono andati di pari passo con l'evoluzione dei metodi sperimentali e l'utilizzo delle varie forme di spettroscopia è tra uno dei più importanti progressi del ventesimo secolo. Chimica fisica Discipline La chimica fisica applica la termodinamica allo studio dei gas, delle soluzioni e delle reazioni chimiche, quantificando gli aspetti energetici di quest'ultime e arrivandone a prevedere l'eventuale sponteneità o le condizioni di spontaneità teoriche. La termodinamica consente anche di trattare l'equilibrio chimico. L'uso della meccanica quantistica non solo permette di interpretare gli spettri atomici e molecolari, ma facendo uso del suo rigoroso formalismo matematico permette anche di descrivere il legame chimico e di predire importanti proprietà delle molecole quali la loro stabilità e reattività. La spettroscopia permette di determinare sperimentalmente la struttura e composizione delle molecole, mentre la cinetica chimica studia la velocità delle reazioni e l'insieme di processi elementari che intercorrono durante una reazione chimica quando a partire dai reagenti si ottengono i prodotti finali. L'elettrochimica è un'altra importante area della chimica fisica che si occupa delle implicazioni dei fenomeni elettrici in ambito chimico. Riassumendo, le principali aree di interesse della chimica fisica si possono così elencare: • • • • Meccanica quantistica e chimica quantistica Chimica computazionale Termodinamica e termochimica Meccanica statistica • • • • • • • • • • • • • • • • • Cinetica chimica Dinamica molecolare Elettrochimica Spettroscopia molecolare Fenomeni di trasporto Chimica dello stato solido e delle superfici Chimica delle interfasi Chimica dei colloidi Fotochimica Femtochimica Chimica supramolecolare Chimica nucleare Sonochimica Astrochimica Strutturistica chimica Transizioni di fase Magnetochimica Note [1] Galina Evgenevna Pavlova, Aleksandr Sergeevich Fedorov, Mikhail Vasilevich Lomonosov: his life and work, Mir Publishers, 1984 Bibliografia • P. Atkins, J. De Paula, "Physical Chemistry", Oxford University Press, 2006 (ottava ed.), ISBN 978-0-19-870072-2 Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Physical chemistry 118 Biochimica Biochimica La biochimica è lo studio della chimica della vita, un ponte fra la biologia e la chimica che studia le reazioni chimiche complesse che danno origine alla vita: oggetto di studio sono la struttura e le trasformazioni dei componenti delle cellule, come proteine, carboidrati, lipidi, acidi nucleici e altre biomolecole. Sebbene vi sia un grande numero di diverse biomolecole, sono tutte essenzialmente composte dagli stessi costituenti di base (genericamente chiamati monomeri), posizionate in ordini diversi. Ogni classe di biomolecole ha un set di differenti subunità. Recentemente, la biochimica si è concentrata specificatamente sulla catalisi di reazioni da parte degli enzimi e sulle proprietà delle proteine. La biochimica del metabolismo cellulare e del sistema endocrino è già stata ampiamente descritta. Altre aree della biochimica includono lo studio del codice genetico (DNA, RNA), la sintesi proteica, il meccanismo di trasporto della membrana cellulare e la trasduzione del segnale. Sviluppo della biochimica Originariamente si credeva che la vita non fosse soggetta alle normali leggi della chimica, contrariamente agli oggetti inanimati. Si pensava che soltanto gli esseri viventi potessero produrre le molecole della vita (da altre biomolecole preesistenti). Ma già verso la fine del Settecento si stabilirono i principi di partenza della biochimica, grazie alle ricerche di Lavoisier e di Spallanzani sulla respirazione degli organismi viventi.[1] Poi, nel 1828, Friedrick Wöhler pubblicò una ricerca sulla sintesi dell'urea, provando che i composti organici possono essere creati artificialmente, seguito pochi anni dopo dalle analisi e sintesi di Justus von Liebig che consentirono le prime applicazioni pratiche della nuova disciplina, tra le quali la fertilizzazione con concimi inorganici. L'alba della biochimica può essere considerata la scoperta del primo enzima, la diastasi, nel 1833, da parte di Anselme Payen. Nonostante il termine biochimica" sembri essere stato usato per la prima volta nel 1881 (la parola chimica biologica invece risale al 1826 ed è attribuibile a Huenefeld), è generalmente accettato che la parola sia stata coniata formalmente nel 1903 da Carl Neuber, un chimico tedesco. Da allora la biochimica ha fatto grandi passi in avanti, specialmente a partire dalla metà del XX secolo, con lo sviluppo di tecniche come la cromatografia, la diffrattometria a raggi X, la spettroscopia NMR e simulazioni delle dinamiche molecolari. Queste tecniche permisero la scoperta e l'analisi dettagliata di numerose molecole e delle sequenze metaboliche delle cellule, come la glicolisi ed il Ciclo di Krebs (o ciclo dell'acido citrico). Al giorno d'oggi le scoperte della biochimica vengono applicate in molte aree, dalla genetica alla biologia molecolare, dall'agricoltura alla medicina. 119 Biochimica I carboidrati La funzione dei carboidrati è duplice: strutturale e di riserva energetica. Gli zuccheri sono carboidrati, anche se ci sono carboidrati che non sono zuccheri. Sulla Terra esistono molti più carboidrati di qualsiasi altro tipo di biomolecola. Il più semplice tipo di carboidrato è un monosaccaride, che tra le altre proprietà contiene carbonio, idrogeno e ossigeno nella proporzione 1:2:1 (formula generale Lo zucchero più usato in alimentazione è senza CnH2nOn, dove n vale almeno 3). Il glucosio, uno dei più importanti dubbio il disaccaride saccarosio carboidrati, è un esempio di monosaccaride. Così come il fruttosio, lo zucchero che dà alla frutta il suo caratteristico sapore dolce. Due monosaccaridi possono essere uniti assieme usando la sintesi per disidratazione, nella quale un atomo di idrogeno viene rimosso dalla fine di una molecola ed un gruppo ossidrile (-OH) viene rimosso dall'altra. Il gruppo H-OH o H2O viene poi rilasciato come una molecola di acqua, da cui il nome disidratazione. La nuova molecola, consistente in due monosaccaridi, viene chiamata disaccaride ed è tenuta insieme da un legame glicosidico oppure da altri tipi di legame. Può anche verificarsi la reazione opposta, chiamata idrolisi, usando una molecola di acqua per scindere il disaccaride mediante rottura del legame glicosidico. Il disaccaride più conosciuto è il saccarosio (il comune zucchero da tavola o zucchero di canna), che è composto da una molecola di glucosio ed una di fruttosio legate assieme. Un altro importante disaccaride è il lattosio, che consiste in una molecola di glucosio ed una di galattosio. In età avanzata la produzione di lattasi (l'enzima che idrolizza il lattosio in glucosio e galattosio) tipicamente decresce, determinando una deficienza di lattasi, che conduce alla cosiddetta "intolleranza al lattosio". Quando più di due (solitamente da tre a dieci) monosaccaridi sono legati assieme, viene a formarsi un oligosaccaride (dal greco, la radice oligo- significa "poco"). Queste molecole di solito vengono usate come marcatori e segnali, ma possono avere anche altri tipi di funzioni. Più monosaccaridi legati assieme formato un polisaccaride. I monosaccaridi possono essere legati in una lunga catena lineare oppure in una catena ramificata. I tre più comuni polisaccaridi sono la cellulosa, l'amido ed il glicogeno, formati dalla ripetizione di monomeri di glucosio. La cellulosa è prodotta dai vegetali ed è un importante componente strutturale delle loro cellule. Gli esseri umani non possono produrre cellulosa, né digerirla poiché sono privi dell'enzima β-glicosidasi adibito proprio alla scissone di questa. L'amido è un polisaccaride di deposito del glucosio. Il glicogeno, invece, è un carboidrato animale; viene usato dall'uomo come deposito di energia. Il glucosio è la più importante fonte di energia per la maggior parte delle forme di vita ed un gran numero di vie cataboliche convergono su di esso. Ad esempio, i polisaccaridi vengono spezzati nei loro monomeri (la glicogeno fosforilasi rimuove i residui di glucosio dal glicogeno). I disaccaridi come il lattosio o il saccarosio vengono scissi nei due monosaccaridi che li compongono. Il glucosio è metabolizzato da un importantissimo processo, ampiamente conservato nelle specie viventi, composto di dieci tappe e chiamato glicolisi, il cui risultato finale è la rottura di una molecola di glucosio in due molecole di piruvato; questo produce anche due molecole di adenosintrifosfato (ATP), l'energia utilizzata dalle cellule, assieme a due equivalenti ridotti convertendo il NAD in NADH. Questo processo non richiede ossigeno; quando l'ossigeno non è disponibile (o le cellule non possono utilizzarlo), il NAD viene ripristinato convertendo il piruvato in lattato (accade ad esempio nel'uomo), oppure in etanolo (nel lievito). Altri monosaccaridi come il galattosio ed il fruttosio possono essere convertiti nei composti intermedi della glicolisi. Nelle cellule aerobiche con sufficiente ossigeno, come la maggior parte delle cellule umane, il piruvato può essere metabolizzato ulteriormente. Esso viene convertito irreversibilmente in acetil-CoA, dando come prodotto di scarto un atomo di carbonio sotto forma di biossido di carbonio, generando un ulteriore equivalente riducente di NADH. Le due molecole di acetil-CoA (da una molecola di glucosio) entrano poi nel ciclo di Krebs, producendo altre due molecole di ATP, sei di NADH e due molecole legate di FADH2, e rilasciando il carbonio restante come biossido di carbonio. Le molecole ridotte di NADH e FADH2 entrano poi nel sistema di trasporto elettronico, nel quale gli elettroni vengono trasferiti ad una molecola di ossigeno, producendo acqua, e gli originari NAD+ e FAD vengono 120 Biochimica rigenerati. Per questo motivo gli esseri umani inspirano ossigeno ed espirano biossido di carbonio. L'energia di trasferimento degli elettroni dagli stati di alta energia di NADH e FADH2 viene utilizzata per generare altre 28 molecole di ATP (soltanto due erano state prodotte nella glicolisi), per un totale di 32 molecole di ATP. È chiaro che usare ossigeno per ossidare completamente il glucosio, fornisce all'organismo una grande energia, ed è per questo che le forme di vita complesse comparvero sulla Terra soltanto quando nell'atmosfera si accumularono forti quantità di ossigeno. Nei vertebrati, durante la contrazione vigorosa (nel sollevamento pesi o nello sprint, ad esempio) i muscoli scheletrici non ricevono abbastanza ossigeno per sviluppare l'energia richiesta, e così viene impiegato il metabolismo anaerobico, convertendo il glucosio in lattato (acido lattico). Il fegato può rigenerare il glucosio mediante la gluconeogenesi. Questo processo non è esattamente l'opposto della glicolisi e richiede una quantità tripla di energia guadagnata con la glicolisi (vengono utilizzate sei molecole di ATP, mentre nella glicolisi ne vengono prodotte due). Il glicogeno (così come l'amido nelle piante) può essere considerato una riserva di glucosio per le necessità dell'organismo. Il glicogeno conservato nel fegato, infatti, viene utilizzato per riportare alla normalità i livelli ematici di glucosio durante il digiuno. Il glicogeno presente nei muscoli, invece, viene usato esclusivamente per i muscoli stessi, nel corso di impegnativi sforzi contrattili. Le proteine Allo stesso modo dei carboidrati, alcune proteine hanno una funzione strutturale. Ad esempio i movimenti delle proteine actina e miosina sono responsabili della contrazione dei muscoli scheletrici. Una proprietà che molte proteine possiedono è quella di legarsi a particolari molecole o classi di molecole; possono essere estremamente selettive in ciò che legano. Gli anticorpi sono un esempio di proteine che si attaccano ad un tipo specifico di molecole. Infatti l'ELISA (acronimo dell'espressione inglese Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay), che fa uso di anticorpi, è attualmente uno dei più sensibili test che la medicina moderna usa per identificare varie biomolecole. Rappresentazione schematica Probabilmente le più importanti proteine sono gli enzimi. Queste sorprendenti dell'emoglobina. Le parti a forma di molecole riconoscono specifiche molecole reagenti chiamate substrati e sono nastro rappresentano la proteina globina; in grado di catalizzare le reazioni in cui essi sono coinvolti. Abbassando le quattro parti in verde sono i gruppi l'energia di attivazione, un enzima riesce a velocizzare una reazione di un eme. tasso di circa 1011 e oltre: una reazione che in condizioni normali impiegherebbe 3000 anni per completarsi spontaneamente, in presenza di enzimi può impiegare meno di un secondo. L'enzima non viene utilizzato nel processo ed è libero di catalizzare la stessa reazione con un nuovo set di substrati. Usando vari agenti modificatori, l'attività dell'enzima può essere regolata, permettendo il controllo della biochimica cellulare nel suo insieme. 121 Biochimica Composizione Essenzialmente le proteine sono catene di amminoacidi. Un amminoacido è costituito da un atomo di carbonio legato a quattro gruppi: • Un gruppo amminico, -NH2; • Un gruppo carbossilico, -COOH; (Questi gruppi in particolari condizioni fisiologiche esistono come -NH3+ e -COO−) • Un atomo di idrogeno disposto sopra al carbonio (C); • Un gruppo -R (radicale), differente per ogni amminoacido. In funzione delle proprietà chimiche di tale gruppo, un amminoacido viene classificato come acido, basico, idrofilo (o polare) e idrofobo (o apolare). Esistono venti amminoacidi standard. Alcuni di questi hanno funzioni così come sono oppure in una forma modificata. Il glutammato, ad esempio, è un importante neurotrasmettitore. Gli amminoacidi possono essere legati assieme tramite un legame peptidico. In questa sintesi per disidratazione viene rimossa una molecola di acqua ed il legame peptidico lega l'azoto del gruppo amminico di un amminoacido Amminoacidi generici (1) in una forma neutrale, (2) nella forma in cui esistono con il carbonio del gruppo carbossilico fisiologicamente, e (3) legati assieme a formare un dipeptide. dell'amminoacido contiguo. La molecola risultante viene chiamata dipeptide, mentre le corte catene di amminoacidi (di solito meno di 30) prendono il nome di peptidi o polipeptidi e le catene più lunghe sono le proteine. Ad esempio l'albumina, presente nel siero, contiene 585 residui amminoacidici. Struttura La struttura delle proteine è tradizionalmente descritta come una gerarchia a quattro livelli. • La struttura primaria di una proteina semplice consiste nella sua sequenza lineare di amminoacidi (ad esempio "alanina-glicina-triptofano-serina-glutammato-asparagina-glicina-lisina-..."). • La struttura secondaria consiste nella morfologia locale. Alcune combinazioni di amminoacidi tendono a ripiegarsi in una spirale chiamata α-elica (alcune sono facilmente osservabili nell'immagine schematica più in alto). • La struttura terziaria è l'intera struttura tridimensionale della proteina, determinata dalla sequenza degli amminoacidi. Infatti una singola sostituzione può cambiare l'intera struttura. I foglietti β dell'emoglobina contengono 146 residui amminacidici; la sostituzione del glutammato in posizione 6 con una valina ne cambia il comportamento, provocando l'anemia falciforme. • Infine la struttura quaternaria riguarda la struttura delle proteine con più subunità peptidiche, come l'emoglobina che ne possiede 4. Non tutte le proteine hanno più di una subunità. Metabolismo delle proteine Le proteine ingerite vengono di solito scisse in singoli amminoacidi o in dipeptidi nell'intestino tenue e in seguito assorbiti. Possono poi essere ancora legati assieme a formare nuove proteine. I prodotti intermedi della glicolisi, del ciclo di Krebs e della via dei pentoso fosfati possono essere utilizzati per produrre tutti i 20 amminoacidi, e molti batteri e piante posseggono tutti gli enzimi necessari a sintetizzarli. L'uomo ed altri mammiferi invece non possono sintetizzarne la metà: isoleucina, leucina, lisina, metionina, fenilalanina, treonina, triptofano e valina, ovvero gli amminoacidi essenziali che devono essere assunti con la dieta. I mammiferi posseggono invece gli enzimi necessari alla sintesi di alanina, asparagina, aspartato, cisteina, glutammato (o acido glutammico), glutammina, glicina, 122 Biochimica prolina, serina e tirosina. Possono produrre anche arginina ed istidina, ma non in quantità sufficienti per i giovani animali in crescita, quindi anche questi ultimi due amminoacidi vengono di solito considerati essenziali. Se da un amminoacido viene rimosso un gruppo amminico, questo lascia dietro di sé uno scheletro di carbonio chiamato α-chetoacido. Gli enzimi transaminasi possono facilmente trasferire un gruppo amminico da un amminoacido (trasformando quest'ultimo in α-chetoacido) ad un altro α-chetoacido, trasformandolo in amminoacido. Questo processo è molto importante nella biosintesi degli amminoacidi, come per molte altre trasformazioni biochimiche. Gli amminoacidi possono essere anche utilizzati per produrre energia. Tale processo porta l'amminoacido ad essere scisso in una molecola di ammoniaca ed in uno scheletro carbonioso. L'ammoniaca (NH3, esistente in forma di ione ammonio NH4+ nel sangue), ad alte concentrazioni è tossica. Per questo in tutti gli animali si è sviluppato il metodo più adatto alla sua escrezione. Gli organismi unicellulari rilasciano semplicemente l'ammoniaca nell'ambiente. Similmente, i pesci della classe Osteichthyes, o pesci ossei, possono rilasciarla nell'acqua dove è facilmente diluita. In generale i mammiferi convertono l'ammoniaca in urea tramite il ciclo dell'urea, prima della sua espulsione. I lipidi Il termine lipide comprende un gran numero di molecole ed in senso esteso comprende tutti i composti di origine biologica insolubili in acqua o apolari, incluse le cere, gli acidi grassi, i fosfolipidi derivati degli acidi grassi, gli sfingolipidi, i glicolipidi ed i terpenoidi, come retinoidi e steroidi. Alcuni lipidi sono molecole lineari alifatiche, mentre altri hanno una struttura ad anello. Possono essere flessibili oppure rigidi. La maggior parte dei lipidi ha una zona a carattere polare, pur essendo in gran parte apolare. Generalmente il corpo è apolare o idrofobico, cioè non interagisce bene con solventi polari come l'acqua. La testa è invece polare, o idrofilica e tende ad associarsi ai solventi polari. Nel caso del colesterolo la parte polare è il gruppo -OH (idrossile o alcol); nel caso dei fosfolipidi i gruppi polari sono più ingombranti e più polari. Gli acidi nucleici Un acido nucleico è una molecola complessa ad alto peso molecolare, composta da catene di nucleotidi, che trasmettono le informazioni genetiche. I più noti acidi nucleici sono il DNA e l'RNA, presenti in tutte le cellule viventi e nei virus. Gli acidi nucleici, chiamati in questo modo per via della loro presenza nel nucleo delle cellule, sono anche detti biopolimeri. I monomeri di cui sono formati sono chiamati nucleotidi, ognuno dei quali ha tre componenti: • Una base azotata (purinica o pirimidinica); • Uno zucchero pentoso; • Un gruppo fosfato Gli acidi nucleici differiscono tra loro per lo zucchero contenuto nelle loro catene. Il DNA (o acido desossiribonucleico), ad esempio, contiene desossiribosio. Anche le basi azotate differiscono nei due tipi di acidi nucleici (DNA ed RNA): adenina, citosina e guanina sono presenti in entrambi, mentre la timina presente nel DNA è sostituita nell'RNA dall'uracile. 123 Biochimica 124 Relazioni con altre scienze biologiche a scala molecolare I ricercatori in biochimica utilizzano tecniche di ricerca originali, ma combinano sempre più queste nuove tecniche con altre prese in prestito dalla genetica, dalla biologia molecolare e dalla biofisica. Non è mai esistita una precisa linea di demarcazione tra queste discipline in termini di tecniche e contenuti, ma i membri di ognuna di esse sono stati in passato molto "territoriali". Al giorno d'oggi i termini biologia molecolare e biochimica sono praticamente intercambiabili. L'immagine seguente è uno schema che illustra le possibili relazioni tra queste discipline. • La biochimica è lo studio delle sostanze chimiche e dei processi vitali degli organismi viventi. Relazione tra biologia molecolare, genetica e biochimica in • La genetica è lo studio dell'effetto delle differenze un'accezione classica dei relativi campi di studio genetiche sugli organismi, che spesso possono essere causate dall'assenza di un normale componente (ad esempio un gene); lo studio degli organismi mutanti, mancanti di uno o più componenti funzionali, con riferimento al cosiddetto "wild-type" o al normale fenotipo. • La biologia molecolare è lo studio dei sostegni molecolari del processo di replicazione, trascrizione e traduzione del materiale genetico. Il dogma centrale della biologia molecolare, secondo cui il materiale genetico è trascritto nell'RNA e poi tradotto in proteine, oltre ad essere un modello molto semplificato, può ancora essere considerato un buon punto di partenza per la comprensione in questo campo di indagine. Questo modello, comunque, è in via di revisione, alla luce di nuovi ruoli riguardanti l'RNA. • La biologia chimica punta a sviluppare nuovi strumenti basati su piccole molecole che permettono di raccogliere dettagliate informazioni sui sistemi biologici provocando loro minime perturbazioni. Infine la biologia chimica impiega sistemi biologici per creare ibridi artificiali tre biomolecole ed elementi sintetici (ad esempio capsidi virali svuotati che possono diventare vettori per terapie geniche o altri medicinali). Metodologie biochimiche Nell'ultimo ventennio ha assunto sempre maggiore importanza l'analisi chimico-fisica delle biomolecole, con particolare accento alla loro struttura al fine di correlare quest'ultima alla funzione delle molecole stesse. In particolare, tre tecniche sono utilizzate con questi fini: • Spettroscopia di risonanza magnetica nucleare • Diffrattometria a raggi X • Spettrometria di massa È sempre crescente, inoltre, l'interesse verso studi computazionali/statistici di biomolecole attraverso tre importanti metodologie computazionali: • Dinamica molecolare • Meccanica quantistica • Bioinformatica Biochimica 125 Note [1] Universo, De Agostini, Novara, Vol. II, pag.304-305 Bibliografia • Graeme K. Hunter. Vital Forces. The discovery of the molecular basis of life. San Diego, Academic press, 2000. ISBN 0-12-361810-X. • David L. Nelson e Michael M. Cox. I principi di biochimica di Lehninger. IV edizione. Bologna, Zanichelli, 2006. ISBN 978-88-08-19774-0. • Lubert Stryer. Biochimica. Bologna, Zanichelli, 1996. ISBN 88-08-09806-0. • Donald Voet e Judith G. Voet. Biochimica. Bologna, Zanichelli, 1995. ISBN 88-08-10538-5. • Keith Wilson e John Walker (a cura di). Metodologia biochimica. Milano, Raffaello Cortina Editore, 2001. ISBN 88-7078-687-0. Voci correlate Chimica Biologia Applicazioni Altro • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • Chimica Chimica organica Chimica bioinorganica Chimica alimentare Biochimica clinica Biochimica applicata Citochimica Istochimica Biologia Biologia molecolare Biologia computazionale Bioinformatica Biologia cellulare Farmacologia Biotecnologia Ingegneria biochimica Proteomica Genetica Ingegneria genetica Genetica molecolare Psichiatria biologica Biofisica Medicina Bioetica Biologia e chimica organica (cronologia) Bios Zoé Altri progetti • Wikibooks contiene testi o manuali: http://it.wikibooks.org/wiki/Biochimica • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/ Category:Biochemistry • Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/Biochimica Collegamenti esterni • Biblioteca virtuale di Biochimica e Biologia della cellula (http://www.biochemweb.org/) • Biochemistry, 5th ed. (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/bv.fcgi?call=bv.View..ShowTOC&rid=stryer. TOC&depth=2) Testi completi di Berg, Tymoczko e Stryer, per gentile concessione del NCBI. • Società biotecnologica del Costa Rica (http://www.biotecnologia.co.cr/) Numero atomico 126 Numero atomico Il numero atomico (indicato solitamente con Z , dal tedesco Zahl, e detto anche numero protonico) corrisponde al numero di protoni contenuti in un nucleo atomico. In un atomo neutro il numero atomico è pari anche al numero di elettroni; in caso contrario l'atomo è detto ione. Si usa scrivere questo numero come pedice sinistro del simbolo dell'elemento chimico in questione: per esempio 6C, poiché il carbonio ha sei protoni. A ogni numero atomico corrisponde un diverso elemento chimico, il quale viene collocato nella tavola periodica proprio in funzione del relativo valore di Z. La legge di Moseley permette di ricavare il numero atomico di un dato elemento misurando la frequenza della riga caratteristica corrispondente all'emissione di raggi X. Atomi aventi stesso numero atomico ma diverso numero di neutroni sono detti isotopi. Voci correlate • • • • Tavola periodica degli elementi Elementi per numero atomico Peso atomico Numero di massa • Numero neutronico Altri progetti • Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/numero atomico Peso atomico Il peso atomico (da non confondere col numero di massa ) o massa atomica è la massa di un atomo di un dato elemento. In questo caso si parla spesso impropriamente di peso atomico assoluto e viene