G It Diabetol Metab 2009;29:120-130
Rassegna
Obesità e diabete mellito di tipo 2
in età evolutiva
RIASSUNTO
La diffusione quasi epidemica dell’obesità nella popolazione
mondiale ha determinato la comparsa di diabete mellito di tipo
2 (T2DM) in età pediatrica che, segnalato inizialmente in minoranze etniche, negli Stati Uniti è in aumento anche negli adolescenti di razza caucasica. Attualmente in Europa il tasso di prevalenza di T2DM nei giovani non è elevato, ma è prevedibile un
suo aumento nei prossimi anni in considerazione del numero di
adolescenti obesi che manifestano alterata tolleranza glucidica
(ATG) e altri parametri della sindrome metabolica. La maggior
parte degli adolescenti in sovrappeso presenta insulino-resistenza (IR) che è dovuta a fattori genetici, alla entità della massa adiposa, allo stile di vita sedentario, a eventi perinatali e puberali. Il
peggioramento dell’IR, associato al difetto di secrezione insulinica, causa nell’adolescente la comparsa di T2DM con elevato
rischio di complicanze cardiovascolari. L’obesità (BMI > 85°
centile per età e sesso), il sesso femminile, la familiarità per diabete, l’appartenenza a specifici gruppi etnici e la presenza di
manifestazioni di IR identificano il gruppo di adolescenti a rischio
per T2DM, nei quali è opportuno effettuare una valutazione
periodica della situazione metabolica. La terapia del T2DM si
fonda essenzialmente sulla modificazione dello stile di vita e, in
caso di insuccesso, sull’impiego di farmaci. La prevenzione dell’obesità nel bambino è lo strumento principale per ridurre o
contenere la diffusione di T2DM nella popolazione giovanile e
richiede il coinvolgimento della famiglia, della scuola e dei
responsabili della salute del bambino.
SUMMARY
Obesity and type 2 diabetes mellitus in children and adolescents
The worldwide epidemic of obesity has led to the emergence of
T2DM and metabolic syndrome (MS) in youth. Firstly reported in
ethnic minorities, T2DM is on the rise in North America amongst
white Caucasian adolescents. The actual estimated prevalence
rate of T2DM in Europe is low; however, an increase is expected in the next few years, since obese adolescents show IGT and
other components of the MS. Insulin-resistance (IR) is found in
most of overweight children and is attributed to genetic factors,
F. Cerutti, M.G. Ignaccolo, M.C. Bertello,
C. Sacchetti
Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza,
Università di Torino
Corrispondenza: prof. Franco Cerutti,
Unità Operativa Pediatria, Ospedale Regina Margherita,
piazza Polonia 94, 10126 Torino
G It Diabetol Metab 2009;29:120-130
Pervenuto in Redazione il 06-02-2009
Accettato per la pubblicazione il 17-02-2009
Parole chiave: obesità, insulino-resistenza,
diabete mellito di tipo 2, adolescenza
Key words: obesity, insulin resistance, type 2 diabetes
mellitus, adolescence
Obesità e diabete mellito di tipo 2 in età evolutiva
as well as to body fat mass, overfeeding, reduced physical activity, inta-uterine and perinatal events, puberty. Worsening of IR,
together with an impairment of insulin secretion, cause the onset
of T2DM in adolescents, which are exposed to the risk of early
development of cardiovascular complications. Severe obesity
(BMI > 85° percentile for age and sex), female sex, family history of diabetes, ethnicity and the presence of signs of IR identify
the group of adolescents with higher risk of T2DM in which evaluation of metabolic balance has to be performed at least every
two years. Life style intervention approach to diet and exercise
is the first choice treatment of T2DM in youth; pharmacological
therapy should be used in case of failure.
Prevention of obesity, starting from the first years of life, is the
main path to reduce or avoid the spread of T2DM in adolescence and requests co-operation between the family, the school
and the caregivers.
Obesità, diabete di tipo 2 e sindrome
metabolica: le dimensioni del problema
in età pediatrica
L’obesità ha raggiunto in molte nazioni una diffusione di tipo
epidemico che ha coinvolto anche i soggetti in età evolutiva.
Secondo lo studio americano NHANES, rispetto a quanto
atteso, la prevalenza di eccesso ponderale grave (BMI > 30)
nell’adulto è raddoppiata e nel bambino addirittura triplicata
arrivando a valori superiori al 25% in talune minoranze etniche1,2. Un aumento del trend secolare di prevalenza è stato
osservato anche in Paesi come la Cina e l’India nei quali il
recente e rapido sviluppo economico si è associato ad
assunzione di stili di vita di tipo “occidentale”3. In Europa la
prevalenza del sovrappeso è risultata compresa tra il 12% in
Svezia e il 22% in Grecia e quella dell’obesità tra l’1,1% e il
14,1%4. In Italia, studi condotti utilizzando metodi non standardizzati di rilevazione5,6 hanno fornito valori di prevalenza
molto variabili che in parte sono stati confermati dall’indagine “Okkio alla salute”, svolta nel 2006 con il coordinamento
dell’Istituto Superiore di Sanità nella quasi totalità delle regioni italiane su bambini della 3a classe elementare (8-9 anni di
età). Secondo i dati preliminari dello studio, la prevalenza di
sovrappeso è risultata compresa tra il 17-26% e quella dell’obesità tra il 4-21% con una media sul territorio nazionale
rispettivamente del 24% e del 12%; le regioni meridionali
sono quelle con più elevata frequenza di eccesso ponderale
nella popolazione pediatrica.
La diffusione dell’obesità del bambino e dell’adolescente è
senza dubbio preoccupante ove si consideri che il sovrappeso comporta un elevato rischio di sviluppo di problemi psicosociali e di patologie a carico di svariati organi e apparati,
tende a persistere aggravandosi nell’adulto ed è alla base
della comparsa precoce di diabete mellito di tipo 2 (T2DM).
Le prime segnalazioni di casi di T2DM in età pediatrica, negli
anni ’70, facevano riferimento ad adolescenti obesi di origine
indiano-americana; a partire dagli anni ’90, una crescente diffusione del T2DM è stata segnalata negli Stati Uniti anche
in adolescenti di discendenza afro-americana e ispano-
121
americana, in Australia e Nuova Zelanda in popolazioni aborigene, in Giappone, a Hong Kong, in Bangladesh e in Libia7-9.
