Carlo Corocher – Giorgio Ornella & Associati
UNITEIS
Problematiche
relative agli
obblighi fiscali dei
Vostri associati
verso il Fisco
italiano
Carlo Corocher
28/03/2012
1 - Definizione del problema
Codesta Associazione UNITEIS mi ha sottoposto la situazione di disagio e di incertezza dei suoi
associati riguardo all’individuazione dei corretti comportamenti fiscali che loro competono
nella loro condizione di soggetti di nazionalità italiana che vivono e lavorano all’estero (in
particolar modo in Germania) per tutta, o quasi, la durata dell’anno
I casi e le situazioni personali degli associati sono senz’altro diversi e meritevoli di essere
individualmente considerati, ma in questa sede mi limiterò necessariamente a fornire
indicazioni di carattere generale valide per le situazioni più comuni che ho cercato di
riassumere nelle seguenti circostanze:
- persone fisiche di nazionalità italiana
- che vivono e lavorano in Germania per tutto l’anno o per gran parte dell’anno (comunque
sempre per più di sei mesi) conducendo gelaterie per lo più come imprenditori individuali o,
qualche volta, in qualità di soci e amministratori di società.
- sposate, con coniuge che a volte svolge in Italia attività lavorativa
- con figli che frequentano scuole italiane se in età scolare
- che hanno una casa di abitazione in Italia (in proprietà o in affitto) dove vivono il coniuge e i
figli se in età scolare (e/o i genitori) e dove si ricongiungono con la famiglia per circa tre mesi
all’anno durante i mesi invernali di sospensione dell’attività in Germania
- che hanno abitazione permanente in Germania, in proprietà o in locazione, dove si
ricongiungono con il coniuge e i figli e/o i genitori in estate (per un periodo più o meno lungo
compatibilmente con il calendario scolastico dei figli e con gli eventuali problemi di lavoro del
coniuge)
- che molto spesso, nel periodo di lavoro intenso e continuativo che va da marzo a novembre,
vengono raggiunte in Germania dal coniuge e /o dai genitori (contemporaneamente o a turno
a seconda dell’esistenza di figli in età scolare in Italia e con le esigenze di assistenza nei loro
confronti) per un aiuto in azienda
- che sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente in Germania
- che versano in Germania le imposte e i contributi previdenziali ed assistenziali e pertanto
maturano nel tempo il diritto alla pensione tedesca e godono dell’assistenza sanitaria tedesca
- che non svolgono alcuna attività in Italia
- che peraltro in Italia intrattengono rapporti di c/c bancari se non altro per i bisogni dei
familiari
- che qualche volta risultano iscritte all’Aire (anagrafe degli italiani residenti all’estero, tenuta
dai comuni italiani di precedente residenza) e cancellate dall’anagrafe comunale dei residenti
in Italia
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- che qualche volta, invece, sono rimaste iscritte alle anagrafi comunali dei residenti in Italia e
non all’Aire perché i Comuni italiani frappongono difficoltà all’iscrizione all’Aire che , in molti
piccoli comuni, determinerebbe una diminuzione sensibile dei residenti.
2 - Importanza della corretta individuazione della residenza fiscale
Sono fiscalmente residente in Italia?
Questa è la domanda cui è necessario rispondere preliminarmente.
E’ dalla risposta a questa domanda che dipendono il tipo di obblighi fiscali verso lo stato
italiano.
Per chi è fiscalmente residente in Italia gli obblighi fiscali verso lo Stato italiano sono diversi e
maggiori rispetto a quelli che fanno capo a chi non è fiscalmente residente come si vedrà qui di
seguito.
Nella consapevolezza che, in applicazione delle varie leggi nazionali, una persona può risultare
fiscalmente residente in due Stati e che, in tale caso, come vedremo più avanti, il conflitto
andrà risolto sulla base delle convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni, per
individuare gli obblighi della persona verso il fisco italiano è necessario innanzitutto stabilire se
essa abbia residenza fiscale in Italia sulla base delle leggi italiane
Se la persona ha residenza fiscale in Italia dovrà senz’altro assolvere gli obblighi fiscali “dei
residenti”, a meno che non abbia anche residenza fiscale nello stato estero sulla base della
legge fiscale straniera ed il conflitto non venga risolto in favore della residenza fiscale nello
stato estero sulla base della convenzione bilaterale, nel qual caso la persona assolverà in Italia
gli obblighi dei “non residenti” fermi gli obblighi verso lo stato estero di residenza fiscale che
peraltro esulano da questa relazione.
