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22 – SUL WELFARE LO SCONTRO DECISIVO
Lo smantellamento del sistema di protezione
sociale, frutto della lotta del movimento dei lavoratori italiani nel corso dell’intera storia repubblicana, costituisce il principale obiettivo dell’azione di governo della destra. Dall’art. 18 dello
Statuto dei lavoratori, alla scuola, alla sanità, alla
proposta di abbassare la contribuzione previdenziale per i nuovi assunti sta prendendo corpo
un’azione sistematica che punta a cambiare il
volto del paese. La stessa proposta di ridurre a
due le aliquote fiscali con il conseguente effetto
di una riduzione generale delle tasse risulta realistica solo se rapportata a una diminuzione massiccia della spesa sociale. Spostando poi verso il
settore assicurativo privato la soddisfazione delle
più diverse forme di tutela – dalla salute alla pensione – non si ledono solo i diritti dei più deboli e
il principio ugualitario che sta alla base di ogni
concezione universalistica del welfare, ma si realizza un enorme spostamento di ricchezza dal
pubblico al privato. Si affermerebbero così una
forma estrema di “Stato minimo” e, insieme, un
aumento delle diseguaglianze sociali e nell’accesso alle conoscenze. Il futuro dello Stato sociale è
legato a una sua radicale riforma, ma non esiste
nessun terreno comune tra questa esigenza e i
cambiamenti proposti dalla destra. La contrapposizione su questo terreno le forze dell’opposizione e la destra deve essere radicale. E dall’esito
dello scontro su questi temi dipende in gran parte
il futuro assetto politico e istituzionale del paese.
ziamento. Se la risposta a queste domande è positiva, occorre convenire su regole comuni di comportamento soprattutto in vista del contributo alla
costruzione di un movimento politico a sinistra.
Un elenco sommario delle regole comuni può
essere così indicato:
1 - l’associazione si sforza di avere rapporti con
tutte le realtà associative di ispirazione laica e
religiosa che si muovono entro lo spazio definito
dalla avversione alla guerra e dalla critica alla
società presente, e ha cura in particolar modo di
partecipare o di attivare iniziative rivolte alla
reciproca comprensione tra le culture diverse che
attraversano la società anche in rapporto alla
dimensione crescente dei problemi aperti dai
fenomeni di immigrazione.
2 - l’associazione cerca di essere presente nelle
varie realtà sociali, culturali, produttive, e di
costituire gruppi di interesse che si riuniscano
periodicamente e attendano a loro volta alle attività che considerano necessarie anche partecipando alle iniziative sociali e politiche assunte da
altri soggetti, per scopi che possano essere considerati comuni.
3 - la regolarità degli appuntamenti di discussione
sui temi di comune interesse e sulle decisioni da
assumere deve essere considerata determinante ai
fini di una vita interna democratica;
SOMMARIO
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2
Automatismi nel linguaggio della sinistra di Vittorio Coletti . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3
Comitato Genitori-Insegnanti per la difesa della Scuola pubblica . . . . . . . . . . . .
5
Breve nota di commento sulle elezioni delle RSU 2001 di Antonello Sotgiu . . . . . .
8
La prospettiva comunista di Enrico Revello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10
Per tornare a vincere di Mauro Torelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
13
Relazione introduttiva- XIV Congresso Cgil di Imperia - di Claudio Porchia . . . . .
18
Omaggio a Natta: un’iniziativa dell’ARS di Imperia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
31
Per Natta di Giuseppe Chiarante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
33
Una nuova proposta a sinistra
Documento precongressuale approvato dalla Presidenza nazionale dell’ARS . . . . . . . .
4 - la contribuzione alle spese secondo le possibilità di ciascuna/o e secondo i bilanci comunemente stabiliti non è soltanto indispensabile alla
L’Associazione per il rinnovamento della sinistra vita dell’associazione, ma è un’esigenza di vita
è nata sulla base dell’autonomia delle singole democratica e di reciproco vincolo associativo;
realtà che la compongono, siano state esse associazioni locali dello stesso nome, o associazioni 5 - L’associazione, confermando la norma statutapreesistenti. Ovunque essa si regge unicamente ria per la non partecipazione dell’Ars in quanto
sul lavoro volontario e sulle risorse trovate attra- tale alle elezioni, non è indifferente, come è stato
verso lo sforzo degli iscritti. Ciò è valso anche chiarito nel corso degli anni passati, ai risultati
per il coordinamento nazionale. Tuttavia, se si elettorali e alla vita delle istituzioni. Non esclude
vuole passare a una nuova fase dell’associazione, quindi l’appoggio a quelle candidature che accetsia nel coordinamento centrale sia nelle singole tassero il programma e i fini dell’associazione e
realtà dobbiamo chiederci se non occorra raffor- le posizioni politiche da essa via via assunte.
zare la comunanza di indirizzo, di lavoro cultura* Documento della Presidenza nazionale
le e politico, di vita democratica e di relazioni
15 gennaio 2002
interne, ivi compresa la questione dell’autofinanLA PRATICA ASSOCIATIVA
48 settembre / dicembre 2001
1 settembre / dicembre 2001
39
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L’impostazione di quest’ultimo numero di “Pagine Nuove del Ponente”
del 2001 si caratterizza per la presa in esame di congressi, particolarmente
attesi, di due partiti della sinistra, i Democratici di sinistra e il Partito dei
comunisti italiani, e della Cgil, la principale organizzazione confederale del
Paese.
La nostra attenzione, naturalmente, si è posata sugli appuntamenti
congressuali in provincia di Imperia; ma, come è facile evincere, gli interventi
presentati si rifanno prevalentemente alle problematiche generali.
A completamento della pubblicazione, come è consuetudine nostra,
presentiamo la documentazione delle iniziative organizzate dall’Ars di
Imperia.
Nel numero attuale riportiamo gli interventi presentati lo scorso settembre in occasione dell’incontro in omaggio a Natta, il cui relatore è stato
Giuseppe Chiarante, della presidenza nazionale dell’Ars.
Pensando di svolgere utile opera di documentazione, presentiamo
anche i risultati delle elezioni delle RSU nel pubblico impiego, nelle diverse
province liguri e un commento del segretario regionale FP-Cgil.
Su tali questioni il dibattito è aperto e la nostra rivista darà conto del
suo sviluppo successivo.
Non poteva mancare il tema della scuola, con le lotte avverse alla controriforma del centro-destra. Pubblichiamo, a questo scopo, il documento che
accompagna una felice iniziativa nata nella città di Imperia, che ci auguriamo
possa contribuire alla crescita del movimento in difesa della scuola pubblica.
Vittorio Coletti interviene con una riflessione sulla necessità che la
sinistra, tra l’altro, innovi il proprio vocabolario per non essere subalterna
culturalmente alla destra.
A marzo l’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra, a Roma, in
occasione del suo 2° congresso, porrà all’ordine del giorno la promozione di
un movimento politico.
La Presidenza nazionale ha approntato il documento precongressuale,
che presentiamo sulla nostra rivista, con l’augurio che esso contribuisca ad
approfondire e sviluppare il dibattito. L’ARS di Imperia, oltre a promuove
incontri con gruppi e associazioni, mette a disposizione del dibattito il proprio
sito internet (www.arsimperia.it) e l’e-mail ([email protected]).
Il congresso della nostra associazione locale si terrà a Imperia il 22
febbraio.
Il prossimo numero di “Pagine Nuove del Ponente” darà conto dei
risultati congressuali.
***
2 settembre / dicembre 2001
fino in fondo i conti con le trasformazioni che
sono intervenute nell’economia e nella società.
Si tratta invece di riconoscere, rilegittimare, rivalorizzare la “funzione pubblica” presente in tutte
le attività di produzione e di servizio, sia statali,
sia private, e di affermare una visione del “pubblico” non dominato da burocrazie e corporativismi, ma da forme di controllo democratico e da
una trasformazione democratica delle stesse burocrazie. Ci sono settori, come quello dell’informazione, dell’istruzione, della sanità, dei servizi alla
persona, della ricerca, della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, il cui ruolo nel mercato non può prescindere dal loro irrinunciabile
valore democratico e civile. A partire dalla critica
all’imperativo della crescita produttiva indiscriminata (non importa per chi e che cosa, purché il
Pil aumenti, secondo un paradigma al cui interno
sta senza problemi la produzione e il commercio
di armi), va perseguito il riequilibrio tra “beni
materiali” e “beni sociali” (sanità, istruzione, formazione, ricerca, cultura) beni che, tra l’altro,
favoriscono l’occupazione anche perché difficilmente producibili da macchine. L’esistenza e la
crescita del settore no-profit non può essere relegata a stampella dello smantellamento del welfare
pubblico, ma divenire un criterio normativo per
tutte le attività con prevalenti finalità democratiche e sociali. Una nuova e decisiva questione
della proprietà si pone per i brevetti scientifici: la
conoscenza della natura non può essere appannaggio di interessi privati, o, peggio, di imprese
monopolistiche. L’uso delle scoperte della scienza
va democraticamente deciso.
20 – IMPRESA E LAVORO
La conclamata centralità sociale e culturale dell’impresa, il suo potere egemonico, non si accompagna, curiosamente, ad alcun forte discorso pubblico sui meccanismi democratici del suo funzionamento interno. La questione del lavoro è certamente in grande misura quella della tutela dei
diritti sul salario e per l’occupazione, oggi messi
in discussione dagli imprenditori e dalle destre al
governo in Italia con pericolosa aggressività. La
risposta del movimento sindacale ha visto nelle
iniziative dei metalmeccanici l’avvio di una possibile svolta nei contenuti, negli obiettivi e nelle
stesse modalità della lotta. Ma le modifiche del
meccanismo di produzione – impresa a rete, allargamento e precarizzazione del lavoro intellettuale
grazie alle nuove tecnologie telematiche – chiedono anche l’invenzione di nuove forme di organizzazione e di rappresentanza capaci di intervenire sulla qualità del lavoro e le finalità dei prodotti. Il grande processo di femminilizzazione del
mercato del lavoro apre nuovi territori su tutto il
terreno indicato dall’intreccio tra tempo di vita e
tempo di lavoro, senso e qualità del lavoro. I processi di finanziarizzazione globale, col peso sempre più massiccio dell’uso del risparmio privato
anche ai fini previdenziali e assicurativi, chiede
un salto di qualità nel controllo democratico
anche di questa sfera decisiva per gli equilibri
dell’economia mondiale e per le condizioni di
vita di milioni di lavoratori. Il peso delle società
multinazionali uguaglia ormai quello di vere e
proprie entità statali: l’azione contro i “marchi”
sperimentata negli ultimi anni dal movimento noglobal dimostra però che un’azione politica mirata, e consapevole dei nuovi meccanismi linguistico-simbolici della produzione e del consumo
moderni può ottenere risultati significativi.
L’azione per la introduzione di primi elementi di
fiscalità riequilibratrice a livello globale (la Tobin
tax) costituisce una esempio delle possibilità di
intervento attuale.
21 – IL RIFIUTO DI OGNI RAZZISMO
La critica al modello sociale attuale, come anche
allo sviluppo delle relazioni mondiali all’indomani dell’11 settembre, richiede che per la sinistra
del nuovo secolo la lotta al razzismo nelle società
sviluppate e in tutto il mondo diventi insieme un
valore e una pratica fondativa della sua identità.
Banco di prova essenziale di questa scelta sono
innanzitutto le politiche che la sinistra decide di
perseguire in materia di immigrazione e la determinazione con cui conduce un’azione di contrasto
alle scelte legislative messe in campo dalla destra.
Queste non solo orientano la lotta all’immigrazione clandestina verso forme che violano i più elementari diritti della persona, ma mettono vincoli e
ostacoli alla stessa immigrazione regolare, tali da
trasformare le relazioni sociali e di lavoro in una
fitta rete di discriminazioni su base etnica e razziale che alla lunga interverranno negativamente
sulla convivenza civile del nostro paese.
47 settembre / dicembre 2001
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tarismi, l’olocausto ) deve sapersi candidare a una
funzione di mediazione e di incontro tra le culture
e le civiltà del mondo, contro la pretesa di uniformare l’intero pianeta al modello economico
sociale dell’Occidente capitalistico.
17 – LA RAPPRESENTANZA E LA DEMOCRAZIA
L’azione della politica non si esaurisce certo nella
formazione e selezione della rappresentanza
democratica – come dimostrano le pratiche sempre più diffuse del volontariato e dell’associazionismo di scopo che si sviluppano al di fuori dei
partiti costituendo reti essenziali alla qualità del
legame sociale e estese a livello internazionale,
come nel caso dei movimenti critici della globalizzazione – ma la qualità della rappresentanza e
la sua rispondenza alla realtà sociale, culturale e
politica del territorio resta un aspetto indispensabile della democrazia. In Italia il criterio della
rappresentanza a livello nazionale è stato drasticamente sottoposto dal nuovo sistema elettorale
uninominale a turno unico a quello della stabilità
dei governi, con un premio di maggioranza paradossale (con un punto e mezzo in più nei collegi
uninominali il centro destra ha una maggioranza
schiacciante alla Camera): la crisi della rappresentanza, già in atto per le disparità economiche e
culturali, si viene così ulteriormente accentuando.
D’altra parte la rappresentanza generale – nel parlamento e nelle assemblee locali – oltre al fatto
che ovunque sottostima pesantemente la presenza
femminile, non può essere considerata esaustiva
del criterio democratico. Il funzionamento dei
servizi può essere sottoposto, in forme istituzionalizzate e trasparenti e non solo per la buona
volontà dell’associazionismo, al controllo democratico degli utenti. Il principio di sussidiarietà
non può sostituire il dovere comune (il dovere
della repubblica) di garantire a tutti parità nei
diritti. Proprio il rischio che l’evoluzione in senso
federalistico dello stato produca disuguaglianze
nei diritti fondamentali richiede una differenziazione dell’iniziativa politica e delle forme dell’azione regione per regione. L’esistenza in sede
locale di leggi elettorali diverse, che contengono
il metodo proporzionale, può consentire il manifestarsi di una rappresentanza più aderente alla
realtà sociale rispetto a quanto avviene con il
sistema uninominale a turno unico.
18 – LA GIUSTIZIA
Il rapporto tra giustizia e politica è diventato nell’ultimo decennio uno dei punti più critici nell’equilibrio dei sistemi democratici. Il “caso italiano” si differenzia soprattutto per il fatto che la
legislazione vigente può essere considerata più
avanzata, in particolare per la garanzia dell’indipendenza dei pm dal potere esecutivo. Questa
conquista dell’autonomia del potere giudiziario,
fondamento dello stato liberal-democratico, è
oggi messa a rischio fondamentalmente perché le
classi dominanti e una parte rilevante del ceto
politico non accettano il criterio di legalità e di
sindacabilità. La giusta considerazione dell’importanza delle garanzie per gli imputati non può
dimenticare il fatto che le garanzie riguardano sia
l’imputato, sia il bene pubblico, e cioè la tutela
del cittadino dalla prepotenza dei più forti e dalla
criminalità, che giunge ad avere il controllo di
intere regioni. Non si possono però ignorare le
gravi distorsioni del sistema giudiziario italiano,
riguardanti soprattutto la lunghezza dei processi,
ripetutamente oggetto di severi richiami da parte
degli organismi europei preposti alla materia. E’
una situazione grave, quasi sempre frustrante per
il cittadino che aspetta giustizia, spesso utile per
l’imputato colpevole (che contribuendo a dilazionare i tempi del procedimento, sovente giunge
alla prescrizione). Più volte la magistratura ha
indicato la carenza di organico e di adeguate
strutture come la causa principale di queste
disfunzioni. La sinistra ha oscillato tra le norme
di emergenza e la tiepidezza verso il principio di
legalità, ma senza una battaglia costante per l’affermazione di questo principio non esiste alcuna
vitalità democratica.
19 – PUBBLICO E PRIVATO
Dagli eccessi statalisti la sinistra moderata è passata a una concezione influenzata dagli orientamenti liberisti senza rimeditare il rapporto tra
pubblico e privato, rendendo così meno efficace
l’azione di contrasto all’assunzione, da parte della
destra, del “modello di impresa” anche per la
scuola e i servizi pubblici. Dall’altra parte la sinistra antagonista rimane spesso inchiodata alla
difesa delle funzioni pubbliche così come si sono
tradizionalmente affermate nelle passate esperienze di costruzione dello stato sociale, senza fare
46 settembre / dicembre 2001
Automatismi
nel linguaggio della sinistra
di Vittorio Coletti*
Criticare D’Alema “da sinistra” è forse
uno sport ormai troppo diffuso. Il bravo
Presidente dei DS non perde però occasione di
meritarsi l’irritazione di chi vorrebbe un’opposizione al governo Berlusconi più intransigente e
meno cautelosa.
Da ultimo D’Alema ha ritenuto utile precisare che la lotta alla destra deve avvenire sul
terreno dell’innovazione, sostenendo quindi che
la sinistra deve essere più nuova e più moderna
dell’attuale destra. Siamo alla solita religione
delle parole. Uno degli articoli di questa religione
prescrive che il cambiamento, l’innovazione ecc.
siano un patrimonio tipico ed esclusivo della sinistra; più precisamente, tutto il campo semantico
della novità sarebbe di sinistra e quindi la sinistra
dovrebbe essere più giovane e innovatrice della
destra. Questa equazione di sinistra e cambiamento era nata quando la sinistra non si opponeva a
una destra, ma a un centro e quindi al naturale
conservatorismo centrista contrapponeva un’esigenza di nuovi, diversi assetti socioeconomici e
politici.
Ma oggi contro la sinistra c’è la destra e
in fatto di cambiamenti e innovazioni la destra
neoliberista e parafascista, questa destra, non è,
non è mai stata seconda a nessuna sinistra. I futuristi, i fascisti furono dei formidabili novatori,
anche perché l’interesse dei pochi e dei forti si
possano fare solo dietro lo schermo delle novità
per i molti. Il mito del nuovo, del cambiamento
delle regole è funzionale a una politica di esaltazione delle individualità, di abrogazione dei limiti
imposti dalla presenza degli altri, di sprezzo dei
valori sociali più umili e basilari.
La cosa è sempre stata così chiara che la
destra fascista ha dovuto, a suo tempo, fabbricarsi
rapidamente degli anticorpi, per non finire essa
stessa vittima del proprio impulso a innovare, a
rompere le vecchie regole: di qui l’esaltazione
dello stato, della nazione, cui corrisponde oggi,
da parte della destra attualmente dominante, quella della regione e della razza.
Questi valori ritrovati nel passato servivano e servono infatti a controbilanciare il pericolo di disgregazione della collettività insito nel
radicalismo innovatore proprio di ogni destra
eversiva, il cui principio propulsore sta nell’affermazione del singolo e del particolare. È per questo che è stolto sostenere che bisogna essere più
moderni di un Tremonti. Si deve invece essere
preoccupati delle sue novità e difendere il patrimonio di cultura, di civiltà e di tradizioni politiche che egli sta smantellando allegramente.
La parola d’ordine dell’innovazione, in
questo momento, se lanciata da sinistra, ripropone
il tragico errore dei governi venuti dopo quello di
Prodi, che hanno cercato di fare la politica della
destra (con i vari Bassanini, Berlinguer ecc.),
senza, come ovvio, catturarne l’elettorato. Infatti,
l’elettore di destra non si accontenta delle innovazioni che sanciscono il primato del mercato sullo
stato, che decretano la superiorità dell’interesse
privato sulla preoccupazione per la cosa pubblica; vuole anche che queste novità siano teorizzate
e pubblicizzate appunto come tali e positive,
ideologicamente condivise e apertamente esaltate,
senza vergogna e reticenza.
3 settembre / dicembre 2001
DOCUMENTI
La sinistra invece era e sarebbe anche
oggi costretta a inquadrarle dentro parametri che,
almeno sul piano della comunicazione, hanno il
compito di ridurne l’impatto, la forza devastante,
dando l’impressione di non voler fare, di non
approvare quello che fa.
L’elettore rampante della destra, quello
che, stante molti tra di noi, la sinistra dovrebbe
agganciare ancorché fugga su strapotenti fuoristrada, esige invece l’innovazione senza riserve e
senza scrupoli, perché non vuole neppure dover
fare i conti con qualche residuale senso di colpa
quando afferma la precedenza del proprio interesse (di imprenditorello, di commerciante, di gazzettiere…) su quello comune.
Per aggredire come si deve la destra che
governa la sinistra deve innovare sì, ma, per
prima cosa, il proprio vocabolario. La lotta che la
aspetta è una guerra di difesa, di trincea. Certe
parole d’ordine non le servono.
* Ordinario di Storia della lingua italiana
Università di Genova
si diffonde anche a sinistra, poggiano su un’idea
di individuo neutro e astratto, che nelle vulgate
politiche prevalenti sfocia poi in nuove forme di
egoismo corporativo e di conservatorismo escludente. Nella realtà noi abbiamo a che fare non
con individui astratti ma con uomini e donne
immersi in una realtà sociale. La leva di trasformazione delle mentalità e della società più potente negli ultimi decenni è stata la libertà femminile. Essa pone su basi culturali e antropologiche
nuove la stessa idea di libertà individuale e del
diritto al perseguimento della felicità, entrato nel
discorso politico moderno con la dichiarazione di
indipendenza americana. La politica della sinistra
dovrebbe saper interpretare e unire il desiderio di
emancipazione di chi si trova nelle posizioni
socialmente subalterne con il desiderio di autorealizzazione di tutte e tutti.
LA CRISI ITALIANA E L’ESIGENZA
DI UN NUOVO PROGRAMMA
Abbiamo di fronte dunque un arduo compito di
ricerca, di ripensamento e di sperimentazione teorica e pratica. Il terreno su cui questo lavoro
attende di essere compiuto, anche per affrontare
la crisi italiana, può essere così sinteticamente
abbozzato:
15 – LE SPINTE AUTORITARIE IN ITALIA
In Italia l’azione per le riforme istituzionali si è
esaurita nelle iniziative per la modifica in senso
maggioritario della legge elettorale e per il rafforzamento del potere dell’esecutivo, determinando
una selezione gravemente distorta della rappresentanza dentro un regime rigidamente bipolare.
