DOCUMENTI 22 – SUL WELFARE LO SCONTRO DECISIVO Lo smantellamento del sistema di protezione sociale, frutto della lotta del movimento dei lavoratori italiani nel corso dell’intera storia repubblicana, costituisce il principale obiettivo dell’azione di governo della destra. Dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, alla scuola, alla sanità, alla proposta di abbassare la contribuzione previdenziale per i nuovi assunti sta prendendo corpo un’azione sistematica che punta a cambiare il volto del paese. La stessa proposta di ridurre a due le aliquote fiscali con il conseguente effetto di una riduzione generale delle tasse risulta realistica solo se rapportata a una diminuzione massiccia della spesa sociale. Spostando poi verso il settore assicurativo privato la soddisfazione delle più diverse forme di tutela – dalla salute alla pensione – non si ledono solo i diritti dei più deboli e il principio ugualitario che sta alla base di ogni concezione universalistica del welfare, ma si realizza un enorme spostamento di ricchezza dal pubblico al privato. Si affermerebbero così una forma estrema di “Stato minimo” e, insieme, un aumento delle diseguaglianze sociali e nell’accesso alle conoscenze. Il futuro dello Stato sociale è legato a una sua radicale riforma, ma non esiste nessun terreno comune tra questa esigenza e i cambiamenti proposti dalla destra. La contrapposizione su questo terreno le forze dell’opposizione e la destra deve essere radicale. E dall’esito dello scontro su questi temi dipende in gran parte il futuro assetto politico e istituzionale del paese. ziamento. Se la risposta a queste domande è positiva, occorre convenire su regole comuni di comportamento soprattutto in vista del contributo alla costruzione di un movimento politico a sinistra. Un elenco sommario delle regole comuni può essere così indicato: 1 - l’associazione si sforza di avere rapporti con tutte le realtà associative di ispirazione laica e religiosa che si muovono entro lo spazio definito dalla avversione alla guerra e dalla critica alla società presente, e ha cura in particolar modo di partecipare o di attivare iniziative rivolte alla reciproca comprensione tra le culture diverse che attraversano la società anche in rapporto alla dimensione crescente dei problemi aperti dai fenomeni di immigrazione. 2 - l’associazione cerca di essere presente nelle varie realtà sociali, culturali, produttive, e di costituire gruppi di interesse che si riuniscano periodicamente e attendano a loro volta alle attività che considerano necessarie anche partecipando alle iniziative sociali e politiche assunte da altri soggetti, per scopi che possano essere considerati comuni. 3 - la regolarità degli appuntamenti di discussione sui temi di comune interesse e sulle decisioni da assumere deve essere considerata determinante ai fini di una vita interna democratica; SOMMARIO Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Automatismi nel linguaggio della sinistra di Vittorio Coletti . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Comitato Genitori-Insegnanti per la difesa della Scuola pubblica . . . . . . . . . . . . 5 Breve nota di commento sulle elezioni delle RSU 2001 di Antonello Sotgiu . . . . . . 8 La prospettiva comunista di Enrico Revello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 Per tornare a vincere di Mauro Torelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 Relazione introduttiva- XIV Congresso Cgil di Imperia - di Claudio Porchia . . . . . 18 Omaggio a Natta: un’iniziativa dell’ARS di Imperia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 Per Natta di Giuseppe Chiarante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 Una nuova proposta a sinistra Documento precongressuale approvato dalla Presidenza nazionale dell’ARS . . . . . . . . 4 - la contribuzione alle spese secondo le possibilità di ciascuna/o e secondo i bilanci comunemente stabiliti non è soltanto indispensabile alla L’Associazione per il rinnovamento della sinistra vita dell’associazione, ma è un’esigenza di vita è nata sulla base dell’autonomia delle singole democratica e di reciproco vincolo associativo; realtà che la compongono, siano state esse associazioni locali dello stesso nome, o associazioni 5 - L’associazione, confermando la norma statutapreesistenti. Ovunque essa si regge unicamente ria per la non partecipazione dell’Ars in quanto sul lavoro volontario e sulle risorse trovate attra- tale alle elezioni, non è indifferente, come è stato verso lo sforzo degli iscritti. Ciò è valso anche chiarito nel corso degli anni passati, ai risultati per il coordinamento nazionale. Tuttavia, se si elettorali e alla vita delle istituzioni. Non esclude vuole passare a una nuova fase dell’associazione, quindi l’appoggio a quelle candidature che accetsia nel coordinamento centrale sia nelle singole tassero il programma e i fini dell’associazione e realtà dobbiamo chiederci se non occorra raffor- le posizioni politiche da essa via via assunte. zare la comunanza di indirizzo, di lavoro cultura* Documento della Presidenza nazionale le e politico, di vita democratica e di relazioni 15 gennaio 2002 interne, ivi compresa la questione dell’autofinanLA PRATICA ASSOCIATIVA 48 settembre / dicembre 2001 1 settembre / dicembre 2001 39 DOCUMENTI L’impostazione di quest’ultimo numero di “Pagine Nuove del Ponente” del 2001 si caratterizza per la presa in esame di congressi, particolarmente attesi, di due partiti della sinistra, i Democratici di sinistra e il Partito dei comunisti italiani, e della Cgil, la principale organizzazione confederale del Paese. La nostra attenzione, naturalmente, si è posata sugli appuntamenti congressuali in provincia di Imperia; ma, come è facile evincere, gli interventi presentati si rifanno prevalentemente alle problematiche generali. A completamento della pubblicazione, come è consuetudine nostra, presentiamo la documentazione delle iniziative organizzate dall’Ars di Imperia. Nel numero attuale riportiamo gli interventi presentati lo scorso settembre in occasione dell’incontro in omaggio a Natta, il cui relatore è stato Giuseppe Chiarante, della presidenza nazionale dell’Ars. Pensando di svolgere utile opera di documentazione, presentiamo anche i risultati delle elezioni delle RSU nel pubblico impiego, nelle diverse province liguri e un commento del segretario regionale FP-Cgil. Su tali questioni il dibattito è aperto e la nostra rivista darà conto del suo sviluppo successivo. Non poteva mancare il tema della scuola, con le lotte avverse alla controriforma del centro-destra. Pubblichiamo, a questo scopo, il documento che accompagna una felice iniziativa nata nella città di Imperia, che ci auguriamo possa contribuire alla crescita del movimento in difesa della scuola pubblica. Vittorio Coletti interviene con una riflessione sulla necessità che la sinistra, tra l’altro, innovi il proprio vocabolario per non essere subalterna culturalmente alla destra. A marzo l’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra, a Roma, in occasione del suo 2° congresso, porrà all’ordine del giorno la promozione di un movimento politico. La Presidenza nazionale ha approntato il documento precongressuale, che presentiamo sulla nostra rivista, con l’augurio che esso contribuisca ad approfondire e sviluppare il dibattito. L’ARS di Imperia, oltre a promuove incontri con gruppi e associazioni, mette a disposizione del dibattito il proprio sito internet (www.arsimperia.it) e l’e-mail ([email protected]). Il congresso della nostra associazione locale si terrà a Imperia il 22 febbraio. Il prossimo numero di “Pagine Nuove del Ponente” darà conto dei risultati congressuali. *** 2 settembre / dicembre 2001 fino in fondo i conti con le trasformazioni che sono intervenute nell’economia e nella società. Si tratta invece di riconoscere, rilegittimare, rivalorizzare la “funzione pubblica” presente in tutte le attività di produzione e di servizio, sia statali, sia private, e di affermare una visione del “pubblico” non dominato da burocrazie e corporativismi, ma da forme di controllo democratico e da una trasformazione democratica delle stesse burocrazie. Ci sono settori, come quello dell’informazione, dell’istruzione, della sanità, dei servizi alla persona, della ricerca, della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, il cui ruolo nel mercato non può prescindere dal loro irrinunciabile valore democratico e civile. A partire dalla critica all’imperativo della crescita produttiva indiscriminata (non importa per chi e che cosa, purché il Pil aumenti, secondo un paradigma al cui interno sta senza problemi la produzione e il commercio di armi), va perseguito il riequilibrio tra “beni materiali” e “beni sociali” (sanità, istruzione, formazione, ricerca, cultura) beni che, tra l’altro, favoriscono l’occupazione anche perché difficilmente producibili da macchine. L’esistenza e la crescita del settore no-profit non può essere relegata a stampella dello smantellamento del welfare pubblico, ma divenire un criterio normativo per tutte le attività con prevalenti finalità democratiche e sociali. Una nuova e decisiva questione della proprietà si pone per i brevetti scientifici: la conoscenza della natura non può essere appannaggio di interessi privati, o, peggio, di imprese monopolistiche. L’uso delle scoperte della scienza va democraticamente deciso. 20 – IMPRESA E LAVORO La conclamata centralità sociale e culturale dell’impresa, il suo potere egemonico, non si accompagna, curiosamente, ad alcun forte discorso pubblico sui meccanismi democratici del suo funzionamento interno. La questione del lavoro è certamente in grande misura quella della tutela dei diritti sul salario e per l’occupazione, oggi messi in discussione dagli imprenditori e dalle destre al governo in Italia con pericolosa aggressività. La risposta del movimento sindacale ha visto nelle iniziative dei metalmeccanici l’avvio di una possibile svolta nei contenuti, negli obiettivi e nelle stesse modalità della lotta. Ma le modifiche del meccanismo di produzione – impresa a rete, allargamento e precarizzazione del lavoro intellettuale grazie alle nuove tecnologie telematiche – chiedono anche l’invenzione di nuove forme di organizzazione e di rappresentanza capaci di intervenire sulla qualità del lavoro e le finalità dei prodotti. Il grande processo di femminilizzazione del mercato del lavoro apre nuovi territori su tutto il terreno indicato dall’intreccio tra tempo di vita e tempo di lavoro, senso e qualità del lavoro. I processi di finanziarizzazione globale, col peso sempre più massiccio dell’uso del risparmio privato anche ai fini previdenziali e assicurativi, chiede un salto di qualità nel controllo democratico anche di questa sfera decisiva per gli equilibri dell’economia mondiale e per le condizioni di vita di milioni di lavoratori. Il peso delle società multinazionali uguaglia ormai quello di vere e proprie entità statali: l’azione contro i “marchi” sperimentata negli ultimi anni dal movimento noglobal dimostra però che un’azione politica mirata, e consapevole dei nuovi meccanismi linguistico-simbolici della produzione e del consumo moderni può ottenere risultati significativi. L’azione per la introduzione di primi elementi di fiscalità riequilibratrice a livello globale (la Tobin tax) costituisce una esempio delle possibilità di intervento attuale. 21 – IL RIFIUTO DI OGNI RAZZISMO La critica al modello sociale attuale, come anche allo sviluppo delle relazioni mondiali all’indomani dell’11 settembre, richiede che per la sinistra del nuovo secolo la lotta al razzismo nelle società sviluppate e in tutto il mondo diventi insieme un valore e una pratica fondativa della sua identità. Banco di prova essenziale di questa scelta sono innanzitutto le politiche che la sinistra decide di perseguire in materia di immigrazione e la determinazione con cui conduce un’azione di contrasto alle scelte legislative messe in campo dalla destra. Queste non solo orientano la lotta all’immigrazione clandestina verso forme che violano i più elementari diritti della persona, ma mettono vincoli e ostacoli alla stessa immigrazione regolare, tali da trasformare le relazioni sociali e di lavoro in una fitta rete di discriminazioni su base etnica e razziale che alla lunga interverranno negativamente sulla convivenza civile del nostro paese. 47 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI tarismi, l’olocausto ) deve sapersi candidare a una funzione di mediazione e di incontro tra le culture e le civiltà del mondo, contro la pretesa di uniformare l’intero pianeta al modello economico sociale dell’Occidente capitalistico. 17 – LA RAPPRESENTANZA E LA DEMOCRAZIA L’azione della politica non si esaurisce certo nella formazione e selezione della rappresentanza democratica – come dimostrano le pratiche sempre più diffuse del volontariato e dell’associazionismo di scopo che si sviluppano al di fuori dei partiti costituendo reti essenziali alla qualità del legame sociale e estese a livello internazionale, come nel caso dei movimenti critici della globalizzazione – ma la qualità della rappresentanza e la sua rispondenza alla realtà sociale, culturale e politica del territorio resta un aspetto indispensabile della democrazia. In Italia il criterio della rappresentanza a livello nazionale è stato drasticamente sottoposto dal nuovo sistema elettorale uninominale a turno unico a quello della stabilità dei governi, con un premio di maggioranza paradossale (con un punto e mezzo in più nei collegi uninominali il centro destra ha una maggioranza schiacciante alla Camera): la crisi della rappresentanza, già in atto per le disparità economiche e culturali, si viene così ulteriormente accentuando. D’altra parte la rappresentanza generale – nel parlamento e nelle assemblee locali – oltre al fatto che ovunque sottostima pesantemente la presenza femminile, non può essere considerata esaustiva del criterio democratico. Il funzionamento dei servizi può essere sottoposto, in forme istituzionalizzate e trasparenti e non solo per la buona volontà dell’associazionismo, al controllo democratico degli utenti. Il principio di sussidiarietà non può sostituire il dovere comune (il dovere della repubblica) di garantire a tutti parità nei diritti. Proprio il rischio che l’evoluzione in senso federalistico dello stato produca disuguaglianze nei diritti fondamentali richiede una differenziazione dell’iniziativa politica e delle forme dell’azione regione per regione. L’esistenza in sede locale di leggi elettorali diverse, che contengono il metodo proporzionale, può consentire il manifestarsi di una rappresentanza più aderente alla realtà sociale rispetto a quanto avviene con il sistema uninominale a turno unico. 18 – LA GIUSTIZIA Il rapporto tra giustizia e politica è diventato nell’ultimo decennio uno dei punti più critici nell’equilibrio dei sistemi democratici. Il “caso italiano” si differenzia soprattutto per il fatto che la legislazione vigente può essere considerata più avanzata, in particolare per la garanzia dell’indipendenza dei pm dal potere esecutivo. Questa conquista dell’autonomia del potere giudiziario, fondamento dello stato liberal-democratico, è oggi messa a rischio fondamentalmente perché le classi dominanti e una parte rilevante del ceto politico non accettano il criterio di legalità e di sindacabilità. La giusta considerazione dell’importanza delle garanzie per gli imputati non può dimenticare il fatto che le garanzie riguardano sia l’imputato, sia il bene pubblico, e cioè la tutela del cittadino dalla prepotenza dei più forti e dalla criminalità, che giunge ad avere il controllo di intere regioni. Non si possono però ignorare le gravi distorsioni del sistema giudiziario italiano, riguardanti soprattutto la lunghezza dei processi, ripetutamente oggetto di severi richiami da parte degli organismi europei preposti alla materia. E’ una situazione grave, quasi sempre frustrante per il cittadino che aspetta giustizia, spesso utile per l’imputato colpevole (che contribuendo a dilazionare i tempi del procedimento, sovente giunge alla prescrizione). Più volte la magistratura ha indicato la carenza di organico e di adeguate strutture come la causa principale di queste disfunzioni. La sinistra ha oscillato tra le norme di emergenza e la tiepidezza verso il principio di legalità, ma senza una battaglia costante per l’affermazione di questo principio non esiste alcuna vitalità democratica. 19 – PUBBLICO E PRIVATO Dagli eccessi statalisti la sinistra moderata è passata a una concezione influenzata dagli orientamenti liberisti senza rimeditare il rapporto tra pubblico e privato, rendendo così meno efficace l’azione di contrasto all’assunzione, da parte della destra, del “modello di impresa” anche per la scuola e i servizi pubblici. Dall’altra parte la sinistra antagonista rimane spesso inchiodata alla difesa delle funzioni pubbliche così come si sono tradizionalmente affermate nelle passate esperienze di costruzione dello stato sociale, senza fare 46 settembre / dicembre 2001 Automatismi nel linguaggio della sinistra di Vittorio Coletti* Criticare D’Alema “da sinistra” è forse uno sport ormai troppo diffuso. Il bravo Presidente dei DS non perde però occasione di meritarsi l’irritazione di chi vorrebbe un’opposizione al governo Berlusconi più intransigente e meno cautelosa. Da ultimo D’Alema ha ritenuto utile precisare che la lotta alla destra deve avvenire sul terreno dell’innovazione, sostenendo quindi che la sinistra deve essere più nuova e più moderna dell’attuale destra. Siamo alla solita religione delle parole. Uno degli articoli di questa religione prescrive che il cambiamento, l’innovazione ecc. siano un patrimonio tipico ed esclusivo della sinistra; più precisamente, tutto il campo semantico della novità sarebbe di sinistra e quindi la sinistra dovrebbe essere più giovane e innovatrice della destra. Questa equazione di sinistra e cambiamento era nata quando la sinistra non si opponeva a una destra, ma a un centro e quindi al naturale conservatorismo centrista contrapponeva un’esigenza di nuovi, diversi assetti socioeconomici e politici. Ma oggi contro la sinistra c’è la destra e in fatto di cambiamenti e innovazioni la destra neoliberista e parafascista, questa destra, non è, non è mai stata seconda a nessuna sinistra. I futuristi, i fascisti furono dei formidabili novatori, anche perché l’interesse dei pochi e dei forti si possano fare solo dietro lo schermo delle novità per i molti. Il mito del nuovo, del cambiamento delle regole è funzionale a una politica di esaltazione delle individualità, di abrogazione dei limiti imposti dalla presenza degli altri, di sprezzo dei valori sociali più umili e basilari. La cosa è sempre stata così chiara che la destra fascista ha dovuto, a suo tempo, fabbricarsi rapidamente degli anticorpi, per non finire essa stessa vittima del proprio impulso a innovare, a rompere le vecchie regole: di qui l’esaltazione dello stato, della nazione, cui corrisponde oggi, da parte della destra attualmente dominante, quella della regione e della razza. Questi valori ritrovati nel passato servivano e servono infatti a controbilanciare il pericolo di disgregazione della collettività insito nel radicalismo innovatore proprio di ogni destra eversiva, il cui principio propulsore sta nell’affermazione del singolo e del particolare. È per questo che è stolto sostenere che bisogna essere più moderni di un Tremonti. Si deve invece essere preoccupati delle sue novità e difendere il patrimonio di cultura, di civiltà e di tradizioni politiche che egli sta smantellando allegramente. La parola d’ordine dell’innovazione, in questo momento, se lanciata da sinistra, ripropone il tragico errore dei governi venuti dopo quello di Prodi, che hanno cercato di fare la politica della destra (con i vari Bassanini, Berlinguer ecc.), senza, come ovvio, catturarne l’elettorato. Infatti, l’elettore di destra non si accontenta delle innovazioni che sanciscono il primato del mercato sullo stato, che decretano la superiorità dell’interesse privato sulla preoccupazione per la cosa pubblica; vuole anche che queste novità siano teorizzate e pubblicizzate appunto come tali e positive, ideologicamente condivise e apertamente esaltate, senza vergogna e reticenza. 