OTTENERE POLLINE RICERCATO
CON INNOVAZIONE MECCANICA EVOLUTA
Mis. 124 asse IV LEADER del PSR della Regione Toscana
Bruno Pasini
TESTI A CURA DI:
Il Polline
C’è un filo conduttore, un denominatore comune, che più di ogni altra cosa
spiega, evidenzia e perpetua, il legame indissolubile che esiste tra l’ape, l’uomo e
l’ambiente. Questo simbolico “messaggio di vita” è rappresentato dal Polline. Nella
tetrade dei prodotti che dalle api possiamo “acquistare”, con lo scopo di introdurre
elementi naturali e vitali nella nostra alimentazione, il “polline” rappresenta, in
ordine di popolarità, il terzo posto di una classifica immaginaria, che vede senz’altro in testa, il miele, il polline e la propoli. Naturalmente si tratta solo di una
rappresentazione simbolica e quest’ordine non ha alcuna relazione con la bontà e
l’efficacia che ciascuno di questi prodotti delle api ha in realtà. Parlare di polline
significa dover fare i conti con un elemento che pervade diffusamente la nostra atmosfera, l’aria che respiriamo, lo spazio che occupiamo, l’ambiente che viviamo...si
tratta, infatti, di particelle microscopiche e granulari, che trasportano il materiale
genetico maschile dei fiori durante il processo riproduttivo delle piante...un invisibile “disco volante”, mezzo di trasporto di un gigantesco laboratorio di ingegneria
botanica miniaturizzato.
LE API E IL POLLINE
Il polline costituisce un elemento indispensabile nell’alimentazione delle
api, rappresenta l’unico apporto proteico utilizzato nell’alveare, infatti i principi
attivi elementari di base della nutrizione delle api sono esattamente gli stessi che
per altri esseri viventi: glucidi, lipidi, vitamine, acqua, elementi minerali. È un
po’ come dire che il polline è la carne delle api. In un alveare l’ape regina depone
in un anno dalle 200 mila alle 300 mila uova ed una larva consuma circa 1/10 di
grammo di polline nel corso del suo sviluppo; il solo consumo delle larve raggiunge
i 20/30 Kg di polline. Sommando a questo valore il consumo delle api adulte si
raggiungono rapidamente valori che vanno dai 50 ai 70 Kg, il consumo medio di
polline, per una buona famiglia di api, nell’arco di un anno. Così come il nettare,
anche il polline viene raccolto dalle api in quantità maggiori al reale fabbisogno,
tali da permettere all’uomo di poterne raccogliere una parte senza arrecare nessuno squilibrio alimentare alla famiglia.
LA GENESI DEL POLLINE
Quando un’ape bottinatrice si posa sull’attraente e profumata corolla del
fiore, il suo corpo viene di colpo cosparso da una moltitudine di questi granuli
liberati dalle antere; il corpo dell’ape, appositamente predisposto per la bisogna, è
come se si trasformasse in una spazzola miniaturizzata. Praticamente tutte le parti
dei suoi diversi organi, occhi compresi, sono ricoperte di sottilissimi peli, ai quali i
granelli di polline restano intrappolati. Durante il volo da un fiore all’altro, senza
grandi perdite di tempo, l’ape si ripulisce convogliando tutto il polline di cui si è cosparsa verso l’addome, e precisamente, all’altezza del terzo paio posteriore di zampe. Qui, dopo aver umidificato ed impastato il polline con un po’ di nettare, inizia
ad elaborare due pallottoline di forma sferica... questi granuli verranno agganciati
da due appositi uncini, i quali hanno il compito di assicurare il carico durante il
volo di ritorno all’alveare. Ad ogni volo di raccolta l’ape trasporta 14/20 milligrammi di polline e per ogni carico, l’ape deve visitare almeno un centinaio di fiori. La
stessa ape, in un giorno, può fare fino a 20 viaggi, impiegando per una raccolta dai
5 ai 15 minuti... il raggio di raccolta può raggiungere distanze di chilometri.
IL POLLINE E L’UOMO
Apicoltori tedeschi ed americani, all’inizio del XX°secolo, ebbero per primi
l’idea di raccogliere una parte di quel polline che veniva regolarmente bottinato
dalle api. Fin dall’inizio furono condotti vari esperimenti per individuare il sistema
migliore e più pratico per raccogliere questo prodotto delle api; questa ricerca non
si è mai arrestata. Altra ricerca riguarda la conservazione del prodotto in maniera
ottimale... qui è necessario che l’apicoltore intervenga regolarmente e, quando possibile, con frequenza giornaliera. Il polline fresco è un prodotto molto delicato, spiccatamente igroscopico, facilmente attaccabile da muffe e parassiti. Appena raccolto la
sua umidità è elevata, con un contenuto d’acqua superiore al 15/20%, fattore questo
che, se non controllato ed eliminato, causerà una cattiva conservazione del prodotto. Lieviti ed enzimi sono presenti anch’essi in grandi quantità nel polline e possono
trovare in esso condizioni ideali di temperatura ed umidità per lo sviluppo.