espresso in grammi o chilogrammi: l'ordine di grandezza dei valori è tra i 10-25 kg e i 10-27 kg. Per ovviare alla scomodità di avere nei calcoli numeri così piccoli, si è convenuto di esprimere la massa atomica in rapporto al peso atomico assoluto di 1/12 dell'atomo 12C, il cui valore è adottato nel SI quale unità di massa atomica (u o uma): sperimentalmente si è ricavato che equivale a 1,660 538 921(73)x 10-27 kg, secondo i dati CODATA del 2010. [1] Questa notazione della massa è nota come peso atomico relativo (o massa atomica relativa, spesso abbreviata in massa relativa) e si può ottenere dalla formula: Da ciò si evince che la massa atomica relativa è un numero adimensionale e non è espresso in ragione di una unità di misura di massa. Se si esprime in u una data massa atomica relativa, tale valore corrisponde a quello della massa assoluta (espressa in grammi) di una mole dell'elemento. La massa relativa di un dato elemento chimico è una media ponderata delle masse relative dei suoi isotopi: in particolare è la sommatoria del prodotto tra la massa relativa di ciascun isotopo e la relativa abbondanza isotopica. In prima approssimazione, il peso atomico è legato al numero totale di nucleoni presenti nel nucleo considerato. Il peso reale è leggermente inferiore alla somma dei pesi dei differenti componenti perché protoni e neutroni hanno massa diversa (anche se solo del 2 per mille) e perché parte della massa delle particelle costituenti il nucleo viene ceduta sotto forma di energia di legame nella fase di nucleosintesi, riducendo il peso totale (difetto di massa). Il peso degli elettroni modifica solo leggermente il totale, perché la massa di un elettrone è pari a 1/1836 quella di un protone, se considerati entrambi a riposo. Si noti che il peso atomico non ha relazione alcuna con la nozione di peso Peso atomico degli oggetti ordinari, che è una misura di forza: è invece una misura del peso relativo tra atomi diversi, tale denominazione è di derivazione storica ed è tuttora utilizzata, benché scorretta. La massa atomica assoluta (espressa in grammi) è pari alla massa atomica relativa divisa per il numero di Avogadro (6,022 x 1023). Relazioni con il concetto di mole Una considerazione a latere correla il valore ottenuto con il concetto di mole, la settima grandezza fondamentale del SI: in 12 g [esattamente] di carbonio-12 (che ha massa assoluta pari a 1,992 65 x 10-26), si hanno 6,022 x 1023 atomi, che è il numero di Avogadro. Siccome 12 u è la massa atomica del carbonio-12, si deduce che il peso atomico relativo di un elemento o di un'altra specie chimica è numericamente (ma non dimensionalmente) uguale alla massa molare[2], che si esprime quindi g/mol. Nel SI le moli di entità (molecole, ioni, radicali, zwitterioni, elettroni, fotoni, ...) si indicano con e la massa molare (la massa di una mole di entità) con . La seguente formula correla il peso molecolare alle moli di una entità di data massa: Note [1] Fundamental Physical Constants (http:/ / physics. nist. gov/ constants) in The NIST Reference on Constants, Units, and Uncertainty. NIST, 2010 [2] nel caso di un composto, la massa molare è pari al peso molecolare. Voci correlate • • • • • • Congresso di Karlsruhe Numero atomico Numero di massa Numero di Avogadro Massa molecolare Mole • Unità di massa atomica • Legge di Dulong e Petit Altri progetti • Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/Peso atomico 127 Acido 128 Acido In chimica, le definizioni di acido e base hanno subìto diverse modifiche nel tempo, partendo da un approccio empirico e sperimentale fino alle più recenti definizioni, sempre più generali, legate al modello molecolare ad orbitali,divisibili in acidi forti e acidi deboli. Nella quotidianità, il termine "acido" identifica sostanze generalmente irritanti e corrosive, capaci di intaccare i metalli e il marmo (sviluppando rispettivamente idrogeno e anidride carbonica) e di far virare al rosso una cartina al tornasole. Esempi di sostanze acide sono l'aceto, l'acido muriatico e il succo di limone. Un indice della forza di un acido, funzione della sua natura e della sua concentrazione, è il pH. Nell'ambito della chimica inorganica di base, per rimarcare la differenza tra le due tipologie di acidi inorganici (ossiacidi e idracidi) si fa spesso ricorso a schemi semplificati del tipo:[1] anidride + acqua → ossiacido non-metallo + idrogeno → idracido Ovvero un ossiacido si forma facendo reagire l'anidride corrispondente con acqua (ad esempio l'anidride solforica combinandosi con acqua forma acido solforico), mentre dalla reazione chimica tra un non-metallo e idrogeno si forma l'idracido corrispondente (ad esempio l'acido fluoridrico si forma dalla combinazione del fluoro con l'idrogeno). Definizioni di acido Di seguito vengono elencate le definizioni di "acido" più diffuse, in ordine cronologico. Definizione di acido secondo la teoria di Arrhenius Secondo la teoria di Arrhenius, un acido è una sostanza che dissociandosi in acqua libera ioni H+.[2] Una base è invece una sostanza che dissociandosi in acqua libera ioni OH-.[2] Rientrano in questa definizione tutti i composti che identifichiamo come acidi Gocce di acido solforico concentrato al 98% carbonizzano la carta. nell'uso comune, sia per la loro azione irritante sui tessuti viventi e corrosiva sui metalli, sia per la loro capacità di far virare opportunamente sostanze indicatrici. Sono acidi secondo Arrhenius, per esempio, acidi inorganici forti come l'acido solforico e l'acido cloridrico ed acidi deboli come l'acido acetico e l'acido citrico. La "forza" di un acido, e con essa anche i suoi effetti corrosivi e irritanti, è misurata per il tramite della costante di dissociazione acida. Se la dissociazione completa di una molecola di acido fornisce uno ione idrogeno, l'acido in questione è detto monoprotico (o monobasico), mentre se la sua dissociazione fornisce più ioni idrogeno si dirà poliprotico (o polibasico).[2] Acido 129 Definizione di acido secondo la teoria di Brønsted-Lowry Secondo la teoria di Brønsted-Lowry, un acido è una sostanza capace di cedere ioni H+ ad un'altra specie chimica detta base.[3][4] La teoria di Brønsted-Lowry estende la definizione di acido a quelle sostanze di cui non è possibile o non è pratico valutare il comportamento in acqua, come de facto succede nella definizione data da Arrhenius. Introduce anche il concetto di complementarità tra acido e base, dato che l'acido non è tale se non in presenza di una controparte cui cedere il proprio ione H+. Secondo Brønsted e Lowry, quindi, anche composti che non presentano un carattere evidentemente acido nella quotidianità, come per esempio gli alcoli, possono avere un comportamento acido quando sono in presenza di una base sufficientemente forte. Un esempio è la reazione tra metanolo e idruro di sodio, in cui il metanolo si comporta da acido, secondo la definizione di Brønsted e Lowry, cedendo allo ione idruro (la base) uno ione H+ CH3OH + NaH → CH3O-Na+ + H2 Secondo questa teoria non esistono quindi acidi e basi a sé stanti, ma solo coppie di acido e base coniugati. Una coppia acido/base coniugata è una coppia di specie chimiche che differiscono soltanto per uno ione H+. Quando un acido cede uno ione H+ si trasforma nella sua base coniugata; quando una base acquista uno ione H+ si trasforma nel suo acido coniugato. Qualunque reazione che comporta il trasferimento di uno ione H+ da un acido a una base è una reazione acido-base secondo Brønsted e Lowry. Un acido può, in determinate circostanze, comportarsi da base e viceversa. Definizione di acido secondo la teoria di Lewis Secondo la cosiddetta teoria di Lewis, un acido è una sostanza capace di accettare un doppietto elettronico da un'altra specie chimica capace di donarli (detta base).[5][6] Simile alla teoria di Brønsted-Lowry, sostituisce al trasferimento dello ione H+ il trasferimento in senso inverso di un doppietto elettronico. Secondo Lewis sono quindi acidi anche composti come il cloruro di alluminio ed il borano, che presentano nella loro struttura un orbitale vuoto capace di alloggiare un doppietto elettronico proveniente da una molecola donatrice, la base, e legarsi quindi ad essa tramite un legame dativo. Nell'esempio qui riportato, l'ammoniaca è la base ed il trifluoruro di boro è l'acido, secondo Lewis H3N: + BF3 → H3N→BF3 Gli acidi di Lewis si comportano da reagenti elettrofili, mentre le basi di Lewis si comportano da reagenti nucleofili. La differenza tra le definizioni di "acido di Lewis" e "elettrofilo" sta nel fatto che il carattere di un acido di Lewis è legato alla termodinamica della reazione, infatti un composto si comporta tanto più da acido di Lewis quanto più tende ad attirare a sé i doppietti elettronici (in condizioni di equilibrio), mentre il carattere elettrofilo è legato alla cinetica della reazione, infatti un composto si comporta tanto più da elettrofilo quanto più velocemente attira a sé i doppietti elettronici. Acido 130 Classificazione degli acidi Di seguito sono indicate alcune classi di acidi di Arrhenius descritte nell'ambito della chimica inorganica e organica.[7] Acidi inorganici Tra gli acidi inorganici si annoverano: • idracidi: sono composti da idrogeno e alogeni, zolfo, selenio, azoto o ione cianuro (CN-);[8] • ossiacidi: sono composti da idrogeno, un non metallo e ossigeno. Si formano facendo reagire un'anidride con l'acqua. Acidi organici Secondo la sistematica organica, agli acidi organici appartengono:[9] • acidi carbossilici: contengono uno o più gruppi carbossilici (-COOH), e in particolare: • acidi monocarbossilici (tra cui si annoverano gli acidi grassi): con un gruppo carbossilico • acidi dicarbossilici: con due gruppi carbossilici • perossiacidi (o peracidi): con uno o più gruppi -COOOH • • • • • • • • • • • • acidi solfonici: con uno o più gruppi -SO3H acidi solfinici: con uno o più gruppi -SO2H acidi sulfenici: con uno o più gruppi -SOH acidi selenonici: con uno o più gruppi -SeO3H[10] acidi seleninici: con uno o più gruppi -SeO2H acidi selenenici: con uno o più gruppi -SeOH acidi telluronici: con uno o più gruppi -TeO3H acidi tellurinici: con uno o più gruppi -TeO2H acidi tellurenici: con uno o più gruppi -TeOH acidi fosfonici: con uno o più gruppi -PO(OH)2 acidi arsonici: con uno o più gruppi -AsO(OH)2 tioacidi • O-tioacidi: con uno o più gruppi -CS(OH) • S-tioacidi: con uno o più gruppi -CO(SH) • ditioacidi: con uno o più gruppi -CS(SH) • seleneoacidi • O-selenoacidi: con uno o più gruppi -CSe(OH) • S-selenoacidi: con uno o più gruppi -CO(SeH) • diselenoacidi: con uno o più gruppi -CSe(SeH) • telluroacidi • O-telluroacidi: con uno o più gruppi -CTe(OH) • S-telluroacidi: con uno o più gruppi -CO(TeH) • ditelluroacidi: con uno o più gruppi -CTe(TeH). Sono classificati come acidi anche composti che presentano più gruppi funzionali (di cui uno acido), come gli amminoacidi. Acido 131 Rischi Il contatto della pelle (o di qualunque altra parte del corpo) con un acido produce generalmente un'irritazione; se l'acido è particolarmente forte o concentrato può prodursi anche una ustione. Entità e gravità degli effetti dipendono dalla forza dell'acido e dalla sua concentrazione, nonché dalle modalità e dai tempi di contatto. Note [1] In realtà, le reazioni chimiche descritte risultano approssimative; ad esempio gli idracidi non si formano da qualsiasi non-metallo, ma solo a partire dagli alogeni o dallo zolfo, oltre che dallo ione cianidrico, come verrà spiegato più avanti. [2] Silvestroni, op. cit., p.407 [3] Solomons, op. cit., p. 58 [4] Silvestroni, op. cit., p.408 [5] Solomons, op. cit., p. 65 [6] Silvestroni, op. cit., p.411 [7] Gli acidi di Brønsted-Lowry e gli acidi di Lewis comprendono invece un insieme molto più ampio ed eterogeneo di composti chimici, per cui non può essere data qui una loro classificazione sommaria. [8] A. Post Baracchi; A. Tagliabue, Chimica per le scuole medie superiori, Torino, Lattes, 1988 [9] Dispensa di chimica organica (http:/ / www. dispenseagrariatorino. it/ forestale/ difesadelsuolo/ difesadelsuolo1livello/ 1anno/ Chimicaorganica/ Organica. pdf) [10] IUPAC - Gold book (http:/ / goldbook. iupac. org/ S05576. html) Bibliografia • Paolo Silvestroni, Fondamenti di chimica, 10a ed., CEA, 1996. ISBN 88-408-0998-8 • T. W. Graham Solomons, Chimica organica, 2a ed., Bologna, Zanichelli, 2001, pp. 58-66. ISBN 88-08-09414-6 Voci correlate • • • • • • • • • • • Protonazione Reazione di neutralizzazione Base Costante di dissociazione acida pH Reazione acido-base Superacido Nomenclatura chimica Acido salicidico Sostanze corrosive Ustione Altri progetti • • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Acids Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/acido Collegamenti esterni • Fun Science Gallery - Esperimenti con acidi e basi (http://www.funsci.com/fun3_it/acidi/acidi.htm) • Calcolo di pH di acidi e basi e curve di titolazione con Excel – programma in inglese (http://www2.iq.usp.br/ docente/gutz/Curtipot_.html) o in portoghese (http://www2.iq.usp.br/docente/gutz/Curtipot.html) Base (chimica) 132 Base (chimica) In chimica, le definizioni di acido e base hanno subìto diverse modifiche nel tempo, partendo da un approccio empirico e sperimentale fino alle più recenti definizioni, sempre più generali, legate al modello molecolare ad orbitali. Nella quotidianità, il termine "base" identifica sostanze generalmente caustiche e corrosive, capaci di intaccare i tessuti organici e di far virare al blu una cartina al tornasole. Esempi di sostanze basiche sono l'ammoniaca, la soda caustica e i più comuni tipi di sapone. Un indice della forza di una base, funzione della sua natura e della sua concentrazione, è il pH. Di seguito vengono elencate le definizioni più diffuse, in ordine cronologico. Definizione di base secondo la teoria di Arrhenius Secondo la teoria di Arrhenius, una base è una sostanza che dissociandosi in acqua produce ioni OH-.[1] Un acido , invece, è una sostanza che dissociandosi in acqua produce ioni H+.[1] Rientrano in questa definizione tutti i composti che identifichiamo come basi (o alcali) nell'uso comune, sia per la loro azione irritante sui tessuti viventi (ed il tipico gusto amaro), sia per la loro capacità di far virare opportunamente sostanze indicatrici. Sono basi secondo Arrhenius, per esempio, basi inorganiche forti come l'idrossido di sodio e l'idrossido di potassio. La "forza" di una base, e con essa anche i suoi effetti corrosivi ed irritanti, è misurata tramite la costante di dissociazione basica. Una base viene detta monoacida o poliacida se libera uno o più ioni ossidrile.[1] Definizione di base secondo la teoria di Brønsted-Lowry Secondo la teoria di Brønsted-Lowry, una base è una sostanza capace di acquisire ioni H+ da un'altra specie chimica, detta acido.[2][3] La teoria di Brønsted-Lowry estende la definizione di base a quelle sostanze di cui non è possibile o non è pratico valutare il comportamento in acqua, come de facto succede nella definizione data da Arrhenius. Introduce anche il concetto di complementarietà tra acido e base, dato che la base non è tale se non in presenza di una controparte a cui strappare uno ione H+, e viceversa. L'ammoniaca, ad esempio, si comporta come una base secondo Brønsted e Lowry quando è sciolta in acqua perché è in grado di sottrarre all'acqua uno ione H+ NH3 + H2O → NH4+ + OH- Secondo questa teoria non esistono quindi acidi e basi a sé stanti, ma solo coppie di acido e base coniugati. Una coppia acido/base coniugata è una coppia di specie chimiche che differiscono soltanto per uno ione H+. Quando un acido cede uno ione H+ si trasforma nella sua base coniugata; quando una base acquista uno ione H+ si trasforma nel suo acido coniugato. Qualunque reazione che comporta il trasferimento di uno ione H+ da un acido a una base è una reazione acido-base secondo Brønsted e Lowry. Un acido può, in determinate circostanze, comportarsi da base e viceversa. Base (chimica) 133 Definizione di base secondo la teoria di Lewis Secondo la teoria di Lewis, una base è una sostanza capace di donare un doppietto elettronico ad un'altra specie chimica (detta acido).[4][5] Simile alla teoria di Brønsted-Lowry, sostituisce al trasferimento dello ione H+ il trasferimento in senso inverso di un doppietto elettronico. Secondo Lewis sono quindi basi anche composti come il tricloruro di fosforo o la piridina, che presentano nella loro struttura un doppietto elettronico non condiviso che possono trasferire tramite un legame dativo ad un accettore, un acido di Lewis. Nell'esempio qui riportato, l'ammoniaca è la base ed il trifluoruro di boro è l'acido, secondo Lewis H3N: + BF3 → H3N→BF3 Una reazione acido-base secondo Lewis comporta la formazione di un legame dativo tra una base di Lewis (donatore) e un acido di Lewis (accettore). Le basi di Lewis si comportano da reagenti nucleofili, mentre gli acidi di Lewis si comportano da reagenti elettrofili. La differenza tra le definizioni di "base di Lewis" e "nucleofilo" sta nel fatto che il carattere di una base di Lewis è legato alla termodinamica della reazione, infatti un composto si comporta tanto più da base di Lewis quanto più tende a donare i doppietti elettronici (in condizioni di equilibrio), mentre il carattere nucleofilo è legato alla cinetica della reazione, infatti un composto si comporta tanto più da nucleofilo quanto più velocemente dona i doppietti elettronici. Basi forti Una base è forte quando è completamente dissociata, e cioè dà luogo ad una ionizzazione totale. Le principali basi forti sono: • • • • • idrossido di sodio: NaOH idrossido di potassio: KOH idrossido di calcio: Ca(OH)2 idrossido di bario: Ba(OH)2 idrossido di magnesio: Mg(OH)2. Solubilità delle basi Vi sono basi che si sciolgono e liberano ioni OH- producendo soluzioni basiche, ma vi sono anche basi, come Cu(OH)2, Fe(OH)2, Fe(OH)3, Zn(OH)2, che sono poco, o per nulla solubili, quindi non riescono a formare una soluzione basica. È possibile che le basi derivanti da metalli anfoteri, in soluzioni concentrate, diano segni di solubilità a causa della formazione di ioni complessi (ad esempio, Al(OH)3, che in soluzioni alcaline concentrate reagisce a dare lo ione Al(OH)4-, solubile). Base (chimica) Note [1] [2] [3] [4] [5] Silvestroni, op. cit., p.407 Solomons, op. cit., p. 58 Silvestroni, op. cit., p.408 Solomons, op. cit., p. 65 Silvestroni, op. cit., p.411 Bibliografia • Paolo Silvestroni, Fondamenti di chimica, 10a ed., CEA, 1996. ISBN 88-408-0998-8 • T. W. Graham Solomons, Chimica organica, 2a ed., Bologna, Zanichelli, 2001, pp. 58-66. ISBN 88-08-09414-6 Voci correlate • • • • • Protonazione Reazione di neutralizzazione Acido Costante di dissociazione basica pH • • • • • Reazione acido-base Superbase Base insolubile Nomenclatura chimica Sostanze corrosive Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Bases Collegamenti esterni • Fun Science Gallery - Esperimenti con acidi e basi (http://www.funsci.com/fun3_it/acidi/acidi.htm) 134 Radicale libero Radicale libero Si definisce radicale (o radicale libero[1]) una specie chimica molto reattiva avente vita media di norma brevissima, costituita da un atomo o una molecola formata da più atomi che presenta un elettrone spaiato: tale elettrone rende il radicale estremamente reattivo, in grado di legarsi ad altri radicali o di sottrarre un elettrone ad altre molecole vicine.[2] I radicali giocano un ruolo importante in fenomeni come la combustione, la polimerizzazione e nella fotochimica, e molti altri processi chimici, compresi quelli che riguardano la fisiologia umana. In questo ultimo caso il superossido e il monossido di azoto hanno una funzione importantissima nel regolare molti processi biologici, come il controllo del tono vascolare. (Attenzione: il monossido di azoto non deve essere considerato un radicale libero) Il termine radicale e radicale libero sono spesso utilizzati con lo stesso significato. Il primo radicale libero stabile, il trifenilmetile, è stato individuato da Moses Gomberg nel 1900 alla University of Michigan. Nonostante la loro reattività, la maggior parte di essi ha una vita sufficientemente lunga da permetterne l'osservazione tramite metodi spettroscopici. Si formano, spontaneamente in natura o in laboratorio, per azione della luce o del calore in seguito alla scissione omolitica di un legame covalente. L'esempio sotto riportato illustra la formazione di due radicali metile a partire da una molecola di etano; in questo caso si richiedono 88 kcal/mol di energia, che rappresenta l'energia di dissociazione del legame C-C: CH3-CH3 → CH3• + CH3• Radicali, ioni e gruppi funzionali Il concetto di "radicale" ricorda i concetti di "ione" e "gruppo funzionale"; di seguito vengono indicate le analogie e le differenze tra questi concetti: • gli ioni e i radicali sono specie chimiche, mentre i gruppi funzionali non sono specie chimiche, bensì parti di altre specie chimiche (ad esempio parti di molecole); • i radicali e gli ioni possono combinarsi con altre specie chimiche diventando gruppi funzionali; i radicali sono più reattivi degli ioni, quindi si combinano più facilmente con altre specie chimiche, mentre per i gruppi funzionali non ha senso parlare di reattività; • i radicali sono specie chimiche neutre (escludendo il caso particolare degli ioni radicalici), mentre gli ioni sono specie chimiche cariche (positivamente o negativamente); per i singoli gruppi funzionali, essendo parte di una specie chimica, non è possibile invece definire una "carica"; • i radicali contengono un elettrone spaiato, mentre gli ioni possono avere l'ottetto completo (ad esempio Cl-) oppure no, mentre i gruppi funzionali, essendo parte di una specie chimica, possono avere solo elettroni condivisi; • la funzione radicalica viene indicata con il simbolo "•" (che indica l'elettrone spaiato), gli ioni vengono accompagnati nella rappresentazione dal numero di cariche positive (indicate da un numero seguito dal simbolo "+" o da tanti segni "+" quanto sono le cariche positive) o negative (indicate da un numero seguito dal simbolo "-" o da tanti segni "-" quanto sono le cariche negative), mentre i gruppi funzionali sono rappresentati indicando i legami che presentano con il resto della specie chimica (ad esempio il -COOH presenta un legame semplice, mentre il =CO può presentare un doppio legame o due legami semplici). Esistono inoltre particolari specie chimiche che hanno entrambe le proprietà caratteristiche degli ioni e dei radicali: tali specie chimiche sono dette "ioni radicalici". 135 Radicale libero Meccanismi di formazione di ioni e radicali A parte il caso degli ioni radicalici, che sono dotati carica (positiva o negativa), i radicali sono specie chimiche neutre. Siccome il radicale presenta un elettrone spaiato, si potrebbe incorrere nell'errore di considerare il radicale come una specie carica negativamente. Tale equivoco nasce nel momento in cui si pensa che il radicale derivi da una specie chimica neutra a cui sia stato aggiunto un elettrone spaiato, per cui avrebbe carica negativa; in realtà il radicale non nasce dall'aggiunta di un elettrone ad una specie neutra (come avviene invece nel caso della "ionizzazione" di specie neutre, che dà luogo appunto a ioni), bensì dalla "scissione" di una specie chimica neutra, quindi se la specie chimica di partenza è neutra, scindendosi in due parti distinte, darà origine a due radicali neutri: infatti se per assurdo una delle due specie fosse caricata negativamente, per la conservazione della carica, l'altra dovrebbe essere caricata positivamente, ma in quest'ultimo caso non si avrebbe più il meccanismo di "scissione omolitica" (da cui si originano i radicali), bensì "scissione eterolitica" (da cui si originano ioni). Considerando una specie chimica neutra, in particolare una molecola biatomica A:B (dove i due punti rappresentano un legame singolo tra A e B), i meccanismi di scissione omolitica e eterolitica a cui può essere soggetta la molecola possono essere rappresentati rispettivamente nel seguente modo: • Scissione omolitica: A:B → A• + B• • Scissione eterolitica: A:B → A+ + B:Esempio Si consideri una molecola di cloro. La formula bruta del cloro è Cl2 e la sua molecola è costituita quindi da due atomi di cloro (Cl). Con il termine "cloro" si intende sia la molecola Cl2 sia l'elemento chimico Cl, ma mentre la molecola Cl2 è una specie chimica stabile, il cloro come elemento chimico (Cl) non può essere definito una "specie chimica". Nonostante ciò, possiamo definire una configurazione elettronica dell'atomo di cloro, che è la seguente: 1s22s22p63s23p5 L'atomo di cloro presenta quindi 17 elettroni (2 elettroni nel livello 1, 8 elettroni nel livello 2 e 7 elettroni nel livello 3); l'atomo di cloro presenta inoltre 17 protoni e un numero variabile di neutroni (18, 19 o 20), a seconda dell'isotopo considerato. Siccome il numero di elettroni in un atomo di cloro è pari al numero di protoni (come per tutti gli altri elementi chimici), l'atomo di cloro ha carica neutra. Nonostante l'atomo di cloro abbia carica neutra, esso però presenta un "elettrone spaiato", in quanto per raggiungere l'ottetto ha bisogno di formare un legame singolo con un altro atomo. Una molecola di cloro Cl2 può dare luogo per scissione omolitica a due radicali Cl•, secondo il seguente meccanismo: Cl:Cl → Cl• + Cl• Ogni radicale è in questo caso costituito da un singolo atomo di cloro, che come detto in precedenza è neutro. Il simbolo posto tra i due atomi di cloro ":" indica la coppia di elettroni condivisa, che costituisce il legame covalente, mentre il simbolo "•" non indica uno scompenso di carica, bensì la presenza di un elettrone spaiato, il quale è responsabile del carattere altamente energetico del radicale. 