Uno screening di popolazione, effettuato in Giappone negli
anni 1976-97 su sette milioni di scolari con determinazione
della glicosuria e, in caso di sua positività, di glicemia a digiuno, ha dimostrato che il tasso di incidenza nella fascia di età
6-12 anni è decuplicato passando dallo 0,2/100.000 soggetti fra il 1976-80 al 2,1 fra il 1991-9510. Secondo indagini
condotte negli USA, la percentuale di bambini e adolescenti
affetti da T2DM tra i ricoverati in fase di esordio di diabete
varia tra l’8 e il 45%, a seconda della composizione etnica
dell’area geografica presa in esame7,8. Più di recente il fenomeno è parso interessare anche la popolazione caucasica
americana, mentre i dati relativi all’Europa sono limitati. Uno
studio nazionale in Inghilterra ha osservato, nei soggetti al di
sotto dei 16 anni, un tasso minimo di prevalenza di T2DM di
0,2/100.000, valore nettamente inferiore rispetto al 3,8% rilevato in precedenza a Birmingham dove la popolazione di
etnia sud-asiatica è più rappresentata e ha un rischio relativo di sviluppare T2DM 13,7 volte più elevato dei coetanei di
discendenza inglese11. Nel periodo 1999-2001 il registro
nazionale per il diabete in età pediatrica in Austria ha individuato 8 adolescenti affetti da T2DM con un’incidenza di
0,25/100.000 bambini di età inferiore a 15 anni12. In
Germania l’esecuzione di OGTT in 102 bambini obesi con
familiarità per diabete ha portato alla diagnosi di T2DM in 6
adolescenti13. In Italia, uno studio condotto nel 2003 su 710
bambini obesi aveva dimostrato che solo lo 0,2% era affetto
da T2DM14. Il un registro nazionale del T2DM in età pediatrica di recente promosso dal Gruppo di Studio Diabete della
SIEDP ha peraltro censito nei primi 6 mesi di attività 29 adolescenti con T2DM, caratterizzati da BMI > 90° centile per
età e sesso, esordio in età adolescenziale, prevalenza del
sesso femminile, elevata ricorrenza della malattia nei genitori15. Nel complesso gli studi europei, ma anche recenti prese
di posizione americane, suggeriscono che l’incidenza e la
prevalenza del T2DM in età pediatrica sono in modesto e
costante aumento, ma non tale da configurarsi quale un
evento epidemico come presentato in taluni articoli8,16. È
possibile peraltro che la reale entità del fenomeno sia sottostimata in quanto la malattia è scarsamente sintomatica
anche per periodi prolungati di tempo, sono possibili errori di
classificazione e molti dei pazienti nella fascia di età adolescenziale non affluiscono a centri pediatrici. La necessità di
mantenere comunque un’attenta sorveglianza su questo
problema deriva anche da numerose segnalazioni secondo
le quali anche la prevalenza di alterazioni dell’omeostasi glicemica, che potrebbero precedere la comparsa di T2DM, è
molto elevata tra bambini e adolescenti obesi in diretta correlazione con l’eccesso ponderale7-9. In una popolazione
multietnica americana alterata tolleranza glucidica (ATG) è
stata riscontrata nel 25% dei bambini di 4-10 anni di età e
nel 21% degli adolescenti in sovrappeso indipendentemente
dall’appartenenza etnica17. In Europa la prevalenza di ATG
nei bambini obesi ha dimostrato tassi variabili tra il 4,5% in
Italia e il 15-35% in Francia e Germania13,14,18. Aspetto da
non trascurare è poi che nell’adolescente fortemente obeso
l’ATG si associa con notevole frequenza a ipertrigliceridemia,
122
F. Cerutti et al.
ipercolesterolemia totale con bassi livelli di HDL colesterolo,
aumento dei valori pressori sisto-diastolici e steatosi epatica
non alcolica, tutte componenti della cosiddetta “sindrome
metabolica o da insulino-resistenza” (SM), ritenuta uno dei
fattori di rischio maggiore per lo sviluppo di malattia cardiovascolare19. La frequenza di quest’ultima è risultata ampiamente variabile (4,2-28%), a seconda del grado di eccesso
ponderale dei bambini/adolescenti esaminati e soprattutto
dei criteri adottati per la definizione di SM19-21. Nel 2007 la
International Diabetes Federation (IDF) ha proposto una classificazione clinica della SM in età pediatrica di semplice
applicazione che tiene conto delle differenze correlate alla
fase di sviluppo accrescitivo22. La definizione di SM è stata
stabilita facendo riferimento a 3 fasce di età (da > 6 a < 10
anni; da > 10 a < 16 anni; oltre i 16 anni). I bambini di età <
6 anni non sono stati inclusi per la difficoltà di raccogliere un
campione di dati sufficientemente ampio. Secondo le indicazioni IDF (Tab. 1), al di sotto dei 10 anni non si deve porre
diagnosi di SM, ma i genitori e coloro che si prendono cura
del bambino devono essere incoraggiati ad attuare interventi mirati per contenere e ridurre il sovrappeso.
L’insulino-resistenza nell’obesità
e nel diabete di tipo 2 in età pediatrica
Più del 50% dei bambini/adolescenti in eccesso ponderale
ha livelli elevati di insulinemia a digiuno e dopo pasto e gradi
variabili di insulino-resistenza (IR) che comporta a livello del
tessuto muscolare e adiposo una notevole riduzione dell’utilizzo di glucosio e mancata soppressione della sua produzione epatica8,9. Nella genesi dell’IR è stato prospettato l’intervento di fattori genetici e ambientali. Sebbene nell’adulto
diversi geni che intervengono nella cascata di trasmissione
del segnale insulinico siano stati trovati associati a obesità e
IR, i dati in età pediatrica sono ancora troppo limitati per fornire risultati significativi23,24. L’entità della massa adiposa e
soprattutto la sua disposizione dei diversi distretti corporei
sono i fattori che più sembrano influenzare l’IR: in bambini
prepuberi in sovrappeso la sensibilità all’insulina è risultata
correlata alla quantità di tessuto adiposo sottocutaneo, mentre in adolescenti obese, al pari degli adulti, è il grasso depo-
sitato a livello viscerale che maggiormente condiziona
l’IR25,26. I meccanismi attraverso i quali l’obesità viscerale
determina IR, oltre alla sua elevata sensibilità alla stimolazione lipolitica, sono:
– alterata produzione di adipocitochine: si esplica con una
ridotta produzione di adiponectina e con aumento in circolo di resistina, inibitore-1 dell’attivazione di plasminogeno e citochine proinfiammatorie quali IL-6 e TNF-α che
potrebbero intervenire alterando la cascata endocellulare
di attivazione enzimatica coinvolta nel segnale insulinico.