COME SI PREPARA IL POLLINE
PER LA VENDITA
In natura, tutte le proteine, sono rapidamente attaccate e distrutte da microrganismi, batteri, ecc. Il polline non sfugge a questo fenomeno e bisogna agire
rapidamente, per assicurare la buona conservazione. Tra i vari trattamenti possibili, quello più utilizzato, è rappresentato dalla essiccazione, sia al sole che con
attrezzature essiccatrici, sufficienti ad inibire lo sviluppo delle muffe e dei batteri,
ma altresì, danneggiando molto il prodotto... vitamine, proteine, aminoacidi ecc.
subiscono danni irreversibili. Attualmente, prima in Francia e poi in Italia, si inizia a sfruttare la congelazione immediata dopo la raccolta, una successiva de-umidificazione a freddo, ad una successiva pulizia a vista per togliere eventuali corpi
estranei, in esso presenti.
POLLINE IN VETRINA
L’ultima fase della lavorazione serve per preparare il prodotto alla vendita
al minuto; in Italia sono diverse le forme di vendita: la più diffusa e forse la più
corretta, è quella in vasetti di vetro, con 100 e 200 grammi di prodotto. Alcune
erboristerie, o grandi ditte distributrici di prodotti naturali, preferiscono confezionarli in sacchetti di carta o polietilene... in alcuni casi viene venduto sfuso.
MERCATO
Gli Apicoltori Italiani, attualmente considerano molto marginale questo
tipo di produzione. La produzione Italiana copre solo il 10/12% del consumo nazionale. Tra il 2011 e 2012 alcune aziende Grossetane hanno iniziato questa produzione con risultati incoraggianti, sia produttivi che qualitativi.
STUDI ATTUALI
SULLA COMPOSIZIONEE SUL VALORE
NUTRITIVO DEL POLLINE
Partendo dalle analisi effettuate per la caratterizzazione Biologica e Biochimica del polline, sempre più specialisti nel campo della nutrizione, sia dietetica che terapeutica, hanno incentrato i loro studi sul polline raccolto dalle api, in
quanto risorsa naturale preziosa, attribuendogli il ruolo complesso di “Nutrimento
Funzionale”. Contribuisce in modo essenziale all’alimentazione tramite elementi
nutritivi di base che dimostrano il loro valore in svariate situazioni. Un caso particolare è rappresentato dalle denutrizioni proteiche ed in generale da tutti i tipi
di carenze nutrizionali nelle quali è necessario utilizzare prodotti che hanno una
concentrazione di elementi nutritivi superiori a quelli del miele. Si sa, peraltro, che
il polline contiene tutti gli aminoacidi essenziali che fanno si che questo prodotto sia
iscritto nella lista delle proteine vegetali del secondo ordine, raccomandano questo
prodotto naturale come supplemento nutritivo per carenze proteiche di diverse
eziologie. Il Polline è raccomandato in queste affezioni, anche per la sua ottima
bio-disponibilità nell’assorbimento intestinale, perché si sa che le deficienze proteiche sono accompagnate anche da deficienze enzimatiche intestinali che rendono
difficilmente utilizzabili le proteine complesse degli alimenti abituali. Le vitamine
presenti nel polline, con una concentrazione che giustifica l’utilizzo di questo prodotto come supplemento nutritivo, giocano non solo il ruolo di co-fattori enzimatici, ma anche molti altri ruoli essenziali nel corretto funzionamento dell’organismo.
Il contenuto in elementi minerali è un altro argomento a favore dell’uso del polline
raccolto dalle api in diverse formule di supplementi nutritivi o come alimento nelle
diete vegetariane. Il valore calorico medio per 100 g di polline è approssimativamente di 246 kcal. (Dott.ssa Cristina Matecuscu Biologa specializzata in Biochimica).
CONCLUSIONI
La produzione del polline è da considerarsi interessante economicamente, grazie ai bassi investimenti, al buon prezzo del polline, anche se venduto all’ingrosso, all’ambiente della Maremma particolarmente favorevole e
ad una richiesta del mercato italiano in espansione. Attualmente in Italia
non esiste una selezione genetica sull’Ape Mellifica Ligustica per migliorane
le capacità produttive. Indispensabile è migliorare i sistemi di raccolta, conservazione, de-umidificazione, pulizia e confezionamento del prodotto. La
ciliegina finale sarebbe una D.O.P. (Polline della Maremma Toscana).
