Analisi del problema “dimissioni difficili”
nell’Azienda Ospedaliera-Universitaria di Parma
Tiziana Meschi, Enrico Fiaccadori*, Silvia Cocconi, Giuditta Adorni, Erminia Ridolo, Nicoletta Stefani,
Tania Schianchi, Almerico Novarini, Gianbattista Spagnoli**, Caterina Caminiti**, Monica Pini**, Loris Borghi
We analyzed, in a middle-sized hospital, the problems related to the so-called “difficult discharges”, conceived as situations involving an economic, human and organizational burden
exceeding patients’ and their families’ capacities and requiring a specific involvement of territorial services.
During a whole year (July 1, 2001-June 30, 2002) the cases found were 591.
We demonstrated that the problem concerns mainly elderly patients, almost equally distributed
between males and females, a quarter of the sample being represented by patients who had
recently undergone surgery and whose discharge difficulties were mostly related to mixed social
and sanitary problems. This kind of patients is faced with long-term hospitalization implicating
a large number of intra-hospital transfers due to the presence of severe and disabling pathologies, mainly neoplasms and strokes, often associated with other serious diseases, various complications and difficult situations from the health point of view.
About half of the patients had the possibility to go back home, while the rest required lodging in
territorial structures such as nursing homes and retirement homes.
The average time-lapse between the possible discharge indicated by the hospital physician and
the actual discharge was 10 days, with global annual 6106 days of “improper” hospitalization.
Our conclusion is that the phenomenon of difficult discharges is nowadays a very topical problem and that it should be faced with a new model of continuous and integrated assistance organization.
(Ann Ital Med Int 2004; 19: 109-117)
Key words: Continuous assistance; Difficult discharges; Frail elderly; Integrated assistance;
Multiple internal medicine diseases; Prolonged hospitalization.
Introduzione
scarsa compliance familiare, problemi economici, disgregazione del tessuto sociale, ripetitività dei ricoveri
ospedalieri, insufficienza dell’assistenza domiciliare e
scarsità di presidi territoriali).
Nasce da qui il concetto di dimissione difficile, intesa
come dimissione che, nel rispetto della continuità terapeutica ed assistenziale, necessita di un consumo di risorse
economiche, umane ed organizzative che vanno oltre la potenzialità del paziente e dei suoi familiari ed implica un
coinvolgimento particolare di tutti i presidi territoriali: medici di famiglia, servizi infermieristici, servizi assistenziali,
lungodegenze extraospedaliere, residenze sanitarie assistenziali, case protette, case di riposo.
Ma l’attivazione di un corretto percorso di continuità implica un cambiamento di mentalità a tutti i livelli del servizio sanitario e sociale, prima di tutto all’interno dell’ospedale abituato ad essere un luogo di cura a sé stante, quasi completamente staccato dai servizi territoriali, concepito come luogo in cui trascorrere un periodo di diagnosi e terapia avulso dall’ambiente familiare e sociale, quasi una sorta di sequestro obbligato in attesa della riconsegna
dopo la guarigione. Esso inoltre implica una diversa organizzazione basata sul concetto di rete dei servizi e sulla multidisciplinarietà ed esige tempi di progettazione ed
Una recente rassegna di Senin et al.1 ha inquadrato con
molta efficacia l’impatto dell’invecchiamento della popolazione sull’organizzazione socio-sanitaria ed ha sottolineato l’importanza di un nuovo modello di assistenza
basato sulla continuità.
Oggi l’ospedale per acuti, dopo la cosiddetta aziendalizzazione voluta dal legislatore con la legge 502 del 1992
e con l’entrata in vigore del sistema tariffario basato sui
DRG, si trova sempre più a contatto con lo scottante problema della dimissione precoce a fronte di un’epidemiologia socio-sanitaria caratterizzata da criticità clinica (pazienti molto anziani, polipatologie, demenza, instabilità psicofisica, elevato rischio di complicanze, invalidità, guarigione tardiva e spesso incompleta dopo un evento acuto, elevato rischio iatrogeno, eventualità di cadute, fratture
e lesioni da decubito, perdita dell’autonomia, allettamento, dipendenza da nutrizione artificiale ed apparecchiature salvavita) e criticità sociale (solitudine, abbandono,
Dipartimento di Scienze Cliniche (Direttore: Prof. Loris Borghi),
Università degli Studi, *Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia
e Scienze della Prevenzione (Direttore: Prof. Innocente Franchini),
**Direzione Sanitaria (Direttore: Dr. Gianbattista Spagnoli), Azienda
Ospedaliera di Parma
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attivazione poco consoni ad un ospedale per acuti che ha
tra i suoi principali obiettivi economico-strategici quello
di evitare il consumo di giornate non remunerate, cosiddette “oltre soglia”.
Queste problematiche sono particolarmente sentite in un
ospedale universitario di medie-grandi dimensioni come
quello di Parma, con i suoi 1420 posti letto al servizio di
tutto il territorio provinciale e con un’ampia frazione di
utenza extraprovinciale ed extraregionale.
