IAB ITALIA
Rassegna Stampa del 04/03/2015
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INDICE
IAB ITALIA
03/03/2015 Eurosat
OPERAZIONE MATCH OFF, LA GDF OSCURA 124 SITI WEB
10
ADVERTISING ONLINE
04/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Internet veloce, via al piano da 6 miliardi
12
04/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Gli obiettivi del piano e l'Agenda digitale
14
04/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
la banda larga
15
04/03/2015 Il Sole 24 Ore
I big delle Tlc si schierano nella battaglia fibra-rame
17
04/03/2015 Il Sole 24 Ore
Per i voucher una dote da 1,7 miliardi
18
04/03/2015 La Stampa - Cuneo
La Granda "maglia nera" nell'Internet super veloce
19
04/03/2015 Il Messaggero - Umbria
Agenda digitale: arriva #AdUmbria
20
04/03/2015 Avvenire - Nazionale
«Meglio il modello ibrido fibra-rame»
21
04/03/2015 Il Foglio
Connessi si cresce. Consigli a Renzi per evitare gravi errori sulla banda larga
22
04/03/2015 MF - Nazionale
La pubblicità più cara? Su Alibaba
24
04/03/2015 MF - Nazionale
Intesa stringe accordo con Alipay e prepara un sito di e-commerce per pmi
26
04/03/2015 DailyNet
MWC2 Programmatic: PubMatic porta il native advertising su mobile
27
04/03/2015 DailyNet
Beintoo lancia la nuova piattaforma di proximity based generation Be Audience
28
04/03/2015 DailyNet
Lewis pr acquisisce il digital marketing di piston
29
04/03/2015 Pubblicita Today
System24 chiude il 2014 con il segno più. Via al nuovo naming
30
04/03/2015 Pubblicom Now
Kingerlee in Videology Emea
32
04/03/2015 Pubblicom Now
Arcaplanet investe nel net retail e inaugura il canale di e-commerce
33
03/03/2015 Altroconsumo - Hi Test
L'Agenda digitale resta un libro dei sogni
34
03/03/2015 Wired
CYBER INSICUREZZA
35
03/03/2015 360com
E' Quisma ad aggiudicarsi il budget 2015 di Marina Rinaldi
37
03/03/2015 ADV Express
Videology: Robin Kingerlee è il nuovo EMEA Media Director
38
03/03/2015 ADV Express
ValVerde torna in comunicazione con Espressione e Acting out
39
03/03/2015 ADV Express
"Lo shopping a casa tua" con Zalando e Vanessa Incontrada nello spot di Jung von
Matt/Elbe
40
03/03/2015 Engage.it
Robin Kingerlee è il nuovo EMEA Media Director di Videology
41
03/03/2015 Il Sole 24 Ore Online
Zuckerberg cerca di farsi amici gli operatori, ma è una sfida in salita
42
03/03/2015 Primaonline.it 03:34
Robin Kingerlee, Emea Media Director di Videology
43
03/03/2015 Pubblicitaitalia.it 00:27
Marina Rinaldi sceglie Quisma per l'e-commerce in Europa
44
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO
04/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Pronto a trattare su Rai e reddito di cittadinanza»
46
04/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Lo scrittore Amos Oz: uno Stato palestinese è garanzia per Israele
49
04/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Il disordine delle regole sconvolge le professioni
53
04/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
DIRITTI (E DOVERi) DEI NUOVI ITALIANI
55
04/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Troppe questioni insieme e non tutte urgenti Ecco perché il premier ha rinunciato al
decreto
56
04/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Il fedelissimo Bonavitacola: cambiarla è una battaglia giusta e per Enzo ci metto il
cuore
58
04/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
LE TENSIONI DELL'OPPOSIZIONE AVVANTAGGIANO PALAZZO CHIGI
59
04/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Pansa: la nuova destra? Ha la benzina della rabbia ma mancano auto e pilota
60
04/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
E Renzi vola verso il Cremlino Obiettivo: mediare con l'Ucraina e coinvolgere Mosca
sulla Libia
62
04/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
L'ISIS SI BATTE STACCANDOGLI LA SPINA SUI MEDIA
64
04/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
per promuovere la banda larga la mano pubblica è benvenuta
65
04/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Le costose riproduzioni dei nostri libri antichi
67
04/03/2015 Il Sole 24 Ore
Le ragioni inascoltate della manifattura
68
04/03/2015 Il Sole 24 Ore
La «ritirata tattica» di Orange
69
04/03/2015 Il Sole 24 Ore
Perché credo nel valore dei corpi intermedi
71
04/03/2015 Il Sole 24 Ore
«I derivati? Equilibrio fra controllo e capacità negoziale»
73
04/03/2015 Il Sole 24 Ore
Dopo sei mesi il governo è ancora fermo alle linee guida
75