Le Api... Il Nettare...
Il Miele...
DA TEMPI IMMEMORI...
L’ origine delle api si perde nella notte dei tempi... Fa molto caldo nella prateria … il silenzio è rotto dal richiamo di strani animali, intenti a pascolare. Sono di
dimensioni e fogge molto diverse tra loro, alcuni simili all’attuale rinoceronte, altri
all’odierno cavallo (anche se più piccoli), altri ancora mastodontici... sembrano tranquilli. La comparsa sulla terra dei grandi predatori, felidi e canidi, è infatti ancora
molto lontana (qualche decina di milioni di anni). La vegetazione si sta infoltendo,
le angiosperme (piante con fiori apparenti) si stanno diffondendo sempre più. Un
insetto ronzante sta passando in rassegna una serie di fiorellini, ricavandone nettare
e polline. Vola, infine, sul ramo di un albero e rimane invischiato in una sostanza
resinosa, emessa dalla pianta stessa. Per quanto si dibatta, non riesce a liberarsi.
Ben presto la resina l’avvolge completamente... Siamo nell’EOCENE, i primi suoni
gutturali, appartenenti ad un essere”simil umano”, non si faranno sentire che cinquanta milioni di anni dopo. Il malcapitato insetto, finito invischiato nella resina, è
un Imenottero Apoideo, catalogato nel 1960, come Electrapis Apoidea Manning. È il
più antico fossile d’ape conosciuto, trovato nell’interno di un’ambra, nel Mar Baltico.
IL NETTARE
Il nettare è una soluzione acquosa, contenente zuccheri in quantità variabile, dal 15% al 50% (in alcuni casi estremi la percentuale può scendere al 5% o salire
al 80%), secreta da alcune ghiandole chiamate nettari, presenti in fondo alla corolla
dei fiori oppure alla base delle foglie di certe specie. Il nettare può quindi essere di origine florale o fogliare ma, mentre la secrezione nettarifera florale è relativamente stabile, quella extra-florale è più imprevedibile e meno importante quantitativamente.
Non tutti i nettari hanno la stessa composizione di saccarosio, glucosio e fruttosio; il
livello di secrezione nettarifera e la concentrazione degli zuccheri per una stessa spe-
cie vegetale dipendono dalle caratteristiche pedologiche, dal clima, dall’umidità,dalle
precipitazioni, dall’ambiente e dall’altitudine. Le api bottinano di preferenza le piante
con nettare più abbondante. L’ ape, con la sua ligula che assomiglia ad una proboscide, aspira il nettare e lo pompa nel sacco melario dove, agli enzimi già presenti nel
nettare, aggiunge degli enzimi presenti nella sua saliva, dando così inizio al processo
di inversione degli zuccheri ed alla loro concentrazione per osmosi, diventando così...
Miele. L’ ape può trasportare nel suo sacco melario circa 50/60 mg. di nettare e per
raccogliere tale quantità impiega in media 15/20 minuti visitando alcune centinaia
di fiori. L’ ape si sposta fino a 2/3 Km. dall’ alveare per cercare le fonti di nettare ma,
di preferenza, rimane entro 1 Km.
Il primo documento che testimonia l’interesse dell’uomo primitivo per il miele, è costituito da un graffito dell’era Paleolitica (età della Pietra, 20.000 anni a.C.)
scoperto nel 1921 in Spagna, presso Valençia. Il graffito, denominato Caverna del
Ragno raffigura un uomo munito di canestro che, per mezzo di corde di liana, si è
issato fino all’altezza di un’apertura di una roccia dove, presumibilmente, è insediata
una famiglia di api. L’uomo primitivo si comportava come un orso, saccheggiava i
nidi che trovava nei tronchi degli alberi e negli anfratti delle rocce. Nel neolitico l’uomo divenne sedentario, agricoltore, allevatore ed “addomesticò” le api, oltre ad altri
animali, costruendo loro un riparo...le prime arnie le costruì con giunco, vimini,
corteccia degli alberi, paglia e argilla. Si sono trovate in Mesopotamia tavolette di
cera d’api, recanti iscrizioni cuneiformi. Gli Egiziani usavano il miele, mescolato alla
Propoli, per imbalsamare i loro morti ed impedirne così la putrefazione. Conoscevano già l’apicoltura transumante, trasportavano infatti i loro alveari su imbarcazioni
lungo il corso del Nilo per approfittare delle fioriture successive alle diverse latitudini.