A ciò si accompagna una sorta di presidenzialismo virtuale, evocato dall’indicazione sulla scheda elettorale del candidato premier, nel contesto
di un disordine istituzionale caratterizzato tra l’altro dalla inaudita concentrazione monopolistica
dell’informazione televisiva, cioè di uno dei più
potenti strumenti di formazione del consenso. La
tendenza presidenzialista viene ora ribadita e teorizzata dalla destra. Il parlamento, già in larga
misura ridotto a cassa d i risonanza dell’esecutivo
dovrebbe essere ulteriormente svuotato. Un
auspicabile sistema proporzionale alla tedesca,
con un presidente di garanzia, è cosa totalmente
4 settembre / dicembre 2001
diversa dalla elezione diretta di un presidente con
un parlamento senza poteri nei confronti dell’esecutivo. Anche il mutamento di poteri e di equilibri tra stato centrale e autonomie locali, in sé
positivo, ha aperto una transizione non priva di
rischi involutivi per la uguaglianza dei diritti. In
sostanza, siamo di fronte, dopo un decennio di
iniziative contraddittorie, a un processo costituente incompiuto e confuso, gravido di pericoli autoritari e populistici, che si incontra con le peggiori
tendenze presenti in Europa
16 – IL QUADRO EUROPEO
La battaglia della sinistra perché si affermino i
valori e le regole di una democrazia più vera deve
assumere il contesto europeo e globale come
fonte dell’elaborazione teorica e costante scenario
dell’iniziativa, e basarsi su una cultura politica
informata a una critica aggiornata e di fondo della
società presente. Dopo l’11 settembre, di fronte
alla decisa ripresa statunitense di un ruolo egemonico e militare nel mondo, si è vista una volta di
più la debolezza del progetto europeo. Un nuovo
ruolo dell’Europa deve essere affermato contro le
tendenze conservatrici, particolarmente forti nel
centrodestra italiano, come si è visto nella crisi
che ha portato alle dimissioni del ministro
Ruggiero. Per sconfiggere queste tendenze occorre battersi, ora che la moneta unica è una realtà,
perché l’Europa si dia forte ruolo politico democratico. Con una costituzione basata sullo sviluppo armonico delle precondizioni democratiche
nei singoli paesi che compongono e comporranno
l’Unione. Con un ruolo strategico globale capace
di limitare il dominio americano, e di spingere
per la riforma del complesso di istituzioni –
l’Onu, ma anche il Fondo monetario, la Banca
mondiale, il Wto – che concorrono al governo
mondiale. E’ un’azione che allo sviluppo della
democrazia sul piano locale, nazionale, europeo e
globale deve saper accompagnare una critica al
modello di sviluppo e alle diseguaglianze tra
mondo sviluppato e mondo sottosviluppato recuperando e aggiornando le intuizioni – formulate
da alcune sinistre europee ma rapidamente accantonate – di Brandt, Palme e Berlinguer. Sul piano
culturale l’Europa, per la ricchezza delle proprie
conquiste civili e per l’insegnamento che le deriva dalle sue colpe ( due guerre mondiali, i totali
45 settembre / dicembre 2001
DOCUMENTI
sava di mano, fino al paradossale trionfo, in
Italia, di valori fino a ieri considerati disvalori: la
ricchezza conquistata a qualsiasi costo, compresa
la pratica mafiosa, oppure la corruzione politica
giudicata inevitabile corollario della amministrazione. La scarsa attenzione alle precondizioni
della democrazia – e cioè ai diritti fondamentali –
ha avuto origine in una visione subalterna della
società e della categoria medesima dell’interesse
generale. Ciò è avvenuto anche per il negativo
condizionamento dovuto all’idea della coincidenza del socialismo con il modello sovietico, rispetto al quale le “democrazie reali” in Occidente
apparivano di gran lunga superiori. Si è ignorato
che le democrazie occidentali avevano limiti che
oggi rischiano di determinarne una grave involuzione, sia per le distorsioni e le esclusioni nella
rappresentanza, sia per la forza predominante dei
potentati economici. E si è ignorato che le forme
della ingiustizia economica poggiano non solo
sulle tendenze liberistiche, ma su un complesso
sistema simbolico e su un insieme di pratiche
13 - A FONDAMENTO: LIBERTÀ, DEMOCRAZIA
Per ritrovare identità e funzione la sinistra deve politiche e istituzionali.
mutare radicalmente la sua agenda tradizionale e
ripartire dai fondamenti della libertà e della 14 - CLASSI, INDIVIDUI, DESIDERI, SENTIMENTI
democrazia: dai diritti politici fondamentali, da Una nuova cultura politica della sinistra, infine,
un’idea della libertà che ha la sua radice nell’esi- non può che ripartire da una critica radicale
stenza reale degli individui sessuati. Qui sta la sapendo, come disse Marx, che la libertà e la
premessa anche del possibile esercizio del conflit- dignità della persona sono il discrimine tra chi
to democratico per il mutamento economico e trasforma il lavoro, cioè uomini e donne, in
sociale. Non è un caso che le recenti iniziative merce, e chi cerca un’altra strada. La grande consindacali in Italia – lo sciopero dei metalmeccani- quista teorica della storicità del reale, dei rapporti
ci della Fiom – abbiano avuto al centro, oltre al tra le persone e, dunque, delle formazioni econovalore del contratto nazionale, quello della demo- miche, però non deve trasformarsi nella ignorancrazia nella rappresentanza sindacale dei lavora- za di ciò che permane nella costituzione medesitori. Grave limite della sinistra europea, e italiana ma delle donne e degli uomini. Superata in quanin particolare, è stato proprio quello di non aver to “mitologica” e non più rispondente alla realtà
approfondito l’elaborazione teorica e la battaglia l’idea di una missione universale onnipotente
politica per lo sviluppo della democrazia e delle della classe operaia, resta la necessità di analizzasue essenziali precondizioni: l’accesso universale re seriamente la composizione di classe delle
a una libera informazione, e alla formazione cul- nostre società, per valutare di quali interessi
turale indirizzata, prima che alle esigenze del sociali la sinistra si fa portatrice: una sinistra che
mercato, all’arricchimento critico della conoscen- non avverta il bisogno della giustizia sociale è
za. E’ mancata la costruzione delle condizioni per priva di senso, così come non regge alla prova se
cui l’uguaglianza dei diritti non sia solo apparente non assume criticamente il valore dell’individuo e
e non sia unicamente riferita ai valori elaborati dei suoi desideri di libertà, che un marxismo tradalla prevalenza maschile.
dizionalmente inteso ha indotto a appiattire nell’iNel mentre tutto l’orizzonte era disegnato dalla dea di uguaglianza collettiva. Ma individualismo
lotta per i diritti sociali, l’egemonia culturale pas- e liberalismo, nel pensiero liberaldemocratico che
non significa per noi l’abbandono della critica a
una società fondata sull’ingiustizia e della idea
stessa di socialismo. La nascita di un grande
movimento autonomo che ha levato la parola
d’ordine “un altro mondo è possibile” conferma
l’esigenza di ripensare le idee di trasformazione
nel mondo globalizzato. Il socialismo non può
essere immaginato come una società senza conflitti da attendere, o peggio, da imporre, ma come
un punto di vista critico sulla realtà sociale che
muove dalla scelta per la libertà e la dignità di
ogni individuo. In tal modo esso rappresenta uno
sforzo continuo per definire e ridefinire obiettivi
e scopi, per superare gli ostacoli economici, giuridici, politici, culturali, ideali, che determinano la
soggezione dei molti e il potere dei pochi, la
distribuzione assurdamente ingiusta dei beni, la
impossibilità di lavorare in comune alla costruzione non mai compiuta di un mondo in cui la
libertà di ciascuno coincide con la libertà di tutti.
44 settembre / dicembre 2001
Comitato genitori-insegnanti
per la difesa della Scuola pubblica
Documento approvato dall’Assemblea
Si è costituito ad Imperia lunedì 17
dicembre 2001 il Comitato Genitori Insegnanti
per la difesa della scuola pubblica.
Nell'assemblea si sono discussi gli obiettivi e le finalità del Comitato, tra i quali vi è quello di promuovere l'informazione sulle questioni
della scuola, stimolare l'attenzione e la partecipazione di tutti i cittadini verso un settore della vita
sociale troppo spesso oggetto, da parte dei media,
o di indifferenza, o di disinformazione e di manipolazione. Inoltre, pur non aspettandoci molto dal
giocattolo mediatico inventato dal Ministro,
ovvero la convocazione degli Stati Generali della
scuola, poiché nella fase attuale sembra che esistano ancora possibilità per introdurre sostanziali
modifiche al progetto di riforma, è stato approvato il presente documento che sarà inviato al
MIUR:
«Il ministro Letizia Moratti sta per varare
il suo progetto di riforma della scuola. Riteniamo
che il progetto, che oscilla tra una concezione
paternalistica e l'intenzione di asservire la scuola
al mercato, sia un pesante attacco al carattere
democratico, laico e pluralista della scuola pubblica. D'altra parte, l'obiettivo di far cessare quello che il ministro ha chiamato “il monopolio pubblico” dell'istruzione non è mai stato nascosto, in
nome di un presunto pluralismo, che in realtà
significa passare da una concezione del sistema
scolastico come servizio pubblico a cui tutti
hanno diritto, ad una logica di mercato finalizzata
a introdurre inaccettabili differenze di classe e di
qualità tra le diverse istituzioni scolastiche.
In questa riforma non si parla di un piano
pluriennale di investimento per assicurare le attività formative, i servizi, le strutture edilizie e per
riqualificare la professionalità dei docenti; ma si
trova che:
- intanto la finanziaria ha ridotto di 2.000 miliardi
gli investimenti per la scuola;
- il Senato ha approvato l'art.13 che porta a 18 ore
di lezione effettive l'orario di cattedra; contemporaneamente è lasciata ai singoli docenti l'opportunità di effettuare ore aggiuntive di lezione fino a
24: entrambi questi provvedimenti comporteranno una perdita notevole di posti di lavoro e un
peggioramento della qualità dell’insegnamento. Il
Ministro e i giornali parlano di un aumento dello
stipendio fino a 700.000 Iire, ma si dimenticano
di precisare che questa cifra paga le ore aggiunte
all'orario cattedra per gli insegnanti che hanno
scelto di farle, contribuendo in tal modo alla riduzione dei posti di lavoro;
- la ristrutturazione degli Organi Collegiali prevede l'abolizione della rappresentanza dei genitori e
degli alunni all'interno del Consiglio di Classe,
sostituita da un Coordinatore unico nominato dal
Dirigente scolastico: chi lavora nella scuola sa
quanto sia importante il Consiglio di Classe come
luogo di confronto, di programmazione, di valutazione, e la sua eliminazione di fatto manifesta la
mentalità aziendalistica di chi non guarda alla
scuola come momento prevalentemente formativo, ma come azienda in cui prevale il momento
burocratico e amministrativo.
La costante attenzione verso le scuole
private, sempre più considerate non come aggiuntive ma come sostitutive della scuola pubblica,
non ha soltanto lo scopo di dequalificare la scuola
pubblica, ma anche quello di indebolirne i caratteri di laicità e di pluralismo. ln questo senso ci
sembrano ben miseri i giochetti di parole che
affermano che non esiste più differenza tra pubblico e privato, dal momento che, viene detto,
tutte le scuole forniscono un servizio pubblico
Basti tener presente alcuni fatti:
5 settembre / dicembre 2001
DOCUMENTI
- A chi vanno i buoni scuola erogati dalle Regioni
alle famiglie che vogliono scegliere dove far studiare i propri figli? Tali buoni vengono concessi
non in base al reddito, che può essere anche alto,
ma sulla base delle spese per l'istruzione (libri
esclusi) se superano le 300.000 lire di retta.
Ed è evidente che tale cifra è superata da
chi va alle scuole private e non alla scuola pubblica: nella sola Lombardia, hanno potuto accedere
al beneficio solo 600 famiglie i cui figli frequentano le strutture pubbliche, contro le 46.335 famiglie delle scuole private. E nel Veneto nessuno dei
490.000 allievi delle scuole statali ha ricevuto
alcun finanziamento, contro i 24.300 allievi delle
private che li hanno ottenuti. Questo meccanismo
perverso che concede a pochi i soldi di tutti costituisce un finanziamento indiretto alle scuole private e non è affatto di aiuto alle famiglie a basso
reddito. Così, per accontentare la richiesta di privilegi di una minoranza, i diritti di tutti diventano
un optional.
- La riforma delle commissioni dell'esame di
stato, che saranno composte dai soli docenti interni con un presidente esterno, non ha niente a che
fare con una migliore qualificazione dei livelli di
istruzione e di competenze, ma si propone esclusivamente due obiettivi: risparmiare un'altra manciata di miliardi e agevolare le scuole private, che
potranno tranquillamente somministrare alti voti
ai loro studenti senza dover sottoporre le loro
valutazioni ad alcun controllo esterno. A ciò si
può aggiungere che essa apre la strada all'abolizione del valore legale del titolo di studio
compito di stabilire regole di comportamento
comuni per una categoria di persone che hanno
differenti concezioni etiche e che operano in una
società e in un sistema scolastico in cui convivono pluralità di atteggiamenti e di convinzioni religiose e laiche.
Se questi sono i principi ispiratori del
modello di scuola del ministro Moratti, lo strumento che ha il compito di tradurre in pratica
questo modello è l'ipotesi elaborata dal gruppo
ristretto di lavoro guidato dal prof. G. Bertagna,
che contiene il disegno complessivo di riforma
della scuola, in linea con la politica di privatizzazioni perseguita dall'attuale governo per tutto ciò
che riguarda i sevizi pubblici.
Malgrado i continui richiami alla democrazia, allo spirito della Costituzione ed anche ad
un uso del tutto strumentale di Don Milani, la
concezione della cultura scolastica che esce dal
progetto Bertagna sembra oscillare tra una scuola
fortemente professionalizzata, privata però di
quegli elementi di formazione culturale e critica
che dovrebbero essere uno degli obiettivi prioritari della scuola pre-universitaria; e una scuola
liceale, ma ridotta nel tempo e semplificata nei
contenuti e quindi vista soltanto come un passaggio verso il diploma di laurea. Il giudizio negativo non discende da preconcetti ideologici o di
parte, a meno che non si voglia considerare di
parte la difesa dei diritti costituzionali, dell'uguaglianza intesa come pari opportunità per tutti,
della democrazia e laicità, ma dalla valutazione di
alcuni degli aspetti più qualificanti del progetto.
Infine, due esempi possono bastare per
dimostrare la scarsa coscienza della laicità della
scuola e dello Stato da parte di questo Ministro:
- il disegno di legge che prevede per gli insegnanti di religione, nominati dalla Curia e non dallo
Stato, perdenti posto e in possesso di altra laurea,
di essere assunti nelle scuole statali attraverso un
corso di abilitazione riservato. Che è un provvedimento anticostituzionale e una grave discriminazione nei confronti degli altri docenti.
- la commissione per la redazione di un codice
deontologico per i docenti viene affidata ad un
cardinale. Ma non si capisce per quale ragione il
rappresentante di un'etica religiosa debba essere
messo a dirigere un gruppo di lavoro che ha il
1) è bloccato il progetto triennale di innovazione degli ordinamenti della scuola dell'infanzia, già approvato dal CNPI; e viene introdotto un
bonus, o credito, di frequenza spendibile negli
anni successivi (ovvero, chi ha frequentato la
scuola materna può “saltare” un anno se frequenta un istituto di formazione secondaria a tempo
pieno e diplomarsi a 17 anni invece che a 18);
2) nella scuola elementare si torna a parlare del maestro unico, diventano “facoltative”
l'educazione musicale e motoria, e l'insegnamento
della lingua straniera; inoltre, la prevista riduzione dell'orario settimanale finirà, con tutta evidenza, per pesare sul tempo pieno;
6 settembre / dicembre 2001
9 - ALTERNATIVA E GOVERNO
La divisione lacerante a sinistra ha cause profonde. La sinistra moderata, che oggi si definisce
“riformista” in termini prevalentemente ideologistici, ha agito sulla base di intenzioni programmatiche nelle quali ha prevalso e prevale la vecchia
idea che il ruolo della sinistra sarebbe quello di
saper gestire meglio il processo di una “modernizzazione” priva di scelte che ne qualifichino in
termini reali il contenuto di civiltà. I limiti di questa posizione si sono rivelati proprio nella prova
del governo: conseguito il risultato – certamente
importante – del risanamento economico e dell’agganciamento all’Europa, si è aperta una crisi
involutiva caratterizzata dall’assenza di un chiaro
programma di riforme sostenuto dal necessario
consenso popolare. Una sinistra che va “al”
governo deve dimostrare di essere “di” governo,
perché munita di una salda visione strategica e di
una propria idea di società da proporre alla coalizione di cui fa parte e a tutto il paese. D’altra
parte la sinistra “alternativa”, pur avendo il merito di sostenere istanze critiche verso l’ordine
sociale dominante, sembra sottovalutare l’urgenza
di costruire alleanze che per ampiezza e qualità
programmatica siano in grado di battere la destra
e definire un’ipotesi di governo.
10 - LA CRISI DELLA POLITICA
All’origine della crisi della sinistra è stata anche
la incapacità di una analisi seria sui limiti di una
concezione della politica radicata unicamente
nella pratica istituzionale. Quanto più l’economia
sembrava assumere il ruolo di guida in luogo
della politica tradizionalmente intesa, tanto più
occorreva ricostruire le proprie fondamenta in
una concezione della politica e della sua pratica
ancorata agli interrogativi reali posti dalla vita
delle donne e degli uomini, facendo riacquistare
alla politica il suo reale significato. In realtà,
come i fatti vengono provando a dismisura anche
con la guerra, l’economia non si regge senza politica. Ciò è stato vero anche negli ultimi due
decenni del secolo scorso, quando è parso che i
mercati dettassero autonomamente la loro legge e
fosse necessaria una politica atta solo al loro assecondamento. Ma non esiste mercato senza egemonia culturale, senza politiche e senza regole. Il
mercato unico mondiale non fa eccezione. Esso è
regolato dalla egemonia di determinati stili e
modelli di vita, dalle scelte delle maggiori concentrazioni economiche sorrette dalla potenza,
anche militare, degli stati. Senza la comprensione
di questa realtà e, dunque, senza una politica
capace di discernere tra le culture e tra gli interessi in campo, la pratica politica istituzionale tenderà a scadere nella pura amministrazione (più o
meno corrompibile) e dunque in puro sostegno
dell’assetto sociale dato. Se queste tendenze
dovessero affermarsi in modo duraturo, al limite
la medesima parola “sinistra” perderà ogni senso.
11 – PRATICA SOCIALE
COME PRATICA POLITICA
In realtà una attitudine al governo da parte di una
forza di sinistra può derivare solo dalla capacità
di tenere unite critica, proposta, pratica innovatrice. Una analisi aggiornata sulla insostenibilità
dell’attuale modello di crescita economica e sulla
inaccettabilità delle clamorose ingiustizie della
società presente, va unita a una azione culturale e
a una pratica politica che sviluppi la consapevolezza critica, e favorisca il riconoscimento dei
desideri di autoaffermazione nella libertà per tutte
e tutti. La sinistra politica non può rinunciare a
una propria azione nella società e non deve perdere la capacità di collegarsi con tutte le istanze
progressive che dalla società sorgono e in essa si
organizzano nelle forme associative volontarie,
cercando ad un tempo di esserne costituita e di
rappresentarle. Un nuovo modo di pensare e di
agire la politica nasce innanzitutto nel riscoprirne
il significato di pratica di relazione e di trasformazione nella società, anche riconoscendo e
nominando il valore politico di tutte le pratiche
sociali, il cui segno è naturalmente diversificato e
persino opposto. E’ questa una dimensione della
politica che viene prima di ogni pur indispensabile pratica istituzionale.
12 – UN’ALTRA IDEA DI SOCIALISMO
L’esaurimento delle forme politiche e teoriche in
cui si è manifestata la sinistra novecentesca di
ispirazione socialista è stato già sottolineato dal
primo congresso dell’Associazione, constatando
il crollo della esperienza comunistica a modello
sovietico e la rinuncia alla idea di trasformazione
socialista da parte delle socialdemocrazie. Ciò
43 settembre / dicembre 2001
DOCUMENTI
6 - LE RESPONSABLITÀ
DELLA SINISTRA OCCIDENTALE
Anche le sinistre europee di ispirazione socialista
e quella americana (che ha presto abbandonato
nella sua maggioranza la matrice culturale e teorica di ispirazione socialista in favore di un radicalismo e pragmatismo democratico) hanno le loro
responsabilità per il permanere di un’intollerabile
situazione del mondo. Tra ottocento e novecento
le socialdemocrazie europee hanno sostanzialmente condiviso la fase di espansione coloniale
dei rispettivi paesi. Non sempre hanno tempestivamente assecondato il processo di decolonizzazione che ha caratterizzato il secondo dopoguerra.
Spesso le sinistre europee e quella americana si
sono dimostrate incapaci di affermare un’altra
idea di convivenza tra le persone, tra umanità e
natura, tra nord e sud del mondo. Hanno ritenuto
come unica possibilità lo sforzo – certamente giusto, ma non sufficiente senza un nuovo progetto a
dimensione mondiale – per l’elevamento delle
condizioni della parte meno protetta delle società
nazionali in cui hanno agito. Oggi le sinistre dei
paesi avanzati, nelle loro maggioranze, tendono a
considerarsi parte del ceto politico dominante dei
propri paesi e in generale di questa parte del
mondo, accettandone le scelte di fondo anziché
contrastarle, come ha dimostrato l’atteggiamento
assunto sulle decisioni dell’amministrazione Usa
dopo l’11 settembre. Nell’Inghilterra laburista si è
giunti a teorizzare l’avvento di un nuovo “imperialismo democratico” a giustificazione della
guerra. Ciò non significa che non vi siano elaborazioni significative all’interno di questi partiti e
che non sia presente in essi l’inquietudine per la
grave situazione del mondo, e la ricerca di soluzioni. Mancano, a parte le minoranze critiche, il
convincimento e l’azione volta a cambiare il
modello economico occidentale senza di che non
vi può essere soluzione ai problemi del pianeta.