3 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI La sinistra invece era e sarebbe anche oggi costretta a inquadrarle dentro parametri che, almeno sul piano della comunicazione, hanno il compito di ridurne l’impatto, la forza devastante, dando l’impressione di non voler fare, di non approvare quello che fa. L’elettore rampante della destra, quello che, stante molti tra di noi, la sinistra dovrebbe agganciare ancorché fugga su strapotenti fuoristrada, esige invece l’innovazione senza riserve e senza scrupoli, perché non vuole neppure dover fare i conti con qualche residuale senso di colpa quando afferma la precedenza del proprio interesse (di imprenditorello, di commerciante, di gazzettiere…) su quello comune. Per aggredire come si deve la destra che governa la sinistra deve innovare sì, ma, per prima cosa, il proprio vocabolario. La lotta che la aspetta è una guerra di difesa, di trincea. Certe parole d’ordine non le servono. * Ordinario di Storia della lingua italiana Università di Genova si diffonde anche a sinistra, poggiano su un’idea di individuo neutro e astratto, che nelle vulgate politiche prevalenti sfocia poi in nuove forme di egoismo corporativo e di conservatorismo escludente. Nella realtà noi abbiamo a che fare non con individui astratti ma con uomini e donne immersi in una realtà sociale. La leva di trasformazione delle mentalità e della società più potente negli ultimi decenni è stata la libertà femminile. Essa pone su basi culturali e antropologiche nuove la stessa idea di libertà individuale e del diritto al perseguimento della felicità, entrato nel discorso politico moderno con la dichiarazione di indipendenza americana. La politica della sinistra dovrebbe saper interpretare e unire il desiderio di emancipazione di chi si trova nelle posizioni socialmente subalterne con il desiderio di autorealizzazione di tutte e tutti. LA CRISI ITALIANA E L’ESIGENZA DI UN NUOVO PROGRAMMA Abbiamo di fronte dunque un arduo compito di ricerca, di ripensamento e di sperimentazione teorica e pratica. Il terreno su cui questo lavoro attende di essere compiuto, anche per affrontare la crisi italiana, può essere così sinteticamente abbozzato: 15 – LE SPINTE AUTORITARIE IN ITALIA In Italia l’azione per le riforme istituzionali si è esaurita nelle iniziative per la modifica in senso maggioritario della legge elettorale e per il rafforzamento del potere dell’esecutivo, determinando una selezione gravemente distorta della rappresentanza dentro un regime rigidamente bipolare. A ciò si accompagna una sorta di presidenzialismo virtuale, evocato dall’indicazione sulla scheda elettorale del candidato premier, nel contesto di un disordine istituzionale caratterizzato tra l’altro dalla inaudita concentrazione monopolistica dell’informazione televisiva, cioè di uno dei più potenti strumenti di formazione del consenso. La tendenza presidenzialista viene ora ribadita e teorizzata dalla destra. Il parlamento, già in larga misura ridotto a cassa d i risonanza dell’esecutivo dovrebbe essere ulteriormente svuotato. Un auspicabile sistema proporzionale alla tedesca, con un presidente di garanzia, è cosa totalmente 4 settembre / dicembre 2001 diversa dalla elezione diretta di un presidente con un parlamento senza poteri nei confronti dell’esecutivo. Anche il mutamento di poteri e di equilibri tra stato centrale e autonomie locali, in sé positivo, ha aperto una transizione non priva di rischi involutivi per la uguaglianza dei diritti. In sostanza, siamo di fronte, dopo un decennio di iniziative contraddittorie, a un processo costituente incompiuto e confuso, gravido di pericoli autoritari e populistici, che si incontra con le peggiori tendenze presenti in Europa 16 – IL QUADRO EUROPEO La battaglia della sinistra perché si affermino i valori e le regole di una democrazia più vera deve assumere il contesto europeo e globale come fonte dell’elaborazione teorica e costante scenario dell’iniziativa, e basarsi su una cultura politica informata a una critica aggiornata e di fondo della società presente. Dopo l’11 settembre, di fronte alla decisa ripresa statunitense di un ruolo egemonico e militare nel mondo, si è vista una volta di più la debolezza del progetto europeo. Un nuovo ruolo dell’Europa deve essere affermato contro le tendenze conservatrici, particolarmente forti nel centrodestra italiano, come si è visto nella crisi che ha portato alle dimissioni del ministro Ruggiero. Per sconfiggere queste tendenze occorre battersi, ora che la moneta unica è una realtà, perché l’Europa si dia forte ruolo politico democratico. Con una costituzione basata sullo sviluppo armonico delle precondizioni democratiche nei singoli paesi che compongono e comporranno l’Unione. Con un ruolo strategico globale capace di limitare il dominio americano, e di spingere per la riforma del complesso di istituzioni – l’Onu, ma anche il Fondo monetario, la Banca mondiale, il Wto – che concorrono al governo mondiale. E’ un’azione che allo sviluppo della democrazia sul piano locale, nazionale, europeo e globale deve saper accompagnare una critica al modello di sviluppo e alle diseguaglianze tra mondo sviluppato e mondo sottosviluppato recuperando e aggiornando le intuizioni – formulate da alcune sinistre europee ma rapidamente accantonate – di Brandt, Palme e Berlinguer. Sul piano culturale l’Europa, per la ricchezza delle proprie conquiste civili e per l’insegnamento che le deriva dalle sue colpe ( due guerre mondiali, i totali 45 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI sava di mano, fino al paradossale trionfo, in Italia, di valori fino a ieri considerati disvalori: la ricchezza conquistata a qualsiasi costo, compresa la pratica mafiosa, oppure la corruzione politica giudicata inevitabile corollario della amministrazione. La scarsa attenzione alle precondizioni della democrazia – e cioè ai diritti fondamentali – ha avuto origine in una visione subalterna della società e della categoria medesima dell’interesse generale. Ciò è avvenuto anche per il negativo condizionamento dovuto all’idea della coincidenza del socialismo con il modello sovietico, rispetto al quale le “democrazie reali” in Occidente apparivano di gran lunga superiori. Si è ignorato che le democrazie occidentali avevano limiti che oggi rischiano di determinarne una grave involuzione, sia per le distorsioni e le esclusioni nella rappresentanza, sia per la forza predominante dei potentati economici. E si è ignorato che le forme della ingiustizia economica poggiano non solo sulle tendenze liberistiche, ma su un complesso sistema simbolico e su un insieme di pratiche 13 - A FONDAMENTO: LIBERTÀ, DEMOCRAZIA Per ritrovare identità e funzione la sinistra deve politiche e istituzionali. mutare radicalmente la sua agenda tradizionale e ripartire dai fondamenti della libertà e della 14 - CLASSI, INDIVIDUI, DESIDERI, SENTIMENTI democrazia: dai diritti politici fondamentali, da Una nuova cultura politica della sinistra, infine, un’idea della libertà che ha la sua radice nell’esi- non può che ripartire da una critica radicale stenza reale degli individui sessuati. Qui sta la sapendo, come disse Marx, che la libertà e la premessa anche del possibile esercizio del conflit- dignità della persona sono il discrimine tra chi to democratico per il mutamento economico e trasforma il lavoro, cioè uomini e donne, in sociale. Non è un caso che le recenti iniziative merce, e chi cerca un’altra strada. La grande consindacali in Italia – lo sciopero dei metalmeccani- quista teorica della storicità del reale, dei rapporti ci della Fiom – abbiano avuto al centro, oltre al tra le persone e, dunque, delle formazioni econovalore del contratto nazionale, quello della demo- miche, però non deve trasformarsi nella ignorancrazia nella rappresentanza sindacale dei lavora- za di ciò che permane nella costituzione medesitori. Grave limite della sinistra europea, e italiana ma delle donne e degli uomini. Superata in quanin particolare, è stato proprio quello di non aver to “mitologica” e non più rispondente alla realtà approfondito l’elaborazione teorica e la battaglia l’idea di una missione universale onnipotente politica per lo sviluppo della democrazia e delle della classe operaia, resta la necessità di analizzasue essenziali precondizioni: l’accesso universale re seriamente la composizione di classe delle a una libera informazione, e alla formazione cul- nostre società, per valutare di quali interessi turale indirizzata, prima che alle esigenze del sociali la sinistra si fa portatrice: una sinistra che mercato, all’arricchimento critico della conoscen- non avverta il bisogno della giustizia sociale è za. E’ mancata la costruzione delle condizioni per priva di senso, così come non regge alla prova se cui l’uguaglianza dei diritti non sia solo apparente non assume criticamente il valore dell’individuo e e non sia unicamente riferita ai valori elaborati dei suoi desideri di libertà, che un marxismo tradalla prevalenza maschile. dizionalmente inteso ha indotto a appiattire nell’iNel mentre tutto l’orizzonte era disegnato dalla dea di uguaglianza collettiva. Ma individualismo lotta per i diritti sociali, l’egemonia culturale pas- e liberalismo, nel pensiero liberaldemocratico che non significa per noi l’abbandono della critica a una società fondata sull’ingiustizia e della idea stessa di socialismo. La nascita di un grande movimento autonomo che ha levato la parola d’ordine “un altro mondo è possibile” conferma l’esigenza di ripensare le idee di trasformazione nel mondo globalizzato. Il socialismo non può essere immaginato come una società senza conflitti da attendere, o peggio, da imporre, ma come un punto di vista critico sulla realtà sociale che muove dalla scelta per la libertà e la dignità di ogni individuo. In tal modo esso rappresenta uno sforzo continuo per definire e ridefinire obiettivi e scopi, per superare gli ostacoli economici, giuridici, politici, culturali, ideali, che determinano la soggezione dei molti e il potere dei pochi, la distribuzione assurdamente ingiusta dei beni, la impossibilità di lavorare in comune alla costruzione non mai compiuta di un mondo in cui la libertà di ciascuno coincide con la libertà di tutti. 44 settembre / dicembre 2001 Comitato genitori-insegnanti per la difesa della Scuola pubblica Documento approvato dall’Assemblea Si è costituito ad Imperia lunedì 17 dicembre 2001 il Comitato Genitori Insegnanti per la difesa della scuola pubblica. Nell'assemblea si sono discussi gli obiettivi e le finalità del Comitato, tra i quali vi è quello di promuovere l'informazione sulle questioni della scuola, stimolare l'attenzione e la partecipazione di tutti i cittadini verso un settore della vita sociale troppo spesso oggetto, da parte dei media, o di indifferenza, o di disinformazione e di manipolazione. Inoltre, pur non aspettandoci molto dal giocattolo mediatico inventato dal Ministro, ovvero la convocazione degli Stati Generali della scuola, poiché nella fase attuale sembra che esistano ancora possibilità per introdurre sostanziali modifiche al progetto di riforma, è stato approvato il presente documento che sarà inviato al MIUR: «Il ministro Letizia Moratti sta per varare il suo progetto di riforma della scuola. Riteniamo che il progetto, che oscilla tra una concezione paternalistica e l'intenzione di asservire la scuola al mercato, sia un pesante attacco al carattere democratico, laico e pluralista della scuola pubblica. D'altra parte, l'obiettivo di far cessare quello che il ministro ha chiamato “il monopolio pubblico” dell'istruzione non è mai stato nascosto, in nome di un presunto pluralismo, che in realtà significa passare da una concezione del sistema scolastico come servizio pubblico a cui tutti hanno diritto, ad una logica di mercato finalizzata a introdurre inaccettabili differenze di classe e di qualità tra le diverse istituzioni scolastiche. In questa riforma non si parla di un piano pluriennale di investimento per assicurare le attività formative, i servizi, le strutture edilizie e per riqualificare la professionalità dei docenti; ma si trova che: - intanto la finanziaria ha ridotto di 2.000 miliardi gli investimenti per la scuola; - il Senato ha approvato l'art.13 che porta a 18 ore di lezione effettive l'orario di cattedra; contemporaneamente è lasciata ai singoli docenti l'opportunità di effettuare ore aggiuntive di lezione fino a 24: entrambi questi provvedimenti comporteranno una perdita notevole di posti di lavoro e un peggioramento della qualità dell’insegnamento. Il Ministro e i giornali parlano di un aumento dello stipendio fino a 700.000 Iire, ma si dimenticano di precisare che questa cifra paga le ore aggiunte all'orario cattedra per gli insegnanti che hanno scelto di farle, contribuendo in tal modo alla riduzione dei posti di lavoro; - la ristrutturazione degli Organi Collegiali prevede l'abolizione della rappresentanza dei genitori e degli alunni all'interno del Consiglio di Classe, sostituita da un Coordinatore unico nominato dal Dirigente scolastico: chi lavora nella scuola sa quanto sia importante il Consiglio di Classe come luogo di confronto, di programmazione, di valutazione, e la sua eliminazione di fatto manifesta la mentalità aziendalistica di chi non guarda alla scuola come momento prevalentemente formativo, ma come azienda in cui prevale il momento burocratico e amministrativo. La costante attenzione verso le scuole private, sempre più considerate non come aggiuntive ma come sostitutive della scuola pubblica, non ha soltanto lo scopo di dequalificare la scuola pubblica, ma anche quello di indebolirne i caratteri di laicità e di pluralismo. ln questo senso ci sembrano ben miseri i giochetti di parole che affermano che non esiste più differenza tra pubblico e privato, dal momento che, viene detto, tutte le scuole forniscono un servizio pubblico Basti tener presente alcuni fatti: 5 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI - A chi vanno i buoni scuola erogati dalle Regioni alle famiglie che vogliono scegliere dove far studiare i propri figli? Tali buoni vengono concessi non in base al reddito, che può essere anche alto, ma sulla base delle spese per l'istruzione (libri esclusi) se superano le 300.000 lire di retta. Ed è evidente che tale cifra è superata da chi va alle scuole private e non alla scuola pubblica: nella sola Lombardia, hanno potuto accedere al beneficio solo 600 famiglie i cui figli frequentano le strutture pubbliche, contro le 46.335 famiglie delle scuole private. E nel Veneto nessuno dei 490.000 allievi delle scuole statali ha ricevuto alcun finanziamento, contro i 24.300 allievi delle private che li hanno ottenuti. Questo meccanismo perverso che concede a pochi i soldi di tutti costituisce un finanziamento indiretto alle scuole private e non è affatto di aiuto alle famiglie a basso reddito. Così, per accontentare la richiesta di privilegi di una minoranza, i diritti di tutti diventano un optional. - La riforma delle commissioni dell'esame di stato, che saranno composte dai soli docenti interni con un presidente esterno, non ha niente a che fare con una migliore qualificazione dei livelli di istruzione e di competenze, ma si propone esclusivamente due obiettivi: risparmiare un'altra manciata di miliardi e agevolare le scuole private, che potranno tranquillamente somministrare alti voti ai loro studenti senza dover sottoporre le loro valutazioni ad alcun controllo esterno. A ciò si può aggiungere che essa apre la strada all'abolizione del valore legale del titolo di studio compito di stabilire regole di comportamento comuni per una categoria di persone che hanno differenti concezioni etiche e che operano in una società e in un sistema scolastico in cui convivono pluralità di atteggiamenti e di convinzioni religiose e laiche. Se questi sono i principi ispiratori del modello di scuola del ministro Moratti, lo strumento che ha il compito di tradurre in pratica questo modello è l'ipotesi elaborata dal gruppo ristretto di lavoro guidato dal prof. G. Bertagna, che contiene il disegno complessivo di riforma della scuola, in linea con la politica di privatizzazioni perseguita dall'attuale governo per tutto ciò che riguarda i sevizi pubblici. Malgrado i continui richiami alla democrazia, allo spirito della Costituzione ed anche ad un uso del tutto strumentale di Don Milani, la concezione della cultura scolastica che esce dal progetto Bertagna sembra oscillare tra una scuola fortemente professionalizzata, privata però di quegli elementi di formazione culturale e critica che dovrebbero essere uno degli obiettivi prioritari della scuola pre-universitaria; e una scuola liceale, ma ridotta nel tempo e semplificata nei contenuti e quindi vista soltanto come un passaggio verso il diploma di laurea. Il giudizio negativo non discende da preconcetti ideologici o di parte, a meno che non si voglia considerare di parte la difesa dei diritti costituzionali, dell'uguaglianza intesa come pari opportunità per tutti, della democrazia e laicità, ma dalla valutazione di alcuni degli aspetti più qualificanti del progetto. Infine, due esempi possono bastare per dimostrare la scarsa coscienza della laicità della scuola e dello Stato da parte di questo Ministro: - il disegno di legge che prevede per gli insegnanti di religione, nominati dalla Curia e non dallo Stato, perdenti posto e in possesso di altra laurea, di essere assunti nelle scuole statali attraverso un corso di abilitazione riservato. Che è un provvedimento anticostituzionale e una grave discriminazione nei confronti degli altri docenti. - la commissione per la redazione di un codice deontologico per i docenti viene affidata ad un cardinale. Ma non si capisce per quale ragione il rappresentante di un'etica religiosa debba essere messo a dirigere un gruppo di lavoro che ha il 1) è bloccato il progetto triennale di innovazione degli ordinamenti della scuola dell'infanzia, già approvato dal CNPI; e viene introdotto un bonus, o credito, di frequenza spendibile negli anni successivi (ovvero, chi ha frequentato la scuola materna può “saltare” un anno se frequenta un istituto di formazione secondaria a tempo pieno e diplomarsi a 17 anni invece che a 18); 2) nella scuola elementare si torna a parlare del maestro unico, diventano “facoltative” l'educazione musicale e motoria, e l'insegnamento della lingua straniera; inoltre, la prevista riduzione dell'orario settimanale finirà, con tutta evidenza, per pesare sul tempo pieno; 6 settembre / dicembre 2001 9 - ALTERNATIVA E GOVERNO La divisione lacerante a sinistra ha cause profonde. La sinistra moderata, che oggi si definisce “riformista” in termini prevalentemente ideologistici, ha agito sulla base di intenzioni programmatiche nelle quali ha prevalso e prevale la vecchia idea che il ruolo della sinistra sarebbe quello di saper gestire meglio il processo di una “modernizzazione” priva di scelte che ne qualifichino in termini reali il contenuto di civiltà. I limiti di questa posizione si sono rivelati proprio nella prova del governo: conseguito il risultato – certamente importante – del risanamento economico e dell’agganciamento all’Europa, si è aperta una crisi involutiva caratterizzata dall’assenza di un chiaro programma di riforme sostenuto dal necessario consenso popolare. Una sinistra che va “al” governo deve dimostrare di essere “di” governo, perché munita di una salda visione strategica e di una propria idea di società da proporre alla coalizione di cui fa parte e a tutto il paese. D’altra parte la sinistra “alternativa”, pur avendo il merito di sostenere istanze critiche verso l’ordine sociale dominante, sembra sottovalutare l’urgenza di costruire alleanze che per ampiezza e qualità programmatica siano in grado di battere la destra e definire un’ipotesi di governo. 10 - LA CRISI DELLA POLITICA All’origine della crisi della sinistra è stata anche la incapacità di una analisi seria sui limiti di una concezione della politica radicata unicamente nella pratica istituzionale. Quanto più l’economia sembrava assumere il ruolo di guida in luogo della politica tradizionalmente intesa, tanto più occorreva ricostruire le proprie fondamenta in una concezione della politica e della sua pratica ancorata agli interrogativi reali posti dalla vita delle donne e degli uomini, facendo riacquistare alla politica il suo reale significato. In realtà, come i fatti vengono provando a dismisura anche con la guerra, l’economia non si regge senza politica. Ciò è stato vero anche negli ultimi due decenni del secolo scorso, quando è parso che i mercati dettassero autonomamente la loro legge e fosse necessaria una politica atta solo al loro assecondamento. Ma non esiste mercato senza egemonia culturale, senza politiche e senza regole. Il mercato unico mondiale non fa eccezione. Esso è regolato dalla egemonia di determinati stili e modelli di vita, dalle scelte delle maggiori concentrazioni economiche sorrette dalla potenza, anche militare, degli stati. Senza la comprensione di questa realtà e, dunque, senza una politica capace di discernere tra le culture e tra gli interessi in campo, la pratica politica istituzionale tenderà a scadere nella pura amministrazione (più o meno corrompibile) e dunque in puro sostegno dell’assetto sociale dato. Se queste tendenze dovessero affermarsi in modo duraturo, al limite la medesima parola “sinistra” perderà ogni senso. 11 – PRATICA SOCIALE COME PRATICA POLITICA In realtà una attitudine al governo da parte di una forza di sinistra può derivare solo dalla capacità di tenere unite critica, proposta, pratica innovatrice. Una analisi aggiornata sulla insostenibilità dell’attuale modello di crescita economica e sulla inaccettabilità delle clamorose ingiustizie della società presente, va unita a una azione culturale e a una pratica politica che sviluppi la consapevolezza critica, e favorisca il riconoscimento dei desideri di autoaffermazione nella libertà per tutte e tutti. La sinistra politica non può rinunciare a una propria azione nella società e non deve perdere la capacità di collegarsi con tutte le istanze progressive che dalla società sorgono e in essa si organizzano nelle forme associative volontarie, cercando ad un tempo di esserne costituita e di rappresentarle. Un nuovo modo di pensare e di agire la politica nasce innanzitutto nel riscoprirne il significato di pratica di relazione e di trasformazione nella società, anche riconoscendo e nominando il valore politico di tutte le pratiche sociali, il cui segno è naturalmente diversificato e persino opposto. E’ questa una dimensione della politica che viene prima di ogni pur indispensabile pratica istituzionale. 12 – UN’ALTRA IDEA DI SOCIALISMO L’esaurimento delle forme politiche e teoriche in cui si è manifestata la sinistra novecentesca di ispirazione socialista è stato già sottolineato dal primo congresso dell’Associazione, constatando il crollo della esperienza comunistica a modello sovietico e la rinuncia alla idea di trasformazione socialista da parte delle socialdemocrazie. Ciò 43 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI 6 - LE RESPONSABLITÀ DELLA SINISTRA OCCIDENTALE Anche le sinistre europee di ispirazione socialista e quella americana (che ha presto abbandonato nella sua maggioranza la matrice culturale e teorica di ispirazione socialista in favore di un radicalismo e pragmatismo democratico) hanno le loro responsabilità per il permanere di un’intollerabile situazione del mondo. Tra ottocento e novecento le socialdemocrazie europee hanno sostanzialmente condiviso la fase di espansione coloniale dei rispettivi paesi. Non sempre hanno tempestivamente assecondato il processo di decolonizzazione che ha caratterizzato il secondo dopoguerra. Spesso le sinistre europee e quella americana si sono dimostrate incapaci di affermare un’altra idea di convivenza tra le persone, tra umanità e natura, tra nord e sud del mondo. Hanno ritenuto come unica possibilità lo sforzo – certamente giusto, ma non sufficiente senza un nuovo progetto a dimensione mondiale – per l’elevamento delle condizioni della parte meno protetta delle società nazionali in cui hanno agito. Oggi le sinistre dei paesi avanzati, nelle loro maggioranze, tendono a considerarsi parte del ceto politico dominante dei propri paesi e in generale di questa parte del mondo, accettandone le scelte di fondo anziché contrastarle, come ha dimostrato l’atteggiamento assunto sulle decisioni dell’amministrazione Usa dopo l’11 settembre. Nell’Inghilterra laburista si è giunti a teorizzare l’avvento di un nuovo “imperialismo democratico” a giustificazione della guerra. Ciò non significa che non vi siano elaborazioni significative all’interno di questi partiti e che non sia presente in essi l’inquietudine per la grave situazione del mondo, e la ricerca di soluzioni. Mancano, a parte le minoranze critiche, il convincimento e l’azione volta a cambiare il modello economico occidentale senza di che non vi può essere soluzione ai problemi del pianeta. 