La radioattività - Un’introduzione L’ATOMO E IL NUCLEO Mediante celebri esperimenti condotti all’inizio del secolo scorso sotto la guida di Ernest Rutherford è stato stabilito che l’atomo è composto di un nucleo di carica positiva e da elettroni legati al nucleo dalla forza coulombiana. Si è anche stabilito che il nucleo è tipicamente 105 volte più piccolo dell’atomo. Nel 1932 con la scoperta del neutrone parte di Chadwick si è definitivamente stabilito che il nucleo è composto da un numero di protoni pari al numero di elettroni ed un certo numero di neutroni, particelle neutre di che differiscono in massa dai protoni per meno dell’1%. Le caratteristiche chimiche delle sostanza dipendono dal numero di protoni (numero atomico Z), il numero di neutroni + il numero di protoni è il numero di massa A. Si chiamano isotopi sostanze con lo stesso Z e diverso A. I protoni di un nucleo si respingono a causa della forza elettrica inversamente proporzionale al quadrato della distanza che è molto piccola ed i neutroni dovrebbero andarsene liberi. Oltre alle forze studiate dalla fisica classica e che agiscono su scala macroscopica (forza gravitazionale ed elettromagnetica), deve esistere un’altra forza fondamentale, che agisce su scala microscopica, capace di tenere insieme i nucleoni (protoni e neutroni) all’interno del nucleo. Le forze nucleari hanno però un raggio d’azione molto piccolo, poco più grande del raggio di un nucleo relativamente piccolo. Il nucleo è tenuto assieme da una forza che a parità di distanza è molto più forte della forza elettrostatica e per questo viene definita interazione forte. Un’importante indicazione sull’andamento di questa forza è data dai valori delle masse dei vari nuclei che, sperimentalmente, risultano sempre leggermente inferiori alla somma delle masse delle particelle, protoni e neutroni, che li compongono. La massa di un nucleo, dunque, è inferiore alla massa dei costituenti; dette, infatti, mp e mn le masse del protone e del neutrone, m la massa di un nucleo, Z ed N il numero di protoni e neutroni rispettivamente, si ha: m = Z ⋅ m p + N ⋅ mn + Δm , dove Δm è una quantità negativa detta difetto di massa che trova la sua spiegazione nella teoria della relatività. Il difetto di massa è legato alla energia che tiene assieme neutroni e protoni dalla relazione di Einstein E = mc2 dove m è in realtà il E difetto di massa e c la velocità della luce. Si ha: Δm = − 2 perciò il difetto di massa è uguale in c valore assoluto alla massa della sua energia di legame. Per quanto riguarda l’interazione forte, sperimentalmente, si vede che protoni e neutroni sono indistinguibili: l’interazione elettromagnetica e l’interazione forte devono pertanto agire in modo del tutto indipendente (principio di indipendenza dalla carica dell’interazione nucleare). Studiando l’andamento dell’energia di legame per il singolo nucleone in funzione della massa dei vari nuclei si vede che tale energia, data dal rapporto E/A, corrisponde in media al lavoro necessario per separare un singolo nucleone dal resto del nucleo. L’energia di legame per nucleone cresce rapidamente andando dai nuclei più leggeri ai nuclei con massa intorno a 50<A<100, intervallo in cui raggiunge il valore massimo, che è di circa 8.7 MeV per nucleone, e diminuisce lentamente andando verso i nuclei più pesanti. Il basso valore dell’energia di legame per nucleone nel caso di nuclei molto leggeri si spiega con il fatto che ciascun nucleone trova attorno a sé pochi nucleoni con i quali interagire fortemente. La diminuzione di tale energia nel caso di nuclei pesanti si spiega invece ammettendo che il raggio d’azione della forza forte sia molto breve, ossia inferiore alle dimensioni di un nucleo di massa media. Ciò spiega perché, al crescere del