Di recente un’aumentata produzione della proteina 4 che
lega il retinolo (RBP4) è stata osservata in bambini con
diverso grado di sovrappeso. A differenza delle precedenti adipocitochine, il tasso di leptina circolante è risultato correlato con l’insulinemia e con la quantità di tessuto adiposo sottocutaneo27,28;
– accumulo ectopico di lipidi nel muscolo scheletrico: l’impiego di tecniche spettroscopiche di RMN ha evidenziato in bambini prepuberi una correlazione tra quantità di
lipidi muscolari e BMI, circonferenza della vita e rapporto
glicemia/insulinemia; adolescenti gravemente obesi
hanno un maggiore accumulo intra- ed extra-miocellulare di lipidi rispetto ai coetanei normopeso ed evidenziano
una significativa correlazione inversa tra contenuto lipidico delle cellule muscolari e sensibilità all’insulina29,30.
Ulteriori determinanti dell’IR del bambino e adolescente
obeso e del rischio di evoluzione verso T2DM sono stati
identificati nell’inadeguato stile di vita che caratterizza
soprattutto i Paesi industrializzati, in eventi che si realizzano
durante la vita fetale e neonatale, nelle modificazioni ormonali tipiche della pubertà7-9,31.
L’interesse nei confronti dei fattori perinatali nella genesi
dell’IR è derivata dal riscontro di un maggiore rischio di sviluppo di T2DM in adulti che alla nascita avevano un peso
inferiore a 2500 grammi o superiore a 4310 g. Anche la durata della gravidanza avrebbe un effetto, come dimostra la
maggior frequenza di IR rilevata in bambini nati prematuri,
indipendentemente dal loro peso neonatale. Questi studi
hanno portato a ipotizzare che la denutrizione o l’iperalimentazione in utero siano in grado di condizionare nel feto anomalie ormonali e metaboliche permanenti con successivo
sviluppo dapprima di obesità e IR e successivamente di iperglicemia. Soprattutto nei soggetti nati piccoli per età gesta-
Tabella 1 Criteri di classificazione della sindrome metabolica nel bambino e nell’adolescente (IDF 2007).
Fasce d’età Obesità
Trigliceridi
HDL-C
Pressione
Glicemia (mmol/L)
(anni)
(WC)
sanguigna
o T2DM già diagnosticato
Da 6 a < 10
≥ 90° centile
La sindrome metabolica non può essere diagnosticata, ma è necessario effettuare ulteriori
indagini se sono presenti familiarità per sindrome metabolica, T2DM, dislipidemia, malattie
cardiovascolari, ipertensione e/o obesità
Da 10 a <16 ≥ 90° centile
≥ 1,7 mmol/L < 1,03 (mmol/L)
Sistolica ≥ 130
> 5,6 mmol/L (100 mg/dl)
o cut-off dell’adulto (≥ 150 mg/dl) (< 40 mg/dl)
mmHg o diastolica
o T2DM già diagnosticato
se inferiore
≥ 85 mmHg
(se > 5,6 mmol/L
al 90° centile
è consigliato OGTT)
≥ 16
Utilizzare i criteri IDF per l’adulto
Obesità e diabete mellito di tipo 2 in età evolutiva
zionale (small for gestational age, SGA) è stato anche osservato che un eccessivo incremento di peso nei primi 2-3 anni
di vita facilita l’insorgenza di obesità destinata a persistere
nel tempo7,8,27,32,33.
Fisiologicamente in tutti i bambini il passaggio dalla fase prepuberale (stadio I di Tanner) a quella puberale (stadi II e III di
Tanner) coincide con variazioni dei livelli circolanti di GH
(growh hormone, ormone della crescita) e IGF-I (insulin-like
growth factor I, fattore di crescita insulino-simile I) e speculare riduzione della sensibilità all’insulina compensata da un
relativo aumento della secrezione dell’ormone pancreatico; il
completamento dello sviluppo puberale riporta la secrezione
insulinica ai livelli della prepubertà. È stato ipotizzato che in
presenza di obesità grave la beta-cellula non sia in grado di
contrastare efficacemente l’IR di questa fase dello sviluppo e
vada incontro a una progressiva diminuzione di funzionalità
secretoria34.
Nell’adulto l’iperinsulinismo e l’IR sono i fattori che correlano
l’obesità allo sviluppo di T2DM attraverso un processo evolutivo che si compie nell’arco di anni attraverso fasi caratterizzate da:
1. IR con iperinsulinismo compensatorio, che consente di
mantenere la glicemia a digiuno e dopo pasto entro limiti normali;
2. aggravamento dell’IR con iniziale deficit secretorio di
insulina testimoniato da occasionale comparsa di moderata iperglicemia dopo pasto;
3. ulteriore peggioramento dell’IR e netta riduzione della
secrezione insulinica che determina iperglicemia anche a
digiuno e spesso coincide con la diagnosi di T2DM.
In alcuni adolescenti questo evento fisiopatologico appare
fortemente accelerato con una veloce transizione dalla normale tolleranza ai carboidrati (NTG) all’iperglicemia. Alcuni
studi longitudinali hanno tentato di determinare i parametri
clinici e antropometrici che caratterizzano bambini e adolescenti obesi a rischio di T2DM. L’esecuzione di OGTT in 117
bambini obesi ha identificato NTG in 84 e ATG (alterata tolleranza ai glucidi) in 33; tra questi ultimi, a distanza di due
anni, 10 hanno mantenuto ATG, 15 sono tornati a NTG e 8
hanno sviluppato T2DM. In questa casistica l’obesità grave,
l’ATG e soprattutto la familiarità per T2DM sono risultati i
maggiori fattori di rischio per lo sviluppo di iperglicemia. Un
altro studio longitudinale condotto su una casistica più
numerosa con esecuzione ripetuta di OGTT ha dimostrato
che anche modeste modificazioni della sensibilità insulinica
in un bambino obeso con IR determinano un’accresciuta
richiesta di secrezione, con conseguente veloce progressione dello stress e dell’esaurimento funzionale della betacellula e che questo fenomeno è strettamente in correlazione alla gravità dell’eccesso ponderale35. Più di recente l’impiego del clamp iperglicemico e dei metodi di minimal
model applicati al test da carico di glucosio (OGTT) ha permesso di evidenziare che in alcuni bambini e adolescenti in
sovrappeso, ma con NTG, è già presente un deficit della
fase di secrezione insulinica precoce. L’anormalità secretoria sembra caratterizzare i bambini di discendenza afroamericana e ispano-americana rispetto a coetanei caucasici e i soggetti con storia familiare di T2DM rispetto a quelli
123
senza familiarità36,37. Lo sviluppo di T2DM potrebbe quindi
essere conseguente a un difetto genetico della funzione
beta-cellulare la cui manifestazione è facilitata nel soggetto
giovane obeso dall’IR. In popolazioni europee il gene con il
maggiore impatto sul rischio di T2DM è stato identificato nel
gene TCF7L2, che sembra determinare una minore capacità secretoria pancreatica. È stato dimostrato che varianti
comuni del gene determinano un effetto additivo sulla possibilità di sviluppo della malattia: adulti portatori di un singolo allele avrebbero un rischio di 1,3-1,6, che raddoppia nel
soggetto con due coppie di alleli. In uno studio su 1029
bambini varianti del gene TCF7L2 sono state associate con
un aumentato rischio di ATG solo in quelli che erano obesi.