7 – LO SCACCO DELL’INTERNAZIONALISMO COMUNISTA Il Novecento ha visto consumarsi anche lo scacco dell’internazionalismo comunista. Se la parola d’ordine socialista dell’unità di tutti i proletari naufragò nella prima guerra mondiale, la politica leninista della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria su scala planetaria ha dato certamente vita a un movimento mondiale, ma si è rivelata una prospettiva parziale e distorta, incapace di interpretare i problemi dei paesi più sviluppati elaborando risposte adeguate. Il socialismo in un paese solo ha dato vita a forme di autoritarismo e totalitarismo. All’origine c’era l’idea di una società perfetta da raggiungere a un certo momento della storia, la contrapposizione tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa (con il risultato di giungere alla soppressione di entrambe), la statizzazione dell’economia in luogo della immaginata proprietà sociale, la eliminazione delle condizioni essenziali per il mercato. Ciò non significa che la Rivoluzione d’ottobre sia stata senza conseguenze per il risveglio di grandissima parte degli oppressi e degli sfruttati, anche nei paesi di capitalismo sviluppato, e non può far dimenticare il ruolo dell’Urss contro il nazismo e il fascismo. L’internazionalismo comunista ha scontato un grave limite costituito dal condizionamento degli interessi dello stato sovietico e della difesa di un modello sociale rivelatosi fallimentare. 8 - LA DIASPORA DELLA SINISTRA ITALIANA In Italia la presenza di un partito comunista con forti tratti di originalità e di differenza rispetto al modello sovietico – primo fra tutti l’adesione sincera alla ricostruzione della democrazia parlamentare dopo la sconfitta del fascismo e la comprensione della necessità del mercato - non ha evitato lo scacco comune dei partiti provenienti dalla tradizione comunista e socialista. Un ripensamento profondo e radicale della tradizione novecentesca era ed è necessario. Ma, nel concreto, si è operato non nel senso di una vera revisione critica ma, da parte della sinistra di orientamento moderato, nella direzione di una piena accettazione dell’ordine esistente. Il progetto di dare vita a una nuova forza politica della sinistra capace di riunirne le diverse anime riformiste, liberali e democratiche e di contribuire alla riforma del sistema politico ha portato a nuove divisioni e a una grave sconfitta, con l’affermarsi di una destra largamente estranea alla cultura della costituzione democratica repubblicana, che sta portando un attacco a fondo a essenziali conquiste costituzionali e al principio stesso di legalità. 42 settembre / dicembre 2001 3) nella scuola media la frammentazione del curricolo annulla di fatto le scelte educative che erano alla base del tempo prolungato. Vengono previste tre tipologie di percorsi formativi: quello obbligatorio di 25 ore settimanali. quello facoltativo familiare (che può essere extrascolatico); quello facoltativo. A parte la mancanza di chiarezza su queste distinzioni, una cosa sembra certa: che la personalizzazione dei percorsi formativi in un curricolo unitario, che aveva lo scopo di far acquisire a tutti un livello essenziale di conoscenze e di competenze, si trasforma in percorso individuale, in cui la famiglia sceglie, in base alle possibilità economiche e culturali, i servizi formativi più adatti ai propri figli. In altre parole, i diritti di cittadinanza sono riconosciuti in un rapporto con le famiglie che ha anche carattere commerciale: come dire, i diritti ridotti a merce; 4) scelta dell'indirizzo superiore a 14 anni: ipotesi che ha sollevato le critiche anche della Confindustria, che sostiene che l’opzione non dovrebbe essere fatta prima dei 16 anni, come avviene in altri paesi europei, poiché fino a questa età è necessaria una “solida e critica preparazione di base”. Differenziare precocemente le scelte vuol dire fare una scuola di classe, puntando a creare lavoratori privi di tutele culturali. Non solo, una precoce canalizzazione dei percorsi formativi riduce la capacità formativa dell'istruzione, proprio nel momento in cui il mondo delle imprese richiede lavoratori a più alto tasso di intelligenza creativa e di intraprendenza cognitiva; no scuole di formazione in grado di offrire qualsiasi credito formativo si voglia. ln definitiva, questo progetto di riforma ci appare francamente antidemocratico e regressivo. Antidemocratico, in quanto indebolire il sistema pubblico, invece di rafforzarlo, vuol dire allargare la disuguaglianza dei cittadini rispetto ad un diritto; e affidare agli automatismi “spontanei” del mercato l'istruzione e la formazione, produce (e ri-produce) selezione sociale. Senza scomodare Don Milani, il cui riferimento appare del tutto stonato in questo approccio “neoliberista”, le ricerche del Censis, ricordano che senza un consapevole intervento educativo il successo scolastico è spesso frutto di contesti sociali e culturali avvantaggiati e si “tramanda” da una generazione all'altra della stessa famiglia. Regressivo, in quanto neppure all'altezza di fornire quella formazione culturale e professionale che si ritiene necessaria per affrontare, con la necessaria preparazione e bagaglio critico, le rapide trasformazioni che caratterizzano il mercato del lavoro e le nuove tecnologie. Nell'attuale società della conoscenza non serve separare teoria e pratica, sapere e saper fare, lavoro intellettuale e lavoro manuale, ma serve riconoscere che ad ogni livello di apprendimento e in ogni settore del lavoro la componente culturale e quella professionale si integrano e che il contesto operativo ha valenza formativa. A meno che l'intenzione non sia quella di affidare al sistema scolastico il compito di produrre lavoratori e consumatori, ma non cittadini consapevoli». 5) nella scuola superiore spariscono alcuni indirizzi (geometri); il periodo scolastico, ridotto di un anno, produce una eccessiva semplificazione dei programmi ed il conseguente grave abbassamento dei livelli di conoscenza; è prevista la regionalizzazione degli istituti di formazione secondaria; accanto al curricolo nazionale obbligatorio, si collocano altri insegnamenti (educazione fisica, musicale, artistica) che dipendono dalla tipologia della scuola e possono essere svolti presso altri enti formativi esterni: e anche in questo caso, la trasformazione di molti insegnamenti in attività libere, avrà pesanti conseguenze sui posti di lavoro e sui destini professionali del personale della scuola. Né è sorprendente se fioriran- Comitato Genitori e Insegnanti per la difesa della Scuola pubblica - Imperia - 7 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI Breve nota di commento sulle elezioni delle RSU del 2001 nel pubblico impiego di Antonello Sotgiu * Le elezioni delle RSU (rappresentanze sindacali unitarie) in tutte le pubbliche amministrazioni, svoltesi lo scorso mese di novembre, ci hanno consegnato esiti più che positivi. Nella nostra regione, sui 52, 852 addetti interessati, hanno votato ben 37.675 (pari al 71,3%) lavoratrici e lavoratori dei comparti pubblici: sanità, enti locali, ministeri parastato, aziende di stato e sicurezza. Ad una partecipazione così significativa corrisponde un complessivo 78% di consensi dato alle liste confederali della CGIL FP, della CISL FPS e della UIL FPL, contro un 22% suddiviso fra almeno dieci altre diverse liste corrispondenti ad organizzazioni sindacali “autonome” ed ipercorporative. Sono questi i primi due dati importanti, emersi dalle urne, che confermano una volontà largamente maggioritaria fra i dipendenti pubblici di proseguire con l’esperienza iniziata nel ‘98 che, a differenza di quanto pretenderebbero oggi il governo delle destre e confindustria, afferma chiare regole sulla rappresentanza e la rappresentatività del sindacato e con esse un protagonismo attivo dei lavoratori e delle lavoratrici nelle scelte che li riguardano. La scelta del sindacato confederale, contro le sirene affascinanti quanto demagogiche del corporativismo, completa questa volontà con la consapevolezza di un mondo del lavoro, quello pubblico, troppo spesso bistrattato, di voler cogliere obiettivi necessari per sé e per la collettività. Il sindacato confederale quale soggetto capace nelle sue proposte e nelle conseguenti iniziative di coniugare la tutela degli interessi e dei diritti di chi lavora nei servizi pubblici con l’interesse ed i diritti dei cittadini, degli utenti. Dentro a tale dato non possiamo poi non rilevare, con estrema soddisfazione, il largo consenso ottenuto dalle nostre liste che con 13.617 voti (pari al 36,1%) confermano la CGIL FP come prima organizzazione del settore davanti alla CISL FPS (9.782 voti, pari al 26%) e alla UIL FPL (5.921 voti, pari al 15,7%). Una CGIL che incrementa il consenso già registrato nelle elezioni del ‘98 con percentuali di consensi di gran lunga superiori allo stesso numero degli iscritti, anch’esso in aumento in questi anni. Un risultato non facile e non scontato questo, conseguito in una tornata elettorale in cui la CGIL, e solo la CGIL, poteva perdere come in molti si auguravano al fine di ridimensionare ed isolare più facilmente l’organizzazione sindacale che con più nettezza e da tutto inizio ha sottolineato e sottolinea la pericolosità delle politiche messe in atto dal governo Berlusconi. 8 settembre / dicembre 2001 a interiorizzare sensi di colpa e di frustrazione. Resta aperta, dopo la rivoluzione femminile che ha attraversato e segnato il secolo, la contraddizione tra i sessi, come dimostra anche la discussione globale che si è accesa attorno alla condizione femminile in Afghanistan. Tutto ciò conferma l’esigenza di una sinistra capace di reinventare la propria funzione critica e di elaborare una proposta alternativa. 4 – IL MERCATO La crisi del “pensiero unico” neoliberista, che è stato vincente nell’ultimo ventennio del secolo scorso e ha contribuito in maniera rilevante alla svolta dell’89, è ormai nei fatti. Non solo il movimento no-global, ma ampi strati intellettuali (vedi il recente documento di 100 premi Nobel) contestano un modello di sviluppo che idolatra il mercato e alimenta commerci e produzioni contro l’ambiente e per la guerra, che produce disuguaglianze sempre più acute, e non sa evitare crisi finanziarie catastrofiche che colpiscono intere regioni del mondo, penalizzando sistematicamente i più deboli (lavoratori soprattutto, ma anche piccoli azionisti e risparmiatori, come la drammatica crisi argentina dimostra). Questa consapevolezza critica sembra coinvolgere anche sempre più consistenti settori della popolazione dei paesi ricchi. E del resto ai tentativi della sinistra moderata di inventarsi una “terza via” – che è risultata troppo poco consapevole delle ragioni delle ingiustizie sociali e quindi dei mezzi per affrontarle - risponde il “conservatorismo compassionevole”, che si assegna il dovere di “compatire”, almeno, e soccorrere i poveri. La recessione e la guerra hanno rapidamente convertito i governi alle forme più massicce di intervento statale, innanzitutto nel campo militare. Si conferma che il punto del contendere tra la sinistra e la destra, non è se lo stato debba intervenire o meno nell’economia, ma a favore di chi, e naturalmente con quali strumenti e secondo quali procedure democratiche. Ma per la sinistra si tratta ancora di analizzare meglio i caratteri del mercato. Come suggeriscono importanti correnti culturali e una parte della critica femminista il mercato non è solo il luogo dello scambio delle merci – e quindi anche del lavoro umano ridotto a merce - e della competizione mediata dal denaro. Al mercato si portano anche desideri e sentimenti, e valori non monetizzabili, basati su relazioni di fiducia, e spesso anzi informati alla cultura del dono. Tra il mercato e la libertà esistono nessi che non possono essere rimossi. Qui per la sinistra si apre il terreno di una nuova battaglia, anche linguistica e simbolica, per la conquista di fattori relazionali e motivazionali, di cui la cultura di impresa ha cercato di appropriarsi in modo esclusivo. Né la riappropriazione di una signoria di sé di uomini e donne nel mercato può essere affidata esclusivamente al ruolo dell’organizzazione sindacale o al controllo pubblico statale. E’ l’idea stessa di “socializzazione” del processo di produzione e di riproduzione, di scambio, di consumo, che va radicalmente riscoperta e ripensata, tenendo conto delle trasformazioni radicali introdotte nel modo di vivere e di produrre dalla rivoluzione delle nuove tecnologie della comunicazione. 5 - IL “MOVIMENTO DEI MOVIMENTI” È del resto lo stesso modello capitalistico globalizzato, per sua natura strettamente intrecciato alle reti di informazione – internet, tv, radio, telefonia mobile, giornali, ecc – a determinare le condizioni per l’emergere di una critica radicale, che per vastità e originalità non ha precedenti. Nell’arco degli ultimi anni si è prodotta la convergenza di una serie di soggetti e culture di ispirazione laica e religiosa, ecologista, femminista, pacifista, che hanno formato una massa critica dalle molte anime: un “movimento dei movimenti” variamente appellato, dal “popolo di Seattle” ai “no global” e “new global”. Esploso a dieci anni dalla fine della guerra fredda e nelle regioni più favorite del pianeta, dopo una lunga e sotterranea maturazione dalle fondamenta stesse del modello socio-economico vincente che lo rende capace di usarne gli strumenti, questo movimento rappresenta per ragioni culturali e generazionali una critica nuova, una realtà e una speranza, ed esprime elaborazioni e proposte, non tutte omogenee, tra cui ci sono elementi essenziali per affrontare in modo nuovo i problemi attuali del mondo a parte dalla “tobin tax”, alle idee per inserire equità e solidarietà nei rapporti di scambio, all’azzeramento del debito, alla richiesta di democrazia e partecipazione contro il dominio dei pochi. 41 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI alcune note di analisi e di proposta volte a suggerire – sulla base della tendenza già indicata nel primo congresso aSsociativo – i possibili punti di riferimento per una nuova proposta politica. Si tratta di note – stese da un gruppo di lavoro indicato dalla presidenza nazionale dell’ARS dopo discussione sugli indirizzi di fondo - aperte alla critica e al contributo non solo delle associazioni ARS liberamente costituitesi, ma anche di tutte le persone, i gruppi, le tendenze che si considerino interessate alle idee che avanziamo. NOTE PER LA DISCUSSIONE CONFLITTI E OPPORTUNITÀ NEL MONDO, LE IDEE DELLA SINISTRA 1 - LA GUERRA La vittoria degli Usa e dei suoi alleati nella guerra attuale e in quelle minacciate avrà come effetto l’aggravamento e non la risoluzione dell’abisso che separa ricchezza e povertà, sviluppo e sottosviluppo, potenza dei pochi e sottomissione dei molti. La certezza della propria forza e la esibizione della violenza potranno forse attenuare le ansie dei paesi ricchi, ma non renderanno il mondo né più giusto né più sicuro. Le contraddizioni aperte dalla globalizzazione selvaggia si acuiranno ulteriormente. La violenza barbara scatenata l’11 settembre aveva bisogno di una risposta che unisse tutte le nazioni in un’opera di polizia internazionale e contemporaneamente in una azione di radicale modificazione dei rapporti tra nord e sud del pianeta. Le organizzazioni terroristiche, che per loro natura fanno parte della politica occulta, traggono la possibilità di conquistare le menti dei propri seguaci da drammatiche frustrazioni nazionali e sociali, oltre che dalla clamorosa ingiustizia nella ripartizione dei beni della terra, fino alla più spaventosa miseria diffusa in interi continenti. 2 - IL DISCRIMINE DELLA PACE La pace rappresenta un valore supremo e un discrimine determinante. La volontà di pace, il rifiuto della guerra come metodo di soluzione delle controversie internazionali, non sono un criterio da usarsi solo nei giorni facili. La non vio- lenza va considerata scelta normativa fondante dell’agire politico. In ogni circostanza la ricerca di metodi che rifiutino la guerra è un dovere, eludere il quale è inaccettabile. Ciò non significa che debba mancare la risposta agli aggressori o che si debba stare inerti di fronte alla violazione dei più elementari diritti umani. Ma le reazioni alla violenza aggressiva contro singoli, comunità, stati, devono essere commisurate alla finalità di non creare nuova violenza e non essere assunte in modo unilaterale. Alla barbarie del terrorismo e della guerra e al rischio di una militarizzazione globale che lede gli stessi principi dello stato di diritto va contrapposto un nuovo diritto internazionale. Il fatto che l’Onu sino a oggi non sia riuscita a acquisire l’autorità necessaria e che anzi si sia di fronte a una sua crisi richiede tanto di più che proprio a questo livello si sviluppi l’impegno per la riforma e il rilancio dell’unica sede istituzionale sovranazionale che può costituire la base legale accettabile anche per l’uso della forza per scopi di polizia e per la difesa dei diritti umani. La promozione dei diritti umani deve essere perseguita attraverso un’opera di elevamento delle condizioni di vita di eguaglianza giuridica, giustizia sociale, informazione culturale, attraverso l’equità nel rapporto tra i popoli, le nazioni, gli stati. Una CGIL più forte, nel contesto del buon risultato conseguito, come anzi detto, con CISL e UIL, significa la voglia e la necessità che rappresentano i lavoratori e le lavoratrici di un sindacato unitario fondato e rispettoso, però, sulle e delle regole di democrazia, della rappresentanza e della rappresentatività, del mandato come, purtroppo, non sempre colto dalle altre organizzazioni confederali (si vedano le firme separate per il CCNL dei metalmeccanici, le intese separate con il sindaco Albertini a Milano e via elencando). Vogliamo e dobbiamo cogliere quindi il giusto significato ed il giusto peso di questi risultati da utilizzarsi, una volta di più, anche come rinnovato sostegno perché il Parlamento vari l’attesa Legge sulla rappresentanza e rappresentatività che affermerebbe queste regole di democrazia in tutto il mondo del lavoro, lo voglia o meno Confindustria, lo voglia o no il governo Berlusconi. * segretario regionale sindacato CGIL FP 3 - LA CRISI DEL MODELLO VINCENTE Il modello di sviluppo capitalistico, fondato sulla crescita produttiva illimitata e indiscriminata, proposta come unica soluzione della povertà e delle disuguaglianze sociali, di fatto sempre più si dimostra impotente di fronte a questi drammatici problemi. Un’impotenza in nessun modo corretta dal processo di globalizzazione in atto. In realtà – come ormai da molti viene riconosciuto – le disuguaglianze tra ricchi e poveri vanno costantemente accentuandosi, non solo in ambito internazionale, ma all’interno stesso dei paesi più ricchi, mentre si aggrava in misura sempre più minacciosa il dissesto dell’ambiente, fino a mettere a rischio la continuità della vita sulla Terra. Le società consumistiche del desiderio e della competizione alimentano il benessere materiale, ma anche gravi fenomeni di alienazione, disperazione e violenza. La regola di fondo è la dura selezione dei “più forti”, grazie anche a meccanismi sociali e simbolici che inducono i “perdenti” 40 settembre / dicembre 2001 9 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI DOCUMENTI Congresso Provinciale Partito dei Comunisti Italiani - Taggia La prospettiva comunista di Enrico Revello * Per quasi cinquant'anni, fra il 1945 e il 1989, un incalcolabile numero di italiani si era riconosciuto nel Partito Comunista Italiano. In ogni militante si poteva ritrovare il segno di una passione, di un percorso, di una sfida; di qualcosa, insomma, che somigliava davvero a “una scelta di vita”. Una presenza così estesa aveva condizionato per mezzo secolo la storia italiana, trasformandola in un caso senza eguali: ne rimasero coinvolte non soltanto la politica o le istituzioni, ma gli stili sociali, i gusti, la morale pubblica e privata. Dirsi comunista identificava, prima dell'appartenenza ideologica, un carattere e un modo di essere. Implicava un rapporto totale, di lotta e di speranza, con il presente e con il futuro, suggeriva una diversità personale sentita come un irrinunciabile tratto di sé. Era una età nella quale sembrò possibile a gruppi sociali organizzati di modificare radicalmente il corso della storia: una età che appare ora il frutto di un momento remoto, separato da noi. Invero siamo noi ad essere separati da noi stessi, perché la realtà che ci circonda rappresenta la sconfitta del mondo che immaginammo. In Italia, dopo la vittoria conseguita dalla destra, è in atto una fortissima offensiva neo-liberista: meno Stato, riduzione delle imposte dirette gravanti sulle cosiddette “forze vıve del paese” e aumento della pressione fiscale indiretta, ulteriore spostamento della ripartizione dei redditi a favore dei profitti e a danno dei salari; libera circolazione dei capitali, riduzione del costo del lavoro e ricorso facilitato alle forme di occupazione atipica. Le misure fiscali adottate dal governo Berlusconi sono essenzialmente a favore delle grandi imprese e delle famiglie con consistenti patrimoni, e rappresentano, dunque, una palese violazione del principio costituzionale della capacità contributiva. È già stata preannunciata, inoltre, l'introduzione di una sostanziale libertà di licenziare, realizzata mediante l’abolizione dell'obbligo di reintegrazione del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, sostituito dalla semplice misura economica di alcune mensilità di retribuzione. Con la conseguenza che verrebbe annullata in via generale la “stabilità” nei rapporti di lavoro e verrebbe ad essere monetizzato un diritto di rilevanza costituzionale, in una prospettiva che rimette sostanzialmente alle parti del rapporto di lavoro una piena “libertà” di contrattazione e che è inevitabilmente preordinata ad emarginare il ruolo del sindacato e, più in generale, dello Stato nei rapporti sociali. Si vuole realizzare, in definitiva, un tipo di società individualistica, lontana anni luce dai principi di uguaglianza e solidarietà cui si ispira la Costituzione vigente. Nell'ultima campagna elettorale si è discusso delle questioni più disparate. Solo un tema è rimasto ai margini del confronto politico: il lavoro. Fra le forze politiche del centrosinistra, in particolare, è mancata la rappresentanza politica degli interessi del mondo del lavoro, sia dei lavoratori dipendenti, oggi così disarticolati rispetto al passato, sia dei lavoratori autonomi. D'altra parte, dopo vent'anni di dibattiti, polemiche, critiche ai partiti di massa, di prospettive di partito democratico, leggero, americano, è del tutto logico che i partiti di sinistra abbiano smarrito il radicamento sociale. Viceversa, con diverse modalità, Forza Italia, Alleanza Nazionale, Lega Nord si sono in questi anni insediati profondamente sul territorio dando vita a strutture efficaci, pesanti, a moderni partiti di massa di destra. È così che hanno conquistato l'egemonia su ampie fasce sociali. È così che hanno vinto le elezioni. 