numero di massa A, e quindi col progressivo diminuire dell’energia di legame, i nuclei diventino via via più instabili e come in natura non possano esistere nuclei il cui peso superi un certo valore (quello dell’Uranio). LA RADIOATTIVITA’ La scoperta della radioattività è dovuta al fisico Henri Becquerel il quale, durante i suoi studi sul fenomeno della fosforescenza, si accorse che sali di Uranio erano in grado di impressionare una lastra fotografica protetta dalla luce. Il fenomeno fu ulteriormente studiato da Marie Curie, Pierre Curie, Ernest Rutherford ed altri. Rutherford classificò la radiazione in termini di potere di penetrazione in alfa, beta, gamma. La radioattività è il fenomeno per cui alcuni nuclei, non stabili, si trasformano in altri emettendo particelle. La radioattività non è stata inventata dall'uomo, anzi, al contrario, l'uomo è esposto alla radioattività fin dal momento della sua apparizione sulla Terra. La radioattività è antica quanto l’Universo ed è presente ovunque: nelle Stelle, nella Terra e nei nostri stessi corpi. Per la loro capacità di impressionare lastre fotografiche, elementi come l’uranio, il radio e il polonio (gli ultimi due scoperti proprio da Pierre e Marie Curie) vennero denominati “attivi” e il fenomeno di emissione di particelle venne detto radioattività. Da allora sono stati identificati quasi 2500 specie di nuclei differenti e di essi solo una piccola percentuale, circa 280, sono stabili. Gli isotopi presenti in natura sono quasi tutti stabili. Tuttavia, alcuni isotopi naturali, e quasi tutti gli isotopi artificiali, presentano nuclei instabili, a causa di un eccesso di protoni e/o di neutroni. Tale instabilità provoca la trasformazione spontanea in altri isotopi, e questa trasformazione si accompagna con l'emissione di particelle. Questi isotopi sono detti isotopi radioattivi, o anche radioisotopi, o anche radionuclidi. La trasformazione di un atomo radioattivo porta alla produzione di un altro atomo, che può essere anch'esso radioattivo oppure stabile. Essa è chiamata disintegrazione o decadimento radioattivo. Il tempo medio che occorre aspettare per avere tale trasformazione può essere estremamente breve o estremamente lungo. Esso viene detto “vita media” del radioisotopo e può variare da frazioni di secondo a miliardi di anni (per esempio, il potassio-40 ha una vita media di 1.8 miliardi di anni). Un altro tempo caratteristico di un radioisotopo è il “tempo di dimezzamento”, ovvero il tempo necessario affinché la metà degli atomi radioattivi inizialmente presenti subisca una trasformazione spontanea. Esistono tre diversi tipi di decadimenti radioattivi, che si differenziano dal tipo di particella emessa a seguito del decadimento. Le particelle emesse vengono indicate col nome generico di radiazioni. Radioattività α I nuclei di Elio, particelle alfa, hanno una energia di legame particolarmente alta il che rende più probabile la fuoriuscita di una particella α da un nucleo, in particolare se il nucleo è pesante ed esteso e viene deformato da un suo moto interno. L’emissione di particelle α è un fenomeno che non si può spiegare con la meccanica classica. La particella α all’interno del nucleo non ha comunque infatti l’energia sufficiente per uscirne. La situazione è simile a quella di una pallina all’interno di una scodella con una energia insufficiente a superare la differenza di energia potenziale che le impedisce di uscire. La meccanica quantistica invece permette di calcolare la probabilità di fuoriuscita. Alla luce di quanto detto sull’interazione forte, il decadimento α appare come un processo di stabilizzazione del nucleo, il quale, trasformandosi in un altro nucleo di massa inferiore di quattro unità per ogni particella α emessa, finisce per raggiungere una