I RISCHI DI UNA SCELTA DISINFORMATA:
DIRE NO AGLI OGM IN AGRICOLTURA
Associazione Galileo 2001,
I rischi di una scelta disinformata:
dire no agli OGM in agricoltura
a cura di Franco Battaglia e Angela Rosati
© 2007 21mo SECOLO s.r.l.
via L. Di Breme 18, 20156 Milano
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ISBN: 978-88-87731-29-2
Grafica: Claudio Rossi
In copertina: Disegno raffigurante Galileo Galilei.
ASSOCIAZIONE GALILEO 2001
per la libertà e dignità della scienza
I RISCHI DI UNA SCELTA
DISINFORMATA:
DIRE NO AGLI OGM IN AGRICOLTURA
a cura di
Franco Battaglia e Angela Rosati
21mo SECOLO
INDICE
Lettera aperta degli scienziati
a Silvio Berlusconi e Romano Prodi su:
Piante da Organismi Geneticamente Modificati (OGM):
quale politica?
7
Manifesto
15
Organi Costituzionali Associazione Galileo 2001
19
Francesco Nucara
Indirizzi di saluto
21
Renato Angelo Ricci
Introduzione
33
Francesco Sala
Gli OGM sono pericolosi?
39
Bao Rong Lu
Risks and benefits of genetically modified rice plants in China
46
Bao Rong Lu
Rischi e benefici del riso geneticamente modificato in Cina
47
Amedeo Pietri
La contaminazione della filiera alimentare da micotossine
63
A. Benedetti, S. Mocali, P. Sequi
Gli OGM e il suolo
85
Luca Bucchini
Scambio genetico tra colture OGM e non OGM: il quadro
97
6
I rischi di una scelta disinformata…
Giovanni Della Porta
Indagine di pieno campo in ambiente Padano sulle dinamiche
di diffusione del polline di mais tra coltivazioni contigue
103
Bruno Mezzetti
Ricerca e sperimentazione su piante geneticamente modificate
111
Dario Frisio
Gli OGM e l’agricoltura italiana: riflessioni economiche
129
Umberto Tirelli
OGM in medicina
149
Franco Battaglia
Il principio di precauzione: precauzione o rischio?
157
Renato Angelo Ricci
Conclusioni
187
Appendice
Rapporto presentato nel 2001 dal Comitato Scientifico
dell’Agenzia Nazionale Protezione Ambiente
191
Ringraziamenti
219
17 gennaio 2006
LETTERA APERTA A:
On. Silvio BERLUSCONI
On. Romano PRODI
Oggetto: Piante da Organismi Geneticamente Modificati (OGM):
quale politica?
Onorevoli Signori,
nell’imminenza delle prossime elezioni politiche,
l’Associazione Galileo 2001, per la libertà e la dignità della Scienza
chiede che i candidati alla Presidenza del Consiglio si esprimano
sull’attuale controversia relativa alla ricerca e alla coltivazione di prodotti vegetali da organismi geneticamente modificati (OGM) nel nostro paese.
La ricerca scientifica autonomamente sviluppata negli ultimi
vent’anni dai più diversi paesi (USA, Canada, Cina, India, Sud Africa,
Argentina e altri) ha già prodotto molte piante da OGM con caratteristiche genetiche migliorate. Oggi, la loro coltivazione copre 90 milioni
di ettari ed è in continua crescita.
Queste piante stanno già oggi contribuendo efficacemente all’incremento della produttività agricola, al miglioramento della qualità
del prodotto, alla diminuzione dell’uso di prodotti chimici per il controllo dei parassiti e alla salvaguardia dell’ambiente; e vi è sufficiente
confidenza che permetteranno, presto, la produzione di vaccini e prodotti vegetali con superiore capacità nutrizionale. Tutto ciò è documentato dalla ricerca scientifica e dagli studi di economia agraria.
La comunità scientifica nazionale ed internazionale si è più volte
espressa in favore di un utilizzo razionale delle piante da OGM, definendo ideologiche e sprovviste di basi scientifiche le argomentazioni
di coloro che si battono, in Italia ed in alcuni altri Paesi europei, contro questo nuovo approccio al miglioramento genetico delle piante
coltivate.
8
I rischi di una scelta disinformata…
Nel 2004, le 21 maggiori società scientifiche italiane con specifiche
competenze (dirette o indirette) nel settore e cui appartengono più di
10.000 scienziati, hanno sottoscritto e reso pubblico un Consensus Document su “Sicurezza alimentare e OGM”. Dopo un’attenta valutazione e consultazione delle pubblicazioni scientifiche al riguardo e dei
pronunciamenti di molteplici Accademie delle Scienze internazionali
(ma anche italiane) e di altri competenti Organismi Internazionali, il
documento conclude: “gli OGM in commercio sono da ritenersi sicuri
e andrebbe abbandonato ogni atteggiamento manicheo per dare spazio
ad un consenso razionale e basato su una corretta informazione scientifica”.
La UE, per quasi vent’anni e presso i più prestigiosi istituti di ricerca europei, ha finanziato approfondite indagini scientifiche sulla validità dei metodi dell’ingegneria genetica e sulla sicurezza di questa tecnologia. Già nel 2001, presentando i risultati delle ricerche, Philippe
Busquin, Commissario della UE per la Ricerca Scientifica scriveva:
“l’agricoltura ed il cibo da OGM sono più sicuri della agricoltura e del
cibo tradizionale perché usano una tecnologia più precisa e sono soggetti
a più accurate valutazioni pubbliche”. Infatti, le piante da OGM, prima
di ricevere l’autorizzazione alla coltivazione e alla commercializzazione, devono superare un grande numero di controlli per la valutazione
della loro sicurezza sanitaria e ambientale. (Si noti, tra l’altro, che questi controlli non sono richiesti nel caso delle piante coltivate tradizionali, benché sia riconosciuto che il miglioramento genetico tradizionale (selezione, incrocio e mutazione) non è esente da pericoli per la salute umana e per l’ambiente).
Ricordiamo che il nostro Governo ha fortemente voluto – ed ottenuto – che fosse insediata a Parma l’EFSA (European Food Safety
Agency), un’agenzia altamente qualificata che ha il compito istituzionale di fornire ai decisori politici le valutazioni scientifiche conclusive
su ciascun prodotto OGM proposto per la coltivazione e la vendita.
Galileo 2001 ha più volte constatato che raramente queste informazioni arrivano all’opinione pubblica ed anche ai nostri decisori politici.
Molto più frequenti sono gli annunci di rischi mai dimostrati – e pur
tuttavia spacciati per verità scientifica – correlati alle piante da OGM.
Facendo “notizia”, questi annunci destano la preoccupazione dei cittadini, ottenendo così il risultato politico prestabilito. Sarebbe troppo
Lettera aperta degli scienziati a S. Berlusconi e R. Prodi
9
lungo, in questa lettera, smentire tutte le argomentazioni ascientifiche
che sono di volta in volta avanzate. Lo faremo in sede di III Congresso Nazionale della nostra Associazione, che si svolgerà a Roma il prossimo 28 marzo 2006, presso la sede centrale del Consiglio Nazionale
delle Ricerche, e che verterà sul tema: “I rischi di una scelta disinformata: precludersi l’uso degli OGM in Agricoltura”. È però utile accennare ad alcune tra le più diffuse e le risposte date dalla comunità
scientifica. È stato affermato che:
• “Le evidenze scientifiche dimostrano che il gene non basta da solo a
costruire un carattere ereditario: un gene può specificare più proteine.
Quindi, non sappiamo cosa succede nelle piante da OGM”. Tutti i
biologi molecolari sanno che questa affermazione è fuorviante. In
effetti, oggi si sa che alcuni geni possono determinare la sintesi di
diversi frammenti di una stessa proteina, ma in tutti i casi in cui
siano stati inseriti geni esogeni in piante da OGM questa eventualità è esclusa: i geni utilizzati nelle piante da OGM specificano
sempre una, ed una sola, proteina.
• “La salubrità degli alimenti da OGM è stata messa in dubbio da indagini sperimentali su ratti da laboratorio che hanno consumato il
mais Mon 863”. Su questa grave accusa annunciata dai mass media
si è già espressa l’EFSA con la conclusione ufficiale che il mais in
questione è privo di rischio ed è accettabile per la commercializzazione. Infatti, tra i ratti nutriti con mais GM e quelli nutriti con
mais tradizionale non si sono mai osservate differenze statisticamente significative (cioè fuori dai limiti della normale variabilità
biologica).
• “L’inquinamento genetico può divenire una forma insidiosa ed irreversibile di alterazione di ecosistemi. Il polline del mais GM che si
vorrebbe coltivare nel Nord Italia per mangimi scatenerebbe una catastrofe ambientale”. Ricerche condotte in Lombardia, e pure in
Spagna ed in altri Paesi, dimostrano che, anche nel caso del mais, è
semplice pervenire alla stesura di linee-guida, per agroecosistemi
diversi, che rispettino la soglia dello 0.9% previsto dalla UE per la
coesistenza e nell’interesse degli agricoltori: sono più che sufficienti, in genere, 25-50 metri di distanza da altre coltivazioni di mais.
• “Le piante da OGM provocano allergie”. In realtà, le piante da
OGM sono le uniche a raggiungere il mercato con un certificato di
10
•
•
•
•
I rischi di una scelta disinformata…
“assenza da allergeni”; al contrario, così non è proprio per tutte le
piante non-GM, che possono essere vendute anche se contengono
più allergeni (15 noti nel caso del kiwi).
“Le piante da OGM sono nelle mani di poche multinazionali”. Le
piante da OGM sono oggi sviluppate indipendentemente, e coltivate, da diversi paesi: la Cina, l’India, la Corea, il Sud Africa stanno investendo molto nella ricerca e sviluppo di piante da OGM.
Noi, in Italia, stiamo trascurando anche questo aspetto dello sviluppo tecnologico mondiale: se non cambieremo atteggiamento,
utilizzeremo sempre più prodotti GM provenienti dall’estero, ma
non potremo produrli e controllarli.
“L’Italia deve difendere la qualità dei suoi prodotti tipici contro i prodotti da OGM”. Proprio per il rifiuto della nuova tecnologia, stiamo perdendo ad uno ad uno i nostri prodotti agricoli di qualità. Il
pomodoro San Marzano, il melo della Valle d’Aosta, il riso Carnaroli, e molte altre glorie della nostra agricoltura, stanno rischiando
l’estinzione: i loro parassiti sono divenuti più aggressivi e resistenti
ai trattamenti chimici. In Italia, sono già state introdotti, in queste
piante, geni che le rendono tolleranti alle patologie, col risultato di
poter certamente ottenere qualità e produttività migliorate e riduzione del ricorso a trattamenti chimici. Purtroppo l’attuale legislazione ne impedisce la coltivazione.
“Non abbiamo evidenze sufficienti per essere sicuri che non vi saranno conseguenze per il futuro”. Come per ogni altra attività umana,
non esiste l’assoluta certezza di assenza di rischi, e questo vale anche per l’attività agricola tradizionale o biologica. Tuttavia, sulla sicurezza attuale e futura delle piante da OGM, abbiamo accumulato informazioni per lo meno pari, se non superiori, a quelle oggi disponibili nel caso dei prodotti agricoli tradizionali.
“Il nostro interesse nazionale è nell’agricoltura biologica OGM-free”.
Oggi il prodotto biologico copre il 2.5% del mercato: cosa vogliamo fare del restante 97.5%?
È spesso invocato il “Principio di Precauzione”. Sui pericoli di un
suo uso strumentale, si è espresso, il 18 giugno 2004, il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB). Nel “Parere del CNB su: Principio di
Precauzione, profili bioetici, filosofici, giuridici”, approvato all’unani-
Lettera aperta degli scienziati a S. Berlusconi e R. Prodi
11
mità, il Comitato afferma: “Occorre certamente guardarsi da ogni immotivato ricorso al principio di precauzione, come zelanti sostenitori
vorrebbero imporre ad ogni piè sospinto. Occorre invece fornire un’interpretazione ragionevole di tale principio, che dovrà essere rigorosamente applicato solo allorché uno specifico rischio sia identificato (benché non ancora esattamente stimato) dalla comunità degli esperti”. L’Associazione Galileo 2001 si trova perfettamente in linea con questa impostazione. Il “Principio di Precauzione” può regolare le nostre attività, ma non deve diventare un “Principio di Blocco”, né può accadere, come è già accaduto in troppe occasioni (abbandono dell’energia
nucleare e immotivato timore verso i campi elettromagnetici, per fare
solo due esempi), che la “stima del rischio” sia lasciata all’arbitrio di
“zelanti sostenitori” che si arrogano un compito che spetta alla comunità scientifica del settore. La realtà, poi, è che non vi è nulla nelle
piante da OGM che le renda intrinsecamente nocive, né esiste alcuna
evidenza scientifica che gli OGM oggi coltivati rappresentino un pericolo per l’uomo o per l’ambiente. Diventano invece sempre più evidenti i benefici da essi offerti in molti settori agricoli ed in molti paesi
del mondo.
L’attuale opposizione agli OGM soffre di una forte componente
emotiva e ideologica. Ciò non permette di valutare con serenità le problematiche ad essi connesse. Soltanto dando più fiducia alla ricerca
scientifica, che si basa e che avanza soltanto su fatti accertati, e dando
spazio solo alla corretta informazione scientifica sarà possibile valutare il reale significato di questa nuova tecnologia. I ricercatori, soprattutto quelli pubblici, sono al servizio della comunità nazionale, e si
mettono a disposizione dei suoi rappresentanti democraticamente
eletti. Ai decisori politici – quindi – la responsabilità di scegliere: dare
spazio a paure immotivate oppure al rigore del metodo scientifico. La
posta in gioco è importante: consentire alla nostra agricoltura e alla
nostra agroindustria di competere efficacemente con la crescente ed
agguerrita concorrenza estera.
Una vostra risposta all’Associazione Galileo 2001 sarà pertanto oltremodo gradita.
Vogliate accettare i nostri più cordiali saluti.
Renato Angelo RICCI, Presidente
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I rischi di una scelta disinformata…
Giorgio SALVINI, Presidente Onorario
Umberto VERONESI, Presidente Onorario
Franco BATTAGLIA, Vice Presidente Vicario
Carlo BERNARDINI, Vice Presidente
Tullio REGGE, Vice Presidente
Umberto TIRELLI, Vice Presidente
Angela ROSATI, Segretario Generale
Claudia BALDINI, Vice Presidente Associazione Bioetica di Ravenna
Cinzia CAPORALE, Biologo e Vice Presidente Comitato Nazionale
di Bioetica
Rodolfo FEDERICO, Ordinario di Fisiologia Vegetale, Università di
Roma-Tre
Silvio GARATTINI, Direttore Istituto Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”
Norberto POGNA, Dirigente di ricerca, CRA-Istituto Sperimentale
per la Cerealicoltura
Salvatore RAIMONDI, Ordinario di Pedologia, Facoltà di Agraria,
Università di Palermo
Francesco SALA, Ordinario di Botanica e Direttore Orti Botanici,
Università di Milano
Gian Tommaso SCARASCIA MUGNOZZA, Professore Emerito di
Genetica Agraria, Università della Tuscia
Elena SOETJE BALDINI, Segretario Associazione Bioetica di Ravenna
Roberta BARBIERI, ASL, Vicenza
Lanfranco BELLONI, Ricercatore di Fisica, Università di Milano
Argeo BENCO, Fisico, già Presidente Associazione Italiana di Radioprotezione
Ugo BILARDO, Ordinario di Produzione e Trasporto di Idrocarburi,
Università di Roma-La Sapienza
Giuseppe BLASI, Architetto, Presidente Associazione ProgettAmbiente
Lettera aperta degli scienziati a S. Berlusconi e R. Prodi
13
Tullio BRESSANI, Ordinario di Fisica Sperimentale, Università di Torino
Giovanni CARBONI, Ordinario di Fisica Generale, Università di Roma-Tor Vergata
Arrigo CIGNA, già ricercatore ENEA
Carlo COSMELLI, Professore di Fisica, Università di Roma-La Sapienza
Michelangelo DALLA FRANCESCA, Ingegnere
Francesco DE SALVO, Fisico
Riccardo DE SALVO, Fisico
Guido FANO, già Ordinario di Metodi Matematici della Fisica, Università di Bologna
Gianni FOCHI, Professore di Chimica, Scuola Normale Superiore di
Pisa
Oliviero FUZZI, Segretario Sezione Triveneta, Società Italiana di
Neuropsichiatria Infantile
Giorgio GIACOMELLI, Ordinario di Fisica Generale, Università di
Bologna
Renato GIUSSANI, Ingegnere, Direttore MIND
Roberto HABEL, Comitato di Presidenza, Società Italiana di Fisica
Roberto IRSUTI, Direttore 21mo Secolo
Leonardo LIBERO, Direttore Energia dal Sole
Carlo LOMBARDI, Membro del Comitato Scientifico ENEA
Stefano MONTI, Ingegnere nucleare, ENEA
Giovanni V. PALLOTTINO, Ordinario di Elettronica, Università di
Roma-La Sapienza
Carlo PELANDA, Docente di Politica ed Economia Internazionale,
University of Georgia, Athens GA, USA
Ernesto PEDROCCHI, Ordinario di Energetica, Politecnico di Milano
Aulo PERINI, Medico Radioprotezionista
Guido PIZZELLA, Ordinario di Fisica, Università di Roma-Tor Vergata
Francesca QUERCIA, Geologo, Agenzia per la Protezione dell’Ambiente
Roberto ROSA, Fisico, ENEA
Noris RUBBOLI, Imprenditore
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I rischi di una scelta disinformata…
Alberto SILVESTRI, Ingegnere nucleare, ENEA
Giorgio SIMEOLI, CNR
Ugo SPEZIA, Ingegnere, Segretario Generale AIN
Carlo STAGNARO, Direttore Ecologia di Mercato, Istituto “Bruno
Leoni”
Giorgio TRENTA, Presidente Associazione Italiana di Radioprotezione Medica
Francesco TROIANI, Fisico, ENEA
Roberto VACCA, Ingegnere
Vincenzo VAROLI, Ordinario di Elettronica Industriale, Politecnico
di Milano
Giulio VALLI, Ingegnere, ENEA
Paolo VECCHIA, Fisico Radioprotezionista, Istituto Superiore di Sanità
Franco VELONÀ, Ingegnere, Politecnico di Bari
PER ADERIRE ON-LINE, COLLEGARSI AL SITO
http://www.galileo2001.it
GALILEO 2001
PER LA LIBERTÀ E LA DIGNITÀ DELLA SCIENZA
MANIFESTO
U
n fantasma si aggira da tempo nel Paese, un fantasma che
sparge allarmi ed evoca catastrofi, terrorizza le persone, addita la scienza e la tecnologia astrattamente intese come nemiche dell’Uomo e della Natura e induce ad atteggiamenti antiscientifici
facendo leva su ingiustificate paure che oscurano le vie della ragione.
Questo fantasma si chiama oscurantismo. Si manifesta in varie forme, tra cui le più pericolose per contenuto regressivo ed irrazionale
sono il fondamentalismo ambientalista e l’opposizione al progresso
tecnico-scientifico. Ambedue influenzano l’opinione pubblica e la politica attraverso una comunicazione subdola: l’invocazione ingiustificata del Principio di Precauzione nell’applicare nuove conoscenze e
tecnologie diviene una copertura per lanciare anatemi contro il progresso, profetizzare catastrofi, demonizzare la scienza.
Non si tratta, quindi, di una giustificabile preoccupazione per le ripercussioni indesiderate di uno sviluppo industriale ed economico
non sempre controllato, ma di un vero e proprio attacco contro il progresso. L’arroganza e la demagogia che lo caratterizzano non solo umiliano la ricerca scientifica – attribuendole significati pericolosi ed imponendole vincoli aprioristici ed arbitrari – ma calpestano il patrimonio di conoscenze che le comunità scientifiche vanno accumulando e
verificando, senza pretese dogmatiche, con la consapevolezza di offrire ragionevoli certezze basate su dati statisticamente affidabili e sperimentalmente controllabili.
Il fatto che le conoscenze scientifiche, per la natura stessa del metodo di indagine e di verifica dei risultati, si accreditino con spazi di
dubbio, sempre ridicibili ma mai eliminabili, costituisce l’antidoto
principale – che è proprio dell’attività scientifica – verso ogni forma di
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I rischi di una scelta disinformata…
dogmatismo, scientismo, intolleranza e illiberalità; ma non puó giustificare il considerare tali conoscenze opinabili o, peggio, inattendibili.
La voce della scienza è certamente più affidabile e anche umanamente – oltre che intellettualmente – più consapevole delle voci incontrollate e dogmatiche che, fuori di ogni rilevanza scientifica, pretendono di affermare “verità” basate sull’emotività irrazionale tipica
delle culture oscurantiste.
Da questa cultura regressiva nascono, ad esempio:
• l’attribuzione quasi esclusivamente alle attività antropiche di effetti, pur preoccupanti data la posta in gioco, quali i cambiamenti climatici che da milioni di anni sono caratteristici del pianeta Terra,
mentre il problema della loro origine è tuttora aperto;
• le limitazioni alla ricerca biotecnologica che impediscono ai nostri
ricercatori di cooperare al raggiungimento di conquiste scientifiche
che potrebbero, tra l’altro, combattere gravi patologie e contribuire ad alleviare i problemi di alimentazione dell’umanità;
• la ricerca e l’esaltazione acritica di pratiche mediche miracolistiche
che sono ritenute affidabili solo perché “alternative” alla medicina
scientifica;
• il terrorismo sui rischi sanitari dei campi elettromagnetici, che vuole imporre limiti precauzionali ingiustificati, enormemente piú bassi di quelli accreditati dalla comunità scientifica internazionale e
adottati in tutti i paesi industriali;
• il permanere di una condizione di emergenza nel trattamento e nello smaltimento dei rifiuti di ogni tipo, condizione che è figlia del rifiuto aprioristico di soluzioni tecnologiche adottate da decenni in
tutti i paesi industriali avanzati;
• la sistematica opposizione ad ogni tentativo di dotare il Paese di infrastrutture vitali per la continuità dello sviluppo e per il miglioramento della qualità della vita della popolazione;
• la preclusione dogmatica dell’energia nucleare, che penalizza il
Paese non solo sul piano economico e dello sviluppo, ma anche nel
raggiungimento di obiettivi di razionalizzazione e compatibilità
ambientale nel sistema energetico.
Il clima di oscurantismo in atto rischia di contribuire all’allontanamento dei giovani dai corsi di studio a indirizzo scientifico, ormai con-
Galileo 2001 - Manifesto
17
notati di significati antiumanitari e antiambientali, alimentando un
processo che rischia di prefigurare un futuro di dipendenza anche culturale, oltre che economica, del Paese.
La scienza non produce miracoli e non è, di per sè, foriera di catastrofi. Da sempre essa è parte integrante e trainante dell’evoluzione
della società umana, motore primario di progresso sociale, economico,
sanitario e ambientale.
Sulla base di questa consapevolezza, scienziati, ricercatori, tecnici
di ogni estrazione culturale e di ogni credo, estranei ad ogni interesse
industriale e consci del fatto che l’impegno scientifico non deve
confondersi con le pur legittime convinzioni di ordine ideologico, politico e religioso, si levano a contrastare questa opera di disinformazione e di arretramento culturale, rivendicando il valore della scienza come fonte primaria delle conoscenze funzionali al progresso civile, senza distorsioni e filtri inaccettabili.
Ci costituiamo nel movimento Galileo 2001 per la libertà e la dignità della Scienza, aperti alle adesioni più qualificate, sincere e disinteressate.
Chiediamo alle Associazioni scientifiche e culturali di impegnarsi
disinteressatamente, assieme alle Istituzioni, in una indifferibile battaglia per un’informazione competente e deontologicamente corretta.
Ci rivolgiamo alla società civile, agli operatori dell’informazione
più attenti e ai rappresentanti politici più avveduti perché sappiano
raccogliere questo messaggio e ci aiutino a superare le barriere del
fondamentalismo e della disinformazione.
Vogliamo che il nuovo secolo sia anche per il nostro Paese – che ha
dato i natali a Galileo, Volta, Marconi e Fermi – quello della verità
scientifica e della ragione, tanto più consapevoli quanto più basate sulle conoscenze e sul sapere. Esse forse non saranno sufficienti, ma sono
certamente necessarie.
Membri Fondatori:
Franco Battaglia, Università di Roma Tre
Carlo Bernardini, Università di Roma La Sapienza
Tullio Regge, Premio Einstein per la Fisica
Renato Angelo Ricci, Presidente onorario Società Italiana di Fisica; già
Presidente Società Europea di Fisica
18
I rischi di una scelta disinformata…
Giorgio Salvini, Accademico dei Lincei, già Ministro della Ricerca
Scientifica
Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, Professore emerito, Università
della Tuscia; Accademia Nazionale delle Scienze
Ugo Spezia, Segretario Generale Centro Internazionale per la Documentazione e l’Informazione Scientifica (CIDIS)
Umberto Tirelli, Direttore Divisione Oncologia Medica, Istituto Nazionale Tumori di Aviano
Membri del Comitato Promotore:
Franco Bassani, Presidente Società Italiana di Fisica
Argeo Benco, già Presidente Associazione Italiana di Radioprotezione
Paolo Blasi, già Rettore Università di Firenze
Edoardo Boncinelli, Istituto San Raffaele, Milano
Luciano Caglioti, Università di Roma La Sapienza
Cinzia Caporale, Università di Siena
Giovanni Carboni, Università di Roma Tor Vergata
Francesco Cognetti, Presidente Associazione Italiana di Oncologia Medica
Guido Fano, Università di Bologna
Gianni Fochi, Scuola Normale Superiore di Pisa, Università di Pisa
Andrea Frova, Università di Roma La Sapienza
Silvio Garattini, Istituto Mario Negri, Milano
Roberto Irsuti, Direttore 21mo Secolo, Milano
Silvio Monfardini, Direttore Divisione Oncologia Medica, Ospedale
Universitario di Padova
Giovanni Vittorio Pallottino, Università di Roma La Sapienza
Franco Panizon, Professore emerito, Università di Trieste
Ernesto Pedrocchi, Politecnico di Milano
Carlo A. Pelanda, Condirettore Globis, University of Georgia, USA
Carlo Salvetti, Vice-Presidente Associazione Italiana Nucleare
Paolo Sequi, Presidente della Società Italiana per la Scienza del Suolo
Angelo Spena, Università di Verona
Paolo Vecchia, Dirigente di Ricerca, Istituto Superiore di Sanità
Giancarlo Vecchio, Università di Napoli, Presidente Società Italiana di
Cancerologia
Igino Zavatti, Coordinatore Associazione Nuova Civiltà delle Macchine
Consiglio Direttivo
RICCI Prof. Renato Angelo
SALVINI Prof. Giorgio
VERONESI Prof. Umberto
BATTAGLIA Prof. Franco
BERNARDINI Prof. Carlo
REGGE Prof. Tullio
TIRELLI Prof. Umberto
Presidente
Presidente Onorario
Presidente Onorario
Vice Presidente Vicario
Vice Presidente
Vice Presidente
Vice Presidente
Consiglieri
CAGLIOTI Prof. Luciano
CAPORALE Prof.ssa Cinzia
PALLOTTINO Prof. Giovanni Vittorio
SALA Prof. Francesco Giuseppe
SCARASCIA MUGNOZZA Prof. Gian Tommaso
SEQUI Prof. Paolo
SPEZIA Ing. Ugo
TRENTA Prof. Giorgio Nazzareno
VECCHIA Prof. Paolo
Collegio Sindacale
ROMITI Dr. Bruno
CARBONI Prof. Giovanni
COGNETTI Prof. Francesco
BRESSANI Prof. Tullio
FANO Prof. Guido
Presidente
Sindaco Effettivo
Sindaco Effettivo
Sindaco Supplente
Sindaco Supplente
Segretario Generale
ROSATI Dott.ssa Angela
INDIRIZZI DI SALUTO
Francesco Nucara
L
a Rivoluzione della Scienza Moderna è, assai significativamente,
il sottotitolo del libro di Werner Heisenberg Fisica e Filosofia e
ne costituisce, senza alcun dubbio, l’esemplificazione ideale. Il
grande fisico tedesco, scomparso nel 1976, intendeva, per la prima
volta, sottrarre la propria scienza – e la scienza in generale – all’isolamento nel quale il tecnicismo rischiava di confinarla. Consapevole (e,
del resto, protagonista, con l’elaborazione della teoria dei quanti insieme al danese Max Bohr per la quale i due scienziati vennero insigniti,
com’è noto, del premio Nobel, nel 1932) dei profondi, radicali mutamenti che il cammino della scienza e le acquisizioni nel campo della fisica in particolare, avevano determinato nel primo trentennio del secolo scorso, Heisenberg era piuttosto pessimista riguardo alle implicazioni del progresso rispetto alla società. Fu il primo a porsi il problema dei rapporti tra la scienza e la società, delle complesse relazioni tra
la scienza e l’uomo. Nel 1933 Hitler aveva assunto il potere in Germania: Heisenberg non aderì al nazismo e non volle collaborare all’allestimento dell’atomica tedesca.
Con il fisico-filosofo si afferma il concetto, semplice e terribile, di
responsabilità della scienza. Le promesse stesse contenute nel titolo
del suo libro vengono superate laddove il teorico, tra i più autorevoli
della scienza moderna, tenta la grande, indispensabile integrazione
tra l’essenzialità della scoperta ed il suo rapportarsi alla coscienza e al
destino dell’uomo. Ma questo è il problema della nostra epoca. Il
rapporto di integrazione o opposizione tra sostanzialità della scoperta
* Vice Ministro all’Ambiente
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I rischi di una scelta disinformata…
ed il suo relativizzarsi al destino dell’uomo di oggi, non è una questione astratta ma è impegno concreto: è il problema quotidianamente sotto i nostri occhi tutte le volte in cui, ad esempio, entriamo in un
supermercato. Non sembri irriverente nei confronti di Heisenberg e
del suo principio di indeterminatezza, riferire il suo pensiero alla banalità di un supermercato: credo che il migliore onore che gli si possa
tributare sia proprio quello di prospettare il suo pensiero quale “criterio di metodo” che possa guidare l’odierna riflessione sulla scienza.
Perché, come osserva Luciano Caglioti nel suo saggio appena edito, I
Tre Volti della Tecnologia, sono proprio le biotecnologie a costituire
le lenti – tra le più nitide – per evidenziare, oggi, la capacità che la
scienza ci sta offrendo di comprendere i meccanismi che regolano lo
sviluppo degli organismi viventi e, sulla base di queste conoscenze, di
“insegnare” a detti organismi a produrre principi attivi o alimenti utili. In una parola: a rapportare l’essenzialità della scoperta al destino
dell’uomo.
Per questo, credo che la svolta delle biotecnologie sia la svolta immaginata da Heisenberg: la scienza che, ben affrancata dalla tecnica,
riflette filosoficamente sul proprio destino e, dunque, sul destino
dell’uomo. Perché, riflettere sugli OGM significa, oggi, riflettere sul
condizionamento che paure ed oscurantismo esercitano, ad esempio,
sulle centinaia di milioni di uomini che annualmente muoiono di fame. Significa scoprire come la manipolazione dell’informazione riguardo agli OGM finisca con l’avere aggio sulla stessa conservazione
della vita dei propri simili, vale a dire su quel primordiale sentimento
di solidarietà ancestrale e tutta umana che vuole (da Hobbes a Spinoza) l’uomo dio e non lupo per l’altro uomo. Vuol dire riflessione
sull’ingenuo pregiudizio che vede la scienza (confusa con la tecnica)
come un potenziale ordigno nelle mani di oligarchie economiche senza scrupoli che attentano al “destino” dell’uomo. Ora, tutto ciò, oltre
a riportarci l’attualità del nostro fisico-filosofo e della sua intuizione,
ci consente un modello di riflessione in cui individuare le due scansioni fondamentali: l’essenzialità della scoperta e la sua integrazione, il
suo rapportarsi con il destino dell’uomo.
Le biotecnologie rappresentano il substrato ideale di applicazione
di un modello consapevole: la svolta radicale di cui esse sono promotrici coinvolge interi settori della biologia, rivoluziona l’agricoltura,
Indirizzi di saluto
23
sovverte la medicina. In agricoltura, l’imperativo categorico consiste
nell’aumentare le rese, diminuire l’uso di pesticidi e fertilizzanti, risparmiare quella risorsa primaria che è l’acqua, garantire la salubrità
dei prodotti e tutelare il profitto tanto del singolo imprenditore quanto della globalità dell’economia agraria: obbiettivi, questi, perseguibili
con successo con una “pianificazione basata sulla conoscenza dei meccanismi biologici”, in una parola, con il ricorso, opportunamente individuato di volta in volta, ad organismi geneticamente modificati. Organismi che, come osserva correttamente il professor Caglioti, vengono rigidamente controllati prima della commercializzazione da agenzie ed accademie indipendenti: nessuno, infatti, pensa che essi siano
intrinsecamente “sani”. Semmai sorprende che essi vengano da taluni
considerati intrinsecamente “nocivi”. Questi “organismi su misura”
allarmano l’opinione pubblica, suscitano perplessità ed insinuano il
sospetto che alla base di molte polemiche possa esservi un problema
di interessi.
Tuttavia, il panorama di prospettive – non certo anti-economiche –
che le biotecnologie offrono agli imprenditori agricoli, unitamente ad
una più oggettiva valutazione dei costi/benefici, sembrano avere ridimensionato considerevolmente l’atteggiamento di chiuso scetticismo
che ha guidato sino ad ora le decisioni e le rivendicazioni del settore.
Ritengo, in effetti, abbastanza significativi i dati emersi da una ricerca
Eurisko, condotta per conto di Confagricoltura e pubblicata il 5 ottobre scorso, la quale concerne le imprese agricole italiane a confronto
con le “percezioni, possibilità e prospettive di sviluppo delle coltivazioni geneticamente modificate”. Che vorrei qui sinteticamente considerare con una doverosa premessa.
Sappiamo – dagli economisti agrari, oggi ben rappresentati – che il
sistema agro-alimentare italiano si caratterizza per almeno quattro
aspetti in grado di condizionare pesantemente quella che è una scelta
fondamentale: accogliere ovvero precludersi l’uso di piante geneticamente modificate di prima generazione e, successivamente, in ragione
della risoluzione iniziale, di quelle che saranno disponibili in un prossimo futuro.
In primo luogo, il sistema è caratterizzato da una forte e strutturale
dipendenza dalle importazioni in generale ed in particolare da quelle
relative alle commodities agricole, che si è concretizzato, nel 2004, in
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I rischi di una scelta disinformata…
un saldo negativo complessivo pari a quasi 10 milioni di euro. Il secondo aspetto è dato dalla presenza di alcune significative produzioni
di eccellenza che fanno riferimento ai prodotti tipici come, ad esempio, i formaggi o i salumi. Accanto a questo va considerato il ruolo significativo delle produzioni ortofrutticole, pari al 40% del valore della
produzione agricola nazionale. In particolare, nell’agricoltura del
Mezzogiorno, l’importanza relativa sale al 60%. Ed in ultimo, seppure
di prioritaria rilevanza va sottolineata la costante e progressiva riduzione della superficie territoriale riservata all’attività agricola.
È in questo quadro generale che si inserisce l’indagine condotta da
Eurisko che ha esplorato gli orientamenti delle imprese agricole commerciali italiane in tema di impiego in agricoltura degli OGM. La rilevazione è rappresentativa dell’universo delle imprese agricole commerciali italiane con un fatturato uguale o superiore ai 48000 euro:
circa 88600 imprese agricole. L’universo considerato nell’indagine copre il 12.3% delle aziende agricole che rappresentano il 47% del fatturato annuo complessivo del comparto e operano sia nel settore tradizionale che nel biologico –per i diversi comparti produttivi – ed appartengono alle diverse organizzazioni sindacali: Confagricoltura
(23%), Col diretti (43%) e Cia (8%). La dimensione media delle
aziende era pari a 95 ha con 6-7 addetti in media, mentre il 78% degli
intervistati era titolare o proprietario o socio o contitolare dell’impresa. Ciò che di interessante affiora dall’indagine è che non si evidenzia
un orientamento numerico prevalente pro o contro l’uso degli OGM
nell’agricoltura italiana. Posizioni contrarie e favorevoli sono risultate
sostanzialmente equivalenti, con notevoli aree di incertezza, con valutazioni articolate ed ambivalenti anche in merito alla normativa italiana. La percezione della rilevanza del tema è comunque trasversale a
tutti gli indirizzi produttivi ed all’appartenenza alle diverse organizzazioni sicché necessariamente l’agricoltura italiana dovrà confrontarsi
con le biotecnologie: ciò richiede una informazione molto più professionale, tecnica ed evoluta di quella sino ad ora invalsa nel dibattito
mediatico. Soprattutto una informazione supportata da un’attività di
ricerca italiana sufficiente per effettuare scelte consapevoli e responsabili. È di conforto, a tal proposito, scorrendo i dati, rilevare come su
questo aspetto il fronte del no e quello del si, trovino una netta convergenza: nella richiesta, cioè, di dati e di esperienze di prima mano
Indirizzi di saluto
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per impostare sia la propria strategia d’impresa che per definire il modello di agricoltura verso cui tendere a livello nazionale.
Ma qual è la prospettiva degli OGM in Italia? Questi dati devono
improrogabilmente armonizzarsi con lo scenario normativo italiano ed
europeo. Il primo aspetto da considerare è come l’apertura alla produzione OGM in Europa sia da considerarsi il nostro prossimo futuro.
È vero che la deliberazione dei ministri europei dell’Ambiente (riuniti a Lussemburgo il 25 giugno 2005) ha respinto, con un voto a maggioranza qualificata, la richiesta della Commissione Ue di abbandono
delle moratorie su diverse varietà di colza e di mais proibite in Austria, Germania, Lussemburgo, Francia e Grecia. Ma è altrettanto vero che, anche politicamente, sia difficile che questa moratoria possa
avere futuro. Permangono, cioè, i divieti di coltivazione, permane il
pregiudizio stolido ad onta dell’accordo pressoché totale della comunità scientifica internazionale circa la sicurezza alimentare ed ambientale della diffusione di Ogm. Ma non credo che ciò durerà ancora
molto in ambito europeo.
I gruppi ambientalisti invocano a gran voce proprio quel senso di
responsabilità che, sovvertito nel suo significato, sta esponendo l’intera collettività ai rischi inevitabili che la mortificazione costante delle
acquisizioni della scienza e della corretta divulgazione delle stesse,
comporta. La salvaguardia dell’economia del Paese e la tutela della salute stessa dei cittadini, non consentono più da parte dell’esecutivo
(quale che sia in un futuro ormai prossimo) il mantenimento di un atteggiamento che si potrebbe definire di circospetta cautela e di riserbo. Ma soprattutto non è più accettabile l’ostilità tanto rabbiosa quanto affatto non documentata di chi, strumentalizzando demagogicamente l’emotività collettiva e a dispetto di qualunque rigore scientifico, riscrive, per l’Italia, una storia già vissuta.
Sottolineavo, qualche settimana fa, nel corso della Conferenza programmatica del mio partito, come il problema delle biotecnologie risulti centrale nell’ambito di una programmazione sui temi delle risorse
energetiche. L’impiego delle biotecnologie in agricoltura dovrà essere
preso seriamente in considerazione, anche alla luce delle piante OGM
che saranno disponibili nei prossimi anni e che apporteranno notevoli
benefici ambientali. La scoperta di varietà resistenti alla siccità rappresenta una straordinaria opportunità non soltanto nei Paesi in via di
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I rischi di una scelta disinformata…
sviluppo dove vi è un drammatico bisogno d’acqua per usi civili ed
agricoli, ma anche in Italia dove l’agricoltura assorbe il 50% delle risorse idriche della penisola: risparmiare acqua per l’agricoltura e destinarla ad usi civili in quelle Regioni d’Italia dove esiste ancora questo
annoso problema è un obiettivo imprescindibile per il nostro Paese.
Queste piante OGM resistenti alla siccità avrebbero un impatto ambientale altamente positivo e credo che perfino il dogmatismo ambientalista dovrà rivedere le proprie posizioni su una tecnologia che
già oggi garantisce la riduzione di migliaia di tonnellate di pesticidi e,
secondo le maggiori accademie scientifiche nazionali ed internazionali, un prodotto di migliore qualità e maggior salubrità.
Ma l’innovazione – come dicevo – genera sospetto: la paura atavica
dell’ignoto, il pregiudizio che non accoglie la diversità, la circospezione che sconfina nel rifiuto, plasmano sovente l’opinione dei più ed impediscono una consapevole, equilibrata interpretazione dei fatti. Invece, proprio una corretta analisi e una pertinente gestione dei rischi alla
luce solo delle quali applicare il Principio di Precauzione costituiscono
una ideale direttiva di metodo, atta ad evitare le speculazioni arbitrarie. Perché è fin troppo facile accreditare singoli risultati di volta in
volta comodi per la razionalizzazione di interessi di parte, a detrimento di una analisi critica dell’insieme delle acquisizioni scientifiche, baluardo degli interessi della collettività.
Orbene, non è affatto scontato il gioco di correlazioni – allorquando si recita l’ingannevole slogan dell’OGM-free come prototipo di
qualità – che vuole “sostenibile uguale a biologico”; “biologico”, a sua
volta, equivalente a “sano e sicuro” e “sano e sicuro” (che vuol dire
assente da rischi) coincidente, infine, “con tipico”: questa catena di
equivalenze (sostenibile = biologico = sano = tipico) è semplicemente
arbitraria. Produzione di qualità non significa, peraltro, abiura di tutto ciò che tipico non è, demonizzazione di ogni sperimentazione e ricerca, magari anche di quella volta a chiarire i possibili inconvenienti
per la salute dell’uomo in agguato anche nel prodotto tipico. Le agrobiotecnologie possono, piuttosto, essere poste al servizio della tipicità
delle nostre produzioni perché in grado di rimediare al rischio di
estinzione di numerose varietà tipiche nazionali.
Occorre sfatare, senza indugio, con una informazione che invochiamo trasparente almeno quanto gli iter di produzione, la credulità
Indirizzi di saluto
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popolare: se le piante GM sono controllate è perché sono pericolose
e, dunque, suscettibili di progressive restrizioni. Così non è, e la gran
parte dei paventati danni correlati all’uso di OGM ossequiano esclusivamente una manipolazione della verità dei fatti che, anche in passato,
come accaduto per la demonizzazione del nucleare, ha visto l’Italia
protagonista di scelte irrazionali, economicamente penalizzanti. Ed allora, occorre affermare, senza timore, una certezza: pur dopo anni di
ricerca mirata e utilizzando le tecniche più avanzate, nessuno è stato
in grado di dimostrare la dannosità alimentare degli OGM, né modificazioni rilevanti ad ecosistemi da loro causate. È lecito il sospetto che
tale dannosità sia assente.
D’altro canto, non esiste un approccio ai complessi problemi
dell’agricoltura in grado di garantire soluzioni comunque efficaci e definitive: la via più sicura da percorrere per realizzare un’agricoltura
che sia attenta alle necessità dell’uomo e rispettosa della salvaguardia
dell’ambiente, va individuata nell’utilizzazione corretta e trasparente
di tutti gli strumenti che la ricerca mette a disposizione. In altri termini, le biotecnologie vegetali non vanno considerate in contrapposizione e cioè alternative rispetto alle metodologie tradizionali di miglioramento genetico delle piante. Esse sono semplicemente una ormai irrinunciabile integrazione di queste.
Vorrei concludere questo mio saluto evidenziando come gli OGM
continueranno a costituire sempre un problema e non una risorsa fino
a quando non verranno realizzate le necessarie armonie di “livello
normativo”: fino a quando, cioè, Regioni, Stato nazionale ed Europa
la penseranno in modo, tra loro, diverso, realizzando, sotto il profilo
della produzione normativa, testi legislativi tra loro incompatibili e,
soprattutto, generando una grandissima confusione sotto il cielo. Non
sto qui a tediarvi per illustrare le spinte centripete e centrifughe che
dominano questo scenario ed il cui annullamento vettoriale spetterebbe alla politica, se non fosse troppo impegnata a denigrare reciprocamente gli avversari, in un campagna elettorale tanto violenta quanto
priva di contenuti. Ma tant’è…
Mi limito, allora, a sottolineare che questa opera di “cucitura” –
cui la politica pare disinteressata – è giocoforza realizzata, con altri
mezzi evidentemente, dalla Corte costituzionale, a suon di declaratorie di incostituzionalità che ora decapitano la legge statale, ora colpi-
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I rischi di una scelta disinformata…
scono le normative regionale. A testimonianza e conferma che il cammino, per gli OGM, è difficoltoso innanzitutto in sede di accordo sulle competenze. L’ultimo atto di questa vicenda è la recentissima sentenza n. 116 del 2006 della Corte costituzionale; che, pubblicata solo
una settimana fa, è già un cult , secondo la moda tutta italiana, di tirare le istituzioni per la giacca. Questa volta ad essere tirati per la giacca
sono i quindici giudici di Palazzo della Consulta: perché chiunque abbia commentato a caldo la pronuncia, non ha mancato di ascrivere a
sé la “vittoria” per una decisione che, in realtà, è assai complessa. Così, i rappresentanti istituzionali dello Stato hanno visto nella pronuncia una vittoria sulle regioni; ma i rappresentanti di queste ultime, a
loro volta, hanno ritenuto che ad uscirne sconfitto è lo Stato.
La sentenza della Corte Costituzionale ha ad oggetto il ricorso, notificato il 22 marzo 2005 dalla regione Marche e depositato il 30 marzo 2005, relativo agli articoli 1, 2, 3, 4, 5, commi 3 e 4, 6, 7 e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279 (Disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale
e biologica), nel testo convertito, con modificazioni, dalla legge 28
gennaio 2005, n. 5. Fondamentalmente, la regione Marche aveva segnalato due principali profili di violazione di legittimità costituzionale.
Il primo concerneva l’inesistenza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza quale presupposto della decretazione di urgenza, mentre il secondo denunciava la violazione delle competenze esclusive della Regione medesima. La Corte ha ritenuto, innanzitutto, non fondata
la questione di illegittimità in merito alla decretazione di urgenza. I
requisiti per la decretazione di urgenza sono stati, cioè, ritenuti sussistenti dal Giudice delle leggi. Secondo la Corte, infatti, sussisteva la
necessità di superare con immediatezza la situazione prodotta dalla vigenza di diverse leggi regionali che prescrivevano, in termini più o
meno rigorosi, il divieto di impiego, ovvero l’obbligo di attenersi a
particolari limitazioni di impiego, degli OGM autorizzati dall’Unione
europea. Tale situazione, peraltro, si poneva assolutamente in contrasto con la raccomandazione 2003/556/CE della Commissione europea
sulla coesistenza delle colture, che, seppur atto non vincolante, autorizzava comunque l’impiego, nella produzione agricola, di OGM, purché autorizzati. Inoltre, la decisione 2003/653/CE della Commissione
sul caso dell’Austria Superiore, aveva confermato la necessità e l’ur-
Indirizzi di saluto
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genza dell’adozione di un testo normativo che eliminasse o riducesse
una situazione di evidente contrasto con il diritto comunitario e consentisse di avviare, pur nel doveroso rispetto delle competenze regionali, un procedimento di attuazione del principio di coesistenza tra
colture, con la celerità imposta dall’ imminenza della campagna di semina.
Anche la questione di illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 è
stata ritenuta, dalla Corte, infondata. Tali disposizioni, nel fornire una
definizione di colture transgeniche, biologiche e convenzionali (art. 1)
e nell’affermare il principio di coesistenza di tali colture in forme tali
da “tutelarne le peculiarità e le specificità produttive”, sono espressive
della competenza esclusiva dello Stato nella materia “tutela dell’ambiente” nonché della competenza concorrente nella materia “tutela
della salute”.
La competenza dello Stato di stabilire il principio di coesistenza ha
una valenza peculiare: esso infatti – come scrivono i giudici in sentenza – “vale a ribadire implicitamente la liceità dell’utilizzazione in
agricoltura degli OGM autorizzati a livello comunitario”. In parole
più semplici: riconoscere allo Stato il potere di affermare il principio
di coesistenza tra colture significa determinare, per incompatibilità,
l’abrogazione di tutte quelle normative regionali contenenti divieti e
limitazioni in tema di coltivazione di OGM. Sotto questo aspetto, la
sentenza ha un’enorme importanza di principio, ribadendo che nessuna regione può “chiamarsi fuori” dal principio di coesistenza affermato dallo Stato e non potrà fregiarsi, in via di principio, di quello che, in
tempi recenti è divenuto uno spot, ingannevole come solo la pubblicità sa esserlo: regione OGM-free. Non che di fatto una regione non
possa esserlo, ma non spetta alla regione stabilirlo come principio. Infatti, la formulazione e la specificazione del principio di coesistenza
tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali, rappresenta il
punto di sintesi fra i divergenti interessi costituiti, per un verso, dalla
libertà di iniziativa economica dell’imprenditore agricolo e, d’altro
verso, dall’esigenza che tale libertà non sia esercitata in contrasto con
l’utilità sociale ed, in particolare, recando danni sproporzionati all’ambiente e alla salute.
È, invece, per la Corte, fondata l’illegittimità costituzionale degli
articoli 3, 4, 6, comma 1 e 7 del decreto-legge 22 novembre 2004, n.
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I rischi di una scelta disinformata…
279, in quanto tali norme limitano le prerogative regionali esclusive.
La produzione di vegetali ed animali destinati all’alimentazione costituisce il nocciolo duro della materia agricoltura (essenza del significato del
termine agricoltura altrimenti multifunzionale) che è indiscutibilmente
competenza esclusiva delle Regioni. A chi va ascritta la competenza una
volta identificato lo “zoccolo duro”? L’esercizio del potere legislativo
da parte delle Regioni per disciplinare le modalità di applicazione del
principio di coesistenza nei diversi territori regionali, ricade ampiamente nell’ambito del nocciolo duro della materia agricoltura ed è
quindi riferibile alla competenza delle regioni. In particolare, le “norme quadro per la coesistenza” da emanarsi con un atto statale (art. 3)
e lo sviluppo ulteriore di queste “norme quadro” tramite piani regionali di natura amministrativa (art. 4) impediscono l’esercizio del potere legislativo da parte delle Regioni per disciplinare le modalità di applicazione del principio di coesistenza. Neppure appare giustificabile
la creazione di un nuovo organo consultivo statale, strettamente strumentale all’esercizio dei poteri ministeriali di cui all’art. 3 (art. 7). Tali
disposizioni devono pertanto essere dichiarate costituzionalmente illegittime.
L’articolo 6 comma 1, che prevede sanzioni amministrative è a sua
volta illegittimo, dal momento che la regolamentazione delle sanzioni
amministrative spetta al soggetto nella cui sfera di competenza rientra la disciplina della materia a cui sono riferibili le sanzioni. La dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 5, commi 3, 4 ed
8 è derivata dall’accertamento delle competenze esclusive delle Regioni in materia. In particolare, è dovuta al fatto che tali articoli si
pongono in nesso inscindibile con le norme ritenute illegittime, con
particolare riferimento alle “norme quadro” statali di cui all’art. 3 del
decreto-legge n. 279 del 2004 ed ai piani di coesistenza regionali di
cui all’ art. 4.
In conclusione, attualmente le norme che continuano ad operare
nell’ordinamento giuridico sono i soli articoli 1 e 2 del decreto-legge
22 novembre 2004, n. 279 nel testo convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5. Gli altri articoli, dichiarati illegittimi,
sono da considerarsi privi di qualunque effetto giuridico e non vincolanti a partire dal giorno dopo la pubblicazione della sentenza nella
Gazzetta Ufficiale.
Indirizzi di saluto
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E voglio davvero chiudere il mio intervento con le parole del Prof.
Veronesi, che così scrive: «L’ignoranza e la mancata consapevolezza
del bene e del male non possono più costituire un alibi per l’uomo del
terzo millennio. Non possiamo fare a meno del bene e della vita. La
più lunga e migliore possibile. Soprattutto dobbiamo allargare gli
orizzonti della conoscenza. Sconfiggere l’ignoranza dev’essere l’impegno primario, perché l’ignoranza non dà alcun diritto, né a credere né
a non credere».
INTRODUZIONE
Renato Angelo Ricci *
G
razie a tutti i presenti e grazie anche al Vice Ministro Nucara
che, oltre tutto, ha anche riassunto gli scopi della nostra Associazione nell’elencare i problemi di fronte ai quali noi ci
troviamo. Non dirò cose molte originali, oggi, perchè mi rifarò molto
semplicemente a documenti della nostra associazione ed anche ad atteggiamenti e proposizioni che sono già stati a suo tempo esplicitati,
ma che forse è bene ribadire. Credo sia superfluo accennare al fatto
che una Associazione come la nostra, che, tra l’altro, vive della buona
volontà dei propri soci e di coloro che ci aiutano, ha soprattutto come
scopo quello della sensibilizzazione dell’opinione pubblica in generale
ma anche della classe politica in particolare.
Devo dire che un intervento come quello dell’On. Nucara, molto
specifico ed attento, non è probabilmente il solo, e quindi non sarei
così pessimista almeno per quella parte della classe politica che anche
più recentemente ha dimostrato una maggiore attenzione ai problemi
che noi andiamo dibattendo. Purtroppo ciò non avviene in maniera
più esplicita nel circuito massmediatico, se non attraverso situazioni e
posizioni personali che caratterizzano capacità e notevole comprensione dei problemi della scienza. Credo che uno dei problemi che abbiamo di fronte e che toccano anche la stessa classe politica – quando si
tratta di avere informazioni corrette per poter prendere delle decisioni
abbastanza adeguate e responsabili – nonché l’opinione pubblica, è la
rete attraverso la quale l’informazione corrente viene trasmessa, e che
molto spesso è anche un filtro che fa da barriera a questa informazio-
* Presidente Associazione Galileo 2001
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I rischi di una scelta disinformata…
ne. È, questa, una delle nostre battaglie, che da tempo stiamo conducendo e che spero possano continuare e trovare risonanza anche da
parte di altri.
Vorrei rifarmi ad una recente presa di posizione della nostra Associazione che riguarda una lettera che noi abbiamo inviato ai candidati
alla Presidenza del Consiglio per il prossimo Governo. Accennerò ad
alcune espressioni specifiche, per esempio quella in cui si dice che le
piante OGM già oggi stanno contribuendo efficacemente all’incremento dello produttività agricola, al miglioramento della qualità del
prodotto, alla diminuzione dell’uso dei prodotti chimici per il controllo dei parassiti e alla salvaguardia dell’ambiente e vi è sufficiente fiducia che ciò permetterà presto la produzione di vaccini e prodotti vegetali con superiore capacità nutrizionale. Tutto ciò è documentato dalla
ricerca scientifica e dagli studi di economia agraria. Nella lettera, poi,
si fa riferimento specifico a quali siano i vantaggi e gli eventuali problemi, ma in particolare ci si rifà al fatto che in generale tutte le associazioni scientifiche interessate a problemi di questo tipo hanno sempre sostenuto e stanno sostenendo l’utilizzo degli OGM in particolare
per ciò che riguarda le piante geneticamente modificate. Franco Battaglia chiama gli OGM, giustamente, “organismi geneticamente migliorati”. Gli OGM possono venire incontro alle esigenze delle popolazioni del Terzo Mondo, che non hanno solamente “fame” di energia ma
anche fame e basta. Questo è un atout indispensabile che l’umanità
non può disattendere.
