TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01
CAP. 26 PROPRIETÀ DEI MATERIALI POLIMERICI TERMOPLASTICI
26
CAPITOLO
26
PROPRIETÀ DEI MATERIALI POLIMERICI
TERMOPLASTICI
l'allungamento, la tenacità, ecc. A differenza degli altri
materiali, tuttavia, a causa della particolare struttura
molecolare, queste caratteristiche risultano sensibilmente
influenzate da variazioni anche limitate di temperatura e
di velocità di sollecitazione. Inoltre, polimeri
apparentemente simili possono presentare comportamenti
fortemente differenziati. La Figura 26.1 mostra le curve
sforzo-deformazione di un polimero fragile, di un
polimero tenace e di un elastomero. Nel primo caso il
materiale si mantiene essenzialmente elastico fino a
rottura, che avviene a deformazioni limitate, generalmente
di poche unità percentuali. Nel secondo caso il polimero,
dopo un primo tratto di deformazione elastica, mostra
snervamento, a cui corrisponde deformazione plastica
dovuta a scorrimento e orientazione delle catene
molecolari;
la
deformazione
plastica
avviene
sostanzialmente a volume costante, a meno di fenomeni di
cristallizzazione sotto stiro. In alcuni polimeri impiegati a
temperature superiori a Tg, il tratto elastico può essere
molto limitato o assente, così che già piccole
sollecitazioni determinano scorrimento plastico del
polimero. Nel caso degli elastomeri, la deformazione è
sostanzialmente elastica, totalmente recuperabile. I
polimeri termoplastici, amorfi o cristallini, presentano i
comportamenti mostrati dalle prime due curve.
Sinossi
N
el Cap. 21 sono state presentate le principali
tipologie di configurazioni molecolari e
morfologiche presenti nei polimeri. Si è visto che
materiali polimerici formati da catene, lineari o
ramificate, distinte le une dalle altre sono definiti
termoplastici, in quanto è possibile portarli a
rammollimento per semplice riscaldamento al di sopra
della temperatura di transizione vetrosa o di fusione.
In questo capitolo vengono discusse le proprietà
generali, e in particolare meccaniche, dei polimeri
termoplastici,
evidenziando
alcune
importanti
differenze di comportamento rispetto ai materiali
metallici e ceramici. Vengono inoltre indicati i
principali additivi utilizzati per modificarne le
caratteristiche.
26.1 Il comportamento meccanico dei
polimeri termoplastici
I
l comportamento meccanico dei polimeri viene
descritto sulla base di misure e caratteristiche
analoghe a quelle utilizzate per la valutazione dei
materiali metallici e ceramici. Mediante prove
meccaniche vengono quindi definiti il modulo elastico,
il carico di snervamento, il carico di rottura,
La Figura 26.2 mostra le curve sforzo-deformazione di un
materiale termoplastico amorfo (PMMA) a diverse
temperature. Si nota la forte modifica di comportamento a
Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza
autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.
G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini
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fronte di una variazione nelle condizioni di
temperatura. Simili modifiche di comportamento si
osservano a fronte di variazioni nella velocità di
sollecitazione: un polimero che si presenta tenace a
seguito di lenta deformazione può risultare fragile se
sollecitato rapidamente (ad esempio a seguito di
impatto).
CAP 21 – I MATERIALI POLIMERICI. STRUTTURA MOLECOLARE E CARATTERISTICHE
molto inferiori a quelli dei metalli e dei ceramici. Anche i
meccanismi di deformazione e cedimento sono
sensibilmente diversi, in quanto non sono legati a
movimento di dislocazioni o a scorrimenti di piani
cristallini. Nei polimeri termoplastici, i meccanismi di
deformazione plastica e rottura sono riconducibili allo
scorrimento tra molecole o parti di molecole. Questo può
avvenire secondo due modalità caratteristiche: lo
scorrimento a taglio (shear yielding) e il crazing.
Entrambi i meccanismi comportano grandi deformazioni
molecolari, anche se con caratteristiche diverse.
Figura 26.1 – Esempi di curva sforzo-deformazione di
diversi polimeri.
