LA FORMAZIONE DI LORENZO MILANI Termine fisso di ogni tentativo di ricostruzione e di reinterpretazione della figura e dell'opera di Lorenzo Milani, uomo e prete, è che egli ha esercitato, con una consapevolezza esistenziale e pedagogica assai rara nell'Italia del Dopoguerra, una funzione di intellettuale e dirigente - facendo nostre la terminologia e la categorizzazione di Antonio Gramsci. Ogni ricerca e indagine su don Milani può quindi essere intesa come un contributo in direzione di una teoria della funzione intellettuale, e rivestire perciò un notevole interesse filosofico e pedagogico. Il contributo che presentiamo ora vuol limitarsi a ricostruire le fonti e la genesi della configurazione che, in questo senso, assunse la sua personalità. Fonti e genesi della formazione di don Milani. P e r fonti vogliamo intendere gli elementi umani, sociali, culturali e intellettuali che confluirono nella formazione di don Milani giocandovi un ruolo, e di cui possediamo notizia esplicita o documento. La sottolineatura è d'obbligo per due ragioni. Prima di tutto larga parte delle carte di don Milani è andata distrutta o dispersa negli ultimi giorni della sua vita, per sua esplicita volontà, o negli anni immediatamente seguenti, per accidenti vari e per cattiva conservazione, e così lo studioso non può disporre di molti documenti indispensabili per chiarire aspetti fondamentali della vita del priore: a proposito del tema di cui ci stiamo occupando, non è possibile, per esempio, sapere quali testi il giovane seminarista abbia letto per integrare l'insegnamento dei suoi docenti di teologia, libri che certamente saranno più numerosi di quelli di cui faceva richiesta per lettera alla mamma; o quali libri il cappellano di San Donato abbia letto durante la stesura degli appunti che in seguito confluiranno nel suo Esperienze pastorali. In secondo luogo, da queste, che convenzionalemente definiremo come le fonti esplicite e documentalmente certe, dobbiamo distinguere la genesi profonda della formazione di don Milani, che va rintracciata nel travaglio che ha sconvolto la civiltà europea nel corso del secolo che volge al termine. La famiglia Milani. Fonti, dunque . Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti nasce a Firenze il 23 maggio 1923. E' il secondogenito di Albano e di Alice Weiss, e vede la prima luce tra le mura domestiche, come era in uso all'epoca tra le famiglie benestanti. A proposito dell'agiatezza dei Milani, Neera Fallaci ha potuto scrivere: 1 Nel periodo tra le due guerre mondiali, un poderino in Chianti era, per i fiorentini, sinonimo di benessere. I Milani possedevano una tenuta di venticinque poderi, o giù di lì, a Gigliola presso Montespertoli. [...] Nella palazzina in città, dalla mobilia solida e sontuosa, erano raccolti migliaia di volumi ben stampati e rilegati, e opere d'arte d'ogni tempo. [...] I Milani non erano ricchi solo di beni materiali: appartenevano all'alta borghesia intellettuale mitteleuropea. Da generazioni la famiglia produceva (produce ancora) cattedratici: soprattuto studiosi della lingua, della letteratura, dell'arte. Un solidissimo patrimonio aveva loro permesso di dedicarsi in tutta tranquillità ai propri raffinati interessi 1 Per notizie biografiche su don Lorenzo Milani vedi l'indispensabile ed insuperata biografia di Neera Fallaci [Fallaci 1974] e l'introduzione e le note di Giuseppe Battelli in Milani 1990. culturali. Il piccolo Lorenzo riceve l'istruzione primaria in casa. E' in bisnipote prediletto dell'ormai nonagenario Domenico Comparetti, uno dei nostri maggiori filologi di tutti i tempi. Luigi Adriano Milani, nonno paterno di Lorenzo e genero del grande Comparetti, era un archeologo di grande fama, spesso discusso ma sempre apprezzato. Muore nel 1914, poco più di un anno dopo la moglie, Laura Comparetti Milani. Il giovane Albano Milani si trova d'un tratto a gestire il patrimonio familiare e probabilmente per questo non potrà intraprendere la carriera accademica per la quale appariva particolarmente dotato: oltre alle competenze nella materia in cui era dottore, la chimica, conosceva sei lingue e nutriva vastissimi interessi intellettuali e letterari. Ha scritto di lui Giacomo Devoto: Era un borghese raffinato dagli interessi intellettuali più svariati, curioso persino della possibilità di rendere in