10 settembre / dicembre 2001 ASSOCIAZIONE PER IL RINNOVAMENTO DELLA SINISTRA Secondo Congresso Nazionale Una nuova proposta a sinistra * PREMESSA UN VUOTO POLITICO DA COLMARE Il secondo congresso dell’ARS si svolge in un momento politico denso di rischi involutivi: esso esige una ridiscussione della funzione che l’Associazione può assumere, in concorso con altri, di fronte a una situazione interna e internazionale sempre più preoccupante. L’attacco terroristico dell’11 settembre e la risposta di guerra hanno determinato una svolta che porta con sé il rischio di estendere e rendere endemico il conflitto bellico e di determinare ulteriori restringimenti degli spazi democratici. In Italia si vanno consolidando indirizzi e forme di governo da parte delle destre tendenti a instaurare, con lo stravolgimento dei valori costituzionali, un assetto istituzionale, giuridico, economico e sociale di tipo autoritario, volto a cancellare conquiste democratiche fondamentali, e concepito per rendere più difficile l’azione per l’affermazione dei principi di libertà, giustizia sociale, uguaglianza di fronte alla legge. Il centrodestra trae vantaggio dalla crisi che perdura e si accentua nel centrosinistra, e innanzitutto nella sinistra moderata. Nel suo complesso la sinistra viene ribadendo, da opposti punti di vista, gli orientamenti ripetutamente sconfitti nelle elezioni con la perdita di milioni di voti. Un’area estesa di opinione di sinistra, organizzata in una molteplicità di forme o del tutto dispersa, non si riconosce nelle linee delle attuali forze politiche della sinistra. La coalizione al governo non può essere battuta senza una ripresa di senso e di forza della sinistra, che si è dimostrata con la sconfitta elettorale la parte più fragile dell’alleanza. Ciò chiede idee e politiche del tutto diverse da quelle sin qui seguite e una pratica politica nuova, basata sul coinvolgimento costante nell’azione, lo scambio, l’analisi e l’elaborazione e la partecipazione alle scelte. L’Associazione, che ha visto per tempo l’avanzare della crisi e della sconfitta delle sinistre, non può più limitarsi a una funzione di stimolo critico e di approfondimento culturale, anche se entrambi queste attività vanno continuate e incrementate. Essa deve proporsi di contribuire alla costruzione, discutendo con tutti i singoli e tutte le realtà associative disponibili, di un movimento politico che colmi il vuoto che si è aperto a sinistra: un movimento che, ispirandosi a una visione critica e alternativa della società, esprima tuttavia una attitudine al governo, e agisca così anche per ricreare le condizioni di un riavvicinamento tra le sinistre. Le differenze nelle posizioni emerse a sinistra e nel centrosinistra sulla questione della guerra rendono difficili forme di omogeneità e di piena cooperazione. Ciò non toglie che un dialogo sia possibile, senza che siano riprodotte vecchie logiche di contrapposizione e inimicizia. Uno dei compiti del nuovo movimento che vogliamo contribuire a far nascere è favorire l’incontro con tutti coloro, singoli e associati, che avvertono l’esigenza di una tale iniziativa politica, capace di dare rappresentanza all’area di sinistra che oggi ne è priva. Nel contempo è necessario porsi l’obiettivo della costruzione di una nuova “coalizione democratica”, che coinvolga tutte le forze di sinistra e del centro che si oppongono all’attuale maggioranza e alla politica del governo della destra. Una coalizione che si collochi oltre l’esperienza ormai in crisi dell’Ulivo, che costituisca nello schieramento e nei programmi un’alternativa efficace per reggere la gara per il governo del paese. La forma sin qui assunta dalla coalizione è palesemente in difficoltà e va dunque ridiscussa al fine di rendere possibile, su una seria base programmatica, la più vasta estensione delle alleanze, innanzitutto a sinistra. Per aprire la discussione sulla possibilità di dare vita a un movimento politico abbiamo elaborato 39 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI questi scritti. Certamente - egli sottolinea - la politica dei comunisti italiani era una politica gradualista, fondata sul rispetto delle regole e dello spirito della democrazia e rivolta a realizzare, nel quadro di uno sviluppo democratico, sia sostanziali conquiste di libertà sia più avanzate condizioni sociali a vantaggio dei lavoratori e in generale della parte più povera della popolazione. In effetti quel tanto o quel poco di “Stato sociale” che si è realizzato in Italia fu anche e forse innanzitutto - oggi possiamo ben dirlo opera dei comunisti: sia attraverso le conquiste dei movimenti di massa e delle battaglie nel paese da essi promosse, sia condizionando i governi con l’opposizione in Parlamento, sia promuovendo la crescita culturale, lo sviluppo di più avanzati orientamenti di massa, un impegno ideale che è sempre momento essenziale della lotta per l’egemonia. Ma se nella lotta condotta dai comunisti italiani per lo sviluppo democratico e per conquistare strutture di equità sociale che mutassero sostanzialmente le condizioni dei cittadini e dei lavoratori c’è un’indubbia analogia con l’esperienza più avanzata compiuta dai partiti socialisti dell’Occidente negli anni cinquanta, sessanta, settanta, è altrettanto vero che nell’esperienza del comunismo italiano vi è anche una differenza sostanziale, che Natta nell’Introduzione ai Discorsi parlamentari di Togliatti mette bene in evidenza riprendendo un brano fondamentale della relazione del vecchio leader comunista al X Congresso del 1962. Sottolinea cioè che «la classe operaia, quando è giunta ad avere la forza numerica organizzata, le capacità sindacali e di movimento politico che ha oggi in un paese come l’Italia tende ad affermare il suo potere in forme assai più complesse e articolate ma anche più efficaci: lo afferma difendendo gli istituti della democrazia anche parlamentare, rivendicando le autonomie regionali e locali, combattendo per delle riforme sostanziali, avanzando proposte nuove di sviluppo del paese e forme di democrazia diretta». In sostanza in questo brano di Togliatti che Natta riprende indicandolo come essenziale per comprendere l’esperienza dei comunisti italiani - l’accento è posto su una concezione della DOCUMENTI politica che mette in primo piano l’organizzazione della presenza democratica in tutti i momenti della vita del paese: una presenza organizzata di massa che diventa come condizione per la difesa e l’avanzamento della democrazia e per uno spostamento dei rapporti fra i ceti e le classi a favore di una prospettiva di rinnovamento politico e sociale. È questo il fatto decisivo che spiega come l’opera dei comunisti abbia segnato profondamente la vita della democrazia italiana sino agli anni ottanta: da un lato facendo da argine ai pericoli di involuzione, alle minacce occulte, all’offensiva del terrorismo, d’altro lato favorendo invece una crescita non solo politica, ma sociale e civile dei lavoratori e dell’intero paese. Se si tiene conto di questo ruolo svolto dal Pci per tanti anni è facile rendersi conto del perché la svolta della Bolognina, avendo eliminato il nome del partito ma senza fare i conti veramente con l’esperienza comunista, coi suoi valori positivi, coi suoi limiti, coi suoi errori, abbia sostanzialmente finito coll’interrompere una tradizione - segnando una frattura rispetto a un’esperienza politica che aveva rappresentato una ricchezza per la democrazia italiana - ma senza recuperare quel grande patrimonio democratico che il Pci aveva accumulato e disperdendo invece forze ed energie: una dispersione tanto più grave perché, al tempo stesso, mancava la capacità di acquisire nuovi consensi provenienti da altri settori della sinistra e in generale dalla tradizione democratica italiana. Proprio in questa incapacità di fare i conti con la questione comunista, ossia con ciò che l’esperienza comunista aveva rappresentato nella storia italiana (e non con la caricatura di un Pci modellato sull’esempio sovietico, come anche tanti dirigenti del Pds e dei Ds hanno finito col raffigurare parlando del loro passato il loro passato) sta la ragione prima del progressivo deperimento della forza organizzata del Pds e dei Ds: un deperimento che l’andata al governo non ha compensato, anzi – per il modo in cui questa esperienza di governo è stata vissuta – ha alla fine aggravato. 3) Conviene a questo punto – prima di parlare dell’ultimo decennio – dire qualcosa sull’espe 38 settembre / dicembre 2001 La Sinistra, invece, ha smarrito 1’immagine di forza più coerente, moralmente integra, portatrice di valori conosciuti e condivisi, è apparsa divisa e smarrita, senza un un'idea forza, un chiaro e autonomo progetto di trasformazione per quanto condizionato dall'alleanza col centro. Si è così aperto un vuoto nella rappresentanza sociale, da cui derivano disaffezioni ed astensioni di massa. È un processo che si manifesta a conclusione di un decennio in cui si è andati dalle suggestioni del socialismo liberale alla rottura con la storia dei Comunisti in Italia, alla progressiva mortificazione politica del mondo del lavoro, alla ricerca di nuovi riferimenti storici e ideali esterni alla cultura del popolo della Sinistra. La crisi culturale e politica della Sinistra non ha coinciso con l’avvento di idee nuove e vincenti, provenienti da altre tradizioni culturali, ma solo con il venir meno di un confronto dialettico tra posizioni diverse che ha lasciato il campo ad un liberismo datato, i cui limiti teorici e pratici vengono ignorati da chi è bisognoso di sostituire certezze più “moderne” a quelle andate deluse. La definizione di un quadro analitico e progettuale completo e convincente, da adottare come guida all'azione della Sinistra, è oggi più che mai necessaria, anche per non cadere, più o meno inconsapevolmente, nell'errore di attribuire alla “innovazione” e alla “modenizzazione” la dignità di scelte politiche, quando si tratta evidentemente solo di sagge modificazioni gestionali. Che all'interno del pensiero della sinistra esistano divergenze anche profonde è un elemento costante della storia politica degli ultimi due secoli. È invece allarmante il fatto che la linea di frontiera tra progressismo e conservatorismo stia diventando sempre più confusa. Mentre il pensiero conservatore, coerente col suo modo di intendere la politica, ha costruito ideologie di comodo per la difesa di interessi precisi, alcuni teorici progressisti, attratti dalle argomentazioni del pensiero conservatore, pretendono di costringere 1’impostazione politica nell'ambito di tali ideologie. Ciò nasce dalla scelta, compiuta ormai da buona parte dei dirigenti della Sinistra, di archiviare le proprie convinzioni di base, le proprie discriminanti e soprattutto la propria scala di valori. Da ciò deriva che la distinzione tra sinistra e destra ha smesso per qualcuno, di avere senso, e la politica progressista si è trasformata, per conseguenza, in una politica esclusivamente pragmatica, dove non solo si abbandona, ma si respinge qualsiasi ipotesi di socialismo, vale a dire anche l’idea che la società capitalistica in cui viviamo possa essere trasformata in una società diversa, dove gli attuali rapporti sociali fondati sul dominio del capitale appaiono immutabili e definitivi. E la rinuncia all'idea del cambiamento e della trasformazione è addirittura considerata una conquista. In questo mutamento radicale di prospettiva vengono cancellate le classi sociali, e, come ha scritto di recente un autorevole esponente della sinistra, essendo le classi “inesistenti”, la politica (come il fast food) diventa un “servizio alla persona”. Ma questa linea di pensiero non spiega perché, se le classi sociali sono solo una invenzione dei marxisti, tutti i fucili sono puntati contro le postazioni che i salariati hanno conquistato in questo secolo. I Comunisti Italiani si propongono di contrastare l'attuale concezione della politica ridotta a pura mediazione di interessi, senza più discriminanti di fondo, senza più principi e valori non negoziabili. La politica per noi è protagonismo, partecipazione, coinvolgimento dei soggetti che intendono determinare il proprio futuro e che respingono una concezione ed una pratica che, purtroppo, va sempre più diffondendosi: la politica come autopromozione, come carrierismo e personalismo. Idealità e passione per noi devono andare di pari passo con il “saper fare”, l'agire quotidiano nella realtà data e concreta dei fatti a partire dalla valorizzazione di quello che di positivo è stato fatto nelle esperienze di governo della Sinistra evitando, come purtroppo accaduto in alcune “regioni rosse”, di smantellare o svendere quelli che si potrebbero definire i “gioielli di famiglia” in nome di una adesione ad un liberismo del tutto ideologico. In questa prospettiva, una prospettiva comunista che intendiamo vivere “da comunisti”, ribadiamo il carattere strategico e non tattico del Partito. 11 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI I Comunisti Italiani intendono svolgere un ruolo nel Paese e nella scena politica che non sia di mera transizione verso qualcosa “d'altro”, un ruolo che non deve e non può essere considerato come temporaneo e strettamente legato alla fase politica dell'oggi, ma piuttosto un ruolo permanente, stategico, che possa giocare, con modestia e senso delle dimenIsioni, attivamente all'interno della Sinistra italiana e dell'intero schieramento democratico. Il Partito dei Comunisti Italiani, pur nella consapevolezza dei suoi attuali limiti, vuole intraprendere ma battaglia politico-culturale, perché la caduta delle ipotesi anticapitalistiche storiche non porti all'appiattimento sull'esistente. Siamo infatti convinti che il capitalismo non sia la fine della storia. L'analisi critica dei suoi limiti e la ricerca del suo superamento continuano a trovare nel pensiero di Marx insegnamenti tuttora fondamentali. Compito dei Comunisti è dare a questi insegnamenti, contenuti e valori attuali. La nostra linea generale si fonda sul presupposto che si possono studiare, sperimentare e costruire soluzioni “alternative” a quella capitalistica. L'ideologia dominante non può essere sconfitta attenuando, nascondendo, camuffando i propri ideali ed attestando i propri traguardi su posizioni sempre più arretrate, fino ad annullare ogni differenza. Sarebbe segno di ottusità suicida convincersi che obiettivo generale della Sinistra sia sostituire al socialismo un progressismo senza connotati: è necessario invece restaurarne i fondamenti ideali, culturali e politici, in un progetto rivolto al futuro, dotato di strumenti atti a interpretare la modernità. Questo significa che la Sinistra deve avere la capacità di studiare ed elaborare proposte ed iniziative concrete. Solo a partire dall'esperienza e dallo sviluppo di queste elaborazioni potrà cominciare a delinearsi un orizzonte di superamento del capitalismo. DOCUMENTI In questa situazione, oggettivamente difficile, i mezzi a nostra disposizione sembrerebbero insufficienti a condurre un'azione politica efficace e continuativa Dobbiamo, invece, essere capaci di tradurre le competenze, i saperi e le culture presenti all'interno del nostro Partito in azione politica diffusa. Ciò richiede a tutti i nostri militanti uno sforzo straordinario di analisi della realtà circostante, di iniziativa politica, di presenza sul territorio, di rapporto con le realtà sociali e con le associazioni. Un compito difficile che potremmo facilmente eludere per non patire delusioni, sconfitte, amarezze. Potremmo, ma non è la strada che abbiamo scelta. Essere Comunisti oggi è, quindi, più che in passato, una scelta minoritaria: di minoranze che lavorano per un futuro di cui si ignorano le fattezze, con senso storico e duttilità poliıica, guardando alle alleanze possibili, sapendo che si tratta pur sempre di battaglie parziali. La scelta comunista è oggi più che mai, e soprattutto, una scelta morale. Perciò è scomoda e impopolare. Ma forse è l'unica veramente utile. * Segretario provinciale PdCI Dobbiamo, infine, chiederci quale sia il compito che i Comunisti Italiani devono assolvere nella nostra provincia, dove un articolato sistema di potere vede la destra occupare tutti i gangli dell'amministrazione. 12 settembre / dicembre 2001 rienza della segreteria Natta: un’esperienza molto difficile perché Natta, che praticamente aveva già scelto di ritirarsi in seconda linea nell’impegno politico attivo e di dedicarsi soprattutto agli studi, fu chiamato all’improvviso a raccogliere l’impegnativa eredità di Enrico Berlinguer in un momento carico di problemi e di incognite per il Partito Comunista. La drammatica morte di Berlinguer era sopraggiunta - come si ricorderà - al culmine di grandi lotte che avevano avuto il Pci e il suo segretario come protagonisti: in particolare la lotta contro il taglio della scala mobile deciso dal governo Craxi, contro l’istallazione degli euromissili, sulla questione morale come decisiva questione democratica): per questo, e non solo per un’ondata emotiva, la morte di Berlinguer immediatamente seguita dalla grande vittoria alle elezioni europee. Ma dietro quella vittoria c’era una situazione molto difficile: la grande stagione democratica degli anni settanta si era chiusa con un insuccesso; nella società italiana e in tutto l’Occidente spirava un vento conservatore; si avviava una grande ristrutturazione capitalistica che metteva in difficoltà la classe operaia nei singoli paesi e spostava a destra la situazione mondiale. Per questo sono molti coloro che in questi anni hanno espresso l’opinione che la sorte del Pci fosse, nel 1984, praticamente già segnata: anche perché il processo di dissoluzione dell’impero sovietico era ormai avviato. Credo si debba riconoscere che c’è qualcosa di vero in questa analisi pessimista. Però è anche vero che il Pci disponeva ancora di un grande patrimonio politico e di autorità morale: aveva il 33 per cento dei voti; era fortemente radicato nella società italiana (ancora oggi i Ds sopravvivono grazie ai punti di forza del vecchio Pci), disponeva di autorevolezza e prestigio sul piano internazionale, come dimostrano le molte testimonianze che ci ricordano che al Pci si guadava come al possibile protagonista di un “altro comunismo”. Certo, per mettere a frutto questo patrimonio ancora vigoroso, sarebbe stato necessario però - un grande processo di rinnovamento: sul piano della politica, dei programmi, della cultura, dei comportamenti. È in effetti a Natta, e agli altri compagni che con lui facevano parte della segreteria, non mancava certamente la consapevolezza di quanto fosse indispensabile un grande impegno rinnovatore. Lo stesso Natta è tornato più volte su questo tema e lo ha ripreso anche nell’ultima intervista. «Non eravamo degli sprovveduti - egli afferma infatti in questa intervista - sapevamo di dover affrontare il problema della nostra collocazione e della nostra funzione». Al riguardo, anche più analiticamente, si era già espresso nel suo intervento di due anni prima all’assemblea costitutiva dell’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra di Imperia (e ringrazio Torelli per avermi fornito questo testo). «Noi sapevamo già negli anni ottanta egli disse in quell’occasione - che per far fronte allo sviluppo impetuoso e offensivo del capitalismo su scala mondiale e in tutti i campi, nella tecnologia, nell’industria, nelle armi, nelle idee e nel costume, non erano sufficienti il campo e il sistema del comunismo sovietico, nemmeno se fosse riuscito il tardivo e arduo tentativo di riforma di Gorbaciov, e sapevamo che non bastavano gli orientamenti e le idee della socialdemocrazia e di altre forze progressiste. Ma il fatto è che noi (mentre altri, come Craxi, si erano già arresi al neoliberismo) non siamo stati in grado, prima e dopo la scomparsa di Berlinguer, di ripensare e riformare un progetto socialista». Perché ci fu questa incapacità? Senza dubbio la causa va ricercata in difficoltà oggettive come in debolezze soggettive dell’intera sinistra, non solo italiana, come i fatti chiaramente dimostrano. Ma ci sono due fattori che più specificatamente limitarono il tentativo di rinnovamento avviato dal Partito comunista italiano. Il primo fu un fattore internazionale: fu l’effetto bifronte del tentativo di Gorbaciov. Da un lato esso confermava - per riconoscimento dello stesso protagonista - la validità delle critiche e delle proposte del Pci. Però, ancora una volta, quel tentativo riproponeva l’illusione di una riformabilità della società sovietica, e contribuiva perciò a ritardare quel più radicale distacco dell’esperienza di quella società, che era invece assolutamente indispensabile. 