Nel 2007 cinque analisi estese all’intero genoma (genomewide scan) effettuate su ampie popolazioni di pazienti hanno
identificato, oltre alle varianti di TCF7L2, 6 nuovi geni di
suscettibilità; tra questi il gene FTO è particolarmente interessante poiché sembra essere l’unico le cui varianti predispongono al T2DM attraverso la predisposizione all’obesità
e si è osservata una sua associazione con il BMI in bambini di 7 o più anni di età.
Clinica dell’obesità e del T2DM
in età pediatrica
Uno dei maggiori problemi, quando si vogliano sviluppare
ricerche sull’obesità nel bambino/adolescente, è quello di
stabilire una definizione comune a tutti dell’eccesso ponderale. La Task Force Internazionale sull’Obesità (International
Obesity Task Force, IOTF) nel 1994 ha proposto di utilizzare
l’indice di massa corporea (body mass index, BMI) e di identificare anche in età pediatrica il sovrappeso e l’obesità con
il valore di 25 e 30 kg/m2 usato per l’adulto. La relazione tra
BMI e composizione corporea è peraltro complessa e
influenzata da diversi fattori (età, sesso, etnia e fase di sviluppo sessuale), per cui i valori di cut-off dell’adulto non sono
applicabili in pediatria. Ciò ha portato a elaborare in alcune
nazioni, tra cui l’Italia38, tabelle nazionali dei centili di BMI per
età e sesso in base alle quali per convenzione oggi si definisce obeso il bambino/adolescente con peso superiore al 95°
centile del BMI specifico per età e sesso, e in sovrappeso (o
a rischio di obesità) il soggetto con BMI compreso tra l’85°
e il 95°. Usando questa definizione, si è osservato che adolescenti di oltre 13 anni con BMI > 95° centile hanno un
rischio di obesità in età adulta superiore a 50%. In questo
gruppo di soggetti in apparente buona salute sono talora già
presenti manifestazioni cliniche peculiari, sintomi iniziali di
complicanze (Tab. 2) e anormalità di laboratorio, che fanno
classificare buona parte degli adolescenti obesi come affetti
da sindrome metabolica. Tra le manifestazioni cliniche associate all’obesità all’esame nel bambino deve essere attentamente valutata la presenza di:
– acanthosis nigricans (AN): è caratterizzata da strie cutanee simmetriche a superficie vellutata o verrucosa, di
colorito brunastro, localizzate principalmente a livello
della regione posteriore del collo e meno spesso alle pie-
124
F. Cerutti et al.
Tabella 2 Sintomi e complicanze correlate all’obesità in età pediatrica.
Sintomatologia a livello d’organo
Osteoarticolari
• Ginocchio valgo
• Malattia di Blount
• Epifisiolisi capitale femorale
Cutanee
• Dermatiti, dermatosi
• Strie cutanee
• Acanthosis nigricans
• Irsutismo
Polmonari
• Sindrome di Pickwick
• Ridotta performance C-R allo sforzo
• Alterazioni dei volumi respiratori
• Disturbi di respirazione durante il sonno
–
–
–
–
ghe ascellari e nelle zone di flessione articolare.
Istologicamente le lesioni presentano ipercheratosi con
papillomi epidermici e infiltrazione del derma da parte di
glicoaminoglicani. La sua presenza è stata osservata in
circa il 10-40% degli adolescenti con IR e obesità grave
e in misura maggiore negli affetti da T2DM;
sindrome dell’ovaio policistico (polycystic ovary syndrome, PCOS): è stata segnalata in circa il 14% delle donne
in età fertile, in un terzo delle quali è presente obesità
associata a irsutismo, acne e iperinsulinemia. Una riduzione della fase precoce di secrezione insulinica dopo stimolo con glucosio ev e ATG è stata osservata nel 40%
delle adolescenti obese con PCOS che sono pertanto
esposte a elevato rischio di sviluppo di T2DM. La somministrazione di metformina per un breve periodo di
tempo (3 mesi) in adolescenti con PCOS e ATG si è
dimostrata utile per migliorare l’iperandrogenismo e l’IR;
steatosi epatica non alcolica (non alcoholic steato-hepatitis, NASH): la sua patogenesi è stata ricondotta all’IR,
che determina aumento della lipolisi, eccessiva ossidazione di acidi grassi e formazione di radicali liberi con
conseguente danno dell’epatocita e induzione di fibrosi
mediata dalla produzione di citochine; la sua prevalenza
è stata stimata tra il 10-25%;
sindrome dell’apnea ostruttiva nel sonno: è presente nel
13% dei bambini con obesità grave, può causare riduzione della performance fisica e intellettuale, richiede talora
il ricorso a ventilazione continua a pressione positiva e/o
a intervento di tonsillectomia;
problematiche psicologiche: riduzione dell’autostima,
comportamento aggressivo o provocatorio, tendenza
alla depressione e la percezione di una ridotta qualità di
vita sono riferiti in circa il 40-60% degli adolescenti che
richiedono cure per la loro obesità. Spesso il disagio è la
conseguenza di conflitti subiti per anni all’interno dell’ambiente familiare e sociale entro il quale il ragazzo è cresciuto e alla base del frequente insuccesso dei diversi
tentativi terapeutici27,32.