In questo lavoro riferiamo i risultati di una ricerca svolta nel corso di 1 anno all’interno del nostro ospedale, effettuata con l’intento di analizzare e quantificare il fenomeno delle dimissioni difficili, tappa prioritaria per impostare un’organizzazione condivisa tra ospedale e territorio capace di ottenere un’adeguata soluzione del problema dimissione nel rispetto della continuità terapeutica ed assistenziale.
sociali; d) la necessità di fornire e gestire particolari presidi a domicilio (letti antidecubito, pompe per nutrizione
artificiale, sollevatori, respiratori, ecc.); e) la necessità di
procedere a revisioni strutturali del domicilio (bagno assistito, montacarichi, ascensore, ecc.) o la necessità di
trovare un nuovo domicilio caratterizzato da accessibilità
e vivibilità adeguate ad una persona non più autonoma; f)
la possibilità di garantire almeno un accesso al giorno del
medico di famiglia quando ritenuto indispensabile; g) la
necessità di reperire un’idonea sistemazione extrafamiliare,
temporanea o definitiva, quando era ragionevolmente impossibile il ritorno al proprio domicilio (lungodegenza
extraospedaliera, residenza sanitaria assistenziale, casa
protetta, casa di riposo); h) altre situazioni problematiche
di natura non clinica (stato di abbandono, povertà, extracomunitari sprovvisti di permesso di soggiorno, ecc.).
Dopo un’approfondita analisi del caso, era compito
delle assistenti sociali ospedaliere stabilire se la difficoltà
alla dimissione era legata a problematiche esclusivamente sociali, oppure a problematiche esclusivamente medico-infermieristiche o infine ad un intreccio tra le due.
La raccolta dei dati è avvenuta attraverso l’utilizzazione di tre strumenti: la scheda di segnalazione di dimissione
difficile, l’attivazione di uno specifico percorso concordato con i servizi territoriali dell’Azienda USL, la scheda di dimissione ospedaliera.
Materiali e metodi
Definizione di “dimissione difficile”
La ricerca è stata preceduta da un’opera di sensibilizzazione dei medici di tutti i reparti dell’Azienda attuata attraverso le riunioni di budget, incontri dipartimentali,
informative scritte da parte della Direzione Sanitaria e contatti diretti con le assistenti sociali aziendali ed i promotori dello studio. Una particolare attenzione è stata riservata alla definizione di dimissione difficile in modo che
i medici dei vari reparti segnalassero effettivamente i casi caratterizzati da questo elemento. Per dimissione difficile si doveva intendere una dimissione resa problematica dal fatto che essa, per poter essere attuata nel rispetto
di una corretta continuità terapeutica ed assistenziale, implicava un consumo di risorse economiche, umane ed organizzative che andava oltre le reali possibilità del paziente
e dei suoi familiari e che quindi rendeva necessario un coinvolgimento ed un’attivazione particolare dei presidi territoriali comprendenti i medici di famiglia, i servizi infermieristici ed assistenziali domiciliari, le lungodegenze
extraospedaliere, le residenze sanitarie assistenziali, le
case protette e le case di riposo. Quindi il paziente doveva trovarsi in una fase di dimissibilità clinica, nel senso
che il suo stato di malattia non era più tale da rendere necessario il proseguimento del ricovero in ambiente ospedaliero, ma la dimissione non poteva essere tempestivamente realizzata per ostacoli di natura non clinica. Questi
potevano essere: a) la mancanza di familiari idonei ad accudire una persona non autosufficiente; b) le resistenze dei
familiari a riprendere a casa il congiunto per motivi di carattere organizzativo, economico o altro; c) la necessità di
affiancare alla famiglia idonei servizi infermieristici e/o
Scheda di segnalazione. La scheda di segnalazione di
dimissione difficile era composta da due parti, la prima di
competenza del medico di reparto responsabile del caso
e l’altra di competenza dell’assistente sociale ospedaliera.
La parte di competenza del medico (Fig. 1) conteneva,
oltre ad alcuni dati anagrafici, tutte le informazioni cliniche relative al paziente che rendevano evidente la difficoltà
della dimissione dal punto di vista strettamente sanitario,
utili ad una prima analisi delle esigenze di continuità terapeutica. In particolare essa indicava la data presumibile di dimissione dal punto di vista clinico, cioè la data in
cui il medico avrebbe dimesso il paziente se non avesse
incontrato difficoltà particolari, di natura tecnico-sanitaria o familiare-sociale, come sopra descritto.
La parte di competenza dell’assistente sociale (Fig. 2)
raccoglieva una serie di informazioni sulla situazione del
paziente, della famiglia e del tessuto sociale, pregresse ed
attuali, utili ad una prima analisi delle esigenze socio-assistenziali che si prospettavano per quel caso.
In particolare essa indicava una valutazione preliminare sulla possibilità o meno del rientro a domicilio e se la
dimissione implicava un’organizzazione non integrata
(meno complessa) o integrata (più complessa).