37 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI questi scritti. Certamente - egli sottolinea - la politica dei comunisti italiani era una politica gradualista, fondata sul rispetto delle regole e dello spirito della democrazia e rivolta a realizzare, nel quadro di uno sviluppo democratico, sia sostanziali conquiste di libertà sia più avanzate condizioni sociali a vantaggio dei lavoratori e in generale della parte più povera della popolazione. In effetti quel tanto o quel poco di “Stato sociale” che si è realizzato in Italia fu anche e forse innanzitutto - oggi possiamo ben dirlo opera dei comunisti: sia attraverso le conquiste dei movimenti di massa e delle battaglie nel paese da essi promosse, sia condizionando i governi con l’opposizione in Parlamento, sia promuovendo la crescita culturale, lo sviluppo di più avanzati orientamenti di massa, un impegno ideale che è sempre momento essenziale della lotta per l’egemonia. Ma se nella lotta condotta dai comunisti italiani per lo sviluppo democratico e per conquistare strutture di equità sociale che mutassero sostanzialmente le condizioni dei cittadini e dei lavoratori c’è un’indubbia analogia con l’esperienza più avanzata compiuta dai partiti socialisti dell’Occidente negli anni cinquanta, sessanta, settanta, è altrettanto vero che nell’esperienza del comunismo italiano vi è anche una differenza sostanziale, che Natta nell’Introduzione ai Discorsi parlamentari di Togliatti mette bene in evidenza riprendendo un brano fondamentale della relazione del vecchio leader comunista al X Congresso del 1962. Sottolinea cioè che «la classe operaia, quando è giunta ad avere la forza numerica organizzata, le capacità sindacali e di movimento politico che ha oggi in un paese come l’Italia tende ad affermare il suo potere in forme assai più complesse e articolate ma anche più efficaci: lo afferma difendendo gli istituti della democrazia anche parlamentare, rivendicando le autonomie regionali e locali, combattendo per delle riforme sostanziali, avanzando proposte nuove di sviluppo del paese e forme di democrazia diretta». In sostanza in questo brano di Togliatti che Natta riprende indicandolo come essenziale per comprendere l’esperienza dei comunisti italiani - l’accento è posto su una concezione della DOCUMENTI politica che mette in primo piano l’organizzazione della presenza democratica in tutti i momenti della vita del paese: una presenza organizzata di massa che diventa come condizione per la difesa e l’avanzamento della democrazia e per uno spostamento dei rapporti fra i ceti e le classi a favore di una prospettiva di rinnovamento politico e sociale. È questo il fatto decisivo che spiega come l’opera dei comunisti abbia segnato profondamente la vita della democrazia italiana sino agli anni ottanta: da un lato facendo da argine ai pericoli di involuzione, alle minacce occulte, all’offensiva del terrorismo, d’altro lato favorendo invece una crescita non solo politica, ma sociale e civile dei lavoratori e dell’intero paese. Se si tiene conto di questo ruolo svolto dal Pci per tanti anni è facile rendersi conto del perché la svolta della Bolognina, avendo eliminato il nome del partito ma senza fare i conti veramente con l’esperienza comunista, coi suoi valori positivi, coi suoi limiti, coi suoi errori, abbia sostanzialmente finito coll’interrompere una tradizione - segnando una frattura rispetto a un’esperienza politica che aveva rappresentato una ricchezza per la democrazia italiana - ma senza recuperare quel grande patrimonio democratico che il Pci aveva accumulato e disperdendo invece forze ed energie: una dispersione tanto più grave perché, al tempo stesso, mancava la capacità di acquisire nuovi consensi provenienti da altri settori della sinistra e in generale dalla tradizione democratica italiana. Proprio in questa incapacità di fare i conti con la questione comunista, ossia con ciò che l’esperienza comunista aveva rappresentato nella storia italiana (e non con la caricatura di un Pci modellato sull’esempio sovietico, come anche tanti dirigenti del Pds e dei Ds hanno finito col raffigurare parlando del loro passato il loro passato) sta la ragione prima del progressivo deperimento della forza organizzata del Pds e dei Ds: un deperimento che l’andata al governo non ha compensato, anzi – per il modo in cui questa esperienza di governo è stata vissuta – ha alla fine aggravato. 3) Conviene a questo punto – prima di parlare dell’ultimo decennio – dire qualcosa sull’espe 36 settembre / dicembre 2001 2° Congresso Ds - Federazione di Imperia Imperia, 3 - 4 novembre 2001 Per tornare a vincere di Mauro Torelli * «Non ho difficoltà a sostenere che non trascorreranno i tre anni statutari per il prossimo congresso. Le contraddizioni, chiare per chi vuol vedere, esploderanno nel giro di poco tempo». Questo è un passo dell’intervento conclusivo che ho tenuto nel dicembre del 1999, al primo congresso federale del Ds di Imperia, per conto della mozione della “Nuova sinistra”. E non è ironia della sorte se insieme al compagno Pettinari, che allora intervenne a sostegno della mozione Veltroni-D’Alema, oggi abbiamo entrambi sottoscritto la mozione “Per tornare a vincere” e insieme abbiamo condotto la campagna congressuale chiedendo adesioni ad essa. Le contraddizioni politiche interne e internazionali si sono celermente acuite. Il precedente congresso si era svolto pochi mesi dopo le drammatiche vicende del Kosovo e all’indomani del fallimento dei lavori dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) a Seattle. La nostra assise odierna si tiene avendo alle spalle le grandiose e tragiche giornate di Genova dello scorso luglio dove, in occasione dell’incontro del G8, un enorme movimento ha riproposto, su scala più ampia e matura, le problematiche già evidenziate a Seattle e dopo le esperienze di Nizza, Goeteborg, Porto Allegre e Praga, e nel pieno dramma della guerra in Afghanistan dopo i tragici avvenimenti accaduti a New York e Washington l’undici settembre scorso e il voto del Parlamento italiano a favore della partecipazione diretta del nostro paese alle azioni militari. Ho riletto nei giorni scorsi l’intervento congressuale che ho svolto due anni or sono e ho riscontrato in esso problematiche attuali come la globalizzazione, la pace e la guerra, la sorte del Ds e il futuro della sinistra, l’esperienza dei governi dell’Ulivo e le difficoltà della concertazione. Un congresso straordinario si è reso necessario per affrontare finalmente i motivi di fondo che hanno determinato i gravi insuccessi elettorali (le elezioni regionali del 2000 e quelle politiche del 13 maggio di quest’anno dopo i ripetuti cambi di governo e di presidenti del Consiglio dell’Ulivo), i limiti seri nella politica delle alleanze e il venir meno della chiarezza strategica. In questi mesi abbiamo operato per la ricomposizione di forze a sostegno della mozione “Per tornare a vincere”. Questo processo, in provincia di Imperia, per la verità era iniziato ancora prima dell’indizione del congresso. I dati, emersi dai congressi delle sezioni, testimoniano l’importante risultato ottenuto in provincia di Imperia dalla mozione che rappresento che con il 48,1 per cento dei voti, colloca la nostra federazione tra quelle che hanno raggiunto i livelli più elevati in Italia e insieme al 56 per cento ottenuto dalla mozione Berlinguer in provincia di Savona, contribuisce al notevole risultato ligure, ben oltre la media che si sta delineando a livello nazionale. Nel Ponente ligure, sul territorio che configura il collegio senatoriale, la mozione “Per tornare a vincere” ha ottenuto la maggioranza dei consensi. Nell’ambito del positivo risultato provinciale spicca il primato ottenuto dalla nostra 13 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI mozione nella città di Imperia e degno di menzione anche il plebiscitario risultato di Santo Stefano al Mare. Lo sviluppo del dibattito nazionale ha evidenziato due questioni su cui occorre ritornare in quanto esse sono state affrontate in modo insufficiente, quando addirittura non se ne è fatto menzione. Mi riferisco allo sviluppo inquietante della guerra afgana, con problemi complessi connessi e al nuovo processo costituente che Fassino prospetta per l’unità riformista quale approdo di una “rilettura” di tangentopoli. La tematica della pace e della guerra e la necessaria lotta al terrorismo sono un discrimine centrale nella vita di un partito e su ciò vanno dette parole chiare. Il terrorismo è contrario agli interessi della sinistra in quanto favorisce la limitazione dei diritti e della democrazia. La conseguente militarizzazione dell’economia e della società è contro chi non ha potere. Il terrorismo ha in sé elementi caratterizzanti come la gerarchia e la segretezza che sono antagonistici rispetto alle conquiste del pensiero democratico, cui è approdata la sinistra europea. Il dibattito su tali questioni non può non affrontare il problema del relativismo etico, vale DOCUMENTI a dire il rapporto tra i fini e i mezzi adoperati per raggiungerli, che debbono essere sempre coerenti: un fine buono non può essere raggiunto con metodi e strumenti non buoni. Rifiutare i bombardamenti in Afghanistan è coerente con tali considerazioni. Questa scelta ha il pregio, tra l’altro, di porsi in sintonia con i forti movimenti, prevalentemente di giovani, emersi a Genova e ad Assisi, movimenti che, pur nella pluralità dei punti di vista, hanno un comune denominatore nel richiedere il primato del diritto a livello mondiale, un riequilibrio dei poteri tra classi, stati ed economie, vale a dire una forte spinta alla democratizzazione della vita sociale e politica, significa essere parte di quell’ampio movimento di forze che nel mondo si battono per più giustizia, eguaglianza e solidarietà e inoltre vogliono limitare e quindi sconfiggere le forze del fondamentalismo. Tali opzioni ci consentono, inoltre, di essere interlocutori credibili di coloro che ritengono fondamentale il processo di unità politica dell’Europa (ma non quella fondata sul direttorio anglo-franco-tedesco!), strumento ineliminabile per garantire l’equilibrio dei poteri sopranazionali e la difesa dello stato sociale per milioni di europei. 14 settembre / dicembre 2001 non solo autonoma ma profondamente diversificata dal modello sovietico. È stato giustamente notato che nel gruppo dei più autorevoli dirigenti comunisti formatosi dopo la guerra Natta fu - senza dubbio - un togliattiano per formazione, per cultura, e per costume politico (e non certo un togliattiano in sedicesimo, come qualche attuale esponente dei Ds, che sembra aver confuso il realismo di Togliatti con il tatticismo e la manovra fine a se stessa). È significativo a questo riguardo che Natta dedichi proprio alla scelta compiuta da Togliatti subito dopo il rientro in Italia nel 1944 cioè alla svolta di Salerno, alla politica di unità democratica e antifascista, alla costruzione del partito nuovo come partito di massa profondamente radicato nelle pieghe della società (come Togliatti amava ripetere) - gran parte dell’ultima intervista che ho già citato. Osserva giustamente Natta in questa intervista che certamente quella di Togliatti era stata in primo luogo una scelta di realismo politico, perché teneva conto della presenza in Italia delle truppe inglesi e americane e della divisione del mondo in zone d’influenza che già si profilava; e anche perché nasceva dalla consapevolezza delle sconfitte quasi ovunque disastrose che negli anni fra le due guerre la classe operaia aveva subito in tutti i casi in cui aveva cercato di prendere il potere in condizioni generali in cui i rapporti di forze non le erano favorevoli. Per questo la preoccupazione fondamentale di Togliatti con la svolta di Salerno, ossia con la politica di larga intesa antifascista e di unità delle forze popolari e democratiche, fu quella di assicurare le condizioni per affermare in modo duraturo la presenza in Italia di un forte e autorevole partito comunista, evitando invece di andare incontro a una tragica esperienza come quella dei comunisti greci. Ma – osserva Natta – non si trattò solo di ragioni di realismo politico. La scelta di Togliatti tendeva anche (non faremo come in Russia, egli ribadiva non a caso con insistenza nei suoi primi discorsi in Italia) a differenziare l’iniziativa dei comunisti italiani dall’esempio sovietico. Egli conosceva bene quella realtà, sapeva che quel modello (si avverte, in questo, l’influenza della riflessione di Gramsci) non si adeguava – anche a prescindere dalle estreme degenerazioni dello stalinismo - alle condizioni e alla complessità culturale e sociale dei paesi dell’Occidente. Per questo egli si proponeva (pur senza rendere esplicita, allora, la critica all’esperienza sovietica, come invece farà in più occasioni a partire dal 1956) di costruire un partito che si basasse su un fondamento nuovo: ossia sull’unità della sinistra, sulla prospettiva di uno sviluppo democratico della società italiana, sull’impegno per la pace e per la coesistenza fra i popoli. In questo modo - osserva Natta - il “partito nuovo” crebbe rapidamente come un partito democratico di massa, sino ad occupare, in Italia, uno spazio e le funzioni che in altri paesi dell’Europa occidentale tornavano invece ad essere svolti, dopo la seconda guerra mondiale dai partiti socialisti e socialdemocratici. Ma in che senso un partito analogo alle grandi democrazie socialdemocratiche del Centro e del Nord Europa? È questo un punto da chiarire - e Natta ci aiuta a chiarirlo - perché non va dimenticato che proprio sulla tesi che di fatto il Pci era già un partito socialdemocratico si è fondata l’illusione, dopo la svolta della Bolognina, che bastasse togliere il nome “comunista” per consentire lo sviluppo di un più grande e articolato partito della sinistra italiana: mentre si è avuto il risultato di andare incontro a quel progressivo logoramento che ha portato la sinistra italiana, come è accaduto nelle ultime elezioni, al minimo storico del suo consenso elettorale. E perciò bene rileggere le pagine che Natta dedica al problema della differenza rispetto all’esperienza socialdemocratica nella introduzione ai Discorsi parlamentari di Togliatti: un’introduzione che di fatto è il frutto di una riflessione e di una verifica che riguarda anche gli sviluppi successivi alla morte nel 1964 del grande leader comunista, giacché i Discorsi furono editi alla Camera dei deputati solo nel 1984. Si tratta perciò di qualcosa di più che una premessa alla raccolta degli interventi parlamentari: è in primo luogo un saggio sulla politica complessiva dei comunisti italiani. Il tema della differenziazione rispetto all’esperienza socialdemocratica è uno dei punti fondamentali della riflessione svolta da Natta in 35 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI to tra le etnie, tra le classi, tra gli stati, non metteva neppure al sicuro dall’accendersi di una febbre terroristica che proprio le moderne tecnologie rendevano e rendono più pericolosa, come gli spaventosi fatti di New York hanno purtroppo dimostrato. Il decennio che è seguito alla svolta del ‘90-’91 è stato estremamente eloquente . Non è stato un decennio di pace, tanto meno un decennio di sviluppo economico e sociale più equamente distribuito fra tutti i popoli. Al contrario la guerra è diventata un fatto endemico, che ha toccato e tocca anche noi sempre più da vicino: prima la guerra del Golfo, poi il susseguirsi delle guerre balcaniche, in quell’area tormentata che un tempo era la Repubblica federale di Iugoslavia, e contemporaneamente il continuo rinnovarsi del conflitto tra israeliani e palestinesi e le tante guerre dimenticate che insanguinano l’Africa: e ora la guerra contro il terrorismo, che il Presidente Bush assicura che sarà lunga, aspra, cruenta. La fine della guerra fredda non ha dunque significato l’avvento di un mondo di pace. Ma anche tanti altri problemi nel corso di questi dieci anni non solo non sono stati avviati a soluzione, al contrario si sono aggravati e inaspriti: primo fra tutti il divario fra il Nord e il Sud del mondo, la condanna per miliardi di donne e di uomini al dramma quotidiano della fame e delle malattie, a condizioni di vita che sono ai limiti e troppo spesso al di sotto dei limiti della possibilità di sopravvivenza. Certo - lo sappiamo bene la miseria del Terzo e del Quarto Mondo non giustifica il ricorso al terrorismo, che al contrario fa altre vittime innocenti e aggrava tutti i problemi senza risolverne alcuno. Ma sappiamo anche che il non vedere di fronte a sé altro che un destino di miseria e di oppressione (e questa è la condizione di tanti giovani dell’Africa, dell’Asia, dell’America latina) può facilmente produrre un sentimento di disperazione e la disperazione è terreno di pascolo per il terrorismo, soprattutto quando di congiunge a un ideologia di rivincita e di contrapposizione, quale è quello del fondamentalismo islamico. Di tutto questo Alessandro Natta era consapevole e per questo non condivideva il superfi- DOCUMENTI ciale realismo ostentato da certi dirigenti dei Democratici di Sinistra e guardava con preoccupazione ai problemi del nuovo secolo. C’è un accenno molto significativo nella sua ultima intervista, tanto più se letto colla coscienza di ciò che è accaduto e sta accadendo. Ritengo, dichiara Natta all’intervistatore, che il problema di un diverso sviluppo, “il problema della sinistra e del socialismo si riproponga in pieno, in Italia e non solo in Italia, perché siamo di fronte a una realtà che non è accettabile, e quando una realtà non è accettabile, gli uomini qualcosa inventano.” Qualcosa inventano: e questo qualcosa – sono ora mie parole – può essere un impegno di lotta più efficace per realizzare un mondo più giusto; ma può anche essere, se questa speranza viene meno, la disperata follia dell’atto terroristico, può essere la folle decisione (certo organizzata da una mente criminale) di un pugno di uomini che scelgono di morire schiantandosi con gli aerei da loro guidati contro le torri di New York e provocando così altre migliaia di morti. Per questo è necessario, certamente, combattere il terrorismo: ma occorre anche rifuggire dalla rassegnata resa all’egoismo eurocentrico, da quella acritica accettazione dell’attuale tipo di sviluppo e dell’attuale assetto mondiale che ha caratterizzato anche i partiti di sinistra giunti in questi anni al governo in vari paesi d’Europa. C’è invece bisogno di una diversa risposta ai problemi mondiali; una risposta che assicuri un più equilibrato e più solidale sviluppo tra i popoli, uno sviluppo che assuma perciò come centrale il tema di un rapporto di effettiva e concreta solidarietà fra il Nord e il Sud del Mondo. È questa la strada maestra se si vuole davvero sconfiggere il terrorismo. 