Mi interessa anche far rilevare come già nel primo Convegno che
tenemmo due anni fa, sempre qui nelle sale del CNR, il tema era il
Principio di Precauzione. Queste erano le espressioni che usai nella relazione introduttiva che mi piace oggi rileggere: “Oggi l’ufficio o compito di occuparsi delle sorti del pianeta e della salvaguardia dell’ambiente naturale, dell’habitat umano, della salute viene svolto da molti: panel
internazionali, agenzie, commissioni, associazioni varie, organizzazioni
più o meno volontarie e si rifà non solo e non tanto a vocazione o idealità ma ormai – il che potrebbe essere inteso come dovere sociale e senso
politico necessario – a impegno socio-economico che dovrebbe avere un
solido supporto tecnico-scientifico. Tuttavia mentre il dato socio-politico
e la sua estrapolazione economica e perfino finanziaria (il cosiddetto business ecologico) è più che acquisito tanto da essere divenuto negli ultimi
Indirizzi di saluto
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decenni patrimonio della burocrazia di potere e dei movimenti ideologizzati e delle associazioni politicizzate oltre che strumento di condizionamento pubblico, il dato tecnico scientifico indispensabile per comprendere e governare il problema è lungi da essere adeguatamente assicurato”.
Si tratta quindi di un punto sostanziale che giustifica le nostre battaglie.
Ricordavo inoltre l’incarico che nel 2001 mi era stato affidato di
Commissario Straordinario dell’ANPA e il compito che mi assunsi (al
di là di ogni schema ufficiale) di istituire un Comitato Scientifico di alto valore e completamente privo da conflitto di specifici interessi (e ve
ne erano purtroppo stati nei Comitati Scientifici del passato). Un Comitato (sono qui presenti alcuni che ne hanno fatto parte: Battaglia,
Sala, Sequi, Tirelli) che, tra i propri atti produsse un documento pregevole su “Scienza e Ambiente: conoscenze scientifiche e priorità ambientali”. Il documento è ancora visibile – anche se non ha avuto grande risonanza politica e mediatica. Veniva offerto ai parlamentari, ai
politici e agli organi di comunicazione come testo scientifico di base e
di consultazione per le questioni di fondo citate prima dall’On. Nucara. Uno dei primi argomenti trattati fu proprio: “Il rischio ambientale
da piante geneticamente modificate” (V. appendice 1). Vorrei qui rileggere la sintesi iniziale: “Prima dell’introduzione delle piante OGM non
si era mai sentita la necessità di imporre valutazioni di sicurezza per
l’impatto ambientale per le piante coltivate e per i loro effetti sulla salute umana o animale. In contrasto esaustive analisi sono oggi ufficialmente richieste nel caso in cui il miglioramento genetico delle piante
preveda operazioni di ingegneria genetica. Discutendo i dati sperimentali prodotti dall’intensa ricerca condotta in più di 10 anni dalla Comunità
Europea e nel resto del mondo, il presente documento concorda con l’osservazione che l’integrazione di un gene esogeno in una pianta geneticamente modificata non rappresenta di per sé un fattore di pericolo. Inoltre questo documento espone il principio secondo cui ha senso valutare i
rischi associati alla coltivazione di piante GM solo se questi rischi vengono confrontati con quelli che si incontrano nell’agricoltura tradizionale
basata sull’uso di piante non GM. Anzi il trasferimento genico risulta
una pratica di miglioramento genetico estremamente più controllabile
rispetto alle pratiche tradizionali basate sulla mutagenesi e sull’incrocio.
Eventuali rischi possono derivare solo dalla natura del gene selezionato
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I rischi di una scelta disinformata…
per una specifica applicazione. Ne consegue che la valutazione del rischio
dovrà essere effettuata caso per caso e che infine le conclusioni relative
ad un caso non saranno generalizzabili. Infine il documento conclude
che sarebbe fuorviante considerare i rischi della coltivazione di una specifica pianta GM se questi non venissero confrontati con quelli che oggi
si incontrano nella corrispondente coltivazione non GM. È infatti evidente che anche la pratica agricola tradizionale inclusa l’agricoltura oggi
definita biologica può comportare rischi per l’ambiente e per la salute.
La proposta è quindi che si accetti ciascuna delle piante GM prodotte
dalla ricerca scientifica solo se il rischio risulterà uguale o meglio inferiore a quello che oggi accettiamo per la coltivazione della cosiddetta pianta
non GM. In altri termini si valuti il rapporto rischi-benefici e si proibisca l’uso della pianta GM se questo rapporto risulterà inaccettabile ma la
si accetti quando i rischi risultino ridotti e i benefici notevoli. Il documento elenca ed analizza specifici rischi per l’ambiente delle piante GM
e propone, ove possibile, approcci che possano ridurne il livello”.
Mi pare che questo già allora mettesse in buona evidenza dove sta
la vera problematica che attiene al modo con cui scientificamente queste questioni si analizzano e si documentano, in maniera da offrire le
garanzie necessarie perché delle decisioni sane e corrette possano essere prese. Questo è un po’ il motivo di quella che è stata sempre la
nostra azione. In qualche caso è andata in porto anche in modo abbastanza positivo: per esempio, per il cosiddetto “elettrosmog”. In tal
caso si è per lo meno riusciti prima a bloccare, grazie anche all’azione
dell’allora Ministro della Sanità, il nostro Umberto Veronesi, un disegno di legge (del Ministro Bordon) che avrebbe portato i limiti italiani
a livelli ridicolarmente bassi rispetto a quelli internazionalmente adottati, scelta che, se operata, sarebbe costata al nostro Paese, per il risanamento richiesto, qualcosa come 60.000 miliardi di vecchie lire; e poi
tramite Commissioni e Comitati internazionali gestiti anche dall’ANPA (i nostri Tullio Regge e Francesco Cognetti ne hanno fatto parte)
fino a far definire per i campi elettromagnetici limiti che, pur se inferiori a quelli internazionalmente adottati, hanno scongiurato una spesa di denaro pubblico tanto immane quanto inutile ai fini sanitari.
Oggi noi siamo di nuovo, anche sul fronte della questione OGM,
per la valutazione non solo necessaria della ricerca scientifica in quanto tale ma anche per l’accettazione delle proposizioni che la comunità
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scientifica è in grado di presentare. Ci sono fior di scienziati in Italia
che possono dare garanzie sufficienti al riguardo. Mi pare che sia oltremodo preoccupante oggi constatare che vi siano programmi politici, in previsione della prossima legislatura, che auspicano un riesame
della questione “inquinamento elettromagnetico”, ai fini di riproporre
quella legislazione priva di fondamento scientifico cui accennavo e
che, anche nel caso degli OGM, facciano riferimento a posizioni di
dubbia qualità scientifica. Mi sembra doveroso da parte nostra farlo
rilevare a chi più responsabilmente si propone al governo del Paese, a
cui chiediamo di rivolgersi con più attenzione alle Comunità Scientifiche che sole possono offrire le garanzie necessarie di conoscenze e valutazioni corrette prima di ogni decisione politica.
Questo è il nostro compito e, malgrado difficoltà e incomprensione, sta a noi portarlo avanti con consapevolezza e decisione.
GLI OGM SONO PERICOLOSI?
Francesco Sala *
1. Il miglioramento genetico delle piante coltivate nel rispetto
dell’ambiente
C
irca 10.000 anni fa l’uomo imparò a selezionare e a coltivare le
piante di proprio interesse: nacque l’agricoltura. Nel XX secolo la scienza iniziò, con le leggi di Mendel, a sviluppare, su basi scientifiche, il miglioramento genetico delle piante coltivate. Le metodologie erano basate essenzialmente sull’incrocio tra organismi sessualmente compatibili e sulla selezione di organismi mutanti e poliploidi. Nel 1953: Watson e Crick dimostrarono che i caratteri genetici
di Mendel sono scritti nel DNA, e che l’alfabeto genetico è a 4 lettere.
Nei successivi 30 anni imparammo a manipolare questa molecola, tagliando, cucendo e trasferendo geni da un organismo ad un altro. Nel
1983 si dimostrò che si possono integrare nelle piante geni di altri organismi. Non fu una novità: già la metodologia funzionava in batteri
ed in cellule di mammifero, incluse quelle umane. Si ottennero le cosiddette piante transgeniche, oggi meglio conosciute come “piante
OGM”. Si comprese subito la grande potenzialità delle applicazioni
del trasferimento genico in piante di interesse agrario. Molto gruppi
di ricerca, sia pubblici, sia privati, decisero di investire capitali e forze
intellettuali nel settore. In definitiva, tutte le piante oggi coltivate sono
geneticamente modificate, sia che siano state ottenute per incrocio,
per mutagenesi o per trasferimento di geni esogeni. Tutte le piante
coltivate sono quindi OGM, anche se oggi l’uso di questo termine è limitato alle piante in cui sia stato trasferito un solo gene esogeno!
* Direttore Orti Botanici - Università di Milano
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I rischi di una scelta disinformata…
Ciascuna metodologia di miglioramento genetico è caratterizzata
da potenzialità, limiti e rischi. Ad esempio, l’incrocio crea nuova variabilità genetica nella progenie, ma si limita a rimescolare i geni delle
due piante partner. Nessun carattere assente dai due partner (ad
esempio, produzione di un nuovo metabolita) può comparire nella
progenie. Inoltre, il rimescolamento genico può modificare gli assetti
genici creando potenziali situazioni di rischio. La mutagenesi interviene in modo più mirato su di un gene di interesse ma può modificare
altri geni, anche sconosciuti, creando situazioni di potenziale rischio
(ad esempio, produzione di sostanze tossiche). Il trasferimento di un
gene, con la produzione di piante OGM, è, in teoria il metodo più
controllabile. Inserisce un gene in un genoma altrimenti non modificato. È utile una nota di cautela, perché è importante verificare se ciò
sia sempre così in ciascuna pianta OGM o se, in casi specifici non sia
avvenuto qualche riarrangiamento genico con ripercussioni funzionali.
Quali conoscenze hanno reso possibile la produzione di piante
OGM? Il trasferimento di geni nelle piante è stato reso possibile dallo
sviluppo di conoscenze sulla struttura e sull’universalità del codice genetico, dagli studi sulla struttura del DNA, sulla analisi dei geni e sui
loro segnali di espressione. Sulla base di queste conoscenze si è basata
la messa a punto delle metodologie per integrare geni esogeni nel genoma della pianta sviluppate negli anni Ottanta. Per attuare il trasferimento di un gene in una pianta è necessaria la disponibilità di:
• un tessuto vegetale competente per la trasformazione (non tutte le
specie e le varietà di piante sono “trasformabili”),
• un costrutto genico contenente sia il gene di interesse che i suoi segnali di espressione (promotore e terminatore),
• una metodologia per trasferire il costrutto stesso nella cellula vegetale ottenendo l’integrazione nei suoi cromosomi,
• un mezzo per la selezione di cellule OGM,
• una metodologia per differenziare piante OGM da singole cellule
OGM.
Oggi la metodologia funziona per la maggior parte delle piante di
interesse agrario (mais, soia, riso, pomodoro, pioppo e molte altre).
Abbisogna ancora di messa a punto in altri casi. È importante considerare che il trasferimento genico non soppianta le metodologie di mi-
Gli OGM sono pericolosi?
41
glioramento genetico già consolidate (incrocio e mutagenesi), ma si affianca ad esse nel tentativo di dare un valido contributo alla soluzione
della produttività agricola nel mondo.
Nel mondo, l’agricoltura che già fa uso di piante OGM è diffusa
nei paesi più diversificati. Questi, disseminati in tutti i continenti,
comprendono ormai più di 3 miliardi di abitanti. Vi sono nuovi paesi
che stanno sperimentando le piante OGM con cautela (Spagna, Francia, Germania) ed altri paesi che le combattono con grande determinazione (Italia, Austria). L’ISAAA (una organizzazione che studia le
applicazioni delle piante OGM nel mondo) ha prodotto dati che mostrano, nel 2005, gli USA in testa tra i paesi produttori di OGM (49.5
milioni di ettari per la produzione di soia, mais, cotone, papaia), seguiti dal Brasile, Canada e Cina (9.4, 5.8 e 3.3 milioni di ettari, rispettivamente). E seguono altri paesi con superfici variabili (sempre in milioni di ettari) dagli 1.8 del Paraguay fino agli 0.1 della Germania). Ma
queste sono cifre ufficiali. Dati senz’altro in difetto, visto che non includono alcune osservazioni recenti. Ad esempio, nessun paese al
mondo produceva ufficialmente riso OGM nel 2005, eppure alcune
organizzazioni hanno denunciato, nello stesso anno, la presenza di riso OGM nei mercati cinesi. Inoltre, nel settembre 2006, la UE ha
messo sotto stretto controllo le importazioni di riso dagli USA con
l’accusa di contenere, anch’esso tracce di riso OGM non autorizzato.
Per l’Italia e per gli altri paesi europei che si oppongono all’uso degli OGM il problema non è secondario: siamo su una posizione di
avanguardia in protezione della salute pubblica (prodotti OGM tossici per il consumatore) e dell’ambiente (alterazione della biodiversità
degli ambienti agricoli) o stiamo perdendo posizioni nella competizione internazionale e ci stiamo opponendo alla creazione di un’agricoltura più produttiva e, contemporaneamente, più in equilibrio con
l’ambiente?
Coloro che avversano le piante OGM si fanno forti del Principio di
Precauzione. In base ad esso chiedono che venga data l’assoluta certezza che le piante OGM siano esenti da rischi attuali e futuri. Ma il
problema è che una scienza responsabile non può offrire assolute garanzie. La scienza non dà mai sicurezza, dà conoscenze sulla base delle quali si possano valutare i rischi ed i benefici delle nuove scoperte e
delle nuove tecnologie. Rischi esisteranno sempre, in ogni attività
42
I rischi di una scelta disinformata…
umana. Compito della scienza non può essere che quello di verificare,
caso per caso, il livello di rischio ed offrire alla società parametri per le
decisioni sulla loro accettabilità. Si afferma: “se la scienza non dà sicurezza, meglio il non-fare”. Ma è possibile che il “non-fare abbia conseguenze più gravi del fare”. Si prendano gli esempi del passato: chi
avrebbe mai autorizzato, secondo l’interpretazione più restrittiva del
Principio di Precauzione la sperimentazione sui vaccini, sugli antibiotici o l’introduzione nella dieta europea della patata, che contiene la solanina, un alcaloide tossico?
Dunque, il Principio di Precauzione deve essere ragionevolmente
associato al Principio di Proporzionalità: deve comportare una analisi
dei rischi e dei benefici. Avanzo una proposta che mi pare sensata:
smettiamo di pretendere che le piante OGM siano assolutamente
esenti da rischi. Accettiamole se il rapporto rischi/benefici risulta
eguale, o migliore, rispetto a quello attualmente accettato nella agricoltura tradizionale ed in quella biologica.
In pratica, caso per caso, e per ciascuna pianta OGM:
• Si valutino i benefici,
• Si valutino i rischi, sia per la salute umana sia per l’ambiente,
• Si stabilisca un limite massimo accettabile al valore del rapporto rischi/benefici delle piante OGM. Siano esse accettate solo se questo
valore sarà minore o eguale a quello accettato nella attuale pratica
agricola non-OGM.
A proposito del Principio di Precauzione, il 18 giugno 2004, il Comitato Nazionale per la Bioetica (C.N.B., presidente prof. Francesco
D’Agostino) rendendo pubblico il proprio parere nel documento
Parere del C.N.B. sul “Principio di Precauzione: profili bioetici, filosofici, giuridici” scriveva che: “Occorre certamente guardarsi da ogni
immotivato ricorso al Principio di Precauzione, come zelanti sostenitori vorrebbero imporre ad ogni piè sospinto. Occorre invece fornire un’interpretazione ragionevole di tale Principio, che dovrà essere
rigorosamente applicato solo allorché uno specifico rischio sia identificato (benché non ancora esattamente stimato) dalla comunità degli esperti”.
Gli OGM sono pericolosi?
43
2. Un primo esempio di analisi dei rischi e dei benefici: il mais-Bt
Il mais è un importante cereale usato nelle società avanzate per nutrire animali e, nelle società più povere, per l’alimentazione diretta. Le
coltivazioni di mais occupano quindi rilevanti estensioni di terreno
agricolo nelle zone temperate e calde di diverse parti del mondo. Uno
dei suoi principali parassiti, capaci di ridurre notevolmente la produttività, è rappresentato dalla piralide, un insetto che, scavando lunghe
gallerie all’interno del fusto della pianta, riduce notevolmente la produttività della pianta. Ma non solo: una pianta di mais attaccata dalla
piralide risulta indebolita e suscettibile ad altri parassiti. Tra questi,
più frequentemente si osservano funghi, quali Aspergillus flavus e
Aspergillus parasiticus, che si sviluppano sopra e dentro il fusto, e che
producono sostanze tossiche e cancerogene (le micotossine), sia per
l’uomo che per l’animale. Nelle coltivazioni tradizionali di mais, il
problema è affrontato trattando i campi con opportuni insetticidi. Ma
ciò, a volte, ha risultati parziali in quanto l’insetto è ben protetto
all’interno del fusto. Si noti che anche nel caso in cui il mais sia usato
per alimentare animali, le micotossine arriveranno all’uomo attraverso
la catena alimentare.
Le varietà di mais OGM (il mais-Bt), introdotto per ora soprattutto
nei campi USA, sono state dotate di un gene che produce una sostanza tossica per la piralide ma innocua per l’uomo e per gli altri animali.
Il gene è stato isolato dal Bacillus thuringiensis (Bt). È interessante notare che il batterio in toto è usato da decenni come insetticida in agricoltura. La novità è che mentre in precedenza si spruzzavano le piante
con preparati insetticidi a base di Bt, la tossina è ora prodotta direttamente dalle cellule del mais stesso.
In definitiva, un mais-Bt si auto-protegge dalla piralide, non richiede trattamenti insetticidi e risulta contenere poche o niente dosi di micotossine.
Quali i rischi del mais-Bt? Un’imponente ricerca a riguardo, non
ha evidenziato alcunché che dimostri che l’inserimento di questo gene
esogeno nella pianta di mais costituisca un pericolo alimentare. Esistono invece preoccupazioni ambientali per il trasferimento del gene esogeno, per incrocio, in piante di mais selvatico. Queste ultime crescono
un alcuni ambienti limitati (America Centrale) e non in altri (ad esem-
44
I rischi di una scelta disinformata…
pio, Europa), per cui il pericolo è circoscritto alle zone ove è concentrata la biodiversità del mais selvatico. In Europa, ove non vi è alcun
esemplare di mais selvatico, il polline potrà preoccupare solo eventuali coltivazioni di mais biologico, nel caso si desideri quest’ultimo assolutamente OGM-free. In questo caso è stato stabilito che zone di rispetto di poche decine o centinaia di metri sono assolutamente sufficienti per raggiungere lo scopo.
Il mais-Bt è per ora un prodotto USA, ma la sua coltivazione si sta
sviluppando anche in Brasile, Canada, Sud Africa, Uruguay e Cina.
3. Un secondo esempio di analisi dei rischi e dei benefici: il riso-Bt.
Si tratta della pianta più utilizzata nel mondo per uso alimentare
umano. La sua importanza è accresciuta dal fatto che costituisce l’alimento principale dei poveri del pianeta. È invece limitato il suo interesse per i paesi ricchi. È anche per ciò che la ricerca più avanzata sul
riso OGM è quella portata avanti nella R.P. Cinese. L’approccio cinese
a questa problematica serve anche a sfatare una convinzione diffusa,
quella che considera i cinesi più superficiali nell’analisi dei rischi degli
OGM, più pronti ad accettarne rischi a causa delle loro esigenze alimentari. In una recente pubblicazione1 si analizza un riso-Bt resistente
ad insetti parassiti che riducono notevolmente la produttività. Gli autori hanno cercato le risposte sperimentali ai seguenti quesiti:
1. L’uso di riso-Bt riduce effettivamente l’uso di insetticidi nei campi?
2. Le nuove varietà di riso-Bt aumentano la produttività nelle risaie
dando quindi un vantaggio per gli agricoltori?
3. Vi sono rischi e/o vantaggi per la salute degli agricoltori?
4. Il riso-Bt può divenire un rischio ambientale a causa della diffusione del suo polline nell’ambiente?
I risultati hanno dimostrato che le coltivazioni OGM producono
dal 6% al 9% in più rispetto alle coltivazioni non-OGM e che le pian-
1
Huang J., Hu R., Rozelle S., and Pray C., Insect-resistant GM rice in farmers’ fields: assessing productivity and health effects in China, Science 308,
(2005).
Gli OGM sono pericolosi?
45
te OGM tengono i parassiti sotto controllo eliminando il ricorso a insetticidi. Inoltre, l’eliminazione dell’uso di insetticidi ha portato ad
una riduzione dei casi di avvelenamento degli agricoltori durante le
operazioni per i trattamenti in campo. Il via libera al riso OGM in Cina è probabile nel prossimo futuro, al massimo proibendone la coltivazione solo nelle zone di diffusione del riso selvatico (sud del Paese).
In definitiva, l’uso di piante OGM si sta rivelando un potente mezzo aggiuntivo per il miglioramento della produzione agricola mondiale
nel rispetto dell’ambiente. Molti Paesi del mondo lo hanno compreso
e stanno investendo molto in programmi di ricerca e sviluppo. Bene
hanno fatto quei Paesi che hanno voluto stabilire rigide regole di controllo del rapporto rischi/benefici nelle singole applicazioni della metodologia di trasferimento genico. Ma vi è una sostanziale differenza
tra quei paesi che chiedono verifiche scientifiche sulla loro accettabilità e quelli che le avversano per questioni ideologiche che nulla hanno a che vedere con la scienza.
46
RISKS AND BENEFITS OF GENETICALLY MODIFIED RICE
PLANTS IN CHINA
Bao-Rong Lu *
Abstract: With the fast development of transgenic biotechnology,
many genetically modified (GM) crops have been developed. Some of
these GM crops have been released for commercial production or
environmental testing. China is one of the world’s active countries in
promoting and developing transgenic biotechnology. As a
consequence, many GM crops are produced in China. Some of the
GM crops (such as Bt-cotton) have been released for
commercialization, and some are in the pipelines waiting for
commercial production after biosafety approval. Undoubtedly, the
development of the transgenic technology and GM products will bring
great benefits to the world, particularly to the developing countries,
but the extensive commercialization of GM crops has generated great
biosafety concerns, including food and feed safety, environmental
biosafety and other related biosafety problems. This has encouraged
remarkable research activities to assess the risks related to the biosafety
concerns. Risk assessment for environmental biosafety includes areas,
such as gene flow and its ecological consequences, impact of
transgenes on non-target organisms, development of resistances to the
Bt toxin, fitness of interspecific hybrids, and field performance of GM
crops. China pays a special attention on biosafety risk assessment for
GM crops, including rice and its wild relatives, because of the desire
for commercialization of GM rice. Our research team has been actively
* Ministry of Education Key Laboratory for Biodiversity and Ecological
Engineering - Institute of Biodiversity Science - Fudan University, Shanghai
200433, China. [email protected]
47
RISCHI E BENEFICI
DEL RISO GENETICAMENTE MODIFICATO
IN CINA 1
Bao-Rong Lu *
Riassunto: Il veloce progredire delle moderne biotecnologie ha portato fino ad ora allo sviluppo di molte piante geneticamente modificate
(GM). Alcune di queste sono già state messe sul mercato oppure autorizzate per il rilascio ambientale a scopo sperimentale. Uno dei paesi
più attivi al mondo nella promozione e sviluppo delle moderne biotecnologie è la Cina, che di conseguenza ha prodotto molte di queste
colture geneticamente modificate. Di alcune di esse (come per esempio il cotone Bt) è già stato autorizzato il commercio; mentre altre devono completare il processo di valutazione della biosicurezza prima
della coltivazione in pieno campo. Indubbiamente lo sviluppo della
tecnologia di transgenesi e i prodotti GM porteranno grandi benefici
al mondo e in particolare ai paesi in via di sviluppo, ma l’estesa diffusione delle colture GM ha suscitato molte preoccupazioni in merito
alla loro biosicurezza, sia per quel che concerne l’alimentazione umana ed animale, che in termini di sicurezza per l’ambiente e di altri
eventuali rischi associati al loro impiego. Tutto ciò ha incoraggiato una
notevole attività di ricerca per determinare i rischi effettivamente associati a tali preoccupazioni. La valutazione del rischio ambientale include aspetti come la determinazione del flusso genico e delle sue conseguenze ecologiche, l’impatto dei transgeni sugli organismi non tar1
Tradotto da Paolo Voltolina.
* Ministero dell’Educazione - Laboratorio di Biodiversità ed Ingegneria Ecologica - Istituto di Scienze della Biodiversità - Università di Fudan, Shanghai 200433,
Cina. [email protected]
48
Risks and benefits of genetically modified rice…
involved in environmental biosafety assessment in China. This
presentation will focus our biosafety research and assessment in the
area of transgene escape and its environmental consequences
including: pollen flow, crop-to-crop and crop-to-wild gene flow, fitness
performance, cost-benefit fitness of GM rice in field performance, and
expression of Cry1Ac protein in hybrids between Bt rice and a wild
relative.
Key words: Oryza, gene flow, transgene escape, ecological biosafety,
wild rice, GM crop
R
ice (Oryza sativa L.) is one of the most important world’s
crops, providing staple food for nearly one half of the global
population. More than 90% of rice is grown and consumed in
Asia where about 55% of the world’s population lives (Lu 1996),
reflecting the importance of rice in Asian people’s daily life, in
addition to its significances in cultural aspects in this area. Rice is also
one of the earliest world’s crops to which transgenic biotechnology
has been effectively applied for its genetic improvement (Ajisaka et al.
1993; Yahiro et al. 1993; Lu and Snow 2005). Therefore, genetically
modified (GM) rice is not any more a novel terminology to publics of
many societies. Except for Iran where a small scale of a GM insectresistance rice (containing Bt gene) variety was commercially released,
no other GM rice varieties have been officially approved for extensive
commercial cultivation in the world. However, genes conferring traits
such as high protein content, special nutritional compounds, disease
and insect resistance, virus resistance, herbicide resistance, and salt
tolerance, have been successfully transferred into different rice
varieties through transgenic technology (Ajisaka et al., 1993; Yahiro et
al., 1993; Matsuda 1998; Messeguer et al. 2001; Brooks and Barfoot
2003). It is predicted that, as an important world cereal crop, GM rice
varieties, like many other GM crops that enhance yields, improve
human health, and make agriculture more sustainable (Snow 2003),
will be released into environment for commercial production in the
near future, after their necessary food and environmental biosafety
assessments are accomplished by the authorized agencies (Brooks and
Barfoot 2003).
Rischi e benefici del riso geneticamente modificato …
49
get, eventuale sviluppo di resistenze alle tossine Bt, potenzialità di
ibridi interspecifici, valutazione della performance agronomica delle
piante GM in campo. La Cina dedica particolare attenzione alla valutazione dei rischi potenziali delle colture GM, fra cui in particolare il
riso e le sue specie selvatiche più vicine, poiché intende mettere in
commercio varietà di riso GM. Il nostro gruppo di ricerca è stato attivamente coinvolto nella valutazione dei rischi ambientali in Cina.
Questa presentazione sarà incentrata pertanto sulle nostre ricerche
condotte per la valutazione dei rischi connessi alla diffusione del transgene nell’ambiente e le eventuali conseguenza, fra cui: flusso pollinico, flusso genico all’interno della stessa specie o con specie selvatiche
compatibili, valutazione della fitness, comportamento agronomico del
riso GM in campo ed espressione della proteina Cry1Ac in ibridi fra
riso Bt e specie selvatiche.
Parole chiave: Oryza, flusso genico, fuga transgene, sicurezza ambientale, biosicurezza, riso selvatico, piante GM
I
l riso (Oryza sativa L.) è una delle colture più importanti al mondo, poiché costituisce la base alimentare per circa metà dell’intera popolazione mondiale. Più del 90% del riso è coltivato e consumato in Asia, dove si trova circa il 55% degli abitanti del pianeta
(Lu 1996), per i quali questa coltura riveste quindi una grandissima
importanza, essendo inoltre strettamente legata agli aspetti culturali
di queste regioni. Il riso è anche una delle prima piante al mondo alla
quale siano state applicate con successo le moderne tecnologie di trasformazione per il suo miglioramento genetico (Ajisaka et al. 1993;
Yahiro et al. 1993; Lu and Snow 2005). Per questo motivo il riso geneticamente modificato non rappresenta più una novità per l’opinione pubblica di molte società. Ciononostante non sono state ancora
immesse ufficialmente in commercio varietà di riso GM autorizzate
per la coltivazione, fatta eccezione per l’Iran, dove modeste superfici
di riso Bt resistente agli insetti sono state coltivate a scopo commerciale. Tuttavia, diversi tratti genici che conferiscono particolari caratteri sono già stati inseriti con successo per mezzo delle moderne biotecnologie in diverse varietà di riso; fra questi caratteri ci sono un
50
Risks and benefits of genetically modified rice…
China is one of the world’s active countries in promoting and
developing transgenic biotechnology. As a consequence, many GM
crops are produced in China. There are more than 70 institutions in
China actively involved in developing GM rice varieties with different
traits (Lu and Snow 2005). With the successful experiences in
cultivation of insect-resistance GM cotton (Bt gene), China is also
ramping up the efforts to commercialize the GM rice (Jia 2004). Many
GM rice varieties are produced and now in the pipelines waiting for
commercial production after biosafety approval. A small scale of
assessment on the benefit-and-cost of using insect-resistance GM rice
varieties based materials used for environmental biosafety test showed
a considerable benefit for small farmers with less pesticide use and
higher incomes if GM rice varieties are commercialized in China
(Huang et al. 2005).
Like many other new developments, transgenic biotechnology and
the GM products have evoked most intense debates on their biosafety
concerns worldwide (Bergelson et al. 1998; Schiermeier 1998;
Crawley et al. 2001; Ellstrand 2001; Prakash 2001). Biosafety issue has
become a crucial constraint to the further development of transgenic
biotechnology and wider application of GM products, including GM
rice. Transgene escape from the GM rice varieties and its potential
environmental consequences is among the most controversial
biosafety concerns across the world (Lu et al., 2003). Terminologically,
transgene escape refers in general to a gene or a group of genes
introduced to a crop variety by a genetic engineering method moving
to its non-GM counterparts or wild relative species (including weedy
biotypes) through gene flow (including pollen flow and seed
dissemination). Cross-pollination between GM rice and non-GM rice
varieties or its wild relatives is the major pathway for transgene
escape. Accordingly, there are two types of transgene escape, i.e.,
crop-to-crop and crop-to-wild transgene escape that are usually
discussed by publics.
It is argued that the crop-to-crop transgene escape might
contaminate non-GM rice varieties, affecting the purity of these rice
varieties, as well as the strategic deployment of GM- and non-GM rice
in a given agricultural system. When normal rice varieties are mixed
with individuals of GM rice, the exporting trade of rice, particularly
Rischi e benefici del riso geneticamente modificato …
51
maggiore contenuto proteico, l’espressione di specifici composti ad
alto valore nutrizionale, resistenza a malattie, insetti, virus e tolleranza agli erbicidi o a condizioni di elevata salinità (Ajisaka et al., 1993;
Yahiro et al., 1993; Matsuda 1998; Messeguer et al. 2001; Brooks and
Barfoot 2003). Essendo un cereale così importante a livello mondiale,
è ipotizzabile che in un prossimo futuro vengano autorizzate per la
coltivazione a scopi commerciali diverse varietà di riso GM, così come altre piante GM con maggiore produttività, che comportino particolari benefici per la salute umana oppure in grado di rendere maggiormente sostenibile la produzione agricola (Snow 2003), ma solo
una volta che le autorità competenti ne abbiano accertato la sicurezza
alimentare ed ambientale (Brooks and Barfoot 2003).
Poiché la Cina è uno dei paesi più attivi al mondo nella promozione e sviluppo delle moderne agro-biotecnologie, molte piante GM
vengono qui prodotte. Più di 70 istituti in Cina sono attivamente coinvolti in progetti di sviluppo di varietà di riso GM con differenti tratti
(Lu & Snow 2005). Inoltre, le esperienze di coltivazione del riso che
esprime la proteina Bt hanno avuto un tale successo che la Cina sta
cercando di intensificare ulteriormente i propri sforzi per la messa in
commercio del riso GM (Jia 2004). Molte varietà di riso GM sono infatti ormai pronte al lancio commerciale, ma ancora in attesa delle opportune autorizzazioni a seguito delle valutazioni di biosicurezza. Una
sperimentazione su piccola scala condotta per la valutazione del rischio ambientale e dei costi/benefici legati all’impiego di varietà di riso GM resistente agli insetti ha mostrato come i piccoli coltivatori potrebbero trarne considerevole beneficio nel momento in cui tali varietà fossero rese commercialmente disponibili in Cina, comportando
un minor impiego di insetticidi e maggiori ricavi (Huang et al. 2005).
Così come è accaduto per molte altre innovazioni, le moderne biotecnologie e i prodotti geneticamente modificati hanno sollevato in
tutto il mondo preoccupazioni ed accesi dibattiti riguardo la loro sicurezza (Bergelson et al. 1998; Schiermeier 1998; Crawley et al. 2001;
Ellstrand 2001; Prakash 2001), una delle principali questioni che ne limita un’ulteriore sviluppo e una maggiore applicazione. La possibilità
che un transgene possa ‘scappare’ dalle colture di riso GM e le eventuali conseguenze per l’ambiente sono fra gli argomenti più controversi a livello mondiale nel processo di valutazione della biosicurezza
52
Risks and benefits of genetically modified rice…
to these countries with a rigid biosafety control, would be
considerably influenced, and even cause some legal difficulties. The
crop-to-wild transgene escape may lead to the persistence and
dissemination of transgenes in wild or weedy rice populations through
sexual reproduction and/or vegetative propagation. If the transgenes
are responsible for resistance to biotic and abiotic stresses (such as
drought and salt tolerance, and herbicide resistance), these genes
could significantly enhance ecological fitness of wild and weedy rice
species, and make the host wild plants more invasive, which could
probably cause unpredictable environmental consequences in certain
ecosystems. On the other hand, when transgenes escape to wild rice
populations through outcrossing, the rapid spread of the resulted
hybrids and their transgene-carrying progeny would result in
contamination of the original wild rice populations, and even lead to
the extinction of endangered wild rice populations in local ecosystems
by the so-called swarm effect (Kiang et al. 1979; Ellstrand and Elam
1993). This will jeopardize in situ conservation of wild rice
germplasm. In addition, the perennial hybrids between GM rice and
their wild relatives carrying transgenes may serve as a “bridge” to
spread their transgenes to other wild related species through
outcrossing, causing even more significant ecological consequences.
Transgene escape and its ecological consequences have been
extensively discussed worldwide. Will transgene escape occur in rice
through outcrossing? Will transgene escape pose an environmental
safety problem in rice ecosystems? These questions relating to the
biosafety of GM rice need to be adequately addressed for scientific
and public understanding. Normally, the occurrence of transgene
escape from GM rice needs to meet the following three prerequisites.
Spatially, GM rice and its non-GM counterparts/wild relatives should
have a sympatric distribution, i.e. growing in the same vicinity and
also in a close contact. In terms of crop-to-wild transgene escape,
temporally, the flowering time (including flowering duration within a
year and flowering time within a day) of GM rice and its wild relatives
should overlap considerably; and biologically, GM rice and its wild
relative species should have a sufficiently close relationship, also the
resulted interspecific hybrids should be able to reproduce naturally.
Consequently, the knowledge of geographic distribution patterns,
Rischi e benefici del riso geneticamente modificato …
53
(Lue et al., 2003). Con l’espressione “fuga di un transgene” ci si riferisce in genere alla possibilità che un singolo gene o un gruppo di essi,
introdotti in una coltura per mezzo di tecniche di ingegneria genetica,
possano essere ritrovati nelle controparti tradizionali o in specie selvatiche affini (compresi eventuali biotipi inselvatichiti) per mezzo del
flusso genico (tramite dispersione del polline e disseminazione). L’impollinazione incrociata tra il riso GM e varietà tradizionali, oppure
con specie selvatiche compatibili, è la principale via di fuga di un transgene. Esistono pertanto due vie di flusso genico per cui il transgene
può “scappare” e che sono generalmente al centro del dibattito pubblico: da coltura a coltura oppure da coltura a popolazioni selvatiche.
Una delle principali obiezioni è che il flusso genico da coltura a
coltura possa contaminare le varietà di riso non GM, compromettendo così la purezza del prodotto e l’impiego strategico di varietà GM
rispetto a quelle tradizionali in determinati sistemi agricoli. La presenza accidentale di prodotto GM può influenzare notevolmente l’esportazione di partite di prodotto tradizionale, soprattutto verso quei paesi con standard di controllo particolarmente rigidi, potendo causare
difficoltà anche di tipo legale. Il flusso genico dalla coltura a popolazioni selvatiche può invece portare alla persistenza e disseminazione
del transgene in specie selvatiche o infestanti compatibili, sia tramite
riproduzione sessuata che per propagazione vegetativa. Se il transgene
è in grado di conferire una qualche resistenza a stress biotici o abiotici
(come per esempio resistenza a siccità, salinità o specifici erbicidi), la
fitness ecologica delle specie riceventi potrebbe risultarne significativamente aumentata, rendendole più invasive e potendo così produrre
conseguenze imprevedibili per l’ambiente in determinati ecosistemi.
Inoltre, nel momento in cui il transgene dovesse diffondersi in popolazioni di riso selvatico tramite impollinazione incrociata, il rapido
diffondersi degli ibridi che ne risulterebbero e della loro progenie potrebbe portare alla contaminazione delle popolazioni selvatiche originali, potendo persino determinare l’estinzione di quelle a rischio in
ecosistemi locali, a causa del cosiddetto effetto swarm (Kiang et al.
1979; Ellstrand e Elam 1993). Ciò comprometterebbe la conservazione in situ del germoplasma delle specie selvatiche di riso. Ibridi perenni fra riso GM e parenti selvatici contenenti il transgene potrebbero
inoltre fungere da “ponte” per la diffusione del transgene ad altre spe-
54
Risks and benefits of genetically modified rice…
flowering habits, and genetic relationships of cultivated rice and its
wild relative species will be essential for predicting transgene escape
in rice. Similarly, data on the actual gene flow frequencies between
different rice varieties, and between cultivated and wild species are
also important for predicting transgene escape and its potential
ecological consequences, based on which strategies to minimize
transgene escape can be developed.
Studies have clearly shown geographical distribution patterns and
genetic relationships of cultivated rice and its wild relative species in
the genus Oryza. It is known that the genus comprises two cultivated
species and over 20 wild species with ten different genome types, i.e.
the AA, BB, CC, BBCC, CCDD, EE, FF, GG, JJHH, and JJKK
genomes (Vaughan 1994; Ge et al. 1999), widely distributed in the
pan-tropics and subtropics (Vaughan 1994). Species that contain
different genomes have significant reproductive barriers. Therefore,
genetically speaking, such species are distantly related and
spontaneous hybridization between these species with different
genomes is extremely difficult. Cultivated rice contains the AA
genome and is relatively easy to cross with its close relative species
(including weedy rice) that also contain the AA genome.
Theoretically, transgene escape from GM rice varieties will merely
occur to the wild rice species with the AA genome.
Research data have demonstrated that apart from the two cultivated
rice species (O. sativa and O. glaberrima), these wild relatives, O.
rufipogon and O. nivara from Asia, O. longistaminata and O. barthii
from Africa, O. glumaepatula from Latin America, and O. meridionalis
from northern Australia and New Guinea, also contain the AA
genome. The AA-genome wild Oryza species is distributed across a
significantly wide geographic region in different continents, and Asian
cultivated rice (O. sativa) shares sympatric distribution with these wild
species in many areas, particularly in Southeast and South Asia,
Central Africa, and Latin America. The weedy rice is usually found in
rice fields alongside cultivated rice. Data on geographic distribution
evidently indicate that spatially transgenes from cultivated rice have a
great potential to escape to its wild relative species.
Flowering habits of cultivated rice grown in different parts of the
world vary considerably depending on differences in local cultivation
Rischi e benefici del riso geneticamente modificato …
55
cie selvatiche tramite incrocio, con conseguenze ecologiche ancora più
significative.
Il flusso genico e le sue conseguenze ecologiche sono stati discussi
estensivamente in tutto il mondo. La diffusione del transgene tramite
impollinazione incrociata avviene nel riso? Rappresenta un problema
di sicurezza ambientale negli ecosistemi legati al riso? A queste domande bisogna cercare di rispondere adeguatamente nel processo di
valutazione della biosicurezza del riso GM, per aumentare le conoscenze sia del mondo scientifico che dell’opinione pubblica. Affinché
il flusso genico da colture di riso GM possa avvenire, occorre normalmente che si verifichino tre condizioni fondamentali: spazialmente, il
riso GM e le sue controparti tradizionali o selvatiche devono avere
una distribuzione simpatrica, cioè crescere nello stesso ambiente ed
inoltre a stretto contatto; per quel che concerne il flusso dalla coltura
a specie selvatiche, temporalmente, occorre che i periodi di fioritura
del riso GM e delle specie compatibili si sovrappongano significativamente (sia nell’arco dell’anno che nell’ambito della giornata); ed infine, biologicamente, la relazione fra il riso GM e le specie selvatiche
deve essere sufficientemente stretta e gli ibridi interspecifici che ne risultano devono essere in grado di riprodursi naturalmente. Pertanto la
conoscenza degli schemi di distribuzione geografica, le caratteristiche
della fioritura e la correlazione genetica fra il riso coltivato e le specie
selvatiche vicine sono fondamentali per cercare di predire l’entità del
flusso genico nel riso. Allo stesso modo, informazioni riguardo l’effettivo flusso genico fra le differenti varietà coltivate di riso e con le specie selvatiche sono altresì importanti per valutare le potenziali conseguenze ecologiche, sulle quali poi sviluppare efficaci strategie di contenimento.
Alcuni studi hanno chiaramente messo in evidenza gli schemi di distribuzione geografica e la correlazione genetica del riso coltivato con
le sue specie selvatiche all’interno del genere Oryza. È noto infatti che
tale genere comprende due specie coltivate ed oltre 20 specie con dieci tipi di genomi differenti, e cioè: AA, BB, CC, BBCC, CCDD, EE,
FF, GG, JJHH e JJKK (Vaughan 1994; Ge et al. 1999), largamente
diffusi nelle regioni pan- e sub-tropicali (Vaughan 1994). Le specie
che contengono genomi differenti presentano notevoli barriere riproduttive. Da un punto di vista genetico, quindi, tali specie risultano di-
56
Risks and benefits of genetically modified rice…
time and seasons, and in varietal types. The flowering and pollinating
time of different wild rice species or different populations of the same
species also varies significantly across different geographic regions.
Our studies of a selected O. rufipogon population found in Hunan
Province of China and two cultivated rice varieties showed that both
of the flowering period in a year and flowering time in a day had
considerable overlap between O. rufipogon and the two rice varieties.
Our additional experimental data also showed that pollen grains of O.
rufipogon and a cultivated rice variety could be viable in air for more
than 60 minutes (Song et al. 2001). These results suggest that
outcrossing between O. rufipogon and cultivated rice will take place, if
the two species are grown near to each other.
Data on interspecific crossability, meiotic chromosome pairing,
and fertility in the F 1 hybrids can be used to estimate genetic
relationships of the cultivated rice and its AA-genome wild relatives.
If cultivated rice has relatively high crossability with its wild relatives,
normal meiosis, and comparatively high fertility in the F1 hybrids, the
transgenes will easily escape to wild relative species through
outcrossing and persist in environment. Transgenes would also
disseminate through reproduction or vegetative propagation if the
hybrids and their progeny were perennial. Results from our
interspecific hybridization showed that most of the AA-genome wild
rice species have relatively high compatibility with the cultivated rice,
extremely high chromosome pairing formed in meioses of the F1
hybrids with the wild rice, and spikelet fertility of the F1 hybrids was
relatively high under bagged self-pollination conditions. These data
indicate a high opportunity of transgene escape from GM rice to its
wild relatives, in terms of the close genetic relationships of cultivated
rice with its AA-genome wild relatives.
In order to obtain data on the actual gene flow frequencies
between different cultivated rice varieties, and between cultivated rice
and its wild species under natural conditions, we conducted a series of
experiments involving GM-, non-GM rice varieties, weedy rice, and
O. rufipogon. The experimental data showed that gene flow
frequencies between different rice varieties were very low (less than
0.5%), although with a certain variation, comparable gene flow
frequencies were observed between cultivated rice and weedy rice.
Rischi e benefici del riso geneticamente modificato …
57
stanti fra loro e la probabilità che avvenga un’ibridazione spontanea è
estremamente bassa. Il riso coltivato contiene il genoma di tipo AA ed
è relativamente facile che si incroci con quelle specie particolarmente
vicine (comprese quelle infestanti) che contengano lo stesso tipo di
genoma. In via teorica, quindi, la “fuga” di un transgene dalle varietà
di riso GM può avvenire esclusivamente verso quelle specie selvatiche
che abbiano un genoma AA.
Dalle ricerche finora condotte si è potuto osservare che oltre alle
due specie di riso coltivate (O. sativa e O. glaberrima) il genoma di tipo AA contraddistingue anche le specie selvatiche O. rufipogon e O.
nivara presenti in Asia, O. longistaminata e O. barthii in Africa, O.
glumaepatula in America Latina e O. meridionalis nel Sud dell’Australia e in Nuova Guinea. Tali specie selvatiche di Oryza sono quindi distribuite su di un’area geografica estremamente ampia che si estende
su diversi continenti, mostrando pertanto in molte aree una distribuzione simpatrica con il riso asiatico normalmente coltivato (O. sativa),
in particolare nella regione meridionale e sud-orientale dell’Asia, in
Africa Centrale e in America Latina.
Il periodo di fioritura del riso coltivato in differenti parti del mondo varia in maniera considerevole in funzione dell’epoca di semina e
delle stagioni di coltivazione locali, oltre che delle differenti varietà
impiegate. Ma anche la fioritura e il periodo di dispersione del polline
delle varie specie selvatiche di riso, così come delle differenti popolazione all’interno della stessa specie, possono presentare differenze significative in funzione delle diverse aree geografiche. Nostri studi su
di una specifica popolazione di O. rufipogon trovata nella provincia di
Hunan, in Cina, e su altre due varietà coltivate di riso, hanno mostrato
che sia il periodo di fioritura nell’arco dell’anno che quello durante il
giorno si sovrapponevano considerevolmente fra O. rufipogon e le altre due varietà. Nostre ulteriori osservazioni sperimentali hanno anche
messo in evidenza come i granuli pollinici di O. rufipogon e delle due
varietà coltivate di riso possono rimanere vitali nell’aria per più di 60
minuti (Song et al. 2001). Tali risultati suggeriscono che l’incrocio fra
O. rufipogon e il riso coltivato può avvenire, se le due specie crescono
in prossimità.
Dati sull’incrocio interspecifico, appaiamento meiotico dei cromosomi, e fertilità della F1 degli ibridi, possono essere usati per stimare
58
Risks and benefits of genetically modified rice…
However, gene flow from a cultivated rice variety Minghui-63 to the
Hunan O. rufipogon population under four different experimental
designs were significantly variable, with the maximum frequency of
ca. 3% under the special cultivation conditions, indicating clearly that
gene flow from cultivated rice to the widely distributed O. rufipogon
would occur considerably in nature.
Our studies demonstrated that transgene escape from GM rice
to non-GM rice varieties, and to its wild relatives is possible to occur,
although its extent might vary considerably between different varieties
or different species (populations). This result is accordant with many
other conclusions based on gene flow or introgression studies of rice
species, although the gene flow frequencies between GM- and nonGM rice varieties were comparatively low (e.g. Messeguer et al. 2001).
It is therefore a very important biosafety strategy to establish an
effective buffering isolation zone between GM rice and non-GM rice
varieties, particularly between GM rice and its closely related wild
species, to avoid or significantly minimize transgene escape, given that
the spatial, temporal, and biological conditions for rice transgene
escape are satisfied in many rice producing countries or regions. In
addition, our further research activates should be focused more on
ecological consequences of rice transgene escape, which is still a
controversial issue that have received an extensive attention by
publics, scientists and government agencies. Although it is difficult to
assess and monitor potential ecological consequences caused by
transgene escape within a limited period, long-term and continued
accumulation of basic knowledge on ecological impacts of transgene
escape is essential to increase our understanding of GM rice biosafety,
and reduce our biosafety concerns caused by GM rice. Moreover,
there should be more scientific inputs allocated for investigating
scientific questions on ecological consequences of rice transgene
escape. This will allow us to effectively assess and manage the
potential ecological risks resulting from rice transgene escape, which
will in return promote the development and safe use of transgenic rice
varieties.
Rischi e benefici del riso geneticamente modificato …
59
la correlazione genetica fra riso coltivato e le specie selvatiche con il
genoma di tipo AA. Se il riso coltivato mostra una compatibilità relativamente alta con analoghi selvatici, meiosi normale e livelli di fertilità
comparabili anche negli ibridi F1, il transgene potrebbe facilmente essere trasmesso per incrocio alle specie selvatiche vicine e persistere
nell’ambiente. I transgeni potrebbero anche diffondersi ulteriormente
tramite riproduzione o propagazione vegetativa se gli ibridi e la loro
progenie fossero perenni. I risultati da noi osservati nell’incrocio interspecifico hanno mostrato che la maggior parte delle specie di riso
selvatico con genoma di tipo AA hanno una compatibilità relativamente alta con le varietà coltivate di riso, livelli estremamente elevati
di appaiamento dei cromosomi durante la meiosi degli ibridi F1 con
varietà selvatiche e che la fertilità delle spighette degli ibridi F1 risulta
relativamente alta in condizioni di autoimpollinazione forzata. Questi
dati indicano che esiste una elevata possibilità che un transgene possa
essere trasmesso dal riso GM a varietà selvatiche, in virtù della stretta
correlazione genetica esistente fra il riso coltivato ed analoghi selvatici
con genoma di tipo AA.
Per poter valutare l’effettiva frequenza di flusso genico fra differenti varietà di riso coltivato, o fra riso coltivato e sue specie selvatiche
in condizioni naturali, abbiamo condotto una serie di esperimenti impiegando varietà di riso GM, non-GM, infestanti e O. rufipogon. I dati
sperimentali raccolti hanno mostrato come le frequenze di flusso genico fra le differenti varietà di riso erano molto basse (meno dello 0,5%)
e, seppur con un certo grado di variazione, è stata osservata una frequenza di flusso genico comparabile anche fra varietà coltivate e quelle infestanti di riso. Tuttavia il flusso genico riscontrato in quattro
schemi sperimentali differenti fra la varietà coltivata Minghui-63 e la
popolazione di O. rufipogon in Hunan è stato notevolmente variabile,
con una frequenza massima di circa il 3% in condizioni speciali di coltivazione, indicando chiaramente che il flusso genico dal riso coltivato
all’ampiamente diffuso O. rifupogon potrebbe verificarsi in maniera
considerevole in natura.
I nostri studi hanno quindi dimostrato che il flusso genico dal riso
GM a varietà non-GM o selvatiche può verificarsi, nonostante le dimensioni del fenomeno possano variare notevolmente fra le diverse
varietà o differenti specie (o popolazioni). Tali risultati sono in accor-
60
Risks and benefits of genetically modified rice…
Acknowledgements
This research project was supported by the National Natural
Science Foundation of China (NSFC) for Distinguished Young
Scholars (Grant No. 30125029) and Shanghai Commission of Science
and Technology (Grant No. 03dz19309).
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Rischi e benefici del riso geneticamente modificato …
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do con quanto osservato in molti altri studi di flusso genico o di introgressione nelle specie di riso, nonostante la frequenza del fenomeno
fra varietà GM e non-GM di riso risulti comparabilmente bassa (cfr.
Messeguer et al. 2001). È quindi molto importante stabilire come strategia di biosicurezza una zona tampone efficace fra il riso GM e le varietà non-GM e in particolar modo fra il riso GM e le specie selvatiche
strettamente correlate, in modo da evitare o minimizzare quanto più
possibile il diffondersi del transgene, dato che le condizioni spaziali,
temporali e biologiche affinché ciò possa avvenire si verificano normalmente in molti paesi e regioni produttori di riso. Inoltre le nostre
prossime attività di ricerca dovrebbero concentrarsi maggiormente
sulle eventuali conseguenze ecologiche della “fuga” di transgeni dal riso, che rappresenta ancora un problema controverso cui è stato dato
ampio rilievo da opinione pubblica, scienziati ed enti governativi. Sebbene sia difficile valutare e monitorare le potenziali conseguenze ecologiche dovute alla fuga di un transgene in un periodo di tempo limitato, il continuo accumularsi di conoscenze di base e a lungo termine
sull’impatto ecologico del flusso genico è essenziale per aumentare la
nostra comprensione della biosicurezza del riso GM e ridurre così le
preoccupazioni ad esso associate. In particolare, sarebbero auspicabili
maggiori sforzi da parte del mondo scientifico dedicati ad investigare
problematiche sulle conseguenze ecologiche della “fuga” di transgeni
dal riso. Ciò ci permetterà di valutare e gestire in maniera efficace i rischi ecologici potenziali che potrebbero derivarne, il che a sua volta
promuoverà lo sviluppo e l’uso sicuro di varietà transgeniche di riso.
Ringraziamenti
Questo progetto di ricerca è stato finanziato dalla Fondazione Nazionale della Cina per le Scienze Naturali (NSFC) per Giovani Studenti Meritevoli (Grant N° 30125029) e dalla Commissione per la
Scienza e la Tecnologia di Shanghai (Grant N° 03dz19309).
62
Risks and benefits of genetically modified rice…
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LA CONTAMINAZIONE DELLA FILIERA
ALIMENTARE DA MICOTOSSINE
Amedeo Pietri *
Premessa
Q
uesto intervento si propone di rispondere alle seguenti domande:
• Cosa sono le micotossine e quali sono gli effetti della loro
presenza negli alimenti?
• Quali micotossine contaminano il mais prodotto in Italia?
• Il mais Bt può ridurre la contaminazione da micotossine?
1. Origine e formazione delle micotossine
Le micotossine sono metaboliti secondari, prodotti da muffe
(funghi microscopici) che colonizzano le derrate alimentari, tossici
per gli animali superiori; sviluppo fungino e formazione di micotossine possono avvenire sia in campo sulla pianta, che in una qualunque delle successive fasi di conservazione e trasformazione. Oltre alla pericolosità dovuta alla possibile produzione di micotossine, lo
sviluppo delle muffe nelle derrate alimentari provoca fenomeni di
impaccamento nei sili e riduzione quantitativa e soprattutto qualitativa del valore alimentare: alcune ricerche hanno dimostrato che, nel
caso del mais, ad esempio, una partita fortemente contaminata subisce diminuzioni del tenore in energia, proteine e grassi del 5, del 7 e
del 63% rispettivamente: la quota lipidica è infatti quella più sensibile all’attacco fungino.