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Tiziana Meschi et al.
FIGURA 1. Scheda di segnalazione di dimissione difficile: parte riservata al medico ospedaliero che attiva la procedura inviando la segnalazione all’assistente sociale dell’ospedale.
CVC = cateteri venosi centrali; PEG = gastrostomia endoscopica percutanea; SNG = sondino nasogastrico.
Percorso per la continuità assistenziale. Per realizzare questa ricerca è stato attivato uno specifico percorso per
le dimissioni difficili concordato con i servizi territoriali
dell’Azienda USL.
Esso prevedeva in sintesi i seguenti passaggi:
• attivazione della segnalazione di dimissione difficile da
parte del medico di reparto attraverso l’invio all’assistente sociale ospedaliera (tramite fax o per posta interna)
della scheda di propria competenza;
• visita in reparto dell’assistente sociale ospedaliera con
il compito di approfondire le problematiche segnalate dal
medico, incontrare il paziente ed i suoi familiari, redige-
re un piano assistenziale personalizzato e compilare la scheda di propria competenza;
• invio, a cura dell’assistente sociale ospedaliera, della scheda di segnalazione (Figg. 1 e 2) ai quattro punti di accettazione concordati con gli altrettanti distretti sanitari in cui
è suddivisa l’Azienda USL; l’invio per fax della scheda
era preceduto da un contatto telefonico con i servizi assistenziali territoriali per una più diretta presentazione delle problematiche;
• se si trattava di una dimissione non integrata, cioè più
semplice e che implicava soltanto l’attivazione domiciliare
del servizio infermieristico e/o assistenziale oppure la
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Ann Ital Med Int Vol 19, N 2 Aprile-Giugno 2004
FIGURA 2. Scheda di segnalazione di dimissione difficile: parte riservata all’assistente sociale
ospedaliera che completa le informazioni sul caso ed invia la segnalazione al punto unico
territoriale.
ADI = assistenza domiciliare integrata; CA = comunità alloggio; CD = centro diurno; CP
= casa protetta; RSA = residenza sanitaria assistenziale; SAD = servizio assistenza domiciliare.
semplice fornitura di ausili e presidi, la presa in carico da
parte del territorio era immediata e non richiedeva ulteriori
passaggi se non il tempo tecnico necessario all’attivazione del servizio;
• se si trattava di una dimissione integrata, cioè più complessa e che implicava una domiciliazione con attivazione di servizi multipli e intensivi o, addirittura, l’impossibilità al rientro a domicilio e quindi la necessità di reperire un’idonea struttura territoriale, il punto distrettuale di
accoglimento della richiesta attivava la propria unità di va-
lutazione (composta da un medico, un infermiere ed un assistente sociale territoriale) che si recava presso il reparto per una valutazione integrata con gli operatori ospedalieri
ed una conseguente decisione concordata con il medico di
base, il paziente ed i familiari;
• la tappa finale era la comunicazione da parte dei servizi territoriali al servizio ospedaliero, della data di dimissione con le indicazioni opportune e quindi la dimissione reale con compilazione della scheda di dimissione da
parte del medico ospedaliero.
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Tiziana Meschi et al.
TABELLA I. Dimissioni difficili. Azienda Ospedaliera di Parma: dati
generali.
Naturalmente questo percorso poteva essere interrotto
definitivamente per decesso del paziente o temporaneamente per peggioramento delle condizioni cliniche e di
questo il sistema di rilevazione ha tenuto conto per la
successiva elaborazione dei dati.
Periodo di riferimento (1 anno)
N. casi
DRG
Medici
Chirurgici
Sesso (M/F)
Età media (anni)
> 65
N. deceduti nell’attesa
della dimissione
N. trasferiti*
N. effettivo dei dimessi
(tolti i deceduti e i trasferiti)
N. casi**
Scheda di dimissione. Come per ogni paziente dimesso, anche nel caso della dimissione difficile veniva compilata la scheda di dimissione ospedaliera che a Parma utilizza un sistema informativo ospedaliero (SIO) dal quale
si possono estrarre, tramite il numero nosografico di ricovero proprio per ogni paziente, tutte le informazioni relative a quel caso in termini di diagnosi principale, diagnosi
secondarie, procedure ed interventi chirurgici.
Questo ha consentito, tra l’altro, di classificare i pazienti
per DRG ed avere un’idea della complessità attraverso il
calcolo del cosiddetto punto medio di complessità.
In aggiunta a tali informazioni, per avere un’idea più precisa del peso assistenziale di questi pazienti soprattutto dal
punto di vista infermieristico, è stata utilizzata una particolare procedura di rilevazione di alcuni dati presso il
Reparto di Lungodegenza “Cattani”, sede dell’attività assistenziale del primo autore della ricerca, già usata in un
precedente lavoro2.