Figura 26.3 – Deformazione di un provino in polimero
termoplastico durante una prova di trazione
Figura 26.2 – Curve sforzo-deformazione di PMMA a
diverse temperature
Nei polimeri termoplastici duttili, ed in particolare in
quelli semicristallini, lo snervamento è inizialmente
localizzato in un punto, in cui il materiale riduce la sua
sezione (strizione) e in cui la deformazione è massima;
l'orientazione delle catene che ne consegue determina
un aumento della resistenza locale, così che, con il
procedere dell'allungamento totale, la zona di strizione
si
estende
progressivamente.
Nei
polimeri
semicristallini, l’aumento di cristallinità conseguente
all’orientamento nelle zone di strizione incrementa
ulteriormente la resistenza locale. La Figura 26.3
mostra la modalità di deformazione di un provino di
polimero durante una prova di trazione.
I valori caratteristici di modulo elastico, di resistenza a
snervamento e rottura dei polimeri sono generalmente
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La deformazione per scorrimento a taglio permette spesso
ampie deformazioni plastiche e comporta variazioni nella
conformazione delle molecole permanenti o con tempi di
recupero molto lunghi, e pertanto che possono essere
considerate permanenti. Lo scorrimento, durante lo
snervamento, è localizzato in una zona del materiale, dove
si vengono a formare bande di taglio (shear bands) e
conseguente strizione. Successivamente, le bande di taglio
possono rimanere localizzate con minore duttilità del
materiale, oppure estendersi a un ampio volume, con
grande assorbimento di energia di deformazione e
tenacità.
Il criterio di cedimento per limite di deformazione plastica
a taglio è derivato dal criterio di Von Mises. Si ricorda,
infatti, che questo criterio, applicabile nel caso di metalli
duttili, individua come limite di cedimento per
snervamento il raggiungimento di un valore critico per
l’energia elastica di distorsione a taglio nel materiale e
viene ricondotto all’espressione di un valore critico per lo
sforzo di taglio ottaedrale oct:
oct 
(1   2 ) 2  (1  3 ) 2  ( 2  3 ) 2
3
 0
1,2,3 sono gli sforzi principali, 0 è lo sforzo di
snervamento a taglio: il cedimento per snervamento
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avviene quando lo sforzo ottaedrale supera il valore 0.
Nel caso dei materiali metallici cristallini, la presenza
di sforzi normali ai piani di scorrimento a taglio non
induce importanti modifiche nel criterio di resistenza.
A differenza che in una vera cricca, nel craze fibrille di
polimero altamente stirato ed orientato collegano le facce
di apertura. La Figura 26.5 mostra una fotografia al
microscopio elettronico a scansione di un craze.
Nel caso dei polimeri, invece, gli sforzi normali
inducono variazioni di densità e di distanza
intermolecolare che hanno un significativo effetto sul
valore dello sforzo critico di cedimento a taglio.
Le fibrille sono costituite da polimero fortemente
orientato con diametro dell’ordine di poche centinaia di
angstrom e lunghezza dell’ordine del migliaio di angstrom
(0,1 m). La presenza di queste fibrille consente alle facce
del craze di sostenere carichi anche di parecchi MPa, a
differenza delle cricche vere e proprie, in cui le facce sono
necessariamente scariche. Tra le fibrille si trova dello
spazio vuoto: la formazione di craze è associata ad
aumento di volume. Poiché la formazione di pochi craze
spesso prelude all’attivazione di una cricca, il
comportamento macroscopico del materiale risulta
generalmente di tipo fragile; la deformazione plastica
risulta globalmente molto limitata anche se, a livello
locale, delle singole fibrille, il polimero risulta fortemente
deformato.
In questo caso il raggiungimento di una condizione
critica avviene quando:
oct  0  m
dove m è lo sforzo normale e  è un coefficiente di
attrito interno; la presenza di sforzi di trazione normali
aumenta la distanza molecolare, favorendo lo
scorrimento e riducendo lo sforzo critico di cedimento
(Figura 26.4). Lo sforzo di snervamento 0 e il
coefficiente  dipendono dal materiale; quest’ultimo
esprime la dipendenza della resistenza a taglio dagli
sforzi normali, indica cioè l’influenza della variazione
di densità sulla mobilità molecolare.