* Istituto di Scienze degli Alimenti e della Nutrizione (ISAN) - Facoltà di Agraria
- Università Cattolica del S. Cuore, Piacenza
64
I rischi di una scelta disinformata…
Recentemente, l’ergosterolo è stato individuato come un costituente della parete cellulare di alcuni parassiti vegetali, in particolare di
muffe e lieviti, mentre nelle piante superiori non è presente o lo è solo
in tracce; alcuni autori hanno proposto la determinazione quantitativa
dell’ergosterolo come misura della contaminazione fungina. La validità di questo marcatore è dovuta al fatto che tale sterolo è un costituente della membrana fungina e pertanto le funzioni vitali associate a
questa sono ad esso legate. Essendo un metabolita primario e non secondario dei funghi, il rapporto con la crescita è immediato. Sulle granaglie, l’ergosterolo è di solito presente a livello di pochi mg/kg; la
granella di mais di buona qualità dovrebbe contenere livelli inferiori ai
4 mg/kg, mentre oltre gli 8 mg/kg la qualità è dubbia e sono opportuni ulteriori accertamenti (Cahagnier, 1988).
Per prevenire la contaminazione da micotossine delle derrate, bisogna impedire la crescita fungina. Per evitare lo sviluppo di funghi occorre prendere un insieme di misure che scaturiscono dalle leggi biologiche che regolano la vita delle muffe; i funghi hanno bisogno di acqua, ossigeno (minimo 1-2%), tempo e temperatura adeguata (variabile a seconda delle specie: le temperature elevate favoriscono gli
Aspergilli, le basse i Fusarium). Qualità iniziale delle materie prime,
controllo della temperatura, dell’umidità e dell’ambiente di conservazione, trattamenti fisici e chimici, pulizia dei sili e dei trasporti, sono
la chiave del controllo dell’attività fungina. La contaminazione iniziale, da parte delle spore fungine, di derrate alimentari non sottoposte a
sterilizzazione o pastorizzazione, è inevitabile. In effetti, una delle caratteristiche comuni delle specie fungine delle derrate poco idratate è
la loro grande capacità di sporulazione e di disseminazione.
Il parametro cui prestare maggiore attenzione è senza dubbio l’acqua libera (water activity, aw), che varia da 0 a 1. Va tenuto presente
che l’attività e il contenuto d’acqua non sono la stessa cosa: l’aw (o
umidità relativa all’equilibrio, che equivale ad awx100) esprime la parte attiva del contenuto di umidità, nei confronti dell’umidità totale,
che comprende anche l’acqua legata. L’acqua contenuta in un alimento, in generale, sarà quindi legata in maniera più o meno intensa a seconda del tipo di substrato ed alla presenza in questo di gruppi
idrofobi e idrofili. Il valore di aw minimo al quale è stata osservata crescita fungina è aw=0,61; i generi più diffusi (Aspergillus, Penicillium,
La contaminazione della filiera alimentare da micotossine
65
Fusarium) richiedono però valori superiori e le differenze di comportamento delle specie fungine a seconda della disponibilità d’acqua
hanno permesso la distinzione di specie igrofile, mesofile e xerofile (le
specie del genere Fusarium sono più igrofile rispetto a penicilli e
aspergilli). Non si conoscono specie produttrici di micotossine in grado di crescere a valori di aw inferiori a 0,78.
La disponibilità d’acqua dipende da altri fattori ambientali: così l’aw
limite per la tossinogenesi è tanto più bassa quanto più la temperatura
si avvicina a quella ottimale per una specie fungina; l’aw più favorevole
dipende dalla natura delle specie che coesistono sulla derrata.
La biosintesi di micotossine è strettamente connessa alla crescita
fungina; i principali fattori che la favoriscono sono: umidità (acqua libera, aw) elevata, temperatura, natura del substrato, attacchi di insetti,
stress della pianta (siccità), danni meccanici alle granaglie. Una volta
prodotte, le micotossine possono persistere per lungo tempo dopo la
crescita vegetativa e la morte del fungo.
Mentre il metabolismo primario (connesso con lo sviluppo fungino) è fondamentalmente lo stesso per tutte le muffe, quello secondario dipende dalla specie e talvolta dal ceppo fungino. Da ciò la grande
diversità di micotossine sintetizzate, anche se per famiglie di prodotti
tra loro chimicamente simili (es. aflatossine, tricoteceni, fumonisine,
etc.). Attualmente sono note più di 300 micotossine e sono stati elencati parecchi generi di funghi – come Aspergillus, Penicillium, Fusarium, Claviceps, Alternaria, Cladosporium e Rhizopus – produttori di
micotossine. I principali funghi responsabili della produzione di micotossine sono riportati in tabella 1.
2. Tossicità delle micotossine
Le micotossine sono in grado di produrre effetti tossici acuti, cancerogeni, mutageni, teratogeni, estrogeni, immunodepressori, etc.; evidenziano diversi tipi di tossicità in dipendenza della dose, dell’organo
interessato, del sesso, dell’età e della specie; quelle più diffuse e pericolose per la salute, sono: aflatossine, ocratossina A, fumonisine, tricoteceni (in particolare il deossinivalenolo), zearalenone e patulina (tabella 2). In termini di tossicità acuta, le micotossine presentano un rischio maggiore rispetto a contaminanti antropici, residui di pesticidi e
66
I rischi di una scelta disinformata…
additivi alimentari (tabella 3, Kuiper-Goodman, 2004); periodicamente, gravi episodi si verificano in paesi dell’Africa o dell’estremo oriente
(es. aflatossicosi acuta in Kenia nel giugno 2004, con almeno 112 morti). Per quanto riguarda i rischi cronici, specialmente il cancro, le micotossine sono state classificate al primo posto tra i rischi alimentari.
L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha collocato le aflatossine in classe 1 (sicuro cancerogeno per l’uomo), e le fumonisine, l’aflatossina M1 e l’ocratossina A in classe 2B (possibilmente
cancerogeno). L’Unione Europea ha fino ad oggi fissato limiti massimi
per le aflatossine negli alimenti ad uso umano (tabella 4) e zootecnico,
per l’ocratossina A e per la patulina negli alimenti per l’uomo; per
quanto riguarda deossinivalenolo, zearalenone e fumonisine, è già stato pubblicato il Regolamento 856/05 che ha fissato limiti negli alimenti per l’uomo (tabelle 5-7), la cui entrata in vigore è prevista tra giugno
2006 e ottobre 2007.
Le micotossine che più frequentemente vengono riscontrate nel
mais prodotto in Italia sono: fumonisine, deossinivalenolo, zearalenone e aflatossine (Pietri et al., 2004). Le fumonisine sono un gruppo di
metaboliti tossici, prodotti soprattutto da F. verticillioides e F. proliferatum (comunissimi agenti del “marciume rosa del culmo e della spiga”); la fumonisina B1 (la più abbondante) causa leucoencefalomalacia
nel cavallo, caratterizzata da necrosi liquefattiva della materia bianca
del cervello e edema polmonare nel suino; è dotata di attività cancerogena e si ritiene che possa causare il cancro dell’esofago nell’uomo;
studi di correlazione effettuati in Sudafrica (Transkei) suggeriscono un
legame tra esposizione alla fumonisina nella dieta e cancro esofageo.
Elevate incidenze di questo tumore sono state osservate in popolazioni (in regioni della Cina e dell’Iran) per le quali il mais è l’alimento base della dieta e alta è l’esposizione alla fumonisina, in quanto le condizioni ambientali ne favoriscono l’accumulo sul mais. Due studi hanno
evidenziato una correlazione tra consumo di mais, in particolare polenta, e incidenza di tumori nella cavità orale, faringe ed esofago nel
Friuli-Venezia Giulia (Rossi et al., 1982; Franceschi et al., 1990).
Dei tricoteceni, che rappresentano un gruppo di almeno 70 metaboliti prodotti da diversi generi di funghi, i più diffusi sono quelli prodotti dal genere Fusarium, il più noto dei quali è il deossinivalenolo
(DON, detto anche vomitossina); possono essere presenti anche alcu-
La contaminazione della filiera alimentare da micotossine
67
ni derivati del DON (3-acetil- e 15-acetil-DON), oltre a nivalenolo e
fusarenone. Queste tossine sono prodotte essenzialmente da ceppi di
F. graminearum e F. culmorum (agenti del marciume rosso della spiga).
Altri tricoteceni, come la tossina T-2, i suoi derivati e il diacetossiscirpenolo, sono prodotti soprattutto da F. sporotrichioides e F. poae: sono
però molto rari sul mais prodotto in climi come quello italiano, in
quanto i funghi produttori sono favoriti da temperature piuttosto basse. I tricoteceni causano tra l’altro infiammazione della pelle, diarrea,
vomito, emorragie, rifiuto dell’alimento; la specie suina è particolarmente sensibile. Lo zearalenone è prodotto da diverse specie di Fusarium, in particolare F. graminearum e F. culmorum: ha una azione
estrogeno-simile e la specie suina è quella più sensibile. La temperatura ottimale per la crescita delle specie di Fusarium tossigene e per la
sintesi delle principali fusariotossine (fumonisine, tricoteceni, zearalenone) è diversa tra le diverse specie: i Fusarium produttori di fumonisine richiedono in genere temperature più elevate rispetto a quelli
produttori di zearalenone e tricoteceni. I valori di umidità più favorevoli sono maggiori del 20-22%.
Le aflatossine sono un gruppo di micotossine prodotte da ceppi di
Aspergillus flavus e A. parasiticus. Le aflatossine che vengono riscontrate negli alimenti di origine vegetale sono quattro: B1, B2, G1, G2; le
B sono prodotte sia da A. flavus che da A. parasiticus, mentre le G sono prodotte solo dal secondo. La temperatura minima e massima per
la produzione di tossine è di 8 e di 42°C, mentre quella ottimale è sui
30°C; questo spiega perché le aflatossine vengano più frequentemente
rilevate in derrate provenienti da zone a clima caldo (arachidi, cotone,
pistacchi, noci brasiliane, fichi secchi, alcune spezie) o su colture estive, come il mais. L’aflatossina B1 (AFB1) è quella presente in maggior
quantità e sulla quale è stato focalizzato l’interesse dei ricercatori per
via della sua elevata tossicità acuta e cronica e per l’attività cancerogena che esplica sugli animali, oltre che per i potenziali effetti sull’uomo
(è l’epatocancerogeno naturale più potente che si conosca). Tutti i
mammiferi che ingeriscono AFB1 ne eliminano una quota come aflatossina M1 (AFM1, milk toxin, metabolita idrossilato dell’AFB1) nel
latte; nel caso della vacca da latte, la quota eliminata è circa il 3%
dell’AFB1 ingerita, mentre non vi sono tracce della molecola originaria; la presenza di AFB1 è invece stata segnalata nel latte di bufala, in
68
I rischi di una scelta disinformata…
quello di altri mammiferi non ruminanti e anche nel latte di donna.
Per limitare il livello di AFM1 nel latte, in tutti i paesi della Comunità
Europea è stato fissato un limite di 5 microg/kg di AFB1 per gli alimenti destinati alle bovine in lattazione. L’AFM1 ha evidenziato una
tossicità acuta paragonabile a quella della molecola da cui deriva,
mentre la cancerogenicità epatica (verificata sulla trota e sul ratto) è
nettamente inferiore, all’incirca il 2-8% rispetto alla B1, ma la sua presenza nel latte desta qualche preoccupazione, perché riguarda un alimento di largo consumo e indispensabile per l’infanzia.
3. La contaminazione del mais in Italia
In questi ultimi anni, l’Istituto di Scienze degli Alimenti e della
Nutrizione (ISAN) della Facoltà di Agraria di Piacenza ha condotto
indagini sulla qualità micotossicologica del mais prodotto in Nord Italia (Pietri et al., 2004), raccogliendo ed analizzando circa 100 campioni per anno (tabelle 8-11). In generale, dall’insieme dei dati emerge
che quando l’andamento stagionale (soprattutto all’epoca del raccolto) è caratterizzato da un clima temperato, umido e piovoso (es. 1996
in Nord Italia), prevale una contaminazione da zearalenone e tricoteceni (soprattutto DON), in quanto vengono favoriti funghi quali F.
graminearum e F. culmorum; con un clima più caldo e secco (es. le ultime annate), prevalgono i funghi produttori di fumonisine (F. verticillioides e altri), favoriti anche da forti attacchi di insetti (soprattutto
dalla piralide) alle piante; in quest’ultimo caso è possibile anche una
contaminazione diffusa (anche se in genere quantitativamente modesta) da aflatossine. Quando il clima è particolarmente caldo e siccitoso, come nell’estate 2003, la contaminazione da aflatossine può diventare rilevante. Sono comunque possibili notevoli differenze da zona a
zona, a seconda del clima, ma anche in relazione ad altri fattori (agronomici, varietali, etc.).
Dai dati raccolti emerge che la fumonisina è di gran lunga la micotossina più frequente e abbondante nel mais prodotto in Italia. La
presenza di micotossine nel mais causa problemi:
1) nella produzione di alimenti per l’uomo (fiocchi, farine per polenta, snacks, ecc.);
2) nella filiera lattiero-casearia;
La contaminazione della filiera alimentare da micotossine
69
3) nella filiera delle produzioni suine.
1) Indagini condotte su 77 farine per polenta prelevate al dettaglio
nel periodo novembre 2003-giugno 2004, hanno evidenziato una non
trascurabile contaminazione da aflatossine, con un quarto dei campioni oltre i 2 microg/kg, il limite fissato dalla UE per l’AFB1. Il valore
medio è risultato di 2,11 microg/kg, ma considerando separatamente i
dati delle farine convenzionali e biologiche, i valori medi sono risultati
di rispettivamente di 1,39 e 6,96 microg/kg (differenza statisticamente
non significativa, per il limitato numero di farine biologiche). Sulle
stesse farine è stata determinata anche la fumonisina B1; oltre la metà
dei campioni (53,3%) superava il futuro probabile limite europeo di
1000 microg/kg. Il valore medio è risultato di 1561 microg/kg, ma
considerando separatamente i dati delle farine convenzionali e biologiche, i valori medi sono risultati rispettivamente di 1334 e 3082 microg/kg (differenza statisticamente non significativa, per il limitato numero di farine biologiche). La contaminazione da aflatossine, superiore agli anni precedenti, è da imputare alle elevate temperature e alla
siccità verificatesi nell’estate 2003. Elevati livelli di fumonisine sono
invece un dato piuttosto costante nei vari anni.
2) Il mais è un componente importante delle razioni per le bovine
in lattazione; il mais contaminato da aflatossine prodotto nell’estate
2003 (tabella 8), ha causato notevoli problemi nel comparto lattierocaseario nel periodo ottobre 2003-settembre 2004, dato che il latte di
molte aziende agricole presentava talvolta valori di AFM1 superiori al
limite comunitario (solo in Lombardia sono state eliminate oltre 7000
tonnellate di latte, con rilevanti danni economici). Tale limite (0,05
microg/kg di latte, vedi tabella 4) vale infatti a livello di singola azienda e in caso di superamento del limite è espressamente proibita la diluizione con altro latte non contaminato.
La contaminazione da AFM1 del latte ha poi causato ripercussioni
su tutti i latticini ed in particolare sui formaggi; infatti, la molecola caseinica contiene regioni idrofobiche sulla sua superficie e queste costituiscono siti di adsorbimento della tossina. La conseguenza è che troviamo concentrazioni della tossina più elevate nel formaggio, rispetto
al latte di partenza; questa relazione può essere espressa in termini di
fattore di arricchimento. I dati di letteratura evidenziano che la concentrazione di AFM1 è più elevata di 2,5-3,3 volte nei formaggi molli e
70
I rischi di una scelta disinformata…
di 3,9-5,8 volte nei formaggi a pasta dura, rispetto al latte utilizzato
per la loro produzione.
Per limitare la contaminazione da AFM1 nei prodotti lattiero-caseari, sono stati presi provvedimenti (es. eliminazione del mais contaminato dalle razioni delle bovine), che hanno contenuto il fenomeno.
Indagini condotte nel periodo novembre 2003-maggio 2004 su 95
campioni di latte prelevato al dettaglio (67 campioni di latte fresco,
prevalentemente di produzione italiana, e 28 campioni di latte UHT,
prevalentemente di provenienza estera), hanno evidenziato una contaminazione contenuta; solo 2 campioni superavano il limite comunitario (0,05 microg/kg), mentre i valori medi risultavano di 0,022 e di
0,012 microg/kg, rispettivamente per il latte fresco e per quello UHT.
Pertanto, nel periodo considerato, il latte prodotto in Italia era più
contaminato di quello proveniente da Germania e Francia, ma la differenza, pur significativa, non era certo drammatica.
3) Le partite di mais con livelli elevati di micotossine, oltre a costituire un rischio per la salute dei consumatori per i prodotti derivati
destinati al consumo umano, causano varie patologie negli allevamenti
animali, con conseguenti perdite di produttività. La specie suina è, tra
quelle di interesse zootecnico, la più sensibile alla presenza di fumonisine nella dieta; gli effetti sono i seguenti: edema polmonare da insufficienza cardiaca sinistra, immunodepressione, alterato quadro enzimatico plasmatico e riduzione dell’ingestione alimentare. Gli ultimi
due effetti sono i più frequenti, perché si verificano a livelli di pochi
mg/kg di fumonisine nella dieta, mentre per i primi due occorrono livelli più elevati. La specie suina è particolarmente sensibile anche ad
altre fusariotossine, come DON e zearalenone, presenti sul mais in
certe annate; il primo causa una riduzione dell’ingestione dell’alimento, fino al rifiuto completo quando la contaminazione raggiunge alcuni mg/kg; il secondo ha una azione estrogeno-simile e causa problemi
riproduttivi alle scrofe.
4. Micotossine e mais Bt
Gli insetti giocano un ruolo importante nella diffusione dell’infezione fungina sulle piante di mais in campo: in particolare, ciò è vero
per la piralide (Ostrinia nubilalis). Le larve di questo insetto scavano
La contaminazione della filiera alimentare da micotossine
71
gallerie nello stocco e nella spiga, causando perdite in termini di produttività e di qualità della granella. Le ferite causate dalle larve favoriscono l’infezione, anche perché le larve possono trasportare le spore
fungine dalla superficie fogliare alle gallerie scavate nella spiga. Una
nuova strategia per il controllo della piralide (e di altri insetti) è l’impiego di ibridi di mais transgenici. Questi ibridi di mais, commercialmente disponibili, contengono un gene derivante dal batterio Bacillus
thuringiensis (Bt); l’espressione del gene ha come risultato la produzione di proteine insetticide selettive nei tessuti della pianta. Gli ibridi
di mais che esprimono queste proteine hanno dimostrato un elevato
livello di resistenza alla piralide, riducendo il danno causato dalle larve di questo insetto. Gli stessi ibridi hanno anche evidenziato una inferiore infezione da Fusarium delle cariossidi (Munkvold et al., 1997).
L’impiego di ibridi Bt è stato anche valutato nel sud degli USA allo
scopo di ridurre l’infezione da A. flavus e la contaminazione da aflatossina, in presenza di attacchi di un altro insetto, la Diatraea grandiosella. In una sperimentazione su 5 coppie di ibridi commerciali
Bt/non-Bt, Williams et al. (2002) hanno riportato che la contaminazione da aflatossina era significativamente inferiore negli ibridi Bt, rispetto ai non-Bt. In una successiva sperimentazione (Williams et al.,
2005), sono stati valutati il danno alle spighe e l’accumulo di aflatossina su 10 coppie di ibridi commerciali convenzionali non-Bt e di ibridi
transgenici Bt, a seguito di infestazione manuale con larve di Diatraea
grandiosella e inoculazione con una soluzione contenente spore di A.
flavus, applicata provocando o meno ferite alla spiga. Sia gli ibridi Bt
che non-Bt, hanno evidenziato elevati livelli di aflatossina, quando le
spighe erano state inoculate provocando volutamente delle ferite;
quando invece la soluzione di spore veniva spruzzata sulle spighe e
queste infestate con le larve, l’accumulo di aflatossina è risultato molto
più elevato negli ibridi non-Bt rispetto ai Bt. Va comunque sottolineato che queste prove sono state condotte con inoculo e infestazione
manuali, quindi non in condizioni naturali.
Diverse prove di campo, condotte sia negli USA che in Europa,
hanno confrontato ibridi di mais Bt rispetto agli stessi ibridi isogenici,
per quanto riguarda i livelli di fusariotossine ed in particolare di fumonisina nelle cariossidi. Nel triennio 1995-97, Munkvold et al.
(1999) hanno condotto prove nell’Iowa (USA) su ibridi di mais Bt e
72
I rischi di una scelta disinformata…
non-Bt, infestando manualmente le spighe con larve di piralide; l’infestazione manuale ha aumentato l’incidenza delle fusariosi della spiga e
i livelli di fumonisina nelle cariossidi negli ibridi non-Bt; negli ibridi
Bt, i livelli di fumonisina sono risultati significativamente inferiori rispetto ai non-Bt.
Negli anni 1998 e 1999, Dowd (2001) ha condotto prove in alcune
località dell’Illinois (USA) su ibridi di mais Bt e non-Bt, in condizioni
di infestazione naturale; l’incidenza della piralide è stata bassa in entrambi gli anni. I livelli di fumonisine erano generalmente più bassi
(tra 1,8 e 15 volte) negli ibridi Bt, rispetto ai non-Bt nello stesso sito,
con alcune differenze significative. Correlazioni significative sono state spesso osservate tra numero di cariossidi danneggiate da insetti e livelli di fumonisine. Nonostante la riduzione dei livelli di fumonisine
negli ibridi Bt sia risultata più limitata rispetto ad altre sperimentazioni (anche dello stesso autore), il mais Bt viene ritenuto un approccio
utile per la riduzione delle micotossine sulle spighe di mais.
Negli anni 1999 e 2000, Magg et al. (2002) hanno effettuato sperimentazioni in Germania (alta valle del Reno e Baviera) in condizioni
di infestazione da piralide naturali, artificiali e protette con insetticida.
La micotossina più presente è risultata il DON, la cui concentrazione
è risultata di poco inferiore negli ibridi Bt rispetto ai corrispondenti
isogenici; questo risultato era abbastanza previsto, in quanto i produttori di DON (F. graminearum e F. culmorum) sono specie molto comuni in centro Europa e sono presenti con frequenze molto elevate anche sulle spighe di mais non danneggiate dalla piralide. Nel 2000
(Magg et al., 2003) sono stati controllati anche i livelli di moniliformina, una micotossina prodotta da almeno 15 specie di Fusarium: in
condizioni di infestazione manuale da piralide, gli ibridi Bt hanno evidenziato una concentrazione della tossina significativamente più bassa
(e rese maggiori) rispetto ai corrispondenti isogenici (153 contro 337
microg/kg).
Nel 1999, Bakan et al. (2002) hanno condotto prove di confronto
fra ibridi di mais Bt e non-Bt, in tre località del sud-ovest della Francia e in due località della Spagna (in Catalogna e Aragona). L’infestazione da insetti e da Fusarium era esclusivamente naturale. In base ai
livelli di ergosterolo, la biomassa fungina sviluppatasi sulle cariossidi
dei mais Bt era all’incirca tra le 4 e le 18 volte inferiore rispetto a quel-
La contaminazione della filiera alimentare da micotossine
73
la dei mais isogenici (tabella 12). La contaminazione da fumonisina B1
variava da 50 a 300 microg/kg nei campioni di mais Bt e da 400 a
9000 microg/kg nei mais non-Bt. Sono stati anche rilevati livelli contenuti di tricoteceni (DON e nivalenolo) e di zearalenone sia nei mais
transgenici che nei non transgenici, con qualche differenza in alcune
località, ma senza effetti significativi dovuti all’impiego dei Bt.
Negli anni 1997, 1998 e 1999, sono state condotte in Italia (Pietri e
Piva, 2000) prove di campo su diversi ibridi di mais Bt (evento MON
810) a confronto con gli stessi ibridi isogenici non-Bt. Gli stessi ibridi
Bt e non-Bt sono stati coltivati fianco a fianco in zone del Nord Italia
frequentemente soggette ad infestazione da piralide, quindi in condizioni naturali di infestazione da insetti e da Fusarium. Nei 3 anni sono
state condotte prove rispettivamente in 3 (2 genotipi), 4 (2 genotipi) e
30 località (4 genotipi), ottenendo un totale di 11, 22 e 60 campioni di
mais, rispettivamente. Su questi campioni, nei laboratori dell’ISAN
sono state condotte analisi (mediante HPLC) per la determinazione di
ergosterolo, fumonisina B1, DON, zearalenone, aflatossine. I dati ottenuti dai campioni Bt e non-Bt sono stati confrontati mediante analisi
della varianza (Tabelle 13, 14, 15). La contaminazione da zearalenone
è risultata praticamente assente, quella da AFB1 a livello di tracce,
quella da DON a livelli piuttosto contenuti: per queste micotossine,
pertanto, non è stata osservata alcuna differenza significativa tra ibridi
Bt e non-Bt nei 3 anni. Il contenuto in ergosterolo delle cariossidi era
significativamente inferiore (tra le 3,5 e le 6 volte) negli ibridi Bt rispetto ai non-Bt, indicando che la maggior resistenza alla piralide riduceva l’infezione fungina negli ibridi Bt. Inoltre, il livello di fumonisina delle cariossidi degli ibridi Bt era nettamente inferiore (tra le 8 e
le 13 volte) rispetto ai non-Bt. Da notare che quando le condizioni
ambientali hanno favorito una forte crescita fungina e di conseguenza
elevati livelli di fumonisina, come nel 1998, la differenza di contaminazione tra ibridi Bt e non-Bt è risultata nettissima.
Da questi dati, in particolare dalle ultime due sperimentazioni condotte in Francia, Spagna e Italia in condizioni di infestazione naturali,
emerge che la protezione delle piante di mais contro i danni da insetti
mediante la tecnologia Bt è una via efficace per limitare lo sviluppo
sul mais di specie del genere Fusarium e in particolare per ridurre la
contaminazione da fumonisina delle cariossidi. Utilizzare mais con li-
74
I rischi di una scelta disinformata…
velli contenuti di fumonisina può ridurre il rischio alimentare per l’uomo, anche se la riduzione del rischio non è facilmente quantificabile; è
invece più semplice valutare gli effetti per l’impiego zootecnico, al
quale viene destinato in Italia più dell’80% del mais prodotto. Come
già rilevato, tra le specie di interesse zootecnico, la specie suina è senza dubbio quella più sensibile alla presenza di fumonisina e il mais
rappresenta un alimento insostituibile della dieta. L’ISAN ha effettuato una prova di crescita, allevando per 35 giorni 128 suinetti del peso
iniziale di circa 9 kg; gli animali sono stati suddivisi in 4 gruppi omogenei ed alimentati con 4 diete identiche contenenti il 33% di mais.
Per preparare le 4 diete sono state utilizzate 4 partite di mais (naturalmente contaminato) che presentavano livelli di fumonisina rispettivamente di 922, 5212, 6458 e 13166 microg/kg; le partite con i due livelli più bassi erano di mais Bt, le altre due del corrispondente isogenico.
In Tabella 16 sono riportati gli incrementi medi giornalieri (in g/die)
dei 4 gruppi di suinetti. Risultano evidenti le differenze di crescita dovute al livello di fumonisina; 35 g di differenza tra la prima e l’ultima
tesi sperimentale comportano una minor crescita di 1225 g per animale nei 35 giorni di prova, con una perdita economica significativa.
In conclusione, elevati livelli di fumonisine nel mais utilizzato per
formulare le razioni per suini, oltre a peggiorare il benessere e lo stato
sanitario, causano una crescita inferiore degli animali, con notevoli
perdite di profitto per gli allevatori. I vantaggi che deriverebbero
dall’impiego di mais Bt in questo comparto risultano quindi assai evidenti.
La contaminazione della filiera alimentare da micotossine
75
Tabella 1 - Funghi tossigeni responsabili della produzione di micotossine negli alimenti.
Funghi
Genere Aspergillus
A. flavus
Micotossine prodotte
Aflatossine B1, B2,
acido ciclopiazonico
Aflatossine B1, B2, G1, G2
Ocratossina A, citrinina, acido penicillico
A. parasiticus
A. ochraceus
(A. alutaceus)
A. clavatus
Patulina, altre neurotossine
Genere Penicillium
P. verrucosum
Ocratossina A, citrinina
P. expansum
Patulina
Genere Fusarium
F. graminearum,
Tricoteceni (DON, nivalenolo,
F. culmorum,
diacetossiscirpenolo, tossina T-2),
F. poae, F. sporotrichioides zearalenone
F. verticillioides
Fumonisine
(moniliforme), F. proliferatum
Genere Claviceps
C. purpurea
Alcaloidi (ergoline)
Tabella 2 - Alcuni effetti tossici delle principali micotossine.
Micotossina
Aflatossina B1
Ocratossina A
Fumonisina B1
Tricoteceni
Zearalenone
Patulina
Ergoline
Effetto
Genotossico, cancerogeno, epatotossico,
immunosoppressore
Nefrotossico, teratogeno,
immunosoppressore, cancerogeno
Neurotossico, cancerogeno, citotossico
Immunosoppressore, dermatotossico,
emorragico
Estrogenosimile
Citotossico, immunosoppressore
Neurotossico
76
I rischi di una scelta disinformata…
Tabella 3 - Classifica dei rischi alimentari (Kuiper-Goodman, 2004).
Acuti
Cronici
Tossine microbiche
Ficotossine
Alcune fitotossine
Micotossine
Contaminanti antropici
Residui di pesticidi
Additivi alimentari
Micotossine
Contaminanti antropici
Alcune fitotossine
Dieta sbilanciata
Ficotossine
Additivi alimentari
Residui di pesticidi
Tossine microbiche
Tabella 4 - Livelli massimi di aflatossine previsti da regolamenti UE
n. 466/01, 2174/03 e 683/04.
Prodotti
Arachidi, frutta a guscio, frutta secca e
prodotti derivati, destinati al consumo umano
Cereali (compreso il grano saraceno,
Fagopyrum spp.) e prodotti derivati,
destinati al consumo umano
Alimenti per l’infanzia
e alimenti dietetici speciali
Latte (latte crudo, latte destinato alla
fabbricazione di prodotti a base di latte
Formulati per l’infanzia compreso il latte
Aflatossine: contenuti massimi
ammissibili (microg/kg)
B1 B1+B2+G1+G2 M1
2.0
4.0
_
2.0
4.0
_
0.10
_
0.025
_
0.05
0.025
La contaminazione della filiera alimentare da micotossine
77
Tabella 5 - Livelli massimi previsti dal regolamento UE n. 856/05 Deossinivalenolo.
Prodotti
Contenuti massimi ammissibili
(microg/kg)
Cereali diversi da frumento duro, avena e mais
Frumento duro, avena e mais
Farine di cereali (compreso mais),
mais spezzato (grits), semola di mais
Pane, pasticcini, biscotti, snaks e cereali da colazione
Pasta (secca)
Prodotti a base di cereali per neonati e bambini
1250
1750
750
500
750
200
Tabella 6 - Livelli massimi previsti dal regolamento UE n. 856/05 Zearalenone.
Prodotti
Contenuti massimi ammissibili
(microg/kg)
Cereali diversi dal mais
Mais
Farine di cereali diversi dal mais
Farine di mais, mais spezzato (grits)
e olio di mais raffinato
Pane, pasticcini, biscotti, snaks e cereali da colazione
Prodotti a base di cereali per neonati e bambini
100
200
75
200
50
20
78
I rischi di una scelta disinformata…
Tabella 7 - Livelli massimi previsti dal regolamento UE n. 856/05 Fumonisine B1 + B2.
Prodotti
Contenuti massimi ammissibili
(microg/kg)
Mais
2000
Farine di mais, mais spezzato (grits)
1000
Prodotti a base di mais per il consumo diretto
400
Prodotti a base di mais per neonati e bambini
200
Tabella 8 - Aflatossina B1 nel mais italiano (dati ISAN - U.C.S.C. di
Piacenza).
Anno
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2003
Campioni
Positivi (%)
46
29
44
54
41
25
100
Val. max
(microg/kg)
109
13
32
28
158
1.8
210
Media
(microg/kg)
1,9
0,3
1,5
1,5
4,1
0,3
19,6
Tabella 9 - Deossinivalenolo nel mais italiano (dati ISAN - U.C.S.C.
di Piacenza).
Anno
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2002
Campioni
Positivi (%)
92
100
96
98
77
100
87
Val. max
(microg/kg)
1230
9357
3116
1511
1915
498
5778
Media
(microg/kg)
194
2716
802
298
291
199
541
La contaminazione della filiera alimentare da micotossine
79
Tabella 10 - Zearalenone nel mais italiano (dati ISAN - U.C.S.C. di
Piacenza).
Anno
Campioni
Positivi (%)
Val. max
(microg/kg)
Media
(microg/kg)
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2002
62
91
32
1
38
85
39
490
2531
590
356
280
43
8485
77
453
47
13
26
18
175
Tabella 11 – Fumonisina B1 nel mais italiano (dati ISAN - U.C.S.C.
di Piacenza).
Anno
Campioni
Positivi (%)
Val. max
(microg/kg)
Media
(microg/kg)
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2002
2003
99
99
100
99
99
99
100
100
51690
7285
47078
13763
21132
4282
19596
16354
3347
1324
3103
2655
5173
1796
4850
5186
80
I rischi di una scelta disinformata…
Tabella 12 – Livelli di ergosterolo, fumonisina B1 e DON rilevati in
mais Bt e isogenici in prove di campo condotte in Francia (F1, F2 e
F3) e Spagna (S1e S2). (Da Bakan et al., dati ricavati dalle figure 1 e
2 e dalla tabella 2).
Prova
F1
F2
F3
S1
S2
Ergosterolo
(mg/kg)
NON-Bt
Bt
4.0
9.15
8.15
9.4
18.05
1.25
1.00
0.75
0.75
0.75
Fumonisina B1
(microg/kg)
NON-Bt
Bt
700
400
3300
2780
9000
50
50
100
170
300
DON
(microg/kg)
NON-Bt
Bt
472
751
179
82
271
729
332
181
17
20
Tabella 13 - Livelli medi di micotossine ed ergosterolo in ibridi di
mais convenzionali (controllo, n. 6) e transgenici (Bt, n. 5). Anno
1997 (dati ISAN - U.C.S.C.).
AFB1 Zearalenone Fumonisina B1 Deossinivalenolo Ergosterolo
microg/kg microg/kg
microg/kg
microg/kg
mg/kg
Controllo
Bt+
P
0.02
0.01
0.35
0
31
0.35
20050
1970
0.04
365
288
0.14
35.0
10.0
0.01
La contaminazione della filiera alimentare da micotossine
81
Tabella 14 - Livelli medi di micotossine ed ergosterolo in ibridi di
mais convenzionali (controllo, n. 11) e transgenici (Bt, n. 11). Anno
1998 (dati ISAN - U.C.S.C.).
AFB1 Zearalenone Fumonisina B1 Deossinivalenolo Ergosterolo
microg/kg microg/kg
microg/kg
microg/kg
mg/kg
Controllo
Bt+
P
0.25
0.16
0.58
0
0
-
28320
2130
0.0011
431
162
0.19
45.2
11,5
0.0004
Tabella 15 - Livelli medi di micotossine ed ergosterolo in ibridi di
mais convenzionali (controllo, n. 30) e transgenici (Bt, n. 30). Anno
1999 (dati ISAN - U.C.S.C.).
AFB1 Zearalenone Fumonisina B1 Deossinivalenolo Ergosterolo
microg/kg microg/kg
microg/kg
microg/kg
mg/kg
Controllo
Bt+
P
0.63
0.03
0.32
0
0
-
2840
340
0.0001
168
177
0.94
9,66
1,68
0,0001
Tabella 16 - Effetto della fumonisina B1 (FB1) sull’incremento medio
giornaliero dei suinetti (peso iniziale circa 9 kg) allevati per 35 giorni
con un mangime contenente il 33% di mais (dati ISAN - U.C.S.C.).
Mais utilizzato per la
preparazione dei mangimi
1 - Bt
2 - Bt
3 – non-Bt
4 – non-Bt
FB1
(microg/kg)
Incremento medio giornaliero
g/die
922
5212
6458
13166
403
389
382
368
82
I rischi di una scelta disinformata…
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GLI OGM E IL SUOLO
A. Benedetti, S. Mocali, P. Sequi *
Introduzione
I
l suolo esercita numerose funzioni essenziali per l’ecosistema terrestre fungendo da supporto per la vita vegetale ed animale, per i
cicli nutritivi, per la degradazione di qualsiasi sostanza che ad esso giunge fino alla depurazione delle acque. Un ruolo di fondamentale
importanza per lo svolgimento di queste funzioni è ricoperto dai microrganismi, attraverso azioni di molteplice natura. I microrganismi
intervengono infatti nella mineralizzazione della sostanza organica,
nella sintesi dell’azoto, nella formazione dell’humus, agiscono sulla
mobilizzazione degli elementi minerali e instaurano rapporti di interazione con le piante determinando così la qualità e la fertilità del suolo.
I microrganismi rappresentano dunque una componente di fondamentale importanza per la fertilità dei terreni e svolgono un ruolo insostituibile, in mancanza del quale il terreno rappresenterebbe semplicemente un inerte supporto meccanico.
Nel suolo, inoltre, data la presenza di una moltitudine di specie viventi vi è anche una elevata quantità di materiale genetico estremamente differenziato, definito con il termine di “metagenoma”. Durante la loro vita questi organismi, che interagiscono tra di loro e con le
piante, si scambiano informazioni geniche con varie modalità e talvolta le molecole che portano tali informazioni (DNA) possono anche
trovarsi libere nell’ambiente (DNA extracellulare o esogeno) ed interagire direttamente con i componenti del suolo, in modo particolare
* Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura – Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante, Via della Navicella, 2 – 00184 Roma
86
I rischi di una scelta disinformata…
con i colloidi che le legano proteggendole dalla degradazione enzimatica (Paget et al., 1994). I colloidi nel suolo sono rappresentati essenzialmente dai minerali argillosi e dalle sostanze umiche, entrambi caratterizzati dall’essere provvisti di carica elettrica. I minerali argillosi
risultano particolarmente reattivi nell’adsorbire il DNA: 1 g di argilla
(montmorillonite) può infatti adsorbire fino a 30 mg di DNA, pari a
circa 1013 genomi del batterio Escherichia coli (Bertolla et al. 1999).
Per quanto riguarda le sostanze umiche i massimi valori di adsorbimento riportati da Crecchio e Stotzky (1998) sono di 12-15mg di
DNA per grammo di sostanze umiche. Il tempo di permanenza del
DNA nel suolo è determinato non solo dalla presenza dei colloidi ma
anche dalla struttura chimica del residuo in cui il DNA si trova (residui vegetali, cellule, ecc.) e può variare da poche ore ad anni
(Gebhard and Smalla, 1999; Nielsen et al., 2002); a questi argomenti
verranno di seguito dedicati appositi paragrafi.
La letteratura scientifica sull’impatto diretto o differito di piante
geneticamente modificate (PGM) sul suolo è piuttosto recente per
tutta una serie di motivazioni tra cui ad esempio la mancanza fino a
pochi anni or sono di metodologie sufficientemente sensibili per lo
studio della matrice suolo. Da un attento esame della letteratura risulta che i temi maggiormente studiati si possono riassumere nei seguenti
argomenti:
1. Dinamiche ed effetti sul suolo delle tossine insetticide derivanti dal
batterio Bacillus thuringiensis espressa in piante transgeniche (effetti su organismi “non-target” quali lombrichi, nematodi, protozoi, batteri e funghi) e interazioni con altre piante.
2. Probabilità di trasferimento di transgeni da OGM a batteri (il cosiddetto “trasferimento genico orizzontale”) sia nel suolo che nella
fitosfera e i fattori che influenzano questo processo.
3. Persistenza del DNA nel suolo.
4. Effetti delle PGM sull’ecosistema suolo con particolare riferimento
alla biodiversità.
1. Dinamiche ed effetti sul suolo della tossina insetticida Bt
Uno dei prodotti più diffusi del settore delle biotecnologie vegetali
è sicuramente il mais Bt, resistente alla piralide del granoturco. Le li-
Gli OGM e il suolo
87
nee di piante Bt possiedono integrata nel loro genoma una delle molteplici varianti del gene cry che produce una proteina con azione insetticida. Queste proteine sono prodotte da Bacillus thuringensis (Bt),
un batterio gram-positivo dotato del gene cry. In realtà tali proteine
sono prodotte in una forma “inattiva” (detta anche protossina) sotto
forma di inclusione cristallina durante la sporificazione del batterio.
Per solubilizzare e rendere attive le protossine è necessario un pH di
ca. 10,5. Tale protossina, una volta ingerita dalle larve di determinati
insetti target, trova un ambiente a pH>10,5 (tipico dell’apparato digerente di tali insetti) diventa attiva e svolge la sua azione insetticida.
2. Probabilità di trasferimento di transgeni da OGM e batteri
Gli scambi di materiale genetico sono da sempre essenziali per
l’evoluzione della vita e quindi per il suo perdurare ed affermarsi in un
ambiente in continua evoluzione. Negli organismi superiori, sia animali
che vegetali, l’evoluzione ha portato all’affermarsi della riproduzione
sessuata grazie alla quale, attraverso l’unione dei patrimoni genetici di
entrambi i genitori e le varie fasi di ricombinazione di tale genoma, si
ha un notevole incremento delle possibilità evolutive. Negli organismi
procarioti (batteri) questa opportunità non esiste. Il trasferimento
dell’informazione genetica avviene normalmente in maniera “verticale”, cioè da cellula madre a cellule figlie, tramite la “divisione clonale”;
in questo modo da una cellula madre si ottengono due cellule figlie
uguali. Tale tipo di trasferimento della informazione genetica implica
che tali organismi, per adattarsi ai cambiamenti ambientali (“pressione
selettiva”), devono sperare nelle “mutazioni”, ovvero cambiamenti casuali del genoma dovuti ad errori nella sua duplicazione e/o a spostamenti di sue porzioni (trasposoni), che nella maggioranza dei casi risultano deleterie per la sopravvivenza dell’organismo.
Nel corso dell’evoluzione tali organismi hanno messo a punto altri
meccanismi che consentono lo scambio di materiale genetico fra individui differenti. La particolarità interessante di tali meccanismi, che li
rende per certi versi più avanzati della riproduzione sessuata, è che
permettono di effettuare scambi di materiale genetico anche con bassi
gradi di omologia arrivando anche allo scambio eterologo, cioè tra
specie differenti, cosa assolutamente impossibile attraverso la riprodu-
88
I rischi di una scelta disinformata…
zione sessuata. Il realizzarsi di tale eventualità è definito trasferimento
orizzontale dell’informazione genetica (detto “Horizontal Gene Transfer-HGT”).
In relazione all’utilizzo di OGM una delle maggiori fonti di
preoccupazione è data dalla possibilità di trasferimento di materiale
genetico tra specie diverse con possibile diffusione incontrollata anche di transgeni tra la comunità microbica del suolo (Miller, 1998).
Gli scambi genetici nel suolo dipendono dalle sue caratteristiche fisico-chimiche, dal tipo di pratiche agronomiche (ad esempio se lasciato incolto o soggetto a frequenti lavorazioni), dalla presenza o meno
di copertura vegetale e dalle condizioni climatiche della zona. Tali
caratteristiche influenzano l’attività microbica e tutto il complesso
delle reazioni biochimiche che avvengono di conseguenza. Si è osservato che i cicli di essiccamento ed inumidimento del suolo influenzano il destino delle molecole di DNA, inteso come tempo di permanenza e mantenimento della loro efficienza biologica (cromosomiche
e plasmidiche) adsorbite sui minerali argillosi (Pietramellara et al.,
1997), e una minore persistenza del DNA esogeno in terreni caratterizzati da valori elevati di temperatura ed umidità (Widmer et al.,
1996). Uno studio recente (Potè et al., 2003) ha inoltre evidenziato la
possibilità che il DNA si muova velocemente lungo i profili del suolo, sfuggendo alla degradazione, all’aumentare del contenuto idrico
di quest’ultimo in presenza di una buona velocità di percolazione
dell’acqua. In questo modo la molecola del DNA “biologicamente
attiva” potrebbe giungere anche a notevoli distanze dal luogo di origine.
Sulla base di quanto detto finora si può quindi intendere per “inquinamento genetico” l’introduzione antropica di geni non presenti in
precedenza nell’ambiente considerato. Tale definizione non è però
sufficiente in quanto la semplice presenza nel metagenoma del suolo
di geni “estranei” non implica la loro espressione negli eventuali organismi ospiti e neppure il conferimento a questi di significativi vantaggi
evoluzionistici. Nella definizione di “inquinamento genetico” vanno
quindi introdotti i concetti di “espressione” ed “affermazione” che i
geni “estranei” devono poter realizzare negli organismi ospiti. Va inoltre ricordato che, comunque, le probabilità che nel suolo una molecola di DNA rimanga integra a lungo sono basse, con il risultato che la
Gli OGM e il suolo
89
sua attività fisiologica si riduce drasticamente e velocemente nel tempo (Ladd et al., 1996; Nielsen et al., 2002). È sempre possibile che un
frammento non completo di gene possa inserirsi in un genoma integrandosi perfettamente e ricostituendo il gene completo, ma perché
questa eventualità possa avvenire si richiede che l’organismo ricevente
sia filogeneticamente vicino all’OGM donatore.
3. Persistenza del DNA nel suolo
Il DNA viene costantemente rilasciato nel suolo e in altri ambienti
naturali dalla lisi cellulare e dalla crescita batterica (Lorenz and
Wackernagel, 1994). Questo DNA extracellulare, come spiegato nei
paragrafi precedenti, può essere inglobato nelle cellule batteriche e la
sua informazione genetica incorporata nel genoma delle cellule. Per
lungo tempo questo processo di trasferimento genetico orizzontale
(HGT) negli ambienti naturali, chiamato trasformazione naturale, è
stato scarsamente considerato a causa della suscettibilità del DNA
“nudo” alla degradazione microbica.
Come detto in precedenza, affinché la trasformazione possa avere
esito positivo occorre che una cellula competente venga in contatto
con una molecola di DNA libera, la quale deve essere presente nello
stesso momento e nella stessa nicchia ambientale del microrganismo
in questione. Una volta all’interno della cellula, il DNA dovrà resistere
alla degradazione cellulare e dovrà altresì essere stabilmente integrato
nel genoma del batterio competente in modo da permetterne la sua
espressione. A questo punto, in relazione all’impatto che il DNA ha
sull’ambiente, in quella specifica nicchia ecologica, il DNA trasformante verrà selezionato per essere trasmesso o meno alla progenie.
La fitosfera delle piante, inclusa la rizosfera, la superficie areale
delle piante e i tessuti vegetali sono fortemente colonizzati da batteri
candidati all’esposizione di DNA transgenico qualora questo venisse
rilasciato dalla pianta stessa, anche se il trasferimento naturale del
transgene ai batteri del suolo deve ancora essere dimostrato. In realtà
recentemente è stata dimostrata (Nielsen et al. 1997) la traformazione
naturale di Acinetobacter sp. e Pseudosomas stutzeri a partire da DNA
batterico in suolo non sterile, ma in entrambi i casi i batteri competenti erano stati introdotti nel suolo. Altri studi indicano che molti fattori
90
I rischi di una scelta disinformata…
ambientali possono stimolare la crescita batterica e potrebbero aumentare la probabilità dei batteri associati alle piante o al suolo ad acquisire la competenza (Nielsen et al. 1997).
In particolari condizioni ambientali, quali la presenza di argille e
acidi umici, il DNA si lega alle particelle attive presenti nel suolo diventando resistente alla degradazione e continuando a mantenere la
capacità di trasferirsi, le molecole di DNA persistono anche per molto
tempo, da mesi ad anni. La persistenza nel lungo periodo anche di
una piccola percentuale di DNA rilasciato dalle piante transgeniche
aumenta la possibilità del processo di trasformazione. La competenza
per la trasformazione è stata dimostrata solo in condizioni di laboratorio, per un largo spettro di batteri, dai batteri marini a quelli terrestri,
ma poco si sa sulla frequenza di batteri competenti nei campioni di
campo e sull’innesco di stimoli ambientali, dati dalle condizioni naturali, su batteri competenti.
4. Effetti delle PGM sull’ecosistenza suolo con particolare
riferimento biodiversità
Un recente studio sulla composizione della comunità microbica
della rizosfera di piante di patata transgenica ha evidenziato come i
cambiamenti osservati nel corso dell’esperimento siano da attribuire
in gran parte alle modificazioni fisiologiche della pianta durante le varie fasi del ciclo produttivo e non all’espressione accertata del transgene. È bene ricordare che, se la pianta influenza la comunità microbica
della rizosfera, anche la comunità stessa può esercitare una notevole
influenza sulla pianta tramite la solubilizzazione dei nutrienti, la fissazione dell’azoto, la produzione di sostanze stimolanti od inibenti l’attività vegetale.
Fino agli anni 2000 nella valutazione del rischio ambientale relativo
alla coltivazione delle PGM non sono stati considerati gli effetti sul
suolo, nonostante questo giochi un ruolo chiave quale regolatore della
funzionalità degli ecosistemi terrestri, come il supporto della crescita
delle piante ed il ciclo dei nutrienti. Bruinsma et al. (2002) hanno cercato di identificare le funzioni o i gruppi di microrganismi più pertinenti per determinare e monitorare gli effetti dell’introduzione delle
PGM negli ecosistemi terrestri. Tuttavia la diversità delle specie e dei
Gli OGM e il suolo
91
processi negli ecosistemi del suolo è enorme. È impossibile valutare e
includere tutte questa varietà nei test riguardanti gli effetti delle PGM
sul suolo; è stato dunque fondamentale identificare dei parametri che
possano essere utilizzati come indicatori per lo studio e il monitoraggio degli effetti di PGM sul suolo. Tra tutti gli indicatori disponibili
per la funzionalità dell’ecosistema suolo sono stati studiati e applicati
maggiormente quelli specifici per lo studio degli effetti su batteri, funghi e i processi del suolo mediati dai microrganismi fondamentali per
la qualità e la sostenibilità dei suoli. I microrganismi sono particolarmente sensibili alle pressioni selettive dell’ambiente, cambiano struttura e composizione molto rapidamente. Inoltre possono essere esposti alle PGM e ai prodotti delle PGM in diversi modi. Essi possono interagire direttamente con le radici, o essere esposti indirettamente agli
essudati delle stesse o ancora ai residui vegetali. Sembra, ad esempio,
che residui di alcune varietà di mais Bt contengano una percentuale
significativamente maggiore di lignina rispetto ai controlli e che la sua
degradazione ad opera della biomassa microbica sia sensibilmente rallentata (Sylvester e Ruzin, 1994; Saxena e Stotzky, 2003). Tuttavia, la
scelta di un indicatore non è semplice e immediata.
Affinché le specie microbiche e i processi possano utilmente funzionare quali indicatori degli effetti dell’introduzione delle PGM essi
debbono includere gruppi microbici vulnerabili o processi che hanno
un basso grado di ridondanza funzionale nel sistema e che siano importanti per il funzionamento dell’ecosistema, cosicché la perdita delle specie o l’inibizione della loro attività dovuta ad effetti delle PGM
comporta la perdita di funzioni importanti e risulti quindi rilevabile. I
gruppi di indicatori microbici potenziali identificati finora comprendono soprattutto batteri antagonisti, funghi micorrizici, batteri ammonio-ossidanti e batteri azoto-fissatori, mentre tra i processi individuati
si includono la decomposizione di composti organici recalcitranti e la
cosiddetta “suppressiveness” del suolo (controllo dei patogeni vegetali). La scelta di indicatori, quindi, deve essere effettuata in funzione
del sistema, in particolare dei parametri del terreno quali la tessitura,
la struttura, la ritenzione idrica, il pH e delle specie vegetali presenti. I
funghi micorrizici dovrebbero, ad esempio, essere indicatori in sistemi
a basso input, mentre basidiomiceti degradanti il legno potrebbero essere più adatti in sistemi forestali. Si suggerisce l’uso di un approccio
92
I rischi di una scelta disinformata…
doppio per testare gli effetti delle piante sull’ecosistema suolo, usando
sia test specifici diretti ad indicatori appropriati, che dovrebbero essere identificabili, sia test generali mirati agli aspetti più ampi della comunità microbica totale per valutare gli effetti generali o non prevedibili. Gli ecosistemi del suolo sono infatti altamente dinamici, essendo
esposti a numerose fluttuazioni naturali e antropiche, includendo stagioni, andamento meteorologico e variazioni delle pratiche agricole.
Tali variazioni provocano grandi e frequenti cambiamenti nelle condizioni a cui i microrganismi del suolo sono esposti, determinando considerevoli fluttuazioni in misura, composizione e attività delle comunità microbiche del suolo.
Un grande numero di tecniche è stato applicato nella ricerca su
PGM, rendendo difficile la comparazione tra studi diversi. Molti studi
hanno usato tecniche di conta, sole o in combinazione con altre tecniche. Tali tecniche di conta sono un utile strumento per rilevare variazioni in gruppi microbici specifici, ma soltanto per una piccola frazione della comunità microbica totale.
Molte ricerche, ma non tutte, che sono state condotte sugli effetti
delle PGM hanno evidenziato alcune variazioni nelle comunità microbiche o nei processi funzionali. Tuttavia la maggior parte degli studi
non è stata adeguata nel collegare gli effetti osservati all’influenza diretta delle PGM. È necessario approntare uno studio non generalizzato ma studiato caso per caso. La parte del lavoro più critica comprende la scelta delle tecniche appropriate al monitoraggio e dei criteri interpretativi dei risultati ottenuti attraverso la determinazione dei criteri atti alla valutazione di “qualità” ricercata (Benedetti et al., 2006).
Come valutare i risultati ottenuti analiticamente, quali informazioni dedurne e quali strategie adottare? Anche in questo caso la letteratura propone elaborazioni integrate dei risultati quale l’indice Amoeba al fine di costruire il Soil Quality Index (SQI) (Dilly, 2000). Bloem,
Hopkins e Benedetti propongono nel volume Microbiological Methods
for Assessing Soil Quality una prima selezione di parametri microbiologici, biochimici e molecolari a disposizione dell’operatore; ma una
volta individuato esattamente l’obiettivo del lavoro sarà necessaria
un’ulteriore selezione, poiché comunque 15 parametri da determinare
continuano ad essere molti.
Gli OGM e il suolo
93
Gruppi di metodi microbiologici, biochimici e molecolari, in
accordo con il manuale Metodi microbiologici per la stima
della qualità del suolo
I
Biomassa microbica
del suolo e numero
II
III
Attività della biomassa Diversità microbica
microbica del suolo del suolo e struttura
delle comunità
IV
Relazione piantemicrorganismi
- Tecniche di
fumigazione con
cloroformio
- Respirazione indotta
da substrato
- ATP
- Conta diretta
Attività attuale
- Respirazione del
suolo
- Mineralizzazione
dell’N
Attività potenziale
- Nitrificazione
- Incorporazione di
timidina e leucina
- Test ecotossicologici
-
- Metodi
microbiologici e
molecolari
- Profili di
utilizzazione del
substrato
- Acidi grassi legati
con legame estereo
a fosfolipidi
- Profili di attività
enzimatica
Micorrize
N2 fissazione
Suppressiveness
Associazione di
microrganismi
Da: J. Bloem, D. Hopkins, A. Benedetti, Microbiological Methods for Assessing
Soil Quality, CABI Publishing 2006.