italiano il ritmo dei versi latini. [Sta in Lancisi 1979: 241] Conosce Alice Weiss tra gli irredenti triestini in esilio: la sua famiglia proviene dalla Boemia ed è ebraica di origini come di religione, anche se Alice è agnostica (e tale rimarrà sempre). I Milani sono spesso atei se non francamente anticlericali, come era tipico di quella borghesia illuminata italiana che (nonostante Giolitti e il Patto Gentiloni) sentiva ancora fortemente la contrapposizione politica di stampo risorgimentale tra Chiesa e Stato unitario. Il profitto scolastico del giovane Lorenzo Milani (frequenta il liceo-ginnasio Berchet, a Milano; salterà il secondo liceo per sosterere un esame di ammissione e passare direttamente dal primo in terzo ) è sempre attorno alla sufficienza. Assai più della scuola, del resto, incide sulla sua formazione l'atmosfera che si respira in casa Milani, il cui salotto ospita il fior fiore dell'intellighentia della Firenze filologica e positivistica dei Rajna, dei Comparetti, appunto, dei Barbi e dei Pasquali. La conversazione ha sempre tono elevatissimo e verte su argomenti i più svariati, per la padronanza formidabile del linguaggio consentita dall'allenamento delle menti all'acribia filologica: gli eredi di Domenico Comparetti si divertono a sezionare le parole per scoprire i tesori di saggezza e di conoscenza che vi sono nascosti. Perfino al piccolo Lorenzo il grande bisnonno insegna una filastrocca che ricorda la parentela linguistica tra Fuchs tedesco e alwphx greco. Il tirocinio delle erudite conversazioni nei salotti borghesi resterà sempre fondamentale nella vita di Lorenzo Milani, nel bene e nel male. L'idea della centralità del linguaggio nella vita degli uomini, dell'immensa ricchezza conoscitiva nascosta come un tesoro prezioso nelle parole e delle raffinate potenzialità logiche che si annidano tra le pieghe delle articolazioni sintattiche e grammaticali delle lingue resterà una delle linee portanti del pensiero e dell'impegno del futuro cappellano di Calenzano e priore di Barbiana; il fastidio per la superficialità di «chi vive di sola carta stampata» lo porterà al suo discusso anti-intellettualismo e a scelte e a toni apertamente antiborghesi. L'orizzonte e la mentalità della famiglia Milani sono decisamente europei, e italiani nel senso in cui furono italiani Vico e Romagnosi, Cattaneo e De Sanctis, o magari Machiavelli e Campanella: attenzione per gli uomini e per la loro storia, 2 3 2 In occasione degli esami d'idoneità verrà promosso grazie al "geniale" tema d'italiano che avrà composto (vedi Fallaci 1974: 44): è l'unica traccia di una certa capacità di scrittura che conosciamo tra i dati biografici su don Milani. 3 Lettera ad Alberto Parigi del 20-5-1953 [Milani 1970: 25] ii dedizione alla città terrena e fede negli ideali, storici e terreni anch'essi, della convivenza in quella città, volontà di conoscenza concreta e precisa, 'filologica', degli uomini e dei nessi di cose e di idee: un'Italia, spesso, 'altra', e nascosta, rispetto a quella dei miti e della retorica ufficiale. Orizzonte e mentalità che, a cavallo dei due secoli, accomunavano, oltre tutte le differenze dottrinali e d'impostazione, il positivismo più serio e l'hegelismo meridionale, uniti in «una sola polemica contro la tradizione, contro le posizioni dogmatiche, contro la filosofia scolastica» [Garin 1955: 20]. L'egemonia borghese in Italia tra Otto e Novecento: caratteri culturali. Per valutare meglio i caratteri della cultura che respirava il giovane Lorenzo in quella famiglia così inserita nella vicenda storica e intellettuale dell'Italia postunitaria, è necessario procedere, col ricorso alle figure dell'antifrasi e del contrasto, definendo ruolo e posizioni degli avi di don Milani nel quadro della vicenda sociale e culturale in cui si muovevano, un trentennio prima della sua nascita, negli anni del trionfo della borghesia liberale europea. Ha scritto Raffaele Romanelli, a proposito dell'Italietta crispina: Carica di tutti i suoi tradizionalismi, non affrancata dagli impacci economici e sociali che la legavano al passato, l'Italia si apprestava a sposare i miti del XX secolo senza aver compiuto la sua "rivoluzione borghese". E così come l'avventura coloniale o la creazione di un'indusria pesante ad opera dello stato potevano sembrare la "via breve" per una