Figura 26.5 – Micrografia SEM di un craze in polistirene.
Figura 26.4 – Criterio di cedimento per formazione di
bande di taglio
Le presenza di orientamento preesistente, ad esempio
indotto durante le operazioni tecnologiche, favorisce in
genere la deformazione plastica a taglio. La
deformazione a taglio, a meno di variazioni di
cristallinità, avviene essenzialmente a volume
costante.
Molti materiali polimerici vetrosi presentano un
diverso meccanismo di deformazione e cedimento, il
crazing. In genere il fenomeno del crazing è associato
a comportamento fragile del materiale, in quanto
consente una deformazione globale generalmente
limitata. In realtà la formazione di craze è ancora un
fenomeno di deformazione plastica, ma questa rimane
fortemente localizzata. Spesso la formazione e
propagazione di una cricca è preceduta da craze.
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La modalità di deformazione e snervamento che si genera
in un polimero dipende dal bilancio di diversi fattori. La
presenza di difetti localizzati e lo stato di sforzo che ne
consegue (inclusioni, vuoti, microcricche) determina la
presenza di stati tensionali caratteristici. La mobilità di
segmenti molecolari dipende dalle energie di barriera, da
conformazioni
locali,
dall’ambiente
molecolare
circostante. Se un difetto locale genera uno stato di
snervamento che si sviluppa in un craze, in una banda di
taglio localizzata o genera deformazione plastica estesa in
tutto il materiale, dipende dallo stato di sforzo esterno,
dalla mobilità segmentale, dallo stato tensionale locale,
dalla distribuzione e severità dei difetti. Esistono quindi
materiali che hanno tendenza a formare shear yielding e
altri che tendono a cedere per crazing; esistono situazioni
di sforzo che favoriscono la deformazione a taglio e altre
che inducono craze.
Lo shear yielding non comporta deformazioni
volumetriche ed è quindi favorito da stati di sforzo uni o
multiassiali, che tuttavia non inducono sensibili stati di
trazione pluriassiale (ad esempio idrostatica). Viceversa,
la formazione di craze comporta aumento di volume e
generazione di vuoti: è favorito da stati di trazione
pluriassiale, come avviene, ad esempio, all’apice di una
cricca.
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I TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver.00
Il criterio di cedimento nel caso di formazione di craze
è espresso come:
 b  1   2  A(T) 
CAP 21 – I MATERIALI POLIMERICI. STRUTTURA MOLECOLARE E CARATTERISTICHE
ambientale possono favorire l’insorgenza di craze; stati di
sollecitazione di compressione la sfavoriscono.
B(T)
I1
dove I1 = 1 +23 è l’invariante primo, 1,2,3 sono
gli sforzi principali, A e B sono costanti del materiale
dipendenti dalla temperatura.
Le differenti modalità di deformazione a livello
molecolare sono illustrate nella Figura 26.6. Mentre il
cedimento per taglio può avvenire anche per
sollecitazione di compressione, la formazione di craze
richiede la presenza di sforzi tensili. Per stati di
sollecitazione biassiale, i due criteri possono essere
rappresentati su un piano 1 -2, al fine di individuare
la modalità di cedimento prevista. La Figura 26.7
mostra i due criteri nel caso di un materiale (ad
esempio PMMA) che può presentare entrambe le
modalità di cedimento per diverse condizioni di carico.
Quando lo stato di sforzo (1 e2) raggiunge le curve
che indicano l’insorgenza di craze o di shear yielding
si instaurano condizioni critiche. La Figura 26.8
rappresenta la zona allargata del grafico 1 -2 nel
secondo quadrante. Nelle zone A ed E non si ha la
formazione di craze o di cedimento a taglio; nelle zone
C e F esiste la possibilità di solo snervamento a taglio;
nella zona B si ha possibilità di solo craze; nella zona
D c’è cedimento sia per craze che per shear yielding.