2) È noto che ai temi della pace, della democrazia, di un più equo sviluppo, non solo per i paesi principali dell’Occidente ma in tutto il mondo Alessandro Natta era profondamente legato: non solamente per la dura esperienza giovanile negli anni della guerra contro il nazismo, ma perché queste erano le grandi idee in base alle quali egli aveva aderito al partito nuovo che i comunisti avevano costruito in Italia dopo la caduta del fascismo e che aveva dato vita a un’esperienza 34 settembre / dicembre 2001 Noi siamo certi che il livello europeo è l’unico che può garantire codesti diritti. Il perseguimento di tali obiettivi renderà meno difficile la nostra battaglia contro le destre continentali e nazionali fautrici di politiche isolazioniste, razziste e individualiste. Se malauguratamente si affermassero le politiche della destra, si profilerebbero effetti devastanti sul nostro futuro economico, sulla qualità della democrazia, seriamente a rischio. Purtroppo i primi provvedimenti del governo Berlusconi e quelli prospettati sono preoccupanti tanto più se ricalcheranno quelli già decisi dal presidente statunitense Bush: arresti fino a una settimana senza capi d’accusa, intercettazioni senza specifici mandati dell’autorità giudiziaria, pressioni per l’autocensura delle fonti d’informazione. La strategia di un partito di sinistra, le sue finalità, l’insediamento sociale e politico di riferimento, non possono prescindere da tutto ciò. La sinistra deve battersi per promuovere lo spostamento di poteri verso classi, territori, donne e stati che attualmente ne sono privi. Tutto ciò è pregiudiziale per influire sui futuri equilibri economici, politici e sociali. Una battaglia politica e culturale diventa centrale. I recenti avvenimenti hanno rimesso in discussione la tesi, che pareva affermata, del primato del mercato e dell’attuazione di privatizzazioni generalizzate. Il 15 ottobre scorso, in un articolo comparso sul Corriere della Sera, il principale quotidiano italiano, l’economista Stiglitz, premio Nobel, ha contestato le amministrazioni degli Stati Uniti degli ultimi anni di aver privilegiato l’egoismo materiale e individuale a scapito degli interessi comuni. I fondamentalisti del mercato, denuncia l’autorevole Stiglitz, hanno voluto privatizzare la sicurezza degli aeroporti (Bush si oppone a rinazionalizzare la vigilanza per non regalare trentamila iscritti al sindacato!), hanno rifiutato l’accordo Ocse per evitare il riciclaggio di denaro sporco al fine di proteggere interessi finanziari, è stata privatizzata nel 1997 l’Usec, una struttura che tratta uranio per bombe e centrali nucleari. Tale agenzia era stata incaricata di portare fuori dalla Russia materiale nucleare risultante da vecchie testate. I nuovi proprietari hanno ricattato i contribuenti americani: si sono anteposti gli interessi di Wall Street a quelli delle popolazioni. Deve essere chiaro che a livello macroeconomico le scelte non dipendono dal mercato ma sono squisitamente di carattere politico. Le sovrastrutture burocratiche, dell’informazione e della cultura hanno il compito di costruire l’egemonia in favore delle scelte effettuate. Quando tutto ciò non è sufficiente, i poteri forti sanno esercitare il dominio in modo brutale. L’attuale crisi del ciclo economico capitalistico ripropone la necessità dell’intervento pubblico nell’economia e nel governo delle imprese strategiche, nel porre rimedio al fallimento dei fondamentalisti della privatizzazione, dei pericolosi rischi che comporta non porre argini al primato della sussidiarietà orizzontale. Del resto, è sempre più evidente che esiste una contraddizione ineliminabile tra l’anarchia del mercato e le esigenze programmatorie per uno sviluppo ambientalmente compatibile. La sinistra non può continuare a essere paladina del primato dell’impresa, ma deve ribaltare la politica economica assumendo lo sviluppo della domanda quale volano che permetterà di offrire risposte alle esigenze di piena occupazione, di miglioramento della qualità della vita per gli strati popolari. Ma il primato della domanda non può basarsi sull’illusione di un abbassamento delle tasse e delle imposte che avvantaggerebbe gli strati sociali medio-alti, senza garantire che le risorse “liberate” siano virtuose per il ciclo economico. È molto probabile che tali surplus diventino carburante per l’economia finanziaria dei soliti noti. I lavoratori e i meno abbienti hanno, al contrario, interesse a un significativo aumento 15 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI dei salari, degli stipendi e delle pensioni per recuperare, innanzitutto, il consistente fiscal-drag che si è accumulato in questi anni e inoltre l’aumento consistente della produttività che si è avuta nell’ultimo decennio. Francia e Germania sono più competitive dell’Italia pur avendo salari e stipendi mediamente più consistenti dei nostri. Quindi è ora di reagire con decisione contro chi continuamente vuole scaricare sui lavoratori e i pensionati le difficoltà del ciclo economico. Molta della politica dell’Ulivo e dei democratici di sinistra è, alla luce dei recenti avvenimenti, obsoleta e da rivedere drasticamente. La recente sentenza di assoluzione dei dirigenti del petrolchimico di Porto Marghera, (che paradossalmente fa evincere di essere in presenza di un suicidio di massa di quei poveri lavoratori!), contribuisce a minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. I ripetuti tentativi da parte della Casa delle libertà di delegittimare la Magistratura (i giudici che condannerebbero senza prove!), lo scoprimento di lapidi in onore dei combattenti di Salò e di gerarchi mussoliniani, la presentazione del libro bianco di Maroni, il sostegno del governo per una politica che favorisce i contratti separati, la rottura sindacale e l’isolamento della Cgil, le leggi sulle rogatorie internazionali, la cancellazione del perseguimento d’ufficio del reato di falso in bilancio e l’adozione delle norme sul rientro dei capitali dall’estero, la permanenza irrisolta del conflitto di interessi, costituiscono un insieme di fatti, apparentemente distanti tra loro, ma accomunati dal tentativo di formare un senso comune contrario ai principi fondamentali dello stato democratico: indipendenza della magistratura, laicità dello stato, disinteresse nell’esercizio della funzione pubblica. Populismo e annacquamento del sentimento antifascista sono ormai merce corrente nel dibattito politico italiano. Se a ciò si aggiunge il tentativo, per ora fortunatamente maldestro, di militarizzare il DOCUMENTI paese di fronte alle sconosciute prospettive che accompagnano i bombardamenti in Afghanistan, si comprende il compito enorme che deve svolgere una forza di sinistra, quale vuol essere il Ds, per contrastare la politica avventurista della Casa delle libertà, che con i suoi primi atti di governo ha già posto le premesse per trasformare il nostro Paese in un regime autoritario, populista e con tratti parafascisti. In tale contesto si svolge il nostro congresso. Voglio ricordare la nostra costante avversione alla teoria delle due sinistre, teoria nefasta che da alcuni anni accompagna la persistente divisione della sinistra. I fatti testimoniano l’erroneità, sul piano teorico e pratico, del perseguire l’obiettivo di una sinistra che reputi la partecipazione al governo come un valore in sé, come pure ritenere sufficiente la testimonianza esercitata dall’opposizione. Noi concepiamo la sinistra come una forza che, pur nell’articolazione organizzativa, ritrovi l’unità nell’essere una forza di governo già nel proporre soluzioni concrete ai diversi problemi esistenti, ma contemporaneamente nell’essere anche in grado di formulare proposte che spostino poteri a vantaggio delle classi lavoratrici e degli strati subalterni. Battersi per uno spostamento a sinistra del Ds nel suo insediamento sociale e nei suoi obiettivi politici, significa porsi come sbarramento alla deriva populistica e neoautoritaria e porre le basi per un’ampia alleanza di centro-sinistra che sia percepita ad un tempo come difesa della democrazia e alternativa alla società esistente. Non credo che la visione di Fassino sia funzionale a tale obiettivo di cambiamento, ma piuttosto appare strategicamente subalterna. Rileggere il periodo di tangentopoli, rivalutare “il coraggio craxiano”, sostenere che “bisogna trovare una soluzione politica per quella fase” vuol dire mettersi in sintonia con il progetto che a sinistra, malgrado ripetuti tentativi, non passò durante le segreterie Berlinguer e Natta. 16 settembre / dicembre 2001 Per Natta di Giuseppe Chiarante * Quest’omaggio ad Alessandro Natta, organizzato in occasione della presentazione del numero speciale della rivista Pagine Nuove del Ponente col patrocinio del Comune d’Imperia che io ringrazio vivamente anche per le parole tutt’altro che rituali pronunciate dal suo sindaco – cade in un momento che è per tutti di grande apprensione, di dolore, di allarme per i tragici eventi delle ultime settimane e per gli sviluppi in larga parte ancora indecifrabili ma certamente anch’essi drammatici che si annunciano per i prossimi giorni, forse per i prossimi mesi. La parola guerra è tornata, torna a risuonare ancora una volta da un capo all’altro del mondo. Esprimiamo la nostra condanna per il gravissimo attentato di New York e il nostro dolore per le vittime che esso ha provocato. Esprimiamo al tempo stesso la nostra apprensione per le molte altre migliaia di vittime innocenti cui potrebbe portare una rappresaglia indiscriminata. Non possiamo, più in generale, non sottolineare l’allarme per le prospettive estremamente inquietanti che caratterizzano l’apertura del nuovo secolo. Mi sembra giusto partire da qui, nel ricordare la figura e l’opera di Natta, non solo perché anche in un’occasione come questa sentiamo il dovere e la necessità di esprimere la preoccupazione che ci unisce tutti; ma perché nella drammatica situazione mondiale che stiamo vivendo, nelle tensioni che la caratterizzano, nei tanti problemi irrisolti che stanno alle radici di queste tensioni, c’è una delle ragioni di fondo che portarono Natta a non condividere il superficiale ottimismo che dopo il ‘90 -‘91 si diffuse anche in larga parte della sinistra e favorì l’adozione di scelte politiche che egli respinse considerandole sbagliate e pericolose. Ricordiamo tutti – infatti – che dopo la caduta del muro di Berlino, dopo la disgregazione del blocco dei paesi dell’Est, dopo il disfacimento della stessa Unione sovietica erano in molti a ritenere che quegli eventi in quanto ponevano fine all’epoca della guerra fredda avrebbero aperto la strada a un mondo finalmente pacificato. Ci fu addirittura chi parlò – come Fukuiana e altri lo imitarono e altri che lo imitarono – di fine della storia. Ma anche senza giungere a questi estremi, era assai diffusa l’opinione che si fossero ormai create le condizioni per un più intenso, ordinato, pacifico sviluppo mondiale, sotto le insegne del liberismo ormai trionfante e sotto la guida dei paesi del Patto Atlantico: e furono in tanti anche a sinistra ad accettare questa analisi, ritenendo di fatto inevitabile un atteggiamento subalterno all’ideologia e alla pratica liberista nelle grandi scelte di politica economica e alla supremazia del potere imperiale degli Stati Uniti nei rapporti politici mondiali. Natta non condivideva, come altri di noi, questa illusione. Il crollo dell’Unione sovietica, la caduta del movimento comunista, la crisi più generale della sinistra anche nei paesi dell’Occidente non stava a significare – egli avvertiva – che fossero venute meno le ingiustizie e le contraddizioni da cui, in Europa e nel resto del mondo, la lotta delle forze di sinistra aveva tratto ragione e stimolo. Anche la pace non era affatto assicurata. Al contrario, il dominio di un’unica potenza, al di fuori di uno sviluppo democratico caratterizzato da maggiore libertà e migliori condizioni sociali per tutti i popoli, non sanava gli squilibri che un capitalismo senza regole portava anzi ad approfondire, non eliminava le ragioni di conflit 33 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI generali, un intreccio del quale ripetutamente si scusa, ma che noi, invece, abbiamo fortemente apprezzato. In verità il programma originario prevedeva che la pubblicazione della “Lettera a Libero Nante” fosse effettuata agli inizi del 2001. Tuttavia la necessità di dedicare le forze di cui disponevamo all'impegno per organizzare la partecipazione più ampia dell'elettorato di sinistra all'importante scadenza del 13 maggio, ci fece propendere per la priorità elettorale. Programmammo, pertanto, con l'accordo di Natta, la pubblicazione della “Lettera” per il periodo immediatamente successivo alla campagna elettorale. La scomparsa improvvisa di Sandro ci ha obbligato a decidere diversamente. L'intervista rilasciata a “Il Ponte” l'abbiamo riportata integralmente in quanto si può ravvisare in essa la più aggiornata sintesi delle valutazioni politiche di Alessandro Natta. E poi il "cammeo": il colloquio-intervista avuto con Paolo Languasco e Matteo Iade, alla vigilia del 25 aprile e riportato su “Mentelocale” nel quale, riferendosi al G8, che avrebbe dovuto svolgersi a Genova pochi mesi dopo, affermava: «l'uso della forza deve essere sempre un uso intelligente, politico, se no rischia di essere un boomerang. A volte è meglio prendersi qualche bastonata che mandare in frantumi una vetrina». Segue una sezione che raggruppa articoli di compagne e compagni liguri, in prevalenza già pubblicati all'indomani della scomparsa di Sandro. In quest'ambito, accanto agli scritti di Nedo Canetti, Franca Natta, Carla Girardi Canetti e Giovanni Urbani, compaiono quelli di tre eminenti studiosi e professori universitari, Giorgio Bertone, Luigi Surdich e Vittorio Coletti (quello di quest'ultimo, “Parole di sinistra e di destra”, è inedito). La pubblicazione si completa con gli articoli di tre illustri uomini politici che sono accomunati nel rapporto con Alessandro Natta per essere stati, in diverse stagioni della vita politica, suoi compagni nella segreteria del Pci. Mi riferisco ad Aldo Tortorella, presidente nazionale dell'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra, ad Adalberto Minucci, direttore del settimanale "La Rinascita", e a Giuseppe Chiarante della presidenza nazionale dell'ARS, che con i loro contributi danno autorevolezza al nostro bimestrale. Non è mio compito parlare oltre, perché su ciò ed altro ancora è deputato il compagno Giuseppe Chiarante. Fassino punta ad un processo costituente, per la costruzione del nuovo partito riformista, che sancisce la visione delle due sinistre. Il tentativo è tanto più grave poiché sottovaluta il fallimento della politica già perseguita da D’Alema, sancisce la divisione a sinistra e quindi la indebolisce strategicamente. Le scelte della mozione Fassino peseranno negativamente sulla dura battaglia che il sindacato, e la Cgil in primo luogo, dovrà sostenere nelle settimane a venire. Nell’intervista al Foglio (25 u.s.), Fassino pone una sorta di ultimatum alle forze che partecipano all’Ulivo, sostenendo che non vi possono essere posizioni diversificate sui temi della pace e della guerra. Alla luce di ciò, non risulta pertanto chiaro quale sarà lo spazio nel Ds, in forma organizzata, delle aree che non si identificano nella politica del segretario, dopo il congresso di Pesaro. Temo che a livello nazionale si aprirà una stagione difficile per il partito e per l’Ulivo. Per quello che si riferisce alle nostre prospettive in Liguria e nella provincia di Imperia, l’affronteremo tali questioni nei successivi appuntamenti già programmati. Resta per noi in ogni modo prioritario l’obiettivo di avere un partito sul quale le nuove generazioni possano investire i loro sogni e le loro speranze di cambiamento. Un partito che sappia coniugare il meglio della tradizione della sinistra italiana comunista, socialista, laica e cattolica, con la capacità di saper interpretare in modo adeguato le novità economiche e sociali. I larghi consensi ottenuti dalla mozione “Per tornare a vincere”, offrono risorse al partito per affrontare i difficili passaggi che ci attendono nei prossimi mesi. L’ottimismo della nostra volontà non ci fa ignorare i pericoli e i rischi di implosione del partito stesso. La nostra mozione fortunatamente non è una mera testimonianza, ma un forte capitale di idee ed energie per aiutare i Ds a invertire rotta e per dotare la sinistra italiana di un partito adeguato alla sfida in atto nel nostro paese. * Intervento svolto per la mozione Ds “Per tornare a vincere” m. t. 32 settembre / dicembre 2001 17 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI XIV Congresso della CGIL di Imperia Un’iniziativa dell’ARS di Imperia Sanremo, 11 - 12 dicembre 2001 Relazione introduttiva di Claudio Porchia * Un cordiale saluto alle delegate ai delegati di questo nostro XIV Congresso ed ai nostri graditissimi ospiti, che ringraziamo per la loro presenza e per il contributo che riterranno utile portare ai nostri lavori. Con la relazione intendiamo offrire nuovi spunti per la discussione tenendo a riferimento la realtà della nostra provincia e cercando di riprendere alcuni approfondimenti del dibattito congressuale, un dibattito che è stato molto vivace e molto ricco. Dopo 151 assemblee congressuali il rischio di ripetersi è grande, come grande è il pericolo di parlare soltanto dei grandi temi senza cercare di adattare la nostra analisi alla realtà locale, quella che ci vede impegnati tutti i giorni. Dal 3 settembre ad oggi i cambiamenti e le novità sul piano interno ed internazionale sono stati tanti. E per contenere la relazione in tempi ragionevoli la scelta dei temi da trattare decisa con gli altri membri della Segreteria non è stata semplice. Alcuni importanti temi non sono sviluppati nella relazione come meriterebbero, ma sarà l’attenzione e la sensibilità del dibattito a suggerirne gli approfondimenti o colmare le carenze. EUROPA Siamo alla vigilia del Consiglio europeo di Laeken. Domani ci sarà anche la Cgil con una sua delegazione, insieme agli altri sindacati europei, alla manifestazione che si terrà a Bruxelles. La manifestazione è organizzata dalla Confederazione Europea dei Sindacati con la parola d'ordine ''L'Europa siamo noi'' e, al centro delle richieste contenute nella risoluzione adottata dal Comitato esecutivo della Ces del 10-11 otto- bre, viene posta la questione dei diritti del lavoro, umani e sociali. Per la CES, l'obiettivo è quello di giungere ad una Unione europea costruita sulla pace, sulla democrazia, sui diritti fondamentali, sulla giustizia sociale, sulla piena occupazione e lavori di qualità, sulla coesione sociale e territoriale, sulla sicurezza sociale, sui servizi d’interesse generale e sul modello sociale europeo. Anche la Federazione Europea Sindacati dei Pensionati (Ferpa) parteciperà alla Manifestazione di domani per ribadire che le persone anziane, non possono essere considerate semplici spettatori dell’unità europea: essi rivendicano il loro ruolo di protagonisti, insieme a tutti gli altri cittadini. Vogliamo sottolineare con forza il ruolo dei pensionati perché, se la rivendicazione di un ruolo di protagonisti vale in generale, vale ancora di più per la nostra provincia dove le persone anziane rappresentano una grande risorsa e opportunità per tutta la società. Al consiglio di Laeken verrà posto il problema della rappresentanza dei pensionati e delle loro organizzazioni. Ma ci sarà anche una verifica degli impegni assunti a Lisbona e a Nizza per la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale. Nel marzo del 2000, a Lisbona, si rilevò che il numero dei cittadini europei che vivono sotto la soglia di povertà e restano vittime dell’esclusione sociale era molto elevato. Si disse che non poteva essere accettato e che si doveva intervenire. Seguiremo i lavori e ne giudicheremo i risultati, nella consapevolezza della presenza del problema della povertà e dell’esclusione sociale anche nella nostra provincia, come abbiamo potuto rilevare durante la tavola rotonda di ieri. 18 settembre / dicembre 2001 Omaggio a Natta In apertura di questo incontro porgo un saluto affettuoso ad Antonella e Adele che hanno accolto il nostro invito a partecipare alla presentazione del numero speciale del nostro periodico "Pagine nuove del Ponente" quale "Omaggio a Natta". Ringrazio, altresì, il Consiglio d'amministrazione dell'Università di Imperia per averci concesso l'utilizzo dell'Aula Magna, prestigiosa sede: la scelta simboleggia il primato della cultura che vogliamo segni l'attività della nostra associazione. Come pure un ringraziamento va al Sindaco della città di Imperia che ha patrocinato l'iniziativa e al senatore Giuseppe Chiarante, della Direzione nazionale dell'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra (ARS), che terrà il discorso ufficiale. Ho l'incarico di illustrare come siamo approdati a quest'appuntamento e perché l'ARS si è assunta tale impegnativo compito. Poche parole per riassumere, innanzi tutto, chi siamo. La denominazione Associazione per il Rinnovamento della Sinistra annuncia che siamo targati. Non vogliamo essere un partito (il nostro statuto esclude la partecipazione dell'ARS alle competizioni elettorali), ma un'associazione politico-culturale che ha, tra i suoi compiti istituzionali, l'obiettivo di contribuire al rinnovamento della politica, soprattutto per ciò che concerne il miglioramento della qualità della democrazia nel nostro Paese. Il ringraziamento al Sindaco vuole rimarcare la sensibilità per aver colto il valore di crescita culturale che iniziative come la nostra possono significare, ma, in modo particolare, ha voluto sottolineare come l'opera di Alessandro Natta e la sua dirittura morale e civile siano patrimonio collettivo. Alessandro Natta è stato tra i promotori nazionali dell'ARS, un consociato dell'associazione di Imperia, un collaboratore prezioso del nostro periodico, maestro e incitatore per la crescita del movimento. Sandro, come molti, soffriva per le divisioni della sinistra, per la deriva lideristica assunta dalla politica; purtuttavia, tutto quello che si muoveva in direzione opposta veniva da lui incoraggiato. La copertina del numero speciale di “Pagine nuove del Ponente” intitolato “Omaggio a Natta”, con gli aggettivi “illuminista, giacobino, comunista”, indica come Sandro si è tratteggiato nella lettera testamento indirizzata alla figlia Antonella: ci è sembrato il titolo naturale del fascicolo. La pubblicazione comprende tre sezioni: la prima consiste nell'inedito “Lettera a Libero Nante”, nell'intervista di Natta a “Il Ponte” e a “Mentelocale”, un sito internet, quest'ultimo, di alcuni centri sociali. La “Lettera a Libero Nante” è un gioiello. In essa Sandro Natta ricorda gli onegliesi, promotori del giornale “la Lima”, fondato nel 1893 e i loro problemi di militanti socialisti e nel contempo formula considerazioni politiche 31 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI GIUSTIZIA Siamo, come dicevo prima, alla vigilia del consiglio europeo ed è stato raggiunto soltanto ieri l’accordo sul mandato di cattura europeo. Non so se la soluzione trovata rappresenti un onorevole compromesso, ma come ha scritto il “Financial Time” di due giorni fa, la vicenda ha sollevato il sospetto che “Berlusconi – cito testualmente – cerchi di cambiare il sistema per proteggere se stesso e i suoi alleati politici da nuove indagini”. Forse nel merito giuridico le obiezioni del governo italiano avevano alcuni elementi di ragione. Ma la vicenda personale del Presidente del Consiglio e il prevalere all’interno della coalizione di forze senza vocazione europeista se non addirittura contrarie, ci ha esposto e ci espone ancora al rischio di un forte isolamento in Europa. Rischiamo di pagare un prezzo in termini di immagine e credibilità del nostro paese. Dopo il discusso provvedimento sulle rogatorie e sul falso in bilancio, dopo le dimissioni del Sottosegretario Taormina, in tema di giustizia registriamo il tentativo di intimidire l'insieme della Magistratura brandendo l’arma dei procedimenti disciplinari, della separazione delle carriere, del controllo politico, da parte del Governo, sui Pubblici Ministeri. Per questo esprimiamo il nostro pieno e convinto appoggio all’Associazione nazionale magistrati per una battaglia che è sempre più di democrazia e di libertà. E chiediamo al congresso di esprimere, attraverso un ordine del giorno, la nostra solidarietà alla posizione assunta dai Magistrati, a livello provinciale, come risulta dalla lettera del Presidente del Tribunale di Imperia, Giuseppe Squizzato, pubblicata su “La Stampa” del giorno 8 dicembre. Siamo partiti dal tema dell’Europa perché nei provvedimenti, annunciati o adottati, dal Governo Berlusconi è sempre presente un richiamo alla questione europea, alla necessità di adeguarci agli altri paesi europei ed alle indicazioni della Unione Europea. Ma, valutando l’azione del Governo, viene un sospetto: forse l’Europa non è una sola, ma almeno due. Una è la nostra e l’altra è quella di Berlusconi! Per questo lo slogan della 30 settembre / dicembre 2001 Manifestazione di