136 Radicale libero 137 Stabilità dei radicali Nel caso di radicali alchilici, si ha questo ordine di stabilità: terziario > secondario > primario Un radicale alchilico terziario è quindi più stabile del corrispondente radicale alchilico secondario, che a sua volta è più stabile del corrispondente radicale alchilico primario. I radicali possono essere anche stabilizzati per risonanza, quando sono coniugati a sistemi π quali doppi legami o anelli aromatici. Formule di risonanza del radicale allile Formule di risonanza del radicale benzile I radicali sono comunque in genere specie molto reattive e quindi a vita corta. Esistono però radicali a vita lunga, che si possono categorizzare nel modo seguente: Radicali stabili Il primo esempio di radicale stabile è l'ossigeno molecolare, O2. I radicali organici possono avere vita lunga se fanno parte di un sistema π coniugato, come il radicale che deriva dal α-tocoferolo (vitamina E). Ci sono anche centinaia di radicali tiazilici, che hanno una notevole stabilità cinetica e termodinamica pur con una stabilizzazione di risonanza π molto limitata.[3][4] Radicali persistenti I radicali persistenti sono specie che possono vivere a lungo perché attorno al centro radicale esiste un notevole impedimento sterico; la reazione del radicale con altre specie è di conseguenza fisicamente difficile.[5] Alcuni esempi sono il radicale trifenilmetile scoperto da Gomberg, il sale di Fremy (nitrosodisulfonato di potassio, (KSO3)2NO•), gli ossidi amminici (formula generale R2NO•) come TEMPO e TEMPOL. Durante i processi di combustione si generano grandi quantità di radicali persistenti, che "possono essere responsabili di stress ossidativo con conseguenti malattie cardio-polmonari e, probabilmente, il cancro che è stato attribuito all'esposizione a polveri sottili presenti nell'aria."[6] Radicale libero Fisiopatologia I radicali liberi sono uno dei meccanismi di danno cellulare più importante, sebbene assolvano a molte funzioni fondamentali dell'organismo quando controllati. Sono molecole che posseggono un elettrone spaiato sull'orbitale più esterno e questa configurazione elettronica le rende altamente instabili e particolarmente reattive. I radicali liberi reagiscono facilmente con una qualsiasi molecola si trovi in loro prossimità (carboidrati, lipidi, proteine, acidi nucleici) danneggiandola e spesso compromettendone la funzione. Inoltre, reagendo con altre molecole, hanno la capacità di autopropagarsi trasformando i loro bersagli in radicali liberi e scatenando così reazioni a catena che possono provocare estesi danni nella cellula. In condizioni normali, ciascuna cellula produce radicali liberi tramite vari processi, come reazioni enzimatiche (ad esempio la xantina ossidasi o la NO sintasi), fosforilazione ossidativa, difesa immunitaria (granulociti neutrofili e macrofagi). Queste piccole quantità sono tollerate e vengono inattivate da sistemi enzimatici come il glutatione ed altri antiossidanti detti scavenger per la loro capacità di neutralizzare i radicali liberi. Quando la produzione di radicali liberi è eccessiva si genera ciò che viene chiamato stress ossidativo. I sistemi enzimatici e gli antiossidanti intracellulari non riescono più a far fronte alla sovraproduzione e i radicali liberi generano danno cellulare che può essere sia reversibile, in tal caso la cellula torna alle condizioni normali, o irreversibile, con conseguente morte cellulare per apoptosi o per necrosi. Lo stress ossidativo è imputato quale causa o concausa di patologie quali il cancro, l'invecchiamento cellulare e malattie degenerative. Le specie reattive dell'ossigeno possono essere classificate come ROS (da Reactive Oxygen Species) o alternativamente come ROI (da Reactive Oxygen Intermediate). Allo stesso modo, le specie reattive dell'azoto possono essere nominate RNS (Reactive Nitrogen Species) o RNI. ROS Le specie reattive dell'ossigeno, i ROS, sono i radicali liberi a maggior diffusione. I più importanti ROS sono l'anione superossido O2-, il perossido d'idrogeno H2O2 e il radicale ossidrilico •OH. • L'anione superossido (O2-) è prodotto dalla riduzione incompleta di O2 durante la fosforilazione ossidativa, da alcuni enzimi (xantina ossidasi) e dai leucociti. Viene inattivato dalle superossido dismutasi (SOD) che, combinandolo con 2H+ e catalizzando la reazione tramite il suo cofattore metallico (Fe, Mn, Cu, Zn o Ni) lo converte in H2O2 e O2. Se non viene inattivato danneggia i lipidi di membrana, proteine e DNA, può inoltre stimolare la produzione di enzimi nei leucociti. Generalmente ha un raggio d'azione limitato. • Il perossido d'idrogeno (H2O2) è spesso il prodotto della superossido dismutasi (SOD) o da alcune ossidasi contenute nei perossisomi. Viene metabolizzato dalla catalasi dei perossisomi in H2O e O2 che catalizza la reazione tramite il suo gruppo eme e dalla glutatione perossidasi nel citosol e nei mitocondri. • Il radicale ossidrilico (•OH) è generalmente un prodotto dell'idrolisi dell'acqua da parte di radiazioni, oppure è un prodotto della reazione di Fenton a partire dal perossido d'idrogeno (con lo ione ferroso Fe2+ quale catalizzatore). E' il ROS più reattivo ed è prodotto dai leucociti a partire dal perossido d'idrogeno per distruggere patogeni, ma se in eccesso provoca danni alla membrana plasmatica, alle proteine e agli acidi nucleici. Viene inattivato per conversione in H2O da parte della glutatione perossidasi. RNS Le specie reattive derivate dall'azoto (RNS) di maggior interesse sono l'ossido nitrico (NO) ed il perossinitrito (ONOO-). • L'ossido nitrico è prodotto dalle NO sintasi di cui esistono, nell'uomo, tre tipi: NO sintasi neuronale (nNOS), presente nei neuroni e nel muscolo scheletrico, NO sintasi inducibile (iNOS) presente nel sistema cardiovascolare e nelle cellule del sistema immunitario e NO sintasi endoteliale (eNOS), presente nell'endotelio. L'ossido di azoto è un neurotrasmettitore, è coinvolto nella risposta immunitaria, è un potente vasodilatatore, un secondo messaggero e partecipa all'erezione del pene. 138 Radicale libero • Il perossinitrito (ONOO-) è formato dalla reazione tra ossido nitrico e ione superossido. Viene convertito in HNO2 dalle perossiredossine presenti nel citosol e nei mitocondri. Può danneggiare lipidi, proteine e DNA. Generazione di ROS e RNS All'interno della cellula i radicali liberi possono essere generati in vari modi. • Le radiazioni ionizzanti idrolizzano l'acqua (H2O) a idrogeno (H) e radicale ossidrilico (•OH). Fanno parte di questa categoria i raggi ultravioletti, i raggi X e i raggi gamma. • Le infiammazioni sono processi che scatenano la produzione di ROS da parte della NADPH ossidasi dei leucociti al fine di sbarazzarsi di organismi patogeni; talvolta però i radicali liberi prodotti danneggiano anche cellule sane. • Alcuni enzimi come la xantina ossidasi che genera O2-, la NO sintasi che genera NO, la superossido dismutasi che genera H2O2, oppure a partire da enzimi che metabolizzano farmaci o altre sostanze chimiche esogene. • La fosforilazione ossidativa che si verifica durante la respirazione cellulare e che genera piccole quantità di ciascuno dei tre più importanti ROS. • I metalli di transizione fungono da catalizzatori nelle reazioni che portano alla produzione di radicali liberi. Il più comune è il Fe2+ tramite la reazione di Fenton, seguito dal rame (Cu). • Altri radicali liberi possono concorrere alla formazione di ulteriori radicali liberi, per esempio quando NO e O2reagiscono per formare il perossinitrito ONOO-. Rimozione di ROS e RNS La cellula possiede diversi metodi per metabolizzare i ROS. • Il sistema più comune è quello che utilizza enzimi deputati alla conversione delle specie reattive dell'ossigeno in prodotti meno reattivi e tossici per la cellula. Sono state citate la superossido dismutasi (ne esistono almeno tre tipi) che agisce su O2- tramite la reazione 2O2- + 2H+ --> H2O2 + O2, la catalasi che opera sul perossido d'idrogeno tramite la reazione 2H2O2 --> 2H2O + O2 e la glutatione perossidasi che agisce sia sul perossido d'idrogeno che sul radicale ossidrilico tramite le reazioni H2O2 + 2GSH --> GSSG + 2H2O e 2OH + 2GSH --> GSSG + 2H2O. Il rapporto tra il glutatione ridotto (GSH) e il glutatione ossidato (GSSG) viene analizzato per valutare la capacità della cellula di eliminare i ROS ed è un indice del suo stato ossidativo. • La cellula controlla il livello di metalli di transizione al suo interno, particolarmente quelli del ferro e del rame. Il ferro è infatti sempre legato ad una proteina e tendenzialmente mantenuto allo stato ferrico Fe3+. Nel sangue è legato alla trasferrina, la proteina con la maggiore affinità per il suo substrato conosciuta, è immagazzinato nella ferritina, ma è anche utilizzato nel gruppo eme di molte metalloproteine e ferrossidasi a diverso significato. Il rame è legato prevalentemente alla ceruloplasmina e all'efestina. • La cellula possiede antiossidanti deputati alla neutralizzazione di radicali liberi, gli scavenger. Ne fanno parte il glutatione, la vitamina A (retinolo, retinale, acido retinoico), la vitamina C (acido ascorbico) e la vitamina E (tocoferolo). Effetti dei radicali liberi I radicali liberi tendono a danneggiare particolarmente tre componenti della cellula: i lipidi, le proteine e gli acidi nucleici. • La perossidazione lipidica, in particolare della membrana plasmatica e delle membrane degli organelli intracellulari è un danno cellulare comune dovuto ai ROS e agli RNS. I radicali liberi, in presenza di ossigeno, reagiscono con i doppi legami dei lipidi di membrana generando dei perossidi lipidici che, essendo reattivi, si propagano determinando un danno esteso alle membrane. Il ROS più temibile in questo caso è •OH. Negli eritrociti possono provocare quindi emolisi. La degradazione dei lipidi operata dai radicali liberi è riscontrabile 139 Radicale libero tramite la presenza di prodotti terminali di lipossilazione avanzata (ALEs, Advanced Lipoxylation End-products) quali il 4-idrossi-nonenale (4) HNE) e la malonil-dialdeide (MDA). Sono stati sviluppati dei dosaggi colorimetrici molto sensibili (metodo ELISA) che permettono di rilevare 4-HNE ed MDA a concentrazioni tissutali inferiori al micromolare. • L'ossidazione delle proteine, in particolare i radicali liberi agiscono ossidando i gruppi laterali degli amminoacidi, danneggiando la funzione della proteina, promuovono la formazione di legami crociati come il legame disolfuro, alterandone la struttura o il ripiegamento. Possono anche dare origine ad amminoacidi modificati (diidrossifenilalanina, ditirosina...). • Il danno al DNA, dal momento che i radicali liberi possono determinare mutazioni o danneggiare macroscopicamente lo stesso DNA e alterare la struttura chimica delle basi azotate formandone di nuove come 8-ossiguanina o 5-idrossimetiluracile. Tramite questo tipo di danno sono concausa dell'invecchiamento cellulare e promuovono il cancro. Misurazione dello stress ossidativo È possibile misurare sia la concentrazione di sostanze ossidanti (ROS: radicali liberi dell'ossigeno) sia di quelle antiossidanti grazie ad un test di semplice esecuzione, da cui si ottiene un valore detto "indice di stress ossidativo". Lo stress ossidativo è definito come la mancanza di equilibrio tra lo stato ossidante (danni da radicali liberi) e lo stato antiossidante (difese anti-radicaliche). Il test può essere particolarmente utile per la seguenti categorie di persone: • Adulti sani che vogliano fare un "check-up" in chiave preventiva (famigliarità per malattie cardiovascolari, diabete, dislipidemie, malattie atrosiche, ecc.) • Sportivi, per monitorare l'efficacia di allenamenti e metodologie di scarico e di recupero dopo sforzi od attività agonistica. • Donne, per migliorare i consigli dermocosmetici di anti-invecchiamento della pelle. Inoltre, grazie ai parametri del test, è possibile valutare meglio l'azione a livello cellulare e l'eventuale riduzione del danno ossidativo durante: • • • • Diete Attività fisica Trattamenti cosmetici e nutrizionali Modifiche dello stile di vita (es. riduzione o abolizione del fumo di sigaretta). Modalità di esecuzione • Il prelievo è sul sangue capillare (puntura del polpastrello). • È preferibile essere riposati e non in fase di stress recente. • È consigliabile non aver fumato almeno mezz'ora prima del test. Il test è basato sul rapporto tra la valutazione della concentrazione di ROS (FORT TEST) e la capacità antiossidante totale (FORD TEST)[7] 140 Radicale libero Risultati Più elevato è il valore del FORT TEST maggiore è il rischio di danni da stress ossidativo. Il risultato è legato al livello delle difese (FORD TEST): più alte sono le difese, minore è il rischio generale. Eventualmente le difese possono essere stimolate e potenziate/integrate qualora risultino sotto i livelli usuali. Naturalmente ogni persona ha un suo valore di partenza riguardo a questi parametri. È consigliabile eseguire un primo test di controllo per conoscere i propri parametri in un momento in cui si è “sani”. Controlli successivi ci diranno se c'è un miglioramento o peggioramento in termini di stress ossidativo con una diminuzione o un aumento potenziale del rischio patologico generale. In tal caso potrebbe essere utile consultare il proprio medico per eventuali controlli diagnostici mirati. Note [1] Solomons, op. cit., p. 122 [2] P. Silvestroni, "Fondamenti di chimica", nota 22 pag. 362, ed. Cea-Zanichelli [3] (EN)R. T. Oakley (1998). Cyclic and heterocyclic thiazenes. Prog. Inorg. Chem. 36: 299-391. DOI: 10.1002/9780470166376.ch4 (http:/ / dx. doi. org/ 10. 1002/ 9780470166376. ch4). URL consultato il 24-12-2010. [4] (EN)J. M. Rawson, A. J. Banister e I. Lavender (1995). Chemistry of dithiadiazolydinium and dithiadiazolyl rings. Adv. Hetero. Chem. 62: 137-247. DOI: 10.1016/S0065-2725(08)60422-5 (http:/ / dx. doi. org/ 10. 1016/ S0065-2725(08)60422-5). URL consultato il 24-12-2010. [5] (EN)D. Griller e K. U. Ingold (1976). Persistent carbon-centered radicals. Acc. Chem. Res. 9 (1): 13-19. DOI: 10.1021/ar50097a003 (http:/ / dx. doi. org/ 10. 1021/ ar50097a003). URL consultato il 24-12-2010. [6] (EN)S. Lomnicki, H. Truong, E. Vejerano e B. Dellinger (2008). Copper oxide-based model of persistent free radical formation on combustion-derived particulate matter. Environ. Sci. Technol. 42 (13): 4982–4988. DOI: 10.1021/es071708h (http:/ / dx. doi. org/ 10. 1021/ es071708h). URL consultato il 24-12-2010. [7] FORT and FORD: two simple and rapid assays in the ... [Metabolism. 2009] - PubMed result (http:/ / www. ncbi. nlm. nih. gov/ pubmed/ 19604518) Bibliografia • Muller, F. L., Lustgarten, M. S., Jang, Y., Richardson, A., Van Remmen, H., Trends in oxidative aging theories, Free Radic. Biol. Med. 43, 477-503 (2007) • T. W. Graham Solomons, G. Ortaggi, D. Misiti (a cura di), Chimica organica (http://www.catalogo.zanichelli. it/Pages/Opera?siteLang=IT&id_opera=534962), 2a ed., Zanichelli, 1988. ISBN 88-080-9414-6 Voci correlate • • • • • • • • • Alcani Alchile Alterazione omeostasi del calcio Arile Carbocatione Ione radicalico Legame chimico Sistematica organica Sostituzione radicalica 141 Metallo 142 Metallo Il metallo è un materiale che riflette la luce conferendole una particolare tonalità (detta appunto lucentezza metallica), un ottimo conduttore di calore e di elettricità,[1] che può essere attaccato dagli acidi (con sviluppo di idrogeno) e dalle basi, spesso con buone caratteristiche di resistenza meccanica. L'acqua può attaccare i metalli (soprattutto del primo e secondo gruppo), ai quali strappa gli elettroni di valenza per dare appunto l'idrogeno attraverso una reazione particolarmente esotermica. Metallo, nello specifico ferro. In base alle proprietà chimiche i metalli danno luogo ad ossidi basici (es: Na2O, CaO). Sono elementi chimici (si tratta di una delle tre categorie in cui gli elementi chimici sono suddivisi, insieme ai semimetalli e ai non metalli) oppure leghe. Esistono vari tipi di metalli; questi furono scoperti in epoche distanti nel tempo, perché ben pochi metalli sono reperibili in natura allo stato nativo; inoltre ogni metallo ha una sua temperatura di fusione: più bassa è tale temperatura, più è facile l’estrazione del metallo dalle rocce che lo contengono. In particolare i primi metalli lavorati (il rame e lo stagno) hanno una temperatura di fusione relativamente bassa, ottenibile con gli antichi forni di circa 10.000 anni fa (epoca in cui, presumibilmente, iniziò la lavorazione del rame). Con l'espressione materiale metallico si fa riferimento in generale ai metalli e alle loro leghe. Caratteristiche Numero di atomi per cella unitaria Numero di coordinazione Fattore di impacchettamento atomico Reticolo cubico a corpo centrato (CCC) 9 8 0,68 Reticolo cubico a facce centrato (CFC) 14 12 0,72 Esagonale compatto (EC) 17 12 0,72 Metallo 143 Caratteristica essenziale del metallo è la sua struttura regolare, basata sulla ripetizione di una cella elementare. Le più comuni celle sono la CCC (cubica corpo centrato; esempi: ferro, tungsteno e molibdeno), CFC (cubica facce centrate; esempi: rame e alcune sue leghe, acciaio austenitico, leghe di alluminio o di nichel, piombo, oro e argento) ed EC (esagonale compatta; esempi: magnesio, cadmio e zinco).[2] Sottoraffreddato dallo stato liquido un metallo si solidifica in grani, le cui dimensioni sono immagine della temperatura a cui avviene il processo e i cui bordi rappresentano un'importante zona di Cristalli di gallio discontinuità della struttura metallica. Maggiore è il sottoraffreddamento, minore sarà il raggio critico al di sotto del quale si decostruiscono gli embrioni dallo stato solido; inoltre per un maggior numero di embrioni che diventano grani risulterà minore la dimensione del grano metallico. Quest'ultimo aspetto ha fondamentale importanza nello studio della resistenza a deformazione: a temperatura ambiente la frattura a trazione avviene per rottura dei grani e non per distacco tra essi, a causa del maggior contenuto energetico, e quindi migliore coesione, associato alla distorsione dei giunti cristallini. Per contro all'aumentare della temperatura la maggiore mobilità dei difetti, concentrati nei giunti, ne abbassa notevolmente la coesione (frattura intercristallina). I metalli tendono a cedere con facilità i propri elettroni di valenza a non tenersi quelli in eccesso per raggiungere la configurazione elettronica dei gas nobili: hanno cioè una bassa energia di ionizzazione e una scarsa affinità elettronica.[1] Il contrario accade per i semimetalli ed a maggior ragione per i non metalli. Quando più atomi metallici si aggregano a formare una struttura cristallina quindi, gli elettroni di legame vengono condivisi tra tutti i partecipanti dando luogo ad orbitali molecolari delocalizzati in tutto il solido. La delocalizzazione elettronica e l'elevato numero di oggetti presenti contribuisce a tenere insieme gli ioni costituenti, anche se l'energia di legame per atomo non è molto elevata; nel contempo, essa dà luogo alla sovrapposizione delle bande di energia, permettendo di conseguenza alle cariche di muoversi liberamente all'interno del metallo. Si parla per questo di gas di elettroni. La disponibilità di tante cariche libere spiega bene l'ottima conducibilità elettrica e termica, insieme alla proprietà di assorbire e/o riflettere la luce totalmente anche in strati sottilissimi, di poche decine di atomi. Generalmente gli elementi chimici metallici sono quasi tutti nella zona di transizione centrale della tavola periodica, fra i alcalino-terrosi e gli alogeni; sono quasi tutti di peso atomico medio o medio-alto; gli elementi metallici più leggeri possono essere portati allo stato metallico solo con difficoltà. I metalli (nome esteso minuscolo secondo IUPAC) e le loro leghe più comuni sono: • l'argento (Ag) • l'alluminio (Al) • il ferro (Fe) • il rame (Cu) • l'oro (Au) • lo zinco (Zn) Il ferro, uno dei metalli più noti. • il platino (Pt) • • • • il piombo (Pb) lo stagno (Sn) il titanio (Ti) il mercurio (Hg) • il bronzo (lega rame-stagno, ma anche -alluminio, -nichel, -berillio) • l'ottone (lega rame-zinco, con aggiunta di Fe, As, Sn, Sb, Al, ed altri metalli e semimetalli) Metallo 144 • gli acciai (leghe ferro-carbonio-cromo-nichel-molibdeno ed altri metalli cobalto, vanadio). Estrazione e lavorazione dei metalli Il minerale che contiene il metallo viene prelevato dalle miniere. In seguito avviene l’estrazione della materia prima (i minerali). L'estrazione consiste nel separare il metallo dalle altre sostanze. Quindi il metallo viene fuso e passa allo stato liquido per le successive lavorazioni. Dopo l’estrazione, il metallo viene raffinato, cioè vengono eliminate le impurità fino ad ottenere la percentuale di purezza desiderata. A questo punto il metallo viene colato, cioè viene estratto dal forno come metallo fuso. I metalli fusi possono quindi essere modellati, messi in appositi stampi e quindi assumere la forma data. Metallo lavorato a caldo Per ottenere i prodotti metallici finiti bisogna prima passare alla produzione dei semilavorati, cioè dove si producono le lastre, i lingotti, le bramme, i blumi o bilette. Infine avviene la lavorazione meccanica, che consiste nella laminazione e stampaggi dei semilavorati. Metalli pesanti Non esiste una definizione ufficiale di metallo leggero o pesante da parte della IUPAC, l'autorità internazionale che fissa e aggiorna la nomenclatura e la terminologia degli elementi e composti chimici, o da parte di organismi simili.[3] Nonostante questo, numerosi articoli e pubblicazioni parlano genericamente di "metalli pesanti" e "leggeri" omettendo una chiara definizione o dando definizioni in contrasto tra loro basate sulla densità, sul peso atomico o altre proprietà chimiche.