7 – LO SCACCO DELL’INTERNAZIONALISMO
COMUNISTA
Il Novecento ha visto consumarsi anche lo scacco
dell’internazionalismo comunista. Se la parola
d’ordine socialista dell’unità di tutti i proletari
naufragò nella prima guerra mondiale, la politica
leninista della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria su scala
planetaria ha dato certamente vita a un movimento mondiale, ma si è rivelata una prospettiva parziale e distorta, incapace di interpretare i problemi dei paesi più sviluppati elaborando risposte
adeguate. Il socialismo in un paese solo ha dato
vita a forme di autoritarismo e totalitarismo.
All’origine c’era l’idea di una società perfetta da
raggiungere a un certo momento della storia, la
contrapposizione tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa (con il risultato di giungere
alla soppressione di entrambe), la statizzazione
dell’economia in luogo della immaginata proprietà sociale, la eliminazione delle condizioni
essenziali per il mercato. Ciò non significa che la
Rivoluzione d’ottobre sia stata senza conseguenze per il risveglio di grandissima parte degli
oppressi e degli sfruttati, anche nei paesi di capitalismo sviluppato, e non può far dimenticare il
ruolo dell’Urss contro il nazismo e il fascismo.
L’internazionalismo comunista ha scontato un
grave limite costituito dal condizionamento degli
interessi dello stato sovietico e della difesa di un
modello sociale rivelatosi fallimentare.
8 - LA DIASPORA
DELLA SINISTRA ITALIANA
In Italia la presenza di un partito comunista con
forti tratti di originalità e di differenza rispetto al
modello sovietico – primo fra tutti l’adesione sincera alla ricostruzione della democrazia parlamentare dopo la sconfitta del fascismo e la comprensione della necessità del mercato - non ha
evitato lo scacco comune dei partiti provenienti
dalla tradizione comunista e socialista. Un ripensamento profondo e radicale della tradizione
novecentesca era ed è necessario. Ma, nel concreto, si è operato non nel senso di una vera revisione critica ma, da parte della sinistra di orientamento moderato, nella direzione di una piena
accettazione dell’ordine esistente. Il progetto di
dare vita a una nuova forza politica della sinistra
capace di riunirne le diverse anime riformiste,
liberali e democratiche e di contribuire alla riforma del sistema politico ha portato a nuove divisioni e a una grave sconfitta, con l’affermarsi di
una destra largamente estranea alla cultura della
costituzione democratica repubblicana, che sta
portando un attacco a fondo a essenziali conquiste costituzionali e al principio stesso di legalità.
42 settembre / dicembre 2001
3) nella scuola media la frammentazione
del curricolo annulla di fatto le scelte educative
che erano alla base del tempo prolungato.
Vengono previste tre tipologie di percorsi formativi: quello obbligatorio di 25 ore settimanali.
quello facoltativo familiare (che può essere extrascolatico); quello facoltativo. A parte la mancanza
di chiarezza su queste distinzioni, una cosa sembra certa: che la personalizzazione dei percorsi
formativi in un curricolo unitario, che aveva lo
scopo di far acquisire a tutti un livello essenziale
di conoscenze e di competenze, si trasforma in
percorso individuale, in cui la famiglia sceglie, in
base alle possibilità economiche e culturali, i servizi formativi più adatti ai propri figli. In altre
parole, i diritti di cittadinanza sono riconosciuti in
un rapporto con le famiglie che ha anche carattere
commerciale: come dire, i diritti ridotti a merce;
4) scelta dell'indirizzo superiore a 14
anni: ipotesi che ha sollevato le critiche anche
della Confindustria, che sostiene che l’opzione
non dovrebbe essere fatta prima dei 16 anni,
come avviene in altri paesi europei, poiché fino a
questa età è necessaria una “solida e critica preparazione di base”. Differenziare precocemente le
scelte vuol dire fare una scuola di classe, puntando a creare lavoratori privi di tutele culturali. Non
solo, una precoce canalizzazione dei percorsi formativi riduce la capacità formativa dell'istruzione,
proprio nel momento in cui il mondo delle imprese richiede lavoratori a più alto tasso di intelligenza creativa e di intraprendenza cognitiva;
no scuole di formazione in grado di offrire qualsiasi credito formativo si voglia.
ln definitiva, questo progetto di riforma
ci appare francamente antidemocratico e regressivo. Antidemocratico, in quanto indebolire il sistema pubblico, invece di rafforzarlo, vuol dire allargare la disuguaglianza dei cittadini rispetto ad un
diritto; e affidare agli automatismi “spontanei”
del mercato l'istruzione e la formazione, produce
(e ri-produce) selezione sociale. Senza scomodare
Don Milani, il cui riferimento appare del tutto
stonato in questo approccio “neoliberista”, le
ricerche del Censis, ricordano che senza un consapevole intervento educativo il successo scolastico è spesso frutto di contesti sociali e culturali
avvantaggiati e si “tramanda” da una generazione
all'altra della stessa famiglia. Regressivo, in quanto neppure all'altezza di fornire quella formazione
culturale e professionale che si ritiene necessaria
per affrontare, con la necessaria preparazione e
bagaglio critico, le rapide trasformazioni che
caratterizzano il mercato del lavoro e le nuove
tecnologie. Nell'attuale società della conoscenza
non serve separare teoria e pratica, sapere e saper
fare, lavoro intellettuale e lavoro manuale, ma
serve riconoscere che ad ogni livello di apprendimento e in ogni settore del lavoro la componente
culturale e quella professionale si integrano e che
il contesto operativo ha valenza formativa. A
meno che l'intenzione non sia quella di affidare al
sistema scolastico il compito di produrre lavoratori e consumatori, ma non cittadini consapevoli».
5) nella scuola superiore spariscono alcuni indirizzi (geometri); il periodo scolastico,
ridotto di un anno, produce una eccessiva semplificazione dei programmi ed il conseguente grave
abbassamento dei livelli di conoscenza; è prevista
la regionalizzazione degli istituti di formazione
secondaria; accanto al curricolo nazionale obbligatorio, si collocano altri insegnamenti (educazione fisica, musicale, artistica) che dipendono dalla
tipologia della scuola e possono essere svolti
presso altri enti formativi esterni: e anche in questo caso, la trasformazione di molti insegnamenti
in attività libere, avrà pesanti conseguenze sui
posti di lavoro e sui destini professionali del personale della scuola. Né è sorprendente se fioriran-
Comitato Genitori e Insegnanti
per la difesa della Scuola pubblica
- Imperia -
7 settembre / dicembre 2001
DOCUMENTI
Breve nota di commento sulle elezioni
delle RSU del 2001 nel pubblico impiego
di Antonello Sotgiu *
Le elezioni delle RSU (rappresentanze sindacali unitarie) in tutte le pubbliche amministrazioni, svoltesi lo scorso mese di novembre, ci hanno consegnato esiti più che positivi.
Nella nostra regione, sui 52, 852 addetti interessati, hanno votato ben 37.675 (pari al 71,3%)
lavoratrici e lavoratori dei comparti pubblici: sanità, enti locali, ministeri parastato, aziende di stato e
sicurezza. Ad una partecipazione così significativa corrisponde un complessivo 78% di consensi dato
alle liste confederali della CGIL FP, della CISL FPS e della UIL FPL, contro un 22% suddiviso fra
almeno dieci altre diverse liste corrispondenti ad organizzazioni sindacali “autonome” ed ipercorporative. Sono questi i primi due dati importanti, emersi dalle urne, che confermano una volontà largamente maggioritaria fra i dipendenti pubblici di proseguire con l’esperienza iniziata nel ‘98 che, a differenza di quanto pretenderebbero oggi il governo delle destre e confindustria, afferma chiare regole sulla
rappresentanza e la rappresentatività del sindacato e con esse un protagonismo attivo dei lavoratori e
delle lavoratrici nelle scelte che li riguardano.
La scelta del sindacato confederale, contro le sirene affascinanti quanto demagogiche del corporativismo, completa questa volontà con la consapevolezza di un mondo del lavoro, quello pubblico,
troppo spesso bistrattato, di voler cogliere obiettivi necessari per sé e per la collettività.
Il sindacato confederale quale soggetto capace nelle sue proposte e nelle conseguenti iniziative
di coniugare la tutela degli interessi e dei diritti di chi lavora nei servizi pubblici con l’interesse ed i
diritti dei cittadini, degli utenti. Dentro a tale dato non possiamo poi non rilevare, con estrema soddisfazione, il largo consenso ottenuto dalle nostre liste che con 13.617 voti (pari al 36,1%) confermano
la CGIL FP come prima organizzazione del settore davanti alla CISL FPS (9.782 voti, pari al 26%) e
alla UIL FPL (5.921 voti, pari al 15,7%). Una CGIL che incrementa il consenso già registrato nelle
elezioni del ‘98 con percentuali di consensi di gran lunga superiori allo stesso numero degli iscritti,
anch’esso in aumento in questi anni.
Un risultato non facile e non scontato questo, conseguito in una tornata elettorale in cui la
CGIL, e solo la CGIL, poteva perdere come in molti si auguravano al fine di ridimensionare ed isolare
più facilmente l’organizzazione sindacale che con più nettezza e da tutto inizio ha sottolineato e sottolinea la pericolosità delle politiche messe in atto dal governo Berlusconi.
8 settembre / dicembre 2001
a interiorizzare sensi di colpa e di frustrazione.
Resta aperta, dopo la rivoluzione femminile che
ha attraversato e segnato il secolo, la contraddizione tra i sessi, come dimostra anche la discussione globale che si è accesa attorno alla condizione femminile in Afghanistan. Tutto ciò conferma l’esigenza di una sinistra capace di reinventare la propria funzione critica e di elaborare una
proposta alternativa.
4 – IL MERCATO
La crisi del “pensiero unico” neoliberista, che è
stato vincente nell’ultimo ventennio del secolo
scorso e ha contribuito in maniera rilevante alla
svolta dell’89, è ormai nei fatti. Non solo il movimento no-global, ma ampi strati intellettuali (vedi
il recente documento di 100 premi Nobel) contestano un modello di sviluppo che idolatra il mercato e alimenta commerci e produzioni contro
l’ambiente e per la guerra, che produce disuguaglianze sempre più acute, e non sa evitare crisi
finanziarie catastrofiche che colpiscono intere
regioni del mondo, penalizzando sistematicamente i più deboli (lavoratori soprattutto, ma anche
piccoli azionisti e risparmiatori, come la drammatica crisi argentina dimostra). Questa consapevolezza critica sembra coinvolgere anche sempre
più consistenti settori della popolazione dei paesi
ricchi. E del resto ai tentativi della sinistra moderata di inventarsi una “terza via” – che è risultata
troppo poco consapevole delle ragioni delle
ingiustizie sociali e quindi dei mezzi per affrontarle - risponde il “conservatorismo compassionevole”, che si assegna il dovere di “compatire”,
almeno, e soccorrere i poveri. La recessione e la
guerra hanno rapidamente convertito i governi
alle forme più massicce di intervento statale,
innanzitutto nel campo militare. Si conferma che
il punto del contendere tra la sinistra e la destra,
non è se lo stato debba intervenire o meno nell’economia, ma a favore di chi, e naturalmente con
quali strumenti e secondo quali procedure democratiche. Ma per la sinistra si tratta ancora di analizzare meglio i caratteri del mercato.
Come suggeriscono importanti correnti culturali e
una parte della critica femminista il mercato non
è solo il luogo dello scambio delle merci – e quindi anche del lavoro umano ridotto a merce - e
della competizione mediata dal denaro.
Al mercato si portano anche desideri e sentimenti,
e valori non monetizzabili, basati su relazioni di
fiducia, e spesso anzi informati alla cultura del
dono. Tra il mercato e la libertà esistono nessi che
non possono essere rimossi. Qui per la sinistra si
apre il terreno di una nuova battaglia, anche linguistica e simbolica, per la conquista di fattori
relazionali e motivazionali, di cui la cultura di
impresa ha cercato di appropriarsi in modo esclusivo. Né la riappropriazione di una signoria di sé
di uomini e donne nel mercato può essere affidata
esclusivamente al ruolo dell’organizzazione sindacale o al controllo pubblico statale. E’ l’idea
stessa di “socializzazione” del processo di produzione e di riproduzione, di scambio, di consumo,
che va radicalmente riscoperta e ripensata, tenendo conto delle trasformazioni radicali introdotte
nel modo di vivere e di produrre dalla rivoluzione
delle nuove tecnologie della comunicazione.
5 - IL “MOVIMENTO DEI MOVIMENTI”
È del resto lo stesso modello capitalistico globalizzato, per sua natura strettamente intrecciato
alle reti di informazione – internet, tv, radio,
telefonia mobile, giornali, ecc – a determinare le
condizioni per l’emergere di una critica radicale,
che per vastità e originalità non ha precedenti.
Nell’arco degli ultimi anni si è prodotta la convergenza di una serie di soggetti e culture di ispirazione laica e religiosa, ecologista, femminista,
pacifista, che hanno formato una massa critica
dalle molte anime: un “movimento dei movimenti” variamente appellato, dal “popolo di Seattle”
ai “no global” e “new global”.
Esploso a dieci anni dalla fine della guerra fredda
e nelle regioni più favorite del pianeta, dopo una
lunga e sotterranea maturazione dalle fondamenta
stesse del modello socio-economico vincente che
lo rende capace di usarne gli strumenti, questo
movimento rappresenta per ragioni culturali e
generazionali una critica nuova, una realtà e una
speranza, ed esprime elaborazioni e proposte, non
tutte omogenee, tra cui ci sono elementi essenziali per affrontare in modo nuovo i problemi attuali
del mondo a parte dalla “tobin tax”, alle idee per
inserire equità e solidarietà nei rapporti di scambio, all’azzeramento del debito, alla richiesta di
democrazia e partecipazione contro il dominio dei
pochi.
41 settembre / dicembre 2001
DOCUMENTI
alcune note di analisi e di proposta volte a suggerire – sulla base della tendenza già indicata nel
primo congresso aSsociativo – i possibili punti di
riferimento per una nuova proposta politica. Si
tratta di note – stese da un gruppo di lavoro indicato dalla presidenza nazionale dell’ARS dopo
discussione sugli indirizzi di fondo - aperte alla
critica e al contributo non solo delle associazioni
ARS liberamente costituitesi, ma anche di tutte le
persone, i gruppi, le tendenze che si considerino
interessate alle idee che avanziamo.
NOTE PER LA DISCUSSIONE
CONFLITTI E OPPORTUNITÀ
NEL MONDO, LE IDEE DELLA SINISTRA
1 - LA GUERRA
La vittoria degli Usa e dei suoi alleati nella guerra
attuale e in quelle minacciate avrà come effetto
l’aggravamento e non la risoluzione dell’abisso
che separa ricchezza e povertà, sviluppo e sottosviluppo, potenza dei pochi e sottomissione dei
molti. La certezza della propria forza e la esibizione della violenza potranno forse attenuare le
ansie dei paesi ricchi, ma non renderanno il
mondo né più giusto né più sicuro. Le contraddizioni aperte dalla globalizzazione selvaggia si
acuiranno ulteriormente. La violenza barbara scatenata l’11 settembre aveva bisogno di una risposta che unisse tutte le nazioni in un’opera di polizia internazionale e contemporaneamente in una
azione di radicale modificazione dei rapporti tra
nord e sud del pianeta. Le organizzazioni terroristiche, che per loro natura fanno parte della politica occulta, traggono la possibilità di conquistare
le menti dei propri seguaci da drammatiche frustrazioni nazionali e sociali, oltre che dalla clamorosa ingiustizia nella ripartizione dei beni della
terra, fino alla più spaventosa miseria diffusa in
interi continenti.
2 - IL DISCRIMINE DELLA PACE
La pace rappresenta un valore supremo e un
discrimine determinante. La volontà di pace, il
rifiuto della guerra come metodo di soluzione
delle controversie internazionali, non sono un criterio da usarsi solo nei giorni facili. La non vio-
lenza va considerata scelta normativa fondante
dell’agire politico. In ogni circostanza la ricerca
di metodi che rifiutino la guerra è un dovere, eludere il quale è inaccettabile. Ciò non significa che
debba mancare la risposta agli aggressori o che si
debba stare inerti di fronte alla violazione dei più
elementari diritti umani. Ma le reazioni alla violenza aggressiva contro singoli, comunità, stati,
devono essere commisurate alla finalità di non
creare nuova violenza e non essere assunte in
modo unilaterale. Alla barbarie del terrorismo e
della guerra e al rischio di una militarizzazione
globale che lede gli stessi principi dello stato di
diritto va contrapposto un nuovo diritto internazionale. Il fatto che l’Onu sino a oggi non sia riuscita a acquisire l’autorità necessaria e che anzi si
sia di fronte a una sua crisi richiede tanto di più
che proprio a questo livello si sviluppi l’impegno
per la riforma e il rilancio dell’unica sede istituzionale sovranazionale che può costituire la base
legale accettabile anche per l’uso della forza per
scopi di polizia e per la difesa dei diritti umani.
La promozione dei diritti umani deve essere perseguita attraverso un’opera di elevamento delle
condizioni di vita di eguaglianza giuridica, giustizia sociale, informazione culturale, attraverso l’equità nel rapporto tra i popoli, le nazioni, gli stati.
Una CGIL più forte, nel contesto del buon risultato conseguito, come anzi detto, con CISL e
UIL, significa la voglia e la necessità che rappresentano i lavoratori e le lavoratrici di un sindacato unitario fondato e rispettoso, però, sulle e delle regole di democrazia, della rappresentanza e della rappresentatività, del mandato come, purtroppo, non sempre colto dalle altre organizzazioni confederali (si
vedano le firme separate per il CCNL dei metalmeccanici, le intese separate con il sindaco Albertini a
Milano e via elencando).
Vogliamo e dobbiamo cogliere quindi il giusto significato ed il giusto peso di questi risultati
da utilizzarsi, una volta di più, anche come rinnovato sostegno perché il Parlamento vari l’attesa Legge
sulla rappresentanza e rappresentatività che affermerebbe queste regole di democrazia in tutto il
mondo del lavoro, lo voglia o meno Confindustria, lo voglia o no il governo Berlusconi.
* segretario regionale sindacato CGIL FP
3 - LA CRISI DEL MODELLO VINCENTE
Il modello di sviluppo capitalistico, fondato sulla
crescita produttiva illimitata e indiscriminata,
proposta come unica soluzione della povertà e
delle disuguaglianze sociali, di fatto sempre più si
dimostra impotente di fronte a questi drammatici
problemi. Un’impotenza in nessun modo corretta
dal processo di globalizzazione in atto.
In realtà – come ormai da molti viene riconosciuto – le disuguaglianze tra ricchi e poveri vanno
costantemente accentuandosi, non solo in ambito
internazionale, ma all’interno stesso dei paesi più
ricchi, mentre si aggrava in misura sempre più
minacciosa il dissesto dell’ambiente, fino a mettere a rischio la continuità della vita sulla Terra.
Le società consumistiche del desiderio e della
competizione alimentano il benessere materiale,
ma anche gravi fenomeni di alienazione, disperazione e violenza. La regola di fondo è la dura
selezione dei “più forti”, grazie anche a meccanismi sociali e simbolici che inducono i “perdenti”
40 settembre / dicembre 2001
9 settembre / dicembre 2001
DOCUMENTI
DOCUMENTI
Congresso Provinciale Partito dei Comunisti Italiani - Taggia
La prospettiva comunista
di Enrico Revello *
Per quasi cinquant'anni, fra il 1945 e il
1989, un incalcolabile numero di italiani si era
riconosciuto nel Partito Comunista Italiano. In
ogni militante si poteva ritrovare il segno di una
passione, di un percorso, di una sfida; di qualcosa, insomma, che somigliava davvero a “una scelta di vita”. Una presenza così estesa aveva condizionato per mezzo secolo la storia italiana, trasformandola in un caso senza eguali: ne rimasero
coinvolte non soltanto la politica o le istituzioni,
ma gli stili sociali, i gusti, la morale pubblica e
privata. Dirsi comunista identificava, prima dell'appartenenza ideologica, un carattere e un modo
di essere. Implicava un rapporto totale, di lotta e
di speranza, con il presente e con il futuro, suggeriva una diversità personale sentita come un irrinunciabile tratto di sé. Era una età nella quale
sembrò possibile a gruppi sociali organizzati di
modificare radicalmente il corso della storia: una
età che appare ora il frutto di un momento remoto, separato da noi. Invero siamo noi ad essere
separati da noi stessi, perché la realtà che ci circonda rappresenta la sconfitta del mondo che
immaginammo.
In Italia, dopo la vittoria conseguita dalla
destra, è in atto una fortissima offensiva neo-liberista: meno Stato, riduzione delle imposte dirette
gravanti sulle cosiddette “forze vıve del paese” e
aumento della pressione fiscale indiretta, ulteriore
spostamento della ripartizione dei redditi a favore
dei profitti e a danno dei salari; libera circolazione dei capitali, riduzione del costo del lavoro e
ricorso facilitato alle forme di occupazione atipica. Le misure fiscali adottate dal governo
Berlusconi sono essenzialmente a favore delle
grandi imprese e delle famiglie con consistenti
patrimoni, e rappresentano, dunque, una palese
violazione del principio costituzionale della capacità contributiva.
È già stata preannunciata, inoltre, l'introduzione di una sostanziale libertà di licenziare,
realizzata mediante l’abolizione dell'obbligo di
reintegrazione del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, sostituito dalla semplice misura
economica di alcune mensilità di retribuzione.
Con la conseguenza che verrebbe annullata in via generale la “stabilità” nei rapporti di
lavoro e verrebbe ad essere monetizzato un diritto
di rilevanza costituzionale, in una prospettiva che
rimette sostanzialmente alle parti del rapporto di
lavoro una piena “libertà” di contrattazione e che
è inevitabilmente preordinata ad emarginare il
ruolo del sindacato e, più in generale, dello Stato
nei rapporti sociali.
Si vuole realizzare, in definitiva, un tipo
di società individualistica, lontana anni luce dai
principi di uguaglianza e solidarietà cui si ispira
la Costituzione vigente.