Si riportano di seguito alcuni criteri da utilizzare nella scelta di indicatori di qualità del suolo.
1. Correlare la qualità del suolo all’uso che di esso se ne fa. Definizione
dell’uso del suolo agrario, forestale, prato pascolo, naturale verde
pubblico, area industriale dismessa, zona industriale, aree marginali, ecc.; la scelta degli indicatori sarà finalizzata alla tipologia di suolo oggetto di studio; gli indicatori saranno adattati al tipo di suolo.
Ad esempio per suoli forestali o pascoli in omeostasi forse sarà più
utile determinare il SIR che non il semplice dosaggio della CO2, come anche in casi di suoli stressati da un inquinante od altro.
2. Valutare caso per caso il tipo di problematica da studiare. Impatto
negativo, positivo, sconosciuto, potenziali inquinanti, azioni di recupero, nuovi sistemi colturali, PGM, ecc. Nel caso della valutazione dell’effetto di metalli pesanti ad esempio sarà necessario valuta-
94
I rischi di una scelta disinformata…
re oltre alla resistenza del sistema nei confronti della diversità funzionale anche la diversità genetica totale ed eventualmente quella
della singola specie. Per le PGM, per le quali la legislazione vigente
(Direttiva U.E. 2001/18) raccomanda nella valutazione di impatto
di considerare il riciclaggio dell’azoto e del carbonio (Art. 8 Comma 6), sarebbe invece auspicabile, soprattutto nel caso di piante
micorizziche, andare ad indicare altri parametri come ad esempio il
potere di micorizzazione. Nel caso invece si voglia capire se c’è inquinamento genetico occorrerà operare una estrazione del DNA.
3. Individuare a quali altre scale generiche rapportare l’osservazione.
4. Individuare un minimum data set di indicatori da correlare tra loro.
La ricerca sviluppata da Benedetti e collaboratori (Mocali et al.
2004) nell’ambito di numerosi progetti mira all’individuazione di
indicatori utili alla valutazione dell’impatto di colture GM sull’attività microbica del suolo al fine di disporre di strumenti metodologici anche per l’applicazione delle normative vigenti sull’emissione
deliberata nell’ambiente di piante GM.
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SCAMBIO GENETICO
TRA COLTURE OGM E NON-OGM: IL QUADRO
Luca Bucchini *
L’
attuale dibattito sulla coesistenza ha una semplice causa biologica: la fecondazione allogama, che è una modalità di riproduzione diffusa tra le piante. Le piante di molte specie si scambiano informazione genetica attraverso il polline, in alcuni casi trasportato dal vento. Le piante transgeniche, salvo intenzionali eccezioni, non differiscono da questo punto di vista da quelle non transgeniche. Di conseguenza, il fenomeno dello scambio genetico può avvenire tra colture convenzionali e transgeniche: il risultato può essere che
semi di piante non transgeniche finiscano col contenere transgeni.
In realtà, la presenza di materiale transgenico in una partita di semi
o prodotti trasformati, che originariamente ne era priva, può essere il
risultato di diversi meccanismi, per esempio di errori durante il trasporto del raccolto. Tuttavia, nel caso di molte colture importanti, per
esempio il mais, si ritiene che lo scambio genetico mediato dal polline
sia l’aspetto critico per la cosiddetta presenza accidentale.
Sotto il profilo dell’attuale regolamentazione europea, se si escludono le colture sperimentali e le colture destinate alla produzione di
biofarmaceutici, almeno potenzialmente rischiose, lo scambio genetico tra colture convenzionali e transgeniche è ritenuto problematico
perché potrebbe impedire a chi coltiva colture convenzionali o biologiche di rispettare gli obblighi legali e contrattuali in materia di etichettatura e di purezza. Esistono infatti, in Europa, obblighi specifici
per quanto riguarda le colture convenzionali e quelle biologiche. Gli
agricoltori non transgenici sarebbero danneggiati economicamente da
sanzioni amministrative e da prezzi inferiori per il raccolto “contami* Hylobates Consulting Srl
98
I rischi di una scelta disinformata…
nato” da transgeni. Anche per la preoccupazione di questi danni, poi,
gli agricoltori non potrebbero più scegliere liberamente tra un tipo di
coltura e l’altra. A valle della catena alimentare, poi, si limiterebbe la
libertà dei consumatori che non potrebbero più scegliere prodotti da
colture non transgeniche.
La coesistenza, letteralmente “convivenza pacifica di entità indipendenti”, è appunto la possibilità degli agricoltori di praticare colture convenzionali, biologiche o transgeniche senza compromettere lo
svolgimento delle altre, secondo la definizione della normativa italiana
(L. 5/2005). Da un punto di vista legale e tecnico, quindi, non si tratta
di un problema sanitario o di sicurezza alimentare, o ambientale, né di
etichettatura. Peraltro, quello di assicurare la separazione tra colture
della stessa specie, non è un problema tecnico del tutto nuovo in agricoltura. La coesistenza è quindi un aspetto ben definito nel dibattito
complessivo sulle colture transgeniche. La Commissione Europea si è
espressa nel 2003 con una raccomandazione agli stati membri sulla
coesistenza (Racc. 566/2003), cui sono seguite molte incertezze su una
effettiva e più cogente determinazione, ancora mancante e richiesta da
più parti. La raccomandazione non è infatti vincolante. In Italia, d’altro canto, il Decreto Legge 279/2004 convertito nella Legge 5/2005
ha fornito un quadro generale per la coesistenza, peraltro modificato
da una sentenza della Consulta nel 2006, che ha affermato il ruolo
prioritario delle Regioni in questo campo.
All’interno di questo quadro legale, tra le specie in cui sono state
praticate con successo commerciale le modificazioni genetiche, è la
biologia intrinseca della specie a permettere di anticipare possibili
problemi per la coesistenza. Per esempio, la soia, che domina quantitativamente le colture transgeniche a livello mondiale (54,4% del totale nel 2004, secondo l’ISAAA), presenta un flusso genico tra piante
molto basso, mente la colza (4,6% del totale), all’opposto, ha una capacità di scambio genico molto maggiore. Per quanto riguarda l’Italia,
l’unica coltura transgenica attualmente di interesse è il mais, importante soprattutto nella pianura padana. In questo caso, il flusso genico
è ritenuto possibile per la diffusione del polline con il vento, caratteristica della specie; è quindi importante quantificare questo flusso e valutare le modalità disponibili di controllo e riduzione. Nonostante siano stati condotti studi in merito nel corso del secolo scorso (classici:
Scambio genetico tra colture OGM e non-OGM…
99
Jones and Newell (1946) e Jones and Brooks (1950)), i disegni degli
studi non risultano adeguati alla precisione richiesta attualmente.
Per studiare il movimento del polline sono attualmente disponibili
tre principali metodi (Devos et al., 2005):
1. In primo luogo, può essere misurata direttamente la quantità di
polline di mais a varie distanze da un “emettitore”, cioè un insieme
di piante di mais utilizzate come riferimento;
2. preferibilmente, si procede all’esame dei livelli di fertilizzazione incrociata da “emettitore” a “ricevente”, con analisi molecolari
(OGM) o di tratti fenotipici (colori). Si tratta di contare i semi o il
materiale che deriva da un incrocio con il DNA dell’emettitore;
3. infine, è possibile effettuare calcoli attraverso l’uso di modelli matematici; che, tuttavia, non sono ancora del tutto affidabili.
Nel caso del mais, i risultati di questi studi sono concordi nel mostrare che entro poche decine di metri dall’emettitore il flusso genico
si ferma quasi interamente; ma, sebbene in piccole quantità, il flusso si
osserva anche a grandi distanze (oltre 100 m). Il profilo del flusso è
caratteristicamente quello di “guglie”, con flusso elevato che scende
rapidamente allontanandosi dall’emettitore (posto al centro) e con guglie più elevate dalla parte in cui ha spirato il vento durante l’impollinazione (figura 1). Un altro elemento solidamente ricavato dagli studi
è l’importanza della competizione del polline del ricevente. Sopra un
campo di mais, infatti, si forma una “nuvola” di polline; se la “nuvola”
del ricevente è fitta, il polline che arriva dall’emettitore non avrà molte
probabilità di fecondare. All’opposto, una pianta solitaria sarà meno
protetta dalla fecondazione con il polline dell’emettitore. Gli studi
hanno anche evidenziato che sono rilevanti, nel determinare il flusso
genico, anche le barriere fisiche (per esempio, alberi) e le diverse epoche di maturazione.
Esistono naturalmente alcuni problemi legati a questi risultati, che
però non intaccano le conclusioni accennate. In parte questi problemi
sono scientifici e legati alla difficoltà di comparazione di diversi studi,
effettuati con disegni molto differenti. Inoltre, la dinamica fine del
movimento del polline è ancora in parte incompresa e studi molto
estesi e complessi, di natura modellistica, si basano su metodi di cui la
validazione non è ancora pubblicata (Messean et al., 2006). Infine vi
sono problemi legati all’interpretazione di questi studi: si fa confusio-
100
I rischi di una scelta disinformata…
ne tra una fila ed il campo (per l’agricoltore convenzionale è rilevante
la purezza del raccolto, non della fila di mais prospiciente il campo
transgenico); si fanno estrapolazioni a lunghe distanze mentre la commistione non decresce in maniera lineare.
In Italia, fino al 2005, gli studi disponibili erano interessanti ma decisamente limitati. Per questo è stato effettuato uno studio con la collaborazione di vari partner, utilizzando marcatori fenotipici e non
transgeni (si veda Dalla Porta e Ederle al capitolo seguente).
Figura 1 - Tipico flusso genico intorno all’emettitore di polline di mais, misurato
come cariossidi fecondate dall’emettitore.
Bibliografia
Devos Y., Reheul D.E., De Schrijver A., «The co-existence between
transgenic and non-transgenic maize, in the European Union: a focus
on pollen flow and cross-fertilization», Environ. Biosafety Res. 4
(2005) 71-87.
Scambio genetico tra colture OGM e non-OGM…
101
ISAAA, ISAAA Briefs 34-2005: «Global Status of Commercialized
Biotech/GM Crops: 2005».
Jones M.D., Brooks J.S. (1950), «Effectiveness of distance and border
rows in preventing outcrossing in maize», Oklahoma Agric. Exp. Sta.
Tech. Bull. No. T-38. Stillwater, OK.
Jones M.D., Newell L.C. (1946), «Pollen cycles and pollen dispersal
in relation to grass improvement», Univ. Nebraska Agric. Exp. Sta.
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Messean A., Angevin F., Gómez-Barbero M., Menrad K., RodríguezCerezo E., New case studies on the co-existence of GM and non-GM
crops in European agriculture, European Commission, Joint Research
Centre, gennaio 2006.
INDAGINE DI PIENO CAMPO
IN AMBIENTE PADANO SULLE DINAMICHE
DI DIFFUSIONE DEL POLLINE DI MAIS
TRA COLTIVAZIONI CONTIGUE
Giovanni Della Porta *
Davide Ederle **
N
el mais, specie allogama, monoica e a fecondazione anemofila,
il flusso genico dovuto alla mobilità del polline costituisce la
principale causa di commistione tra colture OGM e nonOGM. Al fine di valutare i livelli di diffusione di polline di mais tra
coltivazioni contigue nell’ambiente padano, peculiare per condizioni
climatiche (bassa insolazione, elevata umidità relativa dell’aria ed assenza di venti dominanti), agronomiche ed aziendali (rotazione stretta
delle colture, ridotte dimensioni delle aziende e degli appezzamenti),
nella campagna 2005/2006 sono state condotte prove sperimentali che
hanno interessato le principali province maidicole lombarde. La sperimentazione è stata condotta congiuntamente da ricercatori e tecnici di
strutture di ricerca pubbliche e private, quali il CRA – Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura di Bergamo, il Parco Tecnologico Padano, Agricola 2000, Hylobates Consulting ed inoltre l’Associazione dei
Produttori di Semi Oleosi e Cereali Lombarda (APSOCLO), che ha
messo a disposizione 7 aziende agricole nelle province di Brescia,
Mantova, Milano, Cremona e Lodi, situate nella parte centrale della
fascia italiana del mais.
Sono state allestite 4 tipologie sperimentali (tab. 1), di cui 3 su scala aziendale ed una (esperimento di tipo 4) con disegno parcellare, interessando nel complesso una superficie pari a circa 40 ha, con l’obiettivo di misurare l’entità della fecondazione incrociata sia nelle condizioni di maggior favore per la diffusione del polline e la fecondazione
incrociata (mais marcatore posto al centro dell’appezzamento; mais ri* CRA – Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura – Sezione di Bergamo
** PTP – Parco Tecnologico Padano
104
I rischi di una scelta disinformata…
Tabella 1: le tipologie sperimentali allestite
Esperim.
Impianto sperimentale
Risultati attesi
Località
e dimensione
campo
Esp.1
Un blocco di mais marcatore è stato
seminato al centro dell’appezzamento
e completamente circondato da mais
ricevente.
Valutazione
della diffusione
del polline a
diverse distanze
dal marcatore
Marcaria (MN)
9 ha
Pizzighettone
(CR) 6,8 ha
Esp. 2
Un blocco di mais marcatore è stato
seminato lungo tutta la parte centrale
dell’appezzamento mentre il mais
ricevente è stato seminato nella fasce
laterali; lungo le linee di separazione
tra mais marcatore e ricevente sono stati
creati “corridoi” liberi da vegetazione
larghi 17,5m e 34,3m in corrispondenza
rispettivamente del secondo e
dell’ultimo terzo dell’appezzamento.
Valutazione
dell’effetto
della presenza di
spazi vuoti
sull’entità del
flusso genico
Visano (BS)
8,8 ha
Carpiano (MI)
4,8 ha
Esp. 3
Un blocco di mais marcatore è stato
seminato lungo tutta la parte centrale
dell’appezzamento;
il mais ricevente è stato seminato
nelle fasce laterali, separato da corridoi
di 9,1m dal mais giallo. Zone cuscinetto
adiacenti ai corridoi costituite da 12 file
di mais ricevente sono state ricavate
alternativamente all’interno del mais
marcatore e ricevente
Valutazione
dell’efficacia
delle zone di
confine
posizionate in
contiguità al
marcatore o al
ricevente
Ticengo (CR)
2,9 ha
Esp. 4
Un blocco di mais marcatore è stato
seminato al centro di un appezzamento
di mais ricevente; sono state utilizzate
sia varietà con epoca di fioritura
coincidente con il marcatore sia varietà
più precoci e tardive. In ciascuna
località sono state effettuate 3 repliche.
Valutazione
Aspice (CR)
della diffusione 0,5 ha
del polline a
Tavazzano (LO)
diverse distanze 0,5 ha
dal marcatore e
dell’effetto della
sfasatura dell’epoca
di fioritura sull’entità
del gene flow
Indagine di pieno campo sulle dinamiche di diffusione…
105
cevente contiguo al marcatore; fioritura contemporanea), sia in presenza di fattori di disturbo facilmente ottenibili nella pratica agronomica, quali: i) aree di separazione “vuote” tra le colture, ii) aree cuscinetto o “buffer areas” tra le colture ed infine iii) sfasatura dell’epoca di
fioritura”. Per rilevare l’occorrenza e l’entità della fecondazione incrociata si è fatto ricorso a marcatori fenotipici per il colore dell’endosperma, utilizzando nei campi di tipo 1, 2 e 3 varietà di mais convenzionale con endosperma giallo (dominante) e bianco (recessivo) e nei
campi di tipo 4 varietà convenzionali a endosperma rosso (dominante)
e giallo (recessivo).
Risultati
Esperimenti di tipo 1 (fig. 1)
La frequenza media di fecondazione incrociata è risultata consistente nella fascia di contatto tra mais marcatore e ricevente: tra 0 e 2
m i valori sono molto elevati (19,28%) mentre tra 2 e 6 m la percentuale scende sotto il 3% e tra 6 e 12 m sotto l’1%; oltre tale fascia critica (12 m, pari a 18 file di mais) e per tutta la larghezza esplorata (da
70 a 120 m) le percentuali si mantengono al di sotto dello 0,9%, con
valori medi compresi tra 0,2 e 0,3%.
Figura 1: campi sperimentali di tipo 1
106
I rischi di una scelta disinformata…
Esperimenti di tipo 2 (fig. 2)
Valori elevati di flusso genico sono stati rilevati nelle file di mais
fronteggianti il marcatore, indipendentemente dalla presenza di aree
di separazione; nelle file immediatamente successive la presenza di semi marcati è andata rapidamente diminuendo, fino a valori analoghi a
quelli riscontrati nell’esperimento 1. In particolare il mais ricevente ha
presentato una percentuale di outcrossing inferiore allo 0,9%: i) a partire da 17,5 m nel settore contiguo, ii) a partire da 34,3 m in presenza
di un corridoio di 17,5 m, e iii) a partire da 37,1 m in presenza di un
corridoio di 34,3 m.
Figura 2: campi sperimentali di tipo 2
Esperimenti di tipo 3 (fig 3)
In tale esperimento una zona cuscinetto costituita da 12 file di mais
è stata posizionata alternativamente ai bordi del marcatore (situazione
A) ed ai bordi del mais ricevente (situazione B) ed un corridoio di 9m
separava il mais marcatore dal ricevente. Nella situazione A solo le
prime 2 file del mais ricevente hanno presentato una percentuale di
Indagine di pieno campo sulle dinamiche di diffusione…
107
flusso genico maggiore dello 0,9% mentre nella situazione B il mais ricevente, con l’esclusione della zona di confine, presentava valori sempre al di sotto dello 0,9%. In particolare, il mais ricevente ha presentato una percentuale inferiore allo 0,9%: i) a 19,5 m dal marcatore
nella situazione A, e ii) a 12 m nella situazione B.
Figura 3: campi sperimentali di tipo 3
Esperimenti di tipo 4 (fig 4)
Il flusso genico si è concentrato prevalentemente nelle prime 3 file
(dove è sceso dal 25% al 5%), ed è sceso al di sotto dello 0,9% a 6,8
m; oltre tale distanza è sceso meno rapidamente mantenendosi comunque su valori molto bassi (intorno allo 0,1%) fino a bordo campo.
Per quanto riguarda l’effetto dello sfasamento dell’epoca di fioritura i
risultati indicano che fino a 3 giorni di sfasamento non si hanno effetti
significativi mentre sfasamenti di 4-5 giorni hanno portato ad una riduzione di circa 1/4 della dimensione della fascia critica (>0,9%) e
sfasamenti di 6 giorni al suo dimezzamento.
108
I rischi di una scelta disinformata…
Figura 4: campi sperimentali di tipo 4
Conclusioni
I dati raccolti dal presente studio mostrano, analogamente a quanto riportato in letteratura, che l’entità e la distanza alla quale il flusso
genico è rilevabile sono significativamente inferiori a quanto atteso
dalla semplice capacità di spostamento del polline. La “forza” più rilevante” per il contenimento del flusso genico è costituita dal grado di
competizione per la fecondazione delle sete recettive che si instaura
tra il polline “locale” ed il polline esterno proveniente dai campi limitrofi. Il polline del mais presenta infatti un’elevata capacità fecondativa in assenza di polline “antagonista”, come risulta ben evidente nei
campi di produzione seme, in cui 1 fila di mais impollinante è in grado di fecondare completamente fino a 8 file di mais portaseme emasculato, oppure nei sistemi di produzione di mais ad elevato contenuto in olio con il sistema High Oil Top CrossR, in cui la produzione finale di pieno campo è assicurata dalla presenza di un 7-9% di piante
maschio-fertili (portatrici per effetto xenia del carattere alto olio) in
grado di fecondare il rimanente 91-93% di piante maschiosterili. La
Indagine di pieno campo sulle dinamiche di diffusione…
109
nuvola di polline che “presidia” i campi “riceventi” limita alle prime
2-3 file contigue livelli significativi di fecondazione incrociata (2050%) e contiene la larghezza della fascia critica (con livelli di outcrossing maggiori di 0,9%) tra 10 e 20 m, “normalizzando” le diverse condizioni ambientali rilevate nelle diverse località di prova.
Tra le pratiche agronomiche facilmente utilizzabili per limitare il
flusso genico l’utilizzo di zone cuscinetto o buffer areas (che sono attive per emissione di polline “bianco”) è risultato di maggior efficacia
rispetto all’interposizione di spazi vuoti (inerti) tra le colture ed il posizionamento di tali aree cuscinetto a ridosso del mais ricevente maggiormente efficace rispetto al posizionamento a ridosso del mais marcatore.
Anche l’utilizzo di varietà con periodo di fioritura non coincidente
è risultato un mezzo efficace per ridurre l’outcrossing, con effetti significativi di riduzione a partire da uno sfasamento di fioritura di 6 giorni, che ha portato ad una riduzione del 50% dell’ampiezza della fascia
critica; inoltre, a parità di sfasamento della fioritura, le coltivazioni
fiorite più precocemente rispetto all’emettitore sembrano meglio protette rispetto a quelle fiorite più tardivamente, essendo in grado di fecondare buona parte delle proprie sete prima dell’emissione del polline da parte del marcatore.
Bibliografia essenziale
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seed production fields», Proc. of 56th Ann. Corn and Sorghum Res.
Conf. 2001, Am. Seed Trade Assoc., Washington, DC.
Della Porta G., Ederle D., Bucchini L., Prandi M., Pozzi C., Verderio
A, 2006, «Gene flow between neighboring maize fields in the Po
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Devos Y., Reheul D.E., De Schrijver A., «The co-existence between
transgenic and non-transgenic maize in the European Union: a focus on pollen flow and cross-fertilization», Environ. Biosafety Res.
4 (2005) 71-87.
Halsey M.E., Remund K.M., Davis C.A., Qualls M., Eppard P.J., Ber-
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I rischi di una scelta disinformata…
berich S.A., «Isolation of Maize from Pollen-Mediated Gene Flow
by Time and Distance», Crop Sci. 2005 45: 2172-218.
Luna V., S.J. Figueroa M., B. Baltazar M., R. Gomez L., R. Townsend,
J.B. Schoper, 2001, «Maize pollen longevity and distance isolation
requirements for effective pollen control», Crop Sci. 41:1551-1557.
Ma B.L., Subedi K.D., Reid L.M., «Extent of Cross-Fertilization in
Maize by Pollen from Neighboring Transgenic Hybrids», Crop Sci.
2004 44: 1273-1282.
Proceedings of the “Second international conference on co-existence
between GM and non-GM based agricultural supply chains”, 1415 November 2005, Montpellier, France.
RICERCA E SPERIMENTAZIONE SU PIANTE
GENETICAMENTE MODIFICATE
Bruno Mezzetti *
Premessa
L’
impiego delle nuove tecnologie biologiche, tese ad ottenere ed
utilizzare organismi geneticamente migliorati impiegabili in
diversi settori produttivi, ha da sempre attirato l’estremo interesse dell’Unione Europea, la cui posizione nei confronti degli OGM
è stata incentrata sulla sicurezza di ambiente e salute con la conseguente necessità di controllarne lo sviluppo e la commercializzazione.
Questa premessa appare opportuna poiché esistono, tuttora, forti
preoccupazioni nei confronti di tali prodotti da parte dei cittadini europei e delle istituzioni pubbliche. Le misure di regolamentazione
adottate, nel tempo, dall’Unione Europea sono state tutte di natura
“precauzionale” e non hanno mai evitato di sottolineare il necessario
ricorso ad accurate valutazioni di rischio prima di intraprendere attività di ricerca e sviluppo, di produzione o commercializzazione. I
principi ispiratori della normativa europea sulla materia hanno altresì
vincolato tutti gli impieghi di organismi viventi ottenuti con tecniche
di trasferimento di informazioni genetiche a complesse procedure di
notifica ed autorizzazione, sotto il controllo di autorità pubbliche. Al
riguardo, appare evidente che la predetta valutazione debba procedere caso per caso e come eventuali generalizzazioni non possano derivare che dalla raccolta di molti dati sperimentali convergenti. Inoltre,
è comunemente accettato che delle biotecnologie non sia sufficiente
valutarne i rischi e i benefici privati, locali e a breve termine, ma anche
* Dipartimento di Scienze Ambientali e delle Produzioni Vegetali – Università
Politecnica delle Marche, 60100 Ancona (IT)
112
I rischi di una scelta disinformata…
e soprattutto l’impatto a livello collettivo, garantendo che i rischi di
oggi non annullino i benefici di domani.
Costi ed impatto ambientale inferiori agli attuali processi di soddisfacimento delle esigenze primarie dell’umanità rappresentano i vantaggiosi risultati proposti dalle nuove tecniche produttive in questione. A questo punto, anche per meglio chiarire l’intricato quadro giuridico, particolare rilievo assume la situazione regolamentare in materia
d’immissione nell’ambiente di organismi geneticamente modificati,
che, solo di recente, ha visto completare la normativa nazionale di riferimento con la pubblicazione nella G.U.R.I. del Decreto Legislativo
n. 224 in data 8 luglio 2003 (che ha recepito la dir. 2001/18/CE).
1. La normativa europea
Nel 2001, durante una riunione tenutasi a Bruxelles, la Commissione Europea, nell’intento di offrire un approccio affidabile e sicuro sugli OGM da un punto di vista ambientale, ha proposto un importante
pacchetto legislativo che tracciava un sistema di etichettatura di tali
prodotti, allo scopo di regolarne la loro immissione sul mercato attraverso una specifica procedura di autorizzazione, prevista anche per
l’eventuale deliberato rilascio nell’ambiente. L’adozione di queste misure, successivamente definite, intese a proteggere anche la salute del
consumatore, aveva lo scopo di generare nell’opinione pubblica la fiducia verso gli OGM, rassicurando sulle preoccupazioni e gli interrogativi più comuni in merito alla sicurezza di alimenti e mangimi.
Fino ad allora le regole in materia erano state dettate da una Direttiva del 1990, la 90/220/CE che a partire dal 17 ottobre 2002 si considera abrogata e sostituita dalla Direttiva 2001/18/CE, che ha obbligato tutti gli stati membri a conformare le proprie disposizioni legislative al nuovo testo. Entro il 31 dicembre 2004 dovevano essere ritirati
dal mercato tutti i geni marcatori di resistenza agli antibiotici che possono avere effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente, mentre
entro il 31 dicembre 2008 dovranno essere esclusi anche a livello sperimentale gli organismi transgenici che portano geni antibiotici che
possono essere a rischio per l’ambiente e per la salute umana. La direttiva comunitaria non prevede quindi l’eliminazione assoluta dei geni marcatori antibiotici ma solo di quelli che possono avere effetti ne-
Ricerca e sperimentazione su piante geneticamente…
113
gativi sulla salute umana e sull’ambiente. Grazie al lavoro svolto dall’EFSA (European Food Safety Agency, l’organismo tecnico in materia
della commissione Europea) si è giunti alla classificazione di 3 gruppi
di rischio per gli antibiotici, distinguendoli secondo la loro frequenza
di diffusione nelle popolazioni microbiche e l’importanza per l’uso clinico degli antibiotici più rilevanti.
Nel gruppo 1 sono classificati geni per la resistenza ad antibiotici
che (a) sono già ampiamente diffusi nel suolo e nei batteri enterici e
(b) conferiscono resistenza ad antibiotici che non hanno o hanno una
rilevanza terapeutica minima nella medicina umana e veterinaria.
Quindi la presenza di questi geni per la resistenza ad antibiotici nel
genoma delle piante geneticamente modificate è giudicato insignificante rispetto alla loro già ampia diffusione nell’ambiente. Il gene
nptII che conferisce resistenza alla neomicina e alla kanamicina e il gene hph che conferisce resistenza all’igromicina sono assegnati a questo
gruppo e come altri delle stesso gruppo sono considerati marcatori di
selezione che non danno problemi di sicurezza («safe for use as selectable markers»).1 In particolare, il gene nptII è il gene ancora più utilizzato nella trasformazione genica di molte specie, ciò per l’elevata efficienza nella fase critica della selezione, facilità di analisi e assenza di
effetti sul fenotipo. Per queste caratteristiche e per l’assenza di rischio
per l’ambiente e per la salute umana il gene nptII è e sarà ancora per
molto uno strumento molecolare valido per ottenere piante geneticamente modificate di interesse agronomico e commerciale.
Ci sono, naturalmente, nuovi obblighi anche per i produttori, quale la trasparenza secondo cui ogni etichetta dovrà riportare la dicitura
“Questo prodotto contiene organismi geneticamente modificati”. Inoltre, le varie procedure, pareri e autorizzazioni o dinieghi, saranno accessibili al pubblico. Alle aziende viene concessa la riservatezza solo
per quella parte che riguarda la salvaguardia della posizione concorrenziale e la decisione spetta comunque alla Commissione Europea.
Le sanzioni per chi non rispetta le norme contenute nella Direttiva e
quelle conseguenti verranno stabilite dai vari paesi europei, i quali legifereranno in materia secondo la sensibilità che si vorrà dedicare al
problema.
1
http://www.efsa.eu.int/science/gmo/gmo_opinions/384_en.html.
114
I rischi di una scelta disinformata…
Il provvedimento normativo si articola in quattro parti: la Parte A
contiene le disposizioni principali, la Parte B regola l’immissione
nell’ambiente – a scopi sperimentali – di organismi geneticamente modificati, la successiva Parte C disciplina la relativa immissione in commercio, conseguente ad una decisione comunitaria, infine nella Parte
D sono contemplate le disposizioni finali.
2. Principi per la valutazione del rischio ambientale
Tra gli obblighi degli Stati membri ci sono quelli enunciati nell’articolo 4 secondo il quale, nel rispetto del principio di precauzione, si devono attuare «tutte le misure atte ad evitare effetti negativi sulla salute e
sull’ambiente» che possono derivare dall’emissione deliberata o dall’immissione in commercio di OGM. Accertato che la valutazione del
rischio ambientale rappresenta il punto fondamentale della Direttiva
2001/18 si descrive, di seguito, l’allegato II che definisce, a grandi linee, l’obiettivo da raggiungere, gli elementi da considerare ed i principi
e le metodologie generali da seguire per effettuare la valutazione del rischio ambientale di cui agli articoli 4 e 13. Nel documento in esame,
viene fornita un’interpretazione dei rischi «diretti, indiretti, immediati e
differiti» per la salute umana e per l’ambiente, definiti come segue:
• “effetti diretti”: effetti primari sulla salute umana o sull’ambiente risultanti dall’OGM stesso e non dovuti ad una serie causale
di eventi,
• “effetti indiretti”: effetti sulla salute umana o sull’ambiente dovuti ad una serie causale di eventi mediante meccanismi quali le
interazioni con altri organismi, il trasferimento di materiale genetico o variazioni nell’uso e nella gestione.
Le osservazioni degli effetti indiretti possono essere dilazionate nel
tempo:
• “effetti immediati”: effetti sulla salute umana o sull’ambiente
osservati durante il periodo di emissione dell’OGM;
• “effetti differiti”: effetti sulla salute umana o sull’ambiente che
non possono essere osservati durante il periodo di emissione
dell’OGM, ma che emergono come effetti diretti o indiretti in
una fase successiva o al termine dell’emissione.
Ricerca e sperimentazione su piante geneticamente…
115
Dopo aver premesso, quale principio generale, che la valutazione
del rischio ambientale deve essere effettuata sulla base dei dati scientifici e tecnici disponibili, si deve includere un’analisi degli «effetti cumulativi a lungo termine» pertinenti per l’emissione e l’immissione in
commercio. L’allegato definisce tali “effetti” e le conseguenze che le
autorizzazioni hanno, cumulativamente, sulla salute umana e sull’ambiente, ma anche sulla flora e sulla fauna, sulla fertilità del suolo, sulla
capacità del suolo di degradare materiale organico, sulla catena alimentare, animale o umana, sulla diversità biologica, sulla salute animale e sui problemi relativi alla resistenza agli antibiotici. L’attività valutativa del rischio ambientale deve essere effettuata al fine di determinare «se è necessario procedere ad una gestione del rischio e, in caso
affermativo, reperire i metodi più appropriati da impiegare».
In base al principio precauzionale, la valutazione del rischio ambientale:
• richiede per l’OGM l’identificazione delle caratteristiche e del
suo uso che potenzialmente possono causare effetti negativi; essi devono essere confrontati con quelli propri dell’organismo
non modificato da cui l’OGM è stato ricavato e col suo uso in
situazioni corrispondenti;
• deve essere svolta in maniera scientificamente valida e trasparente, sulla base dei dati scientifici e tecnici disponibili;
• deve essere effettuata caso per caso, nel senso che le informazioni richieste possono variare a seconda del tipo di OGM considerato, dell’uso previsto e dell’ambiente che ne è il potenziale
destinatario, tenendo conto, tra l’altro, degli OGM già presenti
nell’ambiente;
• deve determinare se il rischio è cambiato e quindi la necessità di
modificare di conseguenza la gestione dello stesso.
A seconda dei casi, la valutazione deve tener conto dei dettagli tecnici e scientifici pertinenti relativi alle caratteristiche dei seguenti elementi:
• l’organismo o gli organismi riceventi/parentali;
• le modificazioni genetiche, nel senso di un’inclusione o di una
soppressione di materiale genetico e le informazioni pertinenti
sul vettore e sul donatore;
116
I rischi di una scelta disinformata…
• l’OGM;
• l’emissione o l’uso previsti, inclusa la loro portata, l’ambiente
che ne è il potenziale destinatario e l’interazione tra di essi.
Ai fini della valutazione del rischio possono risultare utili anche
informazioni ottenute da emissioni di organismi analoghi e organismi
con tratti analoghi, nonché dalle loro interazioni con ambienti analoghi.
Nell’elaborare le conclusioni relative alla valutazione del rischio
dovrà tenersi conto sia dell’identificazione delle caratteristiche che
possono causare effetti negativi sia delle caratteristiche proprie degli
OGM connesse alla modificazione genetica possibile causa di effetti
negativi sulla salute umana o sull’ambiente. Il confronto delle caratteristiche di uno o più OGM con quelle dell’organismo non modificato,
in condizioni comparabili di emissioni o uso, aiuterà ad identificare i
potenziali effetti negativi prodotti dalla modificazione genetica.
Gli effetti negativi variano caso per caso e possono riguardare:
• la tossicità e l’allergenicità per gli esseri umani, per gli animali e
per le piante;
• la dinamica delle popolazioni all’interno dell’ambiente ospite e
la diversità genetica di ciascuna di esse;
• la suscettibilità alterata agli agenti patogeni che causa la diffusione di malattie infettive e/o crea nuovi organismi di riserva o
vettori,
• ripercussioni negative sui trattamenti profilattici o terapeutici,
medici, veterinari o fitosanitari, riconducibili al trasferimento di
geni che conferiscono resistenza agli antibiotici utilizzati in medicina e veterinaria;
• effetti sul ciclo del carbonio e dell’azoto mediante cambiamenti
nella decomposizione nel suolo di materia organica.
Effetti negativi possono essere provocati, direttamente o indirettamente, da meccanismi quali:
• la diffusione di OGM nell’ambiente;
• il trasferimento del materiale genetico introdotto ad altri organismi o allo stesso organismo, geneticamente modificato o meno;
Ricerca e sperimentazione su piante geneticamente…
117
• l’instabilità fenotipica e genetica;
• le interazioni con altri organismi;
• le modificazioni nella gestione, ove possibile, nelle pratiche
agricole.
Un importante fattore per valutare la possibilità o la probabilità
che si verifichi un effetto negativo è rappresentato dalle caratteristiche
dell’ambiente in cui si intende emettere l’OGM o gli OGM e dalle
modalità dell’emissione. Compatibilmente con le conoscenze scientifiche, occorre procedere ad una stima del rischio per la salute umana o
per l’ambiente combinando la probabilità che esso si verifichi e l’entità delle eventuali conseguenze. Occorre procedere alla valutazione
del rischio generale dell’OGM o degli OGM tenendo conto delle strategie di gestione del rischio proposte. In base ad una valutazione del
rischio ambientale, dovrebbero essere inserite nelle notifiche, se del
caso, le conclusioni sul potenziale impatto ambientale dell’emissione o
dell’immissione in commercio di OGM.
3. Il Piano di monitoraggio
Si può concludere che il fulcro della valutazione e della decisione
sull’emissione deliberata e sull’immissione in commercio degli OGM
passa anche attraverso il monitoraggio e la sorveglianza. Il monitoraggio serve a verificare se i rischi di danno messi in evidenza durante la
sperimentazione siano reali e gestibili, mentre la sorveglianza deve rilevare i pericoli non previsti ed intervenire in caso di emergenza. Questo secondo importante allegato della 2001/18 descrive a grandi linee
l’obiettivo da raggiungere e i principi generali da seguire per definire
il piano di monitoraggio che deve:
• confermare o meno le ipotesi relative al verificarsi di potenziali
effetti negativi dell’OGM o del suo impiego, contenute nella valutazione del rischio ambientale;
• individuare il verificarsi di effetti negativi dell’OGM o del suo
impiego sulla salute umana o sull’ambiente che non siano stati
anticipati nella valutazione del rischio ambientale.
Il monitoraggio di cui agli articoli 13, 19 e 20 è effettuato dopo
l’approvazione dell’immissione in commercio dell’OGM. I dati rac-
118
I rischi di una scelta disinformata…
colti con il monitoraggio dovrebbero essere interpretati in funzione
delle altre condizioni ambientali e delle attività esistenti. Nel caso in
cui si osservino modifiche dell’ambiente, dovrebbe essere presa in
considerazione la possibilità di effettuare un’ulteriore valutazione per
stabilire se esse rappresentino una conseguenza dell’OGM o del suo
impiego, in quanto possono essere dovute a fattori ambientali diversi
dall’immissione in commercio dell’OGM. Le esperienze e i dati acquisiti mediante il monitoraggio di emissioni sperimentali di OGM possono costituire un ausilio nella definizione del regime di monitoraggio
posteriore all’immissione in commercio necessario per l’immissione in
commercio, degli OGM (prodotti o contenuti in prodotti).
Il progetto di piano di monitoraggio dovrebbe:
1. essere dettagliato caso per caso, tenendo conto della valutazione
del rischio ambientale;
2. tener conto delle caratteristiche dell’OGM, delle caratteristiche
e delle dimensioni dell’impiego che ne è previsto e della serie di
condizioni ambientali rilevanti nelle quali è prevista l’emissione
dell’OGM;
3. comprendere una sorveglianza di carattere generale per gli effetti negativi imprevisti e, se necessario, il controllo specifico individuale incentrato sugli effetti negativi identificati nella valutazione del rischio ambientale;
4. facilitare il controllo dell’emissione dell’OGM nell’ambiente
ospite nonché l’interpretazione di tali osservazioni in relazione
alla sicurezza della salute umana o dell’ambiente;
5. identificare le persone (notificante, utilizzatori) che svolgeranno
i vari compiti previsti nel piano di monitoraggio e le persone responsabili della corretta attuazione del piano di monitoraggio,
garantendo che il titolare dell’autorizzazione e l’Autorità competente saranno informati degli eventuali effetti negativi osservati sulla salute umana e sull’ambiente;
6. utilizzare i meccanismi per l’identificazione e la conferma degli
effetti negativi osservati sulla salute umana e sull’ambiente e,
ove opportuno, permettere al titolare dell’autorizzazione o
all’autorità competente di adottare le misure necessarie per proteggere la salute umana e l’ambiente.
Ricerca e sperimentazione su piante geneticamente…
119
4. La valutazione agronomica
L’insieme di queste sperimentazioni deve essere finalizzata ad una
completa valutazione agronomica delle caratteristiche delle piante geneticamente modificate, non solo per i possibili rischi, ma soprattutto
per i possibili benefici che possono derivare dalla coltivazione dei
nuovi genotipi modificati per singoli geni, che possono determinare
importanti miglioramenti quantitativi e qualitativi della produzione.
La sperimentazione deve quindi essere impostata secondo opportuni
schemi sperimentali comprendenti diverse linee/cloni di più eventi geneticamente modificati, a confronto con linee/cloni dei corrispondenti
controlli. Per le diverse specie devono essere praticate le comuni tecniche agronomiche, utili per garantire il più efficiente confronto tra le
caratteristiche indotte dall’espressione del gene inserito e i rispettivi
controlli.
5. Evoluzione della ricerca su piante geneticamente modificate in
Europa
In Europa, il settore delle biotecnologie si sviluppa rapidamente
tra il 1991 e il 1997 con un picco massimo nel 1998, per poi subire un
declino nel 1999 a causa della decisione, da parte dei ministri dell’Ambiente del Consiglio Europeo, di bloccare tutte le richieste di
commercializzazione fino all’attuazione di più severe norme giuridiche che riguardavano il rischio, l’etichettatura e la tracciabilità (Figura
1). Tra il 1991 e il 2002 sono state presentate nei diversi paesi membri
1687 “notifiche” di autorizzazione alla sperimentazione in campo
aperto, ovvero emissione deliberata nell’ambiente. La Francia è stato
il paese più attivo nel condurre le sperimentazioni in Europa, con più
di 500 notifiche; seguono l’Italia, l’Inghilterra e la Spagna. Una caratteristica che distingue l’Europa dagli USA e dai paesi sudamericani –
dove le coltivazioni GM riguardano grandi estensioni – è la dimensione delle aree utilizzate per la sperimentazione: il 41% degli appezzamenti ha una superficie inferiore ai 5000 mq. In particolare il 16%
comprende appezzamenti con superficie inferiore a 500 mq, l’11%
quelli con una superficie compresa tra 1000 e 2000 mq, il 10,4% quelli con una superficie compresa tra i 3000 e i 5000 mq, il 7,9% quelli
120
I rischi di una scelta disinformata…
Figura 1: Numero annuale di sperimentazioni notificate nell’Unione Europea tra
il 1991 e il 2001
con una superficie compresa tra i 40.000 e i 100.000 mq, infine quelli
che hanno una superficie superiore ai 100.000 mq sono il 4,4%.
5.1 Attività di sperimentazione
Il primo quinquennio di sviluppo delle agrobiotecnologie ha visto
il prevalere di una prima generazione di piante GM concentrate essenzialmente sui tratti agronomici che riguardavano in particolare la
resistenza agli erbicidi, agli insetti o ai virus. Per il futuro, la previsione è che la trasformazione genetica investa su quei prodotti (c.d. “di
seconda e terza generazione”) destinati a migliorare la qualità del cibo, a prevenire le nuove malattie, a perfezionare l’interazione con
l’ambiente per soddisfare l’aspettativa dei consumatori. Il tempo medio per sviluppare una nuova varietà GM varia dagli 8 ai 12 anni e si
svolge attraverso 3 fasi:
Fase 1: costruzione di un nuovo OGM in laboratorio attraverso
l’identificazione del gene interessato, l’isolamento dello stesso
ed infine l’inserimento, seguito da prove in serra.
Ricerca e sperimentazione su piante geneticamente…
121
Fase 2: la sperimentazione si sposta in campo per controllare la stabilità del gene inserito, attraverso l’osservazione di diverse generazioni e per controllare gli eventuali rischi sulla salute umana e
sull’ambiente. Questa fase dovrebbe durare 5-6 anni prima della richiesta di commercializzazione.
Fase 3: presentazione della domanda di commercializzazione e accertamento della validità della stessa da parte dell’autorità competente.
Durante la costruzione della pianta GM le principali caratteristiche
genetiche che vengono introdotte possono essere distinte in tre categorie:
1. input traits (caratteristiche agronomiche): tolleranza agli erbicidi, resistenza agli insetti, ai funghi, ai batteri e ai virus, resistenza agli stress abiotici, maschiosterilità;
2. output traits (qualità prodotti): modifica quantità e qualità nutrizionali del prodotto, miglior uso industriale, composti di interesse farmaceutico (riferiti alla produzione di antibiotici e di
vaccini commestibili);
3. markers: tipo di marcatore utilizzato nel processo di trasformazione genica.
5.2 Tipi di colture
In Europa sono state avviate sperimentazioni su diverse colture e
in particolare: mais (26,4%), colza (20,6%), barbabietola da zucchero
(15,6), patata (11,4%) (Figura 2); mentre le altre sono i pomodori, il
tabacco, la cicoria, il cotone, la barbabietola da foraggio e il grano (dal
4,2% fino all’1,1%).
122
I rischi di una scelta disinformata…
Figura 2: Distribuzione di colture GM per la sperimentazione notificate in UE
dal 1991 al 2001
La successiva Figura 3 evidenzia proprio questa prevalenza nella
sperimentazione – tra il 1991 e il 2001 – delle quattro colture principali, mentre le altre sono meno presenti, fino a scomparire quasi completamente tra il 1998 e il 2001; il grano e la cicoria, anche se in modo
limitato, hanno avuto una costante presenza durante gli ultimi cinque
anni.
Figura 3. Numero di colture GM in UE sperimentate tra il 1991 e il 2001.
Ricerca e sperimentazione su piante geneticamente…
123
5.3 Caratteristiche genetiche
Durante il 1991 e il 2001 i geni inseriti per migliorare le caratteristiche agronomiche (input traits) hanno prevalso nelle piante GM durante le prove di campo (66% di tutte le notifiche presentate), in particolare la tolleranza agli erbicidi comprende il 42% delle sperimentazioni, la resistenza agli insetti l’11% e la resistenza verso altri patogeni
il 13%. Parte delle prove sono state condotte al fine di studiare il potenziale impatto sull’ambiente di alcune colture con un alto rischio di
flusso genico (mais, colza e barbabietola da zucchero). La presenza
degli output traits, che modificano la qualità degli ingredienti, il colore, la forma, la maturazione dei frutti e la maschiosterilità, essendo ancora nella prima fase della ricerca a causa delle difficoltà tecniche ed
economiche, sono meno rappresentati e comprendono il 19% delle
sperimentazioni condotte in campo. In particolare:
• gli ingredienti/nutrienti modificati (es. aumento della composizione di amido nella patata) nel 1991 occupavano l’8,3% delle
sperimentazioni, mentre nel 1996 il 16% per poi subire un drastico calo nel 2001 (6,5%). Le piante coinvolte in queste prove
sono state il grano, il tabacco, la colza e la patata.
• la maschiosterilità, da un iniziale basso interesse, subisce un incremento tra il 1992 e il 1998, grazie all’attività dei breeders che
utilizzano questa caratteristica per facilitare il processo di produzione dei semi ibridi.
Inoltre, gli output traits, sono compresi nelle piante con geni relativi alla salute umana, anche se sono quasi assenti nelle prove condotte
in campo (1%), a causa dell’attività di ricerca, ancora in fase preliminare e della necessità di sottoporre i prodotti ottenuti ad una valutazione farmaceutica prima di essere commercializzati. L’interesse per
gli output traits è iniziato nella prima metà del 1990 (8,3% di sperimentazioni) per raggiungere un livello massimo nel 1996 occupando
un quarto delle prove di campo, per poi subire una costante diminuzione fino al 2001 (12% di sperimentazioni).
Per il futuro si prevede che la sperimentazione si sposterà verso
l’incremento di produzione (es. miglioramento dell’efficienza della fotosintesi) per colture come il mais, la colza, la barbabietola da zucchero e la patata.
124
I rischi di una scelta disinformata…
5.4 Piante GM con più geni
La ricerca sta investendo sulla possibilità di inserire in una pianta
più caratteri attraverso l’ingegneria genetica o l’incrocio tra diverse varietà GM. Ad es., nel 2001 il mais ed il cotone con la resistenza agli insetti e la tolleranza agli erbicidi rappresentavano l’8% della produzione mondiale. Le ricorrenti combinazioni riguardano la tolleranza agli
erbicidi e la resistenza agli insetti nel mais, la tolleranza agli erbicidi e
la maschiosterilità nella colza, la tolleranza agli erbicidi e la resistenza
ai virus nella barbabietola da zucchero. Con l’entrata in vigore della
Direttiva 2001/18/CE le piante GM che presentano più tratti modificati devono ottenere necessariamente una nuova autorizzazione, anche se i traits introdotti erano stati singolarmente già approvati per la
commercializzazione. Per tale motivo, ad esempio, sono state presentate richieste per diverse linee di mais caratterizzate dalla presenza di
più geni.
5.5 Attività di ricerca nel settore privato e pubblico
Nelle sperimentazioni, le multinazionali hanno presentato il 65%
delle notifiche, mentre le strutture pubbliche e le università sono meno rappresentate con il 12% e il 4%. Di tutte le sperimentazioni condotte dal settore privato, il 68% prevede piante con diversi tipi di resistenza e il 23% con output traits. Il settore pubblico si è indirizzato
per il 44% allo sviluppo della resistenza, per il 31% agli output traits e
per il 13% ai markers, non mostrando particolare interesse verso quelle caratteristiche che danno alle piante tolleranza agli erbicidi o resistenza agli insetti.
5.6 La prospettiva di medio termine: prossimi 5-10 anni
Le piante recentemente testate in campo saranno pronte per la
commercializzazione soltanto nei prossimi 5-10 anni, poiché è ritenuta
necessaria la comparazione delle loro caratteristiche rispetto a quelle
convenzionali, la verifica della stabilità dei geni inseriti, dei potenziali
rischi sull’ambiente e sulla salute umana.
Le colture interessate saranno le seguenti:
Ricerca e sperimentazione su piante geneticamente…
125
• colza, girasole e alberi da frutto resistenti ai funghi;
• barbabietola da zucchero, patata, pomodoro, melone e alberi da
frutto resistenti ai virus;
• grano, riso e orzo tollerante gli erbicidi;
• contenuto di amido modificato in mais, grano e patata;
• contenuto di acidi grassi modificati in mais e patata;
• contenuto di proteine modificate in mais e patata.
5.7 La prospettiva di lungo termine: oltre 10 anni
Le sperimentazioni, la cui previsione è basata sulle piante GM che
sono ancora nella fase iniziale della ricerca e che hanno bisogno ancora di 8-12 anni per sviluppare una nuova varietà, riguardano:
• la resistenza ai fattori abiotici (caldo, salinità, siccità e basse
temperature);
• l’aumento delle caratteristiche produttive;
• l’introduzione, nelle piante, di ingredienti indispensabili alla salute umana, come antibiotici, antiossidanti e vaccini;
• alberi modificati per contenuto di lignina, oppure miglioramenti del contenuto di proteine, acidi grassi e amido nelle principali
colture;
• colture con composti che eliminano le proprietà allergeniche.
A tal proposito il settore pubblico svolge attività di ricerca su diversi tipi di piante e su progetti non interessanti per la commercializzazione. Gli studi riguardano in particolare la resistenza ai fattori
abiotici, l’aumento della produttività, la variazione degli ingredienti
(ad es., l’incremento del valore nutrizionale nel grano, nel riso, nella
patata e nel pomodoro) e l’aggiunta di composti farmaceutici (nel tabacco, nel pomodoro e nella patata).
Un aspetto di rilievo riguarda la ricerca sugli alberi da frutto, che è
essenzialmente condotta dal settore pubblico in quanto implica investimenti a lungo termine sui quali il settore privato non sembra volersi
impegnare. Di contro, l’attività privata è focalizzata su un numero ridotto di colture (mais, grano, barbabietola da zucchero) e su caratteristiche molto comuni come resistenza alle malattie e agli insetti, ingredienti modificati (accrescimento del valore nutrizionale) e composti
126
I rischi di una scelta disinformata…
farmaceutici, quindi incentrata soprattutto su prodotti che riescano ad
affermarsi sul mercato. Ciò dimostra che, per il futuro, la ricerca europea si indirizzerà verso lo sviluppo di caratteristiche che raccolgono di
più le aspettative dei consumatori.
5.8 Commercializzazione
Le piante GM per poter essere commercializzate dovranno ottenere l’autorizzazione (“parte C”) con decisione comunitaria e dovranno
sottostare, come avviene anche per le specie tradizionali, alle prove
per l’iscrizione nel Registro nazionale delle varietà, presupposto obbligatorio per la successiva messa in commercio. A tal proposito sono
necessarie prove agronomiche per verificare l’efficacia della trasformazione indotta dalla modifica, analisi biochimiche molecolari, una
verifica qualitativa delle varietà in prova ed infine studi scientifici di
impatto ambientale.
5.9 Restrizione per la commercializzazione
Il 39% delle istituzioni hanno annullato almeno un progetto di ricerca negli ultimi quattro anni; per il settore privato la percentuale si
aggira attorno al 23% mentre per quello pubblico il numero è ancora
più elevato (61%). Per il settore privato le ragioni sono da ricercare in
un quadro legislativo poco chiaro:
•
•
•
•
difficoltà nel seguire le regolamentazioni;
tempi troppo lunghi nel sistema delle notifiche;
incerta situazione di mercato;
alti costi.
Nel settore pubblico, invece, le difficoltà sono legate:
• ad una limitata risorsa finanziaria;
• alle difficoltà che possono sorgere durante un progetto scientifico;
• ad un basso consenso da parte dei consumatori.
Inoltre ci sono forti dubbi sulla possibilità di introdurre nel mercato europeo piante modificate per la tolleranza agli insetti e/o agli erbi-
Ricerca e sperimentazione su piante geneticamente…
127
cidi, a causa del limitato interesse per queste caratteristiche da parte
dei coltivatori. Le aspettative sono basse anche per le piante che hanno subito modifiche metaboliche o che producono composti utili alla
salute umana, in quanto, secondo molti esperti, per la commercializzazione sono necessari almeno altri dieci anni.
5.10 La prospettiva di medio termine: prossimi 5 anni
Nei prossimi cinque anni, se verrà creato un mercato per questi
prodotti, ci sarà la commercializzazione oltre che delle piante GM –
già approvate per la commercializzazione – anche di quelle che sono
state sperimentate negli ultimi anni e che contengono soprattutto “input traits” e una combinazione di geni che offrono più caratteristiche.
Le piante probabilmente pronte per la commercializzazione nei prossimi 5 anni saranno le seguenti:
• mais, cotone, patata e piante da frutto resistenti a patogeni e parassiti;
• mais, colza, barbabietola, soia, cotone e cicoria tollerante agli
erbicidi;
• contenuto di amido modificato nella patata e contenuto di acidi
grassi modificati nella colza e nella soia;
• modificazione del colore e della forma nei fiori.
6. Conclusioni
Dal 1998 il numero delle sperimentazioni notificate è sceso del
76% a causa della decisione da parte del Consiglio dei ministri dell’Ambiente di bloccare tutte le autorizzazioni per la commercializzazione di piante GM, accogliendo così il rifiuto dell’opinione pubblica.
Anche la fase di ricerca ha subito un rallentamento poiché la legislazione UE viene considerata poco chiara. A ciò si aggiunge un’incerta
situazione di mercato dovuta ad una bassa accettazione di prodotti
GM da parte dei consumatori, che rende conseguentemente incerta la
loro commercializzazione. In tale contesto di incertezza le multinazionali tendono a trasferire la ricerca fuori dall’Europa, chiedendo l’autorizzazione solo per l’importazione e la trasformazione.
128
I rischi di una scelta disinformata…
In considerazione di quanto sopra, appare prevedibile che nel
prossimo decennio:
• le modificazioni genetiche qualitative delle colture e il numero
dei nuovi prodotti saranno oggetto di provvedimenti normativi
più articolati di quelli esistenti;
• le colture per cui verosimilmente si richiederà l’autorizzazione
alla commercializzazione in Europa nel breve periodo saranno:
mais, colza, patata, barbabietola da zucchero e cotone;
• le più comuni combinazioni di caratteristiche introdotte saranno la tolleranza agli erbicidi e/o la resistenza agli insetti e nel
prossimo futuro il miglioramento quali-quantitativo dei frutti e
l’introduzione di composti utili alla salute umana.
