LA FINANZA
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Il risparmio accumulato può essere destinato al consumo
in un momento futuro oppure può essere investito.
Le forme d’investimento esistenti sono molteplici, in
questa dispensa analizzeremo quelle relative al mercato
finanziario e in particolare c’interesseremo degli
strumenti finanziari negoziati in un importante mercato
finanziario: la Borsa.
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Il mercato finanziario è il luogo in cui si contrattano, si
formano i prezzi e si scambiano gli strumenti finanziari.
I soggetti operanti sui mercati finanziari si possono
distinguere in due categorie:
emittenti
sottoscrittori
Sono emittenti le imprese e lo Stato; sono invece
sottoscrittori, ad esempio, le famiglie.
La concessione del prestito o l’acquisto di quote di
capitale di rischio sono corredate dall’emissione di
speciali documenti (azioni, obbligazioni, ecc.) nei quali è
incorporato il diritto di credito o di proprietà delle quote.
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All’interno del mercato finanziario si distingue, secondo
la durata degli strumenti finanziari negoziati, tra:
mercati monetari
mercati dei capitali
Nei mercati monetari si scambiano strumenti finanziari a
breve termine con durata entro i dodici mesi, quali ad
esempio i buoni ordinari del tesoro (BOT).
Nei mercati dei capitali si scambiano, invece, strumenti a
medio/lungo termine con vita superiore a 12 mesi.
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Uno dei comparti più significativi del mercato finanziario
è il mercato mobiliare.
In esso sono scambiati strumenti finanziari, cioè titoli
emessi da enti pubblici e società private, rappresentativi
di crediti in denaro (titoli di Stato, obbligazioni, ecc.) o di
quote di capitale investito nelle imprese (azioni).
La più conosciuta ed importante forma di mercato
mobiliare è la Borsa.
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Le origini della Borsa risalgono alla fine del XIV secolo
(basso medioevo); in tale periodo, caratterizzato da un
intenso sviluppo degli scambi e dei rapporti commerciali,
i mercanti si riunivano in apposite fiere, tenute nelle
principali città commerciali europee, dove contrattavano,
insieme alle merci, monete e fedi di credito e dove
compensavano le rispettive posizioni di debito e credito.
Nella città di Bruges in Belgio, uno dei centri commerciali
più importanti dell’epoca, presso l’abitazione della
famiglia Van der Burse (il cui stemma era costituito da tre
borse), erano soliti incontrarsi per regolare i pagamenti
tutti gli operatori che avevano concluso scambi nelle
fiere tenutesi nelle vicinanze.
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Proprio dal nome di questa famiglia si ritiene derivi il
termine “borsa” utilizzato per indicare il luogo in cui
determinate
categorie
di
soggetti
economici
(imprenditori, banchieri, risparmiatori ecc.) contrattano
tra loro per acquistare e vendere merci, strumenti
finanziari e valute.
Proprio nei Paesi Bassi le fiere divennero permanenti e a
Bruges nel 1531 nacque la prima Borsa.
In Italia la prima Borsa nacque a Milano nel 1808.
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Fino a qualche tempo fa le contrattazioni in Borsa
avvenivano ad opera di professionisti autorizzati: gli
agenti di cambio.
Questi operatori comunicavano nelle borse le loro
offerte di acquisto o vendita per conto della clientela,
con segni convenzionali (in pratica gesticolando) e ad
alta voce in un apposito recinto detto appunto recinto
alle grida.
Oggi le cose sono molto differenti. L’agente di
cambio è stato gradualmente sostituito da altri
intermediari finanziari e le negoziazioni si basano su un
sistema telematico nazionale.
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I soggetti che intendono negoziare in Borsa non possono
farlo direttamente, ma devono rivolgersi ad intermediari
autorizzati per conto di terzi alle contrattazioni in tale
mercato (Banche, Poste Italiane S.p.A. ecc.).
Tra gli strumenti finanziari ammessi ad essere negoziati
nella Borsa vi sono:
le Azioni
le Obbligazioni
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Per azione si intende l’unità minima in cui si suddivide il
capitale di una società.