Obblighi in Italia della persona fiscalmente residente in Italia
Il fatto di essere fiscalmente residenti in Italia comporta:
Obbligo di dichiarazione dei redditi in Italia per i redditi ovunque prodotti
Secondo le norme fiscali italiane (art. 3 TUIR) i residenti in Italia sono assoggettati in Italia a
tassazione sul reddito complessivo formato da tutti i redditi ovunque prodotti (worlwide
principle) e quindi formato anche dai redditi prodotti all’estero. Sul reddito complessivo
vengono calcolate le imposte italiane, dal cui importo, per effetto delle convenzioni bilaterali
contro le doppie imposizioni, potranno essere detratte le imposte estere sui redditi che hanno
concorso alla determinazione del reddito complessivo fino a concorrenza della porzione di
imposte italiane sul reddito complessivo riferibili al reddito prodotto sul quale sono state
pagate a titolo definitivo le imposte estere da detrarre.
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Si osserva che non vi è quindi una doppia imposizione sui redditi prodotti all’estero, bensì il
risultato finale di una tassazione con la più elevata fra le aliquote d’imposta italiana ed estera.
Restano i problemi relativi ai tempi di effettuazione della detrazione delle imposte pagate
all’estero a titolo definitivo, tenuto conto peraltro che per i redditi d’impresa prodotti
all’estero la detrazione delle imposte estere potrà essere fatta, a determinate condizioni,
anche se non ancora pagate a titolo definitivo (art. 165 TUIR), nella stessa dichiarazione dei
redditi a cui detti redditi esteri partecipano.
E’ importante ricordare che la detrazione delle imposte pagate all’estero non spetta in caso di
omessa dichiarazione in Italia dei redditi prodotti all’estero. Ciò comporta che chi non avesse
dichiarato i redditi esteri in Italia considerandosi residente all’estero, laddove fosse accertato
quale residente in Italia su quei redditi dovrebbe pagare per intero le imposte italiane con le
relative sanzioni ed interessi anche avendo pagato su quei redditi le imposte all’estero.
Obbligo di compilazione del quadro RW
Si tratta della comunicazione all’Amministrazione finanziaria dei capitali posseduti all’estero
alla fine di ogni anno (compresi gli immobili sia produttivi di reddito che non produttivi di
reddito) nonché dei movimenti finanziari da e verso l’estero e sull’estero intervenuti nel corso
dell’anno. E’ un quadro della dichiarazione dei redditi italiana.
Obbligo di pagare l’IMU
Si tratta della nuova Imposta Municipale Unica sugli immobili, che sostituisce l’ICI, a carico di
chiunque possegga beni immobili in Italia
Obbligo di pagare la nuova patrimoniale sugli immobili posseduti all’estero
Si tratta della nuova imposta annua introdotta in Italia da calcolare nella misura dello 0,76% sul
costo di acquisto (o sul valore laddove il costo non sia conosciuto o documentabile) degli
immobili posseduti all’estero. E’ un’imposta annuale a carico dei “residenti in Italia”, di
qualsiasi nazionalità essi siano, a partire dal 31/12/2011.
Obblighi in Italia dei non residenti
Obbligo di dichiarazione dei redditi solo per i redditi prodotti in Italia
Secondo le norme fiscali italiane (art. 3 TUIR) chi non ha residenza fiscale in Italia è
assoggettato a tassazione in Italia limitatamente ai redditi prodotti in Italia, al netto di taluni
oneri e spese deducibili o detraibili.
Normalmente i redditi che un soggetto non residente produce in Italia sono redditi fondiari
(cioè derivanti da beni immobili) e, qualche volta, redditi da pensioni. I redditi d’impresa dei
soggetti non residenti prodotti in Italia sono tassabili in Italia solo se prodotti per il tramite di
una stabile organizzazione in Italia.
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Salve le ipotesi di esonero dagli obblighi di dichiarazione previsti per i vari redditi dalle norme
fiscali italiane in relazione all’eventuale modesta entità di tali redditi, i redditi prodotti in Italia
dai “non residenti” vanno dichiarati annualmente nel modello unico compilando anche il
riquadro del “Frontespizio” denominato “Residente all’estero”.
Si ricorda che un contribuente non residente, che sia proprietario di un immobile ad uso
abitativo in Italia, non può usufruire della deduzione Irpef prevista per l’abitazione principale,
in quanto questa è concessa solo se l’unità immobiliare è effettivamente adibita ad abitazione
principale ed il contribuente vi dimora abitualmente, circostanze che, come si vedrà più avanti,
non possono appartenere ai “non residenti”.