04/03/2015 Il Sole 24 Ore
A Bruxelles sancito il ritorno alla normalità istituzionale
77
04/03/2015 Il Sole 24 Ore
La corruzione è una zavorra per lo sviluppo
78
04/03/2015 Il Sole 24 Ore
Corruzione in atti giudiziari più severa
80
04/03/2015 Il Sole 24 Ore
Le vera posta in gioco nel negoziato con Teheran
81
04/03/2015 Il Sole 24 Ore
«La Russia ha le risorse per sostenere la crisi a lungo»
83
04/03/2015 Il Sole 24 Ore
Risposta univoca dell'Italia su Battisti
85
04/03/2015 Il Sole 24 Ore
Mazzette nella Palermo dell'antimafia
86
04/03/2015 Il Sole 24 Ore
Quei giudici esperti di tutto anzi, esperti di niente
87
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
La settimana degli intoppi
88
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
Il pasticcio delle primarie
90
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
"Sono quindici anni che aspetto una cattedra ormai non mi fido più"
91
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
"Il tempo è già scaduto non ce la faremo neanche lavorando tutta l'estate"
92
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
Telecom e Mediaset sotto i riflettori i francesi puntano sul nostro mercato
93
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
"Con questa disoccupazione non è onesto dire alla gente che siamo fuori dalla crisi
Ora servono gli investimenti"
95
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
"Condizionati dalla destra io voterò contro la legge"
97
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
"Nessun regalo alle imprese giusto eliminare gli ascolti"
98
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
"Troppe epurazioni, volevo lasciare l'ex premier mi ha convinto a congelare tutto"
99
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
La stretta dei democratici "Basta votare contro il partito ora serve obbedienza"
100
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
"Un appello di impatto che smonta l'accordo"
102
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
"Tra due settimane si vota è una manovra elettorale"
103
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
"Dietro la lotta alla mafia nascondono i loro interessi"
104
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
Ferrari a Wall Street con una quota superiore al 10%
105
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
La parabola Dmail da grande promessa della new economy a scatola finanziaria
vicina al fallimento
106
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
"La Luxottica del futuro con Google e Intel"
107
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
IL MIO AMICO NEMTSOV E I "BUONI" RUSSI
109
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
L'amaca
110
04/03/2015 La Repubblica - Nazionale
L'ANTIMAFIA DOCILE E OSCURANTISTA
111
04/03/2015 La Stampa - Nazionale
"Solamente la pace a Tripoli ferma i migranti"
113
04/03/2015 La Stampa - Nazionale
L'Antitrust stringe su Mediaset "Dica perché vuole il 66% di Rai Way"
115
04/03/2015 La Stampa - Nazionale
"Questa è l'ultima occasione per avere giustizia"
116
04/03/2015 La Stampa - Nazionale
«Rcs, in corso il risanamento»
117
04/03/2015 La Stampa - Nazionale
Mps crolla in Borsa Oggi il Cda sull'aumento
118
04/03/2015 Il Messaggero - Nazionale
Internet veloce, cantiere aperto il vero nodo le poche risorse
119
04/03/2015 Il Messaggero - Nazionale
No al decreto «per non stressare il Colle» Tensione tra il premier e la Giannini
120
04/03/2015 Il Giornale - Nazionale
Quasi sciolto il nodo Regionali Attesa per il ritorno del Cavaliere
121
04/03/2015 Il Giornale - Nazionale
«L'euro è stato un errore Non dovevamo entrarci»
122
04/03/2015 Il Giornale - Nazionale
I D'Alema non sono emarginati, quelli di «CasaPound» sì
123
04/03/2015 Il Giornale - Nazionale
Società civile fra nuovi Ciompi e vigilanza
124
04/03/2015 Il Manifesto - Nazionale
Uzi Eilam: «Sui pericoli, il premier esagera»
125
04/03/2015 Libero - Nazionale
«L'anticapitalismo di destra ci salverà dalla crisi»
127
04/03/2015 Il Foglio
PICCOLA POSTA
129
04/03/2015 ItaliaOggi
Bersani non si rassegna alla sconfi tta e chiede un partitino suo dentro il Pd
130
04/03/2015 MF - Nazionale
Nasdaq boom, questo record è senza bolla
131
04/03/2015 MF - Nazionale
Limite ai diritti di voto e scorporo tra cooperativa e spa per blindare le popolari
133
04/03/2015 Financial Times
Gripped by great contradictions
134
04/03/2015 Financial Times