Sintomatologia sistemica secondaria
ad alterata funzione beta-cellulare pancreatica
• ATG, DM di tipo 2
• Dislipidemia
• Steatoepatite non-alcolica (NASH)
• Ipertensione arteriosa
• Maturazione precoce e deficit di GH
• Policistosi ovarica, irsutismo
Problematiche psicosociali
• Isolamento sociale
• Depressione/Frustrazione
• Comportamento oppositivo/Dipendenza
• Bulimia nervosa/Binge eating
Quando esordisce nell’adolescente/bambino obeso, il T2DM
tende a interessare con frequenza maggiore il sesso femminile, a un’età superiore a 10 anni e nella fase avanzata dello
scatto puberale. È preceduto da una sintomatologia, variabile da iperglicemia moderata asintomatica sino a quadro di
vera chetoacidosi (circa il 20% dei casi); in un terzo dei
pazienti la diagnosi viene posta in occasione di esami di routine praticati in assenza di sintomi specifici. La glicemia oscilla da valori prossimi alla normalità sino a superiori a 300
mg/dl; quando associata a chetoacidosi, può richiedere diagnosi differenziale con il T1DM e con altre forme meno frequenti come il diabete mellito non insulino-dipendente a
esordio giovanile (maturity onset diabetes of the young,
MODY), soprattutto tenendo presente che il 15-20% degli
adolescenti ricoverati all’esordio di diabete sono in sovrappeso7-9. Nella figura 1 è riportato l’algoritmo diagnostico suggerito dall’American Diabetes Association (ADA)7.
La successiva evoluzione del T2DM a esordio giovanile è
gravata da elevato rischio di comparsa precoce di complicanze micro- e macroangiopatiche. In un gruppo di 7844
adulti con T2DM, i soggetti con malattia diagnosticata tra 18
e 44 anni presentavano un rischio di microalbuminuria, complicanze macrovascolari e infarto miocardico da 2 a 3 volte
superiore rispetto ai pazienti con esordio dopo i 45 anni39.
Tra gli adolescenti Pima la microalbuminuria è stata riscontrata nel 22% dei pazienti già alla diagnosi e nel 58% dopo
soli 10 anni di malattia, allorché nel 16% era presente macroproteinura, nel 15% retinopatia e nel 30% ipercolesterolemia.
In Giappone uno studio comparativo condotto su pazienti
con T1DM e T2DM a esordio giovanile ha dimostrato che i
primi sviluppano maggiormente retinopatia e i secondi nefropatia7,8. Questo dato è stato confermato in adolescenti
australiani affetti da T2DM i quali sviluppano ipertensione e
microalbuminuria precocemente anche se in buon compenso metabolico40. Nella patogenesi delle complicanze vascolari dell’obesità e del T2DM dell’adolescente, come dell’adulto, un ruolo di rilievo è stato attribuito all’infiammazione. Una
correlazione diretta tra eccesso ponderale e aumento degli
125
Obesità e diabete mellito di tipo 2 in età evolutiva
Glicemia
Familiarità per diabete
Obesità
Sì
No
C-peptide e insulinemia a digiuno
Alti
Autoanticorpi
Bassi
Autoanticorpi
Sì
T2DM
T1DM
immunomediato
No
No
Sì
C-peptide e insulinemia a digiuno
Sì
Bassi
T1DM idiopatico o MODY
Alti
T2DM
T1DM
immunomediato
Figura 1 Algoritmo diagnostico per T2DM.
indici di stress ossidativo e dei fattori proinfiammatori (IL-6,
proteina C reattiva e fibrinogeno) è stata osservata anche in
adolescenti obesi: queste anomalie sono parse peraltro
reversibili dopo un programma mirato alla modificazione
dello stile di vita41.
Screening e test diagnostici per T2DM
in età pediatrica
La diffusione del T2DM nella popolazione pediatrica ha aperto la discussione sulla necessità di attuare lo screening dei
soggetti a rischio e sulle sue modalità di attuazione.
Campagne di screening estese indiscriminatamente alla
popolazione pediatrica in sovrappeso non sono ritenute giustificabili a causa del loro elevato costo economico.
L’American Diabetes Association e l’American Academy of
Pediatrics hanno proposto di attuare lo screening indirizzandolo ai soggetti con fattori di rischio per T2DM: dovrebbero
pertanto essere sottoposti a valutazione i bambini con
sovrappeso superiore all’85° centile per età e sesso (o peso
superiore al 120% del peso ideale per la statura) e che
abbiano almeno 2 altri fattori di rischio (storia familiare nei
parenti di 1° e 2° grado, appartenenza a razza o etnia con
alta prevalenza di malattia, segni di insulino-resistenza o
condizioni a essa associata come AN, PCOS, ipertensione).
In questa popolazione selezionata a partire dall’età di 10 anni
o all’inizio della pubertà è raccomandata annualmente la
determinazione di glicemia a digiuno, da ripetere in seguito
ogni 2 anni7. La scelta della glicemia a digiuno come test diagnostico, se da un lato è di costo contenuto, non consente
di individuare i soggetti negli stadi iniziali di malattia e soprattutto di valutare il loro grado di insulino-resistenza e/o di funzionalità beta-cellulare. Per lo studio di questi ultimi parametri anche nel bambino è necessario ricorrere a test più complessi. Il clamp euglicemico-iperinsulinemico è certamente il
gold standard ma il costo, la difficoltà e l’invasività della sua
esecuzione lo rendono scarsamente accettabile in pazienti di
età pediatrica. In alternativa sono stati diffusamente impiegati modelli “omeostatici” della sensibilità insulinica, basati sulla
determinazione di glicemia e insulinemia a digiuno, tra i quali
gli indici HOMA-IR (homeostatic model assessment of insulin resistance) e QUICKI (quantitative insulin sensitivity check
index27,37,42,43. L’HOMA-IR è il metodo più spesso utilizzato,
ma presenta delle limitazioni in quanto:
– a causa della notevole variabilità dei valori di insulinemia
a digiuno nelle diverse popolazioni ed età, richiede di disporre di valori specifici di normalità;
– si basa sull’assunto di una equivalenza tra sensibilità
epatica e periferica all’insulina, che è stata confutata da
diversi studi;
– fornisce una valutazione “statica” dell’insulino-resistenza
che non consente di esplorare come questa possa essere modificata e compensata dalla secrezione insulinica.