modernità che facesse salvo il passato, similmente il crispismo fu la prima delle ideologie che si proposero come surrogato ad una più certa identità borghese. In questo senso fu l'ideologia del protezionismo, di un blocco industriale-rurale che nascondeva gli squilibri del paese dietro una politica "attuale", imposta dai tempi. [Romanelli 1979: 352] Posta di fronte alle sue contraddizioni , l'egemonia borghese ricorreva ad una costruzione ideologica che recuperava valori estranei alla sua tradizione, a volte persino di stampo preborghese, come certo solidarismo e certo gerarchismo, fortemente sentiti in una base rurale che praticamente viveva ancora in regime feudale e promossi in funzione originariamente antiborghese dal conservatorismo cattolico - del quale fu iniziato così il recupero ad una funzione nazionale. Emblematico in questo senso il lavoro intellettuale degli accademici di turno, i Terenzio Mamiani o gli Augusto Conti, mentori esangui di un ancor più «esangue spiritualismo», trionfante nelle scuole italiane in tutto il periodo successivo all'Unità, di cui Eugenio Garin ha potuto scrivere (mettendo a nudo con la consueta chiarezza difetti e problemi di tutto uno stile di pensiero, che era ed è anche stile di vita, e garante ideologico di uno stile di convivenza civile): 4 Spiritualismo, tuttavia, a cui conviene guardare come all'espressione caratteristica di un compromesso speculativo che intendeva in parte tradurre il compromesso politico affermatosi con la costituzione del regno. Erano onesti patrioti, che avevano amato e servito fedelmente l'Italia, vagheggiando un'idea di moderato liberalismo, che salvasse, armonizzandoli, gli interessi del trono e dell'altare.[...] Innamorati dei bei discorsi, avevano creduto che il compito del filosofo fosse quello di 4 In primis quella tra la prassi politico-economica protezionista ed embrionalmente statalista e i miti liberisti che avevano segnato la fondazione della società borghese e dello stesso Stato unitario liberale. Chi avesse voglia di riformulare un sistema filosofico basato sul'idea dei corsi e ricorsi storici, o su quell'altra assai simile dell'ineludibile ciclicità della vicenda umana, potrebbe trarre prove a sostegno della sua tesi dall'inevitabile ritorno di questa tragica contraddizione dei sistemi produttivi capitalistici, per cui si affermano idee liberistiche e contemporaneamente si praticano protezionismi che finiscono sempre per danneggiare i paesi più deboli economicamente e, soprattutto, politicamente, costretti come sono questi ultimi a non applicare tariffe sulle merci dei più forti. iii un predicatore senza tonaca, destinato a celebrare dalla cattedra il bello, il bene e il vero. [...] La figura del Conti [...] può bene assurgere a simbolo di un filosofare timorato quanto oratorio, preoccupato di assolvere una sua funzione edificante, privo di qualunque severità, non dirò scientifica ma morale, eppure accetto a certi ambienti accademici e scolastici in genere, che l'ebbero caro e forse non l'hanno ancora dimenticato. È un'immagine della filosofia e del filosofo che tende a conservarsi ovunque la speculazione preferisca allo scandalo il buon senso, ai pericoli della critica le rassicuranti certezze dell'opinione comune, ai rischi della libera indagine i conforti dei dogmi accettati. [Garin 1962: 3]. Le osservazioni di Garin sul ‘lavoro’ intellettuale di Augusto Conti si concludono con un'osservazione di carattere generale, che vale la pena riconsiderare e tener bene a mente nel riflettere su don Milani e su quelle che sarano le sue posizioni all'interno della Chiesa Cattolica Romana e nei rapporti coi benpensanti cattolici - o democristiani, per esser più precisi - che affollavano le parrocchie negli anni della Guerra Fredda: Che è, purtroppo, una tentazione insita in tutte quelle posizioni le quali, per offrire più facile materia alla retorica edificante e al sermone moralistico, facilmente scivolano nell'equivoco di sistemazioni scolasticizzate allo scopo di puntellare situazioni in difficoltà. Là dove alla realtà si preferiscono appelli retorici verso gli ideali immutabili e immancabili, alla ragione i toni e le sollecitazioni sentimentali, alla crudezza di barriere riconosciute le seduzioni dei misteri rivelati, alla serietà dell'indagine «scientifica» l'evasione di