Perciò chi ritenendosi “non residente” avesse dichiarato in Italia i soli redditi prodotti in Italia
(normalmente redditi di immobili) usufruendo della deduzione, potrebbe vedersi contestare
tale deduzione o, peggio, potrebbe vedersi contestare la sua qualifica di non residente
considerato che, come si vedrà qui di seguito, il fatto di avere l’abitazione principale in Italia e
di dimorarvi abitualmente determina la residenza fiscale in Italia.
Obbligo di pagare l’IMU
E’ a carico di chiunque possegga immobili in Italia, quindi anche dei non residenti
3 - Residenza fiscale delle persone fisiche
Data l’importanza dell’individuazione del luogo di residenza fiscale, vediamo qui di seguito un
breve quadro delle regole fiscali sulla residenza fiscale in Italia e alcuni chiarimenti sul loro
significato e sulla loro interpretazione
Normativa italiana
Ai fini fiscali sono considerate residenti in Italia (art. 2, comma2 del TUIR) le persone che per la
maggior parte del periodo d’imposta (almeno 183 giorni all’anno e 184 per gli anni bisestili):
a) sono iscritte nelle anagrafi comunali della popolazione residente
b) oppure hanno il domicilio nel territorio dello stato ai sensi dell’art. 43, 1°comma
del codice civile (luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi
affari e interessi)
c) oppure hanno la residenza nel territorio dello stato ai sensi dell’art. 43, 2° comma
del codice civile (luogo in cui la persona ha la dimora abituale)
Le tre condizioni sopra richiamate sono tra loro alternative per cui sarà sufficiente che se ne
verifichi una sola affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente in Italia (cfr.
Cassazione, 7.11.2001 n 13803)
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Con riferimento al requisito di cui al precedente punto a), si osserva che, ai sensi dell’art. 2 del
TUIR, il fatto di essere iscritti nell’anagrafe di un Comune italiano significa, per ciò stesso,
essere fiscalmente residenti in Italia.
In ambito tributario (diversamente da quanto avviene in campo civilistico) le risultanze
anagrafiche sono decisive e precludono ogni ulteriore accertamento ai fini dell’individuazione
della residenza (Cassazione 6.2.98, n. 1215 e Cass. 20.4.2006, n. 9319). In altre parole
l’elemento formale dell’iscrizione è idoneo a prevalere sulla sostanza e, finché un soggetto non
viene cancellato dall’anagrafe dei residenti, per la legge fiscale italiana esso è residente in Italia
quali che siano il suo domicilio e la sua residenza civilistici.
In assenza di iscrizione all’anagrafe comunale delle persone residenti, la persona fisica è
fiscalmente residente in Italia se in Italia essa ha la propria residenza e/o il proprio domicilio
secondo le definizioni che ne dà il codice civile (residenza = luogo di dimora abituale; domicilio
= luogo dove è stabilita la sede principale degli affari e interessi).
Quindi Il fatto di avere in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta la propria residenza
in senso civilistico (dimora abituale) oppure il proprio domicilio (sede principale degli affari e
interessi) configura elemento idoneo a determinare la residenza fiscale in Italia anche in
assenza di iscrizione all’anagrafe delle persone residenti.
Effetti della cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente e
dell’iscrizione all’AIRE
Premesso che il trasferimento della residenza all’estero per più di dodici mesi comporta
l’obbligo di iscrizione della persona nella apposita anagrafe degli italiani all’estero (AIRE) (L.
27.10.88 n . 470 e regolamento di attuazione D.P.R. 6.9.89 N. 323) con cancellazione
dall’anagrafe comunale dei residenti, si osserva che la cancellazione dall’anagrafe della
popolazione residente e l’iscrizione all’AIRE non sono sufficienti a determinare l’esclusione
della residenza fiscale in Italia, posto che, come precisato più sopra, al fine di escludere la
residenza fiscale in Italia occorre anche che il soggetto in questione non abbia in Italia né la
residenza in senso civilistico né il domicilio (cfr. Cass. 16.5.2010 n. 14434, 26.6.2003, n. 10179,
7.11.2011 n. 13803)
In altri termini per essere fiscalmente residenti all’estero bisogna:
1 - essere cancellati dall’anagrafe comunale dei residenti ed essere iscritti all’AIRE,
2 - non avere in Italia la dimora abituale (residenza) o la sede principale dei propri affari e
interessi (domicilio)
Peraltro va osservato che la cancellazione dall’anagrafe dei residenti e l’iscrizione all’AIRE, se
non sono di per sé sufficienti a determinare l’esclusione della residenza fiscale in Italia,
determinano la presunzione che la residenza fiscale sia all’estero, e, laddove l’Amministrazione
finanziaria intenda contestare la residenza fiscale all’estero sostenendone la fittizietà, sarà
tenuta a fornire la prova del suo assunto (cioè sarà a suo carico l’onere di dimostrare che la
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persona ha la dimora abituale o la sede principale dei suoi affari ed interessi in Italia e non
all’estero).