L’HOMA-IR è il parametro di prima scelta negli studi su
ampie casistiche, ma qualora si voglia esplorare anche il versante della secrezione insulinica, è preferibile ricorrere al test
da carico orale o endovenoso di glucosio43. In corso di
126
F. Cerutti et al.
OGTT, attraverso la determinazione di glicemia e insulinemia
è possibile calcolare diversi indici, quali WBISI (whole body
insulin sensitivity index), ISI (insulin sensitivity index) e OGIS
(oral glucose insulin sensitivity) che sono stati validati in paragone al clamp euglicemico-iperinsulinemico. La loro applicazione in età pediatrica ha dimostrato che indipendentemente dalla gravità dell’IR i soggetti a maggiore rischio di evoluzione verso ATG e/o T2DM sono quelli con deficitaria risposta della fase precoce della secrezione beta-cellulare37.
Terapia dell’obesità e del T2DM
in età pediatrica
L’obesità può essere interpretata come il risultato finale delle
interazioni vicendevoli tra ambiente, caratteristiche biologiche
e comportamento; solo in un limitato numero di pazienti il
sovrappeso rappresenta una vera e propria patologia congenita individuale, dovuta a difetti monogenici come nel caso
delle sindromi di Prader-Willi o di Cohen, del deficit congenito di leptina o del sistema oppioide24. Per quanto difficilmente quantificabile, l’eccesso ponderale costituisce un costo per
la società, che si protrae ben oltre l’età evolutiva. Negli USA i
costi annuali associati all’obesità a esordio pediatrico sono
più che triplicati nel periodo dal 1979-81 al 1997-99. La
spesa sociale di un bambino obeso e di quello con T2DM in
Germania è risultata rispettivamente 3 e 8 volte superiore a
quella necessaria per eventuali terapie di un coetaneo normopeso. Questi calcoli teorici sono ovviamente destinati a lievitare a dismisura nel bambino obeso diventato adulto con
complicazioni32. Se non ci sono dubbi sulla necessità di curare il sovrappeso, bisogna ammettere che le strategie terapeutiche sino a ora proposte si sono rivelate scarsamente efficaci e i risultati positivi ottenuti in alcuni protocolli di ricerca non
sono facilmente trasferibili nella pratica clinica quotidiana. Più
che su rigidi schemi dietetici, l’intervento dovrebbe essere in
primo luogo mirato a fornire le regole dell’alimentazione corretta (consumo preferenziale di alimenti salutari come la frutta e la verdura, riduzione delle porzioni e dei fuori-pasto,
sostituzione dei grassi animali con olio d’oliva, contenimento,
se non abolizione delle bevande zuccherate). La prescrizione
dietetica deve essere il punto di arrivo di un percorso di informazione del bambino, della sua famiglia e dell’ambito più
vasto costituito dalla scuola e dalla comunità dei coetanei, e
va impostata tenendo conto delle caratteristiche culturali ed
economiche della famiglia. Secondo le raccomandazioni
dell’ADA i carboidrati e i lipidi dovrebbero fornire il 60-70%
dell’apporto calorico totale con meno del 10% di derivazione
da grassi saturi e minimo apporto di grassi trans-saturi, a
questo va aggiunto un ulteriore 10% di grassi polinsaturi.
L’apporto giornaliero di colesterolo dovrebbe essere inferiore
a 300 mg. Il ricorso a diete fortemente restrittive come quelle
a risparmio proteico o chetogene ha scarse indicazioni in età
pediatrica e deve comunque essere attuato solo sotto stretta
sorveglianza medica. La supplementazione di un qualsivoglia
regime dietetico con vitamine, minerali o antiossidanti non è
basata su evidenze cliniche44.
Oltre che sull’educazione alimentare, la terapia dell’obesità
giovanile si fonda sulla correzione della sedentarietà: qualsiasi forma di aumento della spesa energetica è benefica, sempre che l’esercizio fisico sia appropriato e ben accettato dal
bambino. Si è calcolato che la riduzione di un’ora del tempo
trascorso davanti alla televisione determina un calo di circa
167 chilocalorie nell’assunzione calorica. Il costo energetico
di attività fisiche moderate è proporzionale al peso corporeo,
ma non alla massa grassa o al metabolismo a riposo. Il bambino con grave sovrappeso ha necessità di iniziare la respirazione anaerobica a un’intensità di esercizio più bassa del
coetaneo normopeso, pertanto è consigliabile che pratichi
esercizio per un periodo più lungo a un livello di intensità
minore32. L’utilità di programmi di esercizio fisico strenuo in
soggetti in età evolutiva non è ancora stata dimostrata: in un
gruppo di adolescenti sottoposti a esercizio di resistenza
(con sessioni di 20 minuti tre giorni alla settimana per 3 mesi)
si è ottenuta una riduzione del grasso viscerale con solo un
modesto non significativo miglioramento dell’insulinemia e
della tolleranza glicemica45. Le modificazioni dello stile di vita,
i cui benefici effetti sul piano metabolico cominciano a rendersi evidenti dopo alcune settimane anche dopo un calo
ponderale anche di modesta entità (intorno a 4 kg) richiedono il coinvolgimento di tutto il nucleo familiare e un’attenta
considerazione delle eventuali problematiche emozionali del
bambino. I bambini/adolescenti che maggiormente necessitano di supporto solo quelli che, pur riconoscendo la propria
obesità come un problema, hanno difficoltà nel contenere il
bisogno compulsivo di alimentarsi o che hanno disturbi del
controllo neuroendocrino dell’appetito. Le conoscenze sulla
regolazione dell’appetito stanno crescendo molto rapidamente: oggi sappiamo che la spinta all’alimentazione è
mediata dal neuropeptide Y, dalla GHrelina, dall’oressina,
mentre le melanocortine, l’ormone stimolante la alfa-melanocortina, la colecistochinina, il GLP-1 e il peptide YY3-36
sono coinvolti nella sazietà. Una ridotta soppressione del
livello di GHrelina e un aumento di PYY dopo pasto è stata
osservata in adolescenti di origine afro-americana suggerendo che anormalità geneticamente determinate della regolazione della fame/sazietà predispongano allo sviluppo di obesità. Nell’adulto obeso l’impiego di analoghi di GLP-1 (exenatide) e/o di inibitori della lipasi gastrointestinale (orlistat)
sono utilizzati con risultati promettenti, ma la loro prescrizione negli adolescenti, al di fuori di sperimentazioni cliniche
controllate, è molto discussa. Attualmente non esistono linee
guida specifiche per la selezione dei pazienti pediatrici obesi
da sottoporre a terapia farmacologica. La decisione in tale
senso dovrebbe essere presa dopo una scrupolosa valutazione della storia familiare, della situazione metabolica e psicosociale, delle eventuali risposte a precedenti interventi di
modificazione dello stile di vita32.