costruzioni estetizzanti, il «filosofo» scolastico e teologizzante trionfa. Tra critica filologica e credenza fideistica: aspetti della cultura positivistica. La famiglia di don Milani apparteneva ad una tradizione differenziata ed anche, si può dire, ostile rispetto a quella fumosa di questi spiritualisti: Domenico Comparetti è stato il massimo esponente della filologia positivistica italiana, e il positivismo, soprattutto, in campo filosofico, quello «robusto» seppur metafisico di un Ardigò, costituiva un'opposizione intellettuale e ideale alle retoriche estetizzanti e concordistiche degli accademici spiritualisti. Ciò nonostante, a proposito dei positivisti italiani e, forse, non solo italiani, di vera e propria «fede» si è parlato, e dell'Ardigò come del «teologo della nuova Italia democratica e anticlericale» [Garin 1955: 5]. Il movimento positivistico italiano, anch'esso avvinto in molte delle contraddizioni - verbosità, «sintesi verbali scambiate per sintesi reali» [Garin], dogmatismo, retorica estetizzante, moraleggiante più che moralistica - tipiche della vita culturale del nostro paese, nonostante ciò ha visto militare nelle sue file studiosi di grandissima serietà, che preferirono Cattaneo ad Ardigò, «rovesciando, non già la storia nella natura, ma la natura nella storia», tra i quali lo stesso Comparetti e Leonardo D'Ancona, nel campo degli studi filologici e folklorici, o altri come Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, il cui lavoro di altissima dignità scientifica dava risonanza e respiro europei alla "scienza della politica" e alla sociologia italiane. A proposito dell'Ardigò, e dell'ideologia positivistica, o delle sue specifiche caratteristiche di movimento culturale, il cui pendant letterario era il roboante carduccianesimo, ha scritto ancora Garin: È vano rinnovare contro l'Ardigò le consuete eppur sempre valide confutazioni d'ogni naturalismo, o rilevare le contraddizioni onde ogni sua opera è intessuta. Che la sua metafisica stia in piedi solo al prezzo di una fede quale il mite canonico forse non aveva mai avuto per l'Evangelo, è anche troppo evidente. Come è evidente che siamo ben lungi da trovarci innanzi a una sintesi iv dottrinale giustificata da un approfondimento consapevole del progresso scientifico. Fu anzi un curioso destino dei positivisti italiani gridare alte le lodi di scienze di cui erano in genere modesti orecchianti, incontrandosi con scienziati del tutto digiuni di seria preparazione filosofica, e contribuendo così, pur senza volerlo, a quel totale divorzio tra scienza e filosofia tanto dannoso alla nostra cultura, i cui veri responsabili furono, non già gl'idealisti, come certi ottusi ripetirori ricantano, ma proprio quei positivisti sprovveduti che con le loro generiche illazioni determinarono la sfiducia degli scienziati più avveduti e le critiche dei filosofi più accorti, che vennero travolgendo, non già la scienza - come taluno credette - ma l'ingenua metafisica che voleva passar di contrabbando sotto panni scientifici. [Garin 1955: 8] Nel suo delirio ideologico, così, la mentalità borghese «percorreva fino in fondo le sue contraddizioni» [Romanelli], amplificate dal fatto di «esser una tradizione nata in Italia con caratteri marcatamente ideologici, disancorata da ben definite condizioni materiali». Così Il positivismo diventava darwinismo sociale e razzismo colonialista, il verismo dei letterati si contaminava di nuovo spiritualismo e d'idealismo, certe ascendenze filosofiche hegeliane filiavano disprezzo per le pratiche di libertà e dei parlamenti, e la stessa memoria di un risorgimento già pietrificato in monumenti e sillabari diventava un termine di raffronto ideale per sognare nuove glorie alla patria. In questa ribellione al reale si rifletteva un'esigenza di riscatto dalla mediocrità, dai grigiori del quotidiano, da tutto ciò che oggi chiamiamo "piccolo-borghese" e che proprio la piccola borghesia d'allora, cresciuta in influenze e in effettivi, priva d'altre consolazioni e certezze anelava a superare nelle velleità dell'immaginazione e del mito. [Romanelli 1979: 352-353] «Il nipote di Comparetti»: don Milani e la filologia. Queste le caratteristiche e i limiti di quella cultura positivistica propria di molta grande borghesia italiana, e della famiglia Milani Comparetti in particolare. Anche