Per completezza di informazione, osservo che tale presunzione di residenza all’estero non vale
invece per coloro che si siano cancellati dall’anagrafe dei residenti, ma si siano trasferiti in
paesi a fiscalità privilegiata.
Infatti l’art. 2, 2° comma del TUIR, stabilisce che si considerano “residenti”, salvo prova
contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in
Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle
Finanze 4 maggio 1999.
Poiché tale decreto di individuazione dei paesi a fiscalità privilegiata non comprende la
Germania, ritengo che la circostanza non riguardi la grande maggioranza degli iscritti a Codesta
Associazione.
Faccio notare peraltro che nell’elenco dei paesi a fiscalità privilegiata è compresa la Svizzera,
per cui chi avesse trasferito la sua residenza anagrafica in Svizzera (come del resto in qualsiasi
altro paese a fiscalità privilegiata) dovrà essere pronto a fornire la prova del reale
trasferimento e dell’inesistenza in Italia della dimora abituale e del centro principale dei suoi
affari ed interessi.
Quindi il trasferimento in un paese a fiscalità privilegiata comporta che la cancellazione
dall’anagrafe dei residenti e l’iscrizione all’AIRE non fanno nascere la presunzione di residenza
all’estero come per il trasferimento in Germania ma lasciano persistere la presunzione fiscale
di residenza in Italia con onere della prova contraria a carico della persona trasferita.
Controlli sul trasferimento all’estero della residenza
A norma dell’art. 83, comma 16 del DL 25.6.2008, convertito nella legge 133/2008, entro 6
mesi da ogni richiesta di iscrizione all’AIRE, il Comune deve confermare all’ufficio dell’Agenzia
delle Entrate che la persona ha effettivamente cessato la residenza in Italia e, in seguito, per i
successivi tre anni, il Comune deve vigilare sulla persistenza della cessazione della residenza in
Italia.
Definizione civilistica di “domicilio” e di “residenza”
Poiché l’esistenza in Italia del domicilio o della residenza sono sufficienti a determinare in Italia
la residenza fiscale, vediamo cosa essi siano secondo il codice civile e secondo le prevalenti
interpretazioni della giurisprudenza e della prassi amministrativa.
Come si vedrà si tratta di concetti chiari nelle loro definizioni teoriche, ma che costituiscono
riferimenti difficili e controversi quando si tratti di applicarli alle situazioni concrete che sono
spesso complesse e non univoche.
Domicilio
L’art. 2 del TUIR rimanda al codice civile per la definizione di domicilio.
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Ai sensi dell’art. 43, comma 1° del c.c. il domicilio è il luogo in cui una persona ha stabilito la
sede principale dei suoi affari e interessi
La nozione di domicilio non si riferisce ad una condizione di fatto come quella di residenza, ma
richiama la situazione giuridica caratterizzata dalla volontà di stabilire e conservare in un
determinato luogo la sede principale dei propri affari ed interessi e, come tale, prescinde dalla
reale presenza fisica del soggetto
Gli “affari ed interessi” devono intendersi in senso ampio: riguardante la generalità dei
rapporti del soggetto, compresi gli interessi di carattere familiare, sociale, morale e non solo
quelli di natura patrimoniale (Cass. 5.5.80 n. 2936 e ris. Agenzia Entrate 7.8.2008 n. 351/E).
Secondo la giurisprudenza la nozione di domicilio farebbe riferimento al “centro degli interessi
vitali” della persona, cioè il luogo con il quale il soggetto ha un più stretto collegamento sotto
l’aspetto degli interessi personali e patrimoniali (Cass. 7.11.2001 n. 13803).
In questa sentenza, facendo riferimento alla sentenza della corte di Giustizia UE 12.7.2001 n. c262/99, si afferma che la residenza è il luogo in cui viene individuato il centro permanente
degli interessi personali e patrimoniali di tale persona attraverso l’esame globale di tutti gli
elementi di fatto rilevanti. Ove tale esame globale non permetta tale individuazione, occorre
“dichiarare la preminenza dei legami personali”.