01/07/01-01/07/02
591
451 (76.3%)
140 (23.7%)
264/327 (44.7/55.3%)
78 ± 12 (range 27-102)
91%
69 (11.7%)
108 (18.3%)
414
364/414 (87.9%)
* in altro reparto dell’Azienda (soprattutto Lungodegenza) nell’attesa della dimissione; ** che hanno avuto ritardo nella dimissione reale rispetto alla data presunta di dimissione stabilita dal medico responsabile
del caso.
Le problematiche alla base della dimissione difficile
sono risultate di tipo esclusivamente medico-infermieristico
in 67/591 casi (11.3%), di tipo esclusivamente sociale in
109/591 casi (18.4%) e di tipo misto, sanitario e sociale,
in 415/591 casi (70.3%). Dunque le cause puramente sociali (tipo il vivere soli o avere necessità di un aiuto domiciliare o l’esclusiva esigenza di una collocazione in casa di riposo, sono risultate decisamente minoritarie. Questo
indica che la gran parte di questi pazienti, pur non essendo più in fase acuta, conservava al momento della dimissione un quadro di complessità clinica che richiedeva adeguati interventi tecnico-assistenziali di varia natura.
Questo concetto appare evidente anche dai dati della tabella II che fa riferimento ai motivi che hanno determinato un ritardo nella dimissione dei 414 casi effettivamente
dimessi (tolti i deceduti ed i trasferiti). Solo in 50 casi
(12.1%) la data presunta di dimissione ha coinciso con la
data reale di dimissione (evidentemente si trattava di casi
relativamente semplici), mentre in oltre il 50% dei casi il
peggioramento clinico del paziente ha determinato (17.1%)
o ha concorso a determinare (39.1%) il ritardo nella dimissione. In effetti una parte di questi pazienti, caratterizzati da età molto avanzata, pluripatologie ed insufficienze organiche, si è dimostrata molto instabile sul piano clinico. Al momento della proposta di dimissione essi potevano considerarsi relativamente stabili, ma le loro condizioni erano tali che, in un’attesa prolungata, molto spesso
di qualche settimana, insorgevano problemi come febbre,
riacutizzazioni bronchitiche e a volte complicanze più serie che, pur affrontabili anche al di fuori del contesto ospedaliero, sconsigliavano di procedere alla dimissione nel momento in cui essa si rendeva effettivamente possibile in rapporto al progetto personalizzato effettuato.
Elaborazione dei dati
Tutti i dati raccolti con le schede cartacee sono stati immessi, caso per caso al momento della dimissione, in uno
specifico software costituito ad hoc e collegabile, tramite il numero nosografico del paziente, al software contenente i dati del SIO.
Per questo lavoro sono stati elaborati i dati relativi al primo anno di attivazione del percorso: 1 luglio 2001-30 giugno 2002.
Risultati
Nella tabella I sono esposti i dati generali relativi ai pazienti classificati come dimissioni difficili nell’arco di
tempo considerato di 1 anno. I casi sono stati 591 con una
lieve predominanza di femmine. L’età, come atteso, era
avanzata, ma non sono mancati casi di persone relativamente giovani; la percentuale di pazienti > 65 anni è risultata del 91%. Suddividendo i casi per DRG, il 76.3%
erano casi di tipo medico, il 23.7% di tipo chirurgico.
Per una parte dei pazienti il percorso è stato interrotto
o per decesso (11.7%) o per trasferimento in altri reparti
(18.3%), soprattutto Lungodegenza, per cui le persone effettivamente dimesse nell’arco di tempo considerato sono state 414. Di queste l’87.9% ha subito un ritardo nella dimissione rispetto alla data presunta stabilita dal medico responsabile del caso.
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Ann Ital Med Int Vol 19, N 2 Aprile-Giugno 2004
TABELLA II. Dimissioni difficili: motivazione del ritardo nella dimissione nei 414 casi effettivamente dimessi.
sistenza integrata per oncologici terminali in 6, assistenza in centri diurni in 4, cambio alloggio in 1. Anche questo è un dato che sottolinea la complessità clinica e le relative esigenze di continuità terapeutica ed assistenziale.
Nella tabella IV sono espressi una serie di tempi in cui
si è svolto il percorso delle dimissioni difficili. Emerge,
come atteso, che si trattava di pazienti che sono rimasti a
lungo ospedalizzati e anche il tempo medio di segnalazione
da parte dei reparti è risultato piuttosto elevato (in media
19 giorni). Data l’opera di sensibilizzazione che è stata effettuata prima della ricerca, data ormai per acquisita, dopo molti anni di aziendalizzazione, la tendenza a non far
permanere i pazienti inutilmente in ospedale e data la
complessità clinica di questi pazienti (già presunta dai dati presentati ed ulteriormente avvalorata dai risultati che
emergeranno successivamente), possiamo ragionevolmente ritenere che questi tempi lunghi siano stati causati da motivazioni strettamente cliniche (instabilità, polipatologie, insufficienze d’organo, complicanze) che esigono tempo per una stabilizzazione. Al contrario appare
molto rapido il tempo d’azione delle assistenti sociali
aziendali dalla cui attività dipendeva il tempo di programmazione della presunta dimissione.