domani risulta ancora più efficace “l’Europa siamo noi”. A pochi giorni dall’introduzione della moneta unica, Europa, per noi, non significa solo unione monetaria, ma unità di intenti anche sul piano sociale ed economico. C’è un’Europa sociale da costruire accanto a quella economica e monetaria. Dobbiamo tener fermo come obiettivo l'Europa. Ci crediamo ed abbiamo lavorato e fatto sacrifici per essere dentro l’Europa. Ma a quale Europa si riferiscono Berlusconi e Maroni? LAVORO Il Libro bianco dichiara in premessa una grande ambizione. L’obiettivo del libro bianco è quello di riscrivere il diritto del lavoro italiano. Si pone quindi l’obiettivo di modificare l’attuale quadro normativo definendolo vecchio, superato. E per giustificare una premessa di tale portata si pone l’accento su alcuni differenze che ci separano dalle medie europee. Un solo esempio: in tema di part-time si fotografa la differenza tra il tasso di utilizzo di questo istituto nel mercato del lavoro italiano e le medie europee. Non si segnala che questo istituto ha registrato nel nostro paese una crescita del 26 per cento negli ultimi 18 mesi, a seguito delle innovazioni normative introdotte con l’attuazione della direttiva comunitaria. Questa e altre mistificazioni consentono di giustificare la necessità azzerare il quadro normativo, piuttosto che quella di completare un percorso riformatore. Un percorso riformatore, avviato nel 96 e che, se avesse compreso anche la riforma degli ammortizzatori sociali, la legge sul lavoro atipico e quella sulla rappresentanza sindacale, poteva oggi essere valutato positivamente. Così purtroppo non è stato e in questo ci sono responsabilità gravi della politica e dei governi precedenti. Nel Libro Bianco del Ministro Maroni, dicevo, c’è un costante e ripetuto, richiamo all'Europa. Ma in realtà il richiamo è solo alle norme europee generiche, che per questo si prestano ad essere interpretate da una parte e dall'altra, a sostegno delle politiche più diverse. Spesso si evitano riferimenti puntuali al 19 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI diritto comunitario, sostituendoli dal richiamo a specifiche normative di singoli Stati membri dell'UE scelte caso per caso con preferenza per quelle che riconoscono alle imprese spazi estremi di flessibilità. Il risultato di questa operazione è la somma, in pratica, dei trattamenti di miglior favore alle imprese e di conseguenza di minor favore o tutela per i lavoratori presenti nella legislazione degli stati membri della comunità. Merita, inoltre, di essere sottolineata la spregiudicatezza con cui, all'occorrenza, le indicazioni europee vengono capovolte e rovesciate nel loro contrario pur quando dovrebbero prestarsi a minori incertezze interpretative. Un esempio è la direttiva 2000/78/CE, che stabilisce un quadro normativo generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Secondo il Libro Bianco, viceversa, essa consentirebbe di giustificare disparità di trattamento:infatti, trattamenti normativi sub standard, da riservarsi, ad esempio, agli immigrati extracomunitari vengono indicati come azioni positive. E non a caso viene citato come modello positivo, rispetto a questa prospettiva, quello del Patto di Milano, che tutti noi conosciamo. Un altro tema, che trova spazio nel libro bianco e che viene giustificato dalla necessità di adeguarci all’Europa, perché contenuto in un documento della Commissione, è quello della partecipazione finanziaria dei lavoratori, ovvero all'azionariato per i dipendenti. L’obiettivo in questo caso è quello di creare il quadro di riferimento per far decollare, anche in Italia, questo modello partecipativo. Gli estensori del libro bianco ignorano che il documento di cui si parla è ancora una semplice bozza di orientamento e che i tempi che la Commissione assegna per la discussione sono molto lunghi (forse fine 2002). E tuttavia già questa prima bozza dice con assoluta chiarezza che l'azionariato deve intendersi come forma volontaria ed individuale ed impegnare, in caso di adesione, solo il risparmio proprio del lavoratore e mai forme dirette o indirette di salario. La bozza non prevede un ruolo collettivo contrattuale esercitato dal sinda- DOCUMENTI cato, né vengono previsti legami o percorsi verso i consigli di amministrazione. Per questo siamo dubbiosi, prudenti ed in alcuni casi, come nel recente accordo firmato all’Amaie, contrari a forme partecipative che sono rischiose per i lavoratori e imbarazzanti per il ruolo del sindacato. Ma torniamo all’Europa Il problema consiste nella coesistenza di molte visioni dell’Europa. Quella dei liberisti - che siano al governo o all'opposizione – che cercano di affermare nell'Unione Europea la centralità dell'impresa, rendendo ideologia alcuni dei meccanismi su cui si basa la crescita economica USA degli anni novanta (e che da soli non la spiegano, perché la leva fondamentale fu l'enorme volume di investimenti che l'hanno trainata, cioè la possibilità per gli USA di essere, oltre che già più ricchi, anche importatori netti di capitali). Noi, come sindacati confederali, insistiamo, nella nostra piattaforma, che l'Europa non può essere solo unita nei mercati e nella moneta, ma deve avere una dimensione sociale, dei diritti e delle libertà collettive. Ma una cosa ci preoccupa. Se a sinistra è tramontata l'ormai improponibile centralità operaia (che non può essere sostenuta anche per mero fatto strutturale e numerico), si è del tutto smarrito, nel dibattito prima ancora che nelle proposte politiche, il valore del lavoro. Noi oggi siamo impegnati, in Italia soprattutto, nella difesa delle tutela a salvaguardia dei lavoratori come furono conquistate negli anni settanta. Questo è doveroso e importante, ma dobbiamo essere consapevoli che non basta. GIOVANI Siamo nel ventunesimo secolo e non possiamo non avere, ad esempio, come interlocutori i giovani. A Verona le Acli, nel corso della loro assemblea annuale, hanno presentato i risultati di una ricerca sui giovani dell’Irf, l’istituto di ricerca della stessa associazione. La ricerca è stata condotta su un campione di 1.000 giovani di età compresa fra 18 e 36 anni. Non è detto che i risultati delle ricerca siano interamente da condividere, 20 settembre / dicembre 2001 giori servizi. L’Inca ha incrementato l’attività, così pure il C.A.F. e l’Ufficio Vertenze, il Centro per il lavoro, lo sportello per l’integrazione degli immigrati, così la Federconsumatori ed il Sunia, cui oggi siamo in grado di dare un assetto nuovo, sia in termini di sedi sia di collaboratori. Una sola citazione: lo sportello per gli immigrati ha raggiunto un livello di contatti molto alto e di questo siamo tutti orgogliosi, perché la solidarietà e la tolleranza si deve trovare nella pratica quotidiana e non soltanto scritta nei documenti. In tutti i congressi di categoria ho colto dei segnali interessanti e importanti di crescita, in termini di adesioni e rinnovamento dei gruppi dirigenti. E di questa situazione positiva crediamo sia giusto darne comunicazione oggi al congresso. Nell’arco di pochi mesi sono stati rinnovati tutti i segretari di categoria e le donne hanno oggi un ruolo importante nel gruppo dirigente. Ma accanto a questo dato positivo dalle numerose assemblee di base è emerso un quadro di grande preoccupazione rispetto al futuro dell’occupazione in questa provincia. In tutti i settori e comparti sono in corso riorganizzazioni e ristrutturazioni aziendali con possibili saldi negativi sul piano dell’occupazione. Non c’è settore o categoria che non sia coinvolto. In alcune categorie in modo anche profondo penso alla Filt, alla FNLE ed alla SLC. C’è un dato singolare di demagogia e populismo in questa provincia: sul piano della difesa dell’occupazione e dei lavoratori la concorrenza ai sindacati la operano i politici locali. Ma, e in questo consiste la particolarità, sono i politici appartenenti a quello stesso schieramento che sostiene a livello nazionale le politiche liberiste. La contraddizione è così grande, che risulta difficile da vedere. Un esempio: la vicenda degli appalti delle pulizie dei treni. Il capitolato della gara d’appalto non prevede la riassunzione di tutti i lavoratori oggi occupati. Centoquaranta lavoratori hanno ricevuto la lettera con il preavviso di licenziamento. Le Ferrovie sostengono che per ridurre i costi alla ditta che vincerà l’appalto sarà consentito decidere quanti e quali lavoratori assumere. Dal loro punto di vista il ragionamento non fa una grinza: i lavoratori sono un costo. La singolarità della vicenda sta nel fatto che i politici locali, che in provincia affermano di stare dalla parte dei lavoratori, in parlamento sostengono la filosofia del libro bianco, che è alla base dell’iniziativa delle Ferrovie. Si riconoscono nelle politiche liberiste della Casa della Libertà, ma solo fuori dal loro collegio elettorale. Ai lavoratori degli appalti delle pulizie esprimiamo il sostegno e la solidarietà del congresso. Inoltre sempre con maggiore frequenza si rivolgono a noi anche disoccupati, giovani, immigrati ed emarginati dalla vita sociale ed economica. Anche per questi soggetti siamo un punto di riferimento importante. In questa provincia dove si tende a ridurre il valore della rappresentanza collettiva degli interessi per lasciare spazio al fai da te e pensa per te, la difesa ed il rilancio dell’occupazione, ma anche della qualità della vita richiedono una forte iniziativa del sindacato confederale. Su questo terreno saremo chiamati ad impegnarci nei prossimi mesi ed a confrontarci con Cisl e Uil per trovare punti d’intesa che speriamo siano maggiori dei punti di dissenso. Crediamo occorrerà una CGIL ancora più forte e organizzata. È un impegno che ci assumiamo con le lavoratrici e i lavoratori, ma anche con le pensionate e i pensionati, con i giovani, con gli immigrati e con tutti i cittadini e che col contributo di tutti voi, ne siamo sicuri, saremo in grado di mantenere. Alessandro Natta conclude il suo racconto della nascita della Camera del Lavoro con l’augurio di continuare a vivere in pace, democrazia e libertà. A fine aprile, quando abbiamo registrato l’intervista poteva sembrare un richiamo retorico e un po’ scontato. Oggi dopo tutto quello che è successo sul piano internazionale e nazionale, rappresenta per tutti noi un impegno concreto e coerente con la nostra storia centenaria. * Segretario provinciale CGIL 29settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI LA PACE Mi avvio a concludere con una breve considerazione sul tema della pace. All’interno della nostra organizzazione c’è stata e c’è oggi una grande sensibilità sul tema della pace. Una sensibilità che è stata dimostrata anche dalla grande partecipazione alla marcia Perugia-Assisi (da Imperia siamo partiti con due pullman e non era mai successo) e dalla presenza di questo tema all’interno delle assemblee. Non vuol dire che sottovalutiamo il pericolo del terrorismo, (le torri, il Pentagono, le migliaia e migliaia di morti e dunque l'esigenza di contrasto a quel terrorismo). In presenza di un terrorismo internazionale in grado di offendere così pesantemente scegliendo tempi, modalità, bersagli simbolici, credo nessuno di noi possa negare l’esistenza di un problema internazionale di sicurezza e della necessità di promuovere un’adeguata azione di contrasto al terrorismo. Ma ritengo, anche, che la pratica della guerra possa rischiare di non essere efficace nei confronti dei terroristi. Le immagini di tanti profughi, il dramma dei tanti civili, soprattutto donne e bambini, vittime di una guerra in cui, se hai la fortuna di sopravvivere alle bombe, devi comunque fare i conti col freddo e la fame ci convincono, oggi ancora più di ieri, dell’urgenza di un intervento umanitario. Quelle immagini hanno sollevato in me molti dubbi. Le bombe non sempre intelligenti, le immagini dei bombardamenti, i racconti dei sopravvissuti e i morti così numerosi non possono lasciare certezze a nessuno. Ci sono giochi della play-station che riproducono situazioni di e di guerra, simili a quelle trasmesse in questi giorni. Il confine fra realtà della televisione e la finzione del gioco è molto sottile. Di fronte al dramma, che ha colpito l’amico Giuliano, chi come me ha dei figli ancora adolescenti, rimane senza parole e senza certezze. Spaventano quelli che di fronte a simili eventi hanno solo certezze. Al nostro interno e anche durante le assemblee congressuali abbiamo ritrovato opinioni diverse, ma questo non ci ha impedito di essere espliciti sul terrorismo e sulla necessità di debellarlo. La posizione della DOCUMENTI Segreteria nazionale ha incontrato molti consensi, ma anche dissensi. In tutti gli interventi ho visto però inquietudini e incertezze. Sul problema della Palestina e sulla necessità di trovare al più presto una soluzione è stato distribuito a tutti i delegati del materiale che il dibattito potrà approfondire. Abbiamo inserito la documentazione relativa a progetti di solidarietà per i quali abbiamo aperto una sottoscrizione e che intendiamo proseguire nei prossimi giorni. Oggi consegneremo proprio a Giuliano, che ringraziamo per la presenza oggi, il primo assegno con il ricavato della sottoscrizione. È questo il nostro modo per essergli vicini e dimostrargli la nostra solidarietà. CONCLUSIONI Oggi con il congresso della Camera del Lavoro concludiamo il XIV congresso della CGIL Imperiese. Un percorso cominciato il 3 settembre e che ha impegnato l’organizzazione in 151 assemblee congressuali, con l’elezione di oltre 311 delegati e con il voto di oltre 2.377 iscritti pari al 14% dei 17.000 della chiusura dell’anno scorso. Il congresso si è sviluppato su due mozioni, ma pur nella diversità delle opinioni, dei giudizi e delle proposte non è mai venuto meno il carattere unitario di tutti i compagni impegnati nella fase congressuale. All’esterno è stato dato un segnale di grande unità della nostra organizzazione. Di ciò voglio ringraziare tutti ed in particolare i sostenitori della seconda mozione che, con il loro contributo, hanno sicuramente arricchito la discussione. Tutti i Segretari Generali sono stati eletti all’unanimità. E per noi, per i nostri riti e cerimoniali congressuali è questo un segnale forte di unità. Perché per noi la diversità delle opinioni rappresenta una ricchezza e non un pericolo. Dai congressi, inoltre, è emersa una CGIL imperiese in buona salute. C’è anche un riconoscimento molto diffuso fra i nostri iscritti sulla buona qualità dei nostri servizi. Pensiamo sia importante oggi rivolgere un particolare ringraziamento a tutti gli operatori, in gran parte donne, che tutti i giorni con professionalità e impegno ci consentono di offrire mag 28 settembre / dicembre 2001 ma certamente offre spunti di riflessione interessanti anche perché è la prima ricerca fatta su quel che pensano le nuove generazioni sullo scontro che oppone Confindustria e sindacati. Da questa ricerca è emerso che il 76% dei giovani intervistati conoscono lo statuto dei lavoratori e questo non era scontato. Il 59% si dichiara contrario alla modifica dell’art.18, ma solo il 31,4% degli intervistati ha ancora il mito del posto fisso. Mentre le principali aspirazioni tendono soprattutto al lavoro autonomo o parasubordinato. Questi dati si accompagnano ad un altro un po’ meno prevedibile: la grande fiducia riposta nei sindacati. Per il 69,1% del campione sono le rappresentanze sindacali, soprattutto confederali, i soggetti maggiormente in grado di assicurare la tutela dei lavoratori flessibili. Tutela è la parola chiave: che cosa succede se mi ammalo, se mi capita un infortunio, se devo stare a casa in maternità? E questo bisogno di tutela non è in contraddizione con la voglia di autonomia o di orari «elastici». In provincia i corsi per auto-imprenditori vanno deserti e spesso i giovani chiedono ai centri per l’impiego notizie su chiamate per “bidello”. È una contraddizione forse solo apparente, ma degna di essere rilevata. Dai risultati emerge, quindi, un universogiovani che si presenta con parecchi lati tutt’altro che scontati, e noi dobbiamo riflettere sul fatto che quasi tutti si sono dichiarati stufi di sentire parlare solo di art.18 e pensioni. Per parlare ai giovani, per rinsaldare le generazioni, dovremmo almeno capire come si declina il rapporto tra il lavoro ed il cambiamento sociale. Non mi voglio fermare alle banalità ed alla retorica dei nuovi lavori. Il problema è un altro. Consentitemi una considerazione personale: Si tratta di capire se il lavoro è ancora - nelle sue condizioni moderne ed attuali - il veicolo fondamentale di partecipazione e promozione sociale. Nella nostra pratica noi questo lo sosteniamo implicitamente, combattendo la disoccupazione e cercando l'allargamento della partecipazione al lavoro. Ho sentito recentemente una can- zone di Guccini, che diceva: non sopporto chi non ha sogni. Mi ha molto colpito. Di utopie positive e di orizzonti ideali abbiamo un gran bisogno per non farci soffocare dalle miserie del quotidiano. Ricordo che il Marx giovane teorizzava che il lavoro è lo strumento attraverso il quale l'uomo interviene sul mondo per adattarlo alle sue esigenze ed intenzioni. Credo che questo concetto mantenga una piena vitalità, anche se occorre aggiungere che questo adattamento deve tener conto di limiti ambientali. L'utopia che resta attuale è quella della liberazione nel lavoro, per il lavoro che realizza chi lo fa, fino al superamento del lavoro alienato. Se è così, le grandi potenzialità delle scienze e della società dell'informazione debbono diventare la leva per affermare la crescita del lavoro creativo come valorizzazione delle capacità e delle vocazioni dei soggetti che ne partecipano. Questo ha delle conseguenze sulle politiche, sulle scelte strategiche di fondo. Io non ho risposte su come arrivarci, ma credo sia legittimo interrogarsi su questi temi. Una discussione che dovrebbe oscillare tra l'empireo delle idee (i filosofi invece parlano d'altro, anche a sinistra e non solo in Italia) e le istanze che nascono dalla concretezza delle condizioni reali del lavoro e dei lavori. Quindi questa carenza, questo vuoto, riguarda anche noi, il movimento sindacale. Altrimenti, difenderemo qualcosa senza sapere cosa vogliamo andare a costruire. Ed è il limite che ci rende vago oggi il concetto di “sinistra”, non solo in Italia. SCUOLA Da questa considerazione sul futuro e sul rapporto con i giovani deriva l’importanza della Scuola e segnatamente della scuola pubblica. Nelle proposte, negative e contraddittorie, di riforma del ministro per l’Istruzione vediamo soltanto vantaggi per la scuola privata e impoverimento della scuola pubblica. I fermenti di insegnanti e studenti di questi giorni sono la prova che esiste una diffusa percezione della negatività delle proposte del ministro. Stefano Fantini e gli 21 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI altri delegati avranno la possibilità di approfondire il tema e presentare proposte di merito, che saranno contenute nel documento finale. Ciò che mi preme sottolineare ora è che il depotenziamento della qualità della scuola pubblica va nella direzione opposta a quella necessaria. Dalla scuola e dalla formazione partono i fondamenti per la valorizzazione delle risorse umane, di un patrimonio, cioè, importante non soltanto per la coesione sociale, ma anche per il sistema produttivo ed economico. Ma se, come nel caso della nostra provincia, la competizione è tutta spostata sul piano della riduzione dei costi, i giovani che abbandonano la scuola senza terminare gli studi sono funzionali ad una offerta di lavoro nero. L’abbandono scolastico è un problema reale. Questa estate un giovane mi ha spiegato che a differenza dell’abbandono scolastico di altre regioni, determinato dalla possibilità di trovare un lavoro, in questa provincia è proprio l’impossibilità di trovare una lavoro che provoca l’abbandono. A cosa serve studiare, mi chiedeva questo giovane, se poi il lavoro offerto non tiene conto del tuo livello di formazione e istruzione. E teniamo conto del fatto che le rilevazioni Istat segnalano, in questa provincia, la crescita di color che pur essendo in cerca di occupazione non sono disponibili a qualunque tipo di lavoro. Manca nel libro bianco di Maroni qualsiasi richiamo ad un tema per noi fondamentale: l’integrazione tra i sistemi dell’istruzione, della formazione e del lavoro. Tale principio, che il Patto di Natale ’98 aveva assunto pienamente, in coerenza con le politiche dell’Unione Europea rimane tuttora incompiuto. L'assenza di questo tema nel libro bianco significa lasciare spazio alla tendenza alla chiusura delle Istituzioni, che governano il sistema formativo: scuole, università, formazione professionale. Per seguire i lavoratori in percorsi di carriera che saranno sempre più frammentati occorre una formazione continua, che non è ancora generalizzata e un sistema di ammortizzatori sociali. Queste due carenze sono presenti nel DOCUMENTI libro bianco e ci terranno lontani dall’Europa. Infatti secondo le raccomandazioni dell’Unione Europea, il servizio pubblico ha il dovere di fornire ai giovani che escono dalla scuola e a chi ha perso lavoro un percorso di formazione mirata all’inserimento lavorativo entro, rispettivamente, 6 e 12 mesi. E non colmerà questa differenza la liberalizzazione dei servizi all’impiego, contenuta nella delega del Governo. L’articolo 1 della delega prevede una delega molto ampia sui servizi all’impiego e sulla disciplina in materia di intermediazione e interposizione di manodopera. Accanto ad alcuni interventi di semplificazione, si prevede di consentire al privato lo svolgimento di tutte le attività connesse alla mediazione di manodopera, dalla raccolta dei “curriculum” fino al vero e proprio incontro domanda-offerta. RUOLO DEL SERVIZIO PUBBLICO Si configura la riduzione dell’intervento pubblico esclusivamente alle procedure di autorizzazione e alla tenuta di qualche banca dati: un ruolo, quindi, marginale. Su questo punto non c’è accordo fra le organizzazioni sindacali. Non voglio qui richiamare le ragioni di diversità rispetto alle altre organizzazioni, ma limitarmi con spirito costruttivo a ricordare due aspetti