Carmakers slide as icy weather keeps buyers away from showrooms
136
04/03/2015 International New York Times
Top to bottom, Serie A hard to stomach
137
04/03/2015 The Independent
Cheesemakers hold protest over grating issue of 'imposters'
139
04/03/2015 The Times
Italians greet arrival of sea migrants by embracing far right
140
04/03/2015 La Tribune Quotidien
AVEC LA GRECE, POUR UNE EUROPE SOLIDAIRE
141
04/03/2015 La Tribune Quotidien
LES ENFOIRES, LES PRIVILEGES DES ANCIENS ET LE CHOMAGE DES JEUNES
142
04/03/2015 Les Echos
Faute de financement rapide, le mur de la dette menace la Grèce
143
04/03/2015 Les Echos
Airbus Helicopters veut changer la donne avec son dernier-né
144
04/03/2015 Les Echos
Le diesel, levier clef pour réduire les émissions de CO2
145
04/03/2015 Les Echos
Renzi veut injecter 6 milliards dans le très haut débit en Italie
146
04/03/2015 Liberation
Pour la Libye, Matteo Renzi compte sur la Russie
147
04/03/2015 Wall Street Journal
Aston Martin Outlines An Expanded Lineup
148
IAB ITALIA
1 articolo
03/03/2015
Eurosat - Ed. n.266 - marzo 2015
Pag. 6
OPERAZIONE MATCH OFF, LA GDF OSCURA 124 SITI WEB
I finanzieri del Nucleo Speciale Frodi Tecnologiche hanno condotto una vasta operazione di contrasto alla
pirateria audiovisiva, denominata Match Off, che ha portato all'oscuramento di 124 siti Internet che
trasmettevano film ed eventi sportivi in modo illecito II provvedimento di sequestro è stato ordinato dal G.I.P.
di Roma nell'ambito di un'inchiesta coordinata dalla Procura della Repubblica di Roma avviata grazie ad una
denuncia di Sky. Le indagini, sviluppate con la collaborazione del Nucleo Speciale Radiodiffusione Editoria,
hanno consentito di verifìcare come i siti in questione trasmettessero numerosi eventi sportivi e interi
campionati di più discipline sportive, oltre a concerti musicali, film e telefilm senza possedere i relativi diritti,
appartenenti a pay-tv nazionali ed estere. I contenuti piratati, disponibili sia in streaming "live" che ondemand, erano ricevuti da decoder ufficiali o illegali e ritrasmessi da server residenti all'estero, con veri e
propri palinsesti organizzati per facilitare la scelta del programma preferito. La fonte di guadagno principale
per questi siti è legata ai banner pubblicitari che l'utente deve cliccare per avviare la trasmissione e
mantenerla attiva per tutto il tempo necessario. Oggi, in Italia, la pubblicità online vale complessivamente 2
miliardi di euro, il 25% dell'intero volume d'affari del settore. Si iscrive proprio in questo contesto l'accordo che
la IAB, l'associazione che riunisce i pubblicitari, ha siglato all'inizio della scorsa estate con FPM, la
Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale, e FAPAV, Federazione per la Tutela dei Contenuti
Audiovisivi e Multimediali, per contrastare il dilagare delle inserzioni pubblicitarie sulle piattaforme web illegali.
Alcuni dei siti oscurati sono stati inoltre predisposti per massimizzare i profitti anche in danno del mercato
pubblicitario, attraverso automatismi fraudolenti che conteggiavano periodici click sui banner anche senza
l'intervento dell'utente. A tal riguardo, sono in corso attività di analisi informatica per rilevare le concessionarie
di pubblicità che hanno consentito a noti brand, attivi nel settore finanziario, immobiliare, del betting online,
della distribuzione al dettaglio e delle telecomunicazioni, di trasmettere messaggi pubblicitari sui siti
sequestrati. In altri casi, i tecnici della GdF hanno individuato la presenza di un malware informatico capace di
rubare agli utenti informazioni personali attraverso la tecnica del phishing. www.gdf.gov.it
IAB ITALIA - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Piraterìa / NEWS
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27 articoli
04/03/2015
Corriere della Sera
Pag. 5
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Nessuno spegnimento forzato della rete in rame. Connessione per il 50% delle famiglie entro il 2020 Renzi:
«La banda ultralarga è l'abc». Il ministro Guidi: la scelta tecnologica spetterà al mercato
Massimo Sideri
Niente switch off della rete in rame ma l'atteso piano di investimenti sulla fibra da 6 miliardi, incentivi alla
«migrazione» verso le nuove infrastrutture e un rinvio, quello dell'introduzione del servizio universale. È la
sintesi delle mosse deliberate dal Consiglio dei ministri che si è riunito ieri in serata per affrontare il piano per
la banda ultralarga.