Pertanto: presenza della persona fisica e dei familiari, disponibilità di un’abitazione, luogo in
cui i figli frequentano la scuola, legami amministrativi con autorità pubbliche e organismi
sociali, luogo di esercizio dell’attività professionale, eccetera, sono elementi idonei ad
individuare il domicilio in Italia anche ove il soggetto abbia i propri interessi patrimoniali
prevalentemente all’estero.
Si segnala, inoltre, che la sentenza della Cass. 15.6.2010 n. 14434 afferma come il carattere
soggettivo della scelta su dove portare il centro dei propri interessi da parte di un soggetto
deve essere contemperata con le esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi. Pertanto “il
centro principale degli interessi vitali del soggetto va individuato nel luogo in cui la gestione di
detti interessi viene esercitata abitualmente, vale a dire in modo riconoscibile dai terzi. Ne
deriva che deve prevalere un criterio di effettività, non un elemento meramente soggettivo”.
Per l’Agenzia delle Entrate (Ris. 7.8.2008 n. 351/E), è fiscalmente residente in Italia il soggetto
che, pur avendo trasferito la propria residenza all’estero per lavoro, mantenga in Italia i propri
legami familiari o il centro dei propri interessi patrimoniali e sociali.
In questo senso, secondo la citata risoluzione sono indici significativi “la disponibilità di
un’abitazione permanente, la presenza della famiglia, l’accreditamento dei propri proventi
dovunque conseguiti, il possesso di beni anche mobiliari, la partecipazione a riunioni d’affari, la
titolarità di cariche sociali, il sostenimento di spese alberghiere o di iscrizione a circoli o club,
l’organizzazione della propria attività e dei propri impegni direttamente o attraverso soggetti
operanti sul territorio italiano”.
Residenza
Ai sensi dell’art. 43, comma 1° del c.c. la residenza è il luogo in cui la persona ha la dimora
abituale.
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La nozione di residenza fa riferimento ad una situazione “di fatto”. La residenza si fonda
sull’elemento
o oggettivo della permanenza in un luogo
o e soggettivo dell’intenzione di aversi stabile dimora
Data la rilevanza dell’elemento intenzionale, la residenza “sussiste anche quando la persona si
rechi a lavorare o a svolgere altra attività fuori del comune di residenza, sempre che conservi in
esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni
familiari e sociali “ (Cass 14.3.86 n. 1738)
Doppia residenza fiscale e convenzioni internazionali contro le doppie
imposizioni –
Sulla base delle diverse legislazioni degli stati, può succedere che una persona risulti
“fiscalmente residente” in due stati contemporaneamente.
Può essere il caso di coloro che lavorano con continuità e per la maggior parte dell’anno in
Germania dove abitano e sono iscritti all’anagrafe dei residenti, dove versano imposte e
contributi e godono dell’assistenza sanitaria e per la Germania sono considerati fiscalmente
residenti, ma che, per un qualsiasi motivo (ad esempio essere rimasti iscritti in Italia
all’anagrafe comunale dei residenti), secondo la legge Italiana hanno residenza fiscale in Italia.
In presenza di Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni il problema di dual
residence per le persone fisiche si risolve applicando le norme della convenzione che, come
regola generale, prevalgono sulle norme interne anche se vanno interpretate secondo le leggi
interne dello stato contraente.
Nel caso di conflitto fra Italia e Germania il problema si risolve grazie all’applicazione del
paragrafo 2 dell’art. 4 dell’accordo convenzionale, il quale prevede che quando una persona
fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, la situazione è determinata nel
seguente modo:
1) detta persona è considerata residente dello Stato nel quale dispone di un’abitazione
permanente;
2) quando dispone di un’abitazione permanente nei due Stati, è considerata residente
dello Stato con il quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette
(centro degli interessi vitali);
3) se non si può determinare lo Stato contraente nel quale detta persona ha il centro dei
suoi interessi vitali, o se la medesima non ha un’abitazione permanente in alcuno degli
Stati, è considerata residente dello Stato in cui soggiorna abitualmente;
4) se detta persona soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati, oppure non soggiorna
abitualmente in alcuno di essi, è considerata residente dello Stato del quale ha la
nazionalità;
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5) se detta persona ha la nazionalità di entrambi gli Stati o se non ha la nazionalità di
alcuno di essi, le autorità competenti degli Stati contraenti risolvono la questione di
comune accordo.
Faccio osservare che i criteri in questione, definiti tie break rules, non stanno fra di loro in un
rapporto di alternatività o di coesistenza, bensì in ordine gerarchico di applicazione di ciascuno
in sostituzione del precedente ove questo non sia in grado di individuare una sola residenza.