Ipotizzando una sollecitazione di semplice trazione
(aumentando2) si osserva che, per il materiale
rappresentato in figura, viene raggiunta prima la
condizione di formazione di craze: il materiale sarà
tendenzialmente fragile.
Figura 26.7 – Rappresentazione grafica dei criteri di
resistenza.
Figura 26.8 – Rappresentazione dei criteri di resistenza nel
secondo quadrante.
La Figura 26.9 può rappresentare un materiale con scarsa
tendenza a formare craze, ad esempio per effetto della
sovrapposizione di uno stato di compressione idrostatica:
si osserva una generale minore facilità al cedimento per
craze; il materiale avrà comportamento tendenzialmente
duttile.
Figura 26.6 – Modalità di deformazione nella
formazione di craze (sopra) e di shear yielding (sotto).
La diversa tendenza a formare craze dipende dal
materiale, dallo stato di sollecitazione, dalle condizioni
ambientali: il contatto con solventi e l’invecchiamento
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La trasformazione di uno o pochi craze in cricca
determina la rottura fragile del materiale. Nella realtà i
due meccanismi possono coesistere ed interagire tra loro:
la presenza di craze può attivare la formazione di bande di
taglio o viceversa, con meccanismi di cedimento misti che
permettono un maggiore assorbimento di energia di
deformazione e migliore tenacità e duttilità (Figura 26.10).
L'attivazione e la propagazione di craze può essere
fortemente accelerata per effetto della diffusione di
solventi e umidità o a seguito di invecchiamento e
ossidazione ambientale. Il contatto con solventi quali
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CAP 21 – I MATERIALI POLIMERICI. STRUTTURA MOLECOLARE E CARATTERISTICHE
fluidi di processo, combustibili, oli lubrificanti, può
aumentare la mobilità molecolare, favorendo la nascita
di fibrille e craze anche in materiali altrimenti tenaci. Il
policarbonato, ad esempio, duttile e tenace in
condizioni normali, può diventare sensibilmente
fragile e generare craze per contatto con alcoli o altri
solventi (Figura 26.11).
Figura 26.11 – Immagine di diversi craze nel policarbonato.
Figura 26.9 – Criteri rappresentativi di un materiale.
Figura 26.10 - Interazione mutua tra craze e bande di
taglio durante la deformazione
D'altra parte il processo di formazione e propagazione
di craze può essere sfruttato per migliorare
sostanzialmente la tenacità del polimero. L’attivazione
di craze e/o bande di scorrimento diffusi in tutto il
volume del materiale, anziché localizzati, può
aumentare in modo molto significativo l'assorbimento
di energia di deformazione. Questo concetto è alla
base dei meccanismi di tenacizzazione di polimeri
fragili mediante l’aggiunta di gomme. La Figura 26.12
mostra una micrografia TEM di ABS in cui si notano
le particelle in gomma disperse nella matrice stirenica.
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Figura 26.12 – Micrografia al microscopio elettronico TEM
di ABS.
La presenza di particelle disperse nel materiale introduce
concentrazioni di sforzo che alterano lo stato tensionale
locale. Particelle in gomma disperse in un materiale
rigido, sollecitato a trazione, generano concentrazioni di
sforzo di trazione tripla in prossimità della zona
equatoriale delle particelle che si propagano radialmente
(o in direzione normale alla deformazione principale
massima). I craze che si formano in corrispondenza di
ogni particella propagano fino all’intersezione con
un’altra particella vicina, o con altri craze o con bande di
scorrimento. L’aumento del volume interessato dalla
formazione di craze o bande di scorrimento consente un
forte aumento dell’energia di deformazione assorbita. La
Figura 26.13 mostra una micrografia TEM di craze che si
propagano e terminano in corrispondenza di particelle in
gomma; si osserva che le particelle di gomma,
inizialmente sferiche, risultano fortemente deformate.
L’effetto della tenacizzazione con gomma sul
comportamento meccanico è ben rappresentato in Figura
26.14, che mostra le curve sforzo deformazione di
polistirene, fragile, e polistirene antiurto (HIPS),
tenacizzato con gomma.