in virtù di stimoli e di suggestioni acqusiti durante la sua formazione sacerdotale, soprattutto per impulso del biblista Enrico Bartoletti (in seguito presidente della C.E.I.), don Milani conserverà fedelmente quest'impronta da filologo positivista, sotto forma di uno spiccatissimo interesse per l'esegesi biblica e per lo studio delle sacre scritture. Va osservato che l'attenzione per le sacre scritture e per lo studio storico e «positivo» delle vicende bibliche, e di conseguenza la preminenza, tra gli strumenti principali dell'insegnamento e della predicazione, attribuita all'esposizione e alla spiegazione del Vangelo, resteranno una costante dell'azione pastorale di Lorenzo Milani, sia a Calenzano che a Barbiana: in questo modo veniva ricuperata la parte migliore e più vitale dei valori della famiglia Milani Comparetti: lo spirito critico, l'importanza attribuita al linguaggio e l'attenzione per l'analisi seria, scientifica, filologica - appunto - delle sue forme storicamente determinate; analisi capace di dar luce ai problemi e di impostarne le soluzioni. D'altronde, il nesso tra cultura laica e cultura religiosa non era mai andato smarrito, tra gli studiosi di lingua e di critica testuale, che continuavano, a volte non senza spirito polemico , a scambiarsi contributi e a cooperare al progresso degli studi. Tracce precise e significative dell'interesse di don Milani per gli studi linguistici e filologici sono rinvenibili lungo tutto l'arco della sua esperienza. Esemplifichiamo: 5 5 Come nel caso della notissima polemica che vide opposti Dom Henri Quentin e Joseph Bédier, critici del metodo di Lachmann- applicando il quale sarebbe possibile ricostruire «scientificamente» i testi nella loro forma originale sulla base della gerarchia verificabile tra i testimoni superstiti. v Per comprendere il vangelo non c'è poesia più alta che la scrupolosa ricerca scientifica del vero significato di ogni parola e atto del Signore. La scienza in altri casi così fredda è qui calore di vita, la sola capace di rianimare pagine morte, scritte in lingue morte, vissute in un mondo geograficamente storicamente e spiritualmente lontano. [MILANI 1970: 14]. Il dominio sul mezzo d'espressione è un concetto che non riesco a disgiungere da quello della conoscenza delle origini della lingua. Finché ci sarà qualcuno che la possiede e altri che non la possiedono, questa parità di base che ho chiesto sarà sempre un'irrisione. [MILANI 1970: 57-58]. Qui il positivismo filologico del nipote di Comparetti diventa persino progetto politico ed educativo. Ma può far riflettere molti superfciali detrattori dell'«anti-intellettualismo» di don Milani un gustoso aneddoto che gli piaceva riferire, e che certifica da un lato l'affettuoso e orgoglioso ricordo che il giovane cappellano conservava del grande e pure anticlericalissimo bisnonno; dall'altro mostra con precisione le caratteristiche di un atteggiamento troppo frettolosamente liquidato come egualitarismo di maniera, o come artefatta solidarietà nei confronti dei suoi montanari - dove invece si trattava, tra le altre cose, di un epidermico e, forse, perfino aristocratico fastidio per vezzi e supponenze tipiche di troppi pseudointellettuali che mal celano ignoranza e mediocrità. Il racconto, riportato dalla Fallaci, è di Mario Rosi, un allievo della Scuola Popolare di Calenzano: Un giorno il discorso cadde sulla presunzione dei laureati e diplomati. E don Lorenzo ci disse come il suo bisnonno ne avesse messo a posto uno . Anzi una, perché si trattava di una ragazza. Comparetti le chiese: "Che studi fai?". Ho finito". Lui la guardò: "Beata te che hai finito. Io no". Aveva ottant'anni a quel tempo (ci spiegò don Lorenzo) eppure continuava a studiare. [Fallaci 1974: 17]. Un ultimo elemento va ricordato, anche se purtroppo non possediamo documenti che consentano di precisare la sua importanza: l'amicizia personale del giovane Lorenzo con il maggior filologo classico italiano di questo secolo, Giorgio Pasquali - amico di famiglia e in particolare di Albano Milani -, che tra l'altro lo presentò al pittore (Hans Joachim Staude) presso il quale imparò a dipingere, subito prima della conversione. Don Milani conserverà un'altissima stima dell'uomo e dello studioso, che pure lo riteneva «incostante» , e che si meraviglierà moltissimo della sua scelta sacerdotale. E le tracce di quest'amicizia, singolari e sintomatiche, si rinvengono anche nell'attività pedagogica del cappellano di San Donato a Calenzano, per la Scuola Popolare Serale che ha fondato. Scrive alla mamma il 17 febbraio 1953 - ormai sette mesi dopo la morte di Pasquali : 6 7 Venerdì venne l'allievo di Pasquali e parlò della novellistica antica: Novellino e Pievano Arlotto e loro origini indiane. E' andata bene, molto meglio di quel che sperassi per un argomento così poco amato dai ragazzi. [Milani 1990: 149]. Quell'«allievo di Pasquali» è Gianfranco Folena. 