condizione di stabilità in corrispondenza della quale il decadimento si arresta. MODELLO ONDULATORIO DI RADIOATTIVITA’ α Le particelle escono come passando attraverso un tunnel sotto la barriera di potenziale. Secondo la meccanica classica la particella dovrebbe avere una energia superiore a 25 MeV per uscire dal nucleo. Decadimenti β Il decadimento con emissione di elettroni è ancora più complesso ed è dovuto ad una forza detta debole responsabile della trasmutazione di un neutrone all’interno di un nucleo in un protone − secondo lo schema di decadimento: n → p + e + υ e L’ultima particella indicata si chiama neutrino ed ha una massa talmente piccola da non essere stata rilevata finora. Compreso perché un nucleo contenente troppi protoni non può essere stabile, restano senza risposta altre due questioni: perché non esistono nuclei stabili contenenti un numero di neutroni molto più alto del numero di protoni? Se il nucleo è composto soltanto di protoni e di neutroni, da dove vengono gli elettroni che costituiscono le particelle β? La teoria del decadimento β risponde ad entrambe le domande. Poiché in seguito al decadimento β, il numero Z aumenta di una unità, mentre il numero di massa resta invariato, è naturale pensare che tale processo sia il risultato della trasformazione di un neutrone in un protone, accompagnato dall’emissione di un elettrone. Questa trasformazione non va intesa semplicemente come la separazione di un protone e di un elettrone inizialmente uniti, ma come una vera e propria reazione nel corso della quale al posto del neutrone iniziale compare una coppia protone-elettrone. Delle due nuove particelle il protone resta confinato nel nucleo grazie all’interazione forte, mentre l’elettrone, che non interagisce fortemente, se è dotato di energia cinetica sufficiente, può vincere l’attrazione elettrostatica del nucleo e venire espulso come particella β. L’analisi dei dati sperimentali mostra però che il neutrone, il protone e l’elettrone non possono essere gli unici responsabili del decadimento β. A differenza di quanto avviene con le particelle α emesse da una sostanza radioattiva, le quali posseggono sempre una energia cinetica ben definita, l’energia delle particelle β provenienti da un certo campione di materiale radioattivo può assumere qualsiasi valore compreso tra zero ed un certo valore massimo che dipende dalla natura del nucleo emittente. Per far quadrare il bilancio dell’energia e della quantità di moto, Pauli nel 1933 ipotizzò che insieme all’elettrone venisse emessa un’altra particella che avrebbe dovuto trasportare esattamente l’energia e la quantità di moto mancanti; tale particella avrebbe dovuto essere neutra, in accordo con la legge di conservazione della carica e la sua massa avrebbe dovuto essere molto piccola, forse anche nulla ma comunqu molto inferiore a quella dell’elettrone. Fermi sviluppò per intero la teoria e chiamò − neutrino la particella ipotizzata da Pauli.indicati con υ e υ rispettivamente il neutrino e l’antineutrino, il decadimento β del neutrone può venire descritto attraverso una delle due reazioni − seguenti: n → p + e − + υ , o n + υ → p + e − , l’assorbimento da parte del neutrone di un neutrino è del tutto equivalente all’emissione della sua antiparticella, l’antineutrino (in accordo con la teoria di Dirac). Il decadimento β può essere pensato come l’effetto dell’”urto” fra un neutrone e un neutrino; in altre parole, “bombardando” un neutrone con fasci di neutrini si dovrebbe riuscire a “spezzarlo” in una coppia protone-elettrone. Poiché la vita media di un neutrone isolato è dell’ordine di 103 s, che è un tempo estremamente lungo rispetto alle vite medie delle altre particelle instabili, si deve concludere che l’”urto” neutrone-neutrino è un fenomeno