E’ opportuno soffermarsi sull’interpretazione fornita dall’Ocse in merito ai concetti di
“abitazione permanente”, “centro degli interessi vitali”, “soggiorno abituale”
e
“nazionalità” (9).
Posto che, nel concludere le sue convenzioni, l’Italia si è conformata al Modello Ocse anche
nell’elencazione delle tie break rules, dal confronto dell’art. 4, comma 2, con la legislazione
interna si desume che:
- l’espressione “abitazione permanente” corrisponde al luogo in cui la persona ha sistemato
ed utilizzato l’abitazione per proprio uso permanente, cioè con disponibilità continuativa e
non occasionale (sia a titolo di proprietà che di locazione)
- l’espressione “centro degli interessi vitali” corrisponde al domicilio di cui all’art. 43, comma
1, del codice civile; nel caso in cui il soggetto abbia stabilito le relazioni economiche in uno
stato e quelle personali nell’altro, si ritiene possa darsi prevalenza alle relazioni personali
(familiari, sociali, politiche, culturali, ecc.)
- il “soggiorno abituale” dovrebbe collocarsi entro l’ambito della dimora abituale ex art.
43, comma 2, del codice civile
- il termine “nazionalità” corrisponde alla cittadinanza, quale enucleata dalle leggi
speciali e dalla giurisprudenza internazionale;
4 - Individuazione in concreto della residenza fiscale
Si tratta di capire se le persone che si trovano nella situazione di cui al precedente paragrafo
“1 - Definizione del problema” debbano essere considerate fiscalmente residenti in Italia
oppure no.
Differenza fra iscritti e non iscritti all’AIRE
Iscritti:
Innanzitutto consideriamo la situazione delle persone che si sono cancellate dalle anagrafi
comunali dei residenti e si sono iscritte all’AIRE.
Salvo che non si siano trasferite in Svizzera o in un altro paese a fiscalità privilegiata, queste
persone si presumono fiscalmente “non residenti” in Italia, e residenti nello stato estero di
trasferimento (e quindi normalmente in Germania).
Laddove il fisco volesse contestare tale assunto dovrà fornire la prova contraria e, se non sarà
in grado di fornire in modo compiuto e convincente tale prova, che può essere molto difficile,
la residenza fiscale resta quella estera.
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Quindi l’iscrizione all’AIRE non risolve il problema alla radice, visto che ammette la prova
contraria del Fisco, ma è di fondamentale importanza.
Per il Fisco infatti la persona iscritta all’AIRE è “non residente” fino a prova contraria e,
comunque, essa può resistere all’eventuale tentativo del Fisco di fornire la prova contraria e
può contrapporre a tale scopo la sua reale situazione di domicilio e residenza civilistica
all’estero.
Non iscritti:
Consideriamo ora la situazione delle persone che non si siano cancellate dall’anagrafe dei
residenti e non si siano iscritte all’AIRE.
Per il Fisco italiano si tratta senz’altro di persone fiscalmente “residenti in Italia”, senza che
esso Fisco debba provare alcunché, con tutti gli obblighi delle persone fiscalmente residenti
indipendentemente da come esse si siano rappresentate nella eventuale dichiarazione dei
redditi in Italia.
E non è possibile per tali persone fornire la prova contraria poiché la loro iscrizione all’anagrafe
dei residenti in Italia è da sola sufficiente a determinarne la residenza fiscale
indipendentemente dalla residenza civilistica e dal domicilio che in questo caso per la legge
italiana non rilevano comunque per escludere la “residenza fiscale in Italia”.
Se queste persone iscritte in Italia alle anagrafi comunali dei residenti si fossero ciononostante
comportate come “non residenti” e il Fisco italiano dovesse accertare la loro situazione
giuridica di “residenti” e quindi il mancato assolvimento dei relativi obblighi (dichiarazione dei
redditi secondo il principio del reddito complessivo formato da tutti i redditi ovunque prodotti
- worlwide principle-, compilazione del quadro “RW”, pagamento in futuro della nuova
imposta patrimoniale sugli immobili posseduti all’estero) esse si troverebbero in una grave
situazione sotto il profilo finanziario patrimoniale (vi sarebbe infatti l’omissione o l’infedeltà
della dichiarazione dei redditi con obbligo di corrispondere le imposte, calcolate senza
deduzione di quelle pagate all’estero in quanto non dichiarate, più le sanzioni e gli interessi) e
con possibili risvolti penali dipendenti dall’entità delle imposte sui redditi non dichiarati
nonché con le sanzioni amministrative per le omesse comunicazioni di cui al quadro RW (dal
10% al 50% dei valori non comunicati e confisca di beni per il valore equivalente)
Convenzione bilaterale
A queste persone (i non iscritti all’AIRE) resterebbe una strada da percorrere.