Com'era ormai emerso nelle ultime ore, la bozza di decreto preparato dal vicesegretario di Palazzo Chigi,
Raffaele Tiscar, in cui si parlava espressamente di uno spegnimento della rete in rame di Telecom entro il
2030 (il cosiddetto progetto Ring, da Rete Internet di nuova generazione) è rimasta lettera morta sulla
scrivania del ministero dello Sviluppo economico dov'era approdata. Il governo ha invece deliberato il piano di
investimenti da 6 miliardi di euro che utilizza sia fondi europei sia fondi italiani per approdare agli obiettivi
dell'Agenda europea 2020 che dovremo rispettare anche noi. In particolare due miliardi sarebbero a fondo
perduto mentre altri 4 miliardi verrebbero anticipati attraverso la Banca europea degli investimenti.
«La banda ultralarga - ha detto il premier Matteo Renzi dopo il consiglio - è l'abc». «Il nostro Paese - si legge
nel documento del governo messo in consultazione pubblica - parte da una situazione molto svantaggiata
che ci vede sotto la media europea di oltre il 40 punti percentuali nell'accesso a più di 30 Mbps (megabit al
secondo) e un ritardo di almeno 3 anni». Rispetto al documento iniziale il governo ha ridotto gli obiettivi di
raggiungimento dell'85% della popolazione con almeno i 100 Mbps, portandolo vicino al 50%, dunque più
vicino a quelli che sono gli obiettivi già previsti dagli operatori privati grazie agli investimenti messi a bilancio
da qui al prossimo anno. «Se i 6 miliardi pubblici avranno un effetto moltiplicativo con altrettanti investimenti
privati - ha specificato il sottosegretario, Graziano Delrio - l'Italia potrà superare gli obiettivi europei» al 50%
della popolazione coperta con i 100 Mbps. La copertura del territorio avverrà con la divisione in 4 cluster e
aree geografiche che vanno da quelle a successo di mercato fino a quelle a fallimento sicuro, dove cioè
l'investimento in un'ottica pubblica di riduzione del digital divide diviene necessario.
Dal punto di vista tecnologico si va dal Ftth, il Fiber to the home , cioè la fibra fino a casa, fino alla copertura
con i ponti radio. Si tratterà ora di implementare il piano e dargli un'anima. Sullo sfondo rimane l'operazione
per dare una forma alla società delle reti di nuova generazione che sembrava poter partire con l'accordo,
sfumato pochi giorni fa, tra Metroweb e Telecom Italia. Il nodo rimane il controllo. Il riverbero dello scontro è
giunto fino al governo che ha messo in cantina lo switch off, cioè lo spegnimento della rete in rame,
partorendo la «migrazione». È questo il termine della diplomazia renziana e circolato negli ambienti a lui vicini
per rendere più commestibile a Telecom l'idea di una trasformazione della sua rete.
Il numero uno di Vodafone Italia, Aldo Bisio, ieri ha ribadito la volontà del gruppo inglese di volere investire in
una società pubblico-privata con precise garanzie sul controllo (che non dovrebbe essere, per Vodafone, né
di Telecom né di Cdp). L'ultima ipotesi a circolare è quella di una newco - non, dunque, Metroweb. Ma la
partita è aperta. Proprio per questo il premier Matteo Renzi avrebbe preferito per ora rinviare l'introduzione
del servizio universale per le connessioni a Internet, probabilmente per tenerlo come arma nella trattativa con
Telecom.