Nell'ultima campagna elettorale si è
discusso delle questioni più disparate. Solo un
tema è rimasto ai margini del confronto politico:
il lavoro. Fra le forze politiche del centrosinistra,
in particolare, è mancata la rappresentanza politica degli interessi del mondo del lavoro, sia dei
lavoratori dipendenti, oggi così disarticolati
rispetto al passato, sia dei lavoratori autonomi.
D'altra parte, dopo vent'anni di dibattiti, polemiche, critiche ai partiti di massa, di prospettive di
partito democratico, leggero, americano, è del
tutto logico che i partiti di sinistra abbiano smarrito il radicamento sociale.
Viceversa, con diverse modalità, Forza
Italia, Alleanza Nazionale, Lega Nord si sono in
questi anni insediati profondamente sul territorio
dando vita a strutture efficaci, pesanti, a moderni
partiti di massa di destra. È così che hanno conquistato l'egemonia su ampie fasce sociali.
È così che hanno vinto le elezioni.
10 settembre / dicembre 2001
ASSOCIAZIONE PER IL RINNOVAMENTO DELLA SINISTRA
Secondo Congresso Nazionale
Una nuova proposta a sinistra *
PREMESSA
UN VUOTO POLITICO DA COLMARE
Il secondo congresso dell’ARS si svolge in un
momento politico denso di rischi involutivi: esso
esige una ridiscussione della funzione che
l’Associazione può assumere, in concorso con
altri, di fronte a una situazione interna e internazionale sempre più preoccupante. L’attacco terroristico dell’11 settembre e la risposta di guerra
hanno determinato una svolta che porta con sé il
rischio di estendere e rendere endemico il conflitto bellico e di determinare ulteriori restringimenti
degli spazi democratici. In Italia si vanno consolidando indirizzi e forme di governo da parte delle
destre tendenti a instaurare, con lo stravolgimento
dei valori costituzionali, un assetto istituzionale,
giuridico, economico e sociale di tipo autoritario,
volto a cancellare conquiste democratiche fondamentali, e concepito per rendere più difficile l’azione per l’affermazione dei principi di libertà,
giustizia sociale, uguaglianza di fronte alla legge.
Il centrodestra trae vantaggio dalla crisi che perdura e si accentua nel centrosinistra, e innanzitutto nella sinistra moderata. Nel suo complesso la
sinistra viene ribadendo, da opposti punti di vista,
gli orientamenti ripetutamente sconfitti nelle elezioni con la perdita di milioni di voti.
Un’area estesa di opinione di sinistra, organizzata
in una molteplicità di forme o del tutto dispersa,
non si riconosce nelle linee delle attuali forze
politiche della sinistra. La coalizione al governo
non può essere battuta senza una ripresa di senso
e di forza della sinistra, che si è dimostrata con la
sconfitta elettorale la parte più fragile dell’alleanza. Ciò chiede idee e politiche del tutto diverse da
quelle sin qui seguite e una pratica politica nuova,
basata sul coinvolgimento costante nell’azione, lo
scambio, l’analisi e l’elaborazione e la partecipazione alle scelte.
L’Associazione, che ha visto per tempo l’avanzare della crisi e della sconfitta delle sinistre, non
può più limitarsi a una funzione di stimolo critico
e di approfondimento culturale, anche se entrambi queste attività vanno continuate e incrementate. Essa deve proporsi di contribuire alla costruzione, discutendo con tutti i singoli e tutte le
realtà associative disponibili, di un movimento
politico che colmi il vuoto che si è aperto a sinistra: un movimento che, ispirandosi a una visione
critica e alternativa della società, esprima tuttavia
una attitudine al governo, e agisca così anche per
ricreare le condizioni di un riavvicinamento tra le
sinistre. Le differenze nelle posizioni emerse a
sinistra e nel centrosinistra sulla questione della
guerra rendono difficili forme di omogeneità e di
piena cooperazione. Ciò non toglie che un dialogo sia possibile, senza che siano riprodotte vecchie logiche di contrapposizione e inimicizia.
Uno dei compiti del nuovo movimento che
vogliamo contribuire a far nascere è favorire l’incontro con tutti coloro, singoli e associati, che
avvertono l’esigenza di una tale iniziativa politica, capace di dare rappresentanza all’area di sinistra che oggi ne è priva. Nel contempo è necessario porsi l’obiettivo della costruzione di una
nuova “coalizione democratica”, che coinvolga
tutte le forze di sinistra e del centro che si oppongono all’attuale maggioranza e alla politica del
governo della destra. Una coalizione che si collochi oltre l’esperienza ormai in crisi dell’Ulivo,
che costituisca nello schieramento e nei programmi un’alternativa efficace per reggere la gara per
il governo del paese. La forma sin qui assunta
dalla coalizione è palesemente in difficoltà e va
dunque ridiscussa al fine di rendere possibile, su
una seria base programmatica, la più vasta estensione delle alleanze, innanzitutto a sinistra.
Per aprire la discussione sulla possibilità di dare
vita a un movimento politico abbiamo elaborato
39 settembre / dicembre 2001
DOCUMENTI
questi scritti. Certamente - egli sottolinea - la
politica dei comunisti italiani era una politica gradualista, fondata sul rispetto delle regole e dello
spirito della democrazia e rivolta a realizzare, nel
quadro di uno sviluppo democratico, sia sostanziali conquiste di libertà sia più avanzate condizioni sociali a vantaggio dei lavoratori e in generale della parte più povera della popolazione.
In effetti quel tanto o quel poco di “Stato
sociale” che si è realizzato in Italia fu anche e
forse innanzitutto - oggi possiamo ben dirlo opera dei comunisti: sia attraverso le conquiste
dei movimenti di massa e delle battaglie nel paese
da essi promosse, sia condizionando i governi con
l’opposizione in Parlamento, sia promuovendo la
crescita culturale, lo sviluppo di più avanzati
orientamenti di massa, un impegno ideale che è
sempre momento essenziale della lotta per l’egemonia.
Ma se nella lotta condotta dai comunisti
italiani per lo sviluppo democratico e per conquistare strutture di equità sociale che mutassero
sostanzialmente le condizioni dei cittadini e dei
lavoratori c’è un’indubbia analogia con l’esperienza più avanzata compiuta dai partiti socialisti
dell’Occidente negli anni cinquanta, sessanta,
settanta, è altrettanto vero che nell’esperienza
del comunismo italiano vi è anche una differenza
sostanziale, che Natta nell’Introduzione ai
Discorsi parlamentari di Togliatti mette bene in
evidenza riprendendo un brano fondamentale
della relazione del vecchio leader comunista al X
Congresso del 1962.
Sottolinea cioè che «la classe operaia,
quando è giunta ad avere la forza numerica organizzata, le capacità sindacali e di movimento politico che ha oggi in un paese come l’Italia tende ad
affermare il suo potere in forme assai più complesse e articolate ma anche più efficaci: lo afferma difendendo gli istituti della democrazia anche
parlamentare, rivendicando le autonomie regionali e locali, combattendo per delle riforme sostanziali, avanzando proposte nuove di sviluppo del
paese e forme di democrazia diretta».
In sostanza in questo brano di Togliatti che Natta riprende indicandolo come essenziale
per comprendere l’esperienza dei comunisti italiani - l’accento è posto su una concezione della
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politica che mette in primo piano l’organizzazione della presenza democratica in tutti i momenti
della vita del paese: una presenza organizzata di
massa che diventa come condizione per la difesa
e l’avanzamento della democrazia e per uno spostamento dei rapporti fra i ceti e le classi a favore
di una prospettiva di rinnovamento politico e
sociale.
È questo il fatto decisivo che spiega
come l’opera dei comunisti abbia segnato
profondamente la vita della democrazia italiana
sino agli anni ottanta: da un lato facendo da argine ai pericoli di involuzione, alle minacce occulte, all’offensiva del terrorismo, d’altro lato favorendo invece una crescita non solo politica, ma
sociale e civile dei lavoratori e dell’intero paese.
Se si tiene conto di questo ruolo svolto
dal Pci per tanti anni è facile rendersi conto del
perché la svolta della Bolognina, avendo eliminato il nome del partito ma senza fare i conti veramente con l’esperienza comunista, coi suoi valori
positivi, coi suoi limiti, coi suoi errori, abbia
sostanzialmente finito coll’interrompere una tradizione - segnando una frattura rispetto a un’esperienza politica che aveva rappresentato una
ricchezza per la democrazia italiana - ma senza
recuperare quel grande patrimonio democratico
che il Pci aveva accumulato e disperdendo invece
forze ed energie: una dispersione tanto più grave
perché, al tempo stesso, mancava la capacità di
acquisire nuovi consensi provenienti da altri settori della sinistra e in generale dalla tradizione
democratica italiana. Proprio in questa incapacità
di fare i conti con la questione comunista, ossia
con ciò che l’esperienza comunista aveva rappresentato nella storia italiana (e non con la caricatura di un Pci modellato sull’esempio sovietico,
come anche tanti dirigenti del Pds e dei Ds hanno
finito col raffigurare parlando del loro passato il
loro passato) sta la ragione prima del progressivo
deperimento della forza organizzata del Pds e dei
Ds: un deperimento che l’andata al governo non
ha compensato, anzi – per il modo in cui questa
esperienza di governo è stata vissuta – ha alla fine
aggravato.
3) Conviene a questo punto – prima di parlare
dell’ultimo decennio – dire qualcosa sull’espe
38 settembre / dicembre 2001
La Sinistra, invece, ha smarrito 1’immagine di forza più coerente, moralmente integra,
portatrice di valori conosciuti e condivisi, è
apparsa divisa e smarrita, senza un un'idea forza,
un chiaro e autonomo progetto di trasformazione
per quanto condizionato dall'alleanza col centro.
Si è così aperto un vuoto nella rappresentanza
sociale, da cui derivano disaffezioni ed astensioni
di massa. È un processo che si manifesta a conclusione di un decennio in cui si è andati dalle
suggestioni del socialismo liberale alla rottura
con la storia dei Comunisti in Italia, alla progressiva mortificazione politica del mondo del lavoro,
alla ricerca di nuovi riferimenti storici e ideali
esterni alla cultura del popolo della Sinistra.
La crisi culturale e politica della Sinistra
non ha coinciso con l’avvento di idee nuove e
vincenti, provenienti da altre tradizioni culturali,
ma solo con il venir meno di un confronto dialettico tra posizioni diverse che ha lasciato il campo
ad un liberismo datato, i cui limiti teorici e pratici
vengono ignorati da chi è bisognoso di sostituire
certezze più “moderne” a quelle andate deluse.
La definizione di un quadro analitico e
progettuale completo e convincente, da adottare
come guida all'azione della Sinistra, è oggi più
che mai necessaria, anche per non cadere, più o
meno inconsapevolmente, nell'errore di attribuire
alla “innovazione” e alla “modenizzazione” la
dignità di scelte politiche, quando si tratta evidentemente solo di sagge modificazioni gestionali.
Che all'interno del pensiero della sinistra
esistano divergenze anche profonde è un elemento costante della storia politica degli ultimi due
secoli. È invece allarmante il fatto che la linea di
frontiera tra progressismo e conservatorismo stia
diventando sempre più confusa. Mentre il pensiero conservatore, coerente col suo modo di intendere la politica, ha costruito ideologie di comodo
per la difesa di interessi precisi, alcuni teorici
progressisti, attratti dalle argomentazioni del pensiero conservatore, pretendono di costringere
1’impostazione politica nell'ambito di tali ideologie. Ciò nasce dalla scelta, compiuta ormai da
buona parte dei dirigenti della Sinistra, di archiviare le proprie convinzioni di base, le proprie
discriminanti e soprattutto la propria scala di
valori.
Da ciò deriva che la distinzione tra sinistra e destra ha smesso per qualcuno, di avere
senso, e la politica progressista si è trasformata,
per conseguenza, in una politica esclusivamente
pragmatica, dove non solo si abbandona, ma si
respinge qualsiasi ipotesi di socialismo, vale a
dire anche l’idea che la società capitalistica in cui
viviamo possa essere trasformata in una società
diversa, dove gli attuali rapporti sociali fondati
sul dominio del capitale appaiono immutabili e
definitivi.
E la rinuncia all'idea del cambiamento e
della trasformazione è addirittura considerata una
conquista.
In questo mutamento radicale di prospettiva vengono cancellate le classi sociali, e, come
ha scritto di recente un autorevole esponente della
sinistra, essendo le classi “inesistenti”, la politica
(come il fast food) diventa un “servizio alla persona”. Ma questa linea di pensiero non spiega
perché, se le classi sociali sono solo una invenzione dei marxisti, tutti i fucili sono puntati contro le postazioni che i salariati hanno conquistato
in questo secolo.
I Comunisti Italiani si propongono di
contrastare l'attuale concezione della politica
ridotta a pura mediazione di interessi, senza più
discriminanti di fondo, senza più principi e valori
non negoziabili. La politica per noi è protagonismo, partecipazione, coinvolgimento dei soggetti
che intendono determinare il proprio futuro e che
respingono una concezione ed una pratica che,
purtroppo, va sempre più diffondendosi: la politica come autopromozione, come carrierismo e
personalismo.
Idealità e passione per noi devono andare
di pari passo con il “saper fare”, l'agire quotidiano nella realtà data e concreta dei fatti a partire
dalla valorizzazione di quello che di positivo è
stato fatto nelle esperienze di governo della
Sinistra evitando, come purtroppo accaduto in
alcune “regioni rosse”, di smantellare o svendere
quelli che si potrebbero definire i “gioielli di
famiglia” in nome di una adesione ad un liberismo del tutto ideologico. In questa prospettiva,
una prospettiva comunista che intendiamo vivere
“da comunisti”, ribadiamo il carattere strategico e
non tattico del Partito.
11 settembre / dicembre 2001
DOCUMENTI
I Comunisti Italiani intendono svolgere
un ruolo nel Paese e nella scena politica che non
sia di mera transizione verso qualcosa “d'altro”,
un ruolo che non deve e non può essere considerato come temporaneo e strettamente legato alla
fase politica dell'oggi, ma piuttosto un ruolo permanente, stategico, che possa giocare, con modestia e senso delle dimenIsioni, attivamente all'interno della Sinistra italiana e dell'intero schieramento democratico.
Il Partito dei Comunisti Italiani, pur nella
consapevolezza dei suoi attuali limiti, vuole intraprendere ma battaglia politico-culturale, perché la
caduta delle ipotesi anticapitalistiche storiche non
porti all'appiattimento sull'esistente. Siamo infatti
convinti che il capitalismo non sia la fine della
storia. L'analisi critica dei suoi limiti e la ricerca
del suo superamento continuano a trovare nel
pensiero di Marx insegnamenti tuttora fondamentali. Compito dei Comunisti è dare a questi insegnamenti, contenuti e valori attuali.
La nostra linea generale si fonda sul presupposto che si possono studiare, sperimentare e
costruire soluzioni “alternative” a quella capitalistica. L'ideologia dominante non può essere sconfitta attenuando, nascondendo, camuffando i propri ideali ed attestando i propri traguardi su posizioni sempre più arretrate, fino ad annullare ogni
differenza.
Sarebbe segno di ottusità suicida convincersi che obiettivo generale della Sinistra sia
sostituire al socialismo un progressismo senza
connotati: è necessario invece restaurarne i fondamenti ideali, culturali e politici, in un progetto
rivolto al futuro, dotato di strumenti atti a interpretare la modernità.
Questo significa che la Sinistra deve
avere la capacità di studiare ed elaborare proposte
ed iniziative concrete. Solo a partire dall'esperienza e dallo sviluppo di queste elaborazioni potrà
cominciare a delinearsi un orizzonte di superamento del capitalismo.
DOCUMENTI
In questa situazione, oggettivamente difficile, i mezzi a nostra disposizione sembrerebbero insufficienti a condurre un'azione politica efficace e continuativa
Dobbiamo, invece, essere capaci di tradurre le competenze, i saperi e le culture presenti
all'interno del nostro Partito in azione politica diffusa. Ciò richiede a tutti i nostri militanti uno
sforzo straordinario di analisi della realtà circostante, di iniziativa politica, di presenza sul territorio, di rapporto con le realtà sociali e con le
associazioni. Un compito difficile che potremmo
facilmente eludere per non patire delusioni, sconfitte, amarezze. Potremmo, ma non è la strada che
abbiamo scelta.
Essere Comunisti oggi è, quindi, più che
in passato, una scelta minoritaria: di minoranze
che lavorano per un futuro di cui si ignorano le
fattezze, con senso storico e duttilità poliıica,
guardando alle alleanze possibili, sapendo che si
tratta pur sempre di battaglie parziali. La scelta
comunista è oggi più che mai, e soprattutto, una
scelta morale. Perciò è scomoda e impopolare.
Ma forse è l'unica veramente utile.
* Segretario provinciale PdCI
Dobbiamo, infine, chiederci quale sia il
compito che i Comunisti Italiani devono assolvere nella nostra provincia, dove un articolato sistema di potere vede la destra occupare tutti i gangli
dell'amministrazione.
12 settembre / dicembre 2001
rienza della segreteria Natta: un’esperienza molto
difficile perché Natta, che praticamente aveva già
scelto di ritirarsi in seconda linea nell’impegno
politico attivo e di dedicarsi soprattutto agli studi,
fu chiamato all’improvviso a raccogliere l’impegnativa eredità di Enrico Berlinguer in un
momento carico di problemi e di incognite per il
Partito Comunista.
La drammatica morte di Berlinguer era
sopraggiunta - come si ricorderà - al culmine di
grandi lotte che avevano avuto il Pci e il suo
segretario come protagonisti: in particolare la
lotta contro il taglio della scala mobile deciso dal
governo Craxi, contro l’istallazione degli euromissili, sulla questione morale come decisiva
questione democratica): per questo, e non solo
per un’ondata emotiva, la morte di Berlinguer
immediatamente seguita dalla grande vittoria alle
elezioni europee.
Ma dietro quella vittoria c’era una situazione molto difficile: la grande stagione democratica degli anni settanta si era chiusa con un insuccesso; nella società italiana e in tutto l’Occidente
spirava un vento conservatore; si avviava una
grande ristrutturazione capitalistica che metteva
in difficoltà la classe operaia nei singoli paesi e
spostava a destra la situazione mondiale.
Per questo sono molti coloro che in questi anni hanno espresso l’opinione che la sorte del
Pci fosse, nel 1984, praticamente già segnata:
anche perché il processo di dissoluzione dell’impero sovietico era ormai avviato. Credo si debba
riconoscere che c’è qualcosa di vero in questa
analisi pessimista.
Però è anche vero che il Pci disponeva
ancora di un grande patrimonio politico e di autorità morale: aveva il 33 per cento dei voti; era fortemente radicato nella società italiana (ancora
oggi i Ds sopravvivono grazie ai punti di forza
del vecchio Pci), disponeva di autorevolezza e
prestigio sul piano internazionale, come dimostrano le molte testimonianze che ci ricordano che al
Pci si guadava come al possibile protagonista di
un “altro comunismo”.
Certo, per mettere a frutto questo patrimonio ancora vigoroso, sarebbe stato necessario però - un grande processo di rinnovamento: sul
piano della politica, dei programmi, della cultura,
dei comportamenti. È in effetti a Natta, e agli
altri compagni che con lui facevano parte della
segreteria, non mancava certamente la consapevolezza di quanto fosse indispensabile un grande
impegno rinnovatore. Lo stesso Natta è tornato
più volte su questo tema e lo ha ripreso anche nell’ultima intervista.
«Non eravamo degli sprovveduti - egli
afferma infatti in questa intervista - sapevamo di
dover affrontare il problema della nostra collocazione e della nostra funzione».
Al riguardo, anche più analiticamente, si
era già espresso nel suo intervento di due anni
prima all’assemblea costitutiva dell’Associazione
per il Rinnovamento della Sinistra di Imperia (e
ringrazio Torelli per avermi fornito questo testo).
«Noi sapevamo già negli anni ottanta egli disse in quell’occasione - che per far fronte
allo sviluppo impetuoso e offensivo del capitalismo su scala mondiale e in tutti i campi, nella tecnologia, nell’industria, nelle armi, nelle idee e nel
costume, non erano sufficienti il campo e il sistema del comunismo sovietico, nemmeno se fosse
riuscito il tardivo e arduo tentativo di riforma di
Gorbaciov, e sapevamo che non bastavano gli
orientamenti e le idee della socialdemocrazia e di
altre forze progressiste. Ma il fatto è che noi
(mentre altri, come Craxi, si erano già arresi al
neoliberismo) non siamo stati in grado, prima e
dopo la scomparsa di Berlinguer, di ripensare e
riformare un progetto socialista».
Perché ci fu questa incapacità? Senza
dubbio la causa va ricercata in difficoltà oggettive
come in debolezze soggettive dell’intera sinistra,
non solo italiana, come i fatti chiaramente dimostrano. Ma ci sono due fattori che più specificatamente limitarono il tentativo di rinnovamento
avviato dal Partito comunista italiano.
Il primo fu un fattore internazionale: fu
l’effetto bifronte del tentativo di Gorbaciov. Da
un lato esso confermava - per riconoscimento
dello stesso protagonista - la validità delle critiche e delle proposte del Pci. Però, ancora una
volta, quel tentativo riproponeva l’illusione di
una riformabilità della società sovietica, e contribuiva perciò a ritardare quel più radicale distacco
dell’esperienza di quella società, che era invece
assolutamente indispensabile.
37 settembre / dicembre 2001
DOCUMENTI
questi scritti. Certamente - egli sottolinea - la
politica dei comunisti italiani era una politica gradualista, fondata sul rispetto delle regole e dello
spirito della democrazia e rivolta a realizzare, nel
quadro di uno sviluppo democratico, sia sostanziali conquiste di libertà sia più avanzate condizioni sociali a vantaggio dei lavoratori e in generale della parte più povera della popolazione.
In effetti quel tanto o quel poco di “Stato
sociale” che si è realizzato in Italia fu anche e
forse innanzitutto - oggi possiamo ben dirlo opera dei comunisti: sia attraverso le conquiste
dei movimenti di massa e delle battaglie nel paese
da essi promosse, sia condizionando i governi con
l’opposizione in Parlamento, sia promuovendo la
crescita culturale, lo sviluppo di più avanzati
orientamenti di massa, un impegno ideale che è
sempre momento essenziale della lotta per l’egemonia.