del problema. In primo luogo voglio ricordare che la Raccomandazione dell’Europa all’Italia a seguito del piano per l’occupazione di quest’anno, è quella di accelerare l’opera di insediamento e di armonizzazione del sistema dei servizi pubblici, perché è su quella base che si valorizza anche l’apertura al privato, garantendo il carattere universalistico dei servizi. Ciò che prevede la delega è l’esatto opposto di quanto ci chiede l’Europa . OCCUPAZIONE E LAVORO NERO In secondo luogo vorrei riportare, citando testualmente, quanto contenuto nel 35° rapporto del Censis presentato venerdì scorso: «Affiancare attori privati al collocamento pubblico non risolve il problema dell'accesso al lavoro. La riforma del servizio pubblico sta attraversan 22 settembre / dicembre 2001 migliori condizioni per realizzare un modello di società che corrisponde alla loro idea di società. Non meritano, oggi e in questa sede, particolari approfondimenti i primi provvedimenti adottati (le Rogatorie, il Falso in Bilancio, e l’abrogazione dell’imposta di successione oltre i duecentomilioni), ma, al contrario, mi preme far rilevare come i primi provvedimenti si siano basati su una prospettiva di crescita sovrastimata. E, se queste stime erano sbagliate prima dell’11 settembre, lo sono ancora di più oggi. La situazione determina alcune contraddizioni evidenti. • La promessa riduzione fiscale non si realizza. In realtà non essendovi il riconoscimento ed il recupero del drenaggio fiscale, previsto dalla precedente finanziaria (la finanziaria dell’anno scorso prevedeva riduzioni di 1 punto percentuale sul secondo scaglione e di 0,5 sul quarto e sul quinto, per un totale di circa 3.000 miliardi), il primo provvedimento va esattamente in senso contrario a quanto promesso. • Non viene confermata l’ulteriore abolizione dei ticket stabiliti dall’ultima finanziaria. Tale onere viene “devoluto” alle regioni con il risultato che probabilmente nella nostra regione vedremo a breve la reintroduzione dei ticket. • Un milione per tutti: con la campagna elettorale si è data l’illusione a tutti i pensionati con una pensione inferiore a 1.000.000 (circa 7 milioni di pensionati, di cui circa mille nella nostra provincia) di un aumento fino a tale cifra. Ma i 4.200 miliardi contenuti in finanziaria non basteranno per tutti. Il Governo ha stabilito ieri i criteri di questa operazione ed è bene dirlo che non riguarda tutti. Infine con questa operazione si è rimessa in discussione la distinzione tra intervento sociale e trattamenti previdenziali. • L’azione del governo si basa sulla logica che «il privato è sempre e comunque meglio del pubblico». Da questa pericolosa miscela deriva l’attacco alla scuola pubblica, la riduzione delle risorse per gli enti locali, con conseguenze negative per le famiglie in termini o di minori servizi o con maggiori imposte locali, il taglio netto degli stanziamenti per la ricerca (1.500 miliardi in meno). Con quali risorse si darà corso alle proposte di devoluzione di Bossi? La discussione sul progetto di Bossi si è fermata di fronte non a una proposta, ma a 50 proposte di emendamento presentate dai diversi ministri. E i governatori delle Regioni reclamano i trasferimenti di competenze e soldi previsti dalla riforma sul federalismo. Prima di avviarmi alla conclusione desidero richiamare la vostra attenzione su un tema, quello dell’ambiente, troppo trascurato dal dibattito. Fra i primi provvedimenti del Governo c’è ne sono stati molti sul tema ambientale. Questi, davvero, passati sotto silenzio. Si è intervenuto con il pacchetto dei 100 giorni su norme riguardanti i rifiuti, il loro smaltimento le procedure e i controlli da seguire. Il tutto all’insegna della semplificazione e riduzione dei controlli. Questa sera in Consiglio provinciale si parlerà di rifiuti. I rifiuti sono un grande affare, ci sono rapporti dell’antimafia interessanti, ma nella nostra provincia andremo ad allungare la vita delle discariche, gestite da privati. Su tutta questa partita grava uno strano silenzio. Inoltre, in questi ultimi giorni, il governo ha molto enfatizzato il Libro verde della Commissione, sulla responsabilità sociale delle imprese. Il cuore di questo Libro verde è quello di incentivare le imprese ad avere un comportamento positivo verso l'ambiente e verso la valorizzazione del lavoro. Ciò è ovviamente giusto. La contraddizione stridente sta nel fatto che però il divenire "responsabili" viene lasciato alla sola scelta unilaterale dell'impresa. L'impresa che decide di essere "virtuosa" dovrebbe in questo caso adottare un "codice di condotta" contenente investimenti nell'innovazione tecnologica per la protezione dell'ambiente e/o risorse per la formazione, per un'organizzazione del lavoro migliore, per la salvaguardia della salute e della sicurezza, per regimi di orario che tengano conto dei bisogni dei lavoratori, per le pari opportunità, eccetera. Il codice diventa sostitutivo della contrattazione: il sindacato non avrebbe alcun potere negoziale su tutte le materie suddette e verrebbe solo informato, con gli azionisti e le OnG, delle decisioni dell'impresa. 27 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI riconoscono reciprocamente». È semplice, a quel punto, creare dei sindacati di comodo per fare degli accordi per qualsiasi ragione. Il risultato delle elezioni delle Rappresentanze Sindacali Unitarie nel pubblico impiego ha confermato ancora una volta il grande consenso delle organizzazioni confederale ed all’interno di questo risultato positivo ha confermato la nostra organizzazione come primo sindacato. È un grande risultato per il sindacalismo confederale e per noi perché segue un risultato, quello del ‘98, straordinario ed è avvenuto con un governo, difficile da definire nostro amico. Potevamo solo perdere e così non è stato. Anche in provincia il risultato ci ha consegnato una Funzione Pubblica più forte in termini di iscritti, di consenso e di radicamento, con una presenza più grande nei diversi ambiti territoriali e contrattuali. Questo risultato positivo segue quello altrettanto positivo ottenuto in questa provincia nella Scuola e nel settore dei Trasporti. E bene ha fatto La Funzione Pubblica a lasciare cadere le polemiche locali di chi manipolando i dati vuole presentare un quadro diverso ed accreditarsi come vincitore a tutti i costi. La nostra presenza organizzativa ha sicuramente dei margini di miglioramento, ma il lavoro fatto, in questa come in altre categorie, di rinnovamento del gruppo dirigente sta producendo ottimi risultati. Non è stata la competizione elettorale fra le organizzazioni sindacali a cambiare o peggiorare lo stato dei rapporti unitari. Oggi è proprio sul terreno della politica sindacale che rileviamo un ricorrente ed evidente contrasto. La nostra organizzazione sconterà lentezze e anche ritardi culturali, ma non aiuta certamente alla costruzione di percorsi unitari una politica sindacale eccessivamente spregiudicata che da un lato intacca l’impianto della tutela e dei diritti (penso al salario d’ingresso, al patto di Milano, al contratto a chiamata di Zanussi solo per citare alcuni esempi e per non entrare nel merito della vicenda ancora attuale del contratto dei metalmeccanici) e dall’altro propone forme partecipative, come l’azionariato. DOCUMENTI A livello provinciale la situazione è molto più articolata: accanto a categorie abituate a lavorare unitariamente ne abbiamo altre dove la pratica unitaria è quasi nulla. Il livello confederale non solo non porta a sintesi le differenze, ma al contrario spesso le amplifica. Al congresso dei pensionati la responsabile del Sindacato Pensionati della Cisl ha avanzato con forza e convinzione la richiesta di riunioni unitarie sui diversi temi, a partire dalla sanità e dalle liste di attesa. La responsabile dei Pensionati della Uil si è unita a questa richiesta. Noi siamo d’accordo! In questa fase sarebbe importante ed utile per tutti, avere dei momenti di confronto dei gruppi dirigenti su alcune tematiche, penso al libro bianco, le pensioni, la sanità e il mercato del lavoro, solo per citare alcuni esempi. Il confronto ci consentirebbe di conoscere meglio i punti di disaccordo e le ragioni delle diversità. Abbiamo proposto alle altre organizzazioni di fare un attivo unitario sull’articolo 18, non è stato possibile farlo: non è un problema. Con la stessa convinzione e determinazione continueremo a proporre attivi ed assemblee unitarie, in mancanze delle quali, come nell’occasione sopra richiamata, procederemo con l’attività di organizzazione. Badate che il nostro atteggiamento nei confronti del Governo deriva da valutazioni di merito delle questioni e non da pregiudizi ideologici e/o politici. L'ATTIVITÀ DEL GOVERNO E dalle considerazioni di merito sui provvedimenti del governo ne deriva un nostro giudizio molto negativo sull’attività svolta fino ad oggi e sulle proposte in corso di definizione. Il Polo ha vinto le elezioni e oggi ha una solida maggioranza parlamentare, più grande del consenso elettorale ottenuto dalle urne, ma pienamente legittima in base alla legge elettorale vigente. La maggioranza quindi pensa di avere davanti un'intera legislatura per realizzare il programma presentato agli elettori. A differenza del 1994, inoltre, hanno maggiori elementi di coesione all’interno della coalizione e quindi sono nelle 26 settembre / dicembre 2001 do una fase di criticità legata ai suoi stessi presupposti. A cominciare dalle carenze sul piano strutturale per non parlare dell'eccessiva burocratizzazione degli uffici, la scarsa professionalità di operatori e l'inesistente attività promozionale sul mercato del lavoro territoriale». «Bastano questi esempi - conclude il Censis - per segnalare l'utilità di una ripensamento del sistema pubblico e non solo il suo affiancamento con attori di tipo privato, che finirebbero con il bypassare le procedure e scavalcare le funzioni pubbliche, ma non risolverebbero i problemi sul tappeto». Ma vediamo la situazione del mercato del lavoro nella provincia di Imperia. I circa 18.000 iscritti ai centri per l’impiego non ci danno l’esatta fotografia della situazione, sono sicuramente molti di meno quelli che cercano un lavoro. Ma anche la rilevazione Istat rischia di deformare la realtà: se siamo vicini alla piena occupazione come nel nord-est, la qualità di questa occupazione è decisamente bassa: precarietà, lavoro nero e sommerso contribuiscono a falsare il dato Istat, che a differenza del nord-est, qui indica povertà economica e non ricchezza. L’ultimo rapporto dell’Isfol ha confermato che lo strumento della flessibilità e l’atipicità dei rapporti di lavoro dà buoni esiti al Nord, riducendo per esempio i tempi del passaggio dalla scuola al lavoro, ma ha effetti assolutamente irrilevanti al Sud, dove il lavoro non c’è. Per la nostra provincia, in questo caso simile al Sud, la flessibilità ha portato in genere a una precarizzazione più diffusa. E non ci sembrano arrivare concrete speranze di sviluppo nemmeno dai patti territoriali recentemente sottoscritti e la cui gestione suscita non poche perplessità. Lascio al dibattito ed in particolare a Fulvio Moscatelli, come responsabile del settore, l’approfondimento di questo tema e l’individuazione delle proposte da avanzare. Un approfondimento ed una posizione che dovremo fare in tempi brevi. La riduzione dei costi e l’attesa dei finanziamenti pubblici sono i due tratti di una realtà economica non incoraggiante. Ma se, a livello nazionale, la legge Tremonti sull’emersione del lavoro nero alimenta dubbi e perplessità sulla reale efficacia del provvedimento, nella nostra provincia siamo sicuri che non ci saranno effetti positivi. In primo luogo perché il provvedimento si rivolge a imprese inserite in cicli produttivi assenti nella nostra realtà economica. In secondo luogo perché la scelta dei settori dell’edilizia, dell’agricoltura e del turismo è stata quella di spostare la competitività sul piano della pura riduzione dei costi. Il risultato è davanti a tutti noi. Accanto a circa 80.000 lavoratori regolarmente occupati ci sono almeno 10.000 irregolari (5.000 in nero, 3.400 doppiolavoristi o con sottodichiarazioni contrattuali, 1.600 occasionali). In particolar modo concentrati nei settori soprarichiamati. Senza parlare del lavoro di cura e di assistenza agli anziani caratterizzato da manodopera proveniente in prevalenza dal Sud America, irregolare e senza possibilità di regolarizzazione. Da un calcolo effettuato con i rappresentanti delle diverse comunità, risulterebbe che questi lavoratori, in grande maggioranza donne, siano oltre 500 nella sola città di Sanremo. Con la nuova legge, se non sarà modificata le proposta iniziale, rischiano l’espulsione e il datore di lavoro la denuncia per aver favorito l’immigrazione clandestina. L’assenza di controlli garantisce margini di impunità elevati. A Imperia la scorsa settimana l’arrivo degli ispettori in un cantiere edile, a committenza pubblica, ha generato il panico e il fuggi fuggi generale fra gli operai presenti. Quelli in regola erano una esigua minoranza. Ma l’attività ispettiva in provincia rappresenta l’eccezione e non la regola. È episodica, casuale mai programmata. A Sanremo inoltre il fenomeno del lavoro nero assume caratteristiche ancora più negative. C’è molto lavoro nero, grigio, sommerso, di molto sottopagato, senza orario e rispetto delle più elementari norme di sicurezza. In questo senso il nostro ufficio vertenze rileva quotidianamente indicatori del fenomeno sopra descritto. Questi lavori sempre più spesso sono accettati solo da immigrati disperati e con 23 settembre / dicembre 2001 DOCUMENTI pochissime altre opportunità. Sanremo è diventato importante centro di attrazione per quella fascia di stranieri poco istruita e spesso irregolare, che per questa condizione è disponibile a tutto. Si allontana in questo modo una immigrazione di qualità che preferisce spostarsi altrove. Il danno per l’economia e per le regole che governano il mercato del lavoro sono grandi: occorrerebbe una politica diversa dell’accoglienza e dell’inclusione. Invece l’amministrazione Comunale finge di non vedere e di non sapere e sui muri della città ci sono manifesti con la scritta: «il lavoro prima agli italiani». Ma di quale lavoro si parla? Tralascio di approfondire le condizioni disumane e disperate in cui vivono molti immigrati nella Pigna. Si troveranno molti giovani del nostro Sud disponibili a venire a vivere a Sanremo ammesso che si possa offrire loro un lavoro regolare? È facile prevedere poca strada per questa norma contenuta nella recente legge sull’immigrazione. La nuova legge interverrà in questa situazione portando ulteriori elementi di esclusione, ma ci chiediamo fino a quando potrà durare l’assenza di interventi in questo campo? In questo contesto valutiamo negativamente anche la proposta di un aumento di quattro punti delle aliquote contributive per i collaboratori. L’unico effetto sarebbe quello di indebolire la posizione dei collaboratori sui quali si scaricherebbe l’intero costo di questa operazione. E questo sarebbe ancora più grave considerando l’intenzione del Governo di non produrre nessun intervento legislativo di tutela giuridica e sociale per questi lavoratori e, anzi, di favorirne la deregolamentazione. L’operazione avrebbe il risultato di produrre una fuga dal Fondo Inps del 10/13% e l’immersione nel lavoro nero delle collaborazioni coordinate e continuative o la trasformazione in occasionali. In sostanza in provincia il nero e sommerso tenderà ad aumentare. Sul terreno della lotta al lavoro nero ed anche su quello di una maggior sicurezza nel lavoro, la nostra iniziativa deve essere più incisiva e evidente. L’assenza di iniziativa rischia di trasformarsi in complicità, da qui un particolare DOCUMENTI merito va riconosciuto alla Filcams per le iniziative anche originali messe in campo. È necessario riprendere una forte iniziativa unitaria perché nessuna organizzazione può pensare di riuscire ad ottenere un qualche apprezzabile risultato da sola. ENTI PUBBLICI… E FONDAZIONI Ma in provincia nutriamo anche qualche fondata preoccupazione per la possibile trasformazione di Enti pubblici, Agenzie in Fondazioni, come previsto nella Finanziaria. Non è passata sotto silenzio come ha detto il ministro Tremonti. È una ipotesi grave che viola i diritti dei cittadini in tema di servizi sociali e non offre certezze occupazionali per i lavoratori pubblici. L'emendamento alla Finanziaria, in tema di Fondazioni bancarie, ne ampia gli ambiti di intervento: oltre alla prevenzione della criminalità e la sicurezza pubblica si aggiungono, in materia di sanità, la sicurezza alimentare, la salute pubblica, la medicina preventiva e riabilitativa, le patologie e i disturbi psichici e mentali, la prevenzione e il recupero delle tossicodipendenze. Il riferimento dell’emendamento è il modello americano, dove agli interventi di natura sanitaria si da un valore di interventi imprenditoriali di mercato. Un modello lontano dal nostro. E bene sappiamo proprio come per i nostri iscritti, non solo i pensionati, sanità e pensioni rappresentino i due timori più grandi. Perciò non vogliamo una diversificazione regionale dei costi, delle modalità di accesso e della qualità delle prestazioni, ma, piuttosto, maggiore equità. Non siamo favorevoli a tante “repubbliche sanitarie” regionali. Per questo seguiamo con particolare attenzione il fenomeno delle lista d’attesa, e se riconosciamo all’assessore il merito di avere affrontato questo problema, con altrettanta chiarezza diciamo che siamo lontani da una soluzione positiva. PREVIDENZA Per quanto riguarda la previdenza, non conosciamo ancora il documento inviato ieri sera ai giornali e questa mattina alle segreterie nazionali e quale sarà l’evoluzione del confronto con il 24 settembre / dicembre 2001 governo nella riunione di giovedì. Il ritiro della delega da parte del governo è stato un risultato importante, ma non ci deve illudere che sia scongiurato il rischio che ci siano riproposte soluzioni o ipotesi di intervento per noi non accettabili. Vogliamo richiamare soltanto un solo punto. La diminuzione della contribuzione per i neoassunti, richiesta da Confindustria, e che oggi pare non condivisa dal Governo, è una scelta devastante per le loro pensioni future perché questi lavoratori si troverebbero dopo 40 anni di lavoro a percepire pensioni molto basse. Inoltre questa misura avrebbe la controindicazione grave di mettere a repentaglio le pensioni di coloro che oggi sono già usciti dal lavoro perché i pensionati di oggi e quelli che andranno in pensione nei prossimi anni vengono pagati con il vecchio modello della ripartizione, un sistema alimentato dai contributi che vengono versati. E la scelta di eliminare il cumulo rischia di andare nella stessa direzione di alterare l’equilibrio dei conti previdenziali. La proposta di superare il sistema a ripartizione approdando al sistema a capitalizzazione è sempre presente nelle interviste di autorevoli Ministri. Non hanno fretta, ma sanno che un sistema non in equilibrio è più facile da cambiare. La mobilitazione di questi giorni per il ritiro del provvedimento del Governo in tema di art.18 è stata anche nella nostra provincia molto importante. La grande adesione nei settori dell’industria e poi quella dei trasporti, dell’igiene ambientale e dell’energia, indicano che i lavoratori hanno capito le motivazioni della protesta e ci lasciano intravedere la possibilità di proseguire nella mobilitazione con maggiore forza. Siamo ora tutti mobilitati per la riuscita dello sciopero del pubblico impiego di venerdì e della manifestazione che si terrà a Milano. Non so se il governo ritirerà un provvedimento, che, a differenza degli altri su previdenza e fisco, è stato approvato senza rinvii. Ci ricordiamo la reazione negativa e irritata degli imprenditori di fronte alla scelta di rinvio della delega sulla previdenza. Il testo della delega lo conosciamo tutti. È molto importante che tutti la leggano perché la sola lettura del testo vale più di mille discorsi. Ma è bene ricordare che sui contenuti della delega non esiste un giudizio unanime di CGIL, CISL e UIL. Durante la discussione con il Governo della delega in materia di mercato del lavoro da parte della Cisl, da parte della delegazione presente alla trattativa, si è manifestato un esplicito apprezzamento per l'impianto proposto Solo di fronte all'ipotesi di intervenire sull'art.18 dello statuto la Cisl ha dichiarato la propria contrarietà a tale intervento pur confermando di condividere sostanzialmente, nel metodo e nel merito, gli altri contenuti della delega. Da parte sua la UIL ha espresso analoga indisponibilità sull'art. 18 accompagnandola con valutazioni più caute, ma comunque di disponibilità al confronto, sugli altri capitoli. Non voglio dare alcuna valutazione o giudizio sulle posizioni delle altre organizzazioni, ma non possiamo certo nasconderci le differenze quando queste ci sono. Tuttavia la determinazione a respingere ogni intervento sull'art. 18 è, ad oggi, un punto fermo anche per Cisl e Uil. Per questo la mobilitazione unitaria deve essere valorizzata e speriamo possa ulteriormente crescere. Per questo è stato importante su una questione decisiva come quella dell’art.18 mantenere una forte unità. Oggi il pericolo per tutti è che si incrini il modello della confederalità. Quel modello, che ha trovato momenti di mediazione difficili e altri momenti più facili, ma che riguardavano il merito e che non hanno mai messo in discussione il modello. Oggi è il modello a essere in sofferenza. E non mi riferisco soltanto alla proposta di contratto individuale, ma anche alla rappresentanza. Il problema dell’accordo metalmeccanici non sta nella quantità economica,ma nel fatto che a tale accordo non viene richiesta altra legittimazione se non quella data dalla decisione di darne attuazione da parte del sistema delle imprese. Per questo lo sciopero dei metalmeccanici della FIOM non era solo per il contratto, ma riguardava la democrazia sindacale. Nel libro bianco c’è scritto che: «Nessun atto legislativo che fissi i criteri della rappresentanza, le parti si 25 settembre / dicembre 2001