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I punti
La banda larga
e il ritardo dell'Italia
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Internet veloce, via al piano da 6 miliardi
04/03/2015
Corriere della Sera
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L'Italia parte da una situazione molto svantaggiata in tema internet, con una velocità di connessione sotto la
media europea e un ritardo di almeno 3 anni. Secondo i piani industriali degli operatori privati, infatti, solo nel
2016 si arriverà al 60% della popolazione coperta dal servizio a 30 megabit per secondo, senza impegni oltre
quella data. Il megabit per secondo è l'unità di misura usata per indicare la capacità di trasmissione dei dati
sulla rete informatica. E da cui deriva
la velocità di connessione
Velocità di connessione e assenza di domanda
Nel documento sulla «Strategia italiana per la banda ultralarga» della presidenza del consiglio viene fissato
l'obiettivo di raggiungere entro il 2020 la copertura fino all'85% della popolazione con una connettività ad
almeno 100 Mbps. In Italia invece la copertura del servizio Adsl2+, l'internet superveloce con prestazioni
nominali fino a 20 Mbps, è superiore all'80%. Ma anche a tali livelli, comunque, la domanda resta pari al 20%
dell'offerta. Il punto è ancora l'assenza di domanda
Le opzioni tecnologiche per installare la fibra
Esistono diverse tecnologie, o architetture, per portare la banda larga nella case. Le più diffuse sono
l'architettura Fttc (Fiber to the cabinet) e Ftth (Fiber to the home). Nel primo caso la fibra ottica viene
collegata agli armadi telefonici su strada e il cosiddetto «ultimo miglio» viene coperto con la rete in rame. Con
l'Ftth la fibra arriva direttamente all'interno delle case. C'è anche l'opzione Fttb in cui la fibra ottica viene
portata fino alla base del palazzo e le case collegate con il cavo in rame
La vicenda
Ieri al Consiglio dei ministri è stato presentato
il piano di investimenti
per accelerare la diffusione della banda larga
in Italia in vista degli obiettivi 2020 Sgravi fiscali e incentivi
alla domanda oltre a un fondo di garanzia per
le aree a fallimento di mercato, cioè quelle dove per gli operatori privati non è economica-mente conveniente
investire La riforma rientra nei piani per l'Agenda digitale, un programma europeo per sviluppare l'utilizzo
delle reti veloci di comunicazione via internet Tema centrale della riforma è garantire l'accesso alla banda
larga ultraveloce fino agli armadi, fino alle abitazioni (Fttc - Fiber to the cabinet). Non soltanto agli edifici
Telecom Italia non fa mistero di voler sfruttare il più possibile l'ultimo miglio in rame grazie alle tecnologie
vectoring e alle sue evoluzioni, che promettono sulla carta, velocità da 30 a 100 megabit
al secondo Il tema è sul tavolo dell'Agcom, l'authority
per le comunicazioni. ma non è chiaro come portare la rete all'ultimo miglio
04/03/2015
Corriere della Sera
Pag. 6
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Gli obiettivi del piano e l' Agenda digitale
testi a cura di Massimo Sideri
Gli obiettivi minimi del governo coincidono con quelli definiti dall'Agenda 2020 e, cioè, almeno il 50% della
popolazione con accesso a una velocità di 100 mega al secondo e la restante quota con una velocità non
inferiore al 30%. Si tratta di numeri molto distanti da quelli attuali forniti dalla Commissione europea che
l'esecutivo ha preso come riferimento e che mostrano come in Italia solo il 21% della popolazione ha accesso
effettivo a una banda definibile ultralarga (contro una media Ue del 64%). Peraltro con una penetrazione
minore dell'1%. Mentre solo il 23% ha un contratto con un'offerta di banda larga base (al netto delle
connessioni mobili, tre italiani su quattro non hanno un accesso casalingo alla rete). La velocità media di
navigazione è inferiore ai 10 Mbps. Per scardinare questa situazione il governo ha messo nel piano 6 miliardi
di investimenti, di cui almeno 4 dovrebbero essere anticipati dalla Bei e altri dovrebbero arrivare come
investimenti a fondo perduto. Il ministro Guidi ha però aggiunto che gli incentivi del governo saranno maggiori
laddove sara offerta una tecnologia più avanzata, una sorta di spinta per l'abbandono del rame.
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La copertura
04/03/2015
Corriere della Sera
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la banda larga
connessioni, iNCENTIVI e REGOLE
Federico De Rosa
Per Matteo Renzi «è l'abc del nuovo alfabeto economico». La base per recuperare la distanza dai partner
europei sulla diffusione di Internet a banda larga - l'Italia è ultima in Europa per la copertura con reti digitali di
nuova generazione - e accelerare la realizzazione delle reti ultraveloci per stimolare la crescita. Un compito di
cui il governo si fa protagonista e promotore, mettendo sul tavolo una serie di provvedimenti per recuperare il
ritardo sull'Agenda digitale e portare entro il 2020 la connessione a 30 mega al 100% della popolazione e 100
mega al 50% degli abitanti. La zona non conta, che sia a «fallimento economico», ossia poco interessante
per le compagnie telefoniche, oppure ad alto reddito, la rete arriverà comunque. Se non lo farà il privato ci
penserà lo Stato. In realtà il piano del governo è anche più ambizioso e punterebbe a connettere nel 2020
l'85% del territorio a 100 mega. Sul tavolo ci sono 6 miliardi a cui aggiungere altri 2 miliardi già stanziati dalle
aziende nei loro piani di sviluppo e, auspica il governo, altri 4 miliardi di ulteriori investimenti. Le compagnie
telefoniche saranno libere di scegliere la tecnologia più adeguata per realizzare la «Ring», acronimo di «rete
italiana di nuova generazione». Il piano non pone vincoli. Il governo, da parte sua, punta a portare la fibra
ottica fino alla base dei palazzi (Fttb). Nel piano non ci son0 riferimenti al famigerato «switch off», ossia allo
spegnimento della rete in rame e al passaggio alla fibra, di cui si parlava nella bozza del decreto sulla banda
larga con riferimento al 2030. È stato accantonato anche l'obbligo del servizio universale a 30 mega, ossia
l'obbligo di portare Internet ultraveloce a chiunque ne faccia richiesta. Attraverso la rete di nuova generazione
il governo punta, oltre che a recuperare terreno, a stimolare l'offerta di nuovi servizi.