Ma se nella lotta condotta dai comunisti
italiani per lo sviluppo democratico e per conquistare strutture di equità sociale che mutassero
sostanzialmente le condizioni dei cittadini e dei
lavoratori c’è un’indubbia analogia con l’esperienza più avanzata compiuta dai partiti socialisti
dell’Occidente negli anni cinquanta, sessanta,
settanta, è altrettanto vero che nell’esperienza
del comunismo italiano vi è anche una differenza
sostanziale, che Natta nell’Introduzione ai
Discorsi parlamentari di Togliatti mette bene in
evidenza riprendendo un brano fondamentale
della relazione del vecchio leader comunista al X
Congresso del 1962.
Sottolinea cioè che «la classe operaia,
quando è giunta ad avere la forza numerica organizzata, le capacità sindacali e di movimento politico che ha oggi in un paese come l’Italia tende ad
affermare il suo potere in forme assai più complesse e articolate ma anche più efficaci: lo afferma difendendo gli istituti della democrazia anche
parlamentare, rivendicando le autonomie regionali e locali, combattendo per delle riforme sostanziali, avanzando proposte nuove di sviluppo del
paese e forme di democrazia diretta».
In sostanza in questo brano di Togliatti che Natta riprende indicandolo come essenziale
per comprendere l’esperienza dei comunisti italiani - l’accento è posto su una concezione della
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politica che mette in primo piano l’organizzazione della presenza democratica in tutti i momenti
della vita del paese: una presenza organizzata di
massa che diventa come condizione per la difesa
e l’avanzamento della democrazia e per uno spostamento dei rapporti fra i ceti e le classi a favore
di una prospettiva di rinnovamento politico e
sociale.
È questo il fatto decisivo che spiega
come l’opera dei comunisti abbia segnato
profondamente la vita della democrazia italiana
sino agli anni ottanta: da un lato facendo da argine ai pericoli di involuzione, alle minacce occulte, all’offensiva del terrorismo, d’altro lato favorendo invece una crescita non solo politica, ma
sociale e civile dei lavoratori e dell’intero paese.
Se si tiene conto di questo ruolo svolto
dal Pci per tanti anni è facile rendersi conto del
perché la svolta della Bolognina, avendo eliminato il nome del partito ma senza fare i conti veramente con l’esperienza comunista, coi suoi valori
positivi, coi suoi limiti, coi suoi errori, abbia
sostanzialmente finito coll’interrompere una tradizione - segnando una frattura rispetto a un’esperienza politica che aveva rappresentato una
ricchezza per la democrazia italiana - ma senza
recuperare quel grande patrimonio democratico
che il Pci aveva accumulato e disperdendo invece
forze ed energie: una dispersione tanto più grave
perché, al tempo stesso, mancava la capacità di
acquisire nuovi consensi provenienti da altri settori della sinistra e in generale dalla tradizione
democratica italiana. Proprio in questa incapacità
di fare i conti con la questione comunista, ossia
con ciò che l’esperienza comunista aveva rappresentato nella storia italiana (e non con la caricatura di un Pci modellato sull’esempio sovietico,
come anche tanti dirigenti del Pds e dei Ds hanno
finito col raffigurare parlando del loro passato il
loro passato) sta la ragione prima del progressivo
deperimento della forza organizzata del Pds e dei
Ds: un deperimento che l’andata al governo non
ha compensato, anzi – per il modo in cui questa
esperienza di governo è stata vissuta – ha alla fine
aggravato.
3) Conviene a questo punto – prima di parlare
dell’ultimo decennio – dire qualcosa sull’espe
36 settembre / dicembre 2001
2° Congresso Ds - Federazione di Imperia
Imperia, 3 - 4 novembre 2001
Per tornare a vincere
di Mauro Torelli *
«Non ho difficoltà a sostenere che non
trascorreranno i tre anni statutari per il prossimo
congresso. Le contraddizioni, chiare per chi vuol
vedere, esploderanno nel giro di poco tempo».
Questo è un passo dell’intervento conclusivo che
ho tenuto nel dicembre del 1999, al primo congresso federale del Ds di Imperia, per conto della
mozione della “Nuova sinistra”.
E non è ironia della sorte se insieme al
compagno Pettinari, che allora intervenne a sostegno della mozione Veltroni-D’Alema, oggi abbiamo entrambi sottoscritto la mozione “Per tornare
a vincere” e insieme abbiamo condotto la campagna congressuale chiedendo adesioni ad essa.
Le contraddizioni politiche interne e internazionali si sono celermente acuite.
Il precedente congresso si era svolto
pochi mesi dopo le drammatiche vicende del
Kosovo e all’indomani del fallimento dei lavori
dell’Organizzazione mondiale del commercio
(WTO) a Seattle. La nostra assise odierna si tiene
avendo alle spalle le grandiose e tragiche giornate
di Genova dello scorso luglio dove, in occasione
dell’incontro del G8, un enorme movimento ha
riproposto, su scala più ampia e matura, le problematiche già evidenziate a Seattle e dopo le esperienze di Nizza, Goeteborg, Porto Allegre e
Praga, e nel pieno dramma della guerra in
Afghanistan dopo i tragici avvenimenti accaduti a
New York e Washington l’undici settembre scorso
e il voto del Parlamento italiano a favore della
partecipazione diretta del nostro paese alle azioni
militari.
Ho riletto nei giorni scorsi l’intervento
congressuale che ho svolto due anni or sono e ho
riscontrato in esso problematiche attuali come la
globalizzazione, la pace e la guerra, la sorte del
Ds e il futuro della sinistra, l’esperienza dei
governi dell’Ulivo e le difficoltà della concertazione.
Un congresso straordinario si è reso
necessario per affrontare finalmente i motivi di
fondo che hanno determinato i gravi insuccessi
elettorali (le elezioni regionali del 2000 e quelle
politiche del 13 maggio di quest’anno dopo i ripetuti cambi di governo e di presidenti del
Consiglio dell’Ulivo), i limiti seri nella politica
delle alleanze e il venir meno della chiarezza strategica.
In questi mesi abbiamo operato per la
ricomposizione di forze a sostegno della mozione
“Per tornare a vincere”. Questo processo, in provincia di Imperia, per la verità era iniziato ancora
prima dell’indizione del congresso.
I dati, emersi dai congressi delle sezioni,
testimoniano l’importante risultato ottenuto in
provincia di Imperia dalla mozione che rappresento che con il 48,1 per cento dei voti, colloca la
nostra federazione tra quelle che hanno raggiunto
i livelli più elevati in Italia e insieme al 56 per
cento ottenuto dalla mozione Berlinguer in provincia di Savona, contribuisce al notevole risultato ligure, ben oltre la media che si sta delineando
a livello nazionale.
Nel Ponente ligure, sul territorio che configura il collegio senatoriale, la mozione “Per tornare a vincere” ha ottenuto la maggioranza dei
consensi.
Nell’ambito del positivo risultato provinciale spicca il primato ottenuto dalla nostra
13 settembre / dicembre 2001
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mozione nella città di Imperia e degno di menzione anche il plebiscitario risultato di Santo
Stefano al Mare.
Lo sviluppo del dibattito nazionale ha evidenziato due questioni su cui occorre ritornare in quanto esse sono state affrontate in modo insufficiente, quando addirittura non se ne è fatto menzione.
Mi riferisco allo sviluppo inquietante della guerra afgana, con problemi complessi connessi e al
nuovo processo costituente che Fassino prospetta
per l’unità riformista quale approdo di una “rilettura” di tangentopoli.
La tematica della pace e della guerra e la
necessaria lotta al terrorismo sono un discrimine
centrale nella vita di un partito e su ciò vanno
dette parole chiare.
Il terrorismo è contrario agli interessi
della sinistra in quanto favorisce la limitazione
dei diritti e della democrazia. La conseguente
militarizzazione dell’economia e della società è
contro chi non ha potere. Il terrorismo ha in sé
elementi caratterizzanti come la gerarchia e la
segretezza che sono antagonistici rispetto alle
conquiste del pensiero democratico, cui è approdata la sinistra europea.
Il dibattito su tali questioni non può non
affrontare il problema del relativismo etico, vale
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a dire il rapporto tra i fini e i mezzi adoperati per
raggiungerli, che debbono essere sempre coerenti: un fine buono non può essere raggiunto con
metodi e strumenti non buoni. Rifiutare i bombardamenti in Afghanistan è coerente con tali
considerazioni.
Questa scelta ha il pregio, tra l’altro, di
porsi in sintonia con i forti movimenti, prevalentemente di giovani, emersi a Genova e ad Assisi,
movimenti che, pur nella pluralità dei punti di
vista, hanno un comune denominatore nel richiedere il primato del diritto a livello mondiale, un
riequilibrio dei poteri tra classi, stati ed economie, vale a dire una forte spinta alla democratizzazione della vita sociale e politica, significa
essere parte di quell’ampio movimento di forze
che nel mondo si battono per più giustizia, eguaglianza e solidarietà e inoltre vogliono limitare e
quindi sconfiggere le forze del fondamentalismo.
Tali opzioni ci consentono, inoltre, di
essere interlocutori credibili di coloro che ritengono fondamentale il processo di unità politica
dell’Europa (ma non quella fondata sul direttorio
anglo-franco-tedesco!), strumento ineliminabile
per garantire l’equilibrio dei poteri sopranazionali e la difesa dello stato sociale per milioni di
europei.
14 settembre / dicembre 2001
non solo autonoma ma profondamente diversificata dal modello sovietico.
È stato giustamente notato che nel gruppo
dei più autorevoli dirigenti comunisti formatosi
dopo la guerra Natta fu - senza dubbio - un
togliattiano per formazione, per cultura, e per
costume politico (e non certo un togliattiano in
sedicesimo, come qualche attuale esponente dei
Ds, che sembra aver confuso il realismo di
Togliatti con il tatticismo e la manovra fine a se
stessa). È significativo a questo riguardo che
Natta dedichi proprio alla scelta compiuta da
Togliatti subito dopo il rientro in Italia nel 1944 cioè alla svolta di Salerno, alla politica di unità
democratica e antifascista, alla costruzione del
partito nuovo come partito di massa profondamente radicato nelle pieghe della società (come
Togliatti amava ripetere) - gran parte dell’ultima
intervista che ho già citato.
Osserva giustamente Natta in questa
intervista che certamente quella di Togliatti era
stata in primo luogo una scelta di realismo politico, perché teneva conto della presenza in Italia
delle truppe inglesi e americane e della divisione
del mondo in zone d’influenza che già si profilava; e anche perché nasceva dalla consapevolezza
delle sconfitte quasi ovunque disastrose che negli
anni fra le due guerre la classe operaia aveva
subito in tutti i casi in cui aveva cercato di prendere il potere in condizioni generali in cui i rapporti di forze non le erano favorevoli. Per questo
la preoccupazione fondamentale di Togliatti con
la svolta di Salerno, ossia con la politica di larga
intesa antifascista e di unità delle forze popolari e
democratiche, fu quella di assicurare le condizioni per affermare in modo duraturo la presenza in
Italia di un forte e autorevole partito comunista,
evitando invece di andare incontro a una tragica
esperienza come quella dei comunisti greci.
Ma – osserva Natta – non si trattò solo di
ragioni di realismo politico. La scelta di Togliatti
tendeva anche (non faremo come in Russia, egli
ribadiva non a caso con insistenza nei suoi primi
discorsi in Italia) a differenziare l’iniziativa dei
comunisti italiani dall’esempio sovietico.
Egli conosceva bene quella realtà, sapeva
che quel modello (si avverte, in questo, l’influenza della riflessione di Gramsci) non si adeguava –
anche a prescindere dalle estreme degenerazioni
dello stalinismo - alle condizioni e alla complessità culturale e sociale dei paesi dell’Occidente.
Per questo egli si proponeva (pur senza
rendere esplicita, allora, la critica all’esperienza
sovietica, come invece farà in più occasioni a partire dal 1956) di costruire un partito che si basasse su un fondamento nuovo: ossia sull’unità della
sinistra, sulla prospettiva di uno sviluppo democratico della società italiana, sull’impegno per la
pace e per la coesistenza fra i popoli.
In questo modo - osserva Natta - il “partito nuovo” crebbe rapidamente come un partito
democratico di massa, sino ad occupare, in Italia,
uno spazio e le funzioni che in altri paesi
dell’Europa occidentale tornavano invece ad
essere svolti, dopo la seconda guerra mondiale
dai partiti socialisti e socialdemocratici.
Ma in che senso un partito analogo alle
grandi democrazie socialdemocratiche del Centro
e del Nord Europa? È questo un punto da chiarire
- e Natta ci aiuta a chiarirlo - perché non va
dimenticato che proprio sulla tesi che di fatto il
Pci era già un partito socialdemocratico si è fondata l’illusione, dopo la svolta della Bolognina,
che bastasse togliere il nome “comunista” per
consentire lo sviluppo di un più grande e articolato partito della sinistra italiana: mentre si è avuto
il risultato di andare incontro a quel progressivo
logoramento che ha portato la sinistra italiana,
come è accaduto nelle ultime elezioni, al minimo
storico del suo consenso elettorale.
E perciò bene rileggere le pagine che
Natta dedica al problema della differenza rispetto
all’esperienza socialdemocratica nella introduzione ai Discorsi parlamentari di Togliatti: un’introduzione che di fatto è il frutto di una riflessione e
di una verifica che riguarda anche gli sviluppi
successivi alla morte nel 1964 del grande leader
comunista, giacché i Discorsi furono editi alla
Camera dei deputati solo nel 1984.
Si tratta perciò di qualcosa di più che
una premessa alla raccolta degli interventi parlamentari: è in primo luogo un saggio sulla politica
complessiva dei comunisti italiani.
Il tema della differenziazione rispetto
all’esperienza socialdemocratica è uno dei punti
fondamentali della riflessione svolta da Natta in
35 settembre / dicembre 2001
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to tra le etnie, tra le classi, tra gli stati, non metteva neppure al sicuro dall’accendersi di una febbre
terroristica che proprio le moderne tecnologie
rendevano e rendono più pericolosa, come gli
spaventosi fatti di New York hanno purtroppo
dimostrato.
Il decennio che è seguito alla svolta del
‘90-’91 è stato estremamente eloquente . Non è
stato un decennio di pace, tanto meno un decennio di sviluppo economico e sociale più equamente distribuito fra tutti i popoli.
Al contrario la guerra è diventata un fatto
endemico, che ha toccato e tocca anche noi
sempre più da vicino: prima la guerra del Golfo,
poi il susseguirsi delle guerre balcaniche, in quell’area tormentata che un tempo era la Repubblica
federale di Iugoslavia, e contemporaneamente il
continuo rinnovarsi del conflitto tra israeliani e
palestinesi e le tante guerre dimenticate che
insanguinano l’Africa: e ora la guerra contro il
terrorismo, che il Presidente Bush assicura che
sarà lunga, aspra, cruenta.
La fine della guerra fredda non ha dunque significato l’avvento di un mondo di pace.
Ma anche tanti altri problemi nel corso di questi
dieci anni non solo non sono stati avviati a soluzione, al contrario si sono aggravati e inaspriti:
primo fra tutti il divario fra il Nord e il Sud del
mondo, la condanna per miliardi di donne e di
uomini al dramma quotidiano della fame e delle
malattie, a condizioni di vita che sono ai limiti e
troppo spesso al di sotto dei limiti della possibilità di sopravvivenza. Certo - lo sappiamo bene la miseria del Terzo e del Quarto Mondo non giustifica il ricorso al terrorismo, che al contrario fa
altre vittime innocenti e aggrava tutti i problemi
senza risolverne alcuno.
Ma sappiamo anche che il non vedere di
fronte a sé altro che un destino di miseria e di
oppressione (e questa è la condizione di tanti giovani dell’Africa, dell’Asia, dell’America latina)
può facilmente produrre un sentimento di disperazione e la disperazione è terreno di pascolo per il
terrorismo, soprattutto quando di congiunge a un
ideologia di rivincita e di contrapposizione, quale
è quello del fondamentalismo islamico.
Di tutto questo Alessandro Natta era consapevole e per questo non condivideva il superfi-
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ciale realismo ostentato da certi dirigenti dei
Democratici di Sinistra e guardava con preoccupazione ai problemi del nuovo secolo. C’è un
accenno molto significativo nella sua ultima
intervista, tanto più se letto colla coscienza di ciò
che è accaduto e sta accadendo. Ritengo, dichiara
Natta all’intervistatore, che il problema di un
diverso sviluppo, “il problema della sinistra e del
socialismo si riproponga in pieno, in Italia e non
solo in Italia, perché siamo di fronte a una realtà
che non è accettabile, e quando una realtà non è
accettabile, gli uomini qualcosa inventano.”
Qualcosa inventano: e questo qualcosa –
sono ora mie parole – può essere un impegno di
lotta più efficace per realizzare un mondo più giusto; ma può anche essere, se questa speranza
viene meno, la disperata follia dell’atto terroristico, può essere la folle decisione (certo organizzata da una mente criminale) di un pugno di uomini
che scelgono di morire schiantandosi con gli aerei
da loro guidati contro le torri di New York e provocando così altre migliaia di morti. Per questo è
necessario, certamente, combattere il terrorismo:
ma occorre anche rifuggire dalla rassegnata resa
all’egoismo eurocentrico, da quella acritica
accettazione dell’attuale tipo di sviluppo e dell’attuale assetto mondiale che ha caratterizzato anche
i partiti di sinistra giunti in questi anni al governo
in vari paesi d’Europa.
C’è invece bisogno di una diversa risposta ai problemi mondiali; una risposta che assicuri un più equilibrato e più solidale sviluppo tra i
popoli, uno sviluppo che assuma perciò come
centrale il tema di un rapporto di effettiva e concreta solidarietà fra il Nord e il Sud del Mondo. È
questa la strada maestra se si vuole davvero sconfiggere il terrorismo.
2) È noto che ai temi della pace, della democrazia, di un più equo sviluppo, non solo per i paesi
principali dell’Occidente ma in tutto il mondo
Alessandro Natta era profondamente legato: non
solamente per la dura esperienza giovanile negli
anni della guerra contro il nazismo, ma perché
queste erano le grandi idee in base alle quali egli
aveva aderito al partito nuovo che i comunisti
avevano costruito in Italia dopo la caduta del
fascismo e che aveva dato vita a un’esperienza
34 settembre / dicembre 2001
Noi siamo certi che il livello europeo è
l’unico che può garantire codesti diritti.
Il perseguimento di tali obiettivi renderà
meno difficile la nostra battaglia contro le destre
continentali e nazionali fautrici di politiche isolazioniste, razziste e individualiste.
Se malauguratamente si affermassero le
politiche della destra, si profilerebbero effetti
devastanti sul nostro futuro economico, sulla
qualità della democrazia, seriamente a rischio.
Purtroppo i primi provvedimenti del
governo Berlusconi e quelli prospettati sono
preoccupanti tanto più se ricalcheranno quelli già
decisi dal presidente statunitense Bush: arresti
fino a una settimana senza capi d’accusa, intercettazioni senza specifici mandati dell’autorità
giudiziaria, pressioni per l’autocensura delle
fonti d’informazione. La strategia di un partito di
sinistra, le sue finalità, l’insediamento sociale e
politico di riferimento, non possono prescindere
da tutto ciò.
La sinistra deve battersi per promuovere
lo spostamento di poteri verso classi, territori,
donne e stati che attualmente ne sono privi. Tutto
ciò è pregiudiziale per influire sui futuri equilibri
economici, politici e sociali. Una battaglia politica e culturale diventa centrale.
I recenti avvenimenti hanno rimesso in
discussione la tesi, che pareva affermata, del primato del mercato e dell’attuazione di privatizzazioni generalizzate.
Il 15 ottobre scorso, in un articolo comparso sul Corriere della Sera, il principale quotidiano italiano, l’economista Stiglitz, premio
Nobel, ha contestato le amministrazioni degli
Stati Uniti degli ultimi anni di aver privilegiato
l’egoismo materiale e individuale a scapito degli
interessi comuni.
I fondamentalisti del mercato, denuncia
l’autorevole Stiglitz, hanno voluto privatizzare la
sicurezza degli aeroporti (Bush si oppone a rinazionalizzare la vigilanza per non regalare trentamila iscritti al sindacato!), hanno rifiutato l’accordo Ocse per evitare il riciclaggio di denaro
sporco al fine di proteggere interessi finanziari, è
stata privatizzata nel 1997 l’Usec, una struttura
che tratta uranio per bombe e centrali nucleari.
Tale agenzia era stata incaricata di portare fuori dalla Russia materiale nucleare risultante
da vecchie testate. I nuovi proprietari hanno
ricattato i contribuenti americani: si sono anteposti gli interessi di Wall Street a quelli delle popolazioni.
Deve essere chiaro che a livello macroeconomico le scelte non dipendono dal mercato
ma sono squisitamente di carattere politico. Le
sovrastrutture burocratiche, dell’informazione e
della cultura hanno il compito di costruire l’egemonia in favore delle scelte effettuate. Quando
tutto ciò non è sufficiente, i poteri forti sanno
esercitare il dominio in modo brutale.
L’attuale crisi del ciclo economico capitalistico ripropone la necessità dell’intervento
pubblico nell’economia e nel governo delle
imprese strategiche, nel porre rimedio al fallimento dei fondamentalisti della privatizzazione,
dei pericolosi rischi che comporta non porre argini al primato della sussidiarietà orizzontale.
Del resto, è sempre più evidente che esiste una contraddizione ineliminabile tra l’anarchia del mercato e le esigenze programmatorie
per uno sviluppo ambientalmente compatibile.
La sinistra non può continuare a essere
paladina del primato dell’impresa, ma deve ribaltare la politica economica assumendo lo sviluppo
della domanda quale volano che permetterà di
offrire risposte alle esigenze di piena occupazione, di miglioramento della qualità della vita per
gli strati popolari.