estremamente raro. Si calcola infatti che per avere una buona probabilità di “urtare” un neutrone con un neutrino, occorre che questo attraversi uno strato di materia spesso 3x1019 m, un distanza che è pari a un decimo delle dimensioni della nostra galassia; per questo fatto l’interazione neutrone-neutrino che da origine al decadimento β venne chiamata interazione debole. Decadimento γ I decadimenti γ sono analoghi alla emissione di luce da parte di atomi ma la transizione è tra livelli energetici dei nuclei piuttosto che tra livelli energetici dell’atomo (elettroni). Di conseguenza l’energia tipica dei raggi dei raggi γ è dell’ordine del MeV piuttosto che dell’ordine degli eV. A tutt’oggi l’estrema complessità delle forze nucleari non permette di prevedere l’energia dei raggi γ. Origine della radioattività Gli isotopi radioattivi possono avere origine naturale o artificiale. Tuttavia non bisogna pensare che la radioattività naturale e quella artificiale siano fenomeni diversi, in quanto il processo fisico alla base è lo stesso per entrambe. I radioisotopi naturali hanno avuto origine al centro delle stelle, tramite reazioni nucleari o durante le esplosioni di Supernovae. Alcuni di questi nuclei, come il potassio-40 (40K), il torio-232 (232Th) e l’uranio-235/238 (235U / 238U) sono attivi ancora oggi, in quanto il loro tempo di dimezzamento è di vari miliardi di anni. La misura dell’abbondanza residua di questi isotopi sulla Terra permette di risalire all’età del nostro pianeta, che è calcolata in 4.5 miliardi di anni. Altri nuclei radioattivi si sono formati in seguito alle interazioni dei raggi cosmici con alcuni elementi. Si parla allora di nuclei di origine cosmogenica. Alcuni esempi sono il carbonio-14, prodotto dall’interazione dei raggi cosmici con l’azoto dell’atmosfera, il berillio-10 e il cobalto-58, che si sviluppa in qualsiasi pezzo di rame esposto ai raggi cosmici. I nuclei radioattivi artificiali sono stati creati in laboratorio o nei reattori nucleari. La radioattività è un fenomeno naturale: per questo motivo qualsiasi cosa sulla Terra, inclusi i nostri corpi, contiene una certa percentuale di elementi radioattivi. La radioattività nell’aria è dovuta alla presenza del Radon (Rn). Questo elemento viene prodotto dal decadimento dell’uranio e del torio, che si trovano in moltissimi materiali, soprattutto nelle rocce. Essendo gassoso, il radon riesce ad “evaporare” diffondendosi nell’aria. In un m3 di aria in un edificio chiuso avvengono in media 30 decadimenti di radon al secondo. Un altro protagonista della radioattività naturale è il Potassio-40, che è presente nel nostro corpo e in generale nella materia biologica, nei cibi, nella crosta terrestre e nell’acqua di mare. Per esempio, in un corpo umano si hanno circa 5000 decadimenti di 40K al secondo. La radioattività, inoltre, è responsabile del calore interno della Terra. L'unità di misura della radioattività è il becquerel (Bq). 1 Bq corrisponde a 1 disintegrazione al secondo. Poiché questa unità di misura è assai piccola, la radioattività si esprime molto spesso in multipli di Bq: il kilo-becquerel (kBq) = 103 Bq, il Mega-becquerel (MBq) = 106 Bq e il Gigabecquerel (GBq) = 109 Bq. L'unità di misura usata in precedenza era il Curie (Ci) definita come la quantità di radioattività presente in un grammo di radio. Questa unità è immensamente più grande del Bq, perché in un grammo di radio avvengono 37 miliardi di disintegrazioni al secondo. Perciò:1 Ci = 37 GBq = 37 miliardi di Bq. Le radiazioni prodotte dai radioisotopi interagiscono con la materia con cui vengono a contatto, trasferendovi energia. Tale apporto di energia, negli organismi viventi, produce una ionizzazione delle molecole: da qui la definizione di radiazioni ionizzanti. La dose di energia assorbita dalla materia caratterizza questo trasferimento di energia. Gli effetti possono essere irrilevanti o più o meno dannosi, a seconda della dose di radiazioni ricevuta e del tipo di radiazioni. L'unità di misura della dose assorbita dalla materia a seguito dell'esposizione alle radiazioni ionizzanti é il Gray (Gy). 