Trattandosi di persone “residenti in Italia” secondo le leggi italiane, ma anche “residenti in
Germania” secondo le leggi tedesche, il tentativo di uscire dal problema starebbe nel far
ricorso alla convenzione bilaterale (che prevale sulle leggi interne), e dimostrare secondo
l’ordine gerarchico dei criteri previsti dalla convenzione bilaterale che il paese di residenza è la
Germania.
Il che escluderebbe automaticamente la doppia residenza e quindi la residenza fiscale in Italia.
Ma è evidente che si tratta di una strada difficile e più incerta, con partenza dalla posizione più
difficile.
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Osservo che anche l’iscritto all’AIRE potrebbe far ricorso alla convenzione bilaterale laddove il
fisco dovesse provare che, malgrado l’iscrizione all’AIRE, egli è fiscalmente residente in Italia
secondo la legge italiana, ma l’iscritto vi potrebbe ricorrere come ultima risorsa solo dopo che
il Fisco avesse percorso con successo la strada in salita della prova a suo carico.
Altre osservazioni
Chiarita l’importanza dell’elemento formale dell’iscrizione all’AIRE, restano i problemi della
corretta individuazione in concreto del domicilio (sede principale degli affari ed interessi) e
della residenza civilistica (dimora abituale), individuazione che diventa rilevante:
- per l’iscritto all’AIRE, se IL Fisco intende contestare la presunzione di residenza fiscale
all’estero
- per il non iscritto all’AIRE cui il Fisco abbia accertato la residenza fiscale in Italia, per far valere
eventualmente la residenza unica in Germania sulla base della convenzione bilaterale e dei
criteri delle tie break rules
Come si è visto i concetti di domicilio e di residenza di cui al Codice civile sono semplici nella
loro definizione teorica, ma scivolosi quando si devono applicare alla pratica.
Non è facile stabilire in modo oggettivo dove sia il domicilio, cioè il centro principale degli
affari ed interessi (o il centro vitale degli interessi, cioè delle relazioni personali ed
economiche) quando gli affari e le relazioni economiche sono in uno Stato (nel nostro caso la
Germania, dove vi è il centro degli affari e dove si svolge l’attività di lavoro produttiva di
reddito), ma gli interessi personali, cioè le relazioni familiari, sociali, politiche e culturali sono,
in tutto o in parte, nell’altro Stato (figli, coniuge, genitori). Quale che sia la conclusione, resterà
sempre spazio per opinioni diverse.
Dovrebbe essere più facile maturare certezze sul luogo di dimora abituale (residenza in senso
civilistico) considerato che il riferimento è a persone che vivono per quasi tutto l’anno,
costantemente, nello Stato estero dove hanno abitazione permanente. Anche qui restano
comunque margini di incertezza alla luce di interpretazioni giurisprudenziali (vede Cass 14.3.86
n. 1738 sopra citata) secondo cui la residenza sussiste anche quando la persona si rechi a
lavorare o a svolgere altra attività fuori dal comune di residenza, sempre che conservi in esso
l’abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e
sociali.
In questo senso, per coloro che conservano in Italia i figli e il coniuge e/o la disponibilità di
un’abitazione (in proprietà, in affitto o a disposizione presso in genitori) vi è il rischio che il
Fisco possa sostenere che hanno mantenuto in Italia o la residenza nel senso sopra esposto
e/o il domicilio, cioè il centro vitale degli interessi data la persistenza delle relazioni familiari.
Conclusioni
A mio parere le persone che rientrano nei casi delineati al paragrafo 1 hanno ragionevoli
motivi per ritenersi fiscalmente “non residenti” in Italia in base alla legge italiana se cancellate
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in Italia dalle anagrafi comunali dei residenti e iscritte all’AIRE per trasferimento della
residenza in Germania.
Se non fossero iscritte all’AIRE, la loro posizione sarebbe molto più delicata perché sarebbero
certamente “residenti” in Italia per il Fisco italiano, salvo dover ricorrere all’applicazione della
convenzione bilaterale nell’ipotesi di doppia residenza.