[3] Spesso all'aggettivo pesante è associato il concetto di tossicità anche se di per sé la densità di un metallo non ha un legame diretto con effetti sul corpo umano. La tossicità di una qualunque sostanza dipende dalla sua natura (esatto composto chimico) e dalla sua quantità. Un composto chimico può essere tossico pur essendo formato da atomi di elementi chimici che presi singolarmente non sono tali, e viceversa. Inoltre una certa sostanza può essere ben tollerata o addirittura necessaria se al di sotto di una certa quantità. Infine la tossicità dipende dalla combinazione e sinergia con altri elementi. Metalli indicati come "pesanti" messi tipicamente in correlazione alla loro tossicità e bioaccumulazione nella catena alimentare sono: mercurio, cromo, cadmio, arsenico, piombo[3] e recentemente uranio[4]. Difetti del cristallo La ripetitività della struttura cristallina è interrotta localmente da difetti che possono essere di vario genere. • Difetti di punto: sono le occasionali vacanze (la cui concentrazione dipende dalla temperatura secondo un legame esponenziale), gli atomi sostituzionali o interstiziali (specie quando nelle soluzioni solide è notevole la differenza nelle dimensioni degli elementi componenti), gli atomi autointerstiziali (nel caso di atomi uguali a quelli del reticolo), i difetti di Frenkel (uno ione positivo lascia la sua posizione reticolare, creando così una vacanza cationica, per andare a formare uno ione interstiziale) e di Schottky (coppia di una vacanza anionica e cationica in un solido ionico). • Difetti di linea: separano parti che hanno subito lo slittamento da altre che non lo hanno subito. Accumulano tensione e per effetto dell'applicazione di sforzi tendono a moltiplicarsi. Sono detti dislocazioni. • Difetti di superficie: ovvero i bordi di grano presso i quali cambia interamente l'orientamento dei piani di reticolo da un grano all'altro. • Difetti di volume: le irregolarità nella sequenza ordinata dei piani cristallini nel metallo. Metallo Poiché questi difetti influenzano enormemente il comportamento metallico sono estremamente importanti per la metallurgia. Elasticità e plasticità del metallo Sottoposto ad uno sforzo crescente, il metallo in un primo tempo si deformerà linearmente secondo la legge di Hooke in maniera elastica, e reversibile una volta cessato il carico. L'aumentare dello sforzo oltre un certo limite imporrà in seguito una irreversibile deformazione plastica accompagnata dall'incrudimento, cioè un aumento progressivo del limite elastico del materiale e del valore della tensione di rottura. Se il valore teorico di energia necessario per deformare plasticamente un campione è notevolmente maggiore rispetto a quello in effetti necessario, ciò è dovuto alla presenza di dislocazioni, ossia discontinuità di linea nella struttura cristallina che a seconda della forma sono dette a vite, a spigolo o mista. La frattura si distingue a seconda della natura del metallo in duttile o fragile. Nel primo caso il metallo si deforma sensibilmente nel campo plastico, si verifica uno strizzamento a causa dei microvuoti venutisi a creare e la superficie di frattura ha la caratteristica forma di coppa cono. Nel secondo caso la frattura è improvvisa, subito oltrepassato il limite elastico e la superficie è perpendicolare alla direzione dello sforzo, di aspetto brillante e cristallino. Fenomeni degenerativi Un particolare tipo di frattura fragile è il cosiddetto clivaggio, tipico della struttura cubica a corpo centrato (CCC), esagonale compatta (EC) più raramente. Il clivaggio è frutto di sforzi elevati condotti a bassa temperatura. Il clivaggio è in genere transgranulare ma può essere anche intergranulare se a bordo grano sono presenti particolari precipitati o impurezze. Il creep è invece un fenomeno che avviene ad alte temperature che in funzione del tempo vede prima l'aumento delle dislocazioni e l'incrudimento, fenomeno non attivato termicamente (creep primario) quindi il disancoramento delle dislocazioni (fenomeno questo si attivato termicamente) che comporterà la rottura dopo aver pareggiato l'intensità dell'incrudimento (nel creep secondario la velocità di creep diventa stazionaria) la supera, accelera la velocità di deformazione ( creep Terziario) e induce la rottura. Creep dei metalli: Deformazione plastica dipendente dal tempo detta anche scorrimento viscoso a caldo che avviene quando un materiale metallico è sottoposto ad una sollecitazione costante a temperatura elevata. Il meccanismo del creep viene illustrato da curve che riportano la deformazione in funzione del tempo e si può suddividere in varie fasi: • Allungamento elastico istantaneo • Creep primario: La velocità di deformazione decresce con il tempo, a causa del blocco delle dislocazione e conseguente incrudimento. • Creep secondario: A tempi maggiori, la diffusione degli atomi, permette un parziale sblocco delle dislocazioni rendendo nuovamente possibile il loro scorrimento. Il blocco e lo sblocco si equilibrano e la velocità di deformazione rimane pressoché costante. • Creep terziario: La velocità di deformazione aumenta rapidamente e in breve il materiale arriva a rottura, in seguito alla formazione di microvuoti al bordo grano ed il successivo scorrimento dei grani tra di loro. Nota: L'aumento della temperatura provoca l'innalzamento della curva di creep e la diminuzione della durata delle varie fasi (il materiale si rompe più velocemente). La fatica è quel fenomeno per il quale un metallo sottoposto ad uno sforzo ciclico può pervenire a rottura anche per valori dello sforzo molto al di sotto del suo limite di snervamento. Ad una prima fase di incrudimento (hardering) segue l'assestamento microstrutturale (softering), l'orientarsi delle dislocazioni presso precise bande di slittamento, il presentarsi presso la superficie di caratteristiche microintrusioni e microestrusioni. È lungo le bande di slittamento, che si presentano dopo appena il 5% della vita utile del campione, che avrà luogo la rottura il cui punto di innesco è 145 Metallo appena al di sotto della superficie. La rugosità superficiale è un parametro importantissimo per quel che riguarda la resistenza a fatica di un metallo. Fatica dei metalli: I materiali vengono sottoposti a sollecitazioni cicliche che possono portare a rottura il componente anche per carichi inferiori al carico di rottura; queste prove avvengono in prevalenza su componenti in movimento e si articolano in 3 fasi: • Innesco della cricca: in un punto in cui la geometria del componente permette una concentrazione degli sforzi oppure in corrispondenza di difetti. • Propagazione della cricca: avviene per effetto dell'applicazione ciclica dello sforzo e provoca una riduzione della sezione resistente. • Rottura finale: Avviene in corrispondenza del raggiungimento delle dimensioni critiche da parte della cricca. Lo studio della resistenza a fatica dei materiali viene effettuato con prove accelerate su provini già dotati di intaglio (pre – ciccati) e i risultati vengono riportati in grafici “sforzo-numero di cicli a rottura” [σ-N]. Alcuni materiali presentano un limite di fatica, ovvero un asintoto della curva [σ-N], al di sotto del quale non si ha più diminuzione della resistenza a fatica all'aumentare di N (es. Acciaio 1047). su provini già dotati di intagli (pre – ciccati) La corrosione nasce dalle iterazioni di ossidoriduzione con l'ambiente e naturalmente è particolarmente dannosa per i metalli. Si cercano espedienti per prevenire come un rivestimento in PVC, la verniciatura o utilizzare un anodo sacrificale. Variegata la casistica: la corrosione può avvenire in fessura o per aerazione differenziata, intergranulare, per 'pitting (superato in un punto il film protettivo), esaltata da un ambiente galvanico o dalle forti tensioni cui il pezzo è soggetto. L'usura infine distrugge il metallo in presenza di un ambiente tribologico dove cioè vi è attrito tra il pezzo e altre componenti. L'usura può essere dovuta alle forze fluidodinamiche, è detta tribossidazione in un ambiente particolarmente aggressivo, si dice adesiva, quando è determinata da microgiunzioni venutesi a creare tra le creste di rugosità di due corpi in mutuo slittamento l'uno sull'altro, o erosiva quando semplicemente una superficie è in moto relativo contro particelle particolarmente dure. Un caso particolare risulta la corrosione-erosione, in cui un'usura superficiale non eccessiva è però sufficiente ad asportare lo strato superficiale passivato, ripresentando quindi metallo vivo agli agenti corrosivi. Note [1] Rolla, op. cit., pp. 43-44 [2] Arduino, op. cit., p. 316 [3] "Heavy metals" - A meaningless term? (IUPAC Technical Report). Pure Appl. Chem. vol 74. no 5, pp.793-807, 2002 (http:/ / old. iupac. org/ publications/ pac/ 2002/ pdf/ 7405x0793. pdf) [4] What is DUF6? Is it dangerous and what should we do with it? (http:/ / www. ieer. org/ sdafiles/ vol_5/ 5-2/ deararj. html) Bibliografia • Luigi Rolla, Chimica e mineralogia. Per le Scuole superiori (http://books.google.it/ books?id=Y83UPAAACAAJ&source=gbs_navlinks_s), 29a ed., Dante Alighieri, 1987. • Gianni Arduino; Renata Moggi, Educazione tecnica, 1a ed., Lattes, 1990. 146 Metallo 147 Voci correlate • • • • • • • • Tavola periodica Metalli nobili Nonmetallo Semimetallo Metallurgia Fosfatazione Materiale da costruzione Schiuma metallica Altri progetti • • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Metals Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/metallo Non metallo I non metalli sono cattivi conduttori di calore ed elettricità. Insieme con i metalli e i semimetalli, i non metalli (a volte indicati anche come non-metalli o nonmetalli) sono una delle tre categorie in cui si suddividono gli elementi chimici secondo le loro proprietà di ionizzazione e legame. Caratteristiche Tali proprietà nascono dal fatto che i non metalli sono tutti molto elettronegativi, cioè guadagnano elettroni di valenza da altri atomi più facilmente di quanto li cedano. Diversamente dai metalli, un non metallo può essere o un isolante o un semiconduttore; i non metalli possono formare legami ionici con i metalli, guadagnando elettroni, o legami covalenti con altri non metalli. In base alle proprietà chimiche i non metalli danno luogo ad anidridi acidi (es: SO2, SO3, CO2). Non metalli In ordine di numero atomico, i non metalli sono: • • • • • • • • • • • Carbonio (C) Azoto (N) Ossigeno (O) Fluoro (F) (alogeno) Fosforo (P) Zolfo (S) Cloro (Cl) (alogeno) Selenio (Se) Bromo (Br) (alogeno) Iodio (I) (alogeno) Astato (At) (alogeno, ma possiede anche caratteristiche metalliche e per questo viene considerato da alcuni un semimetallo) Tutti i non metalli si trovano nell'angolo in alto a destra della tavola periodica (con l'eccezione dell'Idrogeno, che si pone di norma insieme ai metalli alcalini, ma si comporta di solito come un nonmetallo). Anche i gas nobili sono da considerarsi non metalli. Non metallo Esistono solo dodici non metalli noti, a fronte di ottanta e più metalli; però i non metalli costituiscono la maggior parte della massa della Terra, soprattutto negli strati più esterni, e gli organismi viventi sono composti quasi interamente di non metalli. L'idrogeno, l'azoto, l'ossigeno, il fluoro, il cloro, il bromo e lo iodio sono elementi biatomici che nella tavola periodica di Dmitri Mendeleev occupano posizioni tali da raffigurare una 'L' capovolta puntata. Voci correlate • Metallo • Semimetallo • Tavola periodica Semimetalli 1. RINVIA Semimetallo Gas nobili I gas nobili sono dei gas inerti che costituiscono il diciottesimo[1] gruppo della tavola periodica degli elementi, cioè la colonna più a destra. Sono costituiti da atomi con gusci elettronici completi. Ne fanno parte i seguenti elementi: • • • • • • • Elio Neon Argon Kripton Xeno Radon Ununoctio Il termine gas nobili deriva dal fatto che essi evitano di reagire con gli elementi "comuni", esibendo un atteggiamento attribuito comunemente alla "nobiltà". I gas nobili venivano anche chiamati gas inerti, ma il termine non era accurato, in quanto alcuni di essi hanno mostrato di prendere parte in reazioni chimiche. A causa della loro non-reattività, i gas nobili non furono scoperti fin quando l'esistenza dell'elio non fu dedotta ipoteticamente da un'analisi spettrografica del Sole, e successivamente provata quando William Ramsay riuscì a isolarlo. I gas nobili hanno inoltre forze di attrazione interatomica molto deboli e conseguentemente punti di fusione ed ebollizione molto bassi. Gli atomi più grossi della serie sono leggermente più reattivi, e lo xeno è stato indotto a formare un numero di composti con il fluoro e con l'ossigeno. Nel 1962, Neil Bartlett, mentre lavorava alla University of British Columbia, fece reagire lo xeno con il fluoro ottenendo XeF2, XeF4, e XeF6. Il radon reagisce con il fluoro formando fluoruro di radon, RnF, e il composto, allo stato solido, emette una luce gialla. Anche il kripton reagisce con il fluoro formando KrF2.Nel 2003 è stato scoperto che anche l'argon forma composti come ad esempio il fluoruro di argo ArF2. Nel 2002, vennero scoperti composti dove l'uranio formava molecole con argon, kripton, o xeno. Ciò suggerisce che i gas nobili potrebbero formare composti anche con altri metalli. 148 Gas nobili 149 Note [1] I gas nobili appartengono al diciottesimo gruppo della tavola periodica secondo l'attuale nomenclatura IUPAC, mentre secondo la vecchia nomenclatura appartengono al gruppo VIIIA. Voci correlate • • • • • • • Tavola periodica Elemento Atomo Nonmetallo Metallo Metalloide Composto di gas nobili Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Noble gases Formula chimica Una formula chimica è una rappresentazione sintetica che descrive quali e quanti atomi vanno a comporre una molecola (o una unità minima) di una sostanza (formula bruta), nonché la loro disposizione nello spazio (formula di struttura). Formula grezza o bruta Nella formula bruta ogni tipo di elemento chimico è identificato attraverso il suo simbolo chimico. Il numero di atomi di ogni elemento presente nella molecola viene indicato con un numero subscritto se è diverso da uno, altrimenti viene omesso. Per esempio il metano, una molecola semplice che consiste in un atomo di carbonio legato a quattro atomi di idrogeno ha formula bruta: CH4 Il glucosio, con sei atomi di carbonio, dodici di idrogeno e sei di ossigeno ha formula bruta: C6H12O6 Formula di struttura Mentre l'unica informazione trasmessa dalla formula bruta riguarda gli elementi e le loro proporzioni, una formula di struttura fornisce anche informazioni sui tipi di legami e la disposizione spaziale degli atomi della molecola. Gli atomi vengono rappresentati dai loro simboli ed i legami tra essi tramite tratti semplici, doppi o tripli. In funzione dell'informazione che la formula deve trasmettere, questa può rappresentare più o meno fedelmente l'esatta geometria della molecola. Una formula di struttura permette di distinguere due o più isomeri, cioè due o più sostanze composte dai medesimi elementi nelle medesime proporzioni, ma i cui atomi sono spazialmente arrangiati in modo diverso. Un esempio di formula di struttura è rappresentato dall'etano, che consiste di due atomi di carbonio legati tramite legame singolo fra loro ed in cui ognuno è legato a tre atomi di idrogeno. Una possibile formula di struttura può Formula chimica 150 essere pertanto scritta come: CH3−CH3 dove il tratto di unione (che raramente può trovarsi sostituito da due punti :) rappresenta un legame chimico covalente semplice. Un legame covalente doppio tra due atomi viene invece rappresentato da un doppio tratto = o raramente da una coppia di due punti :: ,come nel caso dell'etene (o etilene): CH2=CH2 Analogamente, un triplo tratto ≡ (o raramente una tripletta di due punti :::) rappresenta un legame covalente triplo. Un esempio è l'etino (o "Acetilene"): CH≡CH Gruppi funzionali multipli uguali possono essere raggruppati nel modo seguente: (CH3)3CH Cis-2-butene Trans-2-butene Le formule di struttura brevi fin qui descritte possono essere insufficienti nel caso di composti che presentano isomeria geometrica. Un esempio è l'alchene 2-butene: CH3CH=CHCH3 Dal momento che la rotazione attorno ad un doppio legame è impedita, i due gruppi metile (CH3) possono trovarsi sul medesimo lato del doppio legame oppure ognuno su un lato diverso. Questo fa sì che esistono due diverse molecole di 2-butene, aventi caratteristiche chimiche e fisiche diverse. La distinzione dei due composti a livello di nomenclatura viene fatta utilizzando i prefissi cis- (o Z-) per quei composti che hanno i gruppi più voluminosi sullo stesso lato del doppio legame e trans- (o E-) per i composti che hanno i gruppi più voluminosi su lati opposti. A livello di formula, l'ambiguità viene risolta disegnando in maniera lievemente più esplicita la geometria della molecola (struttura di Lewis). Esempi di formule di struttura semplificate. Cis-2-butene, trans-2-butene, cicloesanolo di idrogeno legati agli atomi di carbonio. Infine, in special modo per la rappresentazione della struttura di molecole relativamente complesse, una formula può essere ulteriormente semplificata sostituendo una catena di atomi di con una linea spezzata in cui ogni vertice rappresenta un atomo di carbonio (un poligono nel caso di composti ciclici) e omettendo gli atomi Formula chimica Formula minima La formula minima di un composto indica gli elementi che lo costituiscono e i loro rapporti numerici minimi (espressi come valori interi) all'interno del composto stesso. Alcuni esempi: • NaCl: composto formato da atomi di sodio e cloro in rapporto 1:1. • Al2O3 : composto formato da atomi di alluminio e ossigeno in rapporto 2:3. • NH3 : composto formato da atomi di azoto e idrogeno in rapporto 1:3. Formula molecolare La formula molecolare di un composto molecolare ne indica gli elementi e il numero effettivo di atomi di ciascun elemento. Alcuni esempi: • NH3 : composto formato da 1 atomo di azoto e 3 atomi di idrogeno (anche formula minima). • C6H6 : composto formato da 6 atomi di carbonio e 6 di idrogeno. • C6H12O6 : composto formato da 6 atomi di carbonio, 12 di idrogeno e 6 di ossigeno. La formula molecolare è ricavabile dalla formula minima a partire dal peso molecolare. Unità di formula L'unità di formula di un composto ionico ne indica gli elementi e il numero effettivo di atomi di ciascun elemento. Alcuni esempi: • NaCl (sale) • Na2S (sale) • Na2O2 Voci correlate • • • • • Formula di struttura Formula bruta Formula minima Formula molecolare Unità di formula Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/ Category:Chemistry diagrams 151 Legame covalente 152 Legame covalente Un legame covalente polare si viene a instaurare quando avviene una sovrapposizione degli orbitali atomici di due atomi con una differenza di elettronegatività minore o uguale a 1,9.[1] Ciò avviene per una ragione ben precisa: gli atomi tendono al minor dispendio energetico possibile ottenibile con la stabilità della loro configurazione elettronica (ad esempio l'ottetto). Gli orbitali atomici contenenti gli elettroni spaiati si sovrappongono, costituendo appunto, nuovi orbitali molecolari. Le sostanze così ottenute sono dette molecole. Un legame covalente omopolare o puro si ha quando la differenza di elettronegatività tra due elementi è minore di 0,4. Δe<0,4 0,4<Δe<1,9 Δe>1,9 Legame Covalente Puro (il doppietto elettronico appartiene in egual misura ai due elementi coinvolti); Legame Covalente Polare (il doppietto elettronico appartiene maggiormente all'elemento più elettronegativo); Legame Ionico. La molecola biatomica omonucleare dell'idrogeno Un tipico esempio è fornito dalla combinazione di due atomi di idrogeno, che porta alla struttura covalente: H· + ·H --> H:H Nella molecola finale, H2, i due atomi sono tenuti assieme da una coppia di elettroni (carichi negativamente) condivisi, i quali attirano a sé i rispettivi nuclei (carichi positivamente). Un legame covalente è quindi il risultato di un'interazione elettrostatica che coinvolge i nuclei. Quando la nube elettronica è distribuita simmetricamente il legame risulta non polarizzato. In questo caso si parla di legame covalente omopolare o puro. Nel caso in cui vi sia un dipolo molecolare permanente, gli elettroni saranno maggiormente attratti dall'atomo più elettronegativo ed il legame risulterà quindi polarizzato elettricamente determinando quindi uno sbilanciamento della nuvola elettronica. In questo caso si parla di legame covalente eteropolare o più semplicemente polare. Quando entrambi gli elettroni coinvolti nel legame provengono da uno solo dei due atomi, mentre l'altro fornisce un orbitale vuoto in cui allocarli, si parla di legame dativo. Legame monovalente e polivalente Un legame covalente in cui viene condivisa una sola coppia di elettroni viene detto legame monovalente (legame semplice), se vengono condivise due coppie di elettroni viene detto bivalente (doppio legame) e se le coppie condivise sono tre, si dice legame trivalente (triplo legame). Esistono anche legami tetravalenti, ampiamente studiati in chimica inorganica, e nel 2005 è stata dimostrata l'esistenza di legami quintupli in molecole stabili.[2] Il legame monovalente si esprime con un trattino tra i simboli dei due atomi che vi sono coinvolti, nel caso del legame bivalente il trattino è doppio e triplo nel caso del legame trivalente e così via. Legame covalente La molecola dell'acqua La molecola dell'acqua è un legame covalente polare tra ossigeno ed idrogeno. L'elettronegatività dell'ossigeno (3,52 ca) prevale su quella dell'idrogeno (2,11 ca) attirando verso di sé gli elettroni dei due atomi H. Se è pur vero che nel legame a idrogeno la molecola dell'acqua ha un angolo di legame di 108°3', nel legame covalente la molecola tende ad essere disposta elettronicamente a 90°. La molecola dell'acqua diventa cosi un dipolo magnetico. Un altro esempio è l'acido cloridrico (HCl). Note [1] Alberto Costanzo, Esercitazioni di chimica. Compendio teorico ed esercizi di chimica per ingegneria, 2a ed., Esculapio, 2010, p.16. ISBN 9788874883776 [2] Synthesis of a Stable Compound with Fivefold Bonding Between Two Chromium(I) Centers Tailuan Nguyen, Andrew D. Sutton, Marcin Brynda, James C. Fettinger, Gary J. Long, and Philip P. Power Pubblicato online il 22 settembre 2005; 10.1126/Science.1116789 Support info (http:/ / www. sciencemag. org/ cgi/ data/ 1116789/ DC1/ 1) Bibliografia • T. W. Graham Solomons, Chimica organica, 2a ed., Bologna, Zanichelli, 2001, pp. 6-7. ISBN 8-808-09414-6 Voci correlate • • • • • • • • Legame chimico Legame σ Legame π Legame δ Legame di coordinazione Legame ionico Polarità delle molecole Risonanza (chimica) 153 Gas 154 Gas Un gas è un aeriforme caratterizzato da una temperatura, detta temperatura critica, inferiore alla temperatura ambiente; gli aeriformi per cui ciò non avviene si trovano nello stato di vapore. Un gas può anche essere definito come un aeriforme non condensabile a temperatura ambiente. Inoltre, per estensione, tutti gli aeriformi che si trovano ad una temperatura superiore a quella critica vengono detti gas: un esempio è dato dal vapore d'acqua, caratterizzato da una temperatura critica superiore a quella ambiente (374 °C, ovvero 647 K), viene definito come "gas d'acqua" solo quando viene portato a superare questa temperatura (temperatura critica). Il gas, come tutti gli aeriformi, rappresenta lo stato della materia in Rappresentazione di un sistema gassoso secondo la cui le forze interatomiche e intermolecolari tra le singole particelle teoria cinetica dei gas. di una sostanza sono così piccole che non c'è più un'effettiva coesione tra di esse. Gli atomi o le molecole del gas sono liberi di muoversi assumendo ciascuno una certa velocità: le particelle atomiche o molecolari del gas quindi interagiscono urtandosi continuamente l'un l'altra. Per questo un gas non ha un volume definito ma tende ad occupare tutto lo spazio a sua disposizione, e assume la forma del contenitore che lo contiene, riempiendolo. Un altro vincolo che può limitare il volume di un gas è un campo gravitazionale, come nel caso dell'atmosfera terrestre. Nel linguaggio corrente si dice che una data sostanza "è un gas" quando la sua temperatura di ebollizione è molto al di sotto della temperatura ambiente, cioè quando si trova normalmente allo stato di gas sulla Terra. Per esempio è normale dire che "il metano è un gas mentre il ferro non lo è", sebbene il metano possa benissimo trovarsi allo stato liquido (raffreddato al di sotto di -161 °C, ovvero 112 K) e il ferro allo stato gassoso (riscaldato oltre i 2750 °C, ovvero 3023 K). Un gas può essere approssimato ad un gas ideale quando si trova ad una temperatura "molto maggiore" della sua [1] temperatura critica, ossia che e convenzionalmente si intende che i due termini devono differire di almeno un ordine di grandezza). Ciò equivale a chiedere che . La temperatura critica è la temperatura corrispondente al punto di massimo della curva (a forma di campana) liquido-vapore. All'interno della campana, il fluido cambia di fase, all'esterno resta allo stato gassoso qualunque sia la sua pressione. Imponendo che , la curva del liquido-vapore può non essere rappresentata nel diagramma di Andrews (diagramma pressione-volume), non è visibile se si adotta una scala normale. Etimologia e storia del termine gas Il termine "gas" fu coniato da un chimico fiammingo belga Jean Baptiste van Helmont nel 1630. Sembra derivi, come spiegò Leo Meyer, dalla trascrizione della sua pronuncia della parola greca Χαος (chaos) che lui fece diventare geist; ma Weigand e Scheler fecero risalire l'origine etimologica al tedesco gascht (fermentazione): quindi sarebbe, secondo loro, inizialmente usata dal chimico van Helmont per indicare la fermentazione vinosa. Tralasciando l'etimologia, sappiamo per certo che il chimico di Bruxelles van Helmont all'età di 63 anni fu il primo a postulare l'esistenza di sostanze distinte nell'aria che così chiamò nei suoi saggi pubblicati dal figlio Mercurio van Helmont. Pochi anni dopo l'irlandese chimico Robert Boyle enunciò che l'aria era costituita da atomi e da vuoto e solo dopo 140 anni le affermazioni di Boyle e di van Helmont si dimostreranno vere. Gas 155 I gas perfetti In fisica e in termodinamica si usa generalmente l'approssimazione detta dei gas perfetti: il gas cioè viene considerato costituito da atomi puntiformi, che si muovono liberi da forze di attrazione o repulsione fra loro e le pareti del contenitore: questa approssimazione conduce a formulare la legge nota come equazione di stato dei gas perfetti, che descrive, in condizioni di equilibrio termodinamico, la relazione fra pressione, volume e temperatura del gas: dove p è la pressione, V il volume occupato dal gas, n il numero di moli del gas, R la costante universale dei gas perfetti e T è la temperatura. Per esempio, una mole di gas perfetto occupa 22,4 litri a temperatura di 0 °C e pressione di 1 atmosfera. Da questa legge discendono: • la legge di Boyle; • la prima legge di Gay Lussac; • la seconda legge di Gay Lussac. Oltre alle leggi summenzionate, per i gas perfetti vale anche la legge di Avogadro: a pari condizioni di temperatura e pressione, se due gas occupano lo stesso volume hanno lo stesso numero di molecole. La legge di Boyle Per una certa massa di gas a temperatura costante, il prodotto del volume del gas V per la sua pressione p è costante. Cioè per una certa massa di gas a temperatura costante, le pressioni sono inversamente proporzionali ai volumi. La curva nel piano cartesiano pressione-volume che ha per equazione l'equazione sopra riportata è un'iperbole equilatera. La legge di Boyle è una legge limite, vale cioè con buona approssimazione, non in modo assoluto per tutti i gas. Un gas perfetto o gas ideale che segua perfettamente la legge di Boyle non esiste. Le deviazioni dei gas reali dal comportamento del gas perfetto sono piccole per un gas che si trovi a bassa pressione e ad una temperatura nettamente al di sopra di quella liquefazione. Una variazione del volume e della pressione che lasci invariata la temperatura è detta trasformazione isoterma. La prima legge di Gay Lussac Un gas perfetto che alla temperatura di 0 °C occupa un volume V0 e che viene riscaldato mantenendo costante la pressione occupa alla temperatura T un volume VT espresso dalla legge in cui è il volume occupato dal gas a 0 °C (ovvero 273,15 K) e è pari a 1/273,15. La temperatura è espressa in gradi Celsius. La trasformazione isobara avviene a pressione costante, mentre si ha una variazione del volume e della temperatura. Tale trasformazione nel diagramma pressione-volume è rappresentata da