1 Gy corrisponde a una quantità di energia di 1 Joule (J) assorbita da 1 kilogrammo di materia. Per la misura delle dosi di radiazioni assorbite dall'uomo, o più precisamente per una misura degli effetti biologici dovuti alla dose di radiazioni assorbita, è stato introdotto il concetto di equivalente di dose, che tiene conto della dannosità più o meno grande, a parità di dose, dei vari tipi di radiazioni ionizzanti. In questo caso, l'unità di misura è il Sievert (Sv). Di uso più comune è il sottomultiplo millisievert (mSv), pari a un millesimo di Sv. Ad esempio, una radiografia al torace comporta l'assorbimento di una dose di circa 0,14 mSv. La dose annualmente assorbita da ogni individuo per effetto della radioattività naturale è in media di 2,4 mSv per anno. Il limite massimo di dose stabilito dalla legge italiana per le persone è 1 mSv per anno al di sopra della dose naturale di radiazioni (20 mSv per lavoratori impegnati in attività che prevedono l’uso o la manipolazione di radioisotopi). La radioattività viene sfruttata in diverse applicazioni industriali comuni e poco conosciute: sterilizzatori di derrate alimentari o manufatti per evitare l’insorgere delle muffe, vernici fluorescenti, radiografie industriali di pezzi soggetti ad usura. Altre applicazioni sono in campo medico: la tomografia per emissione di positroni (PET), la radioterapia; oppure in Archeometria con le datazioni. Gli oggetti di uso comune possono essere radioattivi. Ad esempio: Possono contenere Uranio : Vecchie Ceramiche e Cristalleria, Minerali, Proiettili militari, Vecchie dentature finte, Vecchie carte fotografiche, Materiali da costruzione Possono contenere Radio226 : Molti oggetti fosforescenti quali : Orologi, Sveglie, Quadranti strumenti di vario genere, Profondimetri, Strumenti aerei Possono contenere Torio : Ottiche fotografiche, Componenti elettronici, Contrappesi, Reticelle per lampade a gas, Bacchette per saldatura, Parafulmini, Lenti occhiali Possono contenere Americio241 : Rilevatori di Fumo (incendio) Possono essere contaminati : Parquet e mobili fabbricati con legname contaminato proveniente dall'est. Numerosi i casi di parquet radioattivi. Derrate alimentari provenienti illegalmente dai paesi dell'est. L'oro, può venire mescolato con ex elementi usati in ambito nucleare poi riciclati illegalmente. Metalli di recupero provenienti dall'est, poi riciclati in altri elementi. Terreni ancora contenenti Cesio137 disperso dall'incidente di Chernobyl che si riflettono sugli assorbitori naturali, quali ad esempio i Funghi. Rivelatori e contatori di radiazioni I rivelatori sono dei dispositivi utilizzati nelle ricerche di fisica nucleare sia per indicare il passaggio o la presenza di un corpuscolo nucleare o di una radiazione elettromagnetica di alta frequenza, sia per fornire attraverso l’elaborazione delle misure un certo numero di informazioni su alcuni parametri fisici associati alle particelle. I rivelatori, in genere, sono differenziati in due categorie: - visualizzanti, cioè le cosiddette “camere a tracce”, nelle quali la radiazione da rivelare lascia una traccia che può essere direttamente osservata oppure opportunamente fotografata; - contatori, cioè quei rivelatori in cui il passaggio della radiazione produce un impulso di corrente, di tensione o di luce, che mette in azione un dispositivo di conteggio. I relazione al tipo di rivelatore impiegato questi dispositivi permettono di valutare: 