Nella tabella IV sono altresì riportate le giornate in eccesso trascorse in ospedale prima dell’effettiva dimissione, ivi compresi i casi in cui il percorso si è concluso con
il decesso. Queste giornate, definite “improprie” sono risultate, in 1 anno, 6106.
Un altro dato interessante è quello che emerge dalla tabella
V che mostra da parte di quali reparti sono state segnalate
N. casi
Nessun ritardo
1) Ritardo per problemi esclusivamente
legati alla famiglia
2) Ritardo per problemi esclusivamente
legati al peggioramento del paziente
nell’attesa della dimissione
3) Ritardo per problemi esclusivamente
legati all’organizzazione territoriale
dei servizi
4) Ritardo per problemi multipli
(1 + 2 + 3)
Totale
50 (12.1%)
47 (11.4%)
71 (17.1%)
84 (20.3%)
162 (39.1%)
414 (100%)
La tabella III mostra la collocazione dei 414 pazienti effettivamente dimessi. Di questi 230 (55.6%) hanno avuto la possibilità di rientrare al proprio domicilio, mentre
tutti gli altri hanno avuto necessità di una collocazione diversa. Dai dati del servizio sociale è risultato che solo il
4% di questi ultimi aveva già una collocazione extrafamiliare e questo significa che l’evento acuto che aveva determinato il ricovero ospedaliero, aveva modificato profondamente lo stato di salute di questi pazienti, facendo sorgere la necessità di un’istituzionalizzazione temporanea
o definitiva in residenza sanitaria assistenziale, casa protetta o altro in 184 casi (44.4%).
I provvedimenti attivati dai servizi territoriali a favore
dei 230 pazienti che sono tornati nel loro contesto familiare sono risultati i seguenti: fornitura di ausili e presidi
(tipo carrozzelle, sollevatori, materassi antidecubito, apparecchiature per nutrizione artificiale, pompe per infusione, materiali vari di riabilitazione) in 71 casi, assistenza infermieristica in 63, assistenza sociale in 56, as-
TABELLA IV. Dimissioni difficili: tempi, espressi in giorni, relativi ai
591 casi segnalati.
Tempo di ricovero totale
Tempo di segnalazione (dall’ingresso
del paziente nel reparto segnalante alla segnalazione
del medico all’assistente sociale aziendale)
Tempo intervento assistente sociale
(dalla segnalazione del medico alla visita in reparto
dell’assistente sociale aziendale)
Tempo di programmazione della dimissione
presunta (dalla segnalazione del medico
all’assistente sociale aziendale all’invio del fax
al territorio da parte dell’assistente sociale aziendale)
Giornate in eccesso trascorse in Azienda prima
della dimissione (differenza tra la data
presunta di dimissione indicata dal medico e
la data reale di dimissione)
Giornate in eccesso trascorse nel reparto segnalante
prima del trasferimento (sono riferiti ai trasferiti
in altro reparto, soprattutto lungodegenza in attesa
della dimissione)
Totale giornate “improprie”
TABELLA III. Dimissioni difficili: collocazione dei 414 pazienti effettivamente dimessi.
N. casi
Tornati a domicilio
Ospitati in residenza sanitaria assistenziale
Ospitati in casa protetta
Ospitati in istituto di riabilitazione
Ospitati in altro ospedale
Ospitati in lungodegenze extraziendali
Ospitati in accoglienza temporanea
Ospitati in comunità alloggio
Ospitati in gruppi appartamento
230 (55.6%)
76 (18.3%)
65 (15.7%)
19 (4.6%)
9 (2.2%)
5 (1.2%)
5 (1.2%)
3 (0.7%)
2 (0.5%)
Totale
414 (100%)
Prima dell’attuale ricovero i pazienti istituzionalizzati erano 17/414
(4.1%); dopo l’attuale ricovero essi sono risultati 184/414 (44.4%).
I dati dove espressi si intendono come media ± DS.
114
47.8 ± 46
19.3 ± 25
0.64 ± 1
2.4 ± 5
5470
636
6106
Tiziana Meschi et al.
TABELLA V. Dimissioni difficili: ripartizioni dei casi per Dipartimenti
per Acuti e per Lungodegenze.
TABELLA VI. Diagnosi principali nei 591 casi di dimissioni difficili.
N. casi
N. casi
Dipartimenti Medicina Interna
Dipartimento Geriatrico-Riabilitativo
Dipartimento Osteo-Articolare
Dipartimento Pneumologico
Dipartimento Chirurgico
Dipartimento Neuroscienze
Dipartimento del Cuore
Dipartimento Urgenza-Emergenza
Dipartimento Testa-Collo
Dipartimento Materno-Infantile
Lungodegenza
“Cattani”
“Stuard”
“Rasori”
155 (26.2%)
109 (18.5%)
36 (6.1%)
31 (5.2%)
19 (3.2%)
17 (2.9%)
15 (2.5%)
5 (0.9%)
2 (0.3%)
0 (0.0%)
202 (34.2%)
121
67
14
Totale
591 (100%)
le dimissioni difficili. Risulta evidente che le discipline
maggiormente coinvolte sono state la medicina interna e la
geriatria, con particolare riferimento alle Unità di Lungodegenza, che presso l’Ospedale di Parma sono tre, e che da
sole hanno totalizzato oltre un terzo dei casi (34.2%).