un segmento parallelo all'asse dei volumi. Quindi la variazione di volume che subisce un gas per la variazione di temperatura di ogni grado centigrado ammonta a 1/273 del volume che il gas occupa a 0 °C. Gas 156 La seconda legge di Gay Lussac Dalle relazioni che intercorrono tra pressione e volume e tra temperatura e volume si ricava la relazione tra pressione e temperatura a volume costante. Un gas perfetto che alla temperatura di 0 °C ha una pressione p0 e che viene scaldato mantenendo costante il volume si trova, alla temperatura T, a una pressione pT espressa dalla legge: La trasformazione isocora è una variazione della pressione e della temperatura a volume costante. I gas reali Un tentativo di produrre un'equazione che descriva il comportamento dei gas in modo più realistico è rappresentato dall'equazione dei gas reali. Le correzioni apportate all'equazione dei gas perfetti sono due: si tiene conto del volume proprio delle molecole, che non sono quindi più considerate puntiformi, e si considerano le interazioni tra molecole che venivano trascurate nel caso dei gas perfetti. La prima correzione ha l'effetto di rendere non indefinitamente comprimibile il gas; il suo riscontro empirico è la liquefazione cui vanno soggetti i gas reali se compressi (e raffreddati) a sufficienza. L'altra correzione fa sì che i gas reali non si espandano infinitamente ma arrivino ad un punto in cui non possono occupare più volume (questo perché tra gli atomi si stabilisce una forza molto piccola, dovuta alla variazione casuale delle cariche elettrostatiche nelle singole molecole, chiamata Forza di van der Waals). Per questo la legge dei gas perfetti non fornisce risultati accurati nel caso di gas reali, soprattutto in condizioni di bassa temperatura e/o alta pressione, mentre diventa più precisa in caso di gas rarefatti, ad alta temperatura e a bassa pressione, cioè quando forze intermolecolari e volume molecolare diventano trascurabili. L'equazione dei gas reali si può ricostruire tenendo quindi conto del fatto che il volume a disposizione del gas sarà (V - nb), dove b è il volume occupato da una mole di particelle e n è il numero di moli di gas considerate, e la pressione sarà invece corretta di un fattore a/V2 che tiene conto delle forze di attrazione fra atomi. Dunque l'equazione, detta anche equazione di Van der Waals, risulta: Questa equazione non è valida in ogni caso, ma solo in particolari condizioni, ma è molto importante in quanto si può identificare all'interno di essa un significato fisico. Un'equazione che invece ci da un'esatta visione dello stato del gas reale è l'equazione del viriale (di cui si parla più specificamente alla parola Equazione di stato). Note [1] il segno "»" si legge "molto maggiore". Voci correlate • • • • • • • • Gas naturale Biogas Gas degenere Vapore Teoria cinetica dei gas Legge di effusione dei gas Cambiamento di stato Gas criogeno • Gas refrigeranti Gas 157 Altri progetti • • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Gases Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/Gas Soluzione (chimica) In chimica una soluzione è un sistema omogeneo che può essere decomposto per mezzo di metodi di separazione fisici. Una soluzione si differenzia da una generica dispersione perché il soluto è disperso nel solvente a livello di singole molecole o ioni, ciascuno di essi circondato da molecole di solvente (si parla più precisamente di solvatazione). Quando, in una soluzione, un soluto è presente con atomi, ioni o molecole di dimensioni particolarmente contenute (inferiori ad 1 nm), invisibili anche con l'ausilio del microscopio, si parla di soluzione vera. Altrimenti, quando le dimensioni delle particelle del soluto risultano comprese tra 1 e 1000 nm, si parla di soluzione falsa, o dispersione colloidale. Nell'ambito delle soluzioni, si usa chiamare soluto (o fase dispersa) la sostanza (o le sostanze) in quantità minore e solvente (o fase disperdente o fase continua) la sostanza in quantità maggiore.[1] Quando le sostanze sono in differenti stati di aggregazione (nelle condizioni ambientali date) si definisce solvente la sostanza che conserva il suo stato di aggregazione. Nel caso di composti ionici, il meccanismo della dissoluzione è il seguente: le molecole polari del solvente circondano i cristalli del sale, e possono anche diffondere all'interno del reticolo cristallino; in questa maniera vengono indebolite le forze di attrazione tra gli ioni di carica opposta che costituiscono il cristallo, i quali quindi si trasferiranno nel solvente sotto forma di ioni solvatati. Soluzione salina preparata a partire da acqua e cloruro di sodio (sale da cucina). Nel caso di soluti polari, il fenomeno della dissoluzione avviene per attrazione reciproca tra le cariche opposte dei dipoli delle molecole di soluto e solvente. Soluzione (chimica) 158 Solubilità e saturazione La quantità massima di soluto che può sciogliersi[2] in un dato solvente si chiama solubilità ed è funzione della struttura chimica dei due composti e della temperatura. La maggior parte dei composti liquidi e solidi ha una solubilità proporzionale alla temperatura (si dice che il sistema solvente-soluto è a solubilità diretta); le solubilità dei gas hanno invece in genere un andamento opposto (in questo caso si dice che il sistema solvente-soluto è a solubilità inversa). I valori delle solubilità delle sostanze nei diversi solventi sono costanti e sono riportati in letteratura. Una soluzione è detta satura quando contiene la massima quantità di soluto che il solvente è in grado di sciogliere a quella temperatura; aggiungendo ad una soluzione satura ulteriore soluto, questo non si scioglie, ma si separa dalla soluzione, precipitando (se è un solido), formando una nuova fase (se è un liquido) o gorgogliando (se è un gas). Una soluzione è detta insatura quando contiene una quantità di soluto inferiore a quella massima che il solvente è in grado di sciogliere a quella temperatura; aggiungendo ulteriore soluto, questo si scioglierà nella soluzione. Curve di solubilità per sistemi a solubilità diretta e inversa. In condizioni particolari, è possibile ottenere soluzioni soprasature, ovvero soluzioni che contengono più soluto di quanto il solvente sia normalmente in grado di sciogliere a quella temperatura; tali soluzioni sono sistemi instabili che in seguito a perturbazioni meccaniche (agitazione, scuotimento, aggiunta di corpi estranei) liberano l'eccesso di soluto trasformandosi in soluzioni sature. L'aggiunta di pochi cristalli di soluto ad una soluzione soprasatura per provocare la separazione del soluto è detta semina, e viene ad esempio sfruttata nell'ambito del processo industriale di cristallizzazione. Solubilità e temperatura La solubilità di una determinata sostanza dipende dalla temperatura. Esistono infatti le soluzioni endotermiche e le soluzioni esotermiche. Le soluzioni endotermiche sono quelle in cui viene trasferita energia (sotto forma di calore) dall'ambiente verso il sistema, ovvero si verifica un assorbimento di calore. Pertanto, in questo caso, la solubilità aumenta proporzionalmente alla temperatura. Una soluzione endotermica può essere descritta come: soluto + solvente + calore → soluzione Le soluzioni esotermiche, invece, sono quelle che cedono energia all'ambiente esterno. Pertanto, in questo secondo caso, la solubilità diminuisce con l'aumento della temperatura. Una soluzione esotermica può essere descritta come: soluto + solvente → soluzione + calore Soluzione (chimica) Concentrazione La misura della quantità di soluto rispetto alla quantità di solvente è detta concentrazione e viene misurata sia tramite unità fisiche che tramite unità chimiche, e in particolare: • • • • • • • percentuale in volume: quantità di soluto in ml per 100 ml di soluzione percentuale in peso: quantità di soluto in grammi per 100 g di soluzione percentuale mista: quantità in grammi di soluto per 100 ml di soluzione molarità (indicata con M): moli di soluto per litro di soluzione molalità (indicata con m): moli di soluto per 1000 g di solvente normalità (indicata con N): equivalenti di soluto per litro di soluzione frazione molare (indicata con x): rapporto tra le moli di soluto ed il totale delle moli della soluzione Soluzioni ideali: legge di Raoult Una soluzione si dice "ideale" se soddisfa questa legge: dove: • i rappresenta il componente i-esimo della soluzione • • è la pressione parziale del componente i-esimo rappresenta la frazione molare del componente i-esimo in miscela liquida • è la pressione di vapore del componente i-esimo puro. Inoltre, per la legge delle pressioni parziali: essendo: • p è la pressione della miscela • la frazione molare del componente i-esimo in miscela gassosa. Una soluzione si avvicina a questo comportamento ideale quando i fenomeni di attrazione o repulsione tra le molecole dello stesso componente sono della stessa entità dei fenomeni di attrazione o repulsione tra le molecole di componenti differenti.[3] Potenziale chimico di un componente in una soluzione ideale Il concetto di potenziale chimico viene spesso utilizzato nell'ambito delle soluzioni. In particolare, il potenziale chimico del componente i-esimo di una soluzione liquida che segue la legge di Raoult può essere scritto come: in cui R è la costante dei gas, T la temperatura della soluzione e ln indica la funzione matematica chiamata logaritmo naturale. Questo significa che il potenziale chimico del componente i-esimo in soluzione liquida è uguale al suo potenziale chimico all'equilibrio in fase liquida più un termine che dipende dalla sua frazione molare e dalla temperatura assoluta. 159 Soluzione (chimica) 160 Esempi di soluzioni A seconda dello stato di aggregazione (solido, liquido, o gassoso) del soluto e del solvente, possiamo avere diverse tipologie di soluzioni, riportate nella tabella seguente: Esempi di soluzioni Solvente gas Soluto gas Ossigeno e altri gas in azoto (aria). liquido solido Vapore acqueo in aria. Il naftalene sublima in aria, formando una soluzione. liquido Anidride carbonica in acqua. Etanolo in acqua; soluzioni di idrocarburi (greggio). Saccarosio in acqua; Cloruro di sodio (ovvero "sale da cucina") in acqua; oro in amalgama con mercurio. solido Esano in paraffina, mercurio in oro. Acciaio, duralluminio, e altre leghe metalliche. Idrogeno in dissoluzione nei metalli (ad esempio platino). Note [1] La quantità di sostanza può essere definita in termini di massa, volume o numero di moli. [2] Il termine "sciogliersi" è un termine utilizzato comunemente, che può risultare ambiguo. Nell'ambito delle soluzioni, il termine "sciogliersi" va inteso come sinonimo di "dissolversi", e non di liquefarsi. [3] Volendo semplificare, tanto più i due componenti della miscela "si somigliano" dal punto di vista chimico-fisico, tanto più a miscela che ne risulta sarà ideale. Bibliografia • J. M. Smith; H.C.Van Ness; M. M. Abbot, Introduction to Chemical Engineering Thermodynamics , 6a ed. (in inglese), McGraw-Hill, 2000. ISBN 0-07-240296-2 • K. G. Denbigh, I principi dell'equilibrio chimico , Milano, Casa Editrice Ambrosiana, 1971. ISBN 88-408-0099-9 Voci correlate • • • • • • • • • • • • • • • Colloide Cromatometro Dispersione Emulsione Legame chimico Miscuglio Molecola Molarità Molalità Normalità Osmolalità Saturazione (chimica) Soluzione satura Soluzione tampone Sospensione Soluzione (chimica) Collegamenti esterni • Soluzioni (http://docentiold.unina.it/docenti/web/download.php?id_prof=1825&id_insegn=9110& id_madre=14314&id_doc=100130&action=dld) Dispersione (chimica) Una dispersione è un sistema (stabile o instabile) costituito da più fasi (di solito due) in cui la prevalente è detta disperdente e le altre disperse. Caratteristica delle dispersioni è che le varie fasi sono eterogenee e che le fasi disperse hanno dimensioni superiori alle grandezze colloidali (diametro > 1 μm). Se la fase disperdente è liquida si possono avere: schiume quando la fase dispersa è gassosa, emulsioni quando è liquida e sospensioni quando è solida. Se la fase disperdente è gassosa, si parla di nebbia quando la fase dispersa è liquida e di fumo se è solida. Voci correlate • Colloide • • • • Emulsione Soluzione Sospensione Fumo 161 Elettrone 162 Elettrone Elettrone L'esperimento con il tubo di Crookes è stato il primo a dimostrare l'esistenza dell'elettrone Composizione: Particella elementare Famiglia: Fermione Gruppo: Leptone Generazione: Prima Interazione: gravitazionale, elettromagnetica e debole Antiparticella: Positrone Teorizzata: G. Johnstone Stoney (1874) Scoperta: J.J. Thomson (1897) Simbolo: e−, β− Massa: 9,109 382 6(16) · 10-31 kg [1] 5,485 899 094 5(24) · 10−4 u 1 ⁄1822,888 4849(8) u 0,510 998 918(44) MeV/c2 Carica elettrica: −1,602 176 53(14) · 10−19 C Spin: ½ [2] L'elettrone è una particella subatomica con carica elettrica negativa che, non essendo composta da altre particelle conosciute, si ritiene essere una particella elementare.[3] Appartenente alla prima generazione della famiglia dei leptoni,[4] è soggetto a interazione gravitazionale, elettromagnetica e nucleare debole. L'elettrone possiede una massa a riposo di 9,109 382 6(16) · 10-31 kg, pari a circa 1/1836 di quella del protone. Il momento angolare intrinseco, lo spin, è un valore semi intero in unità di ħ, che rende l'elettrone un fermione, soggetto quindi al principio di esclusione di Pauli.[4] L'antiparticella dell'elettrone è il positrone, il quale si differenzia solo per la carica elettrica di segno opposto. Quando queste due particelle collidono possono essere sia diffuse che annichilite producendo fotoni, più precisamente raggi gamma. L'idea di una quantità fondamentale di carica elettrica è stata introdotta dal filosofo Richard Laming nel 1838 per spiegare le proprietà chimiche dell'atomo;[5] il termine elettrone è stato successivamente coniato nel 1894 dal fisico irlandese George Johnstone Stoney, ed è stato riconosciuto come una particella da Joseph John Thomson e dal suo gruppo di ricerca.[6][7] Successivamente il figlio George Paget Thomson ha dimostrato la duplice natura corpuscolare e ondulatoria dell'elettrone, che è quindi descritto dalla meccanica quantistica per mezzo del dualismo onda-particella. Elettrone L'elettrone, insieme a protone e neutrone, è parte della struttura degli atomi, e sebbene contribuisca per meno dello 0,06% alla massa totale dell'atomo è responsabile delle sue proprietà chimiche: la condivisione di elettroni tra due o più atomi è la sorgente del legame chimico covalente.[8] La maggior parte degli elettroni presenti nell'universo è stata creata durante il Big Bang, sebbene tale particella possa essere generata tramite il decadimento beta degli isotopi radioattivi e in collisioni ad alta energia, mentre può essere annichilata grazie alla collisione con il positrone e assorbita in un processo di nucleosintesi stellare. In molti fenomeni fisici, in particolare nell'elettromagnetismo e nella fisica dello stato solido, l'elettrone ha un ruolo essenziale: è responsabile della conduzione di corrente elettrica e calore, il suo moto genera il campo magnetico e la variazione della sua energia è responsabile della produzione di fotoni. Tra le diverse applicazioni tecnologiche che ne conseguono vi sono i circuiti elettrici, i tubi a raggi catodici, i microscopi elettronici, la radioterapia e il laser. Storia Il termine elettrone proviene dal termine greco ήλεκτρον (electron), il cui significato è ambra. Questo perché storicamente l'ambra ebbe un ruolo fondamentale nella scoperta dei fenomeni elettrici. Gli antichi Greci, per esempio, a partire dal settimo secolo a.c., erano a conoscenza del fatto che strofinando un pezzo di ambra o ebanite con un panno di lana, questo acquisiva la capacità di attirare corpuscoli leggeri, quali granelli di polvere. Queste evidenze vennero riprese nel 1600 da William Gilbert che individuò numerose sostanze, dal diamante allo zolfo, che presentavano questo stesso comportamento. Egli poi diede il nome di forza elettrica alla forza che attirava i corpuscoli e chiamò elettrizzati quei materiali che manifestavano questa proprietà. Successivamente fu il fisico irlandese George Stoney a utilizzare per primo l'elettrone come unità fondamentale dell'elettrochimica (nel 1874), e fu il primo a dare il nome alla particella nel 1894. Negli ultimi anni del 1800, erano numerosi fisici a sostenere la possibilità che l'elettricità fosse costituita da unità discrete, alle quali vennero conferiti vari nomi, ma delle quali non c'era ancora alcuna prova sperimentale convincente. La scoperta della natura di particella subatomica dell'elettrone fu fatta nel 1897 da J. J. Thomson all'interno del Laboratorio Cavendish dell'Università di Cambridge, mentre svolgeva esperimenti sul tubo catodico. Nel 1860 William Crookes effettuò esperimenti con il tubo di Geissler: inserendovi due lamine metalliche e collegandole a un generatore di corrente continua a elevato potenziale (circa 30.000 V) scoprì che si generava una luce di colori diversi a seconda del gas utilizzato. Questa luce partiva dal catodo (polo negativo) e fluiva verso l'anodo (polo positivo). Dopo circa trent'anni di sperimentazione questi raggi vennero chiamati raggi catodici e si scoprirono essere formati da corpuscoli di materia capaci di muovere un mulinello posto sul loro cammino. La velocità varia a seconda del potenziale applicato agli elettrodi, hanno scarsa penetrazione e carica negativa. J.J. Thomson nel 1895 constatò, lavorando sui raggi catodici, che applicando un campo magnetico ed elettrico, il rapporto tra la carica elettrica e la massa era uguale a 5,273 · 1017 e/g. Queste particelle furono chiamate elettroni. Nel 1909 Robert Millikan calcolò la carica elettrica dell'elettrone con il famoso esperimento della goccia d'olio, che era pari a 1,602 × 10−19 C. Fu quindi possibile calcolare la massa dell'elettrone che era di 9,109 × 10−31 kg. 163 Elettrone Teoria atomica Dal 1914, gli esperimenti dei fisici Ernest Rutherford, Henry Moseley, James Franck e Gustav Hertz hanno stabilito definitivamente che l'atomo è composto da un nucleo positivo massivo di cariche positive circondato da una leggera massa di elettroni.[9] Nel 1913, Il fisico danese Niels Bohr postula che gli elettroni risiedano in stati di energia quantizzata, con l'energia determinata dal momento angolare delle orbite degli elettroni attorno al nucleo. Gli elettroni possono muoversi tra questi stati, o orbite, in seguito all'assorbimento o all'emissione di un quanto di energia, un fotone di specifica frequenza. Questa teoria è in grado di spiegare correttamente le linee di emissione spettrale dell'idrogeno che questo forma se scaldato o attraversato da corrente Il modello atomico di Bohr, in cui sono elettrica. Ciò nonostante, il modello di Bohr fallisce nel predire visualizzati gli stati energetici quantizzati. Un l'intensità delle relative linee e nello spiegare la struttura dello spettro elettrone che effettua una transizione tra due di atomi più complessi.[9] I legami chimici tra gli atomi sono spiegati orbite emette un fotone pari alla differenza di nel 1916 da Gilbert Newton Lewis, come una interazione tra gli energia fra i due livelli. [10] elettroni che li costituiscono. Come è noto che le proprietà chimiche degli elementi si ripetono ciclicamente in accordo con la legge periodica,[11] nel 1919 il chimico americano Irving Langmuir suggerisce che questo può essere spiegato se gli elettroni in un atomo sono strutturati su strati. Gli elettroni si dispongono in gruppi intorno al nucleo.[12] Nel 1924, il fisico austriaco Wolfgang Pauli osserva che la struttura a strati di un atomo può essere spiegata da un set di quattro parametri che definiscono univocamente lo stato quantico di un elettrone, e un singolo stato non può essere occupato da più di un singolo elettrone (questa legge è nota come Principio di esclusione di Pauli).[13] Nonostante ciò, sfuggiva il significato fisico del quarto parametro che può assumere solo due valori. Questo fu spiegato dai fisici tedeschi Abraham Goudsmith e George Uhlenbeck quando suggerirono che un elettrone, oltre al momento angolare associato alla sua orbita, possa possedere un proprio momento angolare intrinseco.[9][14] Questa proprietà è nota come spin, e riesce a spiegare la misteriosa separazione delle linee spettrali osservate con la spettrografia ad alta definizione.[15] Meccanica Quantistica Nella sua dissertazione del 1924 Recherches sur la théorie des quanta (Ricerca sulla teoria dei quanti), il fisico francese Louis de Broglie ipotizzò che tutta la materia si comporti come un'onda in modo similare a quanto accade per la luce e il fotone[16]. Questo significa, sotto le appropriate condizioni, che gli elettroni e il resto della materia dovrebbero mostrare proprietà sia particellari sia in contemporanea ondulatorie. Le proprietà corpuscolari di una particella si mostrano quando si cerca di osservarla in una precisa posizione nello spazio lungo la sua traiettoria a qualsiasi dato istante.[17] La natura ondulatoria è osservata invece, per esempio, quando un fascio di luce passa lungo fessure parallele creando le classiche figure di interferenza. Nel 1927, gli effetti dell'interferenza furono dimostrati con un fascio di elettroni dal fisico inglese George Paget Thomson con una sottile pellicola di metallica e dal fisico americano Clinton Davisson e Lester Germer usando un cristallo di nickel.[18] Il successo delle predizioni di de Broglie favorirono la pubblicazione, di Erwin Schrödinger nel 1926, dell'equazione di Schrödinger che descrive correttamente un'onda elettronica che si propaga.[19] Piuttosto che cercare una soluzione che determina la posizione di un elettrone nel tempo, questa equazione può essere usata per prevedere la probabilità di trovare un elettrone in un volume finito o infinitesimo dello spazio. Questo approccio fu chiamato successivamente meccanica quantistica, che garantì la possibilità di ricavare teoricamente i livelli energetici di un elettrone nell'atomo di idrogeno in buono accordo con i dati sperimentali.[20] Una volta che fu considerato lo spin e 164 Elettrone 165 l'interazione fra più elettroni, la meccanica quantistica è stata in grado di ricostruire l'andamento delle proprietà chimiche tipiche degli elementi nella tavola periodica.[21] Rappresentazione dell'orbitale atomico s, caratterizzato da simmetria sferica. L'ombreggiatura indica il valore della distribuzione di probabilità relativa all'elettrone nell'orbitale. Nel 1928, basandosi sul lavoro di Wolfgang Pauli, Paul Dirac formulò un modello dell'elettrone - l'equazione di Dirac, coerente con la teoria della relatività ristretta, applicando considerazioni relativistiche e di simmetria alla formulazione Hamiltoniana della meccanica quantistica per un elettrone in un campo elettro-magnetico.[22] In modo da risolvere i problemi della sua equazione relativistica (in primo luogo l'esistenza di soluzioni a energia negativa), nel 1930 lo stesso Dirac sviluppò un modello del vuoto come un mare infinito di particelle con energia negativa, che fu poi chiamato mare di Dirac. Questo permise di prevedere l'esistenza di positroni, la controparte dell'antimateria dell'elettrone.[23] Questa particella fu scoperta sperimentalmente nel 1932 da Carl D. Anderson, che propose di chiamare gli elettroni negatroni e di usare il termine elettroni per indicare genericamente una delle varianti della particella sia a carica positiva che negativa. Questo uso del termine negatroni è qualche volta occasionalmente utilizzato ancora oggi, anche nella sua forma abbreviata 'negatone'.[24][25] Nel 1947 Willis Lamb, lavorando in collaborazione con lo studente Robert Retherford, trovò che certi stati quantistici dell'elettrone nell'atomo di idrogeno, che avrebbero dovuto avere la stessa energia, erano shiftate in relazione l'una dell'altra e la differenza fu chiamata Lamb shift. Circa nello stesso periodo, Polykarp Kusch, lavorando con Henry M. Foley, scoprì che il momento magnetico dell'elettrone è di poco più grande di quanto previsto dell'equazione di Dirac. Questa piccola differenza fu successivamente chiamata momento magnetico di dipolo anomalo dell'elettrone. Per risolvere questo e altri problemi, una teoria migliore chiamata elettrodinamica quantistica fu sviluppata da Sin-Itiro Tomonaga, Julian Schwinger e Richard P. Feynman alla fine degli anni quaranta.[26] Acceleratori di particelle Con lo sviluppo degli acceleratori di particelle nella prima metà del XX secolo, i fisici iniziarono a sondare in profondità nelle proprietà delle particelle subatomiche.[27] Il primo tentativo riuscito di accelerare elettroni usando l'induzione magnetica fu fatto nel 1942 da Donald Kerst: il suo primo betatrone raggiunse energie di 2,3 MeV, mentre i betatroni successivi raggiunsero i 300 MeV.[28] Nel 1947 fu scoperta la radiazione di sincrotrone con un sincrotrone di 70 MeV della General Electric. Questa radiazione era causata dall'accelerazione di elettroni, che raggiungono velocità prossime a quelle della luce, in un campo magnetico.[29] Con un fascio di particelle di energia pari a 1,5 GeV, il primo collider ad alte energie è stato ADONE, che iniziò a essere operativo a partire dal 1968:[30] questa struttura accelereva elettroni e positroni in direzioni opposte, raddoppiando l'energia effettiva a disposizione rispetto a collisioni degli elettroni con un bersaglio statico.