Anche bande di scorrimento diffuse possono essere
attivate dalla presenza di particelle elastomeriche, sebbene
il loro effetto sia solitamente simultaneo al crazing.
Materiali che presentano formazione sia di crazing che
shear band sono ad esempio ABS e PVC. Particelle
elastomeriche modificano lo stato tensionale, creando
zone localizzate con elevato oct e consentendo
l’attivazione di bande di scorrimento che interferiscono
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I TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver.00
con la propagazione di craze. La dimensione delle
particelle
ha
un’importanza
determinante
sull’attivazione/propagazione di craze o shear band.
Particelle troppo piccole non sono in grado di attivare
o terminare craze. Particelle troppo grandi attivano
pochi craze. L’attivazione di bande di taglio avviene
generalmente con particelle di dimensioni inferiori. La
Tabella 26.1 riporta le dimensioni critiche delle
particelle e i meccanismi di cedimento osservati in
diversi materiali tenacizzati con gomma.
CAP 21 – I MATERIALI POLIMERICI. STRUTTURA MOLECOLARE E CARATTERISTICHE
Anche particelle rigide possono attivare craze e shear
band, anche se il loro effetto è normalmente molto più
limitato rispetto a particelle in gomma.
Tabella 26.1 – Meccanismi di tenacizzazione con gomma in
alcuni polimeri
HIPS
SAN
PMMA
PVC
Diametro critico
(m)
2,5
0,75
0,25
0,1
Nylon
0,1
26.2 Caratteristiche
termoplastici
Meccanismi di
cedimento
Crazing
Crazing + shear yield.
Crazing + shear yield.
Shear yield. + poco
crazing
Shear yield. + poco
crazing
fisiche
dei
polimeri
I
Figura 26.13 - Micrografia TEM di craze in
corrispondenza di particelle in gomma in un polimero
tenacizzato con gomma. Le particelle di gomma
risultano deformate per la sollecitazione applicata.
Figura 26.14 – Curve sforzo-deformazione di PS e HIPS
a 20 °C.
L’adesione tra particelle e matrice, la distanza
interparticellare, la quantità, sono altri fattori che
influenzano l’efficienza di tenacizzazione delle
particelle. Il contenuto di gomma utilizzato per
ottimizzare le caratteristiche meccaniche è solitamente
compreso nel range 7 - 15 %.
G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini
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n molte applicazioni, l'impiego dei materiali polimerici
è suggerito dalle loro proprietà chimico-fisiche,
termiche, ottiche, elettriche, ecc. Queste caratteristiche
dipendono sia dalla chimica della molecola che dalla
struttura morfologica (cristallinità, orientamento, ...). In
generale i polimeri sono caratterizzati da densità piuttosto
basse, inferiori o poco superiori a quella dell'acqua.
Alcuni materiali polimerici contenenti elementi
relativamente pesanti nella catena posso presentare densità
maggiori; ad esempio diversi polimeri fluorurati
possiedono densità superiori a 2 g/cm3. Nei polimeri
semicristallini, la densità è un indice della cristallinità in
quanto la fase cristallina, più compatta, presenta densità
superiore alla fase amorfa.
I polimeri, con alcune particolari eccezioni, sono cattivi
conduttori di elettricità e calore con valori dei coefficienti
di conducibilità termica ed elettrica normalmente inferiori
di molti ordini di grandezza rispetto ai metalli; trovano per
questo diffusi utilizzi come isolanti elettrici e termici. Per
impieghi ove sia richiesta conducibilità elettrica, come ad
esempio in schermature da onde elettromagnetiche
(scatole di contenimento di elettrodomestici, computer,
motori elettrici, componenti elettronici, ecc.), le
caratteristiche di conducibilità possono essere modificate
con l'aggiunta di cariche conduttive, come grafite e fibre o
particelle metalliche. I polimeri amorfi allo stato naturale
(non colorato o caricato) sono tipicamente trasparenti,
eventualmente con leggere colorazioni; la presenza di fase
cristallina riduce la trasparenza del materiale rendendolo
traslucido o, per alti valori di cristallinità, completamente
opaco. Variazioni anche sensibili di trasparenza e di
colore possono avvenire nel tempo a seguito di
cristallizzazione lenta o di degradazione per effetto di
radiazioni UV o esposizione ad alte temperature.