Ma il primato della domanda non può
basarsi sull’illusione di un abbassamento delle
tasse e delle imposte che avvantaggerebbe gli
strati sociali medio-alti, senza garantire che le
risorse “liberate” siano virtuose per il ciclo economico. È molto probabile che tali surplus diventino carburante per l’economia finanziaria dei
soliti noti. I lavoratori e i meno abbienti hanno,
al contrario, interesse a un significativo aumento
15 settembre / dicembre 2001
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dei salari, degli stipendi e delle pensioni per
recuperare, innanzitutto, il consistente fiscal-drag
che si è accumulato in questi anni e inoltre l’aumento consistente della produttività che si è
avuta nell’ultimo decennio.
Francia e Germania sono più competitive
dell’Italia pur avendo salari e stipendi mediamente più consistenti dei nostri. Quindi è ora di
reagire con decisione contro chi continuamente
vuole scaricare sui lavoratori e i pensionati le difficoltà del ciclo economico.
Molta della politica dell’Ulivo e dei
democratici di sinistra è, alla luce dei recenti
avvenimenti, obsoleta e da rivedere drasticamente. La recente sentenza di assoluzione dei dirigenti del petrolchimico di Porto Marghera, (che
paradossalmente fa evincere di essere in presenza
di un suicidio di massa di quei poveri lavoratori!), contribuisce a minare la fiducia dei cittadini
nelle istituzioni.
I ripetuti tentativi da parte della Casa
delle libertà di delegittimare la Magistratura (i
giudici che condannerebbero senza prove!), lo
scoprimento di lapidi in onore dei combattenti di
Salò e di gerarchi mussoliniani, la presentazione
del libro bianco di Maroni, il sostegno del governo per una politica che favorisce i contratti separati, la rottura sindacale e l’isolamento della Cgil,
le leggi sulle rogatorie internazionali, la cancellazione del perseguimento d’ufficio del reato di
falso in bilancio e l’adozione delle norme sul
rientro dei capitali dall’estero, la permanenza
irrisolta del conflitto di interessi, costituiscono
un insieme di fatti, apparentemente distanti tra
loro, ma accomunati dal tentativo di formare un
senso comune contrario ai principi fondamentali
dello stato democratico: indipendenza della
magistratura, laicità dello stato, disinteresse nell’esercizio della funzione pubblica.
Populismo e annacquamento del sentimento antifascista sono ormai merce corrente nel
dibattito politico italiano.
Se a ciò si aggiunge il tentativo, per ora
fortunatamente maldestro, di militarizzare il
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paese di fronte alle sconosciute prospettive che
accompagnano i bombardamenti in Afghanistan,
si comprende il compito enorme che deve svolgere una forza di sinistra, quale vuol essere il Ds,
per contrastare la politica avventurista della Casa
delle libertà, che con i suoi primi atti di governo
ha già posto le premesse per trasformare il nostro
Paese in un regime autoritario, populista e con
tratti parafascisti.
In tale contesto si svolge il nostro congresso.
Voglio ricordare la nostra costante avversione alla teoria delle due sinistre, teoria nefasta
che da alcuni anni accompagna la persistente
divisione della sinistra. I fatti testimoniano l’erroneità, sul piano teorico e pratico, del perseguire
l’obiettivo di una sinistra che reputi la partecipazione al governo come un valore in sé, come
pure ritenere sufficiente la testimonianza esercitata dall’opposizione.
Noi concepiamo la sinistra come una
forza che, pur nell’articolazione organizzativa,
ritrovi l’unità nell’essere una forza di governo
già nel proporre soluzioni concrete ai diversi problemi esistenti, ma contemporaneamente nell’essere anche in grado di formulare proposte che
spostino poteri a vantaggio delle classi lavoratrici
e degli strati subalterni.
Battersi per uno spostamento a sinistra
del Ds nel suo insediamento sociale e nei suoi
obiettivi politici, significa porsi come sbarramento alla deriva populistica e neoautoritaria e porre
le basi per un’ampia alleanza di centro-sinistra
che sia percepita ad un tempo come difesa della
democrazia e alternativa alla società esistente.
Non credo che la visione di Fassino sia
funzionale a tale obiettivo di cambiamento, ma
piuttosto appare strategicamente subalterna.
Rileggere il periodo di tangentopoli,
rivalutare “il coraggio craxiano”, sostenere che
“bisogna trovare una soluzione politica per quella fase” vuol dire mettersi in sintonia con il progetto che a sinistra, malgrado ripetuti tentativi,
non passò durante le segreterie Berlinguer e
Natta.
16 settembre / dicembre 2001
Per Natta
di Giuseppe Chiarante *
Quest’omaggio ad Alessandro Natta, organizzato in occasione della presentazione del
numero speciale della rivista Pagine Nuove del
Ponente col patrocinio del Comune d’Imperia
che io ringrazio vivamente anche per le parole
tutt’altro che rituali pronunciate dal suo sindaco –
cade in un momento che è per tutti di grande
apprensione, di dolore, di allarme per i tragici
eventi delle ultime settimane e per gli sviluppi in
larga parte ancora indecifrabili ma certamente
anch’essi drammatici che si annunciano per i
prossimi giorni, forse per i prossimi mesi.
La parola guerra è tornata, torna a risuonare ancora una volta da un capo all’altro del
mondo. Esprimiamo la nostra condanna per il
gravissimo attentato di New York e il nostro dolore per le vittime che esso ha provocato.
Esprimiamo al tempo stesso la nostra
apprensione per le molte altre migliaia di vittime
innocenti cui potrebbe portare una rappresaglia
indiscriminata. Non possiamo, più in generale,
non sottolineare l’allarme per le prospettive estremamente inquietanti che caratterizzano l’apertura
del nuovo secolo.
Mi sembra giusto partire da qui, nel ricordare la figura e l’opera di Natta, non solo perché
anche in un’occasione come questa sentiamo il
dovere e la necessità di esprimere la preoccupazione che ci unisce tutti; ma perché nella drammatica situazione mondiale che stiamo vivendo,
nelle tensioni che la caratterizzano, nei tanti problemi irrisolti che stanno alle radici di queste tensioni, c’è una delle ragioni di fondo che portarono
Natta a non condividere il superficiale ottimismo
che dopo il ‘90 -‘91 si diffuse anche in larga
parte della sinistra e favorì l’adozione di scelte
politiche che egli respinse considerandole sbagliate e pericolose.
Ricordiamo tutti – infatti – che dopo la
caduta del muro di Berlino, dopo la disgregazione
del blocco dei paesi dell’Est, dopo il disfacimento
della stessa Unione sovietica erano in molti a ritenere che quegli eventi in quanto ponevano fine
all’epoca della guerra fredda avrebbero aperto la
strada a un mondo finalmente pacificato.
Ci fu addirittura chi parlò – come
Fukuiana e altri lo imitarono e altri che lo imitarono – di fine della storia.
Ma anche senza giungere a questi estremi, era assai diffusa l’opinione che si fossero
ormai create le condizioni per un più intenso,
ordinato, pacifico sviluppo mondiale, sotto le
insegne del liberismo ormai trionfante e sotto la
guida dei paesi del Patto Atlantico: e furono in
tanti anche a sinistra ad accettare questa analisi,
ritenendo di fatto inevitabile un atteggiamento
subalterno all’ideologia e alla pratica liberista
nelle grandi scelte di politica economica e alla
supremazia del potere imperiale degli Stati Uniti
nei rapporti politici mondiali.
Natta non condivideva, come altri di noi,
questa illusione. Il crollo dell’Unione sovietica, la
caduta del movimento comunista, la crisi più
generale della sinistra anche nei paesi
dell’Occidente non stava a significare – egli
avvertiva – che fossero venute meno le ingiustizie
e le contraddizioni da cui, in Europa e nel resto
del mondo, la lotta delle forze di sinistra aveva
tratto ragione e stimolo.
Anche la pace non era affatto assicurata.
Al contrario, il dominio di un’unica potenza, al di
fuori di uno sviluppo democratico caratterizzato
da maggiore libertà e migliori condizioni sociali
per tutti i popoli, non sanava gli squilibri che un
capitalismo senza regole portava anzi ad
approfondire, non eliminava le ragioni di conflit
33 settembre / dicembre 2001
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generali, un intreccio del quale ripetutamente si scusa, ma che noi, invece,
abbiamo fortemente apprezzato.
In verità il programma originario prevedeva che la pubblicazione della
“Lettera a Libero Nante” fosse effettuata agli inizi del 2001. Tuttavia la necessità di dedicare le forze di cui disponevamo all'impegno per organizzare la
partecipazione più ampia dell'elettorato di sinistra all'importante scadenza del
13 maggio, ci fece propendere per la priorità elettorale.
Programmammo, pertanto, con l'accordo di Natta, la pubblicazione
della “Lettera” per il periodo immediatamente successivo alla campagna elettorale. La scomparsa improvvisa di Sandro ci ha obbligato a decidere diversamente. L'intervista rilasciata a “Il Ponte” l'abbiamo riportata integralmente in
quanto si può ravvisare in essa la più aggiornata sintesi delle valutazioni politiche di Alessandro Natta. E poi il "cammeo": il colloquio-intervista avuto con
Paolo Languasco e Matteo Iade, alla vigilia del 25 aprile e riportato su
“Mentelocale” nel quale, riferendosi al G8, che avrebbe dovuto svolgersi a
Genova pochi mesi dopo, affermava: «l'uso della forza deve essere sempre un
uso intelligente, politico, se no rischia di essere un boomerang. A volte è
meglio prendersi qualche bastonata che mandare in frantumi una vetrina».
Segue una sezione che raggruppa articoli di compagne e compagni
liguri, in prevalenza già pubblicati all'indomani della scomparsa di Sandro. In
quest'ambito, accanto agli scritti di Nedo Canetti, Franca Natta, Carla Girardi
Canetti e Giovanni Urbani, compaiono quelli di tre eminenti studiosi e professori universitari, Giorgio Bertone, Luigi Surdich e Vittorio Coletti (quello di
quest'ultimo, “Parole di sinistra e di destra”, è inedito).
La pubblicazione si completa con gli articoli di tre illustri uomini politici che sono accomunati nel rapporto con Alessandro Natta per essere stati, in
diverse stagioni della vita politica, suoi compagni nella segreteria del Pci. Mi
riferisco ad Aldo Tortorella, presidente nazionale dell'Associazione per il
Rinnovamento della Sinistra, ad Adalberto Minucci, direttore del settimanale
"La Rinascita", e a Giuseppe Chiarante della presidenza nazionale dell'ARS,
che con i loro contributi danno autorevolezza al nostro bimestrale.
Non è mio compito parlare oltre, perché su ciò ed altro ancora è deputato il compagno Giuseppe Chiarante.
Fassino punta ad un processo costituente,
per la costruzione del nuovo partito riformista,
che sancisce la visione delle due sinistre.
Il tentativo è tanto più grave poiché sottovaluta il fallimento della politica già perseguita
da D’Alema, sancisce la divisione a sinistra e
quindi la indebolisce strategicamente.
Le scelte della mozione Fassino peseranno negativamente sulla dura battaglia che il sindacato, e la Cgil in primo luogo, dovrà sostenere
nelle settimane a venire. Nell’intervista al Foglio
(25 u.s.), Fassino pone una sorta di ultimatum
alle forze che partecipano all’Ulivo, sostenendo
che non vi possono essere posizioni diversificate
sui temi della pace e della guerra.
Alla luce di ciò, non risulta pertanto chiaro quale sarà lo spazio nel Ds, in forma organizzata, delle aree che non si identificano nella politica del segretario, dopo il congresso di Pesaro.
Temo che a livello nazionale si aprirà una
stagione difficile per il partito e per l’Ulivo.
Per quello che si riferisce alle nostre prospettive
in Liguria e nella provincia di Imperia, l’affronteremo tali questioni nei successivi appuntamenti
già programmati.
Resta per noi in ogni modo prioritario
l’obiettivo di avere un partito sul quale le nuove
generazioni possano investire i loro sogni e le
loro speranze di cambiamento. Un partito che
sappia coniugare il meglio della tradizione della
sinistra italiana comunista, socialista, laica e cattolica, con la capacità di saper interpretare in
modo adeguato le novità economiche e sociali.
I larghi consensi ottenuti dalla mozione
“Per tornare a vincere”, offrono risorse al partito
per affrontare i difficili passaggi che ci attendono
nei prossimi mesi.
L’ottimismo della nostra volontà non ci fa ignorare i pericoli e i rischi di implosione del partito
stesso.
La nostra mozione fortunatamente non è
una mera testimonianza, ma un forte capitale di
idee ed energie per aiutare i Ds a invertire rotta e
per dotare la sinistra italiana di un partito adeguato alla sfida in atto nel nostro paese.
* Intervento svolto per la mozione Ds
“Per tornare a vincere”
m. t.
32 settembre / dicembre 2001
17 settembre / dicembre 2001
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XIV Congresso della CGIL di Imperia
Un’iniziativa dell’ARS di Imperia
Sanremo, 11 - 12 dicembre 2001
Relazione introduttiva
di Claudio Porchia *
Un cordiale saluto alle delegate ai delegati di questo nostro XIV Congresso ed ai nostri
graditissimi ospiti, che ringraziamo per la loro
presenza e per il contributo che riterranno utile
portare ai nostri lavori. Con la relazione intendiamo offrire nuovi spunti per la discussione tenendo
a riferimento la realtà della nostra provincia e cercando di riprendere alcuni approfondimenti del
dibattito congressuale, un dibattito che è stato
molto vivace e molto ricco.
Dopo 151 assemblee congressuali il
rischio di ripetersi è grande, come grande è il
pericolo di parlare soltanto dei grandi temi senza
cercare di adattare la nostra analisi alla realtà
locale, quella che ci vede impegnati tutti i giorni.
Dal 3 settembre ad oggi i cambiamenti e le novità
sul piano interno ed internazionale sono stati
tanti. E per contenere la relazione in tempi ragionevoli la scelta dei temi da trattare decisa con gli
altri membri della Segreteria non è stata semplice.
Alcuni importanti temi non sono sviluppati nella
relazione come meriterebbero, ma sarà l’attenzione e la sensibilità del dibattito a suggerirne gli
approfondimenti o colmare le carenze.
EUROPA
Siamo alla vigilia del Consiglio europeo
di Laeken. Domani ci sarà anche la Cgil con una
sua delegazione, insieme agli altri sindacati europei, alla manifestazione che si terrà a Bruxelles.
La manifestazione è organizzata dalla
Confederazione Europea dei Sindacati con la
parola d'ordine ''L'Europa siamo noi'' e, al centro
delle richieste contenute nella risoluzione adottata
dal Comitato esecutivo della Ces del 10-11 otto-
bre, viene posta la questione dei diritti del lavoro,
umani e sociali. Per la CES, l'obiettivo è quello di
giungere ad una Unione europea costruita sulla
pace, sulla democrazia, sui diritti fondamentali,
sulla giustizia sociale, sulla piena occupazione e
lavori di qualità, sulla coesione sociale e territoriale, sulla sicurezza sociale, sui servizi d’interesse generale e sul modello sociale europeo.
Anche la Federazione Europea Sindacati
dei Pensionati (Ferpa) parteciperà alla
Manifestazione di domani per ribadire che le persone anziane, non possono essere considerate
semplici spettatori dell’unità europea: essi rivendicano il loro ruolo di protagonisti, insieme a tutti
gli altri cittadini. Vogliamo sottolineare con forza
il ruolo dei pensionati perché, se la rivendicazione di un ruolo di protagonisti vale in generale,
vale ancora di più per la nostra provincia dove le
persone anziane rappresentano una grande risorsa
e opportunità per tutta la società.
Al consiglio di Laeken verrà posto il problema della rappresentanza dei pensionati e delle
loro organizzazioni. Ma ci sarà anche una verifica
degli impegni assunti a Lisbona e a Nizza per la
lotta contro la povertà e l’esclusione sociale.
Nel marzo del 2000, a Lisbona, si rilevò
che il numero dei cittadini europei che vivono
sotto la soglia di povertà e restano vittime dell’esclusione sociale era molto elevato. Si disse che
non poteva essere accettato e che si doveva intervenire. Seguiremo i lavori e ne giudicheremo i
risultati, nella consapevolezza della presenza del
problema della povertà e dell’esclusione sociale
anche nella nostra provincia, come abbiamo potuto rilevare durante la tavola rotonda di ieri.
18 settembre / dicembre 2001
Omaggio a Natta
In apertura di questo incontro porgo un saluto affettuoso ad Antonella
e Adele che hanno accolto il nostro invito a partecipare alla presentazione del
numero speciale del nostro periodico "Pagine nuove del Ponente" quale
"Omaggio a Natta". Ringrazio, altresì, il Consiglio d'amministrazione
dell'Università di Imperia per averci concesso l'utilizzo dell'Aula Magna, prestigiosa sede: la scelta simboleggia il primato della cultura che vogliamo segni
l'attività della nostra associazione. Come pure un ringraziamento va al
Sindaco della città di Imperia che ha patrocinato l'iniziativa e al senatore
Giuseppe Chiarante, della Direzione nazionale dell'Associazione per il
Rinnovamento della Sinistra (ARS), che terrà il discorso ufficiale.
Ho l'incarico di illustrare come siamo approdati a quest'appuntamento
e perché l'ARS si è assunta tale impegnativo compito. Poche parole per riassumere, innanzi tutto, chi siamo. La denominazione Associazione per il
Rinnovamento della Sinistra annuncia che siamo targati. Non vogliamo essere
un partito (il nostro statuto esclude la partecipazione dell'ARS alle competizioni elettorali), ma un'associazione politico-culturale che ha, tra i suoi compiti
istituzionali, l'obiettivo di contribuire al rinnovamento della politica, soprattutto per ciò che concerne il miglioramento della qualità della democrazia nel
nostro Paese. Il ringraziamento al Sindaco vuole rimarcare la sensibilità per
aver colto il valore di crescita culturale che iniziative come la nostra possono
significare, ma, in modo particolare, ha voluto sottolineare come l'opera di
Alessandro Natta e la sua dirittura morale e civile siano patrimonio collettivo.
Alessandro Natta è stato tra i promotori nazionali dell'ARS, un consociato dell'associazione di Imperia, un collaboratore prezioso del nostro periodico, maestro e incitatore per la crescita del movimento. Sandro, come molti,
soffriva per le divisioni della sinistra, per la deriva lideristica assunta dalla
politica; purtuttavia, tutto quello che si muoveva in direzione opposta veniva
da lui incoraggiato.
La copertina del numero speciale di “Pagine nuove del Ponente” intitolato “Omaggio a Natta”, con gli aggettivi “illuminista, giacobino, comunista”, indica come Sandro si è tratteggiato nella lettera testamento indirizzata
alla figlia Antonella: ci è sembrato il titolo naturale del fascicolo. La pubblicazione comprende tre sezioni: la prima consiste nell'inedito “Lettera a Libero
Nante”, nell'intervista di Natta a “Il Ponte” e a “Mentelocale”, un sito internet, quest'ultimo, di alcuni centri sociali.
La “Lettera a Libero Nante” è un gioiello. In essa Sandro Natta ricorda gli onegliesi, promotori del giornale “la Lima”, fondato nel 1893 e i loro
problemi di militanti socialisti e nel contempo formula considerazioni politiche
31 settembre / dicembre 2001
DOCUMENTI
GIUSTIZIA
Siamo, come dicevo prima, alla vigilia
del consiglio europeo ed è stato raggiunto soltanto ieri l’accordo sul mandato di cattura europeo.
Non so se la soluzione trovata rappresenti un onorevole compromesso, ma come ha scritto il
“Financial Time” di due giorni fa, la vicenda ha
sollevato il sospetto che “Berlusconi – cito
testualmente – cerchi di cambiare il sistema per
proteggere se stesso e i suoi alleati politici da
nuove indagini”. Forse nel merito giuridico le
obiezioni del governo italiano avevano alcuni elementi di ragione. Ma la vicenda personale del
Presidente del Consiglio e il prevalere all’interno
della coalizione di forze senza vocazione europeista se non addirittura contrarie, ci ha esposto e ci
espone ancora al rischio di un forte isolamento in
Europa. Rischiamo di pagare un prezzo in termini
di immagine e credibilità del nostro paese.
Dopo il discusso provvedimento sulle
rogatorie e sul falso in bilancio, dopo le dimissioni del Sottosegretario Taormina, in tema di giustizia registriamo il tentativo di intimidire l'insieme della Magistratura brandendo l’arma dei procedimenti disciplinari, della separazione delle
carriere, del controllo politico, da parte del
Governo, sui Pubblici Ministeri. Per questo esprimiamo il nostro pieno e convinto appoggio
all’Associazione nazionale magistrati per una battaglia che è sempre più di democrazia e di libertà.
E chiediamo al congresso di esprimere, attraverso
un ordine del giorno, la nostra solidarietà alla
posizione assunta dai Magistrati, a livello provinciale, come risulta dalla lettera del Presidente del
Tribunale di Imperia, Giuseppe Squizzato, pubblicata su “La Stampa” del giorno 8 dicembre.
Siamo partiti dal tema dell’Europa perché
nei provvedimenti, annunciati o adottati, dal
Governo Berlusconi è sempre presente un richiamo alla questione europea, alla necessità di adeguarci agli altri paesi europei ed alle indicazioni
della Unione Europea. Ma, valutando l’azione del
Governo, viene un sospetto: forse l’Europa non è
una sola, ma almeno due. Una è la nostra e l’altra
è quella di Berlusconi! Per questo lo slogan della
30 settembre / dicembre 2001
Manifestazione di domani risulta ancora più efficace “l’Europa siamo noi”.
A pochi giorni dall’introduzione della
moneta unica, Europa, per noi, non significa solo
unione monetaria, ma unità di intenti anche sul
piano sociale ed economico. C’è un’Europa
sociale da costruire accanto a quella economica e
monetaria. Dobbiamo tener fermo come obiettivo
l'Europa. Ci crediamo ed abbiamo lavorato e fatto
sacrifici per essere dentro l’Europa. Ma a quale
Europa si riferiscono Berlusconi e Maroni?
LAVORO
Il Libro bianco dichiara in premessa una
grande ambizione. L’obiettivo del libro bianco è
quello di riscrivere il diritto del lavoro italiano.