[31] Il Large Electron-Positron Collider (LEP) al CERN, che operò dal 1989 al 2000, raggiunse energie di collisione pari a 209 GeV e fece importanti misure in merito al Modello Standard.[32][33] L'LHC, l'ultimo acceleratore del CERN, sostituirà l'uso di elettroni con l'uso di adroni perché questi sono meno soggetti alla perdita di energia per radiazione di sincrotrone e quindi è maggiore il rapporto fra energia acquisita dalla particella e l'energia spesa per ottenerla.[34] Elettrone 166 Proprietà fondamentali La massa a riposo di un elettrone è di approssimativamente 9,109 · 10-31 kg o 5,485 · 10−4 u che, in base al principio di equivalenza massa ed energia, corrisponde a un'energia a riposo di 0,511 MeV, con un rapporto rispetto alla massa del protone di circa 1836. Misure astronomiche hanno mostrato che il rapporto fra le masse del protone e dell'elettrone è rimasto costante per almeno metà dell'età dell'universo, come è previsto nel modello standard.[35] L'elettrone ha una carica elettrica di −1,602 · 10−19 C, che è usata come unità standard per la carica delle particelle subatomiche. Entro i limiti dell'errore sperimentale, il valore della carica dell'elettrone è uguale a quella del protone, ma con il segno opposto.[36] Poiché il simbolo e è usato per indicare la carica elementare, il simbolo comune dell'elettrone è e-, dove il segno meno indica la carica negativa, mentre per il positrone, che ha la stessa massa dell'elettrone e la carica di segno opposto, è utilizzato come simbolo e+.[37] L'elettrone ha un momento angolare intrinseco definito dal numero quantico di spin, pari a 1/2 in unità di ħ,[37] e l'autovalore dell'operatore di spin è √3⁄2 ħ.[38] Il risultato di una misura della proiezione dello spin su ognuno degli assi di riferimento può inoltre valere soltanto ±ħ⁄2.[39] Oltre allo spin, l'elettrone ha un momento magnetico intrinseco, allineato al suo spin, che ha un valore approssimativamente simile al magnetone di Bohr,[40][41] che è una costante fisica che vale 9,27400949(80) · 10−24 J/T. La proiezione del vettore di spin lungo la direzione della quantità di moto definisce la proprietà delle particelle elementari conosciuta come elicità.[42] L'elettrone non ha sotto strutture conosciute[3][43] e viene descritto come un punto materiale,[4] dal momento che esperimenti effettuati con la trappola di Penning hanno mostrato che il limite superiore per il raggio della particella è di 10−22 metri.[44] Esiste inoltre una costante fisica, il raggio classico dell'elettrone, con una valore di 2,8179 · 10−15 m; questa costante deriva tuttavia da un calcolo che trascura gli effetti quantistici presenti.[45][46] Si ritiene che l'elettrone sia stabile poiché, dal momento che la particella possiede carica unitaria, il suo decadimento violerebbe la legge di conservazione della carica elettrica.[47] Il limite inferiore sperimentale per la vita media dell'elettrone è di 4,6 · 1026 anni, con un intervallo di confidenza al 90%.[48] Proprietà quantistiche In meccanica quantistica l'elettrone può essere trattato sia come onda che come particella, in accordo col dualismo onda-particella.[49] In base al principio di indeterminazione di Heisenberg, inoltre, non è possibile conoscere simultaneamente la sua posizione e la sua quantità di moto, e questo è alla base della descrizione quantistica del'elettrone. Le proprietà ondulatorie di una particella possono essere descritte matematicamente da una funzione di variabile complessa, la funzione d'onda, che è comunemente indicata con la lettera greca psi (ψ), la quale rappresenta un'ampiezza di probabilità. Il quadrato del valore assoluto della funzione d'onda rappresenta una densità di probabilità, la probabilità che la particella sia osservata nell'intorno di una determinata posizione.[50][51] Funzione d'onda antisimmetrica per uno stato quantico di due fermioni identici in una scatola bidimensionale. Se le particelle si scambiassero la posizione la funzione d'onda invertirebbe il suo segno. Gli elettroni sono trattati come particelle identiche, ovvero non possono essere distinte l'una dall'altra per le loro proprietà fisiche intrinseche: è possibile cambiare la posizione di una coppia di elettroni interagenti senza che si verifichi un cambiamento osservabile nello stato del sistema. La funzione d'onda dei fermioni, di cui gli elettroni fanno parte, è antisimmetrica: il segno della funzione d'onda cambia quando la posizione dei due elettroni viene scambiata,[52] ma il valore assoluto non varia con il cambio di segno e il valore della probabilità resta immutato. Questo differenzia i fermioni dai bosoni, che hanno una funzione d'onda simmetrica.[50] Elettrone 167 L'evoluzione temporale della funzione d'onda di una particella è descritta dall'equazione di Schrödinger,[53] che nel caso di un sistema di elettroni interagenti mostra una probabilità nulla che ogni una coppia di elettroni occupi lo stesso stato quantico: questo fatto è responsabile del principio di esclusione di Pauli, il quale afferma che due elettroni del sistema non possono avere i medesimi numeri quantici. Tale principio è alla base di molte proprietà degli elettroni, in particolare genera la loro configurazione all'interno degli orbitali atomici.[50] Classificazione Nel modello standard della fisica delle particelle gli elettroni appartengono al gruppo delle particelle subatomiche chiamate leptoni, che si ritiene siano particelle elementari, ed hanno massa minore rispetto a ogni altra particella carica conosciuta. L'elettrone appartiene alla prima generazione di particelle fondamentali,[54] mentre la seconda e la terza generazione contengono altri leptoni carichi, il muone e il tauone, che possiedono idetica carica e spin, ma massa a riposo maggiore. L'elettrone e tutti i leptoni differiscono dai quark, costituenti i protoni e i neutroni, per il fatto che non risentono della forza di interazione nucleare forte. Atomi e molecole L'elettrone è alla base delle proprietà di atomi e molecole, che costituiscono l'oggetto di studio della fisica dello stato solido. Il modello standard delle particelle elementari. L'elettrone è in basso a sinistra. Atomi Insieme a protoni e neutroni, gli elettroni sono i costituenti fondamentali degli atomi. Confinati nella regione in prossimità del nucleo atomico, sono solitamente in numero pari al numero atomico, il numero di protoni posseduti dal nucleo. Gli elettroni sono situati negli orbitali atomici, e se il numero di elettroni è differente dal numero atomico l'atomo è detto ione, e possiede una carica elettrica. Classicamente un elettrone che si muove di moto circolare uniforme attorno al nucleo, essendo accelerato, emette radiazione elettromagnetica per effetto Larmor, perdendo progressivamente energia e impattando sul nucleo. Questa previsione è stata successivamente smentita dalla meccanica quantistica: nel 1913 l'introduzione del modello atomico di Bohr ha fornito una descrizione semiclassica del modello atomico, nella quale un elettrone può muoversi soltanto su alcune determinate orbite non-radiative caratterizzate da precisi valori dell'energia e del momento angolare. Successivamente la meccanica quantistica ha costruito una descrizione completa dell'atomo sostituendo alla traiettoria classica la funzione d'onda, che fornisce la probabilità di trovare un elettrone in una data posizione nello spazio. Attraverso la funzione d'onda è possibile descrivere completamente gli orbitali atomici: il numero e le caratteristiche degli orbitali atomici sono deducibili dalla soluzione dell'equazione di Schrödinger per la funzione d'onda di un elettrone confinato nel potenziale elettrico generato dal nucleo. I numeri quantici che caratterizzano gli elettroni in Elettrone un orbitale, che assumono un insieme discreto di valori, sono: • Il numero quantico principale n, che definisce il livello energetico e il numero totale di nodi, considerando come nodo anche una superficie sferica a distanza infinita dal nucleo. Può assumere valori interi non inferiori a 1. L'energia di un elettrone nell'atomo nei semplici modelli non relativistici dipende unicamente da questo numero. • Il numero quantico azimutale l, o numero quantico angolare, che definisce il momento angolare orbitale. Può assumere valori interi positivi compresi tra 0 ed n-1 e sulla base di questa osservabile è possibile determinare informazioni circa il numero di nodi non sferici e, indirettamente, sulla simmetria dell'orbitale. • Il numero quantico magnetico ml, che definisce la componente z del momento angolare orbitale. Può assumere valori interi compresi tra +l e -l ed è responsabile della geometria degli orbitali. • Il numero quantico di spin ms, associato alla componente z dello spin dell'elettrone. Può assumere solo due valori, +1/2 o -1/2 in unità di ħ. Questa descrizione vale esattamente per l'atomo di idrogeno, mentre per gli atomi con più elettroni è necessario effettuare delle approssimazioni a causa dell'impossibilità di risolvere esattamente l'equazione di Schrödinger per via analitica. Le approssimazioni più utilizzate sono il metodo di Hartree-Fock, che sfrutta la possibilità di scrivere la funzione d'onda degli elettroni come un determinante di Slater, l'accoppiamento di Russell-Saunders e l'accoppiamento jj, che invece riescono ad approssimare l'effetto dovuto all'interazione spin-orbita nel caso di nuclei rispettivamente leggeri[55] e pesanti. Per il principio di esclusione di Pauli due o più elettroni non possono trovarsi nel medesimo stato, cioè non possono essere descritti dai medesimi numeri quantici. Questo fatto determina la distribuzione elettronica negli orbitali. Gli orbitali sono occupati dagli elettroni in modo crescente rispetto all'energia o equivalentemente al crescere del numero quantico principale, a partire dall'orbitale a energia più bassa, detto stato fondamentale, a quello di energia maggiore. Lo stato di momento angolare è definito dal numero quantico azimutale l, corrispondente all'autovalore della parte angolare dell'hamiltoniana. Il numero quantico magnetico può assumere valori interi compresi tra -l e +l: il numero di tali valori è il numero delle coppie di elettroni, con valore di spin opposto, che possiedono il medesimo numero quantico azimutale. La disposizione degli elettroni è quindi dovuta al fatto che a ogni livello energetico corrisponde un Funzione d'onda elettronica dei primi orbitali dell'atomo di idrogeno. numero crescente di possibili valori del numero quantico azimutale, a ogni valore del numero quantico azimutale corrispondono 2l + 1 valori di ml, e a ogni valore di ml corrispondono i due valori possibili di spin. Per ogni livello energetico ogni configurazione possibile è caratterizzata da un'energia, e la disposizione degli elettroni al crescere del numero atomico si svolge al crescere di essa. All'interno della nuvola elettronica è possibile che un elettrone effettui una transizione da un orbitale a un altro principalmente attraverso l'emissione o l'assorbimento fotoni, i quanti di energia,[56] ma anche in seguito alla collisione con altre particelle o tramite l'effetto Auger.[57] Quando un elettrone acquista un'energia pari alla differenza di energia con uno stato non occupato all'interno degli orbitali, esso effettua una transizione in tale stato. Una delle applicazioni più importanti di tale fenomeno è l'effetto fotoelettrico, in cui l'energia fornita da un fotone è 168 Elettrone tale da separare l'elettrone dall'atomo.[58] Dal momento che l'elettrone è carico, poi, il suo moto attorno al nucleo, che in una descrizione semiclassica è circolare uniforme, produce un momento di dipolo magnetico proporzionale al momento angolare orbitale. Il momento magnetico totale di un atomo è equivalente alla somma vettoriale dei momenti di dipolo magnetici e di spin di tutti i suoi elettroni e dei costituenti del nucleo. Il momento magnetico dei costituenti del nucleo è tuttavia trascurabile rispetto a quello degli elettroni.[59] L'interazione tra il momento di dipolo magnetico e il momento di spin è descritto dall'interazione spin-orbita, mentre l'interazione con un campo magnetico esterno è descritta dai limiti di Paschen-Back e Zeeman, a seconda che l'interazione spin-orbita sia rispettivamente trascurabile o meno rispetto al campo applicato. Molecole e composti ionici Nelle molecole gli atomi sono uniti dal legame chimico covalente, in cui uno o più elettroni sono condivisi fra due o più atomi.[60] In una molecola gli elettroni si muovono sotto l'influenza attrattiva dei nuclei e il loro stato è descritto da orbitali molecolari, più grandi e complessi di quelli di un atomo isolato, che in prima approssimazione si possono ottenere attraverso la sommatoria di più orbitali degli atomi considerati singolarmente.[61] Differenti orbitali molecolari hanno differenti distribuzioni spaziali di densità di probabilità: nel caso di una molecola costituita da due atomi, per esempio, gli elettroni che ne formano l'eventuale legame si troveranno con maggiore probabilità in una ristretta regione posta fra i due nuclei.[62] Un composto ionico può essere definito come un composto chimico formato da ioni, atomi o gruppi di atomi con carica elettrica complessiva neutra. Alla base dei composti ionici vi è il legame ionico, di natura elettrostatica, che si forma quando le caratteristiche chimico-fisiche dei due atomi sono nettamente differenti e vi è una notevole differenza di elettronegatività. Per convenzione si suole riconoscere un legame ionico tra due atomi quando la differenza di elettronegatività Δχ è maggiore di 1,9. Al diminuire di tale differenza cresce il carattere covalente del legame. Conduttività Se un corpo ha più o meno elettroni di quelli richiesti a bilanciare la carica positiva dei nuclei, allora l'oggetto ha una carica elettrica netta. Quando c'è un eccesso di elettroni, l'oggetto è detto carico negativamente. Quando ci sono meno elettroni che protoni nei nuclei il corpo è detto positivamente carico. Quando il numero di elettroni e il numero di protoni sono uguali, le loro cariche si cancellano a vicenda e l'oggetto è detto elettricamente neutro. Un corpo macroscopico può sviluppare una carica elettrica attraverso lo sfregamento, per via dell'effetto triboelettrico.[66] Gli elettroni indipendenti che si muovono nel vuoto sono detti elettroni liberi. Anche gli elettroni nei metalli hanno un comportamento simile a quelli liberi. In realtà le particelle che sono comunemente chiamate Un fulmine consiste principalmente in un flusso [63] elettroni nei metalli o in altri solidi sono delle quasi-particelle, che di elettroni. Il potenziale elettrico necessario hanno la stessa carica elettrica, spin e momento magnetico dei reali per il lampo deve essere generato dall'effetto [64][65] triboelettrico. elettroni, ma che al contrario hanno differente massa.[67] Quando gli elettroni liberi si muovono, o nel vuoto o in un metallo, generano un flusso di carica chiamato corrente elettrica, che genera un campo magnetico, nello stesso modo in cui un campo magnetico può generare corrente elettrica. Questo tipo di interazioni sono descritte matematicamente dalle equazioni di Maxwell.[68] 169 Elettrone A una data temperatura, ciascun materiale ha una conducibilità elettrica, che determina il valore della corrente quando è applicato un potenziale elettrico. Esempi di buoni conduttori, materiali capaci di far scorrere facilmente al proprio interno elettricità, sono i metalli come il rame e l'oro, mentre vetro e plastica sono cattivi conduttori. In ciascun materiale dielettrico, gli elettroni rimangono confinati ai loro rispettivi nuclei e il materiale ha quindi le caratteristiche globali di un isolante elettrico. La gran parte dei semiconduttori ha un livello variabile di conducibilità che si trova nell'intorno fra i valori estremi di conduzione e isolante.[69] All'opposto, i metalli hanno un struttura elettronica a bande in cui alcune di questo sono parzialmente riempite dagli elettroni. La presenza di queste bande permette agli elettroni nei metalli di muoversi come elettroni liberi o delocalizzati. Questi elettroni non sono associati a uno specifico atomo e quindi, quando è applicato un campo elettrico, si muovono liberamente come un gas (chiamato gas di Fermi),[70] lungo il materiale come gli elettroni liberi nel vuoto. A causa delle collisioni fra elettroni e atomi, la velocità di deriva degli elettroni in un conduttore è dell'ordine di pochi millimetri per secondo. Ciò nonostante, la velocità alla quale un cambiamento di corrente in un punto del materiale causa cambiamenti di corrente in un altro punto del materiale, la velocità di propagazione, è tipicamente di circa il 75% della velocità della luce.[71] Questo accade perché i segnali elettrici si propagano come onde, con una velocità dipendente dalla costante dielettrica del materiale.[72] I metalli sono spesso relativamente buoni conduttori di calore, principalmente per il motivo che gli elettroni delocalizzati sono liberi di trasportare energia termica fra gli atomi. Nonostante questo, al contrario della conducibilità elettrica, la conducibilità termica è quasi indipendente dalla temperatura. Questo è espresso matematicamente dalla legge di Wiedemann-Franz,[70] che dice che il rapporto fra la conduttività termica e la conduttività elettrica è proporzionale alla temperatura. Il disordine termico nel reticolo cristallino del metallo causa un aumento della resistività del materiale, producendo quindi la dipendenza dalla temperatura per la corrente elettrica.[73] Quando i materiali sono raffreddati al di sotto di un punto chiamato temperatura critica, questi possono avere una transizione di fase dopo la quale perdono tutta la resistività alla corrente elettrica, in un processo noto come superconduttività. Nella teoria BCS, questo andamento è modellato da coppie di elettroni che entrano in uno stato quantico noto come condensato di Bose - Einstein. Queste coppie di Cooper si accoppiano nel loro moto nella materia per mezzo delle vibrazioni di reticolo chiamate fononi, e quindi evitano le collisioni con gli atomi che normalmente creano la resistenza elettrica.[74] (Le coppie di Cooper hanno un raggio di circa 100 nm, quindi si possono scavalcare a vicenda.)[75] Nonostante questo, il meccanismo per il quale si formano superconduttori ad alte temperature rimane incerto. Gli elettroni all'interno dei solidi conduttivi, che sono a loro volta quasi-particelle, quando sono strettamente confinati intorno a temperature vicine alle zero assoluto, si comportano globalmente come due nuove differenti quasi-particelle: spinoni e oloni.[76][77] Il primo trasporta spin e il momento magnetico, mentre il secondo la carica elettrica. Particelle virtuali Il fisico britannico Paul Dirac fu il primo a proporre nel 1930 che lo spazio vuoto può essere visto come un insieme infinito di elettroni che occupano gli stati a energia negativa, previsti dall'equazione da lui scoperta per descrivere gli elettroni relativistici.[78] Questi elettroni formano il mare di Dirac e hanno lo scopo di impedire alle particelle osservate di perdere energia senza limiti. In questo contesto, i quanti della radiazione elettromagnetica, i fotoni, possono essere assorbiti dagli elettroni del mare, permettendo a questi ultimi di uscire fuori da esso. Come effetto netto si generano degli elettroni a carica negativa e delle lacuna di carica positiva nel mare. Una lacuna potrà essere rioccupata dall'elettrone che perde energia in questo modo rilasciando nuovamente un altro fotone.[79] 170 Elettrone Attualmente la teoria dei campi quantistica reinterpreta questi fenomeni del vuoto come le fluttuazioni quantistiche generate dai campi delle particelle e delle forze di interazione. Secondo l'elettrodinamica quantistica nei processi di scattering gli elettroni e il campo elettromagnetico interagiscono fra loro puntualmente con lo scambio fotoni e particelle cariche virtuali, di breve esistenza e non direttamente osservabili. A causa di questo tipo di interazione e delle fluttuazioni quantistiche, nel vuoto sono create continuamente coppie di particelle virtuali fra le quali vi sono l'elettrone e il positrone, che si annichilano in breve tempo senza poter essere Rappresentazione schematica della creazione di coppie virtuali elettrone-positrone, che compaiono misurati effettivamente.[80] In base al principio di indeterminazione casualmente nell'intorno di un elettrone, di Heisenberg la variazione dell'energia necessaria a produrre la rappresentato in basso a sinistra. coppia di particelle e la loro vita media non si possono conoscere contemporaneamente,[81][82] tuttavia se la vita media è estremamente breve l'incertezza riguardo all'energia è molto ampia, e il processo e la fluttuazione possono avvenire senza violare la conservazione dell'energia. La presenza delle particelle virtuali, sebbene non direttamente osservabile, è responsabile tuttavia delle proprietà del vuoto, come la sua polarizzazione e permeabilità dielettrica, superiore all'unità.[83][84] Questo tipo di polarizzazione è stata confermata sperimentalmente nel 1997 usando l'acceleratore giapponese TRISTAN.[85] Le particelle virtuali causano inoltre una significativa differenza sulla massa effettiva dell'elettrone,[86] e la loro interazione spiega la piccola deviazione dal momento magnetico intrinseco dell'elettrone dal magnetone di Bohr.[40][87][88] I fotoni virtuali, responsabili del campo elettrico, permettono infatti all'elettrone di avere un moto agitato nell'intorno della sua traiettoria classica,[89] che genera l'effetto globale di un moto circolare con una precessione. Questo moto produce sia lo spin che il momento magnetico dell'elettrone.[4][90] Negli atomi, poi, la creazione di fotoni virtuali spiega lo spostamento di Lamb osservato nelle linee spettrali e il fenomeno del decadimento spontaneo di elettrone da uno stato eccitato a uno di energia inferiore.[83] Interazione con le forze fondamentali L'elettrone genera un campo elettrico che esercita una forza attrattiva su particelle con una carica positiva, come il protone, e una forza repulsiva su particelle con carica negativa e l'intensità di questa forza è determinato dalla legge di Coulomb. Quando un elettrone è in movimento genera un campo magnetico e, tramite la legge di Ampère, questo movimento rispetto all'osservatore viene messo in relazione al campo magnetico; è questa proprietà di induzione che fornisce il campo magnetico che permette il funzionamento del motore elettrico.[91] Il campo elettromagnetico di una particella carica in movimento è espresso dal potenziale di Liénard–Wiechert, anche quando la velocità della particella è prossima a quella della luce. 171 Elettrone 172 Quando un elettrone è in moto in un campo magnetico è soggetto alla forza di Lorentz che esercita una variazione della direzione perpendicolare al piano definito dal campo magnetico e dalla velocità dell'elettrone e la forza centripeta che viene generata costringe l'elettrone a seguire una traiettoria elicoidale. L'accelerazione che deriva da questo moto curvilineo, nel caso di velocità relativistiche, causa una radiazione di energia da parte dell'elettrone sotto forma di radiazione di sincrotrone.[92][93][94] L'emissione di energia causa a sua volta un rinculo dell'elettrone, conosciuto come forza di Abraham-Lorentz-Dirac, il quale genera un attrito che lo rallenta; questa forza è generata da una retro-azione del campo dell'elettrone su se stesso.[95] Una particella con carica q (a sinistra) si muove con velocità v in un campo magnetico B che è diretto verso l'osservatore. Per un elettrone q è negativo, perciò segue una traiettoria diretta verso l'alto. In elettrodinamica quantistica, l'interazione elettromagnetica tra le particelle è trasmessa dai fotoni: un elettrone isolato che non subisce un'accelerazione non è in grado di emettere o di assorbire un fotone reale, poiché così facendo violerebbe le leggi di conservazione dell'energia e della quantità di moto. Invece i fotoni virtuali possono trasferire la quantità di moto tra due particelle cariche ed è questo scambio di fotoni virtuali che genere, per esempio, la forza di Coulomb.[96] L'emissione di energia può avvenire quando un elettrone viene deviato da una particella carica, come per esempio un protone; l'accelerazione dell'elettrone porta all'emissione della radiazione di bremsstrahlung, detta anche radiazione di frenamento.[97] Una collisione anelastica tra un fotone e un elettrone libero produce l'effetto Compton: questo urto porta a un trasferimento dell'energia e della quantità di moto tra le particelle, che porta alla variazione della lunghezza d'onda del fotone incidente.[98] Il valore massimo di questa variazione della lunghezza d'onda è h/mec, che è noto come lunghezza d'onda Compton, che per l'elettrone vale 2,43 · 10−12 m.[99] Se la lunghezza d'onda della luce incidente è sufficientemente lunga, come per esempio quella della luce visibile che ha una lunghezza d'onda che va da 0,4 · 10−6 a 0,7 · 10−6 m, la variazione della lunghezza d'onda dovuta all'effetto Compton diventa trascurabile e l'interazione tra radiazione e particelle può essere descritta tramite lo scattering Thomson.