La bassa densità e la cristallinità limitata o assente dei
polimeri rendono conto della elevata diffusività e
permeabilità ai gas. La diffusione di piccole molecole tra
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CAP 21 – I MATERIALI POLIMERICI. STRUTTURA MOLECOLARE E CARATTERISTICHE
le catena polimeriche è resa possibile dalla elevata
distanza intermolecolare e dalla presenza di una fase
amorfa con catene non ordinate. La diffusione di
sostanze estranee, quali gas, solventi, umidità, può
comportare rigonfiamenti, ossidazione e degradazione
con deterioramento delle caratteristiche meccaniche e
fisiche del polimero, oltre che di stabilità
dimensionale. La quantità di diffondente che può
entrare ed attraversare un setto polimerico dipende sia
dalla sua velocità di diffusione che dalla sua solubilità
nel polimero e viene espressa mediante il coefficiente
di permeabilità P, che indica il flusso di materiale che
attraversa il materiale per effetto di un gradiente di
pressione. La permeabilità P è pari al prodotto tra
solubilità (S) e diffusività (D):
P = D*S
La diffusione, la solubilità e la permeabilità sono in
generale più elevate attraverso la fase amorfa. Questo
comportamento va tenuto in considerazione nella
progettazione e nell' impiego di contenitori di liquidi e gas
in pressione, dalle bottiglie per bibite ai serbatoi in ambito
spaziale.
La Tabella 26.2 riporta le proprietà fisiche di alcuni
polimeri di largo impiego.
Tabella 26.2 – Proprietà fisiche di alcuni polimeri
Densità
(g/cm3)
LDPE
HDPE
PP
PS
PMMA
PVC
PC
PA 6,6
PET
PEEK
PTFE
Kevlar
0,92
0,96
0,90
1,05
1,19
1,35
1,20
1,14
1,35
1,30
2,17
1,43
Conduttività
termica
(W/m K)
0,33
0,48
0,12
0,13
0,20
0,17
0,20
0,24
0,15
0,25
0,25
0,04
26.3 Additivi e cariche
I
polimeri vengono raramente utilizzati allo stato puro;
additivi di diverso tipo vengono solitamente aggiunti
per facilitarne il processo o per modificarne le proprietà
meccaniche, chimiche, fisiche, in condizioni di utilizzo.
Gli additivi comunemente impiegati sono cariche o
riempitivi
(filler),
plasticizzanti,
stabilizzanti,
antiossidanti, coloranti, ritardanti di fiamma.
Le cariche sono costituite da fibre corte o particelle di
vetro, talco, nerofumo, sabbia, calcare, barite, farina di
legno e altro. Lo scopo dei filler è in genere quello di
aumentare la rigidezza, la resistenza ad usura, la stabilità
termica e dimensionale, oltre che di ridurre il costo. A
volte, come ad esempio nel caso di fibre corte e di
nerofumo, l'aggiunta della carica ha come conseguenza
anche un miglioramento della resistenza meccanica.
L'inserimento di filler rigidi, tuttavia, ha spesso come
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Resistività
elettrica
(*m)
15
10
1015
1014
1014
1013
1014
1014
1012
1012
1015
1017
Permeabilità

 3

1013  cm STP  cm  
2

cm

s

Pa

 


O2
2
0,3
1,2
1
0,05
1,4
H2O
68
9
35
840
3000
270
1400
0,03
0,1
4
130
200
5
effetto la riduzione della tenacità oltre che della fluidità
del fuso e della lavorabilità.
Gli stabilizzanti e gli antiossidanti hanno funzioni
simili, ma con effetti su scale di tempi e temperature
diversi. Gli stabilizzanti riducono la degradazione del
materiale ad alta temperatura, in condizioni di processo.