I risultati che seguono concernono l’inquadramento clinico dei pazienti e la loro complessità, già in parte prospettata dai dati fin qui presentati.
In termini di diagnosi principale (Tab. VI) le neoplasie
maligne sono risultate al primo posto (19.8% dei casi) seguite dall’ictus cerebrale (17.1%).
Ricavando dalla scheda di dimissione ospedaliera anche
le diagnosi secondarie abbiamo visto che ben il 60% dei
casi aveva cinque diagnosi o più e che solo il 3.2% dei casi era stato dimesso con una sola diagnosi. Inoltre si trattava di pazienti che molto spesso, nel corso dello stesso
ricovero, avevano subito numerosi trasferimenti, alcuni addirittura cinque o più.
Dai dati della scheda di dimissione ospedaliera è stato
possibile ricavare anche il punto medio di complessità che
è un indice che tiene conto di diversi parametri che misurano l’assorbimento delle risorse. Questo indice era decisamente più alto riferito ai pazienti classificati come dimissioni difficili rispetto a tutti gli altri dimessi dall’Azienda nello stesso periodo di tempo, definiti come dimissioni normali (1.75 vs 1.24, differenza pari a +41%).
Un altro dato chiaramente indicativo della criticità di tali pazienti è quello emerso dal tasso di mortalità intra-ospedaliera. Esso è risultato pari all’11.7% nei 591 casi definiti come dimissioni difficili a confronto con il 3.3% nei
45 319 casi dimessi normalmente dall’Azienda nello stesso arco di tempo in cui si è svolta la ricerca.
Rilevante è anche il fatto che le persone dimesse come
dimissioni difficili hanno avuto, entro 1 anno, un tasso di
Neoplasia maligna
(tumore solido, linfoma, leucemia)
Ictus cerebrale (embolia, emorragia, trombosi)
Frattura ossea (post-traumatica, osteoporotica)
Demenza (aterosclerotica, Alzheimer, alcolica)
Polmoniti, BPCO, bronchiectasia,
embolia polmonare
Insufficienza cardiaca, cardiopatia ipertensione,
edema polmonare
Cardiopatia ischemica
(infarto, aterosclerosi coronarica)
Insufficienza respiratoria cronica
Insufficienza renale acuta-cronica
Emorragia digestiva (varici esofagee,
ulcera stomaco-duodeno, angiodisplasia)
Cirrosi epatica, coma epatico, epatite C-B
Diabete tipo II scompensato
Epilessia, morbo di Parkinson, sclerosi laterale
amiotrofica
Gangrena arti inferiori
(embolia, trombosi, piede diabetico)
Flebotrombosi e tromboflebite profonda
Setticemia
Marasma da denutrizione
Altre diagnosi
117 (19.8%)
Totale
591 (100%)
101 (17.1%)
54 (9.1%)
47 (8.0%)
47 (8.0%)
34 (5.7%)
28 (4.7%)
24 (4.1%)
23 (3.9%)
22 (3.7%)
17 (2.9%)
17 (2.9%)
12 (2.0%)
11 (1.9%)
11 (1.9%)
10 (1.7%)
8 (1.3%)
8 (1.3%)
BPCO = broncopneumopatia cronica ostruttiva.
rientro del 54.9% a confronto con il 14.3% di coloro che
sono stati dimessi normalmente nello stesso arco temporale. La complessità assistenziale di questi pazienti è ulteriormente avvalorata dall’ultima serie di dati (Tab. VII)
riguardanti la frazione di casi di dimissioni difficili (121
casi) riscontrata nell’Unità di Lungodegenza “Cattani”, sede di lavoro di alcuni autori.
Di questi pazienti oltre il 70% era allettato, oltre il 50%
era incontinente, oltre un terzo presentava lesioni da decubito e oltre l’8% era gravemente malnutrito.
In termini di procedure colpisce soprattutto il dato che
oltre il 70% necessitava di nutrizione artificiale, integrativa o totale.
Discussione
Questo studio dimostra che il problema da noi definito
“dimissione difficile” è realmente presente in un ospedale di medie-grandi dimensioni e che ha una consistenza significativa in termini di impatto organizzativo, economico e clinico.
A nostra conoscenza non vi sono in letteratura studi
simili a questo con cui poter fare un confronto in termini
quantitativi. Tuttavia esistono diversi lavori, italiani e stranieri, che hanno ben documentato le condizioni epidemio-
115
Ann Ital Med Int Vol 19, N 2 Aprile-Giugno 2004
TABELLA VII. Dati clinici caratterizzanti il peso assistenziale dei 121
casi di dimissioni difficili nell’Unità di Lungodegenza “Cattani”.
invalidanti, in primo luogo neoplasie ed ictus cerebrale, spesso accompagnate da altre diagnosi, svariate complicanze e
situazioni complesse sul piano assistenziale, in particolare
infermieristico (allettamento, incontinenza, lesioni da decubito, malnutrizione, necessità di nutrizione artificiale,
dipendenza da apparecchiature). Sono pazienti in gran parte ricoverati presso i reparti di medicina interna e geriatria
e soprattutto nelle nuove unità di lungodegenza.