Si pone quindi l’obiettivo di modificare l’attuale
quadro normativo definendolo vecchio, superato.
E per giustificare una premessa di tale
portata si pone l’accento su alcuni differenze che
ci separano dalle medie europee. Un solo esempio: in tema di part-time si fotografa la differenza
tra il tasso di utilizzo di questo istituto nel mercato del lavoro italiano e le medie europee. Non si
segnala che questo istituto ha registrato nel nostro
paese una crescita del 26 per cento negli ultimi 18
mesi, a seguito delle innovazioni normative introdotte con l’attuazione della direttiva comunitaria.
Questa e altre mistificazioni consentono
di giustificare la necessità azzerare il quadro
normativo, piuttosto che quella di completare un
percorso riformatore. Un percorso riformatore,
avviato nel 96 e che, se avesse compreso anche la
riforma degli ammortizzatori sociali, la legge sul
lavoro atipico e quella sulla rappresentanza sindacale, poteva oggi essere valutato positivamente.
Così purtroppo non è stato e in questo ci sono
responsabilità gravi della politica e dei governi
precedenti.
Nel Libro Bianco del Ministro Maroni,
dicevo, c’è un costante e ripetuto, richiamo
all'Europa. Ma in realtà il richiamo è solo alle
norme europee generiche, che per questo si prestano ad essere interpretate da una parte e dall'altra, a sostegno delle politiche più diverse.
Spesso si evitano riferimenti puntuali al
19 settembre / dicembre 2001
DOCUMENTI
diritto comunitario, sostituendoli dal richiamo a
specifiche normative di singoli Stati membri
dell'UE scelte caso per caso con preferenza per
quelle che riconoscono alle imprese spazi estremi
di flessibilità. Il risultato di questa operazione è la
somma, in pratica, dei trattamenti di miglior favore alle imprese e di conseguenza di minor favore
o tutela per i lavoratori presenti nella legislazione
degli stati membri della comunità.
Merita, inoltre, di essere sottolineata la
spregiudicatezza con cui, all'occorrenza, le indicazioni europee vengono capovolte e rovesciate
nel loro contrario pur quando dovrebbero prestarsi a minori incertezze interpretative. Un esempio
è la direttiva 2000/78/CE, che stabilisce un quadro normativo generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di
lavoro. Secondo il Libro Bianco, viceversa, essa
consentirebbe di giustificare disparità di trattamento:infatti, trattamenti normativi sub standard,
da riservarsi, ad esempio, agli immigrati extracomunitari vengono indicati come azioni positive.
E non a caso viene citato come modello positivo,
rispetto a questa prospettiva, quello del Patto di
Milano, che tutti noi conosciamo.
Un altro tema, che trova spazio nel libro
bianco e che viene giustificato dalla necessità di
adeguarci all’Europa, perché contenuto in un
documento della Commissione, è quello della
partecipazione finanziaria dei lavoratori, ovvero
all'azionariato per i dipendenti. L’obiettivo in
questo caso è quello di creare il quadro di riferimento per far decollare, anche in Italia, questo
modello partecipativo. Gli estensori del libro
bianco ignorano che il documento di cui si parla è
ancora una semplice bozza di orientamento e che
i tempi che la Commissione assegna per la
discussione sono molto lunghi (forse fine 2002).
E tuttavia già questa prima bozza dice
con assoluta chiarezza che l'azionariato deve
intendersi come forma volontaria ed individuale
ed impegnare, in caso di adesione, solo il risparmio proprio del lavoratore e mai forme dirette o
indirette di salario. La bozza non prevede un
ruolo collettivo contrattuale esercitato dal sinda-
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cato, né vengono previsti legami o percorsi verso
i consigli di amministrazione. Per questo siamo
dubbiosi, prudenti ed in alcuni casi, come nel
recente accordo firmato all’Amaie, contrari a
forme partecipative che sono rischiose per i lavoratori e imbarazzanti per il ruolo del sindacato.
Ma torniamo all’Europa
Il problema consiste nella coesistenza di
molte visioni dell’Europa.
Quella dei liberisti - che siano al governo
o all'opposizione – che cercano di affermare
nell'Unione Europea la centralità dell'impresa,
rendendo ideologia alcuni dei meccanismi su cui
si basa la crescita economica USA degli anni
novanta (e che da soli non la spiegano, perché la
leva fondamentale fu l'enorme volume di investimenti che l'hanno trainata, cioè la possibilità per
gli USA di essere, oltre che già più ricchi, anche
importatori netti di capitali). Noi, come sindacati
confederali, insistiamo, nella nostra piattaforma,
che l'Europa non può essere solo unita nei mercati
e nella moneta, ma deve avere una dimensione
sociale, dei diritti e delle libertà collettive.
Ma una cosa ci preoccupa. Se a sinistra è
tramontata l'ormai improponibile centralità operaia (che non può essere sostenuta anche per mero
fatto strutturale e numerico), si è del tutto smarrito, nel dibattito prima ancora che nelle proposte
politiche, il valore del lavoro.
Noi oggi siamo impegnati, in Italia
soprattutto, nella difesa delle tutela a salvaguardia
dei lavoratori come furono conquistate negli anni
settanta. Questo è doveroso e importante, ma
dobbiamo essere consapevoli che non basta.
GIOVANI
Siamo nel ventunesimo secolo e non possiamo non avere, ad esempio, come interlocutori i
giovani. A Verona le Acli, nel corso della loro
assemblea annuale, hanno presentato i risultati di
una ricerca sui giovani dell’Irf, l’istituto di ricerca
della stessa associazione. La ricerca è stata condotta su un campione di 1.000 giovani di età compresa fra 18 e 36 anni. Non è detto che i risultati
delle ricerca siano interamente da condividere,
20 settembre / dicembre 2001
giori servizi. L’Inca ha incrementato l’attività,
così pure il C.A.F. e l’Ufficio Vertenze, il Centro
per il lavoro, lo sportello per l’integrazione degli
immigrati, così la Federconsumatori ed il Sunia,
cui oggi siamo in grado di dare un assetto nuovo,
sia in termini di sedi sia di collaboratori. Una sola
citazione: lo sportello per gli immigrati ha raggiunto un livello di contatti molto alto e di questo
siamo tutti orgogliosi, perché la solidarietà e la
tolleranza si deve trovare nella pratica quotidiana
e non soltanto scritta nei documenti. In tutti i congressi di categoria ho colto dei segnali interessanti e importanti di crescita, in termini di adesioni e
rinnovamento dei gruppi dirigenti. E di questa
situazione positiva crediamo sia giusto darne
comunicazione oggi al congresso.
Nell’arco di pochi mesi sono stati rinnovati tutti i segretari di categoria e le donne hanno
oggi un ruolo importante nel gruppo dirigente.
Ma accanto a questo dato positivo dalle
numerose assemblee di base è emerso un quadro
di grande preoccupazione rispetto al futuro dell’occupazione in questa provincia. In tutti i settori
e comparti sono in corso riorganizzazioni e
ristrutturazioni aziendali con possibili saldi negativi sul piano dell’occupazione. Non c’è settore o
categoria che non sia coinvolto. In alcune categorie in modo anche profondo penso alla Filt, alla
FNLE ed alla SLC. C’è un dato singolare di
demagogia e populismo in questa provincia: sul
piano della difesa dell’occupazione e dei lavoratori la concorrenza ai sindacati la operano i politici locali. Ma, e in questo consiste la particolarità, sono i politici appartenenti a quello stesso
schieramento che sostiene a livello nazionale le
politiche liberiste. La contraddizione è così grande, che risulta difficile da vedere. Un esempio: la
vicenda degli appalti delle pulizie dei treni.
Il capitolato della gara d’appalto non prevede la riassunzione di tutti i lavoratori oggi
occupati. Centoquaranta lavoratori hanno ricevuto la lettera con il preavviso di licenziamento. Le
Ferrovie sostengono che per ridurre i costi alla
ditta che vincerà l’appalto sarà consentito decidere quanti e quali lavoratori assumere.
Dal loro punto di vista il ragionamento non fa una
grinza: i lavoratori sono un costo. La singolarità
della vicenda sta nel fatto che i politici locali, che
in provincia affermano di stare dalla parte dei
lavoratori, in parlamento sostengono la filosofia
del libro bianco, che è alla base dell’iniziativa
delle Ferrovie. Si riconoscono nelle politiche
liberiste della Casa della Libertà, ma solo fuori
dal loro collegio elettorale. Ai lavoratori degli
appalti delle pulizie esprimiamo il sostegno e la
solidarietà del congresso. Inoltre sempre con
maggiore frequenza si rivolgono a noi anche
disoccupati, giovani, immigrati ed emarginati
dalla vita sociale ed economica. Anche per questi
soggetti siamo un punto di riferimento importante.
In questa provincia dove si tende a ridurre il valore della rappresentanza collettiva degli
interessi per lasciare spazio al fai da te e pensa
per te, la difesa ed il rilancio dell’occupazione,
ma anche della qualità della vita richiedono una
forte iniziativa del sindacato confederale. Su questo terreno saremo chiamati ad impegnarci nei
prossimi mesi ed a confrontarci con Cisl e Uil per
trovare punti d’intesa che speriamo siano maggiori dei punti di dissenso. Crediamo occorrerà una
CGIL ancora più forte e organizzata. È un impegno che ci assumiamo con le lavoratrici e i lavoratori, ma anche con le pensionate e i pensionati,
con i giovani, con gli immigrati e con tutti i cittadini e che col contributo di tutti voi, ne siamo
sicuri, saremo in grado di mantenere.
Alessandro Natta conclude il suo racconto della nascita della Camera del Lavoro con l’augurio di continuare a vivere in pace, democrazia e
libertà. A fine aprile, quando abbiamo registrato
l’intervista poteva sembrare un richiamo retorico
e un po’ scontato. Oggi dopo tutto quello che è
successo sul piano internazionale e nazionale,
rappresenta per tutti noi un impegno concreto e
coerente con la nostra storia centenaria.
* Segretario provinciale CGIL
29settembre / dicembre 2001
DOCUMENTI
LA PACE
Mi avvio a concludere con una breve
considerazione sul tema della pace. All’interno
della nostra organizzazione c’è stata e c’è oggi
una grande sensibilità sul tema della pace. Una
sensibilità che è stata dimostrata anche dalla
grande partecipazione alla marcia Perugia-Assisi
(da Imperia siamo partiti con due pullman e non
era mai successo) e dalla presenza di questo tema
all’interno delle assemblee. Non vuol dire che
sottovalutiamo il pericolo del terrorismo, (le torri,
il Pentagono, le migliaia e migliaia di morti e
dunque l'esigenza di contrasto a quel terrorismo).
In presenza di un terrorismo internazionale in grado di offendere così pesantemente scegliendo tempi, modalità, bersagli simbolici,
credo nessuno di noi possa negare l’esistenza di
un problema internazionale di sicurezza e della
necessità di promuovere un’adeguata azione di
contrasto al terrorismo. Ma ritengo, anche, che la
pratica della guerra possa rischiare di non essere
efficace nei confronti dei terroristi. Le immagini
di tanti profughi, il dramma dei tanti civili,
soprattutto donne e bambini, vittime di una guerra
in cui, se hai la fortuna di sopravvivere alle
bombe, devi comunque fare i conti col freddo e la
fame ci convincono, oggi ancora più di ieri, dell’urgenza di un intervento umanitario. Quelle
immagini hanno sollevato in me molti dubbi. Le
bombe non sempre intelligenti, le immagini dei
bombardamenti, i racconti dei sopravvissuti e i
morti così numerosi non possono lasciare certezze a nessuno. Ci sono giochi della play-station
che riproducono situazioni di e di guerra, simili a
quelle trasmesse in questi giorni. Il confine fra
realtà della televisione e la finzione del gioco è
molto sottile. Di fronte al dramma, che ha colpito
l’amico Giuliano, chi come me ha dei figli ancora
adolescenti, rimane senza parole e senza certezze.
Spaventano quelli che di fronte a simili eventi
hanno solo certezze. Al nostro interno e anche
durante le assemblee congressuali abbiamo ritrovato opinioni diverse, ma questo non ci ha impedito di essere espliciti sul terrorismo e sulla
necessità di debellarlo. La posizione della
DOCUMENTI
Segreteria nazionale ha incontrato molti consensi,
ma anche dissensi. In tutti gli interventi ho visto
però inquietudini e incertezze. Sul problema della
Palestina e sulla necessità di trovare al più presto
una soluzione è stato distribuito a tutti i delegati
del materiale che il dibattito potrà approfondire.
Abbiamo inserito la documentazione
relativa a progetti di solidarietà per i quali abbiamo aperto una sottoscrizione e che intendiamo
proseguire nei prossimi giorni. Oggi consegneremo proprio a Giuliano, che ringraziamo per la
presenza oggi, il primo assegno con il ricavato
della sottoscrizione. È questo il nostro modo per
essergli vicini e dimostrargli la nostra solidarietà.
CONCLUSIONI
Oggi con il congresso della Camera del
Lavoro concludiamo il XIV congresso della
CGIL Imperiese. Un percorso cominciato il 3 settembre e che ha impegnato l’organizzazione in
151 assemblee congressuali, con l’elezione di
oltre 311 delegati e con il voto di oltre 2.377
iscritti pari al 14% dei 17.000 della chiusura dell’anno scorso. Il congresso si è sviluppato su due
mozioni, ma pur nella diversità delle opinioni, dei
giudizi e delle proposte non è mai venuto meno il
carattere unitario di tutti i compagni impegnati
nella fase congressuale. All’esterno è stato dato
un segnale di grande unità della nostra organizzazione. Di ciò voglio ringraziare tutti ed in particolare i sostenitori della seconda mozione che, con
il loro contributo, hanno sicuramente arricchito la
discussione. Tutti i Segretari Generali sono stati
eletti all’unanimità. E per noi, per i nostri riti e
cerimoniali congressuali è questo un segnale forte
di unità. Perché per noi la diversità delle opinioni
rappresenta una ricchezza e non un pericolo.
Dai congressi, inoltre, è emersa una
CGIL imperiese in buona salute. C’è anche un
riconoscimento molto diffuso fra i nostri iscritti
sulla buona qualità dei nostri servizi.
Pensiamo sia importante oggi rivolgere
un particolare ringraziamento a tutti gli operatori,
in gran parte donne, che tutti i giorni con professionalità e impegno ci consentono di offrire mag
28 settembre / dicembre 2001
ma certamente offre spunti di riflessione interessanti anche perché è la prima ricerca fatta su quel
che pensano le nuove generazioni sullo scontro
che oppone Confindustria e sindacati.
Da questa ricerca è emerso che il 76% dei
giovani intervistati conoscono lo statuto dei lavoratori e questo non era scontato. Il 59% si dichiara contrario alla modifica dell’art.18, ma solo il
31,4% degli intervistati ha ancora il mito del
posto fisso. Mentre le principali aspirazioni tendono soprattutto al lavoro autonomo o parasubordinato. Questi dati si accompagnano ad un altro
un po’ meno prevedibile: la grande fiducia riposta nei sindacati.
Per il 69,1% del campione sono le rappresentanze sindacali, soprattutto confederali, i
soggetti maggiormente in grado di assicurare la
tutela dei lavoratori flessibili.
Tutela è la parola chiave: che cosa succede se mi ammalo, se mi capita un infortunio, se
devo stare a casa in maternità? E questo bisogno
di tutela non è in contraddizione con la voglia di
autonomia o di orari «elastici». In provincia i
corsi per auto-imprenditori vanno deserti e spesso
i giovani chiedono ai centri per l’impiego notizie
su chiamate per “bidello”. È una contraddizione
forse solo apparente, ma degna di essere rilevata.
Dai risultati emerge, quindi, un universogiovani che si presenta con parecchi lati tutt’altro
che scontati, e noi dobbiamo riflettere sul fatto
che quasi tutti si sono dichiarati stufi di sentire
parlare solo di art.18 e pensioni. Per parlare ai
giovani, per rinsaldare le generazioni, dovremmo
almeno capire come si declina il rapporto tra il
lavoro ed il cambiamento sociale.
Non mi voglio fermare alle banalità ed
alla retorica dei nuovi lavori. Il problema è un
altro. Consentitemi una considerazione personale:
Si tratta di capire se il lavoro è ancora - nelle sue
condizioni moderne ed attuali - il veicolo fondamentale di partecipazione e promozione sociale.
Nella nostra pratica noi questo lo sosteniamo implicitamente, combattendo la disoccupazione e cercando l'allargamento della partecipazione al lavoro. Ho sentito recentemente una can-
zone di Guccini, che diceva: non sopporto chi
non ha sogni. Mi ha molto colpito.
Di utopie positive e di orizzonti ideali
abbiamo un gran bisogno per non farci soffocare
dalle miserie del quotidiano. Ricordo che il Marx
giovane teorizzava che il lavoro è lo strumento
attraverso il quale l'uomo interviene sul mondo
per adattarlo alle sue esigenze ed intenzioni.
Credo che questo concetto mantenga una piena
vitalità, anche se occorre aggiungere che questo
adattamento deve tener conto di limiti ambientali.
L'utopia che resta attuale è quella della
liberazione nel lavoro, per il lavoro che realizza
chi lo fa, fino al superamento del lavoro alienato.
Se è così, le grandi potenzialità delle scienze e
della società dell'informazione debbono diventare
la leva per affermare la crescita del lavoro creativo come valorizzazione delle capacità e delle
vocazioni dei soggetti che ne partecipano.
Questo ha delle conseguenze sulle politiche, sulle scelte strategiche di fondo. Io non ho
risposte su come arrivarci, ma credo sia legittimo
interrogarsi su questi temi. Una discussione che
dovrebbe oscillare tra l'empireo delle idee (i filosofi invece parlano d'altro, anche a sinistra e non
solo in Italia) e le istanze che nascono dalla concretezza delle condizioni reali del lavoro e dei
lavori. Quindi questa carenza, questo vuoto,
riguarda anche noi, il movimento sindacale.
Altrimenti, difenderemo qualcosa senza sapere
cosa vogliamo andare a costruire. Ed è il limite
che ci rende vago oggi il concetto di “sinistra”,
non solo in Italia.
SCUOLA
Da questa considerazione sul futuro e sul
rapporto con i giovani deriva l’importanza della
Scuola e segnatamente della scuola pubblica.
Nelle proposte, negative e contraddittorie, di
riforma del ministro per l’Istruzione vediamo soltanto vantaggi per la scuola privata e impoverimento della scuola pubblica. I fermenti di insegnanti e studenti di questi giorni sono la prova
che esiste una diffusa percezione della negatività
delle proposte del ministro. Stefano Fantini e gli
21 settembre / dicembre 2001
DOCUMENTI
altri delegati avranno la possibilità di approfondire il tema e presentare proposte di merito, che
saranno contenute nel documento finale.
Ciò che mi preme sottolineare ora è che
il depotenziamento della qualità della scuola
pubblica va nella direzione opposta a quella
necessaria. Dalla scuola e dalla formazione partono i fondamenti per la valorizzazione delle
risorse umane, di un patrimonio, cioè, importante
non soltanto per la coesione sociale, ma anche
per il sistema produttivo ed economico.
Ma se, come nel caso della nostra provincia, la competizione è tutta spostata sul piano
della riduzione dei costi, i giovani che abbandonano la scuola senza terminare gli studi sono
funzionali ad una offerta di lavoro nero.
L’abbandono scolastico è un problema
reale. Questa estate un giovane mi ha spiegato
che a differenza dell’abbandono scolastico di
altre regioni, determinato dalla possibilità di trovare un lavoro, in questa provincia è proprio
l’impossibilità di trovare una lavoro che provoca
l’abbandono. A cosa serve studiare, mi chiedeva
questo giovane, se poi il lavoro offerto non tiene
conto del tuo livello di formazione e istruzione.
E teniamo conto del fatto che le rilevazioni Istat
segnalano, in questa provincia, la crescita di
color che pur essendo in cerca di occupazione
non sono disponibili a qualunque tipo di lavoro.
Manca nel libro bianco di Maroni qualsiasi richiamo ad un tema per noi fondamentale:
l’integrazione tra i sistemi dell’istruzione, della
formazione e del lavoro. Tale principio, che il
Patto di Natale ’98 aveva assunto pienamente, in
coerenza con le politiche dell’Unione Europea
rimane tuttora incompiuto. L'assenza di questo
tema nel libro bianco significa lasciare spazio
alla tendenza alla chiusura delle Istituzioni, che
governano il sistema formativo: scuole, università, formazione professionale. Per seguire i lavoratori in percorsi di carriera che saranno sempre
più frammentati occorre una formazione continua, che non è ancora generalizzata e un sistema
di ammortizzatori sociali.
Queste due carenze sono presenti nel
DOCUMENTI
libro bianco e ci terranno lontani dall’Europa.
Infatti secondo le raccomandazioni dell’Unione
Europea, il servizio pubblico ha il dovere di fornire ai giovani che escono dalla scuola e a chi ha
perso lavoro un percorso di formazione mirata
all’inserimento lavorativo entro, rispettivamente,
6 e 12 mesi. E non colmerà questa differenza la
liberalizzazione dei servizi all’impiego, contenuta nella delega del Governo. L’articolo 1 della
delega prevede una delega molto ampia sui servizi all’impiego e sulla disciplina in materia di
intermediazione e interposizione di manodopera.
Accanto ad alcuni interventi di semplificazione,
si prevede di consentire al privato lo svolgimento
di tutte le attività connesse alla mediazione di
manodopera, dalla raccolta dei “curriculum” fino
al vero e proprio incontro domanda-offerta.
RUOLO DEL SERVIZIO PUBBLICO
Si configura la riduzione dell’intervento
pubblico esclusivamente alle procedure di autorizzazione e alla tenuta di qualche banca dati: un
ruolo, quindi, marginale. Su questo punto non c’è
accordo fra le organizzazioni sindacali.
Non voglio qui richiamare le ragioni di
diversità rispetto alle altre organizzazioni, ma
limitarmi con spirito costruttivo a ricordare due
aspetti del problema.