La comparsa di T2DM nell’adolescente impone un notevole
impegno per l’equipe curante che deve adottare programmi
strutturati di educazione terapeutica, valutare attentamente la
presenza di situazioni disfunzionali nella famiglia, definire la
strategia di automonitoraggio glicemico. La dieta, l’esercizio
fisico e il controllo del peso costituiscono i capisaldi della cura
e, se adeguatamente attuati sino dalla diagnosi, possono
Obesità e diabete mellito di tipo 2 in età evolutiva
migliorare non solo la glicemia, ma anche altri fattori di rischio
cardiovascolare come l’ipertensione arteriosa e la dislipidemia. Esiste un sostanziale accordo, per cui la terapia del
T2DM in età pediatrica deve essere impostata secondo un
algoritmo dettato dalla situazione clinica del paziente7-9,46,47.
Nell’adolescente in buone condizioni generali nel quale la
diagnosi avvenga in occasione di visita occasionale o di
screening mirato, il primo provvedimento da attuare per un
periodo di circa 2-3 mesi è un programma di modificazione
dello stile di vita che, se efficace, va mantenuto nel tempo
con controlli trimestrali del peso e del compenso metabolico.
Il successo di questo intervento è limitato a non più dell’810% dei pazienti: molti adolescenti hanno difficoltà a modificare lo stile di vita o a mantenere nel tempo l’adesione alle
indicazioni terapeutiche.
In caso di insuccesso o nell’adolescente con sintomatologia
clinica modesta e situazione metabolica non gravemente
scompensata (emoglobina glicosilata, HbA1c < 7,5%) è consigliabile ricorrere a terapia farmacologica. Attualmente l’unico farmaco approvato per l’uso in età pediatrica dalla Food
and Drug Administration (FDA) americana e dall’European
Medicine Agency (EMEA) è la metformina (Mtf), in grado di
migliorare la glicemia e i valori di HbA1c, LDL colesterolemia
e trigliceridemia senza indurre rischio di ipoglicemia e
aumento di peso. Uno studio randomizzato in doppio cieco
della durata di 16 settimane ha dimostrato la sua efficacia e
sicurezza in pazienti di età compresa tra 10 e 16 anni: il
miglioramento della glicemia è stato osservato a partire dopo
2 settimane di terapia, iniziata alla dose di 500 mg/die e salita gradualmente sino a un massimo di 2 g/die. A causa del
suo effetto sull’insulino-resistenza, la Mtf è stata impiegata
anche in adolescenti non diabetiche con PCOS48. Nel 25%
dei pazienti trattati con Mtf sono stati segnalati effetti collaterali a livello gastrointestinale (diarrea e crampi addominali),
peraltro di modesta entità e a graduale risoluzione. Studi a
lungo termine sono comunque necessari: in adolescenti
indiano-canadesi, infatti, la terapia con Mtf condotta per un
anno ha determinato un miglioramento solo modesto
dell’HbA1c e del peso corporeo49. Se la monoterapia con Mtf
si dimostra inefficace dopo un periodo di 3-6 mesi, si può
considerare l’aggiunta di un altro ipoglicemizzante orale del
tipo sulfonilurea, meglitinide o tiazolidendioni, tenendo peraltro presente che non sono stati ancora pubblicati studi sulla
terapia combinata negli adolescenti. L’acarbose, un inibitore
dell’alfa-glucosidasi, infine, è poco utilizzato nel bambino e
adolescente anche in considerazione del fatto che determina sintomatologia gastrointestinale fastidiosa46,47.
In caso di insuccesso dei precedenti approcci terapeutici e
nell’adolescente con sintomatologia clinica evidente (disidratazione, chetosi, acidosi, glicemia > 300 mg% e HbA1c
> 7,5%) è obbligatorio l’impiego di insulina. A causa dell’insulino-resistenza tipica del T2DM possono essere necessarie dosi relativamente elevate di insulina (> 1 U/kg di peso);
l’associazione di insulina regolare o di analoghi ad azione
rapida prima dei pasti e insulina o analoghi ad azione lenta
costituisce lo schema terapeutico più efficace, pur comportando un aumento di peso e di rischio di ipoglicemia. Nel
paziente di nuova diagnosi, superato lo scompenso iniziale,
127
all’insulina va associata la somministrazione di Mtf, che
diventa l’unico farmaco quando con il miglioramento della
glicemia si può sospendere la terapia iniettiva.
Terapia delle complicanze
e delle patologie associate a T2DM
in età pediatrica
L’elevato rischio di sviluppare precocemente la malattia cardiovascolare impone che l’adolescente con T2DM sia sottoposto
a screening annuale del fondo oculare e della microalbuminuria, oltre che a controllo ed eventuale trattamento dei valori della
pressione arteriosa e del profilo lipidico. Il mantenimento di un
adeguato compenso glicemico è ovviamente il principale
mezzo per ridurre il rischio di progressione della malattia e a
esso vanno aggiunti ulteriori interventi solo quando necessari.
La prevalenza di diverse forme di dislipidemia è notevolmente elevata in bambini e adolescenti obesi, soprattutto qualora sia presente anche T2DM47. Secondo le linee guida
dell’ADA per la terapia della dislipidemia nel bambino sono
da considerare ottimali valori di LDL-colesterolo < 100 mg/dl
(= 2,6 mmol/L), HDL-colesterolo > 35 mg/dl (= 0,9 mmol/L)
e trigliceridi < 150 mg/dl (= 1,7 mmol/L). In presenza di valori anormali, si raccomanda di impostare una rigorosa osservanza della dieta e di mettere in atto ogni provvedimento in
grado di migliorare la situazione metabolica. Se dopo 6 mesi
non si ottengono risultati e/o il tasso di LDL permane > 160
mg/dl (= 4,1 mmol/L), si consiglia l’utilizzo di resine. Nei soggetti che dopo 6 mesi presentano valori di LDL compresi tra
130-159 mg/dl (= 3,4-4,1 mmol/L) il ricorso a farmaci è indicato solo se presenti ulteriori fattori di rischio cardiovascolare50. L’American Academy of Pediatrics nel 2008 ha proposto di abbassare da 10 a 8 anni l’età nella quale è possibile
iniziare la terapia farmacologica e di includere le statine tra i
farmaci potenzialmente di prima scelta nel trattamento della
dislipidemia51. Questa presa di posizione ha ricevuto diverse
critiche da molti esperti e pertanto l’impiego di statine in età
pediatrica necessita di ulteriori verifiche52.