1943. Lorenzo Milani, convertendosi al cattolicesimo nel settembre 1943, nell'ora tragica dell'epilogo per tutta quell'Italia di cui addiamo discorso, rifiuterà l'identità di 6 Cfr. Fallaci 1974: 45. 7 Per il quale don Lorenzo ha celebrato una Messa il 15 luglio 1952 [Milani 1990:145] vi intellettuale borghese, positivista o idealista - o, magari, comunisteggiante; rifiuterà quel genere di impegno formale, di maniera, profuso in ogni eruditissima conversazione, che mal cela un distacco profondo dai problemi e dalle persone. Resterà l'impegno, quello vero, pur nella ricerca di risposte ultimative e nella sua conseguente adesione alla religione cattolica, a vivere nella «concreta realtà umana, per conoscerla e operarvi dentro» [Garin 1955: 20] con gli strumenti, possiamo chiosare, che si scoprono tra i tesori della parola in tutta la sua ricchezza, fruibili in virtù delle tecniche filologiche. La genesi profonda della sua conversione, si iscrive nella situazione storica e nei problemi di quegli anni, che segnano il traumatico passaggio epocale dalla Storia Moderna alla Storia Contemporanea. Tremende furono le convulsioni che segnarono il passaggio dal vecchio al nuovo ordine, dalla vecchia alla nuova configurazione dei rapporti di forza: due guerre, settanta milioni di morti, il genocidio di interi popoli, Auschwitz, Hiroshima. E' la crisi dell'Europa e della borghesia europea che perdono il primato mondiale che detenevano fino al principio del secolo, quando il dominio planetario delle potenze europee pareva eterno e inviolabile . Ha scritto Erich J. Hobsbawm: 8 Ma l'età del trionfo borghese poteva fiorire, quando ampie fasce della borghesia si impegnavano così poco nella produzione di ricchezza, e si allontanavano tanto e così rapidamente dall'etica puritana, dai valori del lavoro e dell'impegno, dell'accumulazione a base di astinenza, dovere e rigore morale, che le avevano dato la sua identità, il suo orgoglio e la sua enorme energia? [...] Il timore - anzi la vergogna - di un futuro di parassiti assilava la borghesia. Il tempo libero, la cultura, le comodità erano ottime cose. (L'esibizione sfacciata di ricchezza con sperperi di lusso era ancora vista con molte riserve da una generazione che leggeva la bibbia e ricordava l'adorazione del vitello d'oro.) Ma la classe che aveva fatto suo il secolo XIX non stava sfuggendo al suo destino storico? Come poteva, se pur poteva, accordare i valori del suo passato e del suo presente? [Hobsbawm 1987: 215] La potente borghesia tedesca, nel suo progetto di egemonia europea, non esitò, prima, a scatenare la conflagrazione bellica di maggior portata che la storia avesse mai visto, né, poi, a servirsi del folle neopaganesimo nazista per contrastare l'ascesa dell'organizzazione politica e sindacale più grande e prestigiosa del pianeta, sfruttando e blandendo le ansie delle classi medie; la mediocre borghesia italiana, travolta dall'ascesa di quelle masse popolari da essa stessa, un momento prima, trascinate sul palcoscenico della storia in occasione della Prima Guerra Mondiale, cedette quel potere che, fino allora, aveva gestito con rispetto (fosse pure solo di facciata) per le regole formali del parlamentarismo liberale, ai violenti e volgari accoliti di Mussolini e al loro dilettantismo. Al postutto, cadde in una crisi irreversibile un mondo e un'ideologia, quella liberale, gravata dalle sue contraddizioni, e dalla mancanza di strumenti - e di coraggio - intellettuali che gli consentissero di comprendere una situazione radicalmente mutata e di operarvi dentro senza smarrire valori e moralità. È ben nota, e va ribadita, l'idea di Antonio Gramsci che la «religione della libertà» dei liberali borghesi fosse sempre stata, al cospetto