Nella nostra esperienza i casi di dimissione difficile
segnalati dai reparti per acuti sono stati relativamente pochi. È possibile che questo dato possa essere inesatto per
due motivi. I medici dei reparti per acuti possono avere segnalato meno casi di quelli effettivamente incontrati e
soprattutto possono aver scelto la procedura di trasferimento in lungodegenza come soluzione più rapida al problema della non dimissibilità.
La grande complessità clinica di questi pazienti è stata
ulteriormente avvalorata da alcuni dati di confronto rispetto
a tutti gli altri casi trattati nell’Azienda nello stesso arco
di tempo: punto medio di complessità 1.75 vs 1.24, mortalità intraospedaliera 11.7 vs 3.3%, tasso di rientro in ospedale entro 1 anno 54.9 vs 14.3%.
Esclusi i deceduti ed i trasferiti, sono stati 414 i pazienti effettivamente dimessi. Di questi solo circa la metà ha
potuto rientrare al proprio domicilio con un’adeguata attivazione di servizi infermieristici, sociali ed ausiliari; l’altra metà ha dovuto essere ospitata in strutture territoriali soprattutto residenze sanitarie assistenziali e case protette, a
fronte di una precedente istituzionalizzazione nettamente
inferiore. Questo significa che l’evento acuto che aveva determinato il ricovero si è concluso con una disabilità ed una
complessità non più gestibili a domicilio. Naturalmente in
questa situazione di difficoltà nella dimissione e di necessità
di attivazione dei servizi territoriali, vi era da aspettarsi un
tempo di latenza che è stato misurato.
Lo scarto medio di tempo intercorso tra la data di dimissibilità indicata dal medico responsabile del caso e la data effettiva di dimissione è stato in media di circa 10 giorni con un complesso di giornate “improprie” trascorse in
ospedale pari a 6106. Trattasi di una quota non trascurabile di giornate se pensiamo che essa corrisponde grossolanamente all’attività annuale di un’Unità di Medicina Interna
per Acuti dotata di circa 24 letti di degenza ordinaria.
Il presente lavoro non aveva lo scopo di valutare i risvolti
economici del problema, tuttavia è stato possibile calcolare in modo approssimativo il costo ospedaliero di queste giornate “improprie” in rapporto alla tipologia dell’unità
operativa coinvolta. Questo conteggio è risultato pari a circa 1 312 790 Euro, una spesa che potrebbe meglio essere utilizzata per potenziare i servizi extraospedalieri ed evitare ulteriori ricoveri impropri.
N. casi
Diagnosi secondarie
Sindrome ipocinetica da allettamento
Incontinenza
Lesioni da decubito
Marasma (malnutrizione)
Procedure assistenziali
Catetere vescicale
CVC-PEG-SNG
Nutrizione parenterale parziale o totale
Nutrizione enterale totale
Pompe per terapia antalgica o infusiva
Tracheostomia
Dipendenza da respiratori
87 (71.9%)
64 (52.9%)
42 (34.7%)
10 (8.3%)
85 (70.2%)
70 (57.8%)
62 (51.2%)
24 (19.8%)
12 (9.9%)
4 (3.3%)
3 (2.5%)
CVC = cateteri venosi centrali; PEG = gastrostomia endoscopica percutanea; SNG = sondino nasogastrico. Un’alta frazione dei 121 pazienti presentava un numero di diagnosi secondarie e di procedure > 1.
logiche di crescente disabilità e polipatologia in cui si inserisce e si giustifica il problema delle dimissioni difficili
nelle realtà ad alto sviluppo economico e tecnologico3-7.
Una serie di fattori epidemiologici (progressivo invecchiamento della popolazione), sociali (assottigliamento della famiglia, lavoro femminile, perdita di autonomia) e
sanitari (polipatologia, prevalenza elevata di malattie croniche invalidanti, instabilità, complicanze, mezzi tecnologici di sopravvivenza) concorrono a determinare quello che alcuni hanno definito “sindrome da fragilità” a cui
può conseguire in qualsiasi momento uno “scompenso a
cascata”8. Sempre più frequentemente il medico e tutti gli
altri operatori della salute si trovano di fronte a questo tipo di paziente, di regola molto anziano, contemporaneamente affetto da più malattie, costretto ad assumere molti farmaci, spesso denutrito, a rischio per cadute, fratture,
allettamento e perdita di autonomia, a volte in condizioni economiche disagiate e sempre più solo.
Questo è il substrato su cui un evento acuto che provoca l’ospedalizzazione genera una dimissione difficile.