I titoli azionari sono quote rappresentative della
partecipazione al capitale di una società per azioni
(S.p.A.) o di una società in accomandita per azioni
(S.a.p.A.), che conferiscono al detentore la qualifica di
socio.
Come tale quest’ultimo si assume il rischio (rischio
d’impresa) del risultato economico della società e quindi
del rendimento della somma conferita.
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Le azioni sono quindi definite titoli a reddito variabile poiché
il loro rendimento dipende dagli utili che la società produce e
dalla parte di utili che la società stessa assegna agli azionisti
(dividendo).
Per i titoli azionari non si può parlare di rendimenti ex ante in
quanto non esiste la certezza del ritorno del capitale investito
e dei dividendi distribuiti.
La formula per calcolare il rendimento di un investimento
azionario (ex post) è la seguente:
R=
V finale – V iniziale 100
*
V iniziale
Se (V finale) è il valore dell’investimento alla fine del periodo e (V iniziale) è il
valore dell’investimento all’inizio del periodo, questa formula ci consente di
sapere quanto è variato percentualmente l’investimento nel periodo
considerato.
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Il rischio rappresenta la possibilità che, per qualsiasi causa, il
rendimento che ci si aspetta di conseguire non viene a verificarsi:
nel mercato esistono investimenti aventi un livello di rischio
praticamente assente, i quali riconoscono un rendimento minimo
del mercato (denominato Rf).
Ma non appena un investitore cerca di conseguire un rendimento
superiore a Rf deve necessariamente assumere un livello maggiore
di rischio.
Quanto maggiore è il rendimento che si vuole conseguire tanto
maggiore sarà anche il rischio: non è possibile sperare su ritorni
finanziari superiori agli investimenti privi di rischio qualora non si
voglia assumere anche un rischio proporzionalmente superiore.
Poiché se così non fosse tutti gli investitori a parità di rischio
sceglierebbero l’investimento finanziario con rendimento atteso
superiore!
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Il rendimento atteso di un investimento finanziario è il rendimento
che ci si attende dall’investimento stesso in un periodo futuro.
Essendo un valore atteso e non certo, il rendimento realizzato
potrà essere più elevato o più contenuto. Le modalità di
determinazione del rendimento atteso possono essere diverse: in
generale tale rendimento viene calcolato basandosi su dati storici,
ossia come media dei rendimenti passati determinatisi in un certo
arco temporale.
Ad esempio, per stimare il rendimento atteso mensile di un titolo
si potrebbe fare la media dei rendimenti mensili degli ultimi 36-60
mesi.
Chiaramente, se stimato in questo modo, il rendimento atteso è
un indicatore da “prendere con le pinze”: si ipotizza infatti che il
futuro sia uguale al passato!
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L’ indicatore più conosciuto per la determinazione ex ante della
bontà di un titolo azionario è il Price Earning P/E (prezzo - utile
P/U), cioè il rapporto tra il prezzo di un’azione e l’utile per azione.
Questo quoziente indica quante volte il titolo azionario è valutato
rispetto all’utile per azione prodotto dall’ultimo bilancio
approvato.
Un valore pari a 13-15 è ritenuto normale (il prezzo pari a 15 volte
l'utile atteso); se è superiore indica di norma un titolo
sopravvalutato (lo è certamente intorno a 27-30). Valori intorno a
8-9 sono ricercati dagli analisti, perché indicano titoli ancora
sottovalutati dal mercato, che potrebbero avere una buona
crescita.
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In settori economici più tradizionali, dove è maggiore
la concorrenza e minore la possibilità di ottenere utili di
dimensioni elevate, ci si attende che il rapporto prezzo-utili o P/U
sia basso. In settori innovativi o in settori appena usciti da una
situazione di crisi, le attese di utili futuri elevati spinge invece più
in alto il P/U considerato corretto.
In sintesi è meglio acquistare titolo con un basso P/U poiché
significa che costano poco in rapporto alla loro capacità di
produrre utile all’azionista.