I punti di debolezza della tesi della “non residenza” stanno essenzialmente nelle relazioni
familiari in Italia (che contribuiscono al luogo di domicilio e quindi della residenza fiscale)
Ma se è vero che il centro degli interessi vitali tiene conto anche delle relazioni personali e
quindi la permanenza dei figli e del coniuge in Italia depone in senso sfavorevole alla tesi della
“non residenza”, vi è da osservare:
- che per relazioni personali non si intendono solo quelle familiari, ma anche quelle sociali,
politiche, culturali, per cui nel concetto di domicilio la temporanea permanenza dei figli in
Italia può essere ampiamente controbilanciata dal complesso delle relazioni instaurate
all’estero nel tessuto sociale, amministrativo, associativo e culturale della città di residenza
estera (iscrizioni ad associazioni, a club, circoli, ecc.) specie se vi è assenza di tali elementi
in Italia;
- che la permanenza in Italia dei figli e del coniuge non corrisponde ad una scelta, indizio
dell’intenzione di considerare provvisorio e contingente il trasferimento all’estero e di
mantenere il centro di interessi in Italia, ma è imposta dalla necessità di dare continuità al
percorso scolastico dei figli e di rendere non traumatico il processo di trasferimento che
riguarda la famiglia e di portarlo a compimento progressivamente a mano che l’attività
economica creata e condotta all’estero, consolidandosi, ne consente il completamento.
- che figli e coniuge, nonché spesso i genitori, normalmente raggiungono appena possibile
la persona nel luogo di lavoro all’estero dove la famiglia si riunisce anche fisicamente per
vari mesi all’anno per cui gli interessi familiari tendono a ricongiungersi all’estero
- che nel concetto di interessi vitali vi sono anche quelli economici, e non vi è dubbio che il
centro di tali interessi sia all’estero dove è stata creata e si svolge l’attività economica di
sostentamento della famiglia tramite il lavoro imprenditoriale della persona trasferita e,
molto spesso, per periodi anche lunghi nel corso dell’anno, tramite il lavoro dell’intera
famiglia per il concorso del coniuge, dei genitori e dei figli se di età compatibile.
- che a comporre il quadro degli interessi vitali concorre anche la rete di impegni e gli
obblighi che gravano sulla persona all’estero per il fatto di avervi abitazione, attività
economica, lavoro e, in sintesi, di far parte di quella comunità così come vi concorrono i
diritti goduti all’estero o in corso di maturazione, circostanze tutte che costituiscono una
partecipazione complessa e articolata alla vita economica e sociale della comunità estera
(le tasse comunali e sui servizi, i contributi assistenziali e previdenziali, l’assistenza
sanitaria, il diritto alla pensione in corso di maturazione, il voto alle elezioni amministrative
all’estero)
Altro punto di debolezza della “non residenza in Italia” è costituito dagli eventuali interessi
economici della persona conservati in Italia, o, peggio, incrementati in Italia tramite nuovi
investimenti nel corso de soggiorno all’estero, i quali inducano a ritenere che il trasferimento
all’estero è provvisorio e contingente.
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Al contrario, eventuali investimenti in Germania nell’attività lavorativa aziendale od estranei
alla stessa contribuiscono a dare l’idea di un trasferimento effettivo.
Così come depongono nel senso dell’effettivo inserimento nel tessuto socio economico dello
stato estero la partecipazione, dimostrabile, alla vita sociale, politica, culturale del luogo di
residenza all’estero (circoli culturali o sportivi, club, movimenti, ecc.)
Per concludere, la persona che si è trasferita all’estero per svolgervi la propria attività
economica e che, vista la normativa italiana, ritiene di non essere fiscalmente residente in
Italia, deve essere consapevole che il suo stato di “non residenza” potrà essere soggetto a
valutazione da parte del Fisco italiano sulla base di una serie di elementi e circostanze che ho
cercato di illustrare, anche contradditori fra di loro, per cui esso potrà non apparire del tutto
evidente e certo.
Per questo motivo è opportuno che la persona adotti tutti gli accorgimenti che servono a far
emergere gli elementi indicativi della sua situazione di “non residenza” e che riduca al minimo
gli elementi che depongono in senso contrario e, inoltre, che il tutto sia documentabile al
bisogno.
Laddove vi sia il dubbio che la situazione reale non consenta di qualificarsi pacificamente
come “non residenti” secondo la legge italiana, è opportuno risolvere il conflitto promuovendo
il ricorso alla convenzione bilaterale (che stabilirà quale è l’unica residenza fiscale) oppure
determinarsi ad assolvere gli obblighi fiscali italiani dei residenti con le tutele della
convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni.
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Carlo Corocher
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