di difficoltà e incertezze, reversibile in quella di «religione della Patria», o della «Nazione», o della «Razza», dèi di più facile culto per le masse in ascesa, soprattutto per quelle piccolo-borghesi. E in effetti, «ai primi del Novecento c'era un buon numero di paesi in cui il membro tipico delle classi imprenditoriali e 8 Su questi temi vedi la magistrale Guida alla storia contemporanea di Geoffrey Barraclough [Barraclough 1964]. vii professionali era schierato francamente a destra del centro politico. E sotto di loro c'erano le schiere sempre più folte della media e piccola borghesia, con la loro insita e risentita affinità con la destra schiettamente antiliberale» [Hobsbawm 1987: 219]. Fu profonda crisi di identità per una classe intera, dalla piccola borghesia impiegatizia ai grandi esponenti del capitale finanziario e industriale, crisi che esplose in modo catastrofico, trasformando quello che sarebbe dovuto essere un trapasso epocale e una ridislocazione di forze in una tragedia di massacri e genocidi. Significati di una conversione. La famiglia di Lorenzo Milani, abbiamo visto, faceva parte di quella classe sociale, la borghesia cittadina ricca e colta, che aveva cercato di condurre l'Italia all'unificazione formale e sostanziale, e che era rimasta impigliata nelle ambage del proprio intellettualismo e nei compromessi coi maggiorenti della provincia. Da decenni, abbiamo visto inoltre, i Milani sfornavano cattedratici di prestigio: il salotto di casa ospitava gli intellettuali più prestigiosi di Firenze ed era uno dei luoghi di contatto e di scambio d'idee, una delle fucine in cui si producevano le sintesi che avrebbero dovuto ispirare il governo della cosa pubblica. Lorenzo Milani aveva seguito il tirocinio educativo che avrebbe dovuto portarlo a svolgere il ruolo di dirigente borghese al quale era destinato: la sua risposta alla crisi di quegli anni fu da un lato il rifiuto radicale di quel modello di intellettuale e dirigente salottiero e benestante che gli veniva proposto dalla famiglia e dall'ambiente nel quale viveva e che aveva perso, ai suoi occhi, di credibilità; dall'altro l'assunzione di un altro modello di intellettuale e dirigente, quello del prete, per lui interamente nuovo - e sopratutto capace di soddisfare le sue due esigenze principali: dedizione nei confronti degli altri esseri umani e identificazione totale con un'istituzione storica che desse soluzione ai quesiti fondamentali sulla vita e sulla morte. Non sarà casuale che la risposta di don Milani ai problemi lasciati aperti dal crollo dell'egemonia della borghesia liberale si articolerà, concretamente, valorizzando appunto i valori più tipici della tradizione di ‘filologi positivisti’ cui appartenevano i Milani Comparetti: i valori della parola, della chiarezza, della precisione filologica capace di creare precisione concettuale, ideologica, filosofica. Se la parola è sempre, prioritariamente, parola d'altri , in bocca ad altri, e se la sua specificità, quando diventa parola nostra, consiste nel suo essere replica di un dialogo, la parola come strumento è efficace se è efficace per un altro, consacrazione dell'ineludibile e fondamentale dimensione sociale dell'esistenza degli uomini. Parole vere, autentiche, efficaci sono le parole capaci di aprire gli uomini all'influenza degli altri uomini. Ogni filosofia del linguaggio, pertanto, quali che siano le sue caratteristiche, ed anche ogni teologia del linguaggio o, per tagliar corto, ogni concezione del linguaggio, nasconde sempre un modo e un tentativo di incidere o non incidere strategicamente sul cambiamento degli individui, delle relazioni e delle società. Don Lorenzo Milani ha elaborato una sua sicurissima concezione del linguaggio, a cavallo tra teologia e filosofia, ovvero, per l'antitecnicismo delle sue riflessioni, una critica, in senso kantiano e in senso 'francofortese', del linguaggio e della parola. L'apprendimento degli strumenti logici e culturali con i quali ha potuto 9 9 Cfr. Bachtin 1975, Wittgenstein 1953 viii condurre a termine questa costruzione è avvenuto in famiglia, a contatto coi genitori e con i loro amici filologi. Il profondo inserimento di questo 'bisnipote di Comparetti' - cosa che, ovviamente, qui assume un valore simbolico che oltrepassa il peso dell'influenza diretta del grande filologo, scomparso