Dalla nostra ricerca tutto questo esce confermato. In 1 anno abbiamo trovato 591 casi di dimissioni difficili intese come situazioni che necessitano di un consumo di risorse
economiche, umane ed organizzative che travalicano la
potenzialità del paziente e dei suoi familiari ed implicano
un coinvolgimento particolare dei servizi territoriali.
Abbiamo dimostrato che per il 91% si tratta di pazienti
> 65 anni, distribuiti quasi paritariamente tra i due sessi, per
circa un quarto post-chirurgici, la cui difficoltà alla dimissione è legata soprattutto a problematiche miste sociali e sanitarie (i casi puramente sociali sono risultati pari al 18.4%).
Essi subiscono un lungo periodo di ricovero, con multipli
trasferimenti da un reparto all’altro per patologie gravi ed
116
Tiziana Meschi et al.
In conclusione abbiamo dimostrato che oggi, in un
ospedale di medie-grandi dimensioni, esiste una frazione
significativa di pazienti difficilmente dimissibili per la loro complessità clinica e per la relativa carenza di adeguate
strutture territoriali.
Date le condizioni demografiche comuni a tutti i paesi
maggiormente sviluppati, è probabile che questo fenomeno vada accentuandosi mettendo in difficoltà le strutture
ospedaliere per acuti. Come già altri hanno rilevato9-12, la
risposta può risiedere in un nuovo modello organizzativo
in grado di fornire assistenza continua a lungo termine attraverso l’attuazione di una rete territoriale di servizi e
strutture socio-sanitarie tra loro funzionalmente integrate.
Anche l’ospedale per acuti, senza tradire la propria principale missione, potrebbe contribuire alla soluzione del problema mettendo a disposizione del territorio competenze
e tecnologie in un concetto di ospedalizzazione domiciliare.
Parole chiave: Anziano fragile; Assistenza continuativa;
Assistenza integrata; Dimissioni difficili; Malattie internistiche multiple; Ospedalizzazione prolungata.
Ringraziamenti
Questo lavoro non avrebbe mai potuto essere realizzato senza l’apporto e la disponibilità delle assistenti sociali
dell’Ospedale di Parma: Luisa Anardi, Marilena Grignaffini, Vanda Maghenzani, Daniela Zanoni.
Per il lavoro puntuale e scrupoloso di computerizzazione
dei dati, un ringraziamento sentito va anche alle segretarie del Dipartimento di Scienze Cliniche Silvia Poletti e
Sabrina Ferrari.
Bibliografia
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della popolazione sull’organizzazione socio-sanitaria: necessità
di un nuovo modello di assistenza continuativa. Ann Ital Med
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Riassunto
02. Schianchi T, Meschi T, Briganti A, et al. Lungodegenza postacuzie e riabilitazione estensiva: studio sul primo anno di attività di un’Unità di Lungodegenza Ospedaliera-Universitaria. Ann
Ital Med Int 2001; 16: 32-7.
Abbiamo analizzato, in un ospedale di medie-grandi dimensioni, il problema delle dimissioni difficili concepite come situazioni che necessitano di un consumo di risorse
economiche, umane ed organizzative che travalicano le potenzialità del paziente e dei suoi familiari, implicando un
coinvolgimento particolare dei servizi territoriali.
In 1 anno i casi individuati sono stati 591. Abbiamo
dimostrato che si tratta di pazienti in gran parte anziani,
quasi paritariamente maschi e femmine, per circa un quarto post-chirurgici, la cui difficoltà alla dimissione è legata soprattutto a problematiche miste sociali e sanitarie.
Essi subiscono lunghi periodi di ricovero, con molteplici
trasferimenti perché affetti da patologie gravi ed invalidanti,
in primo luogo neoplasie ed ictus cerebrale, spesso
accompagnate da altre diagnosi importanti, svariate complicanze e situazioni complesse sul piano assistenziale.
Poco più della metà ha potuto far rientro al proprio domicilio, per gli altri è stata necessaria una collocazione in strutture territoriali, soprattutto residenze sanitarie assistenziali e case protette.
Lo scarto medio di tempo intercorso tra la data di dimissibilità indicata dal medico ospedaliero e la data effettiva di dimissione è stato di circa 10 giorni, con un complesso di giornate “improprie” trascorse in ospedale pari
a 6106 nel corso di 1 anno.
In conclusione il fenomeno delle dimissioni difficili è oggi un problema attuale che va affrontato con un nuovo modello organizzativo di assistenza continua ed integrata.
03. Carbonin PU, Bernabei R. Non autosufficienza dell’anziano,
strategie operative e Sistema Sanitario Nazionale a confronto.
Milano: Vita e Pensiero, 1990.
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Smith Kline, 1999: 7-11.
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Manoscritto ricevuto il 2.1.2004, accettato il 15.4.2004.
Per la corrispondenza:
Prof. Loris Borghi, Dipartimento di Scienze Cliniche, Università degli Studi, Ospedale Maggiore, Via Gramsci 14, 43100 Parma.
E-mail: [email protected]
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