Il riscontro di ipertensione (definita in soggetti di età pediatrica da valori sistolici e diastolici superiori al 95° centile per
età, sesso e statura in 3 misurazioni) non responsiva a modificazione dello stile di vita e miglioramento del compenso glicemico, impone come prima scelta la somministrazione di
ACE-inibitori; gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II
sono farmaci di seconda intenzione, ma la loro efficacia e
sicurezza in età pediatrica non è ben definita.
Sebbene infine nell’adolescente con T2DM siano stati riportati segni di ipercoagulabilità, l’ADA suggerisce di non utilizzare l’impiego di aspirina al di sotto dei 20 anni3,7,8.
Conclusioni
Sino ad alcuni anni fa, il T2DM era considerato una patologia esclusiva dell’adulto, ma la diffusione epidemica dell’obe-
128
F. Cerutti et al.
sità ne ha determinato la precoce comparsa in età pediatrica. Inizialmente osservato in giovani appartenenti a minoranze etniche, il T2DM sta cominciando a essere diagnosticato
nella popolazione europea in un numero limitato di adolescenti obesi che potrebbero rappresentare la punta di un
iceberg la cui dimensione apparirà evidente in un prossimo
futuro. In effetti numerosi studi hanno evidenziato che una
percentuale non trascurabile di bambini in sovrappeso manifesta alterata tolleranza glicidica che, se non corretta, può
evolvere verso l’iperglicemia. L’insulino-resistenza e, secondo recenti segnalazioni, il difetto di secrezione beta-cellulare
sono i fattori che correlano l’obesità al T2DM e nella loro
genesi intervengono fattori genetici e ambientali. Soprattutto
gli adolescenti con obesità grave a inizio nei primi anni di vita
e con familiarità per diabete sono a più elevato rischio di
veloce progressione da ATG a iperglicemia. Un’ulteriore conseguenza dell’eccessivo aumento di peso nella popolazione
pediatrica è la crescente diffusione di componenti della SM
che non solo peggiorano il rischio di T2DM, ma sono anche
un segno premonitore di possibile progressione verso la
malattia cardiovascolare. L’utilizzo dei criteri di classificazione della SM in età pediatrica, messa a punto dall’IDF nel
2007, può fornire l’opportunità di valutare la sua diffusione e
di elaborare strategie di prevenzione.
Se esistono chiare dimostrazioni che modificando lo stile di
vita e ricorrendo a terapia farmacologica si può prevenire il
diabete nell’adulto, l’intervento in età pediatrica deve essere
indirizzato a una sua prevenzione primaria attraverso il contenimento della diffusione del sovrappeso/obesità. La promozione dell’allattamento al seno, che riduce l’eccessivo
introito calorico e che migliora la sensibilità insulinica a causa
del suo elevato contenuto di grassi polinsaturi, è il primo
passo da adottare a questo proposito. Studi condotti in
popolazioni ad alto rischio hanno infatti evidenziato una
ridotta prevalenza di T2DM in bambini allattati al seno53. Il
latte materno inoltre sembra in grado di ridurre il rapporto
peso/statura, lo spessore delle pliche cutanee e il valore
medio di glicemia sino all’età di 2 anni32. Nelle età successive la prevenzione dell’obesità si fonda su una serie di interventi che vedono coinvolti la famiglia, gli operatori sanitari, la
scuola e i responsabili della sanità.
Al medico di famiglia spetta il compito di valutare periodicamente lo sviluppo staturo-ponderale del bambino e di
individuare, tra coloro che iniziano a presentare una significativa deviazione dei centili di normalità, i soggetti che per
caratteristiche familiari e personali sono a maggior rischio
di successiva evoluzione peggiorativa. Con i genitori del
bambino occorre a questo punto concordare una serie di
obiettivi realistici, che consentano di migliorare lo stile di
vita. Il coinvolgimento della famiglia è essenziale per capire quali sono le motivazioni alla base dell’eccesso ponderale, qual è la valutazione che ogni componente del nucleo
dà del sovrappeso, qual è la disponibilità al cambiamento
dello stile di vita. Come dimostrato da alcune evidenze, il
ruolo della scuola è di non minore importanza. Campagne
mirate a favorire l’educazione nutrizionale e l’attività fisica
in allievi delle scuole medie e superiori hanno determinato
una riduzione della prevalenza dell’obesità (da 16,6 a
14,6%) nella fascia di età 11-12 anni e dal 15,5 al 13,1%
in quella 15-16 anni54. Accanto a interventi individuali e di
comunità sono comunque necessari anche indirizzi legislativi, rivolti a migliorare l’educazione alimentare, incentivare
l’esercizio fisico, ridurre la diffusione di prodotti e di “mode”
non salutari e promuovere l’individuazione dei bambini
obesi a rischio di sviluppo di T2DM mediante screening
selettivo.
Una volta che il T2DM sia stato diagnosticato nel soggetto
giovane, è compito dell’equipe curante mettere in atto tutti
gli interventi indispensabili per motivare il paziente e la sua
famiglia a modificare il proprio stile di vita e, in caso di insuccesso, aderire alle altre possibili terapie, attualmente limitate
alla metformina e all’insulina che trova la sua principale indicazione nello scompenso metabolico all’esordio.
In considerazione del presumibile aumento di diffusione del
T2DM nella popolazione pediatrica nei prossimi anni, l’IDF,
nel Workshop 2003, ha sottolineato la necessità di:
– migliorare la definizione dell’entità della malattia e della
sua eziopatogenesi;
– standardizzare i criteri di classificazione e i metodi di diagnosi, determinando in particolare il ruolo dell’OGTT nello
studio di pazienti asintomatici;
– valutare il costo e l’impatto emozionale dell’eventuale
screening;
– studiare la sicurezza e l’efficacia degli ipoglicemizzanti
orali nel bambino e adolescente con T2DM;
– determinare attraverso studi multicentrici controllati il
ruolo della terapia insulinica;
– sviluppare strategie innovative di intervento per il bambino e la sua famiglia, che garantiscano un persistente
miglioramento dello stile di vita e siano in grado di prevenire la diffusione dell’obesità nella popolazione7.
Conflitto di interessi
Nessuno.
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