nel 1927, su don Milani - nella dinamica strutturale della nostra epoca Contemporanea, è tentativo autorevolissimo di risolvere teoricamente e praticamente le contraddizioni insite nella forma di vita della classe egemonica sull'intero pianeta, cui era appartenuto in modo qualificatissimo fino al 1943, anno della disfatta nazionale dell'Italia e della sua conversione al cattolicesimo. Il problema più importante che la borghesia europea non aveva saputo risolvere era, e rimane per noi, quello della religione, cioé della dedizione concreta ad un orizzonte di valori capaci di fondare e orientare la convivenza civile. Gli ideali della borghesia erano e sono nobili, e hanno ben meritato il sangue che è stato versato per loro: libertà, uguaglianza, fraternità. Ma erano e sono gli ideali di una classe, concettualmente e astrattamente universalizzabili, in concreto confinati nell'ambito sociale, per giunta ristretto e minoritario, da cui provengono: come potrà battersi per la libertà un contadino la cui unica libertà è lavorare per il proprio padrone o per la propria multinazionale ed essere asservito ai mafiosi tollerati o alleati dei borghesi? Come potrà un dirigente borghese riuscire nel suo tentativo di educare i diretti non borghesi ai valori sacri della Rivoluzione Francese se la libertà uguaglianza fraternità del diretto è dare (liberamente!) la parte preponderante (uguaglianza...) dei frutti del suo lavoro per far vivere e arricchire (in nome della fraternità) il suo dirigente? La soluzione migliore è quella di lasciare il diretto e lo sfruttato in condizioni intellettuali, morali e spirituali indegne di un uomo, in modo che non si accorga dell'ingiustizia che lo tiene in condizioni materiali intollerabili e si accontenti di una delle tante 'religioni mitologiche' della modernità: sette più o meno pagane, integrismi religiosi, tifo calcistico, fanatismo musicale o cinematografico, nazionalismi vari, razzismi da quattro soldi e con tanti calci. Seppure gli rimanga forza per queste cose, cioé non sia debilitato dalla fame. Così la religione positiva o laica della modernità, la maggiore conquista etica e morale che l'umanità di questo secolo sia stata in grado di compiere, con la sua pretesa di incidere concretamente e profondamente nella vita concreta degli uomini, resta un sogno, un'ideale intangibile, che non tocca mai i reali rapporti tra gli uomini per l'attaccamento ai suoi privilegi della classe che l'ha elaborata. La risposta di don Lorenzo Milani a questa intollerabile situazione morale di una classe intera è stata: dare ai poveri sussistenza materiale e dignità spirituale autenticamente umana. Per ottenere l'una e l'altra, istruzione - anche coattiva, sì, perché no? meglio le scudisciate dell'«uomo del monte», dell'aguzzino della multinazionale, o quelle di un maestro mentre insegna le tecniche fondamentali della civiltà, lettura, scrittura, computazione, e insegna a utilizzarle per non farsi sopraffare dal più forte? Quello di don Milani è il tentativo di impostare una prassi educativa socratica, sorretta proprio dalla strumentazione filologica che gli veniva dalla formazione familiare, in risposta all'intollerabile situazione di minorità sociale e culturale in cui veniva tenuta la stragrande maggioranza del popolo italiano. La scrittura collettiva sarà la conclusione più autentica e radicale di questo percorso esistenziale, religioso e pedagogico. ix BIBLIOGRAFIA Adriani, Miccoli, Ranchetti et alii (1981), Don Lorenzo Milani, atti del convegno di Firenze, Biblioteca Comunale Centrale, 18-19-20 aprile 1980, Firenze, Comune di Firenze. Bachtin, Michail (1975), Voprosy literatury i estetiki, Izdatelstvo «Chudozestvennaja literatura», trad. it. Estetica e romanzo, a cura di Clara Strada Janovic, Torino, Einaudi, 1979. Bachtin, Michail (1979), Estetika slovesnogo tvorcestva, ?, Izdatel'stvo «Iskusstvo», trad. it L'autore e l'eroe, a cura di Clara Strada Janovic, Torino, Einaudi, 1988. Barraclough, Geoffrey (1964), An Introduction to Contemporary History, London, C.A. Watts & Co. Ltd, trad. it. Guida alla storia contemporanea, a cura di Mario Andreose, Bari, Laterza, 1971. Casali, Antonio & Spini, Giorgio (1986), Firenze, Bari, Laterza. Fallaci, Neera (1974), Dalla parte dell'ultimo. 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