[100] La radiazione di bremsstrahlung è prodotta dall'elettrone e deviato da un campo elettrico prodotto da un nucleo atomico. La variazione di energia E2 − E1 determina la frequenza f del fotone emesso. La forza dell'interazione elettromagnetica tra due particelle cariche è data dalla costante di struttura fine α che è una quantità adimensionale formata dal rapporto di due contributi energetici: l'energia elettrostatica di attrazione o repulsione data dalla separazione di una lunghezza d'onda Compton e dall'energia a riposo della carica. Il suo valore è 7,297353 · 10−3 , che è possibile approssimare con la frazione 1/137.[101] Quando elettroni e i positroni collidono si annichilano l'un l'altro, originando due o più fotoni dei raggi gamma. Se invece la quantità di moto dell'elettrone e del positrone è trascurabile si può formare il positronio prima che il processo di annichilamento porti alla formazione di due o tre fotoni dei raggi gamma con un'energia totale di 1,022 MeV.[102][103] D'altra parte i fotoni molto energetici possono trasformarsi in un elettrone e in un positrone tramite un processo chiamato produzione di coppia, ma questo avviene solo in presenza di una particella carina nelle vicinanze, Elettrone 173 come un nucleo atomico.[104][105] Nella teoria dell'interazione elettrodebole la componente sinistrorsa della funzione d'onda dell'elettrone forma un doppietto di isospin debole con il neutrino elettronico, vale a dire che a causa dell'interazione elettrodebole il neutrino si comporta come un elettrone. Ciascuna componente di questo doppietto può subire l'interazione della corrente debole carica tramite l'emissione o l'assorbimento di un bosone W e può essere trasformata nell'altra componente. La carica è conservata durante questo processo poiché anche il bosone W porta una carica che annulla ogni variazione netta durante la reazione. Le interazioni della corrente debole carica sono responsabili del decadimento beta negli atomi radioattivi. Sia l'elettrone che il neutrino possono subire l'interazione della corrente debole neutra tramite uno scambio di bosoni Z e questo è responsabile dello scattering elastico tra elettrone e neutrino.[106] Moto ed energia In base alla relatività speciale quando la velocità di una particella si avvicina a quella della luce la massa relativistica aumenta dal punto di vista di un osservatore esterno, di conseguenza è necessaria una forza sempre più intensa per mantenere costante l'accelerazione. In questo modo un elettrone non può mai raggiungere la velocità della luce, essendo richiesta un'energia infinita. Nel caso di un elettrone che si muove a una velocità molto vicina a quella della luce c nel vuoto inserito in un mezzo dielettrico, per esempio l'acqua, essendo in tal mezzo la velocità locale della luce significativamente minore di quella dell'elettrone, l'interazione con esso può generare un fronte d'onda di luce compatto causato dall'effetto Čerenkov. Tale effetto è simile al boom sonico, che accade quando un oggetto superare la velocità del suono. L'effetto della relatività speciale è basato su una quantità nota come fattore di Lorentz, definita da: dove v è la velocità della particella. L'energia cinetica Ke di un elettrone che si muove con velocità v è: dome me è la massa a riposo dell'elettrone. Per esempio, l'acceleratore lineare di Stanford può accelerare un elettrone a circa 51 GeV.[107] Questo fornisce un valore per γ vicino a 100 000, dal momento che la massa a riposo dell'elettrone è circa 0,51 MeV/c2. La quantità di moto relativistica è 100 000 volte la quantità di moto dell'elettrone che la meccanica classica prevederebbe alla stessa velocità.[108] Il fattore di Lorentz in funzione della velocità. Partendo dal valore 1 raggiunge l'infinito quando v si avvicina a c. Dal momento che l'elettrone ha anche un comportamento ondulatorio, a una data velocità esso ha una caratteristica lunghezza d'onda di de Broglie. Questa è data da λe = h/p dove h è la costante di Planck e p è la quantità di moto.[16] Per energie di 51 GeV dell'elettrone, come quelle raggiunte dall'acceleratore SLAC, la lunghezza d'onda è di circa 2,4 · 10−17 m, piccola a sufficienza per esplorare la scala infinitesima del nucleo atomico e dei protoni.[109] Elettrone 174 Formazione La teoria del Big Bang più comunemente accettata dagli scienziati per spiegare gli istanti iniziali dell'evoluzione dell'universo:[110] nel primo millisecondo dell'esistenza dell'universo noto, la temperatura era di circa un miliardo di kelvin e i fotoni avevano un'energia media nell'ordine del milione di elettronvolt; questi fotoni erano sufficientemente energetici da poter reagire l'un l'altro per formare coppie di elettroni e positroni: dove è il fotone, è il positrone e Produzione di coppia causata dalla collisione di un fotone con un nucleo atomico. è l'elettrone. Contemporaneamente le coppie elettrone-positrone si annichilivano e producevano fotoni energetici. I due processi erano in equilibrio durante la prima fase di evoluzione dell'universo, ma dopo 15 secondi la temperatura dell'universo calò sotto la soglia di formazione delle coppie di elettroni-positroni. La maggior parte degli elettroni e positroni rimasti si annichilirono e producendo raggi gamma che in breve tempo irradiarono l'universo.[111] Per ragioni non ancora ben comprese, durante il processo di leptogenesi vi era un numero maggiore di elettroni rispetto a quello dei positroni,[112] perciò circa un elettrone ogni miliardo sopravvisse durante il processo di annichilazione. Questo eccesso era in egual misura a quello dei protoni sugli antiprotoni, in una condizione nota come asimmetria barionica, perciò la carica netta presente nell'universo risultava nulla.[113][114] I protoni e i neutroni superstiti iniziarono a interagire in un processo noto come nucleosintesi, durato fino a circa 5 minuti dopo l'istante iniziale, in cui si assistette alla formazione dei nuclei degli isotopi di idrogeno, elio e in minima parte litio.[115] I neutroni rimasti subirono il decadimento beta, con una vita media di circa quindici minuti, con la formazione di un protone, un elettrone e un antineutrino: dove è il neutrone, è il protone e è l'antineutrino elettronico. Per i successivi 300 000-400 000 anni gli elettroni liberi erano troppo energetici per legarsi ai nuclei atomici;[116] seguì dunque un processo di ricombinazione, in cui gli elettroni si legarono ai nuclei atomici per formare atomi elettricamente neutri e a causa di ciò l'universo divenne trasparente alla radiazione elettromagnetica.[117] Osservazioni L'osservazione remota di elettroni richiede il rilevamento delle loro energia irradiata. Per esempio, nell'ambiente ad alta energia come la corona di una stella, gli elettroni liberi formano un plasma che emette energia per gli effetti di Bremsstrahlung. Il gas elettronico può formare delle oscillazioni di plasma le cui onde causate dalla sincronizzazione delle variazioni in densità degli elettroni, e queste possono produrre emissioni di energia che possono essere rilevate usando i radiotelescopi.[119] La frequenza di un fotone è proporzionale alla sua energia. Un elettrone confinato a muoversi attorno a un nucleo può transire fra i diversi livelli energetici di questo consentiti, assorbendo o L'Aurora polare è principalmente causata dagli [118] elettroni energetici che precipitano nell'atmosfera. Elettrone 175 emettendo fotoni di frequenza caratteristica. Per esempio, quando un atomo è irraggiato da una sorgente con uno spettro continuo, appariranno delle distinte linee spettrali per la radiazione trasmessa. Ciascun elemento o molecola esibisce un insieme caratteristico proprio di serie di linee spettrali, che lo distinguono dagli altri atomi, come per esempio il noto caso delle serie dello spettro dell'atomo di idrogeno. La spettroscopia studia l'intensità e la lunghezza di queste linee e le mette in correlazione con le proprietà fisico-chimiche delle sostanza in analisi.[120][121] In condizioni di laboratorio, l'interazione di elettroni individuali possono essere osservate con l'uso di rilevatori di particelle, che permettono misure precise di specifiche proprietà come energia, spin e carica elettrica[122]. Lo sviluppo di focalizzatori a quadrupolo ha permesso di contenere particelle in piccole regioni dello spazio per lunghi periodi. Questo ha permesso la misura precisa delle proprietà particellari. Per esempio in una misurazione si è riusciti a contenere un singolo elettrone per un periodo di dieci mesi.[123] Il momento magnetico di un elettrone fu misurato con una precisione di 11 cifre significative, che, nel 1980, è la misura migliore di una costante fisica.[124] La prima immagine video della distribuzione di energia di un elettrone è stata catturata da un team dell'università di Lund in Svezia, nel febbraio 2008. Gli scienziati hanno usato flash estremamente piccoli di luce, che hanno permesso di osservare il moto di un elettrone per la prima volta.[125][126] La distribuzione di elettroni nei materiali solidi può essere visualizzata dallo spettroscopio ARPES (Angle resolved photoemission spectroscopy, ovvero spettroscopia fotoelettrica angolarmente risolta). Questa tecnica si basa sull'effetto fotoelettrico per misurare il reticolo reciproco, una rappresentazione matematica della struttura periodica di un cristallo. ARPES può essere usato per determinare la direzione, la velocità e la diffusione di elettroni nel materiale.[127] Applicazioni I fasci di elettroni sono usati nella saldatura di materiali,[129] permettendo di raggiungere densità di energia superiori ai 107 W·cm−2 nello stretto diametro focale di 0,1-1,3 mm e spesso non richiedono un materiale di riempimento. Questa tecnica di saldatura deve essere eseguita nel vuoto, in modo tale che gli elettroni non interagiscano con l'aria prima di raggiungere il bersaglio e può essere usata per unire materiali conduttori che altrimenti sarebbero difficili da saldare.[130][131] La litografia a fasci di elettroni (EBL) è un metodo per stampare i semiconduttori a risoluzioni più basse del micron.[132] Questa tecnica è limitata dagli alti costi, basse performance, dalla necessità di operare con fascio nel vuoto e dalla tendenza degli elettroni a essere diffusi nei solidi. L'ultimo problema limita la risoluzione a circa 10 nm. Per questa ragione, l'EBL è principalmente usata per la produzione di un piccolo numero di circuiti integrati specializzati.[133] Durante un test della NASA nella galleria del vento, un modello dello Space Shuttle è bersagliato da un fascio di elettroni che simulano l'effetto degli ioni degli strati alti dell'atmosfera terrestre incontrati durante il [128] rientro. La lavorazione con fasci di elettroni è usata per irradiare i materiali in modo da cambiare le loro proprietà fisiche o per la sterilizzazione medica e la produzione di cibo.[134] Nella radioterapia, i fasci di elettroni generati da acceleratori lineari sono usati per il trattamento di tumori superficiali: dato che un fascio di elettroni può penetrare solamente uno spessore limitato prima di essere assorbito, tipicamente intorno a 5 cm per elettroni di energia nel range 5–20 MeV, la radioterapia è utile per il trattamento di lesioni della cute come il basalioma. Un fascio di elettroni può essere usato per integrare il trattamento di aree che sono state irraggiate da raggi X.[135][136] Gli acceleratori di particelle usano campi elettrici per far raggiungere agli elettroni e alle loro antiparticelle alte energie. Nel momento in cui queste particelle passano in una regione in cui c'è campo magnetico, questi emettono Elettrone radiazione di sincrotrone. L'intensità di questa radiazione dipende dallo spin e questo può permettere la polarizzazione dei fasci di elettroni in un processo noto come effetto Sokolov–Ternov.[137] La polarizzazione di fasci di elettroni può essere molto utile per numerosi esperimenti. La radiazione di sincrotrone può anche essere usata per raffreddare il fascio di elettroni, in modo da ridurre la quantità di moto persa dalle particelle. Una volta che le particelle sono state accelerate sino alla energia richiesta, i fasci separati di elettroni e positroni sono portati alla collisione e la risultante emissione di radiazione è osservata dai rivelatori di particelle ed è studiata dalla fisica particellare.[138] Note [1] Tutte le masse sono valori del CODATA accessibili tramite la pagina del NIST sulla massa dell'elettrone (http:/ / physics. nist. gov/ cgi-bin/ cuu/ Results?search_for=electron+ mass). La versione frazionaria è l'inverso del valore decimale (con un'incertezza di 4,4 × 10−10) [2] La carica dell'elettrone è il negativo della carica elementare (che è la carica positiva del protone). Valori del CODATA accessibili tramite il NIST alla pagina carica elementare (http:/ / physics. nist. gov/ cgi-bin/ cuu/ Value?e|search_for=electron+ charge) [3] Eichten e Peskin, op. cit., pp. 811-814. [4] Curtis, op. cit., p. 74. [5] Arabatzis, op. cit., pp. 70-74. [6] Dahl, op. cit., pp. 122-185. [7] Wilson, op. cit., p. 138. 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[45] Meschede, op. cit., p. 168. [46] Il raggio classico dell'elettrone è ottenuto nel seguente modo: si assume la carica dell'elettrone distribuita uniformemente all'interno di una sfera, che assume così un'energia potenziale elettrostaica. L'energia eguaglia l'energia a riposo dell'elettrone, definita dalla relatività ristretta come E=mc2. In elettrostatica l'energia potenziale di una sfera con raggio r e carica e è data da: dove ε0 è la costante dielettrica del vuoto. Per un elettrone con massa a riposo m0 l'energia a riposo è uguale a: dove c è la velocità della luce nel vuoto. Uguagliando questi due termini e risolvendo l'equazione per r si ottiene il raggio classico dell'elettrone. Per approfondire si può fare riferimento a: Haken, op. cit., p. 70. [47] Steinberg, op. cit., pp. 2582-2586. [48] Yao, op. cit., pp. 77-115. [49] Tale risultato è mostrato attraverso l'importante esperimento della doppia fenditura, in cui si mostra la natura ondulatoria dell'elettrone, che attraversa le due fenditure contemporaneamente causando una figura di interferenza. [50] Munowitz, op. cit., pp. 162-218. [51] La probabilità che la particella si trovi nell'intervallo [52] Lo scambio di due elettroni comporta che la funzione d'onda al tempo t è: diventi , dove le variabili e corrispondono rispettivamente alle posizioni del primo e del secondo elettrone. [53] La scrittura generale dell'equazione di Schrödinger è: dove è la funzione d'onda, è la costante di Planck razionalizzata, cioè divisa per hamiltoniano. [54] Frampton, op. cit., pp. 263-348. [55] Per atomo leggero si intende un numero atomio minore di 30. , ed è l'operatore Elettrone 178 [56] Mulliken, op. cit., pp. 13-24. [57] Burhop, op. cit., pp. 2-3. [58] Grupen, Claus (28 giugno – 10 luglio, 1999). "Physics of Particle Detection". 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[138] Chao, op. cit., pp. 155, 188. Bibliografia Testi generici • (EN)Steve Adams, Frontiers: Twentieth Century Physics (http://books.google.it/books?id=yIsMaQblCisC& printsec=frontcover&dq=Frontiers:+Twentieth+Century+Physics&cd=1#v=onepage&q=&f=false), CRC Press, 2000. ISBN 0-7484-0840-1 • (EN)Charis Anastopoulos, Particle Or Wave: The Evolution of the Concept of Matter in Modern Physics, Princeton University Press, 2008. ISBN 0-691-13512-6 • (EN)Theodore Arabatzis, Representing Electrons: A Biographical Approach to Theoretical Entities (http://books. google.it/books?id=rZHT-chpLmAC&printsec=frontcover&dq=Representing+Electrons:+A+Biographical+ Approach+to+Theoretical+Entities&cd=1#v=onepage&q=&f=false), University of Chicago Press, 2006. ISBN 0-226-02421-0 URL consultato il 1 aprile 2010. • (EN)Gary F. Benedict, Nontraditional Manufacturing Processes (http://books.google.com/ books?id=xdmNVSio8jUC&pg=PA273), CRC Press, 1987. ISBN 0-8247-7352-7 • (EN)Eric H. S. 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Voci correlate • • • • • • • • Elettrone solvatato Fermione Elettromagnetismo Elettrodinamica quantistica Protone Scattering di elettroni Lista delle particelle Elettrone spaiato 183 Elettrone 184 Altri progetti • • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Electrons Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/elettrone • Wikiquote contiene citazioni: http://it.wikiquote.org/wiki/Elettrone Collegamenti esterni • Particle Data Group (http://pdg.lbl.gov/) • Raggio di elettroni in campo elettrico e magnetico incrociato (http://www.bigs.de/Bstore/index. php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=46&Itemid=167) Isotopo Un isotopo (letteralmente nello stesso luogo) è un atomo di uno stesso elemento chimico, e quindi con lo stesso numero atomico Z, ma con differente numero di massa A, e quindi differente massa atomica M.[1] La differenza dei numeri di massa è dovuta ad un diverso numero di neutroni presenti nel nucleo dell'atomo a parità di numero atomico. Stessi isotopi che differiscono solamente per lo stato eccitato vengono definiti isomeri. Se due nuclei contengono lo stesso numero di protoni, ma un numero differente di neutroni, i due nuclei avranno lo stesso comportamento chimico (con delle minime differenze nei tempi di reazione e nell'energia di legame, denominate collettivamente effetti isotopici), ma avranno comportamenti fisici differenti, essendo uno più pesante dell'altro. Gli isotopi sono suddivisi in isotopi stabili (circa 340) e non stabili o isotopi radioattivi (circa 3000 conosciuti ed altri 6000 ipotizzati da calcoli teorici). Il concetto di stabilità non è netto, infatti esistono isotopi "quasi stabili". La loro stabilità è dovuta al fatto che, pur essendo radioattivi, hanno un tempo di dimezzamento estremamente lungo anche se confrontato con l'età della Terra di 4.5 Ga. Secondo teorie cosmologiche recenti nessun isotopo è da ritenersi propriamente stabile. Ci sono 21 elementi (ad esempio berillio-9, fluoro-19, sodio-23, scandio-45, rodio-103, iodio-127, oro-197 o torio-232, quasi-stabile) che possiedono in natura un solo isotopo stabile anche se nella maggior parte dei casi gli elementi chimici sono costituiti da più di un isotopo con una miscela isotopica naturale, che in molti casi è variabile in conseguenza di fenomeni idro-geologici (es: idrogeno ed ossigeno), decadimenti radioattivi (es: piombo) e manipolazioni dovute all'uomo (es: idrogeno/deuterio/trizio e isotopi dell'uranio). Pertanto la IUPAC aggiorna continuamente i valori delle masse atomiche medie raccomandate per i vari elementi chimici tenendo conto di tale variabilità. Essa è ampiamente condizionata dal sito geologico di provenienza (acquifero, terrestre, atmosferico), nonché dalla provenienza extraterrestre o molto raramente extrasolare (meteoriti). Poiché la massa atomica media degli elementi poliisotopici è talvolta variabile, il suo valore deve essere dotato di cifre significative in numero appropriato (ad esempio 58,933 195(5) u per il 59Co che è monoisotopico, 58,6934(2) u per il Ni, 207,2(1) u per il Pb che è il prodotto dal decadimento delle catene radioattive naturali di 235U, 238U e 232Th). Isotopi stabili Tra gli isotopi stabili più studiati ci sono: l'idrogeno, il boro, il carbonio, l'azoto, l'ossigeno e lo zolfo, chiamati anche isotopi leggeri. Di solito gli isotopi dello stesso elemento sono presenti in natura in diverse concentrazioni: uno in alta concentrazione e l'altro, normalmente, in tracce. Per esempio in natura il carbonio si presenta come una miscela di tre isotopi con numero di massa pari a 12, 13 e 14: 12C, 13C e 14C (questo ultimo è radioattivo ed è di origine cosmogenica). Le loro abbondanze rispetto alla quantità globale di carbonio sono rispettivamente: 98,89%, 1,11%, tracce (1 atomo di 14C ogni ~ 1012 atomi di 12C)[2]. Isotopo 185 Il rapporto isotopico tra due isotopi viene calcolato mettendo l'isotopo pesante al numeratore (es. R = D/H o 18 16 O/ O).A causa delle difficoltà nel gestire rapporti R con un numero così elevato di decimali (ad esempio D/H = 0,000160025) è stato deciso dal principio di evitare i valori assoluti e di usare il valore relativo del rapporto del materiale da analizzare contro un "materiale di riferimento". Questo nuovo valore viene indicato come δ e viene calcolato in base alla seguente formula: La scelta di esprimere il valore moltiplicato per 1000, fa sì che si eliminino i decimali e si semplifichi così il valore finale. Gli standard di riferimento sono: Elemento Standard Ossigeno V-SMOW (Vienna-Standard Mean Ocean Water) Idrogeno V-SMOW (Vienna-Standard Mean Ocean Water) Carbonio PDB-1 (Pee-Dee Belemnitella) Azoto N2 atmosferico Zolfo CDT Canyon Diablo Troilite Abbondanza isotopica relativa Note [1] Rolla, op. cit., p. 35 [2] WANG et al., 1998 Bibliografia • Wang Y., Huntington T. G., Osher L. J., Wassenaar L. I., Trumbore S. E., Amundson R. G., Harden J. W., Mc Knight D. M., Schiff S. L., Aiken G. R., Lyons W. B., Aravena R. O., Baron J. S. (1998), Carbon Cycling in Terrestrial Environments. • C.Kendall and J.J.McDonnell (Ed.), Isotope tracers in catchments hydrology. Elsevier, 519-576 • Luigi Rolla, Chimica e mineralogia. Per le Scuole superiori, 29a ed., Dante Alighieri, 1987. Voci correlate • • • • • • • • • Abbondanza isotopica Isotono Isobaro Isodiafero Numero di massa Numero atomico Numero neutronico Tabella degli isotopi Spettrometria di massa Idrolisi 186 Idrolisi Rientrano sotto il generico nome di idrolisi (leggasi "idròlisi" o anche "idrolìsi"[1][2], dal greco ydor",acqua, e lyo, sciogliere) diverse reazioni chimiche in cui le molecole vengono scisse in due o più parti per effetto dell'acqua e può talvolta essere considerata come la reazione inversa della reazione di condensazione.[3] Non è da confondersi con l'idratazione, in cui ad una molecola viene addizionata una molecola di acqua (come nel caso dell'idratazione degli alcheni ad alcoli). Caratteristiche Le reazioni di idrolisi sono tra le più varie; alcune sono spontanee, altre hanno bisogno di un catalizzatore, spesso un acido o una base. Nei sistemi viventi le idrolisi sono spesso catalizzate da specifici enzimi della famiglia delle idrolasi. Un esempio di idrolisi sono le idrolisi degli esteri a dare acidi carbossilici ed alcoli; industrialmente, l'idrolisi alcalina dei grassi animali e vegetali (saponificazione) è usata per produrre glicerina e sali di acidi carbossilici a lunga catena, impiegati come detergenti. CH2-O-CO-R | (NaOH) CH-O-CO-R + 3 H2O ------> | CH2-O-CO-R CH2-OH | CH-OH + | CH2-OH 3 R-COO- Variazioni di pH Con il termine idrolisi si indica anche la reazione che subiscono gli ioni derivanti da acido o base debole: questi reagiscono con l'acqua originando in parte l'elettrolita debole di partenza e provocando una variazione del pH. Possiamo considerare l'esempio della variazione di pH causata dall'aggiunta di un sale derivante da un acido debole e una base forte: CN- + H2O HCN + OH- che porta alla formazione di acido cianidrico (acido coniugato della base cianuro) e ioni OH-. Tale tipo di reazione è un esempio di idrolisi basica Consideriamo adesso la reazione di idrolisi del cloruro di ammonio, NH4Cl: NH4+ + H2O NH4OH + H+ In questa reazione lo ione NH4+, acido debole, reagisce ripristinando parzialmente la sua base coniugata (l'idrossido di ammonio, NH4OH) dando idrolisi acida. Consideriamo infine il caso di un sale binario derivato da acido e base entrambi deboli, il cianuro di ammonio, NH4CN: in questo caso entrambi gli ioni subiscono idrolisi ma essendo la base coniugata di NH4+ più forte dell'acido cianidrico, come si può evincere dalle relative costanti di equilibrio, prevarrà l'idrolisi basica e il pH sarà alcalino. Idrolisi 187 Note [1] Dizionario italiano (http:/ / www. dizionario-italiano. it/ definizione-lemma. php?definizione=idrolisi& lemma=I009DC00) [2] Dizionario Sapere.it (http:/ / www. sapere. it/ sapere/ dizionari/ dizionari/ Italiano/ I/ ID/ idrolisi. html?q_search=idrolisi) [3] Nella reazione di condensazione infatti due molecole reagiscono tra loro espellendo una molecola a basso peso molecolare (chiamata "condensato"). Quando il condensato è una molecola di acqua la reazione di condensazione può dirsi inversa a quella di idrolisi. Voci correlate • • • • • • • • • Reazione di neutralizzazione Condensazione Esteri Ammidi Acidi carbossilici Alcoli Equilibrio chimico Teoria acido-base di Brønsted-Lowry Idratazione (chimica) Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Hydrolysis reactions Collegamenti esterni • Idrolisi salina (http://www.itchiavari.org/chimica/lab/idrolisi.html) Attinoidi 188 Attinoidi Numero atomico Nome Simbolo 89 Attinio Ac 90 Torio Th 91 Protoattinio Pa 92 Uranio U 93 Nettunio Np 94 Plutonio Pu 95 Americio Am 96 Curio Cm 97 Berkelio Bk 98 Californio Cf 99 Einsteinio Es 100 Fermio Fm 101 Mendelevio Md 102 Nobelio No 103 Laurenzio Lr La serie degli attinoidi (in passato attinidi) comprende i 15 elementi chimici compresi fra l'attinio e il laurenzio sulla tavola periodica, con numeri atomici fra l'89 e il 103 inclusi. [1] [2] [3] Sono molto simili, per caratteristiche chimiche, agli elementi della serie dei lantanoidi: gli attinoidi con il numero atomico più alto non sono reperibili in natura per via della loro emivita molto breve: quasi tutti gli attinoidi sono fortemente radioattivi. Il plutonio, inoltre, è anche estremamente velenoso. Come i lantanoidi (Ln), anche gli attinoidi (An) sono spesso rappresentati al di fuori della tavola periodica, nello stesso modo e per gli stessi motivi. Attinoidi 189 Attinidi minori Per attinidi minori si poi intendono poi tutti gli attinoidi, ad esclusione di plutonio ed uranio (denominati attinidi maggiori), che compongono il combustibile nucleare esaurito. Note [1] (EN) IUPAC, Periodic Table of the Elements, 2003-2007 (http:/ / www. iupac. org/ reports/ periodic_table) Diagramma delle fasi degli attinoidi [2] (EN) IUPAC, Periodic Table of Elements, 2007 (http:/ / www. iupac. org/ reports/ periodic_table/ IUPAC_Periodic_Table-22Jun07b. pdf) [3] (EN) IUPAC, Red Book, 2005 (http:/ / old. iupac. org/ publications/ books/ rbook/ Red_Book_2005. pdf) Voci correlate • Tavola periodica • Metalli del blocco d • Lantanoidi Lantanoidi 190 Lantanoidi Z Nome Simbolo 57 Lantanio La 58 Cerio Ce 59 Praseodimio Pr 60 Neodimio Nd 61 Promezio Pm 62 Samario Sm 63 Europio Eu 64 Gadolinio Gd 65 Terbio Tb 66 Disprosio Dy 67 Olmio Ho 68 Erbio Er 69 Tulio Tm 70 Itterbio Yb 71 Lutezio Lu La serie dei lantanoidi (in passato lantanidi) è costituita dai 15 elementi chimici, che sulla tavola periodica si trovano fra il lantanio ed il lutezio.