1. l’istante in cui arriva la particella; 2. il percorso della particella; 3. l’energia perduta nei processi di interazione; 4. il periodo di dimezzamento nel caso di una particella instabile; 5. la velocità e la quantità di moto della particella nell’istante in cui avviene l’interazione; 6. la massa della particella. Un dispositivo molto usato per lo studio delle radiazioni cosmiche, della radioattività e delle radiazioni ionizzanti in genere è il contatore Geiger, costruito intorno agli anni Trenta. Esso è formato da un cilindro, di solito in rame, e da un filo metallico isolato dal cilindro disposto lungo l’asse. Il cilindro contiene una miscela gassosa, la cui natura e pressione dipendono principalmente dagli scopi per cui il contatore viene utilizzato. Tra cilindro e filamento esiste una d.d.p. continua da 500 a 1200 V, in ogni caso un po’ più bassa di quella necessaria per produrre un processo di scarica nel gas. Supponiamo che ad un certo istante una particella ionizzante penetri nel contatore e produca almeno una coppia di particelle cariche formata da un elettrone e da uno ione positivo: l’elettrone, sotto l’azione del campo elettrico, è accelerato verso il filo, mentre lo ione si muove verso il catodo costituito dalla parete del cilindro. Poiché queste cariche producono nuovi ioni per collisione contro gli atomi del riempimento gassoso, in breve si origina un impulso di tensione che può provocare lo scatto di un numeratore o un segnale sullo schermo di un oscillografo. LA LEGGE DEI DECADIMENTI RADIOATTIVI Tutti i decadimenti radioattivi come gli altri fenomeni che riguardano il mondo subatomico possono essere compresi mediante la meccanica quantistica. I fenomeni sono del tutto casuali, quello che è definito è la probabilità che un fenomeno accada ma NON quando accade. Se si getta ripetutamente un dado a sei facce e si ripete il lancio moltissime volte alla fine si vedrà che il numero di casi in cui si ottiene ad es il 6 si discosterà sempre meno da 1/6 del numero dei lanci quando questo cresce. Si dice che la probabilità di avere il 6 in un lancio è 1/6 ma non sappiamo mai in quale lancio otterremo il numero 6! In base alle leggi della meccanica quantistica, quindi, il decadimento spontaneo di un nucleo è un processo casuale e quindi è impossibile prevedere l’istante in cui un particolare nucleo si disintegra ma si può predire la probabilità che un certo numero di atomi di una data specie si disintegri in un certo intervallo di tempo. Per fare ciò, detto N0 il numero di atomi che costituiscono un campione di isotopo radioattivo, si considera un intervallo di tempo Δt durante il quale un certo numero di atomi ΔN è decaduto. Il numero di atomi varia di una quantità - ΔN che dipende dal numero di atomi inizialmente presenti e dall’ampiezza dell’intervallo di tempo considerato. Si può quindi scrivere: − ΔN = λN t Δt dove λ è ΔN una costante caratteristica dell’elemento considerato. Detta R = − la velocità di decadimento, Δt N (t + Δt ) − N (t ) che, in un intervallo di tempo infinitesimo, essa può essere scritta come R = − Δt dN dN diventa: R = − . Poiché R = λN, si può scrivere l’uguaglianza: = −λN che integrata dt dt N diventa: log t = −λt . Ricavando N si ha la legge del decadimento radioattivo: N t = N 0 e − λt . N0 Particolarmente interessante risulta il calcolo del periodo di dimezzamento di un isotopo radioattivo, cioè l’intervallo di tempo T dopo il quale la metà degli atomi N0 originari è decaduta e ln 2 quindi il numero di atomi si è ridotto a N0/2. Dalla legge del decadimento si ottiene: T = . Tale 226 238 periodo dipende dalla natura dell’isotopo, per il Ra è 1622 anni mentre per l’U ma la vita reale di un nucleo radioattivo varia casualmente tra zero ed infinito. λ è 4.5 ⋅ 10 9 anni