7. Siti di interesse, report, proceedings e articoli:
http://www.efsa.eu.int/science/gmo/gmo_opinions/384_en.html
http://www.minambiente.it/Sito/settori_azione/scn/ogm/anc_ogm.asp
http://www.bioinformatica.unito.it/bioinformatics/Spena/index.html
http://www.biocommedia.it/index2.php?Direct=new&ID=906
http://www.isaaa.org/kc/
http://www.geo-pie.cornell.edu/educators/who.html
http://bch.biodiv.org/
http://www.foodpolicyinstitute.org/
http://www.nuffieldbioethics.org/home/
http://www.pgeconomics.co.uk/co_exist_in_%20the%20EU.htm
http://www.bio.org/er/timeline2.asp
http://www.galileo2001.it/materiali/documenti/ogm/rischi_piante_gm.php
http://www.kataweb.it/speciali/ogm/glossario.html
http://www.whybiotech.com/index.asp?id=2157
http://www.jbc.org/cgi/content/full/276/24/21578
http://www.jac.oupjournals.org/cgi/content/abstract/53/3/418
http://californiaagriculture.ucop.edu/0402AMJ/pdfs/barriers.pdf
http://www.agrsci.dk/gmcc-03/gmcc_proceedings.pdf
http://www.whybiotech.com/html/pdf/GoodIdeas-96dpi.pdf
http://www.biomedcentral.com/1472-6750/2/18
http://www.biomedcentral.com/1472-6750/4/4
http://www.biomedcentral.com/1472-6750/2/18
GLI OGM E L’AGRICOLTURA ITALIANA:
RIFLESSIONI ECONOMICHE
Dario Frisio *
Premessa
P
er introdurre l’argomento va premesso che le ragioni di carattere economico non possono essere addotte per guidare la scelta,
positiva o negativa che sia, riguardo all’utilizzazione di OGM in
agricoltura. I criteri di scelta sono anzitutto di carattere scientifico o
tutt’al più di carattere politico, con le relative conseguenze che ne derivano; non possono essere valutazioni di carattere economico che,
per altro, presentano seri rischi di violazione della libertà di iniziativa
economica sancita dalla Costituzione. Su questo la recente sentenza
della Corte Costituzionale (sent. 116/2006) è stata sufficientemente
chiara quando recita: «Per la parte, quindi, che si riferisce al principio
di coesistenza e che implicitamente ribadisce la liceità dell’utilizzazione
in agricoltura degli OGM autorizzati a livello comunitario, il legislatore
statale con l’adozione del decreto-legge n. 279 del 2004 ha esercitato la
competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione), nonché
quella concorrente in tema di tutela della salute (art. 117, terzo comma,
della Costituzione), con ciò anche determinando l’abrogazione per incompatibilità dei divieti e delle limitazioni in tema di coltivazione di
OGM che erano contenuti in alcune legislazioni regionali. Infatti, la formulazione e specificazione del principio di coesistenza tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali, rappresenta il punto di sintesi fra i
divergenti interessi, di rilievo costituzionale, costituiti da un lato dalla
libertà di iniziativa economica dell’imprenditore agricolo e dall’altro lato
* Docente di Economia ed Estimo Rurale – Dipartimento di Economia e Politica
Agraria, Agro-alimentare e Ambientale – Università di Milano
130
I rischi di una scelta disinformata…
dall’esigenza che tale libertà non sia esercitata in contrasto con l’utilità
sociale, ed in particolare recando danni sproporzionati all’ambiente e alla salute. Va aggiunto che l’imposizione di limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica, sulla base dei principi di prevenzione e
precauzione nell’interesse dell’ambiente e della salute umana, può essere
giustificata costituzionalmente solo sulla base di “indirizzi fondati sulla
verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi, di norma nazionali o
sovranazionali, a ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che, a questi fini,
rivestono gli organi tecnico scientifici” (sentenza n. 282 del 2002)».
Credo che questo sia il punto di partenza. Proprio per questo, invece di proporre i cosiddetti “conti della serva”, oltretutto prima di
aver fatto la spesa, verranno di seguito sviluppate alcune considerazioni di carattere generale relativamente al sistema agroindustriale
italiano e ai riflessi di scelte, o non scelte, che attualmente si stanno
facendo relativamente agli OGM attualmente disponibili, ma che
avranno riflessi anche su quelli che si renderanno disponibili in futuro e che già in altre parti del mondo sono in corso di valutazione e
approvazione.
1. L’agricoltura italiana e gli OGM
Rispetto ai riflessi economici di tali scelte, diversi aspetti appaiono
degni di considerazione; tuttavia, è possibile identificare 5 punti di
particolare rilievo e 2 altri fattori di cui tenere conto nell’affrontare la
questione.
Il primo punto è sicuramente identificabile nella strutturale dipendenza dalle importazioni del sistema agroindustriale italiano; ciò si sostanzia in un saldo negativo nella bilancia commerciale pari a quasi 10
miliardi di euro, dato di entità pressoché costante negli ultimi dieci
anni (fig. 1); ciò porta a stimare il grado di autosufficienza del sistema
agroalimentare, in valore, intorno all’80% del totale.
Questo risultato deriva, da un lato, da esportazioni legate essenzialmente a prodotti quali le conserve vegetali (in particolare di pomodoro), la pasta, alcuni prodotti di trasformazione come il caffè e i prodotti tipici di pregio (vino in particolare); dall’altro, da importazioni
non solo di prodotti agricoli impossibili da realizzare nelle condizioni
Gli OGM e l’agricoltura italiana: riflessioni economiche
131
Fig. 1 – Bilancia commerciale agroalimentare italiana
* 2005: dati provvisori
Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat
climatiche italiane (caffè, thé, cacao, banane, etc.), ma soprattutto di
commodities agricole (mais, frumento, farine per impieghi mangimistici, etc.) e di prodotti zootecnici a debole trasformazione industriale
(carne soprattutto e latte). I prodotti importati in buona parte contribuiscono, poi, a realizzare molte produzioni tipiche (formaggi, prosciutti, salumi, olio extravergine di oliva) e, in particolare, proprio
quel prodotto, la pasta, per il quale l’Italia è inequivocabilmente riconosciuta in tutto il mondo.
A questo specifico riguardo, si può osservare come il tasso di autoapprovvigionamento di grano duro impiegato per la produzione della
pasta risulti costantemente al di sotto del 75% (tab. 1); ciò significa
che l’Italia è costretta a importare mediamente il 25% del proprio
fabbisogno – e in alcuni anni si è arrivati anche al 40% – per produrre
la pasta consumata internamente ed esportata. Ciò conferma come,
anche agli attuali livelli di protezione, il sistema produttivo agricolo
italiano continui a caratterizzarsi per l’impossibilità di far fronte al
132
I rischi di una scelta disinformata…
Tab. 1 – Bilancio di approvvigionamento del grano duro in Italia tra
il 2000 e il 2005
* 2005: dati provvisori
Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat
fabbisogno nazionale e, in particolare, a quello dell’industria di trasformazione alimentare.
Il secondo punto nodale riguarda la presenza di produzioni di eccellenza che sicuramente caratterizzano l’agricoltura italiana rispetto a
quella di altri paesi. Se andiamo a vedere la dimensione di questo fenomeno, cioè quanto pesa sulla produzione complessiva dell’agricoltura italiana, possiamo osservare come si tratti, esso, di una frazione
importante, ma minoritaria, dell’agricoltura italiana. Se poi volessimo
scendere nel dettaglio, scopriremmo che il 70% del valore della produzione italiana di prodotti tipici è dato da formaggi e salumi, e oltre
il 40% da tre soli prodotti (Parmigiano Reggiano, Grana Padano e
Prosciutto di Parma). La maggior parte di questi prodotti di origine
zootecnica possono essere realizzati solo grazie all’impiego di animali
alimentati con materie prime per l’industria mangimistica che importiamo (farine di soia in particolare) o con il reimpiego in azienda del
mais da granella o insilato coltivato soprattutto in pianura padana.
Il terzo elemento da prendere in considerazione è che, rispetto ad
altri paesi, l’Italia si contraddistingue per il peso rilevante del comparto ortofrutticolo che costituisce un punto di forza per l’agricoltura nazionale grazie anche alla varietà dei suoi prodotti. Da alcuni anni, tuttavia, questo comparto sta attraversando un periodo di difficoltà, perché si assiste ad una crescita della competizione sia a livello interno
Gli OGM e l’agricoltura italiana: riflessioni economiche
133
europeo (la Spagna, per gli agrumi e le drupacee) che a livello internazionale (la Cina, per il pomodoro e i suoi derivati) e ciò si innesta su
una situazione di carenza di forme di organizzazione e concentrazione
dell’offerta. Inoltre, il comparto si caratterizza per l’elevata esposizione al rischio produttivo legato all’andamento climatico e all’azione di
organismi patogeni che sono in grado di pregiudicare la possibilità
stessa di realizzare le produzioni (come nel caso della flavescenza dorata della vite, che sta imperversando in molte aree vocate del Nord
Italia, in particolare nell’Oltrepo Pavese, o del virus che ha causato la
scomparsa di fatto della varietà di pomodoro San Marzano nel suo
areale tipico, l’agro sarnese-nocerino), o di limitare significativamente
le rese produttive facendo lievitare i costi per unità di prodotto ottenuto. A questo quadro occorre poi aggiungere come corollario il fatto
che il 40% del fatturato del mercato agrochimico italiano (fungicidi,
insetticidi e diserbanti) è destinato alla sole piante arboree e, pertanto,
il consumo di prodotti chimici in agricoltura è strettamente legato a
questo comparto. Peraltro la limitata ricerca nazionale nel settore
agrochimico è orientata soprattutto a prodotti per la difesa delle piante arboree e, in particolare, della vite.
Un quarto elemento di cui tener conto è rappresentato dalla costante riduzione della base produttiva, fenomeno proprio di tutte le
economie sviluppate e che si evidenzia, in particolare, nella perdita di
superficie agricola utilizzata (SAU) derivata sia dall’abbandono di terreni poco vocati nelle aree marginali che dalla sottrazione di terreno
per altri usi (abitazioni, impianti, infrastrutture) in aree a vocazione
agricola, ma anche fortemente urbanizzate, come nel caso della pianura padana. In Italia ciò ha comportato una perdita secca di circa 7 milioni di ettari di SAU nell’ultimo trentennio del secolo scorso, su un
totale in partenza di circa 20 milioni, e di quasi 2 milioni di ettari solamente negli anni Novanta (tab. 2). Analogamente, nello stesso decennio, anche il fattore lavoro ha registrato un ulteriore calo che, pur non
raggiungendo le dimensioni dell’esodo agricolo degli anni Cinquanta
e Sessanta, ha riguardato comunque circa mezzo milione di attivi, in
prevalenza anziani, riducendo il numero di attivi agricoli a poco più di
un milione, mentre ancora nel 1981 erano oltre due milioni.
È chiaro che per mantenere i livelli produttivi raggiunti e per non
aumentare la dipendenza dall’estero qualcosa in termini di produtti-
134
I rischi di una scelta disinformata…
vità deve essere fatto: a fronte di un calo della base produttiva non si
può sperare di mantenere lo stesso livello produttivo senza apportare
miglioramenti. Questo è stato realizzato attraverso il quinto punto rilevante della questione, ovvero l’innovazione e il progresso tecnico
che non è solamente una crescita di produttività ma è anche innovazione di prodotto e di organizzazione. Nonostante la drastica riduzione della base produttiva, l’agricoltura italiana ha infatti conservato e
anzi migliorato i propri livelli produttivi; ciò è stato reso possibile grazie alla continua iniezione di innovazione tecnologica che ha agito su
due fronti principali. Da un lato l’impiego crescente di mezzi meccanici ha sopperito al calo di manodopera, tanto che il rapporto tra Cavalli Vapore dei trattori e attivi agricoli è passato da 23,3 nel 1981 a
48,3 nel 1991, fino ad arrivare a 83,6 nel 2001 (tab. 2).
Tab. 2 – Evoluzione della SAU e della meccanizzazione in Italia tra il
1921 e il 2001
Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat
Dall’altro, la riduzione della superficie agricola è stata compensata
dall’aumento di produttività realizzato grazie all’introduzione costante
di nuove varietà e all’impiego di mezzi produttivi per la nutrizione e la
difesa delle piante. Il miglioramento genetico, pur riguardando con differente intensità le diverse specie vegetali coltivate in Italia, ha consentito costanti recuperi di produttività, indispensabili per mantenere
competitive le produzioni a fronte di prezzi progressivamente calanti.
Il caso del mais è il più emblematico sotto questo punto di vista
(fig. 2). Mezzo secolo fa le rese del mais erano inferiori ai 30 quintali
Gli OGM e l’agricoltura italiana: riflessioni economiche
135
Fig. 2 – Rese del mais da granella in Italia tra il 1955 e il 2005 (quintali/ha)
Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat
ad ettaro, vent’anni dopo erano di 60 quintali e adesso siamo in media
intorno ai 100 quintali. Si può notare però come nell’ultimo decennio
questo trend si sia bloccato. In questo specifico caso si tratta di una
innovazione di importazione che ha consentito di arrivare a produzioni di mais in grado di garantire lo sviluppo della nostra zootecnia.
Ovviamente l’aumento delle rese può determinare un incremento
di produzione, ma può consentire anche un risparmio di risorse. Attualmente, con le prospettive di utilizzo delle biomasse agricole per la
produzione di energia, varrebbe forse la pena di riprendere anche il
discorso dei livelli di produzione assoluta, perchè probabilmente c’è
bisogno di incrementare la produzione complessiva dell’agricoltura
italiana se si vuole competere su questo nuovo sbocco.
Oltre a questi cinque punti principali ci sono due ulteriori fattori
di cui occorre tener conto nel valutare il possibile impatto degli OGM
nell’agricoltura italiana, Il primo è legato ai cambiamenti di politica
136
I rischi di una scelta disinformata…
agraria. L’ultima riforma della politica agricola comunitaria (PAC) ha
cambiato le carte in tavola: con il disaccoppiamento degli aiuti dalla
produzione e, soprattutto, con il sistema del premio unico aziendale,
non esistono più produzioni agricole protette rispetto al mercato, ma
si è tornati a scelte produttive legate a considerazioni di carattere economico ed agronomico. Ne consegue però anche una minaccia legata
al fatto che alcune produzioni strategiche, come la soia, non sono più
sostenute e quindi tendono a contrarsi.
L’altro fattore è quello dell’agricoltura “biologica”. Il fenomeno è
interessante da un punto di vista economico, perchè va ad occupare
una nicchia di mercato; ciò è sicuramente un dato positivo, ma va un
po’ ridimensionato, perchè il milione di ettari di superficie biologica
in Italia è costituito per il 40% da pascoli della Barbagia o della Sicilia, e quindi è più che altro una forma di trasferimento di reddito. Si
tratta di un’opportunità interessante a livello di nicchia, ma che non
può certo assurgere a strategia complessiva e generalizzata. L’impossibilità di una scelta strategica di questo tipo per l’agricoltura italiana si
comprende meglio se si considerano gli elementi differenziali di costo
del “biologico” rispetto ai metodi “tradizionali”. Essi sono anzitutto il
lavoro e la terra. Su questi due fattori scontiamo una scarsa competitività non solo a livello mondiale, ma già a livello interno europeo, poiché i paesi dell’Est sono in grado di produrre secondo il metodo biologico a costi decisamente competitivi, grazie a salari più bassi e a
prezzi dei terreni molto inferiori, e ciò vale in particolare per le commodities agricole. L’incremento del consumo di prodotti biologici porterebbe quindi ad un aumento delle produzioni in questi paesi, ponendo fuori mercato l’Italia che, invece, può continuare a trarre qualche vantaggio fino a quando rimarranno consumi di nicchia.
2. Le piante GM disponibili per l’agricoltura italiana
Con riferimento alle piante GM attualmente disponibili a livello
mondiale e che, in base alla normativa vigente, potrebbero essere introdotte a breve termine anche in Italia, la prima considerazione da
fare è che in realtà si tratta concretamente di una sola specie, ovvero il
mais. La coltivazione della soia GM, infatti, non è ancora autorizzata
nell’Unione Europea, poiché la relativa domanda è stata presentata
Gli OGM e l’agricoltura italiana: riflessioni economiche
137
solo nel 2005, in previsione del futuro ingresso nell’UE della Romania, dove già viene coltivata.
Per quanto riguarda il mais occorre considerare come esso sia, nella gran parte dei casi, la base principale per la produzione di salumi e
formaggi tipici; in particolare lo è in modo evidente nel caso del grana
padano. Basti pensare che il 63% degli erbai di mais ceroso è localizzato nelle 15 province del Grana Padano, area in cui le unità foraggere così prodotte coprono poco meno della metà delle Unità Foraggere
disponibili (tab. 3). Il mais, inoltre, è una risorsa e un problema di una
parte dell’agricoltura italiana: nelle prime cinque regioni produttrici
di mais si concentra il 90% del valore della produzione di mais da
granella, ma anche oltre il 70% della produzione di carni (bovine, sui-
Tab. 3 – Produzione italiana di foraggi nel 2005 (valori in milioni di
Unità Foraggere)
Fonte: nostre elaborazioni su dati provvisori Istat
138
I rischi di una scelta disinformata…
Tab. 4 – Produzione a prezzi di base di mais, uova, carni suine e avicole nel 2004 (milioni di Euro)
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat
ne, avicole) e di latte bovino, nonché il 60% della produzione di uova
(tab. 4). Le necessità di innovazione tecnologica per questa coltura sono quindi fortemente localizzate e specifiche di un’area produttiva in
cui la zootecnia riesce a mantenere un certo grado di competitività
grazie a questa risorsa. A questo riguardo, i risultati dell’indagine che
è stata condotta nell’ambito della ricerca INRAN e che sono stati recentemente divulgati vanno ben interpretati. In essa si evidenzia come
solo il 18% degli agricoltori italiani sia favorevole ad utilizzare piante
GM, ma bisogna tener conto che soltanto il mais GM è potenzialmente disponibile. Isolando i risultati alla sola pianura padana e ai maiscoltori che vi operano, con tutta probabilità la quota di propensione
all’innovazione salirebbe a circa i 2/3 dei potenziali beneficiari.
Attualmente la produzione di mais consente un certo equilibrio
nell’interscambio di mais e derivati, ma è bene ricordare che ciò è avvenuto grazie all’aumento delle rese e al consistente trasferimento di
terreni e di risorse produttive dai cereali foraggeri e dal grano tenero
verso il mais stesso e dunque sguarnendo altri comparti strategici. Nel
futuro la protezione accordata a questa coltura è inoltre destinata a
calare ulteriormente a causa dei cambiamenti introdotti dalla revisione
di medio termine della PAC e ciò si tradurrà, in particolare, in una
maggiore facilità di accesso al mercato europeo per le importazioni.
La competizione si farà sempre più serrata non solo sul prezzo ma an-
Gli OGM e l’agricoltura italiana: riflessioni economiche
139
che su fattori “no price” come il minor rischio di presenza di micotossine, una questione che nell’autunno 2003 è esplosa in maniera clamorosa e che è destinata ad acuirsi poiché l’UE, in relazione alla loro verificata cancerogenicità, sta introducendo soglie molto basse di presenza delle micotossine non solo sulla materia prima ma anche sui
prodotti trasformati in cui esse persistono. Il controllo di questo rischio è perseguibile sostanzialmente attraverso due vie: l’impiego preventivo di insetticidi o l’introduzione di varietà mais GM resistente
all’azione della piralide, insetto che veicola le successive infestazioni
fungine e la presenza di micotossine. Questo mais GM, ampiamente
diffuso da quasi un decennio in diversi paesi (tra cui la Spagna) senza
aver mai dato luogo a problemi di sicurezza ambientale o alimentare,
conferisce perciò una maggiore sicurezza della produzione sia in termini quantitativi che qualitativi ed è in grado di apportare diversi benefici di carattere economico e ambientale: la riduzione della spesa e
della dispersione nell’ambiente dipendenti dall’impiego di prodotti
chimici, la sicurezza dei mangimi prodotti direttamente nelle aziende
agricole, la possibilità di destinare parte della superficie agricola ad altre produzioni una volta garantita la soglia ottimale di autoapprovvigionamento interno grazie agli incrementi di produttività conseguibili
o, in alternativa, la riduzione degli acquisti di mangimi industriali, con
evidenti riflessi sul piano dei costi di produzione.
L’esperienza dei paesi in cui questa coltivazione viene praticata ci
insegna, inoltre, come la diffusione dell’innovazione non sia totalitaria, ma segua la presenza di uno specifico problema. Negli Stati Uniti
(fig. 3) il 29% della superficie a mais è coltivata con mais Bt, ma negli
stati del corn belt si passa da un minimo del 9% (nell’Ohio) ad un
massimo del 51% (nel South Dakota); questo perché notoriamente
l’infestazione di piralide cresce da Est ad Ovest: gli agricoltori più a
Ovest, quindi, hanno maggiori problemi di controllo della piralide e
adottano il mais Bt, perchè economicamente vantaggioso. Gli agricoltori più a Est non hanno questo problema o non lo hanno in maniera
ricorrente, perciò solo in casi limitati adottano questa tecnologia.
Questo dimostra, peraltro, come l’adozione del mais GM non sia obbligatoria o, come qualcuno sostiene, imposta dalle multinazionali che
costringerebbero il farmer americano a coltivare un certo tipo di mais
piuttosto che un altro, ma derivi da una libera scelta.
140
I rischi di una scelta disinformata…
Fig. 3 – Diffusione del mais Bt nei principali stati produttori degli
USA – 2003
Fonte: ns. elaborazioni su dati NASS-USDA
Passando alla soia GM, che non è ancora coltivabile nell’UE, ma
potrà esserlo nel prossimo futuro, occorre anzitutto considerare che,
dopo la riforma della PAC e in particolare dopo l’Agenda 2000, la coltivazione delle varietà tradizionali è diminuita progressivamente in Italia. D’altra parte, dopo le vicende legate alla BSE, la domanda di proteine vegetali, in particolare quelle derivate dalla soia e dagli altri semi
Gli OGM e l’agricoltura italiana: riflessioni economiche
141
oleosi (colza, girasole, etc.) è aumentata al fine di garantire tecniche di
allevamento e alimentazione del bestiame sicure. Le differenti dinamiche della domanda e dell’offerta hanno così determinato, tra il 2000 e
il 2004, una riduzione del tasso di autosufficienza della produzione da
semi nazionali di soia dal 19% a meno del 9% (tab. 5).
Tab. 5 - Produzione e disponibilità di farine di estrazione di semi
oleosi (migliaia di tonnellate)
Fonte: nostre elaborazioni e stime (2004) su dati Assitol
Il dato più rilevante è comunque costituito dal fatto che nel biennio 2003-2004 il 75% delle farine proteiche disponibili per l’industria
mangimistica italiana sono derivate da fave e farine di soia importate.
Se si tiene conto che, nel mondo, l’85% della produzione di soia deriva da paesi che coltivano soia GM, ma soprattutto che il 96% delle
142
I rischi di una scelta disinformata…
Tab. 6 - Export mondiale di soia nel 2003 e quota relativa dei paesi
produttori di soia GM
Fonte: ns. elaborazioni su dati FAO
esportazioni mondiali di fave di soia (tab. 6) e il 76% di quelle di farine deriva da paesi dove viene coltivata soia GM, riuscire a realizzare
un’alimentazione OGM-free in Italia risulta una pia illusione. La pretesa di far figurare l’Italia come paese OGM-free appare perciò non
solo velleitaria, ma anche pericolosa, perché i nostri concorrenti non
staranno sicuramente a guardare e, quando andremo a paventare questa nostra “verginità”, sicuramente faranno campagne di stampa a livello internazionale per denigrarci.
L’abbandono della coltivazione della soia non comporta, comunque, soltanto un aggravamento del relativo deficit commerciale, ma ha
anche conseguenze negative nelle pratiche agronomiche, in quanto
questa coltura migliora la fertilità del terreno, apportando azoto fissato dai batteri simbionti. La riduzione della superficie destinata alla
coltivazione della soia comporta perciò anche un maggiore ricorso
all’impiego di fertilizzanti chimici e, quindi, maggiori costi e un più
elevato impatto ambientale dell’attività agricola. D’altra parte la soia
tollerante agli erbicidi potrebbe essere interessante per l’agricoltura
italiana in quanto può consentire un certo recupero della produzione
nazionale e un miglioramento anche delle tecniche agronomiche. Come noto, la diffusione della soia GM nel mondo è legata non solo ad
Gli OGM e l’agricoltura italiana: riflessioni economiche
143
un beneficio economico, contenuto in poche decine di dollari per ettaro, ma anche alla possibilità di passare a tecniche di minima lavorazione del terreno. Nel contesto italiano, consentendo di accorciare i
tempi di preparazione del terreno, ciò potrebbe consentire la coltivazione di soia in secondo raccolto con varietà di ciclo medio, rispetto
all’attuale necessità di ricorso a varietà di ciclo breve, scarsamente
produttive. Tale opportunità potrebbe aumentare la produzione nazionale, apportare azoto al terreno e ridurre i costi colturali per il minor impiego di trattori e carburanti.
3. Aspetti economici della ricerca agrobiotecnologica
Se il quadro attuale della diffusione delle piante GM appare dominato da quattro piante (soia, mais, cotone e colza) e da due tipologie
di caratteri modificati (tolleranza agli erbicidi e geni Bt per la resistenza agli insetti) le prospettive per il futuro lasciano intravedere alcune
importanti novità. Tralasciando le prospettive futuribili e quanto viene
attualmente sperimentato in campo, un quadro realistico può essere
delineato prendendo in considerazione le richieste di autorizzazione
che alla fine del 2005 erano in corso di esame negli USA (tab. 7).
Come si può osservare, tra le 7 piante in esame figurano 2 applicazioni della tecnologia Bt per la resistenza alla diabrotica del mais, per la
quale già esistono e sono coltivate alcune varietà; 1 estensione della tolleranza agli erbicidi ad una pianta foraggera (l’agrostide) e 1 per una
Tab. 7 – Piante GM in via di autorizzazione negli USA al 30
novembre 2005
Fonte: ns. elaborazioni dati APHIS-USDA
144
I rischi di una scelta disinformata…
nuova papaia resistente alla virosi che va ad affiancarsi a quella sviluppata anni addietro dalla Cornell University e che ha avuto un notevole
successo nelle Hawaii. Le rimanenti 3 piante sono quelle più interessanti anche per l’Italia. Mentre il mais ad elevato contenuto in lisina
può mettere a disposizione dell’industria mangimistica e degli allevatori una materia prima arricchita nel contenuto proteico, il susino resistente alla sharka rappresenta un primo risultato, frutto per altro della
ricerca pubblica, nella lotta a questa virosi, che è un grosso problema
anche per la frutticoltura italiana, andando nella direzione di uno sviluppo delle agrobiotecnologie a salvaguardia anche di produzioni “minori”, compresi i prodotti tipici. L’applicazione più interessante, sotto
certi aspetti, è comunque quella relativa alla realizzazione di un’alfaamilasi termostabile nel mais, la cui finalità è quella di migliorarne i
rendimenti nella produzione di bioetanolo; questa modifica genetica va
quindi nella direzione della produzione di biocarburanti, possibile
nuovo sbocco per alcune produzioni agricole e la possibilità di usufruirne rappresenterà sicuramente un fattore di competitività.
Dal quadro statunitense, inoltre, si evince come, laddove non vi
siano preclusioni all’innovazione e dopo una prima fase dominata dalla ricerca privata, anche la ricerca pubblica trovi un suo spazio. D’altra parte, la convinzione diffusa di una stretta dipendenza dalla ricerca
privata delle agrobiotecnologie appare errata, per lo meno se si prendono in considerazione le prime fasi del percorso di sviluppo della ricerca stessa. Prendendo in considerazione i brevetti agrobiotecnologici (tab. 8) si può infatti osservare come il ruolo della ricerca pubblica
sia tutt’altro che irrilevante, arrivando a quasi il 25% dei brevetti sia
in Europa che negli USA. C’è da chiedersi perché, rispetto a questa situazione a livello di proprietà intellettuale, finora soltanto poche piante GM frutto della ricerca pubblica siano arrivate all’autorizzazione alla coltivazione. La ragione di questa discrasia risiede negli elevati costi
di sviluppo dell’innovazione, non tanto nella fase di ricerca, quanto in
quella di sperimentazione e soprattutto in quella procedurale per ottenere le autorizzazioni alla coltivazione e all’immissione in commercio.
È stato costruito un sistema che, di fatto, penalizza più la ricerca pubblica di quella privata, che può disporre di capacità finanziarie nettamente superiori e che è indirizzata verso specie vegetali di ampia diffusione e di cui può controllare il mercato sementiero; mentre la ricer-
Gli OGM e l’agricoltura italiana: riflessioni economiche
145
Tab. 8 - Numero di brevetti agrobiotecnologici per proponente
Fonte: adattato da Graff e altri, «The public-private structure of IP ownership in
agricultural biotechnology», Nat. Biot., Vol. 21, n. 9, settembre 2003
ca pubblica risulta maggiormente indirizzata verso le modifiche genetiche delle piante arboree, oltre che delle specie erbacee minori.
A tale riguardo, occorre osservare che la diffusione di piante arboree GM rappresenta una potenziale minaccia per i gruppi multinazionali agrochimici che potrebbero andare incontro ad una parziale erosione di un mercato che, come precedentemente evidenziato, costituisce circa il 40% dell’intero volume-vendita dei fitofarmaci in Italia.
Ritardare e/o bloccare la ricerca e lo sviluppo di queste piante è, di
fatto, un favore reso alle multinazionali, con buona pace di chi crede
di contrastarle.
Anche dai dati sulle prove sperimentali nei paesi dell’Unione Europea (tab. 9), comunque, si può osservare come la ricerca pubblica, con
circa un quinto delle prove totali autorizzate tra il 1990 e il 2004, abbia svolto un ruolo importante nella prima fase di sviluppo dell’innovazione. La situazione varia nei diversi paesi: la ricerca pubblica ha
svolto un ruolo prioritario soprattutto in Germania, con oltre due
quinti delle prove, ma anche l’Italia si è contraddistinta per questa caratteristica, poiché quasi un terzo delle prove sperimentali sono state
effettuate da università e istituti pubblici di ricerca e in gran parte risultano essere prove originali per caratteri modificati e/o specie rispetto al panorama complessivo.
In questo scenario, tuttavia, è drammatico constatare come, negli
ultimi anni, le prove sperimentali siano crollate rispetto al periodo
146
I rischi di una scelta disinformata…
Tab. 9 – Incidenza percentuale della ricerca pubblica nelle prove sperimentali dei paesi UE (1990-2004)
Fonte: ns. elaborazioni su dati JRC
1996-98, che costituisce il triennio di punta dell’attività sperimentale
nel sistema europeo (tab. 10).
Ciò è da mettere in relazione con la cosiddetta moratoria e con la
diffusa resistenza all’innovazione che ha scoraggiato un’attività di sperimentazione destinata a non avere esito. Se questo è vero a livello generale, è ancora più evidente nel caso dell’Italia che, nel periodo più
recente, è stata sopravanzata dalla Germania, dalla Svezia e, soprattutto, dalla Spagna, paese in cui si sta concentrando l’attività di sperimentazione dei gruppi multinazionali, data la maggiore apertura dimostrata verso l’innovazione.
4. Conclusioni
In questo contesto il progresso tecnologico costituito dalle agrobiotecnologie va guardato con sano realismo, senza attribuirgli proprietà taumaturgiche o, all’opposto, catastrofiche; ciò anche tenuto
conto del fatto che i bisogni dell’uomo non sono definiti, ma evolvono
in continuazione e quindi la soddisfazione del bisogno attuale può
portare alla scoperta di altre modalità e altri bisogni prima ignorati.
Gli OGM e l’agricoltura italiana: riflessioni economiche
147
Tab. 10 – Totale e riparto percentuale delle prove sperimentali per
triennio nei Paesi UE
Fonte: ns. elaborazioni su dati JRC
Da queste considerazioni derivano, a nostro giudizio, tre implicazioni principali. La prima è che il vero problema a livello internazionale è quello di affrontare la questione del trasferimento tecnologico,
garantendo l’accesso ai prodotti della ricerca e al loro utilizzo soprattutto nei paesi del terzo mondo. La seconda riguarda il principio di
precauzione che, sempre a nostro parere, dovrebbe mettere sul piatto
della bilancia anche i benefici a cui eventualmente si è costretti a rinunciare. Non si può, infatti, invocare il principio di precauzione senza tener conto che anche il “non fare” comporta un rischio. La terza
implicazione, derivante dalla precedente, è che un approccio realistico
a livello nazionale deve guardare alle biotecnologie come a uno dei
possibili strumenti, non quello esclusivo, da utilizzare per cercare di
risolvere i diversi problemi che caratterizzano l’agricoltura italiana.
148
I rischi di una scelta disinformata…
Problemi che, in primo luogo, riguardano la difesa dai patogeni e, in
prospettiva, lo sviluppo di nuovi prodotti o ancora la convenienza, anche dal punto di vista economico, di coltivare in Italia varietà con caratteristiche qualitative superiori. Occorre per questo fare emergere la
domanda di innovazione dell’agricoltura italiana e prendere in considerazione i diversi percorsi che possono corrispondervi, valutando caso per caso rischi e benefici.
OGM IN MEDICINA
Prof. Umberto Tirelli *
Q
uesta relazione valuterà l’impatto benefico degli OGM per la
nostra salute, sia per quanto riguarda la prevenzione di malattie correlate con una cattiva alimentazione, sia per potenziale
impiego di farmaci o vaccini attraverso l’uso degli OGM, che è già, tra
l’altro, in atto con grandi vantaggi per la salute dell’uomo.
“Io mangio cibi naturali perché sono sicuri”: due errori in una frase.
Primo errore: Tutte le piante coltivate dall’uomo per produrre cibo, mangimi per animali e prodotti di interesse industriale, non sono
“naturali”. Il pomodoro, il frumento, il riso, il mais sono il risultato di
incroci, mutazioni e selezioni operate negli ultimi millenni e, soprattutto, nel secolo appena concluso.
Secondo errore: La correlazione “cibo naturale/assenza di rischi” è
scientificamente infondata. La maggior parte delle piante produce veleni, tossine e sostanze cancerogene. Ciò ha un significato biologico ed
evolutivo: la pianta produce questi composti per difendersi dai suoi
parassiti (insetti, virus, animali che se ne cibano).
L’uomo, ha selezionato piante che, apparentemente, non gli sono
tossiche o ha imparato a renderle commestibili. Oggi la scienza ci aiuta in questa selezione. Ad esempio, si è di recente scoperto che le giovani piantine di basilico usate per il “pesto alla genovese” contengono
metil-eugenolo, una sostanza che può provocare tumori. Ma la scienza
ha anche chiarito che la concentrazione di questa sostanza scende al di
sotto del livello di guardia nelle foglie di piante adulte: basta preparare il pesto con piante più alte di 10 centimetri.
* Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica – Centro di Riferimento Oncologico – Istituto Nazionale Tumori, Aviano (PN)
150
I rischi di una scelta disinformata…
Un altro esempio del fatto che i rischi accompagnino anche l’alimentazione, sia tradizionale che biologica: nel novembre 2003 la Regione Lombardia dovette ordinare la distruzione del 20% del latte ivi
prodotto perché contaminato da aflatossine. Si tratta di molecole che
causano diverse gravi patologie, tra cui i tumori. Il fatto è stato circoscritto alla Lombardia perché questa è stata l’unica regione che abbia
effettuato appropriati controlli, ma non vi è ragione di escludere che
anche il resto dell’Italia sia a rischio. Perché le aflossine nel latte? Perché un componente importante nella dieta degli animali da latte è il
mais. Su quest’ultimo spesso cresce un fungo parassita che produce
micotossine, tra cui le aflossine stesse. Queste, assorbite dall’animale,
vengono accumulate nel latte. È dimostrato che il rischio aflatossine è
molto più alto nelle coltivazioni biologiche ove il controllo del fungo è
più problematico rispetto al mais tradizionale e, soprattutto al maisBt, una pianta transgenica che ha acquisito un gene che conferisce resistenza alla piralide, un insetto parassita. Ma cosa c’entra l’insetto con
i funghi che producono aflatossine? I dati sperimentali mostrano che
un mais che cresca sano, perché non attaccato dalla piralide, il suo
principale parassita nei nostri campi, riesce a resistere meglio alle infezioni fungine. In esso le aflatossine risultano dunque assenti o ridotte
a tracce.
L’agricoltura, ed i suoi prodotti, non sono esenti da rischi: per la
salute umana:
1. Sostanze tossiche o tumorigene nelle piante (es. basilico giovane
contiene metil-eugenolo, un cancerogeno);
2. Sostanze allergeniche (es. 15 allergeni nel kiwi);
3. Residui di composti chimici usati come fitofarmaci in agricoltura (fertilizzanti, diserbanti, insetticidi, fungicidi);
4. Presenza di tossine fungine nei prodotti agricoli (aflatossine, fumosine, ocratossine).
Eppure oggi, nel nostro paese e solo nel caso delle piante GM, il
Principio di Precauzione è stato trasformato in Principio di Blocco.
Gruppi di opinione (e di interesse economico ed anche politico) hanno condotto una ben orchestrata campagna contro le biotecnologie
vegetali, ingigantendone alcuni rischi, quelli comuni alle pratiche agricole in genere, ed inventandone altri. Di conseguenza, alcune regioni
OGM in medicina
151
si sono dichiarate OGM-free; e il governo, delle piante GM, ha bloccato sia l’uso che la ricerca. A nulla vale la considerazione che miliardi
di persone nel mondo producono ed usano piante GM. E ciò dopo
che i loro governi hanno condotto approfondite analisi dei rischi; la ricerca ha dimostrato che non vi è stato un solo caso riconosciuto di
tossicità per l’uomo, di induzione di allergenicità, di danni ambientali,
di flusso genico, di attentato alla biodiversità. Tutte le accuse mosse
alle piante GM fanno dunque parte del “potrebbe”, del “non è da
escludere che”, non dello “scientificamente dimostrato”. I controlli
preventivi hanno dunque funzionato! Le piante GM «sono più sicure
di quelle tradizionali perché accuratamente controllate»; questa è la
conclusione cui è giunto Philippe Busquin, il Commissario Europeo
per la Ricerca Scientifica nella prefazione del libro, edito dalla Comunità Europea, dal titolo EC-sponsored Research on Safety of Genetically
Modified Organisms. Busquin è pienamente autorizzato a fare questa
affermazione, in quanto basata su di una ricerca condotta per 15 anni
in 400 istituti di ricerca europei con una spesa di 70 milioni di Euro.
Al contrario, il prodotto agricolo tradizionale non è controllato. Il
messaggio per l’opinione pubblica è che questo non abbia rischi. Non
parliamo del cibo biologico, oggi vicino alla santificazione: è il cibo bucolico dei nostri nonni! Sapori meravigliosi e assenza di rischio, almeno nell’immaginario creato da una interessata e ben orchestrata campagna pubblicitaria. Interessata perché la principale caratteristica del
prodotto biologico è il “maggior valore aggiunto”; in parole povere, il
maggior guadagno da parte del produttore e del venditore. Inoltre,
non è facilmente percepito dal cittadino il fatto che spesso, nelle attività umane, il non-fare può avere conseguenze più gravi del fare.
Si prendano gli esempi del passato: chi autorizzerebbe oggi, in base all’estrema cautela che si pretende per le piante GM, la sperimentazione dei vaccini contro le malattie infettive: l’iniezione di batteri o virus patogeni ancora vivi per stimolare la risposta immunitaria sarebbe
considerata pura follia! Chi autorizzerebbe oggi, in base alla stessa
cautela, l’introduzione nella dieta europea, dalle Americhe, di un cibo
esotico quale la patata, che contiene solanina, una sostanza tossica che
inattiviamo con la cottura? Eppure abbiamo appena introdotto un
nuovo cibo esotico, il kiwi, con le sue 15 proteine allergeniche: ma
non è GM! In definitiva, ciò che è realisticamente possibile chiedere
152
I rischi di una scelta disinformata…
alle piante GM non è l’eliminazione totale dei rischi, ma la loro riduzione al livello già accettato nell’agricoltura attuale e l’aumento dei benefici. Questo è quello che si deve chiedere allo scienziato, non una
impossibile sicurezza assoluta.
1. L’esempio del golden rice
Nei paesi in via di sviluppo 500.000 persone ogni anno diventano
cieche e fino a 6.000 ogni giorno muoiono a causa di carenza di vitamina A. Cos’è il golden rice? Si tratta di una varietà di riso geneticamente modificato che è arricchito da vitamina A. Il colore dorato è
originato dal betacarotene di cui il seme è arricchito.
La carenza di vitamina A è largamente diffusa tra quei poveri cha
hanno come alimento di base il riso, in quanto il riso non contiene
pro-vitamina A (le piante non producono vitamina A, ma pro-vitamina A, carotene, che il nostro corpo converte in vitamina A). La dipendenza dal riso come prevalente fonte di cibo, pertanto, porta necessariamente a carenza di vitamina A (se la povertà è tale da non consentire diversificazioni della dieta), colpendo soprattutto bambini e donne
in gravidanza. Le conseguenze a livello medico per i 400 milioni di
consumatori di riso, carente di vitamina A, sono gravi: indebolimento
della vista, nei casi più estremi cecità irreversibile, deterioramento
dell’integrità epiteliale contro infezioni, riduzione delle difese immunitarie, dell’emopoiesi e della crescita delle ossa, etc.
Un riso contenente la pro-vitamina A potrebbe ridurre notevolmente il problema, ma il “bio-arricchimento” del riso per la pro-vitamina A non è possibile senza l’utilizzo dell’ingegneria genetica. L’approccio transgenico, quindi, è stato basato sull’idea di introdurre tutti
i geni necessari ad attivare la via metaboica di sintesi ed accumulo di
pro-vitamina A nell’endosperma (il tessuto di immagazzinamento
dell’amido del seme).
Considerando la storia del Golden rice (la tecnologia è spesso considerata rischiosa perché avanza molto velocemente!), ci sono voluti
10 anni (dal 1980 al 1990) per sviluppare la tecnologia necessaria per
introdurre geni nel riso. Ci sono voluti altri 9 anni (dal 1990 al 1999)
per inserire i geni della via metabolica che porta alla produzione di
pro-vitamina A nel seme. Ed altri 5 anni (dal 1999 al 2004) per svilup-
OGM in medicina
153
pare il “prodotto” Golden rice e superare quella serie di ostacoli specifici per gli OGM, come i diritti di proprietà intellettuale. Probabilmente ci vorranno almeno altri 5 anni prima che il prodotto Golden
rice venga approvato. I prossimi 5 anni dovranno essere spesi per la
valutazione della biosicurezza, al fine di garantire che il Golden rice
non presenti rischi per l’ambiente ed i consumatori. Nessuno intende
parlar male di un approccio cauto, ma la normativa vigente ha fatto
sua una interpretazione radicale del principio di precauzione, tale per
cui neanche il più piccolo rischio può essere accettato o non testato, e
allo stesso tempo tutti i possibili benefici vengono ignorati.
Considerando il caso del Golden rice e tutto il problema della valutazione dei rischi ambientali, si rivela l’irrazionalità dell’attuale sistema: negli ultimi quattro anni, non si è trovato alcun ecologista, inclusi quelli che fanno dell’opposizione agli OGM una professione,
che abbia potuto costruire un’ipotesi di rischi agronomico o ambientale per il Golden rice. Nonostante ciò il Golden rice è ancora in attesa
del primo permesso riguardante il primo rilascio su piccola scala, in
cui i rischi ambientali dovranno essere studiati sperimentalmente! Fin
qui i rischi; e i benefici? Il Golden rice potrebbe evitare la cecità e la
morte di centinaia di migliaia di bambini, ma non lo può fare perché
la valutazione del rischio, come è noto, non tiene conto di un’analisi
rischi/benefici!
Grazie alla collaborazione ed al sostegno di società pubbliche e
private è possibile fornire agli agricoltori dei paesi in via di sviluppo le
sementi di Golden rice senza costi per i brevetti e senza limitazioni.
Gli adattamenti locali delle varietà di Golden rice, così come il rispetto
delle normataive di biosicurezza è coordinato dall’Humanitarian Golden Rice Network di cui fanno parte istituti di ricerca del Bangladesh,
della Cina, dell’India, dell’Indonesia, delle Filippine, del Sud Africa e
del Vietnam.
L’opinione pubblica sembra spaventata dalla diffusione di piante
transgeniche… Quello che preoccupa e che potrebbe impedire o limitare la diffusione del Golden rice e di altre piante non è la proprietà intellettuale o i brevetti, ma una concezione estrema e ideologica del principio di precauzione. Così arriviamo al paradosso che benché il Golden rice possa salvare la vista e la vita a centinaia di migliaia
di bambini, l’opposizione agli OGM è tale da ignorarne i benefici e
154
I rischi di una scelta disinformata…
decidere di impedirne i benefici e l’utilizzo. Per questo motivo l’attuale approccio radicale al principio di precauzione è immorale, perché sta impedendo di salvare la vista e la vita a centinaia di migliaia di
bambini.
2. Produzione di nuovi farmaci con l’aiuto degli OGM
Fino ad ora numerosi farmaci sono stati prodotti con l’aiuto degli
OGM. Uno di questi è l’insulina, un ormone proteico secreto dal pancreas per regolare il tasso di zucchero nel sangue, del quale alcuni diabetici sono privi. Un tempo, i malati venivano curati con insulina prodotta a partire dal pancreas del maiale; questa sostanza, però, non era
perfettamente simile alla proteina umana e i pazienti finivano per rigettarla come un corpo estraneo, rimanendo così privi di cura. Un
batterio OGM è venuto in loro soccorso: nel colibacillo è stato introdotto un gene che codifica per l’insulina, isolato a partire da cellule
umane. Dopo questa manipolazione, il batterio di laboratorio produce
un’insulina assolutamente identica a quella secreta dalle cellule del
pancreas umano. La proteina “ricombinata” può essere somministrata
senza pericolo per un periodo molto lungo; è del tutto uguale all’insulina umana e non scatena alcuna reazione immunitaria nei pazienti
diabetici.
Sul mercato americano si trovano anche, mescolate, proteine ricombinanti – destinate a combattere la sterilità femminile, la sclerosi a
placche, l’emofilia – o proteine vaccinali, come per esempio quella di
un vaccino contro l’epatite B. Dal tabacco transgenico si estrae già un
enzima digestivo umano, la lipasi, utilizzata per trattare la mucoviscidosi che colpisce alcuni bambini. È anche possibile produrre la molecola che trasporta l’ossigeno del sangue, l’emoglobina. Quanto ai vaccini, vi è l’intenzione di farli semplicemente mangiare agli animali e
all’uomo! È sufficiente modificare le piante commestibili affinché esse
producano proteine vaccinanti.
I vecchi metodi per produrre l’ormone della crescita per trattare il
nanismo e i fattori di coagulazione per gli emofiliaci saranno soppiantati dalle nuove tecnologie. Estratto dall’ipofisi dei cadaveri umani,
l’ormone della crescita poteva trasmettere encefalopatie virali. Fattori
coagulanti prodotti a partire dal sangue umano sono stati responsabili
OGM in medicina
155
di numerosi contagi del virus dell’AIDS e delle epatiti: oggi gli OGM
permettono la fabbricazione di farmaci esenti da qualsiasi contaminazione. Sul mercato farmaceutico esistono anche molte altre proteine
umane derivanti dalla manipolazione genetica.
L’integrazione di un gene nel loro genoma, può trasformare tabacco, patata, pomodoro, banana, in produttori di vaccini per somministrazione orale o parenterale contro malattie infettive, tumori, malattie
autoimmuni.
Il possibile uso per fini di bioterrorismo di antrace, vaiolo, peste,
può essere superato con la possibilità di vaccinare tutta la popolazione
in periodi brevissimi con vaccini derivati dalle piante, che sono un potenziale sostituto dei tradizionali vaccini.
La dimostrazione che le piante possono produrre vaccini edibili
che possono indurre una risposta immune nell’uomo, i trial clinici
conseguenti, la legislazione ed la commercializzazione potranno richiedere 4-5 anni.
Bibliografia
1. Sala F., in: I costi della non-scienza - Il principio di precauzione, Associazione Galileo 2001, 21mo Secolo Editore (2004).
2. Potrykus I., in: I costi della non-scienza - Il principio di precauzione,
Associazione Galileo 2001, 21mo Secolo Editore (2004).
3. Ye X., Al-Babili S., Kloti A., et al., «Engineering the provitamin A
(ß-carotene) biosynthetic pathway into (carotenoid-free) rice endosperm», Science 287, 303 (2000).
4. Sala F. et al., «Vaccine antigen production in transgenic plants:
strategies, gene constructs and prospectives», Vaccine 21, 803
(2003).
IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE:
PRECAUZIONE O RISCHIO?
Franco Battaglia *
Riassunto
S
osterremo qui l’opportunità, se non la necessità, di sopprimere il
Principio di Precauzione (PdP). Il PdP è, innanzitutto, mal posto:
la certezza scientifica è sempre assente. Poi, esso è ambiguo, visto che può essere invocato sia per intraprendere un’azione che la sua
opposta. Infine, il PdP è, a dispetto del suo nome, rischiosissimo, come numerosi esempi testimoniano. Con le facili critiche cui l’enunciato si espone, chiamarlo “principio” è quanto meno azzardato. Quindi,
l’enunciato del PdP non ha nulla che gli consente di fregiarsi dell’appellativo di “principio” e non ha nulla a che vedere con la “precauzione”. Termino con un appello alle società scientifiche affinché riflettano sull’opportunità di promuovere, presso i livelli istituzionali, azioni
atte alla soppressione del PdP ed, eventualmente, se proprio si sentisse il bisogno di un principio guida, di sostituirlo col Principio di Priorità, che viene enunciato.
1. Enunciato del principio
Recentemente abbiamo avuto modo di sentire invocato il Principio
di Precauzione (PdP) a sostegno di scelte politiche su questioni di protezione della salute o dell’ambiente. Penso che il principio andrebbe
al più presto soppresso per le ragioni che ora esporrò. Sia ben chiaro:
la precauzione è una cosa tanto sacrosanta quanto difficilmente conte-
* Docente di Chimica Ambientale – Università di Modena
158
I rischi di una scelta disinformata…
stabile e senz’altro da prendere in ogni attività umana. Ma il PdP, tentativo di dare forma giuridica all’azione della precauzione, sembra essersi rivelato un fallimento, non solo inutile ma anche, come vedremo,
dannoso. Il PdP può enunciarsi come formulato nell’articolo 15 della
Dichiarazione di Rio del 1992:
«Where there are threats of serious or irreversible damage, lack of
full scientific certainty shall not be used as a reason for postponing cost-effective measures to prevent environmental degradation».
Mi si consenta di tradurlo così:1
«Ove vi siano minacce di danno serio o irreversibile, l’assenza di
piena certezza scientifica non deve servire come pretesto per posporre
l’adozione di misure, efficaci rispetto ai costi, volte a prevenire il degrado ambientale».
2. Il principio di precauzione è malposto ed ambiguo
Solo a chi non ha un’educazione scientifica può passare inosservato il fatto che esso è malposto: la piena certezza scientifica è sempre assente. Certamente non è passato inosservato alla Commissione
dell’UE, che però, anziché rifiutare il principio, ha tentato, un po’ arrampicandosi sugli specchi e aggiungendo problemi anziché risolverne, di giustificarlo e di stabilirne i limiti d’applicabilità. In ogni caso,
secondo il rapporto della commissione dell’UE, una condizione necessaria (ma non sufficiente!) per invocare (non per applicare!) il principio, è che i rischi siano stati individuati: non è sufficiente ipotizzarli.2
Come detto, la “piena certezza scientifica” è sempre assente, giacché il dubbio è nella natura stessa della Scienza. Il rischio del PdP è
che quello spazio di dubbio lasciato dalla Scienza potrebbe essere
riempito da affermazioni arbitrarie che, dando voce solo ai singoli risultati scientifici che tornano di volta in volta comodi, consentano ad
alcuni la razionalizzazione dei loro interessi di parte in aperto contrasto con quelli della collettività e con l’analisi critica della totalità delle
1
F. Battaglia, Le Scienze 394, 110 (2001).
http://europa.eu.int/comm/dgs/health_consumer/library/pub/
pub07en.pdf.
2
Il principio di precauzione: precauzione o rischio?
159
acquisizioni scientifiche. E il passo da affermazione arbitraria a (finta)
certezza è breve.
Il Pdp, inoltre, è ambiguo: esso può essere invocato sia per adottare
una certa misura, sia per adottare la misura opposta. Un esempio chiarirà la situazione che potrebbe prospettarsi. La scienza ci dà la piena
certezza che un’infezione evolva spontaneamente verso la guarigione?
No, quindi, in nome del PdP, decidiamo di somministrare la penicillina. Ma la scienza ci dà la piena certezza che la penicillina non provochi uno shock anafilattico e finanche la morte? No, quindi, sempre in
nome del PdP, ci asteniamo dal somministrare l’antibiotico.
3. Il principio di precauzione è rischiosissimo
Il più grave difetto del PdP, però, è che esso è rischiosissimo, il che
suonerebbe alquanto ironico se non fosse tremendamente tragico. Ancora una volta, alcuni esempi chiariranno i termini della questione.
a) Nella bibbia ambientalista, la Primavera silenziosa di Rachael
Carson, scritta poco meno di 50 anni fa, il DDT veniva bollato come
“elisir della morte”. A Ceylon, nel 1948, si avevano 2 milioni di casi di
malaria, che si ridussero a 31 casi nel 1962 grazie al DDT. Dopo la sua
abolizione, in nome, potremmo dire, di un PdP ante litteram, la malaria ha ripreso a colpire milioni di persone.
b) Alla fine degli anni Settanta fu modificato in Inghilterra il metodo di lavorazione delle carcasse di ovini (per ottenere un integratore
alimentare proteico): mentre il procedimento precedente distruggeva
il prione (l’agente del morbo della mucca pazza), quello nuovo non
era in grado di farlo. Di per sé, l’uso di scarti di macelleria per produrre mangime arricchito di proteine non ha nulla di grave3 (certa3
Qualcuno ha detto che la causa del caso della mucca pazza andava ricercata nel fatto che erbivori erano stati forzati a diventare carnivori. Come osservato, l’uso di quelle farine come integratore alimentare è perfettamente legittimo. D’altra parte, alcuni anni fa fu necessario sterminare tutti i visoni di
diversi allevamenti nel Wisconsin che avevano contratto quel morbo per essere stati nutriti con farine animali infette: ma i visoni sono carnivori.