In primo luogo voglio ricordare che la
Raccomandazione dell’Europa all’Italia a seguito
del piano per l’occupazione di quest’anno, è
quella di accelerare l’opera di insediamento e di
armonizzazione del sistema dei servizi pubblici,
perché è su quella base che si valorizza anche
l’apertura al privato, garantendo il carattere universalistico dei servizi. Ciò che prevede la delega
è l’esatto opposto di quanto ci chiede l’Europa .
OCCUPAZIONE E LAVORO NERO
In secondo luogo vorrei riportare, citando testualmente, quanto contenuto nel 35° rapporto del Censis presentato venerdì scorso:
«Affiancare attori privati al collocamento pubblico non risolve il problema dell'accesso al lavoro.
La riforma del servizio pubblico sta attraversan
22 settembre / dicembre 2001
migliori condizioni per realizzare un modello di
società che corrisponde alla loro idea di società.
Non meritano, oggi e in questa sede, particolari approfondimenti i primi provvedimenti
adottati (le Rogatorie, il Falso in Bilancio, e l’abrogazione dell’imposta di successione oltre i
duecentomilioni), ma, al contrario, mi preme far
rilevare come i primi provvedimenti si siano
basati su una prospettiva di crescita sovrastimata.
E, se queste stime erano sbagliate prima dell’11
settembre, lo sono ancora di più oggi. La situazione determina alcune contraddizioni evidenti.
• La promessa riduzione fiscale non si realizza. In
realtà non essendovi il riconoscimento ed il recupero del drenaggio fiscale, previsto dalla precedente finanziaria (la finanziaria dell’anno scorso
prevedeva riduzioni di 1 punto percentuale sul
secondo scaglione e di 0,5 sul quarto e sul quinto,
per un totale di circa 3.000 miliardi), il primo
provvedimento va esattamente in senso contrario
a quanto promesso.
• Non viene confermata l’ulteriore abolizione dei
ticket stabiliti dall’ultima finanziaria. Tale onere
viene “devoluto” alle regioni con il risultato che
probabilmente nella nostra regione vedremo a
breve la reintroduzione dei ticket.
• Un milione per tutti: con la campagna elettorale
si è data l’illusione a tutti i pensionati con una
pensione inferiore a 1.000.000 (circa 7 milioni di
pensionati, di cui circa mille nella nostra provincia) di un aumento fino a tale cifra. Ma i 4.200
miliardi contenuti in finanziaria non basteranno
per tutti. Il Governo ha stabilito ieri i criteri di
questa operazione ed è bene dirlo che non riguarda tutti. Infine con questa operazione si è rimessa
in discussione la distinzione tra intervento sociale
e trattamenti previdenziali.
• L’azione del governo si basa sulla logica che «il
privato è sempre e comunque meglio del pubblico». Da questa pericolosa miscela deriva l’attacco
alla scuola pubblica, la riduzione delle risorse per
gli enti locali, con conseguenze negative per le
famiglie in termini o di minori servizi o con maggiori imposte locali, il taglio netto degli stanziamenti per la ricerca (1.500 miliardi in meno). Con
quali risorse si darà corso alle proposte di devoluzione di Bossi? La discussione sul progetto di
Bossi si è fermata di fronte non a una proposta,
ma a 50 proposte di emendamento presentate dai
diversi ministri. E i governatori delle Regioni
reclamano i trasferimenti di competenze e soldi
previsti dalla riforma sul federalismo.
Prima di avviarmi alla conclusione desidero richiamare la vostra attenzione su un tema,
quello dell’ambiente, troppo trascurato dal dibattito. Fra i primi provvedimenti del Governo c’è
ne sono stati molti sul tema ambientale. Questi,
davvero, passati sotto silenzio. Si è intervenuto
con il pacchetto dei 100 giorni su norme riguardanti i rifiuti, il loro smaltimento le procedure e i
controlli da seguire. Il tutto all’insegna della semplificazione e riduzione dei controlli. Questa sera
in Consiglio provinciale si parlerà di rifiuti. I
rifiuti sono un grande affare, ci sono rapporti dell’antimafia interessanti, ma nella nostra provincia
andremo ad allungare la vita delle discariche,
gestite da privati. Su tutta questa partita grava
uno strano silenzio. Inoltre, in questi ultimi giorni, il governo ha molto enfatizzato il Libro verde
della Commissione, sulla responsabilità sociale
delle imprese. Il cuore di questo Libro verde è
quello di incentivare le imprese ad avere un comportamento positivo verso l'ambiente e verso la
valorizzazione del lavoro. Ciò è ovviamente giusto. La contraddizione stridente sta nel fatto che
però il divenire "responsabili" viene lasciato alla
sola scelta unilaterale dell'impresa.
L'impresa che decide di essere "virtuosa"
dovrebbe in questo caso adottare un "codice di
condotta" contenente investimenti nell'innovazione tecnologica per la protezione dell'ambiente e/o
risorse per la formazione, per un'organizzazione
del lavoro migliore, per la salvaguardia della
salute e della sicurezza, per regimi di orario che
tengano conto dei bisogni dei lavoratori, per le
pari opportunità, eccetera. Il codice diventa sostitutivo della contrattazione: il sindacato non
avrebbe alcun potere negoziale su tutte le materie
suddette e verrebbe solo informato, con gli azionisti e le OnG, delle decisioni dell'impresa.
27 settembre / dicembre 2001
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riconoscono reciprocamente». È semplice, a quel
punto, creare dei sindacati di comodo per fare
degli accordi per qualsiasi ragione. Il risultato
delle elezioni delle Rappresentanze Sindacali
Unitarie nel pubblico impiego ha confermato
ancora una volta il grande consenso delle organizzazioni confederale ed all’interno di questo
risultato positivo ha confermato la nostra organizzazione come primo sindacato. È un grande
risultato per il sindacalismo confederale e per noi
perché segue un risultato, quello del ‘98, straordinario ed è avvenuto con un governo, difficile
da definire nostro amico. Potevamo solo perdere
e così non è stato. Anche in provincia il risultato
ci ha consegnato una Funzione Pubblica più forte
in termini di iscritti, di consenso e di radicamento, con una presenza più grande nei diversi
ambiti territoriali e contrattuali. Questo risultato
positivo segue quello altrettanto positivo ottenuto
in questa provincia nella Scuola e nel settore dei
Trasporti. E bene ha fatto La Funzione Pubblica
a lasciare cadere le polemiche locali di chi manipolando i dati vuole presentare un quadro diverso
ed accreditarsi come vincitore a tutti i costi.
La nostra presenza organizzativa ha sicuramente dei margini di miglioramento, ma il
lavoro fatto, in questa come in altre categorie, di
rinnovamento del gruppo dirigente sta producendo ottimi risultati. Non è stata la competizione
elettorale fra le organizzazioni sindacali a cambiare o peggiorare lo stato dei rapporti unitari.
Oggi è proprio sul terreno della politica sindacale
che rileviamo un ricorrente ed evidente contrasto.
La nostra organizzazione sconterà lentezze e anche ritardi culturali, ma non aiuta certamente alla costruzione di percorsi unitari una
politica sindacale eccessivamente spregiudicata
che da un lato intacca l’impianto della tutela e
dei diritti (penso al salario d’ingresso, al patto di
Milano, al contratto a chiamata di Zanussi solo
per citare alcuni esempi e per non entrare nel
merito della vicenda ancora attuale del contratto
dei metalmeccanici) e dall’altro propone forme
partecipative, come l’azionariato.
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A livello provinciale la situazione è
molto più articolata: accanto a categorie abituate
a lavorare unitariamente ne abbiamo altre dove la
pratica unitaria è quasi nulla. Il livello confederale non solo non porta a sintesi le differenze, ma
al contrario spesso le amplifica. Al congresso dei
pensionati la responsabile del Sindacato
Pensionati della Cisl ha avanzato con forza e
convinzione la richiesta di riunioni unitarie sui
diversi temi, a partire dalla sanità e dalle liste di
attesa. La responsabile dei Pensionati della Uil si
è unita a questa richiesta. Noi siamo d’accordo!
In questa fase sarebbe importante ed
utile per tutti, avere dei momenti di confronto dei
gruppi dirigenti su alcune tematiche, penso al
libro bianco, le pensioni, la sanità e il mercato
del lavoro, solo per citare alcuni esempi.
Il confronto ci consentirebbe di conoscere meglio i punti di disaccordo e le ragioni delle
diversità. Abbiamo proposto alle altre organizzazioni di fare un attivo unitario sull’articolo 18,
non è stato possibile farlo: non è un problema.
Con la stessa convinzione e determinazione continueremo a proporre attivi ed assemblee unitarie, in mancanze delle quali, come nell’occasione sopra richiamata, procederemo con
l’attività di organizzazione. Badate che il nostro
atteggiamento nei confronti del Governo deriva
da valutazioni di merito delle questioni e non da
pregiudizi ideologici e/o politici.
L'ATTIVITÀ DEL GOVERNO
E dalle considerazioni di merito sui
provvedimenti del governo ne deriva un nostro
giudizio molto negativo sull’attività svolta fino
ad oggi e sulle proposte in corso di definizione.
Il Polo ha vinto le elezioni e oggi ha una solida
maggioranza parlamentare, più grande del consenso elettorale ottenuto dalle urne, ma pienamente legittima in base alla legge elettorale
vigente. La maggioranza quindi pensa di avere
davanti un'intera legislatura per realizzare il programma presentato agli elettori. A differenza del
1994, inoltre, hanno maggiori elementi di coesione all’interno della coalizione e quindi sono nelle
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do una fase di criticità legata ai suoi stessi presupposti. A cominciare dalle carenze sul piano
strutturale per non parlare dell'eccessiva burocratizzazione degli uffici, la scarsa professionalità di
operatori e l'inesistente attività promozionale sul
mercato del lavoro territoriale». «Bastano questi
esempi - conclude il Censis - per segnalare l'utilità di una ripensamento del sistema pubblico e
non solo il suo affiancamento con attori di tipo
privato, che finirebbero con il bypassare le procedure e scavalcare le funzioni pubbliche, ma
non risolverebbero i problemi sul tappeto».
Ma vediamo la situazione del mercato
del lavoro nella provincia di Imperia.
I circa 18.000 iscritti ai centri per l’impiego non ci danno l’esatta fotografia della situazione, sono sicuramente molti di meno quelli che
cercano un lavoro. Ma anche la rilevazione Istat
rischia di deformare la realtà: se siamo vicini alla
piena occupazione come nel nord-est, la qualità
di questa occupazione è decisamente bassa: precarietà, lavoro nero e sommerso contribuiscono a
falsare il dato Istat, che a differenza del nord-est,
qui indica povertà economica e non ricchezza.
L’ultimo rapporto dell’Isfol ha confermato che lo strumento della flessibilità e l’atipicità
dei rapporti di lavoro dà buoni esiti al Nord, riducendo per esempio i tempi del passaggio dalla
scuola al lavoro, ma ha effetti assolutamente irrilevanti al Sud, dove il lavoro non c’è. Per la
nostra provincia, in questo caso simile al Sud, la
flessibilità ha portato in genere a una precarizzazione più diffusa.
E non ci sembrano arrivare concrete speranze di sviluppo nemmeno dai patti territoriali
recentemente sottoscritti e la cui gestione suscita
non poche perplessità. Lascio al dibattito ed in
particolare a Fulvio Moscatelli, come responsabile del settore, l’approfondimento di questo tema
e l’individuazione delle proposte da avanzare.
Un approfondimento ed una posizione che dovremo fare in tempi brevi. La riduzione dei costi e
l’attesa dei finanziamenti pubblici sono i due
tratti di una realtà economica non incoraggiante.
Ma se, a livello nazionale, la legge
Tremonti sull’emersione del lavoro nero alimenta
dubbi e perplessità sulla reale efficacia del provvedimento, nella nostra provincia siamo sicuri
che non ci saranno effetti positivi. In primo luogo
perché il provvedimento si rivolge a imprese
inserite in cicli produttivi assenti nella nostra
realtà economica. In secondo luogo perché la
scelta dei settori dell’edilizia, dell’agricoltura e
del turismo è stata quella di spostare la competitività sul piano della pura riduzione dei costi.
Il risultato è davanti a tutti noi. Accanto
a circa 80.000 lavoratori regolarmente occupati
ci sono almeno 10.000 irregolari (5.000 in nero,
3.400 doppiolavoristi o con sottodichiarazioni
contrattuali, 1.600 occasionali). In particolar
modo concentrati nei settori soprarichiamati.
Senza parlare del lavoro di cura e di assistenza agli anziani caratterizzato da manodopera
proveniente in prevalenza dal Sud America, irregolare e senza possibilità di regolarizzazione.
Da un calcolo effettuato con i rappresentanti delle diverse comunità, risulterebbe che
questi lavoratori, in grande maggioranza donne,
siano oltre 500 nella sola città di Sanremo.
Con la nuova legge, se non sarà modificata le proposta iniziale, rischiano l’espulsione e
il datore di lavoro la denuncia per aver favorito
l’immigrazione clandestina. L’assenza di controlli garantisce margini di impunità elevati.
A Imperia la scorsa settimana l’arrivo
degli ispettori in un cantiere edile, a committenza
pubblica, ha generato il panico e il fuggi fuggi
generale fra gli operai presenti. Quelli in regola
erano una esigua minoranza. Ma l’attività ispettiva in provincia rappresenta l’eccezione e non la
regola. È episodica, casuale mai programmata.
A Sanremo inoltre il fenomeno del lavoro nero assume caratteristiche ancora più negative. C’è molto lavoro nero, grigio, sommerso, di
molto sottopagato, senza orario e rispetto delle
più elementari norme di sicurezza. In questo
senso il nostro ufficio vertenze rileva quotidianamente indicatori del fenomeno sopra descritto.
Questi lavori sempre più spesso sono
accettati solo da immigrati disperati e con
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pochissime altre opportunità. Sanremo è diventato importante centro di attrazione per quella
fascia di stranieri poco istruita e spesso irregolare,
che per questa condizione è disponibile a tutto. Si
allontana in questo modo una immigrazione di
qualità che preferisce spostarsi altrove.
Il danno per l’economia e per le regole
che governano il mercato del lavoro sono grandi:
occorrerebbe una politica diversa dell’accoglienza e dell’inclusione. Invece l’amministrazione
Comunale finge di non vedere e di non sapere e
sui muri della città ci sono manifesti con la scritta: «il lavoro prima agli italiani». Ma di quale
lavoro si parla? Tralascio di approfondire le condizioni disumane e disperate in cui vivono molti
immigrati nella Pigna. Si troveranno molti giovani del nostro Sud disponibili a venire a vivere a
Sanremo ammesso che si possa offrire loro un
lavoro regolare? È facile prevedere poca strada
per questa norma contenuta nella recente legge
sull’immigrazione. La nuova legge interverrà in
questa situazione portando ulteriori elementi di
esclusione, ma ci chiediamo fino a quando potrà
durare l’assenza di interventi in questo campo?
In questo contesto valutiamo negativamente anche la proposta di un aumento di quattro
punti delle aliquote contributive per i collaboratori. L’unico effetto sarebbe quello di indebolire la
posizione dei collaboratori sui quali si scaricherebbe l’intero costo di questa operazione.
E questo sarebbe ancora più grave considerando l’intenzione del Governo di non produrre nessun intervento legislativo di tutela giuridica
e sociale per questi lavoratori e, anzi, di favorirne
la deregolamentazione. L’operazione avrebbe il
risultato di produrre una fuga dal Fondo Inps del
10/13% e l’immersione nel lavoro nero delle collaborazioni coordinate e continuative o la trasformazione in occasionali. In sostanza in provincia il
nero e sommerso tenderà ad aumentare.
Sul terreno della lotta al lavoro nero ed
anche su quello di una maggior sicurezza nel
lavoro, la nostra iniziativa deve essere più incisiva e evidente. L’assenza di iniziativa rischia di
trasformarsi in complicità, da qui un particolare
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merito va riconosciuto alla Filcams per le iniziative anche originali messe in campo. È necessario
riprendere una forte iniziativa unitaria perché nessuna organizzazione può pensare di riuscire ad
ottenere un qualche apprezzabile risultato da sola.
ENTI PUBBLICI… E FONDAZIONI
Ma in provincia nutriamo anche qualche
fondata preoccupazione per la possibile trasformazione di Enti pubblici, Agenzie in Fondazioni,
come previsto nella Finanziaria. Non è passata
sotto silenzio come ha detto il ministro Tremonti.
È una ipotesi grave che viola i diritti dei cittadini
in tema di servizi sociali e non offre certezze
occupazionali per i lavoratori pubblici.
L'emendamento alla Finanziaria, in tema
di Fondazioni bancarie, ne ampia gli ambiti di
intervento: oltre alla prevenzione della criminalità
e la sicurezza pubblica si aggiungono, in materia
di sanità, la sicurezza alimentare, la salute pubblica, la medicina preventiva e riabilitativa, le patologie e i disturbi psichici e mentali, la prevenzione e il recupero delle tossicodipendenze.
Il riferimento dell’emendamento è il
modello americano, dove agli interventi di natura
sanitaria si da un valore di interventi imprenditoriali di mercato. Un modello lontano dal nostro. E
bene sappiamo proprio come per i nostri iscritti,
non solo i pensionati, sanità e pensioni rappresentino i due timori più grandi. Perciò non vogliamo
una diversificazione regionale dei costi, delle
modalità di accesso e della qualità delle prestazioni, ma, piuttosto, maggiore equità. Non siamo
favorevoli a tante “repubbliche sanitarie” regionali. Per questo seguiamo con particolare attenzione il fenomeno delle lista d’attesa, e se riconosciamo all’assessore il merito di avere affrontato
questo problema, con altrettanta chiarezza diciamo che siamo lontani da una soluzione positiva.
PREVIDENZA
Per quanto riguarda la previdenza, non
conosciamo ancora il documento inviato ieri sera
ai giornali e questa mattina alle segreterie nazionali e quale sarà l’evoluzione del confronto con il
24 settembre / dicembre 2001
governo nella riunione di giovedì. Il ritiro della
delega da parte del governo è stato un risultato
importante, ma non ci deve illudere che sia scongiurato il rischio che ci siano riproposte soluzioni
o ipotesi di intervento per noi non accettabili.
Vogliamo richiamare soltanto un solo
punto. La diminuzione della contribuzione per i
neoassunti, richiesta da Confindustria, e che oggi
pare non condivisa dal Governo, è una scelta
devastante per le loro pensioni future perché questi lavoratori si troverebbero dopo 40 anni di
lavoro a percepire pensioni molto basse.
Inoltre questa misura avrebbe la controindicazione grave di mettere a repentaglio le pensioni di coloro che oggi sono già usciti dal lavoro
perché i pensionati di oggi e quelli che andranno
in pensione nei prossimi anni vengono pagati con
il vecchio modello della ripartizione, un sistema
alimentato dai contributi che vengono versati.
E la scelta di eliminare il cumulo rischia
di andare nella stessa direzione di alterare l’equilibrio dei conti previdenziali. La proposta di superare il sistema a ripartizione approdando al sistema a capitalizzazione è sempre presente nelle
interviste di autorevoli Ministri. Non hanno fretta,
ma sanno che un sistema non in equilibrio è più
facile da cambiare. La mobilitazione di questi
giorni per il ritiro del provvedimento del Governo
in tema di art.18 è stata anche nella nostra provincia molto importante. La grande adesione nei settori dell’industria e poi quella dei trasporti, dell’igiene ambientale e dell’energia, indicano che i
lavoratori hanno capito le motivazioni della protesta e ci lasciano intravedere la possibilità di proseguire nella mobilitazione con maggiore forza.
Siamo ora tutti mobilitati per la riuscita dello
sciopero del pubblico impiego di venerdì e della
manifestazione che si terrà a Milano. Non so se il
governo ritirerà un provvedimento, che, a differenza degli altri su previdenza e fisco, è stato
approvato senza rinvii. Ci ricordiamo la reazione
negativa e irritata degli imprenditori di fronte
alla scelta di rinvio della delega sulla previdenza.
Il testo della delega lo conosciamo tutti.
È molto importante che tutti la leggano perché la
sola lettura del testo vale più di mille discorsi. Ma
è bene ricordare che sui contenuti della delega
non esiste un giudizio unanime di CGIL, CISL e
UIL. Durante la discussione con il Governo della
delega in materia di mercato del lavoro da parte
della Cisl, da parte della delegazione presente alla
trattativa, si è manifestato un esplicito apprezzamento per l'impianto proposto
Solo di fronte all'ipotesi di intervenire
sull'art.18 dello statuto la Cisl ha dichiarato la
propria contrarietà a tale intervento pur confermando di condividere sostanzialmente, nel metodo e nel merito, gli altri contenuti della delega.
Da parte sua la UIL ha espresso analoga
indisponibilità sull'art. 18 accompagnandola con
valutazioni più caute, ma comunque di disponibilità al confronto, sugli altri capitoli. Non voglio
dare alcuna valutazione o giudizio sulle posizioni
delle altre organizzazioni, ma non possiamo certo
nasconderci le differenze quando queste ci sono.
Tuttavia la determinazione a respingere ogni
intervento sull'art. 18 è, ad oggi, un punto fermo
anche per Cisl e Uil. Per questo la mobilitazione
unitaria deve essere valorizzata e speriamo possa
ulteriormente crescere. Per questo è stato importante su una questione decisiva come quella dell’art.18 mantenere una forte unità.
Oggi il pericolo per tutti è che si incrini
il modello della confederalità. Quel modello, che
ha trovato momenti di mediazione difficili e altri
momenti più facili, ma che riguardavano il merito
e che non hanno mai messo in discussione il
modello. Oggi è il modello a essere in sofferenza.
E non mi riferisco soltanto alla proposta di contratto individuale, ma anche alla rappresentanza.
Il problema dell’accordo metalmeccanici
non sta nella quantità economica,ma nel fatto che
a tale accordo non viene richiesta altra legittimazione se non quella data dalla decisione di darne
attuazione da parte del sistema delle imprese.
Per questo lo sciopero dei metalmeccanici della FIOM non era solo per il contratto, ma
riguardava la democrazia sindacale. Nel libro
bianco c’è scritto che: «Nessun atto legislativo
che fissi i criteri della rappresentanza, le parti si
25 settembre / dicembre 2001
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settembre - dicembre 2001 - Associazione per il Rinnovamento