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Lo scenario mondiale L'ITALIA A CONFRONTO CON GLI ALTRI PAESI Dati 2013 14,5 Svizzera 14,1
Svezia 14 Olanda 13,9 Irlanda 12,3 Repubblica Ceca 11,7 Finlandia 11,4 Norvegia 10,7 Regno Unito 9,1
Russia 8,7 Germania 7,8 Spagna 6,9 Francia 5,5 ITALIA 4,7 Emirati Arabi Uniti 3,6 Sudafrica LA VELOCITÀ
DI CONNESSIONE Dati ultimo trimestre 2014, valori in megabyte al secondo Fonte: Leichtman Research
Group (Maggio 2013) Fonte: Telecom CONNESSIONI BROADBAND IN USA Totali esistenti di cui cable 47,5
mln (58%) operator 0,8 mln (73%) 82,5 mln Nuove attivazioni I trim. 2013 1,1 mln Fonte: Elaborazioni F2i Usa
Europa >100 $/mese (circa 75 euro) 45-50 euro/mese PREZZO MEDIO ABBONAMENTO TV + TELEFONO
+ INTERNET UBB Fonte: Rapporto I-COM 2011 sulle reti di nuova generazione Fonte: The state of
Broadband 2014 Fonte: Akamai Germania Francia Regno Unito Spagna ITALIA Investimenti dal 2007 al
2010 (milioni di euro) 350 350 330 250 0 % di abitazioni raggiunte (2011) 50% 40% 50% 40% 0%
INVESTIMENTI DEI CABLE OPERATOR DA 2007 AL 2010 Fonte: Rapporto sulla filiera delle
telecomunicazioni in Italia - Edizione 2013, Analysys Mason (giugno 2013) Regno Unito Germania Francia
Spagna ITALIA % di famiglie raggiunte (2012) 6% 4% 7% 5% 3% Variazione % 2011-2012 86% 82% 77%
67% 55% QUANTO È ESTESA LA BANDA LARGA FISSA FISSO Banda larga ADSL (fino a 7 Mbit/s e basic
broadband) 99% Copertura in Italia Connessione degli italiani 51% Banda ultralarga 29% 3% MOBILE Banda
larga mobile 99% 32% Banda ultralarga mobile 80% 32% LA RETE TELECOM Corriere della Sera % di
persone che usano internet Islanda 96,5 Sottoscrizione alla banda larga ogni 100 abitanti Monaco 44,7 Uso
dei social network 1ª posizione Canada 82% 2ª posizione Norvegia 95,1 Svizzera 43 Emirati A.U. 81% 3ª
posizione Svezia 94,8 Danimarca 40,2 G. Bretagna 76% ITALIA 64ª posizione 58,5 40ª posizione 22,3 12ª
posizione 54%
La vicenda
Nel piano della rete elaborato dal governo non ha trovato spazio lo switch off dal rame alla fibra L'Italia è
ancora una «lumaca» sulla banda larga. L'ultima doccia fredda sulla rete ad alta velocità italiana è arrivata
poche settimane fa dal britannico «Independent» che ha elaborato i dati Ookla I test più recenti dicono che in
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il decreto internet veloce
04/03/2015
Corriere della Sera
Pag. 6
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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Italia la velocità media di connessione è di 9,18 Mbps (megabit per secondo,
l'unità di misura della velocità di trasmissione su rete informatica, ndr), che ci colloca al 94° su 198 Paesi
osservati Rispetto al documento iniziale il governo ha ridotto gli obiettivi di raggiungere l'85% della
popolazione con almeno i 100 Mbps, portandoli vicino al 50%, dunque più vicino a quelli che sono gli obiettivi
già previsti dagli operatori privati grazie agli investimenti messi a bilancio da qui al prossimo anno La
copertura del territorio avverrà con la divisione in quattro aree, da quelle a successo di mercato fino a quelle
a fallimento sicuro
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 2
(diffusione:334076, tiratura:405061)
I big delle Tlc si schierano nella battaglia fibra-rame
Andrea Biondi
BARCELLONA
Scelte tecnologiche, politiche d'investimento, politica in senso lato. È un mix di fattori quello che sta
alimentando la battaglia fibra-rame degli ultimi giorni. Gli schieramenti a questo punto sono chiari. Alla fine
però tutte le strade sembrano portare a Metroweb o meglio: alla società da utilizzare come veicolo per la rete
di nuova generazione. Società unica come vorrebbero Vodafone e Wind, o con Telecom in posizione di
controllo come vorrebbe l'ex monopolista schierato contro il «condominio»?