160
I rischi di una scelta disinformata…
mente, però, per precauzione, non si sarebbero dovute usare carcasse
di bestie malate). Per eliminare l’acqua e il grasso, gli scarti venivano
ridotti in polpa, riscaldati a 130 gradi sotto pressione e trattati con
uno dei tanti solventi organici adatto a sciogliere i grassi. La migliore
scelta non poteva che cadere sul diclorometano. Si sarebbe prodotto
grasso e mangime d’ottima qualità. E non contaminato dal prione infettivo, che veniva distrutto dal procedimento. Sennonché i soliti ambientalisti avviarono una lotta al diclorometano, fondandosi su due argomentazioni. La prima, alquanto cervellotica, sosteneva che siccome
i clorofluorocarburi (CFC) – che contengono atomi di cloro legati ad
uno di carbonio – distruggono l’ozono, lo stesso forse avrebbe fatto il
diclorometano (anch’esso contenente due atomi di cloro legati ad un
carbonio). La seconda argomentazione si faceva forte di una singola
pubblicazione scientifica che riportava l’aumento d’incidenza di cancro su topi esposti a diclorometano (topi che, peraltro, erano stati geneticamente modificati in modo da essere particolarmente predisposti
a contrarre tumori). Le imprese britanniche vennero indotte ad abbandonare il diclorometano e ad adottare un procedimento che, senza
far uso di solventi, trattava a soli 80 gradi le carcasse e poi le pressava.
Con quel procedimento il prione rimase inalterato e si trasmise così
dal mangime alle vacche. Oggi sappiamo – magra consolazione – che
il diclorometano non è cancerogeno e per azione della luce e dell’ossigeno si ossida decomponendosi rapidamente senza nuocere all’ozono.
Non è lontano dal vero sostenere che il caso mucca pazza è nato, ancora una volta, da un uso inappropriato di un PdP ante litteram.
c) Come tutti sappiamo, la clorazione delle acque è forse il metodo più efficace di purificazione dell’acqua potabile: basta una piccola
concentrazione di ipoclorito per mantenere l’acqua libera da germi
patogeni pericolosi per la nostra salute. Forse l’acqua clorata non è il
massimo del gradimento, ma dobbiamo scegliere: il sapore cristallino
o l’assenza di pericolosi germi. Sempre grazie al solito articolo scientifico che ipotizzava la rischiosità della clorazione delle acque in quanto
avrebbe potuto, presumibilmente, trasformare i residui organici presenti nell’acqua in composti organoclorurati che, sempre presumibilmente, avrebbero potuto favorire l’insorgere di tumori, alla fine degli
anni Ottanta fu dichiarata la guerra al procedimento di clorazione del-
Il principio di precauzione: precauzione o rischio?
161
le acque. Nonostante la IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca
sul Cancro) e l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) avessero
pubblicato, nel 1991, un rapporto che affermava che non vi erano
prove tali da destare allarme e che, comunque, il rischio ipotetico andava confrontato con quello certo che verrebbe dal bere acqua non
clorata, il governo peruviano, in quello stesso anno e in nome di un
PdP ante litteram, decise di interrompere la clorazione dell’acqua potabile. Ne conseguì un’epidemia di colera che colpì, nei successivi 5
anni, un milione di persone, uccidendone diecimila.
d) Il PdP fu invocato nel momento in cui si chiesero le moratorie
sulle pallottole all’uranio impoverito. Per non far nascere lo scandalo,
bastava osservare che l’uranio subisce il decadimento con emissione di
particelle alfa (che sono fermate da un semplice foglio di carta), ha un
tempo di dimezzamento di 4,5 miliardi d’anni, è stato inserito dalla
IARC, rispetto al suo eventuale potere cancerogeno, nella stessa classe
ove vi è il tè, ed è naturalmente presente nella crosta terrestre con una
concentrazione di 1-10 mg/Kg (ad esempio, la Lombardia è una zona
ricca d’uranio e nei primi venti centimetri di crosta terrestre, intorno a
Milano e per un’estensione pari a quella del Kosovo, la quantità d’uranio è 10.000 volte superiore a quella sparata con i proiettili). Forse la
moratoria andrebbe fatta sulle guerre: ancora una volta, il PdP sposta
l’attenzione da un problema reale verso uno finto.
e) Il PdP viene invocato per giustificare l’abbandono del nucleare
come fonte energetica. In realtà, questo abbandono viene motivato,
oltre che con la necessità di evitare potenziali rischi da incidenti e da
contaminazione radioattiva, con altre tre scuse: l’energia nucleare sarebbe costosa, non esiste soluzione al problema dei rifiuti radioattivi,
il mondo la sta progressivamente abbandonando. A noi interessano gli
aspetti del rischio, visto che di PdP si sta trattando. Tuttavia, un breve
commento sulle altre tre scuse non ce lo risparmiamo.
Ad esempio, si deve notare che l’energia elettrica in Francia (ove,
per l’80%, si produce con le 59 centrali nucleari lì attive) costa meno
della metà che in Italia. E anche a noi, quella che importiamo da fonte
nucleare da Francia, Svizzera e Slovenia, costa di meno di quella che
noi stessi produciamo in altri modi.
162
I rischi di una scelta disinformata…
Non esiste alcuna attività umana che si prenda cura dei propri rifiuti con la stessa sicurezza e professionalità dell’attività nucleare. A
questo proposito, rimando al libro di Piero Risoluti – uno dei massimi
esperti italiani nella gestione dei rifiuti radioattivi – che, con linguaggio semplice ma preciso, ci apre gli occhi su quest’ennesima bugia ambientalista:4 la realizzazione di un sito appropriato non è un’opzione,
ma un dovere civico verso noi stessi e verso le generazioni future. La
nota protesta occorsa nel 2003 a Scanzano Jonico, in occasione del
tentativo da parte del governo di allora di realizzare un deposito unico
nazionale per i rifiuti radioattivi, è stata un mirabile esempio di effetto
placebo all’incontrario: la gente di Scanzano Jonico ha protestato senza rendersi conto, con la mancata realizzazione di quel deposito, di
perdere l’occasione di veder realizzato in quel luogo un importante
centro tecnologico e di ricerca5 e di diventare così la comunità meglio
radioprotetta del paese.6
Non è vero che il mondo sta abbandonando il nucleare. Lo decise
la Svezia nel 1980 quando aveva 12 centrali attive: oggi le centrali attive in Svezia sono 11, gli svedesi stanno ancora pagando le conseguenze di quell’unica centrale chiusa e, comunque, la metà dell’energia
elettrica consumata in Svezia è da fonte nucleare.
Lo decise il governo tedesco diversi anni fa – quando le centrali
nucleari erano 19 – per accontentare i Verdi, senza i quali non avrebbe potuto governare: oggi le centrali nucleari tedesche attive sono ancora 18. Tutte decisioni, quindi, rimaste lettera morta. Nel mondo,
piuttosto, vi sono attualmente una quarantina di centrali in costruzione, di cui due in Ucraina (la patria di Chernobyl), ove la metà
4
Piero Risoluti, I rifiuti nucleari: sfida tecnologica o politica? (con prefazione di Tullio Regge), Armando editore, 2003.
5 Perché questo è un deposito di rifiuti radioattivi e non “una discarica”
come viene spacciato.
6 Anche se le quantità di rifiuti radioattivi italiani non giustificherebbero,
forse, la realizzazione sotterranea del deposito, le recenti raccomandazioni internazionali – conseguenti ai fatti dell’11 settembre – caldeggiano questa soluzione. Inoltre, non è escluso – anzi, chi scrive nutre pochi dubbi in proposito – che in Italia vi sia un ripensamento sul nucleare ed avere già un sito
geologico per i rifiuti sarebbe più che auspicabile.
Il principio di precauzione: precauzione o rischio?
163
dell’energia elettrica continua ad essere da fonte nucleare. Le centrali
nucleari si fermarono veramente solo in Italia. Ma il paese – contrariamente a quel che si dice – non ha “rinunciato” al nucleare: non potevano esserci referendum “contro” il nucleare (lo vieta la nostra Costituzione).
Ed infatti, in conseguenza dei noti referendum, venne deciso non
l’abbandono ma una moratoria di 5 anni e in qualunque momento si
potrebbe riprendere ad utilizzare questa fonte che, lontano dall’avervi
rinunciato, è diventata per noi una nuova forma d’importazione (oltre
il 15% dell’energia elettrica che consumiamo la importiamo dalle centrali nucleari d’oltralpe): l’Italia ha rinunciato, semmai, alle ricadute
economiche, tecnologiche e occupazionali del nucleare.7
Ma veniamo ai millantati rischi. Essi sarebbero di due tipi: la contaminazione radioattiva dell’ambiente e la possibilità di incidenti del
tipo di quello di Chernobyl.
Tutti noi siamo esposti alla radiazione naturale. La dose media annua che ciascuno di noi assorbe dalle fonti naturali è di circa 2,2 milliSievert (mSv). Le attività umane aumentano quella dose di circa il
20%, di cui oltre il 90% è dovuto alla diagnostica medica (tutti noi
subiamo, prima o poi, una radiografia). Comunque, esistono diverse
aree della Terra (in Brasile, in India) ove vi sono popolazioni esposte a
dosi annue di anche 100 mSv, senza che si siano riscontrate in esse
maggiori incidenze di alcun tipo di malattia correlabile alle radiazioni.
Allora, le centinaia di test nucleari che le ragioni militari hanno purtroppo voluto, hanno influito pressoché zero sulla dose media di radioattività, e così sarebbe anche se tutta la radioattività da tutte le centrali nucleari esistenti, per un’ipotetica serie d’incidenti, andasse a
contaminare l’ambiente. In definitiva, il rischio di contaminazione radioattiva dall’uso del nucleare è semplicemente inesistente.8
Rimane il rischio di incidente. Effettivamente, questo esiste (ma
qual è l’attività umana che ne è esente?), come gli incidenti di ThreeMile Island (1979) e di Chernobyl (1986) dimostrano. Il primo non ha
7
U. Spezia (a cura di), Energia nucleare, un futuro da salvare, 21mo Secolo
editore (1998).
8 Z. Jaworowski, Radiation risk and ethics, in: Physics Today 52, 24
(1999).
164
I rischi di una scelta disinformata…
avuto effetti sanitari di nessuna natura. Il secondo è stato l’incidente
più grave mai occorso in 50 anni di uso civile del nucleare. Esso, però,
lungi dal dimostrare che il nucleare è pericoloso, ne testimonia, piuttosto, la sicurezza. L’UNSCEAR (la Commissione Onu sugli effetti
delle radiazioni atomiche) ha prodotto inequivocabili rapporti sugli
effetti, a 15 anni di distanza, dell’incidente di Chernobyl.
Ebbene, il verdetto è il seguente. Il giorno dell’incidente morirono
3 lavoratori della centrale (2 sotto le macerie dell’esplosione e uno
d’infarto). Nel mese successivo furono ricoverati in ospedale 237 – tra
lavoratori alla centrale e soccorritori – per dosi eccessive di radiazione, di cui 28 morirono entro tre mesi. Dei rimanenti 209, ne sono
morti, a oggi, altri 14 (di cui uno in un incidente automobilistico): gli
altri 195, di quei 237 ricoverati per dosi eccessive di radiazione, sono
ancora vivi. L’unico effetto sanitario statisticamente anomalo e, quindi, attribuibile alla contaminazione radioattiva conseguente all’incidente, è stato un enorme aumento nell’incidenza dei tumori alla tiroide in individui che nel 1986 erano bambini: sono stati riportati, sino
ad oggi, quasi 2000 casi. Di questi, 3 hanno degenerato sino al decesso
del malato. In conclusione, all’incidente di Chernobyl, il più grave incidente dell’uso civile del nucleare, non sono attribuibili, sino ad oggi,
più di 48 morti: 31 (3+28) immediati, gli altri 17 (14+3) nell’arco di 15
anni. Secondo il rapporto dell’UNSCEAR, nessun altro disordine sanitario attribuibile alle radiazioni, diverso da quell’abnorme aumento
di casi di tumore alla tiroide, è stato subito dalle popolazioni vicine alla centrale. Se a questi 48 si aggiungono gli altri casi di decesso a causa
dell’attività nucleare per usi civili negli ultimi 50 anni nel mondo, si
perviene ad un totale di circa 100 morti. Il numero è deprecabile
quanto si vuole, ma l’attività di produzione energetica coi combustibili fossili ha comportato, in soli 15 anni, 10.000 decessi per incidenti.
Ecco perché, dicevo prima, l’incidente di Chernobyl – coi suoi 48
morti il più grave mai avvenuto – del nucleare ne dimostra non la pericolosità ma, semmai, l’affidabilità.9
9
U. Spezia, Chernobyl: 20 anni dopo il disastro, 21mo Secolo editore
(2006).
Il principio di precauzione: precauzione o rischio?
165
f) Il PdP è stato invocato per bandire i prodotti agricoli geneticamente modificati. Senza che ci si rendesse conto che ogni eventuale rischio non è nella tecnica in sé, ma va individuato caso per caso. Ingo
Potrykus, professore emerito di Botanica all’università di Zurigo, ha
inventato il golden rice, un riso che, mediante l’inserimento di tre geni
nel suo patrimonio genetico, diventa ricco di beta-carotene, la molecola precursore della vitamina A. Milioni di persone nel mondo, a
causa delle condizioni di povertà, si alimentano quasi esclusivamente
di riso che, però, è un alimento totalmente privo di quell’importante
vitamina. La cui carenza destina alla cecità, quando non alla morte,
quei milioni che di essa soffrono. Per tutto ciò va ringraziato il PdP,
che è tuttora invocato per non immettere nel mercato il riso dorato
del prof. Potrykus.
g) Curiosamente, il PdP non viene invocato per bandire dal mercato i prodotti biologici. Anzi, viene invocato per vieppiù diffonderli.
Eppure, essi sono i peggiori in commercio, dal punto di vista della sicurezza alimentare. Vediamo perché. Bruce Ames, tossicologo di fama
mondiale, direttore del centro di salute ambientale a Berkeley e membro dell’Accademia nazionale americana delle scienze, è stato l’inventore di un test – che da lui prende il nome – per individuare la presenza di sostanze mutagene. Ebbene, il test di Ames ha provato che il
50% delle sostanze di sintesi è cancerogeno, nel senso che su circa 500
sostanze sintetiche esaminate e somministrate a cavie con la massima
dose tollerabile, circa la metà è risultata positiva al test. Sennonché, lo
stesso test, eseguito con sostanze naturalmente presenti nei prodotti
alimentari che comunemente ingeriamo, ha rivelato che anche tra queste sostanze il 50% è cancerogeno. In ordine alfabetico, dall’aglio e
l’albicocca, passando per la lattuga e il mais, sino alla soia e l’uva, sono
centinaia i prodotti che contengono altrettanti cancerogeni naturali.
Quindi, “naturale” non è meglio di “sintetico”. Ma qual è la percentuale relativa di cancerogeni naturali e di cancerogeni di sintesi che tutti noi abitualmente ingeriamo? La risposta ce la conferma lo stesso
Ames: il 99,99% delle sostanze potenzialmente tossiche che ingeriamo
è già naturalmente presente nel cibo, e solo lo 0,01% è di provenienza
sintetica. Ho precisato “potenzialmente” perché la tossicità di una sostanza è stata determinata somministrandola a cavie in dosi vicine a
166
I rischi di una scelta disinformata…
quella massima tollerabile (oltre la quale le povere bestie morirebbero
avvelenate). In pratica, di quelle sostanze ne ingeriamo dosi migliaia o
anche milioni di volte inferiori di quelle che sono risultate dannose ai
topi. E quelle naturali sono centomila volte più abbondanti di quelle
che rimangono nei cibi trattati con i fitofarmaci di sintesi.
Ma le piante non possono fare a meno di fitofarmaci.10 Se non glieli somministra l’uomo in quantità controllate, la pianta se lo produce
da sé il proprio fitofarmaco naturale e, a questo scopo, non usa certo
riguardi verso chi poi se la mangerà.11 È il caso di una varietà di sedano biologico che induceva eczemi alla pelle dei coltivatori e dei commercianti che lo maneggiavano in gran quantità: il sedano, per difendersi da insetti parassiti, aveva decuplicato la produzione di psolareni,
molecole con azione irritante; e anche cancerogena, visto che si legano
irreversibilmente al Dna, favorendo le mutazioni. Ed è il caso di una
patata biologica, rapidamente tolta dal mercato: per analoghe ragioni,
aveva più che decuplicato la produzione di solanina, risultando, anche
se cotta, tossica ai bambini delle scuole le cui mense erano rifornite
con cibo biologico.12 Ed è il caso dell’abnorme aumento di aflatossine
– pericolosi cancerogeni – riscontrato in varietà agricole non trattate
con fungicidi.
La tecnica di produzione biologica prevede anche che si usino rimedi omeopatici in caso di malattie. Chiunque sappia cos’è il numero
di Avogadro, sa anche che i prodotti omeopatici non possono avere alcun effetto (diverso, eventualmente, da quello placebo).13 La ragione è
molto semplice.
10
Paolo Sequi, Il racket ambientale, 21mo Secolo editore (2006).
G. Fochi, Il segreto della chimica, Longanesi editore (2001).
12 Meno danno ha fatto il caso, occorso nel settembre del 2002, nella mensa
della scuola elementare Mario Galli di Sesto S. Giovanni: i bambini si sono ritrovati a masticare, assieme al riso, anche vermicelli, con quei chicchi mimetizzati. La ditta fornitrice si difese precisando che la presenza di quei vermi era
dovuta al fatto che il riso impiegato era, appunto, rigorosamente biologico.
13 Si potrebbe essere tentati di sostenere: tutto sommato, se il paziente sta
“meglio”, foss’anche solo in conseguenza dell’effetto placebo, perché non dare alla pratica omeopatica la stessa dignità delle pratiche che godono del sostegno della scienza? La tentazione è allettante, ma bisogna essere consape11
Il principio di precauzione: precauzione o rischio?
167
La natura molecolare della materia vieta la possibilità di preparare
soluzioni aventi concentrazioni arbitrariamente piccole di soluti: mediante il procedimento delle diluizioni successive con le quali si preparano i prodotti omeopatici, già in una soluzione acquosa omeopatica classificata rispetto alla diluizione come CH12 non vi è neanche
una molecola di soluto, e ogni procedura di diluizione successiva è
priva d’ogni senso scientifico, essendo essa equivalente a diluire acqua
con acqua. Sennonché, le tipiche soluzioni omeopatiche hanno diluizioni classificate come CH60, CH100 o anche CH200: senza timore di
essere smentiti esse non sono altro che, appunto, acqua pura (a parte
eventuali eccipienti).
Allora – ci sarebbe da chiedersi – che garanzie si hanno sulla fettina biologica ottenuta da un manzo che, eventualmente ammalatosi, sia
stato curato con i prodotti omeopatici, come la pratica biologica prescrive?
In conclusione: le tracce di fitofarmaci presenti nei prodotti tradizionali aggiungono nulla alle sostanze potenzialmente tossiche e naturalmente presenti in quei prodotti. Le varietà biologiche, invece, rischiano di contenere quantità abnormi di tossine naturali, sia perché
la pianta li produce da sé, sia perché eventuali malattie non sono trattate con metodi scientificamente codificati. Qui si vede tutta l’ambiguità del PdP, che viene invocato non per bandire i prodotti biologici,
ma, addirittura per promuoverli.
h) Un altro caso – forse il più clamoroso – d’invocazione del PdP,
a sproposito e con conseguenti danni, è quello in ordine al problema
del cosiddetto elettrosmog.14
Riguardo ai campi elettromagnetici, bisogna distinguere quelli a radiofrequenza da quelli a frequenza industriale. Per i primi, ogni studio
voli che questa posizione comporterebbe che bisognerebbe dare così pari dignità anche a tutte quelle cure del cancro che si sono rivelate inefficaci, e anche alle pratiche astrologiche e cartomantiche, dovesse chi a esse si rivolge riconoscerne gli effetti benèfici (e come non potrebbe, visto che, appunto, vi si
rivolge?).
14 F. Battaglia, Elettrosmog: un’emergenza creata ad arte (con prefazione di
Umberto Veronesi), Leonardo Facco Editore (2002).
168
I rischi di una scelta disinformata…
epidemiologico (di cui uno su 420.000 danesi) ha concluso che il fattore di rischio degli esposti rispetto ai non esposti è addirittura minore di 1: solo un’analisi affrettata farebbe concludere che quei campi
sono benèfici; ma nessuna analisi ponderata potrebbe far concludere
che essi sono dannosi! Quindi, per i campi a radiofrequenza non vi
sono le condizioni non solo per applicare, ma neanche per invocare il
PdP: semplicemente non sono stati individuati rischi.
Sennonché: (i) Le norme protezionistiche italiane, uniche al mondo, volute in nome del PdP, han fatto sì che dei sei anni di ritardo
subìto dall’installazione del radar di Linate, dieci mesi sono da addebitare proprio a quelle norme (bisognava verificare che il radar fosse
compatibile con le leggi italiane volute in nome del PdP). (ii) Queste
leggi – che i radioprotezionisti italiani, subendone l’umiliazione, hanno sentito definire “stupide” da colleghi stranieri in sede di convegni
internazionali15 – prevedono campi particolarmente bassi in prossimità di strutture considerate a rischio (scuole, ospedali): furono 19 i
morti nell’incendio, occorso alla fine del 2001, nella struttura per disabili vicino a Salerno, ove gli infermieri non poterono chiamare soccorso con i loro cellulari a causa dell’assenza di sufficiente campo. (iii).
Nel luglio del 2002, al largo della spiaggia di Pesaro, morirono annegati un bimbo e la sua maestra di un centro estivo: chi stava sulla
spiaggia non riuscì a chiamare soccorso col cellulare per debolezza di
campo elettromagnetico, tenuto basso a causa delle leggi italiane volute in nome del PdP. Chi ha voluto quelle norme deve essere considerato corresponsabile morale dell’incidente aereo accaduto nell’ottobre
15
Ecco come recita il parere della Commissione internazionale nominata
dal governo Berlusconi col compito di esprimere parere sulla normativa italiana in tema di protezione dai campi elettromagnetici: «I decreti italiani non
riportano giustificazioni scientifiche, per cui le basi su cui sono stati fissati i
limiti di esposizione sono puramente arbitrarie. Pertanto, il livello di protezione sanitaria fornito da tali limiti è del tutto sconosciuto. E se il livello di
tutela sanitaria è ignoto, l’enorme costo supplementare che l’attuazione di tale legge comporterebbe potrebbe, benissimo, non recare alcun beneficio alla
salute. Emerge così che tale legge è intrinsecamente incoerente e scientificamente debole. Alla luce delle informazioni scientifiche correnti, essa non fornisce alcune tutela aggiuntiva alla popolazione italiana».
Il principio di precauzione: precauzione o rischio?
169
2001 a Linate, di quei 19 disabili morti nell’incendio nel salernitano, e
dei 2 poveretti annegati vicino a Pesaro.
Riguardo ai campi a frequenza industriale, la situazione è la seguente: l’unico individuato (non accertato!) è il rischio raddoppiato di
leucemie puerili per esposizioni a campi magnetici superiori a mezzo
microtesla. L’uomo della strada si allarma nel sentire che il rischio è
raddoppiato. Per fargli apprezzare il reale significato di questa affermazione, forse basterebbe ricordargli che anche chi compra due biglietti della lotteria ha una probabilità doppia di vincere rispetto a chi
compra un solo biglietto.
La IARC apprezza questi fatti, tant’è che ha inserito la componente magnetica dei campi a frequenza industriale nella terza classe rispetto a eventuali effetti cancerogeni, assieme al caffè e alle verdure
sottaceto, e ha inserito la componente elettrica nella quarta classe, assieme al tè (il fumo, la pillola anticoncezionale, le radiazioni solari sono nella prima classe). Anche l’OMS apprezza quei fatti, e suggerisce
che si adotti per il campo magnetico a frequenza industriale il valore
protezionistico raccomandato dall’ICNIRP, che è 100 microtesla. Un
valore, avverte l’OMS, che garantisce sicurezza se non superato, ma
che non implica necessariamente rischio se viene superato. In pratica,
però, nessuno è mai esposto a campi superiori ad un microtesla.
In ogni caso, ammesso che si possa effettivamente azzerare il numero d’esposti a campi superiori a mezzo microtesla, quanti bambini
si “salverebbero” dall’ipotetica leucemia? Il conto è presto fatto.16
Ogni anno, in Italia, contraggono la leucemia circa 400 bambini, mentre la popolazione esposta a campi superiori a mezzo microtesla è pari
allo 0,3%. Impostando l’equazione
400 = 0,997 y + 2 . 0,003 y
(ove il fattore 2 tiene conto del rischio raddoppiato degli esposti), risolvendo per y e sostituendo, si ottiene (approssimando a valori interi)
400 = 398 + 2: di quei 400 bimbi, 398 hanno contratto la leucemia per
ragioni diverse dai campi elettromagnetici.
16
G. Carboni, comunicazione privata.
170
I rischi di una scelta disinformata…
E gli altri due? Si può dire che la leucemia di 2 bimbi è statisticamente addebitabile ai campi? No! Lo si potrebbe dire solo se i campi
fossero un rischio, cioè se la IARC li avesse inseriti nella classe prima
anziché terza. Ma anche quando si volessero interrare i cavi degli elettrodotti ed operare tutte le bonifiche che purtroppo molte regioni italiane (Emilia Romagna in testa) stanno effettuando, si eliminerebbero
questi due ipotetici casi? No, perché a venti metri da un elettrodotto il
campo magnetico è comparabile a quello presente comunque in ogni
casa a causa degli impianti domestici.
Invocare il PdP per eliminare una causa presunta di leucemia evitando così, al più, un caso aggiuntivo, è scientificamente ingiustificato
e, direi, immorale nei confronti di quei 400 bambini che hanno contratto il male per cause certamente diverse dall’esposizione ai campi
elettromagnetici. L’unico effetto della legislazione (voluta in nome del
PdP) contro l’inesistente elettrosmog è quello di arricchire tutte quelle aziende, più o meno private, incaricate di misurare i campi elettromagnetici in giro nelle città (misurazioni peraltro non necessarie, visto
che le equazioni della fisica ci danno i valori dei campi una volta note
le sorgenti), e tutte quelle incaricate di mettere a norma i vari impianti. Un affare – è stato stimato dall’ANPA in un rapporto che venne tenuto nascosto sinché l’Agenzia venne commissariata e Renato Angelo
Ricci, nominato commissario, lo fece pubblicare — di 30 miliardi di
euro.17 E questo è l’unico dato che possa fornire giustificazione razionale alla pervicacia – altrimenti inspiegabile – con la quale l’ex ministro Willer Bordon (Margherita) e il suo vice, Valerio Calzolaio (Ds),
insistevano per l’approvazione dei loro decreti.
Val la pena citare l’editoriale del New England Journal of Medicine
che nel 1997 pubblicò un resoconto di un’esaustiva ricerca del National Cancer Institute americano sui legami (esclusi da quella ricerca)
tra esposizione ai campi elettromagnetici a frequenza industriale e leucemie puerili: «È triste che centinaia di milioni di dollari siano andati
dispersi in studi privi della benché minima promessa di evitare la tragedia del cancro nei bambini. L’abbondanza di studi inconcludenti e
17
Valutazione tecnico-economica degli interventi di risanamento ambientale delle linee elettriche del sistema nazionale, ANPA, Rapporto 3/2001.
Il principio di precauzione: precauzione o rischio?
171
inattendibili ha generato ingiustificate preoccupazioni e paure. Diciotto anni di ricerca18 hanno prodotto considerevole paranoia, senza aggiungere la benché minima conoscenza, e senza alcun guadagno in
prevenzione. È tempo di interrompere la dispersione delle nostre risorse, che dovrebbero invece essere dirette verso quella ricerca in grado di offrire promesse, scientificamente fondate, della scoperta delle
vere cause biologiche dello sviluppo dei cloni leucemici che tanto minacciano la vita di alcuni bambini».
4. Il documento dell’UE
Abbiamo già citato il documento del 2 febbraio 2000 con cui la
Commissione dell’UE stabilisce le condizioni d’applicabilità del
PdP.19 Abbiamo anche manifestato forti perplessità sull’intero documento assieme al parere dell’opportunità di respingere tout court il
principio. Non vogliamo analizzare quel documento nei dettagli: per i
nostri scopi, basti sapere che in esso, a dimostrazione dell’opportunità
di avere un PdP, si adducono due esempi che, secondo il documento
della Commissione, sarebbero due casi di uso con successo del PdP
stesso. I due esempi (gli unici addotti) sono il bando planetario dei
clorofluorocarburi (CFC) e il protocollo di Kyoto. Sennonché, proprio questi due esempi dimostrano, ancora una volta, quanto inappropriato sia l’uso del PdP.
a. Il bando dei CFC 20
Un trattato del 1987 ha bandito dal mondo intero, grazie a una
delle tante oziose battaglie ambientaliste e in nome, ancora una volta,
18
Risale al 1979 il primo articolo in cui s’ipotizzò la possibilità di legame
tra esposizione ai campi elettromagnetici a frequenza industriale e leucemia
puerile. Quell’ipotesi poi non resse ad ogni successiva indagine.
19 http://europa.eu.int/comm/dgs/health_consumer/library/pub/
pub07_en.pdf.
20 R. Ehrlich, «Sun exposure is beneficial», in: Nine crazy ideas in Science,
Ch. 4, Princeton U.P. (2001).
172
I rischi di una scelta disinformata…
di un PdP ante litteram, l’uso dei CFC, usati come refrigeranti e che,
se dispersi nell’ambiente, partecipano a reazioni chimiche che contribuiscono a diminuire l’ozono alle alte quote. L’ozono assorbe, alle alte
quote, parte della radiazione solare, svolgendo un’azione protettiva da
essa. Il sole, infatti, è un agente cancerogeno, nel senso che l’esposizione ad esso aumenta il rischio di melanoma alla pelle, un tumore di
cui rimangono vittime, solo in Italia, oltre un migliaio di persone
all’anno. Quindi, la motivazione del bando dei CFC va ricercata nel
fatto che con essi nell’ambiente saremmo tutti più esposti alle radiazioni ultraviolette del sole e quindi a maggior rischio di melanoma alla
pelle.
Va ora detto che alcuni agenti dannosi manifestano il fenomeno
dell’ormesi, secondo cui o una bassa esposizione all’agente è addirittura protettiva rispetto al danno che l’agente causa a dosi più elevate o,
semplicemente, l’agente è responsabile di effetti sia dannosi che benefici e, in quest’ultimo caso, solo un’analisi accurata del rapporto danno/beneficio può dare informazioni sull’opportunità di esporsi ad esso. Sono forti i sospetti che l’esposizione al sole abbia entrambi i tipi
di effetto ormetico.
Riguardo al primo tipo, sembra che, mentre l’esposizione eccessiva
e intermittente, soprattutto se accompagnata da scottature, aumenti il
rischio di melanoma, un’esposizione protetta, anche se continua, riduca invece quel rischio.
Riguardo al secondo tipo di ormesi, sono svariati i benefìci accertati dell’esposizione al sole, il più significativo dei quali sembra essere la
riduzione del rischio di malattie coronariche, che sono la forma più
comune di malattie cardiache. Ad esempio, è stato trovato che l’incidenza delle malattie coronariche aumenta con la latitudine (con la
quale decresce anche l’esposizione al sole).
Naturalmente, questa semplice associazione non è sufficiente a stabilire l’effetto ormetico: è necessario individuare un meccanismo. Il
più accreditato nasce dalla constatazione che sia la vitamina D (la cui
produzione è indotta dalla radiazione solare) sia il colesterolo (responsabile di aumento di rischi di malattie coronariche), hanno uno stesso
precursore (la molecola di squalene), per cui ove maggiore è la presenza di vitamina D minore dovrebbe essere quella di colesterolo, e viceversa. Effettivamente, è stato trovato che la concentrazione di vita-
Il principio di precauzione: precauzione o rischio?
173
mina D è inferiore al normale tra le vittime di attacchi cardiaci, e che
la concentrazione media di colesterolo aumenta in popolazioni delle
alte latitudini e aumenta nei mesi invernali. Ed è stato anche trovato
che l’incidenza di mortalità da malattie coronariche aumenta tra le
persone che nella loro vita si sono meno esposte al sole.
Ancora una volta, tutte queste associazioni e correlazioni non devono indurre a conclusioni affrettate: bisogna anche escludere svariati
fattori confondenti. Ad esempio, ci si potrebbe chiedere se per caso
non sia la temperatura, piuttosto che l’esposizione al sole, il fattore
che protegge dalle malattie coronariche. Sennonché non è stato osservato alcun aumento nell’incidenza di queste malattie con l’aumento di
altezza dal livello del mare, né è stato osservato alcun aumento nel
passare da una realtà “più calda” come quella di Los Angeles a una
“più fredda” come quella di New York. Anche se altri fattori confondenti, come la dieta, sono stati considerati, la scienza, con tutta la sua
doverosa cautela, ritiene plausibile l’idea che l’esposizione al sole sia
un agente significativamente protettivo rispetto alle malattie coronariche.
Plausibile, ma non convincente. Tuttavia ci si può legittimamente
porre una domanda. Premesso che l’incidenza di mortalità da malattie
coronariche è 100 volte maggiore di quella da melanoma alla pelle, anche assumendo un raddoppio di rischio di melanoma a causa della diminuzione di ozono, basterebbe solo l’1% di corrispondente diminuzione di rischio di mortalità per malattie coronariche per chiedersi se
non sia il caso di rivedere la decisione del 1987 che bandiva i CFC. La
domanda è ovviamente accademica, perché gli ambientalisti – come in
altri casi – farebbero tanto chiasso da renderla politicamente improponibile, ancorché dovesse rivelarsi saggia. Rimane sempre la domanda se non sia stata quanto meno affrettata quella decisione del 1987 e
se non sia il caso, per eventuali decisioni future di analoga natura, di
ignorare ogni affermazione emotiva delle associazioni ambientaliste, il
cui sole brilla soprattutto per analfabetismo scientifico, e di rimettersi,
più che al PdP, all’analisi, scientificamente condotta, del rapporto rischi/benefici.
174
I rischi di una scelta disinformata…
b. Il protocollo di Kyoto 21
Secondo un recente rapporto dell’IPCC (Comitato internazionale
sui cambiamenti climatici) – un organismo intergovernativo che comprende scienziati da 100 paesi – «il riscaldamento globale previsto per
il prossimo secolo potrebbe risultare senza precedenti negli ultimi
10.000 anni». Ma, secondo Richard Lindzen, uno degli estensori di
quel rapporto e membro dell’Accademia nazionale delle scienze americana, «la possibilità di un eccezionale riscaldamento globale, anche se
non escludibile, è priva di basi scientifiche».
Il riscaldamento globale viene ritenuto essere la conseguenza di vari fattori tra cui anche un incremento della concentrazione atmosferica
di gas-serra (soprattutto CO2 e, in misura molto minore, metano e altri gas-serra). Siccome nell’ultimo secolo sono progressivamente aumentati sia l’uso mondiale dei combustibili fossili sia le concentrazioni
atmosferiche di CO2, si potrebbe pensare che, assumendo che questi
aumenti continuino senza sosta, il raggiungimento di livelli pericolosi
sia solo questione di tempo e che più aspettiamo più difficile potrebbe
essere affrontare il problema.
Il sillogismo logico, secondo alcuni, sarebbe allora il seguente: (1) i
gas-serra stanno aumentando senza sosta, (2) ogni cosa che aumenta
senza sosta raggiunge prima o poi livelli catastrofici, (3) la catastrofe
non può evitarsi se non si blocca quell’aumento. Ma, piaccia o no, le
cose non sono così semplici. Ad esempio, le previsioni del futuro riscaldamento globale assumono che la crescita di popolazione s’interromperà in alcuni decenni: se così non fosse, avremmo ben altro – prima ancora del riscaldamento globale – di cui preoccuparci. E, d’altra
parte, dovesse la popolazione mondiale stabilizzarsi, il timore dell’aumento senza sosta dei gas-serra non sarebbe più giustificato.
Secondo altri, invece: non vi è alcuna evidenza che il riscaldamento
sia reale; ammesso che lo sia, esso è minimo e non vi è alcuna evidenza
che sia stato indotto dalle attività umane; e, infine, esso potrebbe essere addirittura benefico.
21
R. Ehrlich, Should you worry about global warming?, in: Eight preposterous propositions, Ch. 6, Princeton U.P. (2003).
Il principio di precauzione: precauzione o rischio?
175
Naturalmente, finché nessuna delle due parti comprende solo isolati casi di dissenzienti (e non è questo il caso), non ha importanza sapere quale pensiero ha il maggior numero di sostenitori: i risultati della scienza non si acquisiscono a maggioranza. Seguiamo allora Robert
Ehrlich, e poniamoci le seguenti quattro domande: Il riscaldamento
globale è reale? Qualora lo fosse, la causa dominante è d’origine antropica? Qualora anche questo fosse il caso, quale aumento di temperatura media globale potremmo realisticamente attenderci fra, poniamo, 100 anni? L’aumento realisticamente prevedibile in caso di contributo antropogenico determinante, apporterà, globalmente, danni o
benefìci?
Il riscaldamento globale è reale?
Anche se misure dirette in grado di fornire informazioni sulle temperature medie globali sono state effettuate solo recentemente, vari
dati indiretti (in particolare le concentrazioni relative di 16O e 18O nelle “carote” di ghiaccio estratte in Groenlandia) ci permettono di concludere che attualmente la Terra si trova tra due ere glaciali (che avvengono ogni 100.000 anni circa). Durante l’ultima era glaciale le temperature erano 10 gradi più fredde di ora e, probabilmente, il pianeta
è più caldo adesso che non in ogni altro periodo degli ultimi 1000 anni; un riscaldamento, quello di questo millennio, che è avvenuto gradualmente per ragioni certamente indipendenti dalle attività umane.
Il problema che nasce è se per caso queste ultime abbiano o no, sul
riscaldamento globale, un’influenza significativa sovrapposta alle cause naturali. A questo scopo, è necessario limitarsi a osservare le variazioni negli ultimi 150 anni, cioè dall’avvento dell’industrializzazione.
Ebbene, vi è concordanza nella comunità scientifica che le misurazioni di temperatura effettuate da stazioni sulla Terra rivelano valori che
negli ultimi 150 anni sono aumentati di circa mezzo grado. I maggiori
aumenti si sono registrati nei periodi 1910-1945 e 1975-2000. Però –
va detto – nel periodo 1945-1975 si è osservato non un aumento ma
una diminuzione di temperatura.
Se però ci si chiede se queste misurazioni corrispondano alla temperatura media globale, ci si imbatte in una prima seria difficoltà: non
vi è garanzia che l’aumento osservato non sia da attribuire al fatto che
176
I rischi di una scelta disinformata…
nell’intorno delle stazioni di misura si sviluppava, nei decenni, un’urbanizzazione, e che è ad essa che dovrebbe quell’aumento attribuirsi.
L’assenza di quella garanzia nasce anche dal fatto che i tentativi di aggiustare i dati in modo tale da tenere conto di questo “effetto da urbanizzazione” – mediante soppressione dei dati più recenti dalle stazioni
“incerte” – aumenta sgradevolmente l’incertezza sull’analisi finale, visto che è proprio nei tempi più recenti che si ha bisogno di dati abbondanti e accurati. Per farla breve: potrebbe benissimo essere che il
riscaldamento osservato successivamente al 1975 (circa 0,15 gradi per
decennio) sia da attribuirsi totalmente all’effetto dell’urbanizzazione
attorno alle stazioni di misura.
Nel periodo successivo al 1975 si ha però disponibilità di dati satellitari. I satelliti non registrano la temperatura della Terra, ma quella
dell’atmosfera, misurando la quantità di radiazione a microonde emessa dalle molecole che costituiscono l’aria sino a circa 8 km di distanza
dalla Terra. Le misure satellitari sono ovviamente più attendibili, sia
perché i satelliti riescono a campionare contemporaneamente una
porzione di globo più ampia, sia perché esse non sono viziate dall’effetto di urbanizzazione. Ebbene, il risultato è che le misure satellitari
non registrano l’aumento di temperatura registrato dalle misure sulla
Terra. Un risultato, questo, che trova conforto nelle misure effettuate,
sin dal 1960, dai palloni aerostatici, dai quali, pure, non si registra alcun aumento di temperatura.
Qual è il contributo d’origine antropica al presunto riscaldamento
globale?
Stabilite le incertezze su cui si fonda l’esistenza stessa del riscaldamento globale, passiamo a valutarne, nell’ipotesi che esso sia reale, il
contributo antropogenico.22 Indubbiamente, i gas-serra (innanzi tutto
acqua, e poi anidride carbonica) tengono la Terra calda: senza di essi,
avremmo 33 gradi di meno. Ma l’anidride carbonica (il secondo componente naturale, dopo il vapore acqueo, responsabile dell’effetto ser-
22
Comitato scientifico ANPA, «Sul contributo antropogenico ai cambiamenti climatici», in Scienza e ambiente, vol. 2, cap. 4, ANPA (2002).
Il principio di precauzione: precauzione o rischio?
177
ra “naturale”) è anche immessa nell’atmosfera dall’uomo ogni volta
che si bruciano combustibili fossili. Effettivamente, si osserva che, nel
tempo, le concentrazioni atmosferiche di CO2 e le temperature hanno
seguito un comportamento parallelo: a diminuzioni o aumenti delle
prime corrispondono diminuzioni o aumenti delle seconde. È però
importante essere consapevoli del fatto che comportamenti paralleli di
questo tipo non implicano necessariamente una relazione di causa-effetto; e, dovesse essa esserci, non rivelano qual è la causa e quale l’effetto. In particolare, sembra che gli aumenti di temperatura alla fine
delle ultime tre ere glaciali abbiano preceduto (e non seguito) corrispondenti aumenti di concentrazione di CO2. Purtroppo, le incertezze
di questo dato non permettono di assumerlo per assodato e definitivo.
In ogni caso, non vi è dubbio che la Terra potrebbe riscaldarsi per altre ragioni – l’attività solare, ad esempio – che disturbino il bilancio
tra la radiazione proveniente dal Sole e quella che la Terra rispedisce
indietro nello spazio.
Alcuni, infatti, ritengono che le variazioni di temperatura registrate
negli ultimi 150 anni siano da attribuire esclusivamente a variazioni
dell’attività solare. In particolare, il numero delle macchie solari (osservabili facilmente con un modesto telescopio) è stato accuratamente
registrato negli ultimi 400 anni (e segue un ben noto ciclo con periodo
di 11 anni). Ed effettivamente, esattamente come avveniva tra concentrazione di CO2 e temperatura della Terra, si è osservato che, nel tempo, l’attività solare e le temperature hanno seguito un comportamento
parallelo, come mostra la figura seguente, nella quale si riportano, in
funzione del tempo (dal 1860 al 1990), due curve: quella più chiara
rappresenta la lunghezza dei cicli di attività solare (indicata lungo l’asse verticale sinistro), quella più scura rappresenta le variazioni di temperatura globale media (indicate lungo l’asse verticale destro).23
23
E. Friis-Christensen - K. Lassen, Science 254, 698 (1991).
I rischi di una scelta disinformata…
9,7
0,3
Durata del ciclo solare (anni)
9,9
0,2
10,1
0,1
10,3
10,5
0,0
10,7
-0,1
10,9
11,1
-0,2
11,3
-0,3
Temperature medie (°C)
178
11,5
-0,4
11,7
-0,5
11,9
1860
1880
1900
1920
1940
1960
1980
2000
Solo che, in questo caso – dovesse esserci una relazione di causa-effetto – non ci sarebbero dubbi sull’attribuzione della causa e dell’effetto. Va però detto che il tentativo di valutare, dagli aumenti osservati
di attività solare, la consistenza degli aumenti di temperatura attesi, ha
portato alla conclusione che questi sono inferiori agli aumenti di temperatura osservati. Allora, vi è, forse, ancora spazio per attribuire
all’uomo almeno una parte dell’aumento di temperatura osservato
(ammesso che esso sia reale). Per cercare di togliersi il dubbio non c’è
altro da fare che affidarsi a modelli matematici e tentare di simulare la
realtà al calcolatore.
Questi modelli sono, essenzialmente, dello stesso tipo di quelli che
si usano per fare le previsioni meteorologiche. Ecco in breve come
funzionano. (1) La superficie della Terra è suddivisa in cellette bidimensionali da una griglia tracciata lungo i meridiani e i paralleli, e l’atmosfera sopra ogni celletta è quindi suddivisa in strati: l’intera atmosfera è così ripartita in tante “scatole”. (2) Entro ognuna di esse si fissano, ad un particolare istante di tempo, i valori delle grandezze fisiche significative (temperatura, pressione, umidità, velocità e direzione
del vento, etc.). (3) Si usano le equazioni del modello per far evolvere
nel tempo la situazione iniziale, calcolando i valori futuri delle grandezze fisiche significative in ogni “scatola”.
L’attendibilità di un modello dipende dalla sua capacità di predire... il passato: si parte dalle condizioni iniziali, poniamo, nel 1860; si
Il principio di precauzione: precauzione o rischio?
179
usa il modello per riprodurre le condizioni presenti; se queste non sono riprodotte, si modificano le condizioni iniziali e i parametri del
modello sino a che non si ottengono da esso previsioni in accordo col
futuro (rispetto al 1860) che conosciamo già (cioè sino ad oggi). Questo modo di procedere è senz’altro il migliore possibile, viste le enormi difficoltà del problema; ma non bisogna dimenticare che variando
a piacimento un gran numero di parametri si è in grado di riprodurre
qualunque cosa si voglia: la verità è che un modello costruito su un
numero sufficiente di parametri è in grado di riprodurre tutto e il contrario di tutto da qualunque insieme di dati.
Ad ogni modo, l’IPCC, in un rapporto firmato da 515 (sic!) autori,
osserva che i modelli matematici riprodurrebbero l’attuale riscaldamento globale solo a patto che siano incluse le emissioni antropogeniche di gas-serra, e pertanto conclude che «tenendo conto dei pro e dei
contro dei fatti, sembra che vi sia una ben distinguibile influenza umana sui cambiamenti climatici». Alcuni ritengono la conclusione azzardata. Innanzitutto, a causa dei limiti già detti inerenti a modelli che
contengono un gran numero di parametri. In secondo luogo, perché i
modelli considerati dall’IPCC falliscono quando s’includono in essi i
contributi provenienti dagli aerosol, che sono particelle – principalmente di solfati – che si formano dalle emissioni vulcaniche e antropogeniche: includendo gli aerosol, le temperature calcolate dai modelli
sono inferiori a quelle osservate. Infine, perché modelli diversi danno
risultati molto diversi tra loro, a causa della difficoltà connessa alla
trattazione delle masse di nuvole; per appropriatamente includerle nei
modelli, bisognerebbe dividere l’atmosfera in “scatole” molto più piccole, e quindi molto più numerose, fatto che renderebbe però impraticabili i già complessi calcoli.
Quali temperature potremmo attenderci fra 100 anni?
Se si assumono attendibili le misure satellitari e le si estrapola da
qui a 100 anni, per allora la temperatura media globale sarà aumentata
di mezzo grado, con un’incertezza di 1,5 gradi. Se invece – come fa
l’IPCC – si assumono fedeli le misure dalle stazioni a Terra e si attribuisce esclusivamente all’uomo la causa del riscaldamento globale, le
previsioni da qui a 100 anni dipendono da molteplici considerazioni
180
I rischi di una scelta disinformata…
(economiche, politiche, tecnologiche, etc.) sullo sviluppo dell’umanità; e che si riflettono, alla fine, sulla reale consistenza futura di emissioni di gas-serra.
Ebbene, l’IPCC, assumendo fedeli le temperature registrate sulla
Terra e attribuendo all’uomo la principale responsabilità del riscaldamento, esamina 40 possibili scenari, prende nota dei due scenari che
prevedono l’aumento minore e l’aumento maggiore di temperatura, e
conclude che per il 2100 ci si deve attendere un aumento di temperatura compreso fra 1,4 e 5,8 gradi. Curiosamente, l’IPCC non riporta
né l’incertezza di ciascun valore di temperatura previsto da ciascuno
degli scenari, né la probabilità che questi scenari hanno di realizzarsi.
Ad esempio, gli scenari che prospettano i maggiori aumenti di temperatura sono quelli che assumono che tutti i paesi in via di sviluppo
avranno nel frattempo raggiunto standard di vita uguali a quelli dei
paesi industrializzati. Un’assunzione, questa, che, anche se desiderabile col cuore, sembra francamente lontana da ogni oggettiva realtà delle cose. Anche se noi che scriviamo possiamo prenderci la libertà di
essere così “politicamente poco corretti”, l’IPCC, un organismo intergovernativo comprendente rappresentanze da un centinaio di paesi,
molti dei quali in via di sviluppo, non può evidentemente prendersi
quella stessa libertà. Certamente non sino al punto da escludere dai
propri rapporti quei fantasiosi scenari. Se si fa questa “scrematura”
(ed è stata fatta in studi indipendenti)24 l’aumento massimo di temperatura da attendersi per il 2100 (nell’ipotesi che siano le attività umane
le responsabili principali del presunto global warming) non è superiore a 3 gradi. Se invece il contributo antropogenico fosse irrisorio, dai
dati disponibili sull’attività solare possiamo attenderci, fra 100 anni,
variazioni di temperatura comprese fra –1,0 e 2,0 gradi.
Un eventuale riscaldamento globale, che sia di realistica entità, sarebbe
dannoso o benèfico per l’umanità?
Innanzi tutto, è chiaro che – a meno di credere che la temperatura
oggi sia esattamente la migliore concepibile – è ragionevole pensare
24
T.M.L. Wigley - S.C.B. Raper, Science 293, 451 (2001).
Il principio di precauzione: precauzione o rischio?
181
che il mondo potrebbe trarre benefìci da modeste variazioni di temperatura. Bisogna stabilire se questi benefìci verrebbero da una modesta
diminuzione o da un modesto riscaldamento.
a) L’incidenza di mortalità è certamente correlata alle temperature:
sia il caldo che il freddo estremo favoriscono i decessi, ma è stato
dimostrato che condizioni di freddo estremo hanno un’incidenza
doppia di quelle di caldo estremo. Inoltre, se si tiene conto del fatto che un eventuale global warming comporterà maggiori aumenti
di temperatura nelle stagioni fredde che non in quelle calde, si può
concludere che, rispetto alla mortalità umana, un modesto global
warming avrebbe effetti benèfici.
b) Gli scenari dell’IPCC prevedono, per il 2100, un innalzamento dei
mari compreso fra 9 e 90 centimetri. Ma bisogna osservare due fatti. Innanzi tutto, il mondo riesce benissimo ad affrontare questo
problema, come testimonia l’Olanda, col suo imponente sistema di
dighe che la difende dal mare. Naturalmente, si potrebbe obiettare
che un paese come il Bangladesh, la cui popolazione vive, per il
25%, in zone costiere a circa un metro sul livello del mare, potrebbe non essere in grado, per la sua povertà, di prendere le adeguate
misure protettive. Non bisogna tuttavia dimenticare che i “peggiori” scenari previsti dall’IPCC (in questo caso, l’innalzamento dei
mari di 90 centimetri) assumono che i paesi poveri abbiano raggiunto lo stesso benessere economico dei paesi ricchi, per cui, in
quel caso, come oggi l’Olanda, anche il Bangladesh saprebbe come
affrontare il problema.
In secondo luogo, va precisato che il livello del mare sta aumentando da millenni. Da quando la Terra è uscita dall’ultima glaciazione,
il livello del mare è aumentato di ben 100 metri, per due cause
principali: la fusione dei ghiacciai e la dilatazione termica delle acque. La prima, è un evento in corso a partire dalla fine dell’ultima
era glaciale e non ha avuto alcuna accelerazione nell’ultimo secolo.
Anzi, non è escluso che un clima più caldo possa interromperla, in
conseguenza di aumentate precipitazioni, che ai poli si depositerebbero come neve.
182
I rischi di una scelta disinformata…
c) I benefìci sull’agricoltura da un modesto global warming sono indubbi. Anzi, in questo caso l’aumento di temperatura è sinergico
con l’aumento di concentrazione di CO2: nelle serre tecnologicamente più avanzate si pompa, appunto, CO2 per ottenere rendimenti più alti.
In conclusione, nell’ipotesi che effettivamente l’uomo contribuisca
significativamente al riscaldamento globale, non c’è da attenderselo,
realisticamente, superiore a 2-3 gradi da qui al 2100. Ma, in questo caso, esso avrebbe, nel complesso, effetti benèfici per l’umanità. Naturalmente, sarebbe insensato che l’umanità si sforzi di raggiungere artificialmente la temperatura che si ritenga essere la migliore possibile.
Ma, allo stesso modo, dovremmo convenire che sarebbe parimenti insensato ogni sforzo, per di più in nome del PdP, per evitare di raggiungere quella condizione ideale.
Un’ultima osservazione va fatta, in ordine al presunto eccezionale
ed eccezionalmente rapido cambiamento climatico di cui saremmo testimoni: d’eccezionale non c’è né l’attuale presunto cambiamento climatico né la sua rapidità.25 Un fatto è certo: il clima del pianeta può
radicalmente cambiare, come le ere glaciali inconfutabilmente attestano. Cinquant’anni fa, quando ancora si riteneva che ciò potesse avvenire solo con tempi dell’ordine delle decine di migliaia d’anni, ci si è
confrontati con l’evidenza che seri cambiamenti climatici avvennero
anche nell’arco di pochi millenni; ridotti a pochi secoli dai risultati
delle ricerche nei successivi 20 anni, e ulteriormente ridotti ad un solo
secolo dai resoconti scientifici degli anni Settanta e Ottanta. Oggi, la
scienza sa che cambiamenti climatici, nel passato, sono avvenuti anche
nell’arco di pochi decenni.
Nel 1955, datazioni al 14C effettuate su reperti scandinavi rivelarono che il passaggio, circa 12000 anni fa, da clima caldo a clima freddo,
avvenne durante un millennio. Un periodo che fu definito “rapido”,
vista l’universale convinzione che tali cambiamenti potevano avvenire
solo in tempi di decine di migliaia d’anni. Conferme vennero da altre
ricerche: ad esempio, quella dell’anno successivo che accertò che l’ul-
25
S. Weart, Physics Today 56, 30 (2003).
Il principio di precauzione: precauzione o rischio?
183
tima era glaciale finì col “rapido” aumento di un grado per millennio
della temperatura globale media; e quella di 4 anni dopo, secondo cui
vi furono nel passato, e nell’arco di un solo millennio, aumenti di temperatura anche di 10 gradi. E altre ancora, finché nel 1972 il climatologo Murray Mitchell ammetteva che le evidenze degli ultimi 20 anni
forzavano a sostituire la vecchia visione di un grande, ritmico ciclo
con quella di una successione rapida e irregolare di periodi glaciali e
interglaciali all’interno di un millennio.
Anche se, allora, il timore dominante era la possibilità che la fine
del secolo avrebbe potuto segnare l’inizio di un periodo glaciale con
evoluzione rapida (cioè in pochi secoli) verso condizioni “fredde” catastrofiche per l’umanità) non mancava, tuttavia, chi avvertiva del pericolo opposto: il riscaldamento globale a causa delle emissioni umane. In
quello stesso 1972, infatti, il climatologo M. Budyko dichiarava che alla
velocità con cui l’uomo immetteva CO2 nell’atmosfera, i ghiacciai ai
poli si sarebbero completamente sciolti entro il 2050. Insomma, ancora
30 anni fa gli scienziati non si erano messi d’accordo se un’eventuale
minaccia proveniva dal troppo freddo o dal troppo caldo.