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Gli intermediari di borsa (es. Banche) compiono le
operazioni per conto di altri soggetti, vale a dire gli effettivi
compratori e venditori. Questi ultimi possono essere suddivisi in
due gruppi: i cassettisti e gli speculatori.
il cassettista rappresenta il tipico investitore che acquista
titoli azionari con l’intento di mantenerli per un periodo di tempo
considerevolmente lungo, confidando nella crescita delle aziende
a cui ha dato fiducia e quindi nell’incremento del capitale
investito; per il cassettista le oscillazioni, a volte anche violente,
del mercato non sono fonte di preoccupazione in quanto è
consapevole che un investimento in titoli azionari ha bisogno di un
tempo lungo per poter offrire ottimi rendimenti. Il cassettista nella
scelta dei titoli da inserire nel suo portafoglio utilizza una tecnica
basata sull’analisi e l’interpretazione dei dati di bilancio mediante
indici rappresentativi che evidenziano la sottovalutazione o
sopravalutazione del prezzo di mercato di un’azione (es. price
earning).
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Lo speculatore invece rappresenta il tipico investitore che acquista
e vende titoli azionari con l’intento di lucrare un guadagno nel
breve o nel brevissimo periodo.
Ad esempio se un investitore speculatore confida in un rialzo
repentino del titolo “X” compra il titolo con la consapevolezza che
se la sua ipotesi sarà confermata, rivenderà il titolo subito dopo,
lucrando tra la differenza di prezzo di acquisto e quella di segno
opposto di vendita.
Un genere di speculatore è lo Scalper la cui attività speculativa è
esercitata a brevissimo termine, anche meno di un minuto, ed è
finalizzata a ottenere un profitto da variazioni anche contenute
delle quotazioni di Borsa, ma conseguenti a un notevole volume di
affari.
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Un altro importante strumento finanziario è l’obbligazione.
Le obbligazioni sono titoli di credito emessi da S.p.A, da S.a.p.A. e
da Enti Pubblici (es. lo Stato) rappresentativi di un debito che
l’Emittente assume verso terzi, i quali in qualità di creditori
vantano il diritto:
1.alla riscossione di interessi periodici annuali, semestrali o
trimestrali (cedola);
2.alla restituzione della somma investita (rimborso)
Un prestito obbligazionario rappresenta per l’Emittente una forma
di finanziamento a basso costo in quanto la Società evita in questo
modo di aumentare il capitale sociale, con emissione di nuove
azioni, mentre per il creditore cioè l’obbligazionista-risparmiatore
rappresenta un investimento a basso rischio.
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Una particolare categoria di obbligazioni è rappresentate dalle
cosiddette “obbligazioni zero coupon”.
Sono titoli obbligazionari privi di cedola emessi “sotto la pari”,
ovvero a un prezzo inferiore a quello di rimborso.
Il rendimento di tali titoli risulta essere la differenza tra il valore di
rimborso a scadenza e il valore al quale vengono acquistati
rapportata al tempo di mantenimento dei titoli.
Un esempio di titoli zero coupon è il BOT: titolo di credito a breve
termine emesso dal Governo della Repubblica Italiana al fine di
finanziare il debito pubblico, con scadenza a 3, 6 e 12 mesi.
Il taglio minimo è pari a 1.000,00 euro o multiplo di tale cifra e
l’emissione avviene tramite asta.
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A questo punto appare chiara la differenza tra azione e obbligazione.
L’azionista, acquistando i titoli della Società emittente, partecipa al
capitale di rischio della stessa, acquisisce lo status di socio e
partecipa ai risultati gestionali della Società (positivi e negativi).
Infatti nel caso in cui la Società produca utili e nel caso in cui
l’assemblea ne approvi la distribuzione, l’azionista ha il diritto a
percepire una parte di utili in relazione alla quantità di azioni
possedute, il cosiddetto dividendo. Inoltre l’azionista partecipa
sempre nel bene e nel male alla variazione del valore delle azioni da
lui possedute, non potendo contare sulla sicurezza del ritorno
dell’investimento effettuato.
L’obbligazionista invece, sottoscrivendo i titoli di debito emessi dalla
società emittente, diventa suo creditore. Questo significa che il
detentore di obbligazioni vanta nei confronti della società la
restituzione del capitale conferito (il cosiddetto rimborso) e, in più, gli
interessi maturati da tale investimento indipendentemente dai
risultati economici della società emittente.
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