Certo, il dibattito sull'architettura ideale per la rete in fibra - Ftth (fibra fino a casa) o Fttb (fino ai palazzi) come
da intenzioni del governo o Fttc (fibra fino all'armadio di strada con ultimo tratto in rame) - ha inevitabilmente
un coté tecnologico. Fastweb qualche settimana fa si è schierata apertamente per le soluzioni in Fttc grazie a
tecnologie in grado di far volare le prestazione del rame (anche 500 Mbps di velocità grazie al Gfast). Una
breccia, insomma, nel dogma dell'Ftth come unico modo per avere prestazioni da 100 Mbps. Sull'altro
versante però c'è chi (governo in testa) non vuole sentire parlare di tecnologie con rame «dopato» e che non
hanno chiarezza normativa (sul vectoring per esempio). Inoltre, chiedono i detrattori: chi garantisce che il
servizio non sia strozzato dalla parte finale in rame con un numero maggiore di clienti? Chi garantisce quindi
il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda digitale?
In questa sorta di Avignone divisa fra papi e antipapi della fibra fino a casa, sul fronte operatori il punto di
vista più chiaro, già in partenza, è quello di Metroweb: Ftth. Così è stata coperta Milano (dove serve
Vodafone e Wind); così si sta procedendo a Genova, come a Bologna e a Torino; così si procederà in altre
città (erano 30 quelle previste dall'ultimo piano del 2012).
All'estremo opposto c'è Fastweb che pure ha 7 città coperte in Ftth con la rete storica. Ieri in audizione in
commissione trasporti alla Camera la società ha ribadito le critiche alle scelte del governo sul Piano Banda
Ultralarga: sacrificio della neutralità tecnologica; costi superiori del 70% e il 75% di tempo in più per
completare la rete con Ftth rispetto all'Fttc; diseguaglianze sul territorio fra i centri congeniali a investimenti in
Ftth e aree più disagiate. Telecom - che è leder per coperture (30% della popolazione con obiettivo del 75%
al 2017) - storicamente ha puntato sull'Fttc, ma nel suo piano di investimenti 2015-2017 ha fatto una scelta
«laica», riservando 500 milioni di euro allo sviluppo dell'Ftth. Tra l'altro, vincendo alcuni bandi del Mise al
Sud, sta creando la rete in Fttc, ma dando l'Ftth a enti e istituzioni. Dal canto suo Vodafone è partita nella
seconda parte dell'anno scorso con investimenti su armadi di strada propri per lo sviluppo della propria rete in
Fttc, anche comprando cabinet da Telecom. Se però la scelta di investimento è stata per l'Fttc, perché quindi
non unirsi al coro degli altri due operatori quindi favorevoli a che il governo sposi (e incentivi) il sistema misto
fibra-rame?
Qui il discorso veramente rischia di non avere risposta se non si va dritti al tema Metroweb. Come WindInfostrada, anche Vodafone vorrebbe una società unica e condivisa fra operatori. Una sola rete, magari in
Ftth, anziché reti costruite anche in sovrapposizione fra operatori. Ci sarebbero investimenti e sviluppo
condiviso da parte degli operatori. Telecom però al condominio non crede. E Fastweb, che in passato ha già
fatto investimenti, strategicamente perché dovrebbe venire meno a scelte stand alone?
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Le posizioni
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 3
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Per i voucher una dote da 1,7 miliardi
Andrea Biondi
«Una delle maggiori difficoltà di sviluppo della banda ultralarga in Italia è rappresentata dal basso potenziale
della domanda e da un trend decrescente di linee attive su rete fissa a favore delle linee mobili». È con
questo incipit che a pagina 66 del Piano banda ultralarga il governo inquadra le misure inserite nel capitolo
«Gli stimoli alla domanda». Incentivi alle famiglie sotto forma di voucher, dunque, per favorire l'acquisizione
effettiva di connessioni a 100 Mbps. Sono incentivi che interesseranno circa il 30 per cento delle utenze
nazionali con un fabbisogno stimato di 1,7 miliardi di euro.
I voucher alle famiglie per "sposare" i servizi in fibra, a regime nei prossimi anni hanno fatto il loro ingresso
sulla scena tardi, rispetto all'inizio dei lavori sulla strategia del governo per spingere sulla banda ultralarga e
nel raggiungimento degli obiettivi dell'agenda digitale.
Ma adesso più che mai la misura sembrava ben poco rinviabile dopo la pubblicazione da parte dell'Unione
europea dell'indice Desi (il grado di digitalizzazione dei vari Paesi). Nel computo generale l'Italia è 25esima
su 28 Paesi. E la domanda dell'utenza ha una incidenza chiave.