Mentre erano concordi su una cosa, che di troppo era certamente:
la loro ignoranza. E invocarono – giustamente – maggiori risorse. Grazie alle quali andarono in Groenlandia ove, dopo 10 anni di tenace lavoro, estrassero, dalle profondità fino ad oltre 2 km, “carote” di
ghiaccio di 10 cm di diametro. Dalle analisi dell’abbondanza relativa
degli isotopi dell’ossigeno nei diversi strati di ghiaccio (il più profondo dei quali conserva le informazioni sulle temperature di 14mila anni
fa) si ebbe la conferma che drammatiche diminuzioni di temperatura
erano avvenute in pochi secoli.
Ma fu solo una decina d’anni fa – nel 1993 – che gli scienziati rimasero, è il caso di dire, di ghiaccio: quando scoprirono, da nuovi carotaggi, che la Groenlandia aveva subito aumenti di anche 7 gradi
nell’arco di soli 50 anni; e, a volte, con drastiche oscillazioni anche di
soli 5 anni!
Anche se «questi rapidissimi cambiamenti del passato non hanno
ancora una spiegazione», come dichiara un recente rapporto dell’Accademia Nazionale delle Scienze americana, la scienza ha accettato
l’idea di un sistema climatico la cui variabilità naturale si può manifestare anche nell’arco di pochi decenni. Non c’è nessuna ragione – di là
184
I rischi di una scelta disinformata…
da quella che ci rassicura psicologicamente – per ritenere che essi non
debbano manifestarsi oggi. Vi sono invece tutte le ragioni per ritenere
che quella secondo cui l’uomo avrebbe influenzato i cambiamenti climatici sia un’idea – come tutte quelle dei Verdi, ad essere franchi –
priva di fondamento; e per ritenere, semmai, che sono i cambiamenti
climatici ad aver influenzato l’uomo e il percorso della civiltà.
Una cosa senz’altro certa è la circostanza secondo cui i vincoli del
protocollo di Kyoto (ridurre del 5%, rispetto a quelle del 1990, le
emissioni di gas serra da parte dei paesi industrializzati) avrebbero effetto identicamente nullo sul clima: nell’atmosfera vi sono 3000 miliardi di tonnellate di CO2, l’uomo ne immette, ogni anno, 6 miliardi di
tonnellate, di cui 3 provengono dai paesi industrializzati, pertanto il
protocollo di Kyoto equivarrebbe a immettere nell’atmosfera 5,85 miliardi di tonnellate di CO2 anziché 6 miliardi. Un primo passo, dicono
gli ambientalisti; ma anche montare su uno sgabello è un primo passo
per raggiungere la Luna! (Né, d’altra parte, veniamo informati di quali sarebbero gli altri passi).26 Insomma, la temuta temperatura che
l’umanità potrebbe dover sopportare nel 2100, se si applicasse il protocollo di Kyoto verrebbe ritardata al 2101! Sennonché, gli sforzi economici conseguenti allo rendere operativo quel protocollo sarebbero
disastrosi: nel caso dell’Italia, quel disastro – è stato valutato – comporterebbe, tra le altre cose, la perdita di oltre decine di migliaia
(51.000 nel 2010, sino a 277.000 nel 2025) di posti di lavoro per ridotta produttività.27
26
Tanto più che, curiosamente (o schizofreneticamente, direbbe qualcuno) viene respinta la possibilità di servirsi dell’unica fonte energetica – quella
nucleare – che, veramente competitiva coi combustibili fossili, permetterebbe, se massicciamente impiegata, di raggiungere gli obbiettivi non di uno ma
di diversi “protocolli di Kyoto”: la Francia, ad esempio, raggiunge già quegli
obbiettivi e la Svezia è addirittura in credito rispetto alle emissioni di gas-serra. Per converso, la Danimarca, il paese al mondo che più investe sulle energie rinnovabili (principalmente nell’eolico), deve ridurre le proprie emissioni
di gas-serra di un buon 21% per allinearsi coi vincoli di Kyoto.
27 M. Thorning, «The impact of Eu climate-change policy on economic
competitiveness», Atti della conferenza Dall’effetto serra al dirigismo ecologico, Istituto Bruno Leoni, Milano, 29 novembre 2003.
Il principio di precauzione: precauzione o rischio?
185
Quindi, come si vede, gli unici due casi che, secondo il rapporto
della Commissione dell’Ue, “dimostrerebbero” la valenza positiva del
PdP, dimostrano invece esattamente il contrario. Alla fine, non sembra sia possibile citare alcun caso – neanche uno – in cui l’applicazione del PdP abbia scongiurato un danno, ridotto un rischio o apportato benefìci.
Qualcuno pensa di poter addurre casi in cui il PdP non sarebbe
stato applicato; ove invece, se lo fosse stato, si sarebbero potuti evitare
dei danni. Tipicamente, si cita il caso dell’amianto e si usa dire: se
questo materiale fosse stato bandito da subito, non ci sarebbero stati
gli spiacevoli casi di asbestosi verificatisi tra i lavoratori a esso esposti.
La verità è un’altra. Innanzitutto, quando circa un secolo fa si cominciò ad usare l’amianto, nessuno poteva sospettare nulla. I primi sospetti vennero alcuni decenni dopo, perché questi sono i tempi tra
esposizione all’amianto e manifestazioni patologiche. In ogni caso,
quando quei sospetti vennero, la scienza non rimase con le mani in
mano, ma studiò il caso; e nel 1954 decretò con certezza la pericolosità di quel materiale. Che venne messo al bando, per lo meno in Italia, ben 40 anni dopo! Quindi, non ci fu nessun PdP che non venne
applicato. Quel che non venne applicata fu l’elementare precauzione
su una sostanza di cui si era riconosciuta, alla fine, la pericolosità: ancora una volta, fu il legislatore, cioè la politica, il soggetto inadempiente e sordo alla voce della comunità scientifica.
5. Conclusioni
Concludo con una riflessione e una proposta. Innanzitutto, bisognerebbe ricordare che l’analisi e la gestione del rischio può procedere seguendo il metodo scientifico, e avvalendosi di commissioni di organismi che siano scientificamente accreditati, ufficialmente riconosciuti e indipendenti da eventuali interessi economici attinenti al problema in questione. Non vi sarebbe nessuna necessità di invocare un
principio ad hoc, soprattutto se esso intenda scavalcare ogni analisi e
gestione del rischio fatta col metodo scientifico e sostituire i detti organismi coi responsabili politici. Costoro, piuttosto, sulle questioni indagabili scientificamente hanno il dovere di adeguarsi ai risultati di
quelle indagini: potrebbero essere, come visto, inestimabili i danni
186
I rischi di una scelta disinformata…
conseguenti a comportamenti non conformi alle indicazioni dell’indagine scientifica, magari nell’ottica dell’affermazione di un generico,
acritico e a priori “primato della politica”. Il rifiuto del “primato della
politica” su quelle scelte che possono essere guidate dall’indagine
scientifica è un dovere che ognuno, soprattutto se scienziato, deve
esercitare: la scienza, infatti, per sua stessa natura, rifiuta l’autorità,
qualunque autorità diversa da quella che i fatti e la Natura impongono.
Se proprio si sentisse la necessità di un principio guida, forse può
essere elemento di riflessione la seguente riformulazione, da me proposta, del PdP (da confrontarsi con quella data all’inizio):
«Ove vi siano minacce scientificamente accertate di danno serio o
irreversibile, i responsabili politici hanno l’obbligo di non posporre
misure – anche non a costo zero ma purché efficaci – volte a prevenire
il temuto degrado ambientale».
Lo chiamerei, questo, “principio di (tripla) priorità”: (i) priorità
dell’analisi scientifica rispetto alle preoccupazioni emotive (e ciò significa adottare una scala di priorità che tenga conto del rapporto
costi/benefici); (ii) priorità della ragione scientifica rispetto a quella
politica; (iii) priorità della salvaguardia ambientale rispetto all’onere
economico.
In definitiva, il vero rischio del PdP è che tramite esso le conoscenze della fisica, chimica, biologia, medicina – della scienza in genere,
insomma – vadano riscritte nelle aule dei parlamenti, prima, e dei tribunali, poi. Ebbene, possiamo dire che l’associazione Galileo 2001 si
propone di impedire che ciò avvenga.
CONCLUSIONI
Prof. Renato Angelo Ricci *
C
ome Presidente, dovrei ora tirare le conclusioni. Innanzitutto
vorrei ringraziare gli Enti che ci hanno sponsorizzato – in particolare, il Ministero dell’Ambiente e il mensile tecnico-scientifico Alimenta – e coloro che hanno resistito fino alla fine a questo
Convegno. Uno potrebbe domandarsi se convegni di questo genere finiscano soltanto per essere quello che io già da tempo, ogni volta che
ci si ritrova, chiamo “società di mutua ammirazione” oppure se in
qualche modo servano a qualcosa. Il fatto che da più di 25 anni mi occupi di queste cose e continui a farlo sta a dimostrare che un minimo
di ottimismo ce l’ho ancora e che quindi ritengo che, in ogni caso, cose di questo genere qualche seme, anche se piccolo, lo lasciano.
E vorrei fare un esempio: si tratta del dibattito aperto sull’energia
nucleare. In particolare, dei 20 anni trascorsi dall’incidente di Chernobyl, che hanno offerto l’occasione a Galileo 2001 di sponsorizzare il
volume Chernobyl 20 anni dopo il disastro di Ugo Spezia e che fa seguito alla prima edizione uscita nel 1996 a 10 anni di distanza
dall’evento. In effetti sono 20 anni che ci battiamo perché il disastro
dell’informazione che ha seguito il disastro della centrale ucraina sia
in qualche modo superato, riprendendo una discussione che in tutto il
mondo ormai si è riaccesa. E, malgrado difficoltà evidenti, anche nel
nostro paese. Un paese completamente anomalo, in particolare
nell’ambito dell’Unione Europea visto che l’Europa non solo a 15 ma
anche a 25 utilizza l’energia nucleare come prima fonte (30-35%) per
la produzione di energia elettrica (seguita dal carbone). Ciò malgrado,
* Presidente Associazione Galileo 2001
188
I rischi di una scelta disinformata…
pur non essendone produttore, il nostro paese utilizza energia elettronucleare per oltre il 15% del proprio fabbisogno elettrico e si avvia a
partecipare (speriamo con coscienza) ad imprese nucleari estere. Ciò
che ancora sorprende (ma forse non tanto, se si riflette bene) è che
quest’anno i mass-media abbiano ripreso a parlare in termini catastrofici di Chernobyl il 26 marzo (un mese prima del fatidico 26 aprile)
forse perché è il 9 aprile la data fissata per le elezioni politiche. Mi
sembra quindi che se vogliamo chiarire il rapporto fra ciò che andiamo dicendo (o, se volete, predicando) e l’impatto che ne deriva, dobbiamo prima di tutto incidere là dove le contraddizioni a livello politico appaiono più evidenti.
Mi rifarei all’intervento di De Fez che mi è parso intellettualmente
onesto (qualità sempre più rara) per cogliere alcuni spunti sia “politicamente corretti” che “politicamente scorretti”. Tanto per metterla in
termini un po’ ironici, si potrebbe dire che certe “continuità” anche
fra governi e legislature diverse si possono constatare nei fatti: esempio tipico l’atteggiamento ostile agli OGM del Ministero delle Politiche Agricole (i politici ministri Pecorario Scanio, prima, e Alemanno,
poi) e l’atteggiamento favorevole agli OGM del Ministero della Salute
(gli uomini di scienza ministri Veronesi, prima, e Sirchia, poi).
Dovremmo noi oggi essere più pessimisti o più ottimisti? È veramente difficile dirlo poco tempo prima delle elezioni e in attesa di conoscere quale sarà la prossima legislatura. Certe dichiarazioni programmatiche, nella loro ambiguità, lasciano tuttavia un po’ perplessi
soprattutto per ciò che riguarda le strategie energetiche e i campi elettromagnetici, in particolare nell’ambito del centrosinistra. Per gli
OGM nulla è chiaro e vogliamo sperare che gli argomenti qui trattati
ed esposti possano costituire una documentazione interessante, se non
importante, per la classe politica.
Noi, è questa la mia conclusione, abbiamo il dovere di ribadire la
necessità di un’informazione corretta, essendo noi stessi attori della
cultura scientifica, sopratutto verso i giovani. Qualcuno ha detto che
forse i giovani hanno maggiore indipendenza di giudizio, anche se
però sono costretti da un ambito culturale che tende a diffondere
informazioni distorte. Nelle scuole elementari a parlare di questioni
energetico-ambientali non ci sono le associazioni scientifiche ma associazioni ambientaliste, non sempre competenti, mentre associazioni
Conclusioni
189
come Galileo 2001 trovano notevoli difficoltà anche a svolgere la propria azione. Oggi abbiamo ringraziato il vice-ministro Nucara perché,
se non altro, questo Ministero dell’Ambiente qualche supporto lo ha
dato e per questo gliene siamo grati. Questo ottimismo “minimo” deve continuare ad accompagnarci, anche perché dobbiamo guardare al
di là dei nostri confini: non siamo soli, e vivere nel contesto europeo e
internazionale significa rendere conto su scala globale delle scelte politiche che verranno fatte. La responsabilizzazione di tali scelte va richiamata sempre e puntualmente da chi, come noi, ha solo da rivendicare competenza e consapevolezza.
Certo non possiamo limitarci all’informazione. Dobbiamo ad
esempio rivendicare una unità nazionale delle conoscenze scientifiche
e delle scelte strategiche che ne conseguono. Per gli OGM, come per
le altre questioni di fondo già citate, ciò è tanto più vero in quanto sono vivi certi atteggiamenti regionali derivanti da una mal concepita
autonomia, con posizioni che creano confusione e portano discredito
ad una programmazione nazionale. È il progresso in questa direzione
che noi auspichiamo. Grazie.
APPENDICE
Questa appendice riproduce il Rapporto che, nel 2001, preparò il
Comitato Scientifico dell’Agenzia Nazionale Protezione Ambiente. i
cui componenti erano i professori:
Renato Angelo RICCI,
Franco BATTAGLIA,
Argeo BENCO
Tullio BRESSANI
Ezio BUSSOLETTI
Cinzia CAPORALE
Giovanni CARBONI
Elio DESIMONI
Rodolfo FEDERICO
Giovanni FOCHI
Roberto HABEL
Annibale MOTTANA
Franco PANIZON
Carlo PELANDA
Francesco SALA
Paolo SEQUI
Umberto TIRELLI
Giorgio TRENTA
Paolo VECCHIA
Antonio VITALE
Presidente
Coordinatore
Con la collaborazione di: Angela ROSATI
RISCHI AMBIENTALI DA PIANTE GM
Riassunto
P
rima dell’introduzione delle piante GM (Geneticamente Modificate), non si era mai sentita la necessità di imporre valutazioni
di sicurezza per l’impatto ambientale delle piante coltivate e
per i loro effetti sulla salute umana o animale. In contrasto, esaustive
analisi sono oggi ufficialmente richieste nel caso in cui il miglioramento genetico delle piante preveda operazioni di ingegneria genetica.
Discutendo i dati sperimentali prodotti dall’intensa ricerca condotta in più di dieci anni nella Comunità Europea e nel resto del mondo,
il presente documento concorda con la osservazione che l’integrazione
di un gene esogeno in una pianta GM non rappresenta, di per sé, un
fattore di pericolo.
Inoltre, questo documento espone il principio secondo cui ha senso valutare i rischi associati alla coltivazione di piante GM solo se questi rischi vengono confrontati con quelli che si incontrano nella agricoltura tradizionale basata sull’uso di piante non-GM. Anzi, il trasferimento genico risulta una pratica di miglioramento genetico estremamente più controllabile rispetto alle pratiche tradizionali basate sulla
mutagenesi e sull’incrocio. Eventuali rischi possono derivare solo dalla natura del gene selezionato per una specifica applicazione. Ne consegue che la valutazione del rischio dovrà essere effettuata “caso per
caso” e che le conclusioni relative ad un caso non saranno generalizzabili.
Infine, il documento conclude che sarebbe fuorviante considerare i
rischi della coltivazione di una specifica pianta GM se questi non venissero confrontati con quelli che oggi si incontrano nella corrispon-
194
I rischi di una scelta disinformata…
dente coltivazione non-GM. È infatti evidente che anche la pratica
agricola tradizionale, inclusa l’agricoltura oggi definita “biologica”,
può comportare rischi per l’ambiente e per la salute.
La proposta è quindi che si accetti ciascuna delle piante GM prodotte dalla ricerca scientifica solo se il rischio da esse presentato risulterà eguale o, meglio, inferiore a quello che oggi accettiamo per la coltivazione della corrispondente pianta non-GM. In altri termini, si valuti il rapporto rischi/benefici e si proibisca l’uso della pianta GM se
questo rapporto risulterà inaccettabile, ma la si accetti quando i rischi
risultino ridotti ed i benefici notevoli. Il documento elenca ed analizza
specifici rischi per l’ambiente delle piante GM e propone, ove possibile, approcci che possono ridurne il livello.
1. Il problema
Prima dell’introduzione delle piante GM (Geneticamente Modificate), non si era mai sentita la necessità di imporre valutazioni di sicurezza per l’impatto ambientale delle piante coltivate e per i loro effetti
sulla salute umana o animale. Il genetista delle piante coltivate (“plant
breeder”) selezionava, e registrava per la commercializzazione, nuove
varietà, o anche nuove specie importate da paesi lontani, semplicemente sulla base di caratteristiche agronomiche e commerciali favorevoli. Tra queste: vantaggi agronomici (resa, resistenza a parassiti e a
stress abiotici), analisi sensoriali (sapore, profumo), vantaggi commerciali (conservazione del prodotto e sua accettabilità); meno frequentemente erano considerate anche alcune analisi chimiche, come, ad
esempio quelle riguardanti il contenuto di proteine nei semi dei cereali o di amilosio in quelli di riso.
Eppure rischi ambientali esistevano anche allora. Il polline ed i semi delle piante hanno sempre avuto la possibilità di impollinare le
piante sessualmente compatibili presenti nell’ambiente e quindi di interferire con la biodiversità; oppure potevano colonizzare i suoli con i
loro semi e qualche volta diventare invasive. È successo ad esempio
con la robinia, introdotta per consolidare le massicciate delle ferrovie
e ora presente in tutta Italia. È successo anche con l’ailanto e addirittura con alcuni meli che si ritrovano oggi ad “inquinare” la flora del
Parco del Ticino.
Rischi ambientali da piante GM
195
Esistevano anche allora pericoli per la salute umana ed animale. La
patata ed altre solanacee contengono sostanze tossiche come i glico-alcaloidi; giovani piantine di basilico (ma non piante che hanno superato i 10 cm in altezza) accumulano alte dosi di metil-eugenolo, un ben
noto cancerogeno (Miele et al., 2001); sostanze che provocano allergie
sono presenti non solo in una pianta esotica come il kiwi, ma anche
nel riso e nel frumento.
In contrasto, esaustive analisi sono oggi ufficialmente richieste nel
caso in cui il miglioramento genetico delle piante coltivate preveda l’integrazione di un gene esogeno nel loro DNA mediante l’uso di metodologie di ingegneria genetica. Tutte la nazioni del mondo si sono dotate di rigide leggi e linee guida per la valutazione dei rischi delle piante GM e la valutazione deve essere eseguita ancora prima che queste
possano ricevere il permesso di rilascio nel sistema agricolo o forestale.
Le leggi si applicano anche a piante GM per uso biomedico per cui sia
prevista la crescita in serra, in condizioni altamente controllate.
È oggi radicata nell’opinione pubblica la convinzione che, nonostante i controlli, le piante GM siano portatrici di nuovi eccessivi rischi per la salute umana e per l’ambiente. È diffuso il convincimento
che l’inserimento di un gene nel DNA di una pianta costituisca, di per
sé, un inaccettabile rischio. Questa capillare sensibilizzazione ai rischi
derivanti dall’agricoltura, ma limitatamente alle piante GM, è la conseguenza di una campagna anti-piante GM condotta negli ultimi 10
anni in modo deciso, e a volte spettacolare, da gruppi di opinione. A
questa campagna è legato il fenomeno, tutto italiano, della comparsa
di “Comuni Deingegnerizzati” e di leggi regionali che mettono al bando il cibo GM.
È stata creata inoltre un’artificiosa contrapposizione tra piante GM
e qualità. Il cibo GM viene recepito come antagonista del cibo di qualità, sottintendendo che la difesa della qualità deve passare attraverso
la lotta contro le piante GM.
2. Una domanda fondamentale: il gene esogeno è di per sè un
fattore di rischio?
Una pianta GM è una pianta il cui DNA è stato modificato introducendo un gene isolato da un altro organismo vivente. Il resto del
196
I rischi di una scelta disinformata…
genoma resta identico a quello della pianta di partenza. È la prima
volta nella storia dell’agricoltura in cui si riesce ad attuare un intervento di miglioramento genetico così mirato e puntiforme. Sino al 1985 il
miglioramento genetico delle piante prevedeva, essenzialmente, la mutagenesi e l’incrocio tra individui sessualmente compatibili. Nell’incrocio si mescolano in eguale rapporto i cromosomi di due individui,
e si selezionano le piante (i figli) con le combinazioni genomiche più
favorevoli. In alcuni casi, si ricorre a successivi reincroci con una delle
due piante parentali (“incrocio ricorrente”) in modo da aumentare
l’apporto del genoma di uno dei due partner. La mutagenesi è invece
basata sull’induzione di modifiche nel DNA (con agenti chimici o fisici) e sulla successiva selezione di mutanti di interesse. In quest’ultimo
caso si ottengono piante con modifiche in un numero imprecisato di
geni, oltre che in quello desiderato: nessuno può escludere che alcune
di queste modifiche rappresentino rischi per l’uomo e l’ambiente.
Con la definizione di metodologie per l’identificazione e l’isolamento di geni da qualsiasi organismo vivente si è aperta la porta alle
piante GM. È infatti oggi possibile trasferire geni selezionati in piante
ed ottenerne l’integrazione nel loro DNA. Dunque, la nuova pianta,
che conteneva alcune decine di migliaia di geni ne conterrà ora uno in
più. Naturalmente il gene sarà stato selezionato tra quelli che conferiscono una nuova interessante caratteristica genetica.
La prima domanda che la scienza si è posta è se l’inserimento di
una nuova sequenza di DNA sia di per sé un elemento di rischio non
accettabile. In altre parole, l’introduzione di un gene esogeno comporta nuovi, inattesi rischi che non possano essere evitati con le procedure di selezione e di controllo usate tradizionalmente dal breeder nel
miglioramento genetico tradizionale?
Un ulteriore motivo di preoccupazione è rappresentato dal fatto
che il trasferimento di geni attraverso l’ingegneria genetica supera le
barriere sessuali. Infatti, mentre la mutazione modifica geni già esistenti in una varietà coltivata e l’incrocio sessuale rimescola i genomi
dei due partner, l’ingegneria genetica, per la prima volta, supera le
barriere di compatibilità sessuale e può introdurre geni isolati dai più
diversi organismi. La preoccupazione fondamentale è: può questo
rappresentare una turbativa pericolosa dei meccanismi genetici della
pianta stessa creando nuovi gravi elementi di rischio?
Rischi ambientali da piante GM
197
Qualche pubblicazione a sostegno di queste preoccupazioni è apparsa nella letteratura scientifica (Ho et al., 1999). Tuttavia le argomentazioni a supporto di ciò sono state decisamente confutate e dimostrate prive di serie basi scientifiche (Trewavas e Leaver, 2000). La
risposta della scienza è che queste preoccupazioni sono da escludere:
lo scambio di geni tra specie differenti è un evento del tutto naturale,
seppure avvenga in natura con una frequenza estremamente più bassa
di quella tra individui sessualmente compatibili. Geni passano addirittura da batteri al DNA delle piante. Anche il DNA dei virus si può integrare nel DNA della pianta (come anche in quello dell’uomo). Inoltre, il DNA di tutti gli organismi non è così stabile come si credeva negli anni ’50 agli albori delle scoperte sul DNA. Oggi si sa che il DNA
degli organismi viventi è plastico, si spezza, si riarrangia, modifica il
numero dei suoi geni, è composto in maggioranza da sequenze ripetute che non sono geni, che possono aumentare o diminuire di numero e
che possono integrare sequenze esogene. Il DNA delle piante è ancora
più plastico di quello animale (Marx, 1984; Sala, 2000). È stato proposto (Walbot e Cullis, 1983) e successivamente ampiamente dimostrato,
che “al contrario degli animali”, che sfuggono alle condizioni ambientali avverse cambiando ambiente, le piante, incapaci di muoversi, vi si
adattano modificando il loro DNA”.
In definitiva si può affermare che gli effetti positivi o negativi di un
nuovo gene in una pianta non sono legati al processo in sé del trasferimento di un frammento di DNA, ma piuttosto alla natura del gene
stesso; non è quindi possibile sostenere il principio di una pericolosità
generalizzata. Rischi e benefici di una pianta GM (ad esempio, soia
con gene di resistenza ad un erbicida, melo resistente agli insetti, riso
che accumula una vitamina nel suo seme) saranno relativi al caso in
esame, come lo sono sempre stati nel caso di selezione di mutanti e di
ibridi con le tecniche tradizionali.
Altre considerazioni generali possono esserci utili per comprendere la natura del trasferimento di geni nelle piante GM. La più importante è quella relativa alla nozione consolidata che afferma l’universalità del codice genetico: a parte alcune differenze evolutive, non esistono differenze sostanziali tra i geni dei diversi organismi. Per il biologo molecolare non esiste un gene “animale” o “vegetale”. L’uomo è
uomo non perché possiede geni “umani”, ma perché possiede una se-
198
I rischi di una scelta disinformata…
rie di geni diversi (30.000 o più) che specificano, nel loro insieme lo
sviluppo dell’organismo “uomo”. Molti dei geni dell’uomo sono anche presenti nelle piante, nei batteri e nei funghi. Ma è sempre l’insieme dei geni e la loro attività coordinata, che specifica lo sviluppo di
una pianta, un batterio, un fungo o anche un virus.
Le moderne metodologie permettono l’isolamento di geni da qualsiasi organismo vivente (vegetale, animale, fungo, batterio o virus) ed
il loro trasferimento nel DNA delle piante (o negli altri organismi). Il
gene esogeno, una volta inserito, si comporterà come gli altri geni della pianta e verrà ereditato nella progenie seguendo le ben consolidate
leggi di Mendel. In base a queste considerazioni, anche un gene isolato dal DNA dell’uomo (ad esempio il gene per la sintesi di insulina)
potrà quindi, quando inserito nel DNA di una pianta, essere considerato, a tutti gli effetti, un gene della pianta stessa (insulina è stata già
prodotta in piante di tabacco).
Il concetto di “Rapporto Rischi/Benefici”
Se si desidera dare una base logica alla discussione sull’accettabilità
delle piante GM bisogna partire dalla constatazione che, nelle attività
umane, la sicurezza è sempre un concetto relativo. In ogni specifica
situazione, essa è correlata al livello di tolleranza del rischio che viene accettato in confronto con i benefici che derivano dalla attività
stessa. Non esiste un’attività umana assolutamente esente da rischi. La
penicillina ha salvato, e salva tuttora, milioni di vite da gravi infezioni,
e la consideriamo per questo un farmaco essenziale anche se ogni anno uccide (solo in Italia) alcune decine di persone per shock anafilattico. Ma accettiamo anche la motorizzazione che provoca migliaia di
lutti ogni anno, inquina l’aria delle città e ne danneggia il patrimonio
architettonico: evidentemente, nella percezione comune i vantaggi
dell’uso dell’auto superano abbondantemente i suoi rischi. Allora, il
rischio zero non esiste in alcuna attività umana.
Non esiste neanche in agricoltura, come sopra accennato. Non esiste tra i prodotti nazionali di qualità (Miele et al., 2001) e non esiste
neanche nell’agricoltura biologica, oggi proposta come alternativa
“naturale” alla agricoltura GM. È dimostrato, ad esempio che le aflatossine si accumulano preferenzialmente nelle piante non resistenti ai
Rischi ambientali da piante GM
199
funghi o non trattati con fungicidi (Verderio et al., 1998; Munkvold et
al., 1999; http://www.scisoc.org/feature/Btcorn/Top.html). Sono
istruttivi a tale riguardo gli studi sulle fumosine, una classe di micotossine che, contaminando le piante e i semi di mais, risulta neurotossica
e carcinogenica negli animali e, probabilmente, nell’uomo (le analisi
conclusive sono attualmente in corso: WHO, 2000). Semplicemente, i
benefici del miglioramento agricolo sono sempre stati considerati, e
quasi sempre a ragione, di gran lunga superiori ai rischi.
La lunga tradizione di miglioramento genetico delle specie vegetali
coltivate ha costantemente migliorato la produttività e la qualità. Ciò è
stato frequentemente ottenuto attraverso l’incrocio di varietà coltivate
o di queste con varietà selvatiche. Ma l’incrocio ha i suoi rischi: può
attivare nella progenie geni che erano inattivi negli individui parentali:
come nell’incrocio tra un uomo ed una donna perfettamente sani si
può verificare la nascita di un figlio affetto da gravi patologie, così anche dall’incrocio tra due piante innocue per la salute umana e per
l’ambiente può derivare una progenie che produce una sostanza tossica o che risulta invasiva nell’ambiente.
Anche la produzione e selezione di mutanti con migliorate caratteristiche agronomiche e merceologiche può comportare situazioni di rischio: sia nel caso di mutanti naturali che in quello di mutanti indotti
da radiazioni o da agenti chimici, i geni sono modificati a caso ed in
modo incontrollabile. Quindi, nell’incrocio e nella mutagenesi non vi
è certezza di quale sia il nuovo set-up genetico. Questo è noto da tempo, e si ovvia a ciò producendo innumerevoli incroci o mutanti per
poi eliminare, attraverso processi di selezione in campo, le piante che
specifichino caratteri agronomici negativi o la produzione di sostanze
potenzialmente rischiose. E si sa anche che “incroci ricorrenti”
dell’ibrido con una delle due piante parentali può parzialmente ma
non totalmente ovviare a questa possibilità.
Può però succedere che, anche in cibi ritenuti sicuri e tipici
dell’agricoltura italiana, la ricerca scientifica dimostri, magari per un
caso fortuito, la presenza di situazioni di rischio impreviste. Il caso sopraccitato del basilico è emblematico (Miele, 2001). Tuttavia, tutto
sommato, sino ad oggi i benefici del miglioramento genetico tradizionale sono stati alti ed i rischi sono stati contenuti e comunque accettati dall’opinione pubblica.
200
I rischi di una scelta disinformata…
Ma oggi, con la proposta delle nuove metodologie di trasferimento
genico la percezione del rischio sembra modificata. Viene chiesto che
la scienza dimostri che le piante GM siano assolutamente esenti da rischi per l’uomo e per l’ambiente. Il “principio di precauzione” viene
ormai inteso, anche a livello istituzionale (soprattutto dal Governo
Italiano e dalla Comunità Europea) come “principio di blocco” a meno che non sia data l’assoluta certezza dell’assenza di rischi attuali e
futuri. Ma una scienza responsabile non può offrire assolute garanzie.
La scienza non dà mai sicurezza, dà conoscenze sulla base delle quali
si possano valutare i rischi ed i benefici delle nuove scoperte e delle
nuove tecnologie. Rischi esisteranno sempre, nel caso della agricoltura
(incluse le piante GM) come in tutte le altre attività umane. Compito
della scienza non può essere che quello di verificare, caso per caso, il
livello di rischio ed offrire alla società parametri per le decisioni sulla
loro accettabilità. Si afferma spesso: “se la scienza non dà sicurezza,
meglio il non-fare”. Ma è possibile che il non-fare abbia conseguenze
più gravi del fare. Si prendano gli esempi del passato: chi avrebbe mai
autorizzato, secondo l’interpretazione più restrittiva del “principio di
precauzione” la sperimentazione sui vaccini, quella sugli antibiotici
o l’introduzione della patata nella dieta europea? Dunque, il “principio di precauzione” deve essere associato al “principio di proporzionalità”; deve comportare una analisi dei rischi e dei benefici.
La domanda, messa in toni realistici deve essere: quale è il livello di
rischio e quale rischio massimo può essere accettato dalla società?
Una razionale proposta è quella fatta da Kappeli e Auberson (1998):
“si accettino le piante GM se il loro rischio è eguale o inferiore a
quello che oggi accettiamo per le piante prodotte con il miglioramento genetico tradizionale (incroci e mutazioni)”. La richiesta di valutare i rischi delle piante GM ha un senso solo se si conviene con questo
principio (Sala et al., 2000). Se invece si pretende la dimostrazione
scientifica della assoluta assenza di rischi, questa non potrà mai essere
offerta dal ricercatore.
La disponibilità in tutti i paesi del mondo di una chiara e severa regolamentazione per la valutazione della sicurezza delle piante GM ci
permette oggi di condurre questa valutazione con il più alto rigore
scientifico e, quindi, di evidenziare “caso per caso” i rischi delle diverse combinazioni pianta-gene. Abbiamo le leggi ed i regolamenti che ci
Rischi ambientali da piante GM
201
permettono di non accettare una pianta GM che mostri rischi superiori a quelli accettati per piante della stessa specie oggi in coltivazione.
Attualmente abbiamo anche mezzi scientifici che ci permettono analisi che solo 10-20 anni fa erano impensabili. Si pensi alla PCR (Polymerase Chain Reaction), che permette di analizzare sequenze di DNA;
agli enzimi di restrizione che ne permettono il taglio in siti prefissati;
agli aiuti informatici, che permettono di immagazzinare tutti i dati relativi alle sequenze del DNA stesso.
La proposta è quindi che si valuti il rapporto rischi/benefici e si
blocchi la pianta GM se questo evidenzierà un valore inaccettabile,
ma la si accetti quando i rischi risultino ridotti ed i benefici notevoli.
Sarebbe auspicabile che procedure di valutazione analoghe venissero
adottate anche nel caso delle piante non-GM oggi coltivate, ma purtroppo ancora oggi ciò non è previsto.
3. Rischi per l’ambiente
Qui sotto si tratterà della valutazione dei rischi che l’ambiente può
correre nel caso di sperimentazione e rilascio in campo di piante GM.
Si lascia ad altre trattazioni specialistiche la discussione dei possibili
rischi per la salute umana ed animale. Una prima considerazione è che
sarebbe auspicabile che questi rischi fossero considerati anche per le
piante non-GM, ma ciò per ora non succede. Le preoccupazioni per
l’impatto della pianta GM sull’ambiente riguardano:
1. Diffusione dei suoi semi nell’ambiente.
2. Diffusione del suo polline con conseguente fecondazione di piante
sessualmente compatibili.
3. Rilascio del gene esogeno dalle cellule della pianta GM e suo trasferimento diretto ad altre piante non sessualmente compatibili.
4. Alterazione dell’equilibrio dei batteri e degli insetti del suolo.
5. Impoverimento dei suoli.
6. Inquinamento dei suoli e delle falde acquifere.
7. Riduzione della biodiversità nel mondo vegetale.
L’unica novità delle piante GM è rappresentata dall’integrazione
del gene esogeno. Il problema dunque è: la presenza di un gene esogeno, di per sé, aumenta questi rischi e li innalza al di sopra di ogni ra-
202
I rischi di una scelta disinformata…
gionevole controllo? Oppure i rischi per le piante GM sono ancor più
controllabili visto che si tratta dell’unico caso in cui esistono dei meccanismi di controllo preventivi dei rischi?
Estremamente istruttivo, per il modo di affrontare queste problematiche, per la vastità dei dati sperimentali e per il modo di discuterli,
è il recente rapporto scientifico (anche disponibile, con informazioni
più dettagliate sul sito http://www.nature.com) di Crawley et al.
(2001). Questi ricercatori dell’Imperial College, Ascot, Berks, UK,
hanno condotto per 10 anni uno studio esaustivo sulle 4 piante GM
disponibili sul mercato nell’anno 1990: colza, mais, barbabietola da
zucchero e patata. Le prime due erano GM per un gene che conferisce resistenza al diserbante “glufosinate”, la terza per un gene di resistenza al diserbante “glyphosate”, e la patata per un gene Bt, che conferisce resistenza ad insetti, o per il gene della lecitina di pisello. Le
piante sono state coltivate per 10 anni in 12 differenti habitat, ed il loro comportamento è stato confrontato con quello delle corrispondenti
coltivazioni non GM.
Le domande che i ricercatori si posero erano: (a) queste piante diventeranno a lungo termine invasive dei campi coltivati o di habitat
naturali a causa della diffusione di semi GM? (b) i geni introdotti in
esse si diffonderanno attraverso il polline a piante selvatiche?
In tutti i casi i risultati sperimentali hanno dato risposta negativa
ad entrambe le domande. Interessanti, ed in linea con i principi esposti nel presente documento, sono anche le conclusioni espresse dagli
autori (qui riportate nella lingua originale per correttezza dell’informazione): “Our results do not mean that other genetic modifications
could not increase weedness or invasiveness of crop plants, but they
do indicate that arable crops are unlikely to survive for long outside
cultivation”. Anche in questo caso, inoltre, il suggerimento è di confrontare, caso per caso, i rischi presentati dalla coltivazione di
OGM con quelli della corrispondente coltivazione non-GM. Questa premessa ci introduce all’esame dei punti sopra elencati..
3.1. Diffusione del seme GM nell’ambiente
Le piante GM si riproducono per seme (o per talea) esattamente
come le piante non-GM. La riproduzione sessuata (polline e ovario)
Rischi ambientali da piante GM
203
porta alla formazione di semi-GM e questi vengono diffusi nell’ambiente. Ad esempio, molti semi vengono dispersi in un campo di mais
tradizionale durante la raccolta; altri semi sono dispersi durante il trasporto e la commercializzazione. Ciò non è mai stato considerato un
attentato all’ambiente in quanto il mais coltivato non è invasivo. Se
germina in un ambiente non protetto non riesce a sopravvivere. La
sua sopravvivenza è legata all’intervento protettore dell’uomo: in sua
assenza crescono piante naturalmente molto più competitive (gramigna, ortiche, robinia, etc.).
Lo stesso è verosimilmente atteso per un mais GM (ad esempio, il
mais-Bt). Solo nel caso in cui il gene esogeno fosse in grado di offrire
un grande vantaggio competitivo nei confronti delle piante selvatiche
si potrebbe considerare la possibilità di un attentato all’equilibrio ambientale. Non è sicuramente questo il caso dei mais-Bt oggi coltivati o
di altri mais GM in studio (ad esempio, mais che accumuli proteine
nobili nei semi).
Nel caso di ragionevoli dubbi a riguardo, sia nel caso del mais sia
di altre piante GM per uso agricolo o forestale, entreranno in funzione le leggi ed i meccanismi di controllo. Questi potranno: (a) proibire
il rilascio della pianta GM in questione o, (b) richiedere che nella
pianta GM sia introdotto un carattere di sterilità che impedisca la formazione di semi.
Un esempio del tipo (b) può essere rappresentato dal caso del
pioppo-Bt, resistente agli insetti defoglianti, sviluppato in Cina negli
anni 1994-2001 (Sala, 2000). È auspicabile che i suoi semi non si
diffondano nell’ambiente. Ciò sarà presto reso possibile dalla introduzione di un gene che rende sterile il pioppo-Bt stesso (“Progetto di Ricerca per la Biodiversità del Pioppo” della Fondazione BussoleraBranca, Mairano di Pavia, in collaborazione con le Università di Milano e Pavia). Il pioppo-Bt sterile non potrà più competere con il pioppo naturale. Si noti comunque che questo problema non è prerogativa
delle piante GM. Anzi, i tradizionali pioppi ibridi attualmente coltivati in Italia e nel mondo diffondono semi che, sviluppando piante invasive, possono attentare alla biodiversità dei pochi boschi residui di
pioppo naturale.
204
I rischi di una scelta disinformata…
3.2. Diffusione del polline GM con conseguente fecondazione di piante
sessualmente compatibili
Si teme che il polline di piante GM fecondi l’ovario di piante sessualmente compatibili determinando la comparsa di nuovi ibridi che
potrebbero divenire infestanti nell’ambiente. Le piante fecondate potrebbero essere varietà coltivate della stessa specie oppure specie selvatiche.
Va anche qui osservato che questo non rappresenta un pericolo
nuovo: da sempre il polline delle piante coltivate si diffonde nell’ambiente fecondando piante coltivate o selvatiche, producendo nuove
combinazioni genomiche, cioè nuove piante ibride. Queste possono o
risultare invasive e alterare gli ecosistemi se la nuova combinazione
genomica offrirà vantaggi selettivi o, in alternativa, scomparire se il
nuovo assetto genetico risulterà svantaggioso. Il polline GM, prodotto
da piante GM, potrà contribuire in questa selezione con caratteri positivi o negativi o risultare perfettamente neutro. Si noti comunque
che trattandosi di un solo gene (o, comunque, pochi geni) il ruolo del
gene esogeno sarà molto più prevedibile di quanto non lo sia quello
del resto del genoma.
Lo studio dei rischi derivanti dalla diffusione di polline GM devono, preliminarmente, distinguere due diverse situazioni a seconda del
caso in cui il gene esogeno sia inserito, (a) nel DNA del nucleo o, (b)
nel DNA del cloroplasto. Questa distinzione è fondamentale. Infatti, i
geni nucleari sono ereditati secondo le leggi di Mendel: i cromosomi
di ciascuna coppia sono ripartiti nel polline e nell’ovario; i geni del
DNA del cloroplasto sono invece ereditati per via materna, cioè esclusivamente attraverso l’ovulo. Dunque l’ovulo sarà GM, mentre il polline non lo sarà dal momento che è privo di cloroplasti (vi sono tuttavia
alcune eccezioni a quest’ultima regola: le conifere, ad esempio trasmettono il DNA del cloroplasto attraverso il polline).
La maggior parte delle piante GM prodotte sino ad oggi appartiene al gruppo (a), cioè possiede un gene (o alcuni geni) integrato nel
DNA del nucleo. Ci si deve preoccupare, in questi casi, se il polline
GM di queste piante è in condizioni tali da poter impollinare piante
nell’ambiente circostante e determinare quindi la comparsa di piante
GM indesiderate. Alcune comunicazioni scientifiche hanno già verifi-
Rischi ambientali da piante GM
205
cato che ciò può avvenire in natura. Ma sarebbe stato strano ed inspiegabile il contrario, cioè il fatto che il transgene avesse un comportamento anomalo non venendo trasmesso assieme al resto del genoma.
Un approccio scientifico e razionale al problema deve però anche
includere attente analisi, condotte “caso per caso”, per:
(a) analizzare le modalità con cui il polline della pianta in esame si
diffonde nell’ambiente e si rende disponibile per fecondare l’ovulo di
altre piante.
Non esiste, infatti, una regola generale. Le diverse piante attuano
diverse strategie per trasportare il polline all’ovario da fecondare.
Inoltre l’ovario può trovarsi nello stesso fiore (come nel caso del pomodoro che prevede l’impollinazione quando il fiore è ancora chiuso)
o in fiori su piante diverse distanti anche chilometri. In quest’ultimo
caso il polline è trasportato dal vento o dagli insetti. Le distanze percorse variano da specie a specie. Il polline di patata impollina altre
piante di patata sino ad una distanza di circa 20 metri, quello di riso
sino a pochi centimetri, quello di mais anche a centinaia di metri. Ma
non è sufficiente che il polline arrivi alla pianta sessualmente compatibile. La fecondazione infatti avviene solo se, al momento dell’impollinazione, anche l’ovulo è maturo.
(b) Analizzare il vantaggio selettivo che il gene esogeno potrebbe conferire alla pianta ibrida.
Se un gene non conferisce vantaggi selettivi ad una pianta, o, ancor
più, se conferisce proprietà negative per il processo evolutivo, il nuovo ibrido sarà eliminato entro una o poche generazioni. Ad esempio, il
“Golden rice”, selezionato per la proprietà di accumulare la pro-vitamina A nei semi di riso (Ye et al., 2000), non ha sicuramente acquisito
alcun vantaggio selettivo e non potrà quindi rendere invasivo un eventuale ibrido più di quanto possa farlo un riso non-GM.
In alternativa, nel caso in cui esistano ragioni per prevedere che il
polline di una pianta GM possa conferire vantaggi selettivi all’ibrido,
abbiamo due alternative:
(i) negare l’autorizzazione alla commercializzazione;
(ii) pretendere che il gene sia integrato nel DNA del cloroplasto.
Questa seconda soluzione non era tecnicamente disponibile, 10-15
206
I rischi di una scelta disinformata…
anni fa, quando apparvero le prime piante GM. Metodologie per il
trasferimento di geni nel DNA del cloroplasto sono oggi ampiamente
utilizzabili per tutte le piante di interesse biotecnologico (vedi, ad
esempio, De Cosa et al., 2001).
Oltre al vantaggio di non produrre polline GM, l’inserimento di
geni nel DNA del cloroplasto offre i seguenti vantaggi:
• Una cellula può contenere sino a 10.000 copie del gene (nel caso di
inserimento del gene nel nucleo si ha, in genere, una sola copia).
• Il prodotto del gene per cellula può raggiungere concentrazioni
molto elevate (vedi, ad esempio, Daniell et al., 2001a).
• Il DNA del cloroplasto delle piante di interesse è completamente
sequenziato; quindi il sito di integrazione del gene esogeno nel
DNA del cloroplasto può essere scelto e determinato con la massima precisione (al contrario di ciò che oggi avviene nel caso di integrazione nel DNA del nucleo).
• Il sistema di lettura del codice genetico del cloroplasto è simile a
quello delle cellule procariotiche; ciò facilita l’uso di geni e segnali
di espressione procariotici.
• È possibile sostituire il gene selezionabile che conferisce antibiotico-resistenza (oggi contestato) con un altro gene più accettato dalla
pubblica opinione (Daniell et al., 2001b).
3.3. Rilascio del gene esogeno dalle cellule della pianta GM e suo
trasferimento diretto al DNA ad altre piante non sessualmente
compatibili
Secondo alcuni, il pericolo del trasferimento di geni esogeni sarebbe ancora più serio: il transgene potrebbe sfuggire dalla pianta
GM ed essere trasferito al DNA di altre piante presenti nelle vicinanze. Ciò avverrebbe anche nei confronti di piante sessualmente incompatibili e potrebbe conferire loro un vantaggio selettivo, rendendole
infestanti. Si pensi, ad esempio, ai geni per la resistenza ai diserbanti
e ai parassiti.
Come già descritto sopra, esistono dimostrazioni sperimentali che
il trasferimento genico avviene normalmente in natura. Batteri scambiano frequentemente geni contenuti nei loro plasmidi. Il batterio
Agrobacterium tumefaciens trasferisce frammenti di un suo plasmide
Rischi ambientali da piante GM
207
alle piante parassitate. Tuttavia, non esiste dimostrazione che un gene
integrato in una pianta passi accidentalmente ad un’altra pianta e che
in questa risulti funzionale. È stato dimostrato, più in generale, che il
DNA di cellule vegetali in disfacimento può permanere nel suolo
quando si lega a componenti del suolo stesso. Ma ciò non significa
che il DNA presente nel suolo sia disponibile per processi di trasformazione genetica di piante.
3.4. Alterazione dell’equilibrio dei batteri della microflora intestinale o
dei batteri e degli insetti del suolo
L’alterazione avverrebbe in seguito al trasferimento di transgeni
presenti nelle piante GM ai batteri della microflora intestinale (quando la pianta sia usata come cibo), oppure ai batteri e agli insetti presenti nel suolo ove si coltivano le piante GM o nel tratto intestinale. È
stato dimostrato che, anche quando mangiamo l’insalata, una fetta di
carne od altri alimenti, il DNA presente nei cromosomi dei miliardi di
cellule che ingeriamo non è immediatamente degradato, ma può persistere per minuti, o anche per ore, in forme più o meno integre. Si teme dunque il pericolo che un transgene presente in una eventuale insalata GM possa essere trasferito al DNA della microflora intestinale
e, perché no, delle cellule umane stesse. Il DNA delle piante GM può
persistere per ore nelle feci dell’uomo e degli animali e potrebbe quindi, attraverso questa via, diffondersi anche nell’ambiente, permanervi
per giorni ed eventualmente integrarsi nel DNA di altri organismi.
Non esiste alcuna dimostrazione scientifica che ciò avvenga almeno
con una frequenza tale da interferire con la specificità delle specie, anche se è possibile ottenere in laboratorio il trasferimento genico orizzontale da una pianta ad un batterio (Nielsen et al., 2000). È importante considerare che se questo evento fosse solo poco più che occasionale tra piante-animali-batteri-funghi, non si vede perché oggi non
troviamo un singolo gene originato dal genoma dell’insalata ed integrato nel genoma di un uomo vegetariano (o geni del maiale in quello
di un carnivoro): il movimento di trasposoni (frammenti di DNA che
si muovono all’interno dei cromosomi), l’integrazione di DNA batterico in piante (ad esempio: Agrobacterium tumefaciens) devono essere
fenomeni strettamente controllati dalla cellula. D’altra parte, in assen-
208
I rischi di una scelta disinformata…
za di questi meccanismi il concetto stesso di differenziazione delle
specie non potrebbe esistere.
È stata anche esplorata la possibilità che il prodotto del gene esogeno (la proteina) possa modificare le popolazioni che vivono nel suolo. Saxena et al. (1999) hanno dimostrato che la tossina Bt, prodotta
dal mais-Bt, rilasciata dalle radici della pianta si lega a particelle del
suolo stesso. La tossina risulta così protetta dalla degradazione. Ciò
solleva il problema di quale possa essere l’effetto della tossina sulle
popolazioni viventi nella rizosfera del mais-Bt stesso. Più in generale,
queste osservazioni ci dicono che è importante verificare se vi sia un
effetto del gene esogeno su batteri ed insetti presenti nel suolo ove sono coltivate piante GM. Nel caso di ragionevoli preoccupazioni può
essere utile imporre l’uso di promotori inducibili che evitino la produzione continua della proteina indesiderata o proibire l’uso della specifica pianta-GM.
Vi è tuttavia da aggiungere che non è per niente facile stabilire
quale debba essere l’equilibrio naturale di riferimento nel suolo di un
terreno agricolo. Tutto il sistema agricolo è un ambiente artificiale in
cui una monocoltura agricola ha preso il posto della vegetazione
spontanea del preesistente bosco o prato (tutt’altra sarebbe la situazione se lo stesso territorio fosse abbandonato dall’uomo e tornasse al suo equilibrio spontaneo).
3.5. Impoverimento dei suoli
L’agricoltura, per sua natura, impoverisce i suoli. Il fatto stesso di
raccogliere i prodotti agricoli comporta un prelievo di sostanze che
nel bosco andrebbero invece a fertilizzare il suolo stesso. L’agricoltura
intensiva ha accentuato questo evento, portando all’elaborazione di
tecniche colturali che provvedano al ripristino della fertilità del suolo
stesso (aggiunta di fertilizzanti, di elementi chimici, di residui vegetali). Non vi è nessuna ragione scientifica per ritenere che una pianta
GM (ad esempio, un riso GM resistente ai funghi patogeni) impoverisca i suoli più di una pianta non-GM. Il problema dell’impoverimento
dei suoli è quindi un problema di carattere generale, legato alle modalità del loro utilizzo e alla scelta di strategie per raggiungere un giusto
equilibrio tra produttività e conservazione della fertilità del suolo.
Rischi ambientali da piante GM
209
3.6 Inquinamento dei suoli e delle falde acquifere
Anche questa possibilità non può essere considerata prerogativa
delle piante GM. Una pianta GM, di per sé, non inquina il suolo più
della corrispondente pianta non-GM. È possibile che una pianta coltivata produca ed accumuli nel suolo sostanze tossiche, tuttavia questa
è una preoccupazione che deve interessare tutto il patrimonio agricolo. Nel caso in cui vi siano ragionevoli dubbi che la coltivazione di una
qualsiasi pianta rappresenti un pericolo per il suolo e la falda acquifera, dovremmo avere la possibilità di bloccarne l’uso prima della sua
introduzione nell’ambiente. Questo per ora è possibile solo nel caso in
cui la pianta sia GM.
3.7. Riduzione della biodiversità nel mondo vegetale
Desta infine preoccupazione la possibilità che l’introduzione delle
piante GM nel sistema agricolo e forestale riduca la biodiversità. Per
analizzare questa eventualità è però necessario chiarire il significato
del termine. Distinguiamo due diverse situazioni: (a) biodiversità delle
piante in ambienti naturali e, (b) biodiversità nei campi coltivati.
(a) Quando si parla di biodiversità in ambienti naturali, ci si riferisce alla diversità genetica che esiste nell’ambito di una specie (ad
esempio, Quercus robur) oppure a quella che esiste tra le diverse specie di un habitat. Nel primo caso, ci si preoccupa del fatto che la perdita di diversità genomica nell’ambito di una specie limita le capacità
della specie stessa di adattarsi a mutate condizioni ambientali. Nel secondo caso ci si preoccupa invece delle conseguenze che avrebbe la
perdita di una parte delle specie oggi esistenti in quanto ciò limiterà la
capacità del mondo vegetale, nella sua globalità, di adattarsi alle stesse
variazioni.
(b) Diverso è parlare di biodiversità nei campi coltivati. Agricoltura non è natura. Le piante coltivate crescono e si diffondono solo perché protette dall’uomo: in natura sparirebbero quasi tutte. Un campo
di pomodori lasciato a sé per pochi mesi lascerebbe spazio alla gramigna, alle ortiche e ad altre innumerevoli essenze più competitive. Lo
stesso succederebbe per un campo di mais. Dunque, quando si parla
di biodiversità delle piante coltivate ci si riferisce piuttosto al fatto che
210
I rischi di una scelta disinformata…
oggi molte delle varietà di piante di interesse agrario (ad esempio, il
melo) sono in numero estremamente inferiore a quelle coltivate 50100 anni fa.
Gli attentati alla biodiversità sopra descritti hanno diverse cause.
Le piante GM sono state accusate, nella loro globalità, di ridurre la
biodiversità. Ma l’accusa non ha una base scientifica. Solo l’analisi e lo
studio delle vere cause ci permetterà di limitare il fenomeno.
Uno dei fattori principali della perdita di biodiversità negli ambienti naturali è sempre stato rappresentato dall’introduzione della
pratica agricola. Questa, oltre a trasformare i boschi e le praterie in
monocolture, può attentare alla biodiversità delle specie selvatiche attraverso la diffusione del polline delle piante coltivate. In condizioni
opportune il risultato può essere una omologazione dei genomi selvatici a quello della specie coltivata. In altri casi, il pericolo è rappresentato dalla diffusione nell’ambiente dei semi di interesse agricolo.
Da un punto di vista della biodiversità delle piante coltivate è comunque sempre auspicabile che, per ogni specie, le varietà proposte
all’agricoltore siano le più numerose possibile. Il fatto che l’introduzione di una pianta GM in agricoltura non necessariamente significa
perdita di biodiversità è rappresentato dal caso della soia “Roundup
ready”, modificata geneticamente per introduzione di un gene che
conferisce resistenza ad un diserbante. Oggi la coltivazione di soia
GM negli USA copre il 60% della produzione nazionale ed il coltivatore ha a disposizione 1100 diverse varietà “Roundup ready” che si
sono aggiunte alle 2000 varietà non-GM precedentemente disponibili
negli USA.