L’apicoltura raggiunge la massima diffusione all’apice della civiltà Greca. I contadini
dell’Attica possedevano ciascuno, all’epoca di Pericle, una o più arnie, perché il miele
serviva soprattutto per l’alimentazione dell’infanzia.
La mitologia dice che Zeus era stato allevato grazie al latte della capra
Amaltea e al miele delle api del Monte Ida. In epoca Romana il miele era ingrediente
comune nella preparazione dei dolci, inoltre le donne se ne servivano per preparare
prodotti di bellezza; l’Idromiele era di moda. Virgilio parla spesso delle api e del miele
con accenti Lirici. Nel Medioevo l’ape bionda è abitatrice consueta di tutte le campagne. La Monarchia con Childerico I°, nel V°secolo, adottò l’ape come simbolo Araldico. Per molti millenni e fino al XVII secolo, il miele rappresentò la principale sorgente
zuccherina per l’uomo. Alessandro Magno, fu colui che portò il primo zucchero in
Europa. Famosa è la frase”È una canna che da il miele, senza che intervengano le
api”. Per secoli lo zucchero di canna, dal Golfo del Bengala, per via carovaniera, arrivava fino alle rive del Mar Nero, dove veniva imbarcato sulle navi della Serenissima
e raggiungeva l’Europa; per questo era un prodotto di lusso, sconosciuto alla popolazione.
Nel XVII secolo, ed esattamente nel 1747, in Europa fu scoperto il procedimento per estrarre lo zucchero dalla barbabietola, pianta autoctona europea, che conoscerà la massima espansione nell’epoca Napoleonica. Anche Napoleone Bonaparte
sceglierà come simbolo araldico l’ape, come simbolo di perennità e perché no... d’immortalità. Quindi, per moltissimi millenni e fino al XVII secolo, il miele rappresentò
la principale sorgente zuccherina per l’uomo ma ora, in tre secoli, il suo consumo si
è talmente ridotto da diventare statisticamente irrilevante; attualmente la produzione mondiale di zucchero è stimata in 70/80 milioni di tonnellate annue, pari ad
un consumo pro-capite di 18/20 Kg.(2/5 zucchero di barbabietola, 3/5 zucchero di
canna) mentre la produzione annua di miele è inferiore ad 1 milione di tonnellate,
corrispondente a meno di 300 g. all’ anno a persona.
Sono dei glucidi, chiamati anche Idrati di Carbonio, in base alla loro composizione (sono combinazioni di Ossigeno e Carbonio). Si distinguono due tipi di Idrati
di Carbonio:
1. Monosaccaridi - costituiti da molecole semplici, vengono chiamati zuccheri
semplici. I principali sono il Glucosio (o Destrosio) ed il Fruttosio (o Levulosio).
2. Polisaccaridi - costituiti da associazioni molecolari, chiamate anche zuccheri
composti. I principali sono il Saccarosio e l’Amido.
Solo gli zuccheri semplici (monosaccaridi) sono direttamente assimilabili da
parte dell’organismo, senza preventiva digestione, senza trasformazione alcuna. Gli
zuccheri composti (polisaccaridi), prima di venire assimilati, richiedono di essere
trasformati in zuccheri semplici dall’apparato digerente. Tale digestione avviene in
bocca (per via della Ptialina sull’Amido), nel Duodeno(sotto l’azione del succo pancreatico, per il Saccarosio) e nell’intestino. Così lo zucchero di canna e lo zucchero
di barbabietola, costituiti da Saccarosio, non sono utili all’organismo se non dopo la
loro trasformazione in monosaccaridi assimilabili. Al contrario il Miele, composto
da zuccheri semplici (Fruttosio e Glucosio), è immediatamente assorbito dall’organismo, senza alcuna digestione preventiva.
Tale proprietà del Miele è di primaria importanza. Gli zuccheri semplici
passano nel sangue assorbiti da minuscoli vasi sanguigni, che tappezzano i villi della
parete intestinale. Si raccolgono nella vena porta, che li conduce fino al fegato... nel
fegato, gli zuccheri vengono trasformati in Glicogeno, che è la loro forma polimerizzata. Gli zuccheri - allo stadio di glicogeno – sono allora disponibili per le cellule
del corpo e soprattutto per i muscoli, cui forniscono riserve energetiche. L’organismo
attinge la sua energia dall’ossidazione del glicogeno muscolare. Il Miele, è l’alimento
più consumato dagli atleti ed in particolare da ciclisti, podisti, maratoneti ecc. ecc.
MIELE = ENERGIA ISTANTANEA.
Az.Agr.Apicoltura Pasini
di SANTINA Marica Nadì
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