Sono costituiti da sostanze organiche che per effetto
della temperatura neutralizzano i radicali liberi che si
formano a seguito di degradazione del polimero,
generando a loro volta radicali stabili, o sottoprodotti di
degradazione. Gli stabilizzanti si consumano durante i
processi di trasformazione del materiale.
Gli antiossidanti e gli anti-UV rallentano la
degradazione ambientale nel tempo, riducendo gli effetti
ossidativi e degradativi di ossigeno, ozono, radiazioni
UV, calore, campi elettrici, ecc. durante la vita in
servizio del materiale.
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I TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver.00
I plasticizzanti sono in genere sostanze a basso peso
molecolare completamente o parzialmente solubilizzate.
La loro presenza provoca un aumento della distanza
intermolecolare e di conseguenza della mobilità delle
catene polimeriche; il materiale riduce la sua Tg e la sua
rigidezza, flessibilizzandosi. Lo scopo dei plasticizzanti
è quindi quello di aumentare la duttilità e la plasticità del
materiale e/o di allargare il campo di temperatura in cui
mantiene caratteristiche elastomeriche. La Figura 26.15
mostra il modulo di taglio (G) in funzione della
temperatura del PVC con diversi contenuti di
plasticizzante. Si osserva che, all'aumentare del
elasticizzante, si riduce la temperatura di transizione
vetrosa da 90 °C fino a temperature inferiori a -50 °C.
Questo consente di ottenere un materiale con
caratteristiche elastomeriche, flessibile e deformabile
anche a temperature molto basse. Materiali termoplastici
plasticizzati sono spesso impiegati nella produzione di
film, tubazioni, guarnizioni di tenuta.
La maggior parte dei polimeri è intrinsecamente
combustibile e non risponde ai requisiti di resistenza al
fuoco imposti dalle normative per i materiali di impiego
aeronautico, ma in generale anche per impieghi nel
campo dei veicoli terrestri o delle costruzioni civili. Per
queste applicazioni, i polimeri vengono additivati con
ritardanti di fiamma, costituiti da sostanze in grado di
interferire con il processo di combustione, rallentandone
la velocità. Sono spesso costituiti da sostanze che
generano gas (cloro, fluoro, bromo) per decomposizione
ad alta temperatura, oppure cariche quali idrossido di
alluminio o magnesio in grado di sopprimere la
combustione. Poiché i prodotti di degradazione termica
dei ritardanti sono di solito tossici a loro volta, in campo
aeronautico sono generalmente impiegati materiali
polimerici intrinsecamente resistenti alla fiamma.
Un problema nell’uso di additivi, e plasticizzanti in
particolare, è legato alla loro possibilità di diffusione. Le
sostanze a basso peso molecolare possiedono alta
capacità di diffusione all'interno del materiale ospite e
possono pertanto migrare verso la superficie, dove
vengono asportati per effetto degli agenti ambientali. La
continua asportazione ne varia il contenuto nel tempo e,
nel caso dei plasticizzanti, si osserva irrigidimento e
infragilimento del materiale con l'invecchiamento.
Inoltre i plasticizzanti o altri additivi che raggiungono la
superficie possono diffondere all'interno di eventuali
altri elementi polimerici a contatto, con possibili effetti
diversi: il plasticizzante può indurre crazing o,
viceversa, flessibilizzare il materiale a contatto; può
modificare le proprietà di attrito superficiale o agire su
giunti incollati, indebolendo l'interfaccia con l'adesivo, e
provocando il cedimento. Nelle applicazioni in alto
vuoto, ad esempio nello spazio, i plasticizzanti in
superficie possono vaporizzare (outgassing) per poi
condensare su altri componenti, contaminandoli; questi
aspetti saranno discussi in un capitolo successivo.
G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini
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CAP 21 – I MATERIALI POLIMERICI. STRUTTURA MOLECOLARE E CARATTERISTICHE
Figura 26.15 – Andamento del modulo di taglio G in
funzione della temperatura al variare del contenuto di
plasticizzante nel PVC.
Bibliografia
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Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano
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Capitolo 26