[1][2] Essi hanno numero atomico compreso fra 57 e 71 (estremi inclusi). Essi costituiscono, insieme a scandio e ittrio, le cosiddette terre rare[3]. Nei lantanoidi (spesso indicati con il simbolo Ln) gli orbitali 4f sono parzialmente o completamente riempiti, mentre gli orbitali p e d, più esterni, restano ancora vuoti. Visto lo scarso effetto degli orbitali f sulle proprietà chimiche di un elemento rispetto agli orbitali s, p e d, tutti i lantanoidi mostrano sostanzialmente lo stesso comportamento e le stesse proprietà, rendendo molto difficile una loro separazione per via chimico-fisica. D'altra parte gli orbitali f conferiscono loro una serie di proprietà magnetiche e ottiche molto interessanti: il samario è molto usato in lega con il cobalto per fabbricare magneti permanenti, mentre l'erbio viene sfruttato come drogante per fibre ottiche allo scopo di renderle attive, cioè capaci di amplificare il segnale luminoso che le attraversa direttamente. Per motivi di compattezza grafica, i lantanoidi e gli attinoidi sono in genere posti come nota sotto la tavola periodica, in cui al loro posto compare solo un rimando. I lantanoidi così come i metalli di transizione possono dare luogo a ioni complessi, sebbene le specie derivanti abbiano caratteristiche completamente diverse. Il tutto è correlabile al fatto che gli orbitali 4f risultano essere orbitali interni per cui non subiscono alterazioni in seguito all'azione del campo dei leganti, cosa che invece accade per i complessi di metalli di transizione. Va inoltre detto che per tutta la serie, lo stato di ossidazione caratteristico è il +3, gli altri stati (+2 e +4) sono molto più rari, la spiegazione di ciò risiede sempre nella considerazione che gli orbitali 4f risultano essere orbitali interni per cui difficilmente ionizzabili. Caratteristica dei composti dei lantanidi è la luminescenza, qualità sfruttata per la costruzione di schermi televisivi prima dell'avvento del display al plasma. Lantanoidi 191 Note [1] (EN) IUPAC, Periodic Table of the Elements, 2003-2007 (http:/ / www. iupac. org/ reports/ periodic_table) [2] (EN) IUPAC, Periodic Table of the Elements, 2007 (http:/ / www. iupac. org/ reports/ periodic_table/ IUPAC_Periodic_Table-22Jun07b. pdf) [3] (EN) IUPAC, Red Book, 2005 (http:/ / old. iupac. org/ publications/ books/ rbook/ Red_Book_2005. pdf) Bibliografia • N. N. Greenwood; A. Earnshaw, Chimica degli elementi, volume II, Padova, Piccin, 1992.ISBN 88-299-1121-6 Voci correlate • • • • • • Tavola periodica Metalli del blocco f Metalli del blocco d Terre rare Contrazione lantanidica Attinoidi Stato di ossidazione In chimica, lo stato di ossidazione (o numero di ossidazione) di un elemento chimico in un composto è definito come il numero di elettroni ceduti o acquisiti virtualmente durante la formazione di un composto. Quando due atomi vengono uniti da un legame, gli elettroni si considerano virtualmente acquisiti da quello a maggiore elettronegatività. La somma algebrica dei numeri di ossidazione è 0 per una molecola neutra o coincide con la carica complessiva totale nel caso di uno ione. Conoscere i numeri di ossidazione degli elementi dei composti coinvolti in una reazione consente di distinguere le reazioni di ossido-riduzione (redox) dalle normali reazioni di scambio: nelle prime i numeri di ossidazione degli elementi cambiano, nelle seconde no. Le reazioni di ossido-riduzione (dette anche redox) implicano un trasferimento di elettroni tra i reagenti. Tale trasferimento può essere sfruttato per produrre una corrente elettrica continua, come nel caso della pila. Prendendo l'esempio dell'acido solforico (H2SO4), sapendo che l'ossigeno è più elettronegativo dello zolfo e dell'idrogeno, si ha che i numeri di ossidazione degli elementi che lo costituiscono sono O-H | O=S=O | O-H idrogeno: +1 zolfo: +6 ossigeno: -2 x 2 atomi: +2 x 1 atomo: +6 x 4 atomi: -8 Dall'applicazione della definizione, consegue che la somma dei numeri di ossidazione degli elementi di una molecola neutra è zero. Nel caso di uno ione, occorre tenere conto che la somma dei numeri di ossidazione dei suoi elementi deve essere uguale alla carica dello ione medesimo. Stato di ossidazione Regole empiriche per determinare il numero di ossidazione • per gli atomi di una qualsiasi specie chimica allo stato elementare il numero di ossidazione è 0 • per gli elementi del gruppo I (metalli alcalini) nei composti il numero di ossidazione è +1 • per gli elementi del gruppo II (metalli alcalino terrosi), lo zinco (Zn) e il cadmio (Cd) nei composti, il numero di ossidazione è +2 • nei suoi composti, l'idrogeno ha numero di ossidazione +1, negli idruri dei metalli ha numero di ossidazione -1 • nei suoi composti, l'ossigeno ha numero di ossidazione -2, (poche eccezioni: -1 nei perossidi, -1/2 nei superossidi, nel difluoruro d'ossigeno OF2 è +2) • il fluoro (F) ha sempre numero di ossidazione -1. Il cloro (Cl), il bromo (Br) e lo iodio (I) hanno numero di ossidazione -1, tranne che nei composti in cui sono legati a fluoro o ossigeno, nei quali assumono numeri di ossidazione positivi +1, +3, +5, +7 • per qualsiasi elemento allo stato di ione monoatomico il numero di ossidazione è uguale alla carica dello ione • la somma dei numeri di ossidazione degli elementi presenti in una molecola neutra è uguale a zero;[1] in uno ione poliatomico la somma dei numeri di ossidazione coincide con la carica dello ione. Note [1] Rolla, op. cit., p. 84 Bibliografia • Luigi Rolla, Chimica e mineralogia. Per le Scuole superiori, 29a ed., Dante Alighieri, 1987. • Paolo Silvestroni, Fondamenti di chimica, 10a ed., CEA, 1996, pp. 98-102. ISBN 88-408-0998-8 Voci correlate • • • • • • Lista degli stati di ossidazione degli elementi chimici Legame chimico Legame covalente Legame ionico Ossidoriduzione Valenza 192 Equazione chimica Equazione chimica Un'equazione chimica descrive una reazione ponendo i reagenti con la loro formula molecolare a sinistra e i prodotti a destra,[1] secondo lo schema: aAsf + bBsf → cCsf + dDsf, dove: a,b,c e d sono i coefficienti stechiometrici di ciascun composto, ossia indicano il numero di molecole (o moli) di ciascun composto, che partecipa alla reazione; A,B,C e D sono i composti, scritti con la loro formula molecolare; sf indica lo stato fisico del composto, che nelle equazioni chimiche sono quattro: solido (s), gassoso (g), liquido (l) e acquoso (aq) Leggere un'equazione chimica Prendiamo ad esempio l'equazione: CH4 (g) + 2 O2 (g) → CO2 (g) + 2 H2O(g), L'equazione indica una reazione di combustione, in cui una mole di metano reagisce con due moli di ossigeno per produrre una mole di anidride carbonica e due moli di acqua. La stechiometria gioca un ruolo estremamente importante nelle equazioni chimiche, infatti grazie ad essa è possibile determinare la quantità di sostanza (in grammi) prodotta a partire da una certa quantità di reagenti. Osservando l'equazione chimica precedente si può dedurre che se si impiegano 200gr di metano, che sono circa 12,5 moli [dalla relazione Moli = Massa (in grammi)/ Massa (in unità di massa atomica)], si ottiene, per reazione con 25 moli di ossigeno (che sono 800gr), 12,5 moli di anidride carbonica (ossia 550gr) e 25 moli di acqua (cioè 450gr). Bilanciare un'equazione chimica non redox Dal postulato fondamentale di Lavoisier, nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, deriva necessariamente che la somma delle masse dei reagenti è forzatamente uguale alla somma delle masse dei prodotti. Per questo un'equazione come: KMnO4 + Ca3(PO4)2 → K3PO4 + Ca(MnO4)2 deve essere bilanciata. Si può capire da alcune evidenti differenze tra i reagenti e i prodotti, ad esempio a sinistra il potassio appare una volta mentre a destra tre. Bilanciare una reazione significa porre un nuovo coefficiente stechiometrico al composto. Non è possibile cambiare in alcun modo i composti partecipanti alla reazione, ad esempio alterando il numero di atomi di un elemento all'interno della molecola. Questo si traduce nel fatto che mettendo un nuovo coefficiente ad un composto per bilanciare un elemento potrebbe significare dovere in seguito bilanciare l'altro elemento del composto. Per bilanciare l'equazione è buona norma iniziare con il bilanciare il metallo, in questo caso il potassio e il calcio: 3KMnO4 + Ca3(PO4)2 → K3PO4 + 3Ca(MnO4)2 Adesso è necessario bilanciare il nonmetallo, ossia il manganese e il fosforo ma non l'ossigeno (generalmente, a meno che non appaia nella sua forma elementare, l'ossigeno non viene bilanciato per verificare al termine del bilanciamento se la procedura seguita è corretta): 6KMnO4 + Ca3(PO4)2 → 2K3PO4 + 3Ca(MnO4)2 193 Equazione chimica Da notare che bilanciando il fosforo è stato necessario cambiare di nuovo il coefficiente del potassio nel primo composto, permettendo quindi il bilanciamento del manganese. L'ossigeno è a sua volta stato bilanciato. In definitiva bilanciare una reazione chimica significa: • bilanciare la carica elettrica (se la reazione è scritta in forma molecolare la carica è automaticamente bilanciata) • bilanciare la massa in accordo con la legge di Lavoiser • bilanciare le quantità di ogni singolo elemento che partecipa alla reazione. Note [1] Rolla, op. cit., p. 13 Bibliografia • Luigi Rolla, Chimica e mineralogia. Per le Scuole superiori, 29a ed., Dante Alighieri, 1987. Prodotto (chimica) I prodotti di una reazione chimica sono i composti che si ottengono alla fine della reazione, dopo la ricombinazione degli atomi dei reagenti. Una reazione chimica è composta da due termini: nel termine di sinistra stanno i reagenti, mentre nel termine di destra stanno i prodotti. Per la legge di Lavoisier, la massa dei prodotti è uguale alla massa dei reagenti. Se il prodotto della reazione viene subito dopo la sua creazione utilizzato da un'altra reazione come reagente, si parla più propriamente di intermedio di reazione. I prodotti dell'industria chimica vengono classificati in base al loro volume di produzione e al loro valore aggiunto a partire dalla matrice di Kline. Voci correlate • • • • Velocità di reazione Catalizzatore Reazione chimica Reagente 194 Fonti e autori delle voci Fonti e autori delle voci Chimica Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46820547 Autori:: .jhc., 5Y, Albris, Alexxxx, Alpha30, Andrea.gf, AnjaManix, Antony93, Aphaia, Apollodoro, Aracuano, Archenzo, Ares, Assinda, AttoRenato, Aushulz, Avesan, Azattoni, Baronnet, Basilicofresco, Berto, Biopresto, Blakwolf, Bouncey2k, Buggia, Capannelle, Casamadella, ChemicalBit, Cisco79, Civvì, Contezero, Darth Kule, Demart81, Dobby, Dr Zimbu, Estel, Fiir, Flippo, FrancescoCas, Frazzone, Gabriele85, Gac, Giannib, Giuliorn71, Giuse93, Guidomac, Hellis, Henrykus, Ignlig, Jalo, Julio.caesar, Kikka2571, Klaudio, Leonard Vertighel, Lucka997, Luisa, M7, MM, Melkor II, Micvac, Nick1915, No2, Numbo3, Osk, Ottaviano II, Paginazero, Pandit, Pantalaimon, Patafisik, Phantomas, Ploqperq, Rael, Ramac, Restu20, Riccardo.fabris, Rob-ot, Sannita, Santuzzo, Sbisolo, Scusatesonoio, Seics, Sesekem, Shivanarayana, Simo ubuntu, Sky, Smark, Snowdog, Stan Shebs, Suisui, SuperSecret, Svante, Taueres, Template namespace initialisation script, Ticket 2010081310004741, Twice25, Vituzzu, Von Zurich, Ylebru, Yujin, 216 Modifiche anonime Storia della chimica Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=45834110 Autori:: Alfreddo, Andrea.gf, Apollodoro, Aushulz, Avesan, Biopresto, Bronaldo, Buggia, Burubuz, Cisco79, CommonsDelinker, Dadda86, Dinwath, Doc.mari, Felyx, Gabriele85, Jacopo, Jacopo Werther, Joder, Joe123, Luisa, Marcol-it, Phantomas, Powt, Riccardov, Rob-ot, Senpai, 41 Modifiche anonime Legame chimico Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=45978679 Autori:: AXRL, Alfio, Ariel, Ask21, Aushulz, Avesan, Biopresto, Blakwolf, Buggia, Bumba, Calabash, ChemicalBit, Ciao come stai, Cisco79, Danilo, Dr Zimbu, Ernesttico, Fir, Flippo, Frazzone, Frieda, Frigotoni, Ghazi85, Giancarlodessi, Ginosal, Giovannigobbin, Jalo, Kibira, Larry Yuma, Loroli, Lukino24, M7, Marco 27, Marcookie, Mark91, MaxDel, Metralla, Number 21, Osk, Paginazero, Pazzoide87, Phantomas, Rael, Sansa, SignorX, Tia solzago, To011, Trolley 77, Unstoppable87, Valerio79, Ylebru, Zardos, ^musaz, 177 Modifiche anonime Atomo Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46427181 Autori:: .jhc., 27182, 5Y, Aerandir09, Alec, Alexxxx, Alfio, Amarvudol, Anassagora, Andreapowoso, AnjaManix, Aracuano, Aushulz, Bag, Barbaking, Beltd, Berto, Biopresto, Bizio, Blakwolf, Bluemask, Brownout, Buggia, Calabash, CavalloRazzo, ChemicalBit, Cisco79, Clop, Codas, Cruccone, Danilo, DanyUP, Dark, DarkAp, Davide, Davide l'Armaro, Dome, Dr Zimbu, Elph, Elwood, FaLcON283, Felyx, Filnik, Franco3450, Franz Liszt, Frazzone, Frieda, Frigotoni, Gac, Gacio, Gggg81, Giancarlo Rossi, Gianluigi, Gio97, Giovannigobbin, Grazianoleni, Guidomac, Hashar, Henrykus, Ignlig, Incola, Ippatsu, Istcol, Jackox, Joana, K92, Kaibou, Kal-El, Kiado, Kibira, L'alchimista, L736E, Larry Yuma, Leonard Vertighel, Lorenz-pictures, Loshack, Lp, Lucus, M7, Maitland, MapiVanPelt, Marc Lagrange, Mark91, Matteo pregnolato, Mau db, Mauro742, Melkor II, Midnight bird, MikyT, Nickotte, No2, Noiseplayer, Nubifer, Olando, Omino di carta, Osk, Otello Felarinnonz, Paginazero, Painlord2k, Pasquale.Carelli, Pequod76, Phantomas, Pietrodn, Pipep, Pracchia-78, Rdocb, Remulazz, Renato Caniatti, Restu20, Retaggio, Ripepette, Rl89, Roberto Mura, Roberto1974, Rojelio, Ruthven, Salvatore Ingala, Sannita, Senet, Senpai, Shivanarayana, Simone, Sirabder87, Snowdog, Socho-sama, Stefany, Sublime Negativo, Suisui, SuperSecret, Supernino, Svante, T137, Taueres, Template namespace initialisation script, Tenan, Ticket 2010081310004741, Tirinto, Tompase, Twice25, Vipera, Vituzzu, Webkid, Yattaman, Ylebru, 391 Modifiche anonime Molecola Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46662241 Autori:: AKappa, Albris, Andrea Sivieri, Archenzo, Ask21, Aushulz, Barbaking, Baroc, Biopresto, Bramfab, Buggia, Cesalpino, Cisco79, Danilo, Davide, Eumolpo, Franz Liszt, Gac, Globoken, Hashar, Hellis, Johnlong, Kal-El, L736E, Mark91, Massimo Macconi, Moroboshi, No2, Osk, Paginazero, Phantomas, Retaggio, Sbisolo, Simo82, Swert, Template namespace initialisation script, Ticket 2010081310004741, Tommaso Ferrara, WK, Witesmoke, Ylebru, ^musaz, 61 Modifiche anonime Stato della materia Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=45517907 Autori:: ARTE, Al3xI98O, Aushulz, Berto, Biopresto, Blakwolf, Buggia, Capitanonemo, Caulfield, ChemicalBit, Cisco79, DanGarb, Eio, ElfQrin, Filippo2192, FrAnCiS, Frigotoni, IlPisano, Kibira, Madaki, Manusha, Marcuscalabresus, Martin Mystère, Ottaviano II, Owlbuster, Phantomas, Poldo328, Seics, Semolo75, Snowdog, Ssspera, The Guru, Ticket 2010081310004741, Truman Burbank, Ylebru, 39 Modifiche anonime Miscela (chimica) Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46798575 Autori:: Ariel, Aushulz, Biopresto, Buggia, Bultro, ChemicalBit, Cisco79, Comune mortale, Davide, Doc.mari, Francisco83pv, Johnlong, Lorydec, Marek96, Phantomas, Seics, Taueres, Xandi, 34 Modifiche anonime Composto chimico Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=44929844 Autori:: Alfio, Archenzo, Aushulz, Ayato86, Azrael555, Biopresto, Blakwolf, Buggia, Cisco79, Danilo, Fra74, Frieda, Gabriele85, Gac, Gio97, Hashar, Incola, Johnlong, Mafejthoth, Osk, Paginazero, Pietrodn, Remo Mori, SamZane, Sandrobt, SupremoAssoluto, Svante, Taueres, Template namespace initialisation script, Tommaso Ferrara, 13 Modifiche anonime Reazione chimica Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46548972 Autori:: 5Y, Actam, AlessandroAM, Aushulz, Avesan, Biopresto, Buggia, Cerrigno, ChemicalBit, Cisco79, Danilo, Dr Zimbu, Eio, Felyx, Floranda, Frieda, Ghazi85, Giovannigobbin, Giuliorn71, Gori.silvio, Guidomac, Ignlig, Kaeso, Lependu, LukeWiller, Mafejthoth, Malvivent, MapiVanPelt, Mark91, Matgio, Miao, Numbo3, Paginazero, Phantomas, Ppalli, Restu20, Retaggio, Shivanarayana, Tia solzago, Ticket 2010081310004741, Tiziana veiga, Unriccio, ViciDig, Whiles, 84 Modifiche anonime Processo chimico Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=45167661 Autori:: Aerandir09, Aushulz, Buggia, Taueres, 5 Modifiche anonime Ossido-riduzione Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=32447474 Autori:: ARTE, Airon90, Alchimico, Aushulz, Biopresto, Buggia, ChemicalBit, Cisco79, Danilo, Eudigioia, Ghazi85, Gionnico, Helios, Liopac, Liuksky, LoVid8, Mafejthoth, Malemar, Marcel Bergeret, Marcol-it, Mars79, Metralla, No2, Paginazero, Pavlo Chemist, Phantomas, Simo82, SkedO, Toobaz, Trixt, Umbo86, Viames, ^musaz, 21 Modifiche anonime Reazione acido-base Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=45858327 Autori:: Ancar, Aushulz, Avesan, Buggia, ChemicalBit, Cisco79, Fakk, Frigotoni, Guidomac, No2, Paginazero, Senpai, Whiles, 22 Modifiche anonime Decomposizione (chimica) Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46438151 Autori:: Aushulz, Avesan, Buggia, Mars79, PaneBiancoLiscio Metatesi (chimica) Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=45454303 Autori:: Aushulz, Cisco79, Harlock81, IlPisano, Jacopo Werther, Mars79, Mau il chimico, 3 Modifiche anonime Precipitazione (chimica) Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46483490 Autori:: Aushulz, Avesan, Buggia, Cisco79, Daniele Boglio, Dia^, Ithunn, Johnlong, Paginazero, PaneBiancoLiscio, Pazzoide87, 5 Modifiche anonime Complesso (chimica) Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=41315541 Autori:: Albris, Archenzo, Aushulz, Buggia, Carlo.milanesi, Cisco79, Dello, Esculapio, Eumolpo, Ilcontestatore, Leyo, Mars79, MaxDel, Memoria, Paginazero, Snowdog, 10 Modifiche anonime Reazione organica Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=42106090 Autori:: Aushulz, Cisco79, Eumolpo, Joder, KS, Mafejthoth, Paginazero, Paolo.campanella, 3 Modifiche anonime Reagente Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=45250194 Autori:: Aushulz, Avesan, Blakwolf, Boombaster, Choij, Cisco79, Eio, Klaudio, Lornova, Paginazero, Snowdog, 10 Modifiche anonime Catalizzatore Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=40719936 Autori:: A7N8X, Alchimico, Arnade, Aushulz, Catecolamine, Cisco79, Conte sty, D r k, DaveBlack, Dello, Felyx, Gabriele85, Giac83, Gliu, Incola, Luc106, Luciano G. Calì, Marcel Bergeret, Marsigliesenormanno, Mion, N314, No2, Paginazero, Pil56, Pinkflag, SamZane, Scexpir, Spidernik84, Suisui, Superchilum, Tommaso Ferrara, Whiles, 33 Modifiche anonime Solubilità Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46489196 Autori:: Arcade¹¹, Aushulz, Cisco79, Dedessenz, Felyx, Gnumarcoo, Guidomac, Kibira, Klaudio, Madaki, MapiVanPelt, McGriffin, Neosg1, Nick, Paginazero, Phantomas, Ppalli, Silvano berton, Snowdog, Terrasque, Thijs!, 25 Modifiche anonime Concentrazione Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=45411748 Autori:: A7N8X, Andrea Gonella88, Ary29, Aushulz, Batuffolina, ChemicalBit, Cisco79, DarkAp, Donjel, FrAnCiS, Luca.lombini, Marcoconsumi, Moongateclimber, No2, Paginazero, Pandit, Pleiade, Sbisolo, Tener, Ub, 21 Modifiche anonime Frazione molare Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46783612 Autori:: Alberto da Calvairate, Archenzo, Aushulz, Blakwolf, Cisco79, Hellis, Julio.caesar, MagnInd, Paginazero, Ripepette, Snowdog, Svante, Testadilegno, 11 Modifiche anonime Numero di Avogadro Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46267573 Autori:: ATMB, Alec, Alfio, Artsakenos, Aushulz, Beta16, Blakwolf, Burubuz, Cisco79, Colom, Cruccone, DarkBeam, EdoM, Eginardo, Elwood, F l a n k e r, Formica rufa, Fra74, Frassionsistematiche, Ginosal, Giova the star, Giuliof, Giuseppe Salustri, Guidomac, Hashar, Henrykus, Klaudio, Lm, LoVid8, Mark91, Mars79, Paulatz, Preziusom, Restu20, Retaggio, Sassospicco, Sbisolo, Snowdog, Straw Dog, Suisui, Svante, Ylebru, 52 Modifiche anonime Mole Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46736103 Autori:: Alex Pividori, Aushulz, Beta16, Burubuz, Cisco79, Codicorumus, DanGarb, Dinwath, Dome, Eio, Elwood, F l a n k e r, Fabexplosive, Fiaschi, Fra74, Franz Liszt, Frigotoni, Gac, Gassendi, Gauss, Gianma89, Gliu, Gori.silvio, Jcs, Kibira, Klaudio, Manusha, Maquesta, Marcok, Marcus89, Mark91, Mars79, Massic80, Mattia Luigi Nappi, N314, No2, Orzetto, Paginazero, Pietrodn, Pracchia-78, Rael, Raffamaiden, Red devil 666, Ricce, Rook, Salvatore Ingala, Sbisolo, Senza nome.txt, Sirabder87, 195 Fonti e autori delle voci Snowdog, Soddi, Tommaso Ferrara, Trixt, Turgon, Vannyn, Vargenau, Withe, Ylebru, ^musaz, 123 Modifiche anonime Chimica inorganica Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=45983789 Autori:: A7N8X, Albris, Aushulz, Cisco79, Danilo, Eumolpo, Frieda, Gianfranco, Hashar, Hellis, Paginazero, Suisui, Svante, 7 Modifiche anonime Chimica organica Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=45147210 Autori:: Aushulz, Avesan, Basilicofresco, Biopresto, Buggia, Cisco79, Danilo, Davide Fusco, Elwood, Giannib, Hashar, Hellis, Hill, Jacopo, Koji, MapiVanPelt, Mark91, Nuovoastro, Paginazero, Retaggio, Rojelio, Sesekem, Stan Shebs, Suisui, Svante, Ticket 2010081310004741, Webkid, 39 Modifiche anonime Sale Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=45455483 Autori:: .mau., AlessandroAM, Antoz, Aracuano, Arcade¹¹, Ary29, 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Zandegù, 69 Modifiche anonime Chimica fisica Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46809938 Autori:: Blakwolf, Carlo.Ierna, ChemicalBit, Cisco79, Cla, Dommac, Felyx, Gori.silvio, Montinar, Paginazero, Svante, Ylebru, 1 Modifiche anonime Biochimica Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46120867 Autori:: .anaconda, .jhc., Adoo, Annamaria.dmr, Ary29, Aushulz, Avesan, Buggia, Carlo.Ierna, Cisco79, Contezero, Danilo, Ernesttico, Frazzone, Frieda, Gabriele85, Gaux, Ggonnell, Giac83, Ginosal, Hellis, Indoril, Joe123, LM77, Lumage, M7, Mark91, Massimo Bachetti, Nase, No2, Olando, Pinkflag, Riccardov, Richzena, Romario81, Rupertsciamenna, Sbisolo, Sgargiulo, Skywolf, Snowdog, Ticket 2010081310004741, Towerman, 31 Modifiche anonime Numero atomico Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46644597 Autori:: Alfio, Blakwolf, Cisco79, DanGarb, Danilo, Ego, Frenzul, Giannib, Gio97, Guidomac, Iron Bishop, L-walker, Labba94, Luisa, Paginazero, Romanm, Sarcelles, Simone, 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Guidomac, Henrykus, Hotgia97, Johnlong, Kal-El, Kibira, Klaudio, Kormoran, La voce di Cassandra, Laurentius, Lenore, Lucas, Luciodem, LukeWiller, M7, MM, MapiVanPelt, Mark91, Massimiliano Lincetto, Matra dj, MaxDel, Megalexandros, Melos, Montinar, Mpitt, Nemo bis, Numbo3, Orric, Oscaracciato, Osk, Pequod76, Phantomas, Renato Caniatti, Retaggio, Ripepette, Rojelio, Sbisolo, Shivanarayana, Taueres, TheRedOne, Ticket 2010081310004741, Torsolo, Urli mancati, Veneziano, Vituzzu, Whiles, Ylebru, 201 Modifiche anonime Non metallo Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46719638 Autori:: A7N8X, Ai2007, Alkalin, Beta16, Biopresto, Bumba, Cisco79, Cruccone, Dan 2011, Felyx, Frank.sartori, Manusha, Maurice Carbonaro, Melos, Shivanarayana, Simòn, Supernino, Wyszinski, Ylebru, 25 Modifiche anonime Semimetalli Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=33338007 Autori:: A7N8X, Biopresto, Burubuz, Cesalpino, Cisco79, Frank.sartori, Hashar, Kormoran, Mac'ero, Marcok, Osk, Paginazero, 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anonime Lantanoidi Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46520618 Autori:: Burraco2, Cesalpino, Dinwath, Flippo, Gabriele85, Hashar, Kormoran, Lohe, Mac'ero, Paginazero, Romanm, Suisui, Superchilum, TinyFox, 1 Modifiche anonime Stato di ossidazione Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=45576301 Autori:: Arriano60, Aushulz, Biopresto, Cisco79, Deko90, Garibaldino, Guido Gonzato, Iakopo, Lmercatanti, Mars79, Mattia Luigi Nappi, Memoria, Paginazero, Physchim62, Rael, Retaggio, Snowdog, Ylebru, 20 Modifiche anonime 196 Fonti e autori delle voci Equazione chimica Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=44431462 Autori:: AttoRenato, Aushulz, Avesan, Cisco79, Dommac, Felyx, Gabriele85, Johnny B. 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