Del resto, basti pensare che a utilizzare Internet in Italia è il 59% della popolazione (di età compresa fra 16 e
74 anni) contro il 75% di media Ue. La percentuale è fra le più basse in Europa e pone l'Italia al 25esimo
posto in classifica. E a questo va aggiunto che c'è un 31% di popolazione italiana che non ha mai usato
Internet. Quelli che invece navigano fanno poca lettura (60%, 26esima posizione) dei giornali online, basso
uso di Tv su internet (0,5%, ultimi in Ue) e video on demand (20%, 21esimi), pochi social network (58%,
22esimi). Tutto questo mentre ci sono servizi come il consumo di video on demand che bussano alle porte.
Servono infrastrutture. Ma anche convincere la clientela a migrare, spendendo qualcosa in più, non è impresa
da poco.
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Gli incentivi. Interessato al contributo potenzialmente il 30% delle utenze
04/03/2015
La Stampa - Ed. cuneo
Pag. 45
(diffusione:309253, tiratura:418328)
paola scola
La Granda è «maglia nera» nell'Internet «super veloce». Nessuna delle 16 centrali raggiunte dalle fibre
ottiche, già posate per 128 km, è stata attivata. Nonostante siano stati investiti dalla Regione 2.487.053,19
euro. Il Cuneese è la provincia con il maggior numero di risorse destinate, ma anche con servizio pari a zero.
A denunciare la situazione, che «rischia di provocare un gigantesco sperpero di risorse pubbliche», è stato il
viceministro della Giustizia, il monregalese Enrico Costa.
«In Piemonte sono stati spesi in tutto oltre 7 milioni per posare la fibra ottica - ha scritto al governatore
Chiamparino -, ma quasi l'80% non è stata attivata». Perché? Costa dà una risposta: «Gli operatori non
dimostrano interesse a investire senza ritorno economico. La fibra arriva anche alle centrali che si trovano in
zone montane, dunque con un limitato numero di potenziali abbonati. Per questo mi sono fatto portavoce
delle preoccupazioni di molti amministratori e cittadini: senza una soluzione urgente, quelle opere
diventeranno una spesa improduttiva, anzichè un'opportunità di sviluppo del territorio». Al posto del rame
Prima il conduttore storico era il rame, che portava impulsi elettrici, ma aveva una capacità limitata. La fibra
ottica, che è costituita da silice, trasmette invece un segnale ottico, con frequenze e capacità almeno di un
milione di volte superiore. In pratica, dunque, con la possibilità di trasferire una quantità infinitamente
maggiore di comunicazioni. L'«autostrada» ferma
L'«autostrada della banda larga» tocca Borgo, Roaschia, Ceva, Mombasiglio, Scagnello, Viola, Paroldo,
Monesiglio, Camerana, Saliceto, Margarita, Castelletto Stura, Entracque, Valdieri, Torre Mondovì, Roburent,
Pamparato, Vicoforte, Baldissero, Santo Stefano Roero, Pezzolo, Saluzzo e Pagno.
«Abbiamo prospettato più volte il problema in Regione - dice il sindaco di Roburent, Bruno Vallepiano -. Nella
scorsa legislatura l'allora assessore alla Montagna ci disse di volerlo superare. Ma non c'è stato riscontro,
neanche alle ripetute lettere». E ancora: «I lavori per la posa della fibra ottica si sono svolti a regola d'arte e
in tempi rapidi. Poi, però, si sono fermati lì». «Noi abbiamo Internet veloce - spiega Gian Pietro Pepino,
sindaco di Entracque - solo perchè Comune e Parco si sono pagati il ripetitore e c'è un operatore privato, su
satellite, al quale i singoli pagano il canone. Qui sono arrivati con le fibre ottiche, ma si limitano a raggiungere
le cabine: di lì, poi, non c'è alcun collegamento». Il governatore
Chiamparino: «Ho presente il problema sollevato da Costa: i numeri rimandano agli interventi dopo l'accordo
del 2010 tra Regione e ministero dello Sviluppo economico per potenziare le infrastrutture per connessione a
banda larga e abbattimento del digital divide». E ancora: «I fondi non possono essere usati per allacciare le
singole unità abitative o produttive alle infrastrutture di smistamento. Di questo tratto dovranno occuparsi i
gestori di telefonia interessati a fornire i servizi. Abbiamo approvato in Conferenza delle Regioni il 19 febbraio
un documento che chiede al Governo di prevedere, nel Piano Nazionale Banda ultralarga di imminente
approvazione, aiuti o azioni per superare lo stallo». E conclude: «