Recentemente, Quist e Chapela (2001) hanno sollevato il problema
della possibile perdita di biodiversità nelle zone di sopravvivenza delle
specie vegetali selvatiche quando queste si trovino in vicinanza di coltivazioni di varietà della stessa specie. Nel caso specifico si trattava di
mais ibrido commerciale coltivato in prossimità della zona di sopravvivenza del mais selvatico. Il sito in esame, in Messico, è importante,
perché è là che sono state evidenziate importanti zone di origine e diversificazione del mais coltivato. Quist e Chapela (2001) affermano di
aver dimostrato il trasferimento di transgeni dal mais GM al mais selvatico. Gli autori della ricerca propongono, ma non dimostrano, che il
Rischi ambientali da piante GM
211
trasferimento sia stato mediato dal polline. La pubblicazione scientifica è stata però decisamente smentita da analisi effettuate presso l’International Maize and Wheat Improvement Center (El Batan, Mexico) su semi raccolti nelle stesse zone sino al 2001 (Hodgson, 2002). Le
critiche riguardano sia la attendibilità delle metodologie usate da Quist e Chapela, che darebbero spazio al rilievo di falsi positivi, sia il fatto
che questi ultimi ricercatori rifiuterebbero di attivare uno scambio di
materiale sperimentale per effettuare un controllo incrociato dei risultati. Comunque finisca la polemica, il lavoro di Quist e Chapela
(2001) suggerisce che i geni si possono muovere tra piante sessualmente compatibili, ma questo non rappresenta niente di nuovo. La lezione di carattere più generale che potremmo dedurre dal caso del
mais messicano è che dovremmo preoccuparci non tanto del fatto, del
tutto possibile, che si riscontri la presenza di un transgene nelle zone
di origine di una pianta domesticata (mais, ma anche frumento, vite, e
molte altre), quanto del fatto che il transgene è un indicatore del trasferimento di intieri cromosomi mediato dal polline. In altre parole,
oggi, per la prima volta, analizzando i movimenti del transgene delle
piante GM abbiamo la possibilità di monitorare il fatto che la biodiversità naturalmente presente (ed in evoluzione) nelle zone rifugio sia
messa a rischio dalle attività agricole dell’uomo.
Un caso analogo a quello descritto per il mais messicano potrebbe
essere quello delle sacche residue di pioppo naturale oggi in estinzione lungo i fiumi italiani. Esiste la preoccupazione che il polline ed i semi prodotti dai pioppi ibridi largamente coltivati in vicinanza dei boschi naturali possano minare la biodiversità del pioppo naturale omologandone il genoma a quello delle piante coltivate. Questo resta tuttavia da dimostrare, in quanto il polline ed il seme prodotti dal pioppo coltivato potrebbero non essere in grado di interferire con la popolazione naturale.
L’unica soluzione al problema della protezione dei siti di origine o
di rifugio delle specie coltivate sarebbe quello di proibire le coltivazioni (sia GM sia non-GM) sino ad una distanza che non metta a rischio
l’integrità della riserva di biodiversità. A nulla servirebbe il limitare la
proibizione alle sole piante GM.
Queste considerazioni portano alla conclusione che è importante
definire, caso per caso, l’effetto che il transgene, veicolato dal polline,
212
I rischi di una scelta disinformata…
potrebbe avere sulla progenie di piante sessualmente compatibili. È
importante verificare se questo evento ponga rischi inaccettabili e, nel
caso, prendere gli opportuni provvedimenti. Ma è anche importante
usare il transgene come marcatore per verificare la eventualità e la frequenza con cui il polline trasferisce tutte le altre decine di migliaia di
geni dalla pianta coltivata a quella selvatica. Ciò permetterebbe di salvare i rifugi di biodiversità, ma sarebbe anche utile nella protezione
delle zone di produzione di sementi geneticamente certificate. Dunque, il “pericolo biodiversità” non è specifico per le piante GM. Anche le piante non-GM, soprattutto quelle coltivate, possono attentare
alla biodiversità.
Inoltre, la perdita di biodiversità tra le piante coltivate ha frequentemente una causa commerciale. Un esempio tipico è quello relativo al
melo. La scomparsa delle mele dai vecchi sapori viene spesso presentata come un effetto della introduzione di piante GM. Si denuncia che
esistevano centinaia di varietà all’inizio del ‘900, mentre ora le varietà
di mela che si trovano nei negozi si sono ridotte, nel nostro paese, a
mezza dozzina. È chiaro che il fenomeno è legato alle mutate esigenze
commerciali (il melo GM non è ancora disponibile in commercio!).
La causa della situazione attuale è infatti da ricercare nel fatto che una
volta gli alberi di melo erano coltivati in vicinanza delle città e le mele
portate dai contadini al mercato più vicino. Oggi il melo è coltivato da
grosse aziende agricole, i mercati sono conquistati con la pubblicità, il
prodotto in eccesso è raccolto acerbo, conservato in celle frigorifere e
maturato con l’etilene nella stagione in cui il prezzo di mercato è più
alto. La mela tipica locale è scomparsa o sopravvive come prodotto di
nicchia.
In conclusione, sarebbe dunque opportuno che tutte le piante
(sia GM sia non-GM) venissero analizzate e controllate per eventuali interferenze con il sistema della biodiversità prima di essere introdotte nei sistemi agricoli e forestali. Sarebbe anche opportuno verificare se le interferenze sono correlate con la specificità genetica
della pianta, con l’integrazione del gene esogeno, con il sito di coltivazione o con fattori commerciali. In ogni caso, sarebbe auspicabile
che eventuali provvedimenti per la conservazione della biodiversità
non fossero limitati al caso in cui il rischio sia correlato con una pianta GM.
Rischi ambientali da piante GM
213
Nel caso delle piante GM, sarebbe anche utile valutare il “rischio
biodiversità” in relazione alle modalità previste per la loro coltivazione. Infatti i rapporti con l’ambiente variano nel caso in cui la pianta
sia coltivata:
1. in ambienti naturali (es., conifere);
2. in campo agricolo aperto (es., riso, mais, soia);
3. in ambiente confinato e controllato (es., piante che producono vaccini);
4. in serra (es., piante per produrre farmaci).
4. La scienza non ne sa abbastanza?
Negli ultimi 15 anni la Comunità Europea ha speso 70 milioni di
euro per progetti di ricerca dedicati esclusivamente alla analisi dei rischi possibilmente associati alle piante GM. Questi fondi sono stati
utilizzati per sviluppare 81 progetti di ricerca che hanno coinvolto più
di 400 gruppi di ricerca di tutti i paesi della Comunità. I gruppi appartenevano, per la grande maggioranza, a Università e a Centri di ricerca pubblica senza legami con l’industria. I risultati di queste indagini sono stati pubblicati sulle più qualificate riviste scientifiche e in
documenti ufficiali della Comunità Europea. La Comunità stessa li ha
presentati e discussi in una tavola rotonda il 9 ottobre 2001. Le conclusioni generali sono state così riassunte dalla stessa Commissione
(per accuratezza dell’informazione il testo è riportato nella lingua
in cui è stato compilato):
“Research on the GM plants and derived products so far developed
and marketed, following usual risk assessment procedures, has not
shown any new risk to human health or the environment, beyond the
usual uncertaineties of conventional plant breeding. Indeed, the use of
more precise technology and the greater regulatory scrutiny probably
make them even safer than conventional plants and foods; and if there
are unforeseen environmental effects – none have appeared as yet – these should be rapidly detected by our monitoring requirements. On the
other hand, the benefits of these plants and products for human health
and the environment become increasingly clear”.
Informazioni dettagliate su queste ricerche e conclusioni si trovano
sul sito Web della Comunità Europea (http://biosociety.dms.it/Ho-
214
I rischi di una scelta disinformata…
me_News.shtm). Ai dati sperimentali della Comunità Europea vanno
aggiunti tutti quei dati ottenuti (e pubblicati sulle più prestigiose riviste scientifiche internazionali) in ricerche condotte con altri fondi
pubblici dalle Università e da altri enti pubblici sia Europei sia del resto del mondo.
È un peccato constatare che questo grande sforzo organizzativo ed
economico della Comunità Europea e degli enti pubblici non riceva,
soprattutto nel nostro Paese, la necessaria attenzione da parte della
classe politica e dell’opinione pubblica. Ed è disarmante considerare
come il possibile contributo del trasferimento genico al miglioramento
genetico delle piante sia più condizionato da stati emotivi, paure ancestrali e convenienze politiche piuttosto che da solide conoscenze
scientifiche. In un problema che è essenzialmente scientifico la scienza
è costretta a giocare un ruolo di secondo piano!
5. Quali i benefici delle piante GM?
Non è compito di questo documento elencare e discutere i benefici
che derivano dall’uso delle metodologie di trasferimento di geni in
piante. Oggi in coltivazione esiste un numero ridotto di piante GM.
Queste portano soprattutto geni per la resistenza a insetti, virus, diserbanti e marcescenza. Molte altre sono già pronte nei laboratori pubblici e privati di tutto il mondo. Tuttavia, si contano a centinaia i diversi geni integrati nel DNA di piante GM nei diversi laboratori pubblici e privati del mondo, Italia inclusa. Le finalità applicative sono diverse.
Dal momento che si è proposta una valutazione di accettabilità delle piante GM basata sull’analisi di rischi e benefici, risulta importante
elencare almeno i settori in cui la ricerca sta attualmente concentrando i suoi sforzi. Questi sono:
a. Resistenza a stress biotici (infezioni da insetti, virus, funghi, batteri) e abiotici (siccità, freddo, caldo, salinità).
b. Resistenza a diserbanti della nuova generazione (più biodegradabili).
c. Resistenza dei frutti alla marcescenza.
d. Migliorata efficienza fotosintetica.
Rischi ambientali da piante GM
215
e. Eliminazione di sostanze naturali che inducano allergie.
f. Miglioramento del contenuto nutrizionale (vitamine, minerali, proteine).
g. Usi biomedici:
• piante GM per vaccinare contro le malattie infettive ed i tumori;
• piante GM che producono anticorpi;
• piante GM che producono farmaci.
h. Usi industriali:
• Piante GM che producano sostanze plastiche ed altre materie prime per l’industria chimica;
• Piante GM per la biodepurazione dei suoli e dei residui industriali.
i. Nuove piante ornamentali (nuove forme e nuovi colori).
Per ulteriori informazioni, si consulti il dossier Le Scienze (2001)
6. Ulteriori informazioni sui rischi e benefici delle piante GM
Questo documento non ha avuto la pretesa di presentare e valutare
tutti i dati disponibili nella letteratura scientifica relativi alle piante
GM. Il suo scopo è stato piuttosto quello di proporre le basi logiche
per una corretta interpretazione dei dati scientifici stessi in rapporto
ai rischi e ai benefici dell’impatto ambientale delle piante GM e, in
particolare, del trasferimento di geni in pianta. Come ulteriore base
conoscitiva si consiglia, tra l’altro, la lettura dei seguenti articoli: Daniell (1999a), Daniell (1999b), De Cosa (2001).
Bibliografia
Autori vari (2001), “OGM: una risorsa per il futuro” LE SCIENZE
dossier 10: 1-103.
Autori vari (2000) “Release of genetically modified organisms in the
environment: is this a health hazard?” WHO Seminar, Roma, Italy,
7-9 Sept.
Crawley MJ, Brown SL, Hails RS, Kohn DD, Rees M ( 2001) “Transgenic crops in natural habitats” Nature 409: 682-683.
216
I rischi di una scelta disinformata…
Daniell (1999a) “New tools for chloroplast genetic engineering” Nature Biotechnol. 17: 855-856.
Daniell (1999b) “GM crops: public concern and scientific solutions”
Trends Plant Sci. 4: 467-469.
De Cosa B, Moar W, Lee SB, Miller M, Daniell (2001) “Overexpression of the Bt Cry2Aa2 operon in chloroplats leads to formation of
insecticidal crystals” Nature Biotech. 19: 1-4.
Daniell H, Lee SB, Panchal T, Wiebe PO (2001a) “ Expression of the
native cholera toxin B subunit gene and assembly as fucntional oligomers in transgenic tobacco chloroplasts” J. Mol. Biol. 311: 10011009.
Daniell H, Muthukumar B, Lee SB (2001b) “Marker free transgenic
plants: engineering the chloroplast menome without the use of antibiotic selection” Curr. Genet. 39: 109-116.
FAO (2000) “Codex committee on food additives and contaminants”
Ho MW, Ryan A, Cummins J (1999) “Cauliflower mosaic viral promoter - A recipe for disaster” Microb. Ecol. In Helath and Disease 11:
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Hodgson J (2002) “Doubts linger over Mexican corn analysis” Nature
Biotechnology 20: 3-4.
Kappeli O, Auberson L (1998) “How safe is safe enough in plant genetic engineering?” Trends in Plant Sci. 3: 276-281.
Kling J (1996) “Could transgenic supercrops one day breed superweeds?” Science 274: 180-181.
Ye X, Al-Babili K, Klöti A, Zhang J, Lucca P, Beyer P, Potrykus I
(2000) “Enginering the provitamin A (ß-carotene) biosynthetica
pathway into (carotenoid-free) rice endosperm” Science 287: 303305.
Marx JL “Instability in plants and the ghost of Lamark” Science
224.1415-1416.
Rischi ambientali da piante GM
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Miele M, Pondero R, Ciarillo G, Mazzei M (2001) “ Methyleugenol in
Ocimum basilicum L. cv. Genovese Gigante” J. Agric. Food Chem.
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Nielsen KM, van Elsan JD, Smalla K “Transformation of Acinobacter
sp. strain BD413 with transgenic plant DNA in soil microcosms
and effect of Kanamycin on selection of transformants” Appl. Environ. Microbiol. 66: 1237-1242.
Quist D, Chapela IH (2001) Transgenic DNA introgerssed into
traditional maize landraces in Oaxaca, Mexico” Nature 414:
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Sala F (2000) “Safety considerations when planning genetically modified plants that produce vaccines”. In: “International seminar on
nuclear war and planetary emergencies”. The Science and Culture
Series (Zichichi R, editor), World Scientific, London, UK: 91-102
Sala F, Arencibia A, Castiglione S, Yifan H, Labra M, Savini C, Bracale M, Pelucchi N (2000) Somaclonal variation in transgenic plants.
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Sala F, Castiglione S, Jianjun Hu, Zheng Yizhi, Han Yifan (2000)
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the Third Millennium (A.D. Arencibia, ed.). Elsevier Science, B.V.
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Trewavas A, Leaver C (2000) “How nature itself uses genetic modification” Nature 403: 12.
Verderio A, Bressan M, Bertolini M, Pino S, Mazzinelli G, Sartori G
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12/98: 61-70.
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I rischi di una scelta disinformata…
Walbot W, Cullis CA (1983) “The plasticity of the plant genome. Is it
a requirement for success? Plant Mol. Biol. Rep. 1: 3-14.
World Health Organization (2000) “Codex Committee on food additives contaminants. Position paper on Fumosin”. 31st Session of
the Codex Committee, Agenda Item 16, CX/FAC 00/22, January
2000.
RINGRAZIAMENTI
Questo volume raccoglie gli interventi al III Congresso nazionale
dell’Associazione Galileo 2001, tenutosi a Roma, il 28 marzo 2006,
presso i locali del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Oltre che il
CNR per aver ospitato il convegno, l’Associazione Galileo 2001 ringrazia:
per aver concesso il Suo alto patronato:
Il Presidente della Repubblica
per aver patrocinato l’evento:
Presidenza Consiglio Ministri
Ministero dell’Università e della Ricerca
Ministero Attività Produttive
Ministero dell’Interno
Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie
Facoltà di Bioscienze e Biotecnologie – Università di Modena
per i contributi elargiti che hanno reso possibile lo svolgimento del
convegno si ringraziano:
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio
Alimenta
Un grazie anche alla Multimedia sas di Valter Cirillo & Partners per la
cura del sito dell’Associazione, www.galileo2001.it
Infine si ringrazia Angela Rosati per aver curato con competenza gli
aspetti organizzativi del convegno e Cristiano Bucaioni per aver svolto
parte del lavoro necessario a trasformare le relazioni orali nel presente
volume.
Associazione Galileo 2001
I costi delle scelte disinformate
IL PARADOSSO
DEL NUCLEARE
IN ITALIA
242 pagine
Euro 15,00
ISBN 88-87731-29-2
Giorgio Salvini: Commemorazione di Carlo Salvetti
Un appello degli scienziati al presidente della Repubblica
Manifesto di Galileo 2001
Franco Battaglia: Prefazione
Renato Angelo Ricci: Introduzione
Guido Possa: Energia e Ricerca
Ugo Spezia: La crisi del sistema energetico italiano
Georges Vendryes: Verso un rilancio dell’energia nucleare
Carlo Bernardini: Il problema della fiducia
Paolo Fornaciari: Il costo dell’abbandono del nucleare
Giorgio La Malfa: Strategie energetiche
Carlo Mancini: Lo stato e le prospettive dell’energia nucleare nel
mondo e il caso italiano
Giancarlo Bolognini: Le competenze nucleari in Italia
Giorgio Trenta: Energia nucleare e salute
Maurizio Cumo: Panorama della situazione energetica mondiale
Sergio Garribba: Aspetti economici dell’energia nucleare
Marco Del Lucchese: La gestione del nucleare pregresso
Claudio Regis: Reattori nucleari: qualche prospettiva per il futuro
Giovanni Carboni: Media ed energia nucleare
Guido Fano: L’Italia e il nucleare
Leonardo Libero: Precisazioni sugli usi pratici dell’energia
fotovoltaica
Enrico Mainardi: Il Network “Italian Young Generation in Nuclear”
(I.Y.G.N.)
Associazione Galileo 2001
I COSTI DELLA
NON-SCIENZA
IL PRINCIPIO DI
PRECAUZIONE
pagg. 212, € 15,00
ISBN: 88-87731-23-3
Presentazione di Enrico Bellone e di Maurizio Belpietro
Manifesto dell’Associazione Galileo 2001
Introduzione del Prof. Giorgio Salvini
Roberto De Mattei: Indirizzo di saluto
Renato Angelo Ricci: Perché Galileo 2001
Umberto Veronesi: Un’alleanza per la scienza
Franco Battaglia: Il Principio di Precauzione: precauzione o rischio?
Carlo Bernardini: Radici filosofiche e utilizzazione sociale del Principio di
Precauzione
Tullio Regge: Il Principio di Precauzione: un trucco verbale
Umberto Tirelli: Il Principio di Precauzione e la salute
Francesco Sala: Piante GM: una grande opportunità per l’agricoltura italiana
Ingo Potrykus: Green biotechnology could save millions of lives, but it cannot
because of anti-scientific, extreme-precautionary regulation
Le biotecnologie in agricoltura potrebbero salvare milioni di vite, ma
normative anti-scientifiche ed eccessivamente precauzionali lo impediscono
Paolo Sequi: Il Principio di Precauzione e le problematiche ambientali relative al
suolo
Paolo Vecchia: Il Principio di Precauzione per i campi elettromagnetici:
giustificazione ed efficacia
Luciano Caglioti: Il paradosso dei rifiuti
Cesare Marchetti: Prospettive dell’economia a idrogeno
Giovanni Vittorio Pallottino: Sfogliando i libri di testo di scienza per la scuola
Ernesto Pedrocchi: Il Principio di Precauzione
Silvano Fuso: Principio di Precauzione e pseudoscienze
Ugo Spezia
CHERNOBYL
20 ANNI DOPO IL DISASTRO
208 pagine
Euro 15,00
ISBN 88-87731-31-4
Presentazione di Renato Angelo Ricci
Prefazione di Carlo Bernardini
La centrale di Chernobyl - Lo sviluppo
del reattore RBMK - Caratteristiche del
reattore - I problemi di controllo - Il
sistema di contenimento
L’incidente - L’origine - La dinamica
degli eventi - Le cause del disastro
Gli effetti - L’emergenza - La
contaminazione radioattiva - La
contaminazione all’esterno dell’URSS
Le conseguenze radiologiche L’esposizione della popolazione
dell’URSS - Gli operatori presenti o
intervenuti sul sito - La popolazione
residente nella zona evacuata e nelle aree
contaminate
Le conseguenze sanitarie - Gli effetti
sanitari acuti - Gli effetti tardivi attesi Gli effetti stocastici rilevati - Aumento
dell’incidenza del tumore alla tiroide Altri effetti sanitari tardivi
Le conseguenze in Italia - L’arrivo della
“nube” - La contaminazione radioattiva L’esposizione della popolazione - Le dosi
individuali - Le dosi collettive - Gli
effetti sanitari
La Chernobyl dell’informazione - Il caos
informativo - Il “precedente” Three Mile
Island - Il comportamento della stampa
italiana - La qualità dell’informazione
La messa in sicurezza dell’impianto - Il
sarcofago - Lo stato attuale del sarcofago
- I problemi di stabilità strutturale - Il
dilavamento di contaminanti - I rischi di
criticità - I rischi radiologici residui - La
fuoriuscita di radioattività dal sarcofago
Gli effetti ambientali - Effetti diretti
sulla flora e sulla fauna - Effetti della
contaminazione del suolo - Effetti della
contaminazione delle acque di superficie
Chernobyl vent’anni dopo - La
situazione dell’impianto - La realtà
scientifica - L’esposizione radiologica Le conseguenze sanitarie accertate - I
“morti statistici” - Le conseguenze
sanitarie “attese”
La Chernobyl italiana - La conferenza
nazionale sull’energia del 1987 - I lavori e
le conclusioni della conferenza - La
rinuncia al nucleare - Il fallimento della
politica energetica - La crisi del sistema
elettrico - Il tempo delle riflessioni
Appendice - Elementi di dosimetria e
radioprotezione - I principi fondamentali
della radioprotezione
Associazione Galileo 2001
I rischi di una scelta disinformata
PRECLUDERSI L’USO
DEGLI OGM
IN AGRICOLTURA
pagg. 212, € 15,00
ISBN: 88-87731-33-0
Francesco Nucara (Vice Ministro all’Ambiente)
Renato Angelo Ricci (Presidente Associazione Galileo 2001)
GLI OGM SONO PERICOLOSI? - Francesco Sala (Direttore Orti Botanici Università di Milano)
RISKS AND BENEFITS OF GENETICALLY MODIFIED RICE PLANTS IN
CHINA - Bao-Rong Lu (Fudan University - Shanghai)
LA CONTAMINAZIONE DELLA FILIERA ALIMENTARE DA MICOTOSSINE
- Amedeo Pietri (ISAN - Università Cattolica del S. Cuore, Piacenza)
GLI OGM E IL SUOLO - A. Benedetti, S. Mocali, P. Sequi (Istituto Sperimentale
per la Nutrizione delle Piante)
SCAMBIO GENETICO TRA COLTURE OGM E NON-OGM: IL QUADRO Luca Bucchini (Hylobates Consulting SRL)
INDAGINE DI PIENO CAMPO IN AMBIENTE PADANO SULLE DINAMICHE
DI DIFFUSIONE DEL POLLINE DI MAIS TRA COLTIVAZIONI CONTIGUE
- Giovanni Della Porta (CRA – Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura)
Davide Ederle (PTP – Parco Tecnologico Padano)
RICERCA E SPERIMENTAZIONE SU PIANTE GENETICAMENTE
MODIFICATE - Bruno Mezzetti (Università Politecnica delle Marche)
GLI OGM E L’AGRICOLTURA ITALIANA: RIFLESSIONI ECONOMICHE Dario Frisio (Dipartimento di Economia e Politica Agraria - Università di
Milano)
OGM IN MEDICINA (e per la nostra salute) - Prof. Umberto Tirelli (Istituto
Nazionale Tumori di Aviano)
IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE: PRECAUZIONE O RISCHIO? - Franco
Battaglia (Docente di Chimica Ambientale - Università di Modena)
APPENDICE: RISCHI AMBIENTALI DA PIANTE GM
Paolo Fornaciari
IL PETROLIO,
L’ATOMO
E IL METANO
Italia nucleare
1946-1997
Dallo sviluppo
a una irragionevole
rinuncia
pagg. 352,
in brossura € 15,49
rilegato € 23,24
Indice del volume:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
ISBN 88-87731-05-5
PRESENTAZIONE del prof. Carlo Salvetti
L’ENERGIA ELETTRONUCLEARE IN ITALIA: LE ORIGINI
I RICORDI DELL’ AUTORE
LE CENTRALI NUCLEARI DELL’ENEL
ANNI SETTANTA: BATTAGLIE IN MAREMMA E IN VAL
D’ISÈRE
PIANI E PROGRAMMI ENERGETICI PER GLI ANNI NOVANTA
L’INCIDENTE SULL’ISOLA DELLE TRE MIGLIA
LA CONFERENZA DI VENEZIA SULLA SICUREZZA
NUCLEARE
IL PROGETTO UNIFICATO NUCLEARE
IL DISASTRO DI CHERNOBYL
L’ACCETTABILITÀ SOCIALE DELL’ENERGIA NUCLEARE
GLI ANNI DEL DISIMPEGNO
IL NUCLEARE TRA LA PRIMA E LA SECONDA REPUBBLICA
DALLO STATO AL MERCATO
ENERGIA PER IL NOSTRO FUTURO
Paolo Fornaciari
L’Atomo
per la pace
156 pagine
Euro 15,00
ISBN 88-87731-22-5
Indice
Prefazione
Capitolo 1 - Le sfide del terzo millenio
Capitolo 2 - Allarme rosso energia
Capitolo 3 - Più mercato e meno stato
Capitolo 4 - Siamo veramente in troppi sul pianeta?
Capitolo 5 - Ecologia ed economia
Capitolo 6 - Quali alternative?
Capitolo 7 - Tanto tuonò che piovve
Capitolo 8 - Il rinascimento nucleare
Capitolo 9 - L’era del petrolio sta per finire?
Capitolo 10 - Sviluppo durevole e solidale
Atti delle Giornate di studio AIN
ENERGIA
NUCLEARE
Un futuro da salvare
21 novembre 1998
pagg. 176, € 12,91
ISBN 88-87731-00-4
Situazione e prospettive dell’energia nucleare da fissione - Lo sviluppo della
domanda di energia nucleare - Disponibilità e impieghi del combustibile
nucleare - Competitività dell’elettricità nucleare - Evoluzione tecnologica degli
impianti - Ripensiamo al nucleare - Dai Piani energetici nazionali a Chernobyl Il caos informativo e la strumentalizzazione politica - Dalla Conferenza
sull’energia ai Referendum - Il disimpegno - La crescita del fabbisogno
energetico - Scenari energetici di medio e lungo periodo - La domanda
mondiale di energia e la sua copertura - Scenari energetici mondiali - La
situazione energetica italiana - Innovazione tecnologica e mercato dell’energia
elettrica - L’Autorità per l’energia elettrica e il gas - Il processo di
liberalizzazione e ristrutturazione nel settore dell’energia elettrica - La riforma
delle tariffe elettriche - Il ruolo dell’innovazione tecnologica - Benefit and
deficiency of energy sector liberalisation - Iniziative estere dell’industria
italiana 90 - Una dimensione europea - Il contributo industriale dell’Ansaldo
Nucleare - L’impegno dell’ENEL in Armenia - Il ruolo del nucleare nelle
strategie ambientali - Il “paradosso nucleare” - Gli “atout” dell’energia nucleare
- Il nucleare e le questioni ambientali - La questione sanitaria - Ricerca,
formazione e risorse umane - Dati statistici relativi ai corsi di laurea in
Ingegneria nucleare - Preparazione specifica ed attuali sbocchi professionali - La
situazione internazionale e le nuove tendenze tecnologiche - L’energia
nucleare nel mondo - Brevi considerazioni sui pro e contro dell’elettronucleare Il protocollo di Kyoto - Il futuro - Competitività dell’energia elettronucleare Le prospettive aperte dalla semplificazione impiantistica - La semplificazione e
la sicurezza - Descrizione degli impianti e delle opere accessorie per la centrale
di riferimento - Valutazione dei costi di investimento, di esercizio, manutenzione
e del combustibile per una centrale da 450 MW equipaggiata con reattori PWRMARS - Alcune considerazioni a margine
Atti delle Giornate di studio AIN
ATTUALITÀ
DEL NUCLEARE
Energia e tecnologia
23 novembre 1999
pagg. 192, € 12,91
ISBN 88-87731-09-8
Situazione internazionale e prospettive dell’energia nucleare da fissione Diffusione dell’energia nucleare - Aspetti tecnologici - Aspetti economici Aspetti ambientali - Aspetti di sicurezza - Ricordo del professor Arnaldo Maria
Angelini - Angelini e il nucleare - Centralità delle attività di ricerca,
formazione e informazione scientifica - Nello scenario oltre il 2010 il gioco
degli eventi privilegerà carbone e nucleare - L’andamento dell’offerta e della
domanda di energia - L’alternativa nucleare tra speranze e delusioni Competività e prospettive dell’energia nucleare - La realtà Sogin in Italia e
all’estero - L’attività della Sogin per terzi - Servizi d’ingegneria e consulenza Qualificazione tecnica dei siti - Assistenza in sito per la sicurezza degli impianti
nell’Est europeo - Formazione - Decommissioning e trattamento dei rifiuti - Il
ruolo dell’ENEA - Studi di sicurezza nucleare - Applicazioni nucleari in
medicina - Radioprotezione - Sistemazione rifiuti radioattivi - Sito nazionale di
deposito rifiuti radioattivi - Amplifier Driven System - Il programma italiano Ansaldo Nucleare nel decommissioning e nel trattamento waste - Linee di
attività di Ansaldo Nucleare - Impianto Cora per ENEA - Saluggia - Contenitori
per lo stoccaggio e il trasporto di combustibile irraggiato - Reattore Superphénix
- Progetto ADS - Gli impianti nucleari, il mercato, l’ambiente - La tecnologia
nucleare in settori di attività non orientati a finalità energetiche - Tecnologie
nucleari utilizzate nell’industria - Applicazioni nell’alimentazione e in
agricoltura - Applicazioni in medicina e prevenzione - Tecnologie nucleari
utilizzate in settori diversi - I nuovi aspetti del problema nucleare - La
sicurezza nucleare e la protezione dalle radiazioni ionizzanti - Riferimenti
internazionali della sicurezza nucleare e della radioprotezione - Componenti del
sistema di sicurezza nucleare e radioprotezione - La sicurezza nucleare e la
radioprotezione in Italia: il ruolo e i compiti dell’ANPA - L’energia nucleare
rimane insostituibile anche per l’Italia - Il caso Germania - Il caso Svezia
Atti delle Giornate di studio AIN
INTEGRALISMO
AMBIENTALE
E INFORMAZIONE
SCIENTIFICA
12 marzo 2001
pagg. 240, € 18,00
(ristampa digitale)
Conoscenze scientifiche e informazione - Lettera del professor Carlo
Salvetti al convegno - Nodi dell’informazione ambientale - Il cosiddetto
“inquinamento da campi elettromagnetici” - Energia e informazione - La
Radioattività - Agricoltura, chimica e inquinamento - Le biotecnologie e la
libertà di ricerca - Le variazioni climatiche storiche e la prevedibilità delle
modificazioni relative all’effetto serra - Sviluppo tecnologico e
informazione - La problematica BSE - Le encefalopatie spongiformi negli
animali e nell’uomo - L’agente infettivo delle encefalopatie trasmissibili Povero uranio! Ovvero: “Too Much Ado for Nothing” - Uranio depleto:
l’opinione degli esperti? All’informazione non serve - Nuove iniziative in
favore dell’informazione scientifica - Il Centro Internazionale per la
Documentazione e l’Informazione Scientifica CIDIS - Il Manifesto di
“Galileo 2001 per la libertà e la dignità della scienza”
UNA BATTAGLIA PER LA RAGIONE: L’azione della comunità scientifica
sul caso “elettrosmog” - Lettera aperta dei ricercatori coordinati
nell’ICEmB sull’impatto biologico dei campi elettromagnetici - Lettera
aperta al Presidente della Repubblica - Lo strano caso del “Rapporto Doll”
- Telegramma al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio
- La verità è umanitaria - L’elettrosmog è “un caso di paranoia globale” Fisici e oncologi ribadiscono la posizione comune - Note sulla protezione
della popolazione dagli effetti dei campi elettromagnetici
Autori vari
ORIZZONTI
DELLA TECNOLOGIA
NUCLEARE IN ITALIA
192 pagine Euro 15,00
ISBN 88-87731-26-8
Presentazione della Giornata di
Studio AIN 2004
Ricordo di Mario Silvestri
Ing. Ugo Spezia - La crisi del
sistema energetico italiano
Prof. Renato Angelo Ricci Energia nucleare: strategia e
informazione
Prof. Carlo Bernardini - Il ruolo
delle associazioni scientifiche
nell’orientamento della politica
energetica
Ing. Paolo Fornaciari - L’Italia e
l’opzione elettronucleare
Ing. Giancarlo Bolognini Opportunità di mercato nel
decommissioning degli impianti
nucleari
Ing. Roberto Adinolfi - Attività
industriali italiane
Ing. Aldo Pizzuto - Ricerche sulla
fusione e ricadute tecnologiche
Prof. Antonio Naviglio L’impianto nucleare MARS
Prof. Giuseppe Forasassi - Il
mantenimento delle competenze
tecnico-scientifiche nucleari in
Italia
Prof. Marco Ricotti - IRIS, un
progetto internazionale verso la
rinascita nucleare
Ing. Luigi Noviello - Il ruolo della
normativa
Ing. Enrico Mainardi - Il network
“Italian Young Generation in
Nuclear” (I.Y.G.N.)
Prof. Renato Angelo Ricci Conclusioni
Ing. Enrico Mainardi - Situazione
internazionale energia nucleare
da fissione
Ing. Enrico Mainardi - Reattori
nucleari di IV Generazione
Atti delle Giornate di studio AIN
ENERGIA NUCLEARE
Un futuro da salvare
21 novembre 1998
pagg. 176, € 12,91 ISBN.88-87731-00-4
ATTUALITÀ DEL NUCLEARE
23 novembre 1999
pagg. 192, € 12,91 ISBN.88-87731-09-8
ORIZZONTI DELLE
TECNOLOGIE NUCLEARI IN ITALIA
2 settembre 2004
pagg. 192, € 15,00
ISBN.88-87731-26-8
Chi acquisterà i tre volumi riceverà un abbonamento annuale
alla rivista 21mo SECOLO SCIENZA E TECNOLOGIA in omaggio
Giovanni Vitagliano
ENERGIA PER TUTTI
Un’esposizione chiara
per capire meglio l’energia
pagg. 204, € 18,00 ristampa digitale aggiornata nel 2005
ISBN.88-87731-25-X
Indice del volume:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
PRESENTAZIONE di Renato
Angelo Ricci
CHE COSA È L’ENERGIA?
A COSA SERVE L’ENERGIA
BREVE STORIA
DELL’ENERGIA
LE FONTI PRIMARIE DI
ENERGIA
FONTI SECONDARIE O
DERIVATE - ENERGIA
ELETTRICA
CENTRALI IDROELETTRICHE
7. CENTRALI
TERMOELETTRICHE
8. CENTRALI NUCLEARI
9. CENTRALI TURBOGAS ED
ENERGIE ALTERNATIVE CELLE A COMBUSTIBILE
10. L’UTILIZZAZIONE
DELL’ENERGIA
11. IL RISCHIO ENERGETICO
12. LA SICUREZZA
13. IL RISPARMIO ENERGETICO
14. LA POLITICA DELL’ENERGIA
15. UNO SGUARDO AL FUTURO
Basso - Casati - Frisio Giorgi - Rossi - Sala
BIOTECNOLOGIE
per la tutela dei
prodotti tipici italiani
pagg. 144, € 9,00
GENETICA, OGM E TRADIZIONE ALIMENTARE ITALIANA - Opinione
pubblica e piante OGM - Il “mangiar bene italiano” - Il problema: difetti genetici
- Le varietà tipiche non sono immutabili - Il rimedio: la ricerca scientifica - Ma
quale ricerca scientifica? - Agricoltura tradizionale e biotecnologie vegetali. - Il
rischio zero non esiste in alcuna attività umana: Il “principio di precauzione” ed
il concetto di “rapporto rischi e benefici” - Una proposta sensata: si valuti, “caso
per caso”, il rapporto “rischi/benefici” - Quale agricoltura nel futuro del nostro
paese? - Quali altre applicazioni delle piante OGM?
ASPETTI ECONOMICI E POLITICI DELLE PIANTE OGM - L’accettabilità fra
informazione e conoscenza - Economia e innovazione, il caso delle piante OGM Perché le piante OGM? - Un piatto molto ricco in pericolo - Prodotti agricoli
tipici da salvare - L’introduzione delle piante OGM: una rilettura in chiave
economica
SCHEDE: Pomodoro San Marzano - Melo della Valle d’Aosta - Riso Carnaroli Basilico - Brassicacee - Radicchio - Cipolla - Carciofo - Pesco - Melone Zucchino - Melanzana - Albicocco - Patata - Peperone - Vite Barbera - Vite
Garganega - Vite Aglianico - Vite Nero d’Avola - Lattuga - Ciliegio - Fragola Olivo - Pero
LE BASI SCIENTIFICHE DELLE BIOTECNOLOGIE VEGETALI
Le biotecnologie cellulari - L’ingegneria genetica delle piante - Genomica Biotecnologie, prodotti tipici e a vocazione territoriale - La domanda di cibo
(cereali)
UNA DECISA INIZIATIVA DEI RICERCATORI DEL SETTORE
BIOTECNOLOGICO. APPELLO PER LA LIBERTÀ DI RICERCA
Giuseppe Bertoni - Antonio Gaspari - Leonard Gianessi Paolo Ajmone Marsan - Piero Morandini - Giorgio Poli
BIOTECNOLOGIE:
i vantaggi per la salute
e per l’ambiente
pagg. 160, € 9,00
ISBN.88-87731-20-9
Prefazione di Umberto Tirelli
BIOTECNOLOGIE VEGETALI: MINACCIA O SPERANZA?
Brevetti e OGM
NATURALE O TRANSGENICO? QUALI CRITERI PER UNA SCELTA
Breve glossario dei termini tecnici
LA TRANSGENESI NELLE PRODUZIONI ANIMALI
GLI OGM COME ALIMENTI E VACCINI: VANTAGGI E RISCHI
PAVENTATI
Gli OGM quali alimenti
Vaccini
Possibili rischi e sistemi per il loro monitoraggio e prevenzione
OGM E MIGLIORAMENTO DELLA LOTTA AI PARASSITI
NELL’AGRICOLTURA EUROPEA
L’esempio della coltivazione del mais
LE RISPOSTE ALLE DOMANDE PIU FREQUENTI SUGLI OGM
Pontificia Accademia delle Scienze: le piante geneticamente modificate per la
produzione di cibo
Un confronto sereno ed equilibrato
UNCTAD: le biotecnologie nelle economie in via di sviluppo
Paolo Vecchia - Umberto Tirelli Ugo Spezia
CAMPI
ELETTROMAGNETICI
E SALUTE:
DAI MITI ALLA REALTÀ
Seconda edizione aggiornata
pagg. 128 € 9,00
ISBN 88-87731-16-0
Indice del volume:
I RISCHI DA CAMPI ELETTROMAGNETICI: VALUTAZIONE,
PERCEZIONE, PROTEZIONE
Effetti sanitari dei campi a bassa frequenza - Effetti sanitari dei campi
elettromagnetici ad alta frequenza - La percezione dei rischi connessi ai
campi elettromagnetici - Normative protezionistiche internazionali Politiche cautelative per i campi elettromagnetici
LA NORMATIVA SULL’ESPOSIZIONE AI CAMPI ELETTROMAGNETICI
Gli effetti sanitari dei campi elettromagnetici - I criteri di valutazione Gli effetti dei campi a radiofrequenza e a microonde - Gli effetti dei
campi a frequenza industriale - La normativa internazionale - La
normativa europea - La normativa italiana
CHE COSA SONO I CAMPI ELETTROMAGNETICI
La misura dei campi elettromagnetici - Un mondo di campi
elettromagnetici - Le reti telefoniche cellulari - Potenza di trasmissione e
campi elettromagnetici - Le antenne - Il puntamento delle antenne Limiti di campo e limiti di distanza - Esistono alternative
LE VALUTAZIONI DEL COMITATO INTERNAZIONALE SUI RISCHI
SANITARI
STIMA TECNICO ECONOMICA DEGLI INTERVENTI DI RISANAMENTO
AMBIENTALE
“GALILEO 2001 PER LA LIBERTÀ E LA DIGNITÀ DELLA SCIENZA”
Dipartimento degli Affari Economici e Sociali
Divisione Popolazione
Organizzazione delle Nazioni Unite
POPOLAZIONE, AMBIENTE
E SVILUPPO
Rapporto sintetico
pagg. 96, in brossura € 8,00
Prefazione del ministro dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio - 1. Andamento delle
variazioni di popolazione, ambiente e sviluppo 2. Politiche e concezioni dei governi riguardanti
popolazione, ambiente e sviluppo - 3. Dimensione e
crescita della popolazione, ambiente e sviluppo 4. Migrazione, cambiamento della popolazione e ambiente rurale - 5. Salute,
mortalità, fertilità e ambiente - 6. Popolazione, ambiente e sviluppo negli
insediamenti urbani
Antonio Gaspari
DA MALTHUS AL RAZZISMO
VERDE
La vera storia del movimento per
il controllo delle nascite
pagg. 288, € 15,49
La barbarie è ancora tra noi
Un fiume di denaro per limitare le
nascite - I padri fondatori del
movimento per il controllo delle nascite
Da Malthus a Darwin - L’eugenetica come base pseudoscientifica del razzismo - Razzismo e selezione della razza
promosse dai fondatori del movimento ecologista - Il darvinismo socialista e le
teorie eugenetiche - I diritti degli uomini e quelli della natura - La violenza e
l’intolleranza degli animalisti - Verdi nazisti o nazisti verdi? - Sei miliardi: troppi
o troppo pochi? - Scarsità o abbondanza di materie prime?
Biotecnologie: la rivoluzione sempre verde
Giuseppe Bertoni - Maria Luisa Di Pietro
Paolo Fornaciari - Silvio Garattini - Antonio
Gaspari - Benito Giorgi - Paola Girdinio
Gonzalo Miranda - Alessandra Nucci
Vittorfranco Pisano - Luigi Rossi - Angelo
Serra - Paolo Togni - Paolo Vecchia
Jesús Villagrasa
GLOBAL REPORT
Lo stato del pianeta
tra preoccupazioni etiche
e miti mbientalisti
pagg. 288, € 18,00
Introduzione del prof. Paolo Togni
L’11 settembre 2001
Globalizzazione culturale: dialogo, scontro o danza? - Imperialismo culturale e
omogeneizzazione - La guerra tra le culture o le civiltà
Il miraggio dell’agricoltura biologica
Bomba demografica e relativismo morale - Le dinamiche attuali della crescita
demografica - Crescita della popolazione e fabbisogno alimentare - Cresce la
produzione e calano i prezzi - Non c’è scarsità di materie prime - La crescita
demografica è decisiva per lo sviluppo economico
Il procreare umano. Tra ricerca e negazione della vita - La banalizzazione della
sessualità - La formazione morale come antidoto - Sessualità, ricchezza di tutta la
persona - Il procreare umano tra natura e artificio
Prospettive future dell’energia nucleare - La situazione energetica internazionale e
le prospettive future - La paura della radioattività
La rivoluzione genomica dal “gene” all’“uomo clonato” - Il “gene”: dall’ipotesi alla
realtà - La “rivoluzione genomica” - Verso una “nuova medicina” - Attese e
speranze - Sfide ed errori - Ritorno ai “valori” e responsabilità
Il caso “mucca pazza”: minore sicurezza o incapacità di percepire i rischi? - BSE:
origine e natura - Come si combatte la BSE - La scienza nel terzo millennio
La verità della buona morte - Il concetto di eutanasia - Concetto di morte degna
Siamo ambientalisti o panteisti? - Dall’eco-fanatismo all’eco-teologia - Il
primitivismo anti-ecologico - L’ONU e la New Age: progetto per una nuova
religione mondiale - Per le associazioni ambientali un vasto giro di denaro
I campi elettromagnetici - Emissioni a basse frequenze - Sorgenti di emissioni ad alte
frequenze (RF e MW) - Il sistema di telefonia cellulare - Effetti biologici e sanitari
dei campi elettromagnetici - Percezione del rischio - Politiche cautelative
L’effetto serra: tra timori e fandonie - Origine e sviluppo della teoria del
riscaldamento globale - Processo all’anidride carbonica: l’imputato è innocente - Il
costo insopportabile della riduzione della CO2 - Ecofandonie
Biotecnologie vegetali - Le biotecnologie cellulari - L’ingegneria genetica delle
piante - Biotecnologie, prodotti tipici - La domanda di cibo (cereali)
Autori Vari
Global Report
2004
Lo stato del pianeta
tra preoccupazioni etiche
e miti ambientalisti
336 pagine
Euro 18,00
ISBN 88-87731-21-7
Indice
Presentazione del prof. Paolo Togni, Capo di Gabinetto del Ministro per
l’Ambiente e la Tutela del Territorio • Prefazione di Padre Paolo
Scarafoni, Rettore dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum • Paolo
Sequi, Agricoltura e ambiente • Franco Battaglia, Il Principio di
precauzione • Renato Angelo Ricci, Informazione scientifica e problemi
ambientali • Carlo Lottieri, L’ecologismo quale minaccia per la libertà •
Carlo Petrini, Storia dei movimenti ambientalisti • Vittorfranco Pisano,
Il terrorismo religioso • Carlo Climati, I giovani tra insicurezze e nuove
stregonerie • Jesús Villagrasa, Diritto alla libertà religiosa e alla vita: la
saldezza della democrazia • Attilio Tamburrini, La libertà religiosa nel
mondo attuale • Angelo Gargano, Tra fede e scienza • Rafael Pascual,
Teorie evoluzioniste e rapporto uomo-natura • Piero Morandini,
Naturale o transgenico? Quali criteri per una scelta • Antonio Gaspari,
Crescita demografica e ambiente • James Nicholson, La politica
americana per promuovere sviluppo e buon governo • Ugo Spezia,
Energia nucleare ed energie alternative • Paolo Vecchia, I rischi da
campi elettromagnetici: valutazione, percezione, protezione •
Alessandro Martelli, Le moderne tecnologie di isolamento e protezione
sismica • Gianni Fochi, Natta e Giustiniani: fiducia nella scienza •
Francesco Ramella, Mobilità e inquinamento • Carlo Stagnaro,
Riscaldamento globale e sostenibilità energetica
Antonio Gaspari - Roberto Irsuti
TROPPO CALDO
O TROPPO FREDDO?
La favola del riscaldamento
del pianeta
pagg. 192, € 18,00
1. RISCALDAMENTO GLOBALE O GELO POLARE?: Origine e sviluppo
della teoria del riscaldamento globale - Previsioni catastrofiche dei profeti
di sventura - Verità parziali e bugie alla base della propaganda
catastrofista.
2. LA TEORIA DEL RISCALDAMENTO GLOBALE FA ACQUA DA
TUTTE LE PARTI: Ma il pianeta si sta veramente riscaldando? - Processo
all’anidride carbonica: l’imputato è innocente - L’aumento della CO2
stimola la crescita delle piante - Ma quale scioglimento dei ghiacciai? - Il
cielo non sta cadendo e il livello del mare non si sta innalzando - Altre
cause possibili: l’attività solare - Nuvole e assorbimento dell’energia
solare.
3. DA RIO DE JANEIRO A BUENOS AIRES: STORIA DI UN
FALLIMENTO: Si allarga il fronte degli oppositori - La farsa di Kyoto La delegazione italiana: la più catastrofista - Caldo o freddo non importa,
basta imporre le tasse ambientali - Si è celebrato a Buenos Aires il
fallimento di Kyoto - Le critiche all’IPCC - Le lobby si confrontano - Una
presunta cospirazione e un Pulitzer fantasma.
4. LA RIVOLTA DEGLI SCIENZIATI: Il primo esempio: il protocollo di
Montreal - La creazione dell’IPCC e la Convenzione quadro sul
cambiamento climatico - La dichiarazione di Heidelberg - La Leipzig
declaration - Le critiche dei ricercatori.
5. FELICITÀ È UN PIANETA CALDO: Benefici per l’uomo e per la natura I cambiamenti climatici e la salute: più o meno malattie? - La povertà e
non le zanzare favoriscono la diffusione della malaria - Le tristi storie del
grande freddo - Quanto costa la “carbon tax” - Una tassa planetaria.
M. Dolce - A. Martelli - G. Panza
Proteggersi
dal terremoto:
le moderne tecnologie
e metodologie e la nuova
normativa sismica
seconda edizione
336 pagine
Euro 20,00
ISBN 88-87731-28-4
Nozioni di sismologia - Il terremoto e
le sue cause - Le onde sismiche Misure dell’entità dei terremoti - Altri
eventi catastrofici innescati dai
terremoti
Cenni sul moto sismico delle
strutture - Equazioni dell’equilibrio
dinamico - Equilibrio statico Equilibrio dinamico in presenza del
terremoto - Spettri di risposta definiti
dalla nuova normativa sismica
Previsione dei terremoti e scenari
deterministici del moto del suolo - La
previsione dei terremoti a medio
termine spazio-temporale - Il caso
Italia - L’algoritmo CN - L’algoritmo
M8 - Riconoscimento delle aree ad
elevato potenziale sismogenetico
Pericolosità sismica, rischio sismico e
prevenzione sismica in Italia Pericolosità sismica - Vulnerabilità
sismica e prevenzione del rischio
sismico - Classificazione sismica L’esperienza passata e gli scenari per
il futuro - La precedente normativa
sismica per le costruzioni ed i suoi
limiti - La nascita delle moderne
tecniche di controllo delle vibrazioni
sismiche
Caratteristiche delle moderne
tecnologie antisismiche L’isolamento sismico e le sue
caratteristiche principali I sistemi
dissipativi e loro caratteristiche
principali
Progettazione delle strutture isolate o
dotate di sistemi dissipativi in base
alla nuova normativa sismica Approccio prestazionale - Definizione
delle azioni di progetto - Moderne
tecnologie antisismiche
L’applicazione delle moderne
tecnologie antisismiche in Italia e nel
mondo - Le collaborazioni nazionali
ed internazionali - Le prime
applicazioni italiane ai ponti, ai
viadotti e agli edifici - Le difficoltà
riscontrate in Italia fino al 2003 - Le
nuove applicazioni italiane
APPENDICI - Il maremoto - Effetti di
sito? Sì, ma con molta attenzione Abachi per la rapida determinazione
dei principali parametri di
comportamento di una struttura con
isolamento sismico - Esempio di
applicazione dell’isolamento sismico
ad un edificio - Il collaudo degli
edifici con isolamento sismico
A. Gaspari - V. Pisano
Dal popolo di Seattle
all’ecoterrorismo
Movimenti
antiglobalizzazione e
radicalismo ambientale
pagg. 160, € 13,00
ISBN 88-87731-19-5
TERRORISMO E MOVIMENTI ECOLOGISTI RADICALI - La dimensione
ecologica del terrorismo classico - La dimensione ecologica del neo-terrorismo Gli ambientalisti radicali - Gli animalisti radicali
TRA GLOBAL E NO-GLOBAL - Seattle 1999: WTO e regole del commercio
mondiale - La nascita del “popolo di Seattle” e la storia controversa del capo
indiano - Sul futuro di Seattle il capo indiano si è sbagliato…
POPOLO DI SEATTLE: UN MOVIMENTO CONTRO IL LIBERO COMMERCIO
- Ambientalismo catastrofista - Anti global: figli della retorica comunista? Protezionisti contro il progresso - Altro che Tobin tax, i paesi poveri chiedono
l’apertura dei mercati - La globalizzazione impoverisce i popoli? - Lo stato del
mondo al di là dei luoghi comuni -Sviluppo è liberta e rispetto dei diritti umani
BIOTECNOLOGIE E LOTTA CONTRO LA FAME: UN DIBATTITO
TRUCCATO - Accuse dall’India: I “verdi” sono i nuovi imperialisti! - L’inganno
dell’agricoltura biologica - Non è più salubre, è più brutto e costa di più, ma è
biologico… - Cibi biologici? No, grazie! - Con la biodinamica torna la magia nei
campi - I vantaggi delle biotecnologie messi a disposizione dei paesi poveri Ogm e prodotti tipici - Transgenici per nutrire e curare
GLI AFFARI GLOBALI DEI NO-GLOBAL - Per far carriera nelle multinazionali
bisogna essere ecologisti… - Tute bianche, Black bloc, Casarini, Marcos noglobal: tutti bevono Coca-Cola - Difesa dell’ambiente: parla uno dei fondatori di
Greenpeace - Eco-baroni nostrani: le specie più protette del Parco d’Abruzzo
sono il presidente e l’ex direttore
NO-GLOBAL: ALTRO CHE PACIFISTI E NON VIOLENTI - Genova: una
tragedia prevista - Storia di una vittima annunciata - I no-global e il mondo
cattolico - I fatti di Genova in Parlamento - I Black bloc e la polizia - Chi finanzia
i gruppi antiglobalizzazione? - I protezionisti che pagano i no-global
don Remo Baronti
Nuova Epoca
di Beati e Santi
Tutti i Beati e Santi proclamati
da S.S. Giovanni Paolo II
dall’inizio del suo Pontificato
pagg. 576, Euro 25,00
ISBN 88-87731-18-7
21mo SECOLO - scienza e fede
1 copia: 3,00 euro
già pubblicati
febbraio
1/2005
novembre
5/2005
aprile
2/2006
M.C. Fiocchi - A. Gaspari
ONU E SANTA SEDE
Le ragioni del confronto
Siamo veramente in troppi sulla Terra?
pagg. 176, € 12,91
1. L’evoluzione demografica in atto - Le teorie:
Malthus, neo-maltusiani e antimaltusiani - 2. Le
soluzioni maltusiane - 3. Scarsità o abbondanza? - Le
carestie si possono sconfiggere - Il problema delle
risorse - 4. Onu e Santa Sede - Storia del movimento per
il controllo delle nascite - 5. L’insegnamento dei Papi Giovanni XXIII ed il Concilio Vaticano II - Paolo VI e la
diffusione della pillola - Giovanni Paolo II e la battaglia in difesa della vita
Voglio acquistare i seguenti volumi
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Chernobyl. 20 anni dopo il disastro
Precludersi l’uso degli Ogm in agricoltura
Il paradosso del nucleare in Italia
I costi della non-scienza: Il Principio di Precauzione
Biotecnologie per la tutela dei prodotti tipici italiani
Biotecnologie: i vantaggi per la salute e per l’ambiente
Proteggersi dal terremoto (seconda edizione)
Dal popolo di Seattle all’ecoterrorismo
Global Report
Global Report 2004
Popolazione, ambiente e sviluppo
Campi elettromagnetici e salute: dai miti alla realtà
Integralismo ambientale e informazione scientifica
Orizzonti delle tecnologie nucleari
Attualità del nucleare
Energia nucleare: un futuro da salvare
Energia per tutti
Il petrolio, l’atomo e il metano
L’atomo per la pace
Il racket ambientale (seconda edizione)
Profeti di sventura? No, grazie!
Troppo caldo o troppo freddo?
Da Malthus al razzismo verde
Nuova Epoca di Beati e Santi
ONU e Santa Sede
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15,49
25,00
12,91
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ALIMENTA
COMMENTARIO TECNICO-GIURIDICO DELLA PRODUZIONE AGRO-ALIMENTARE
Il punto di incontro e confronto fra Scienza e Diritto.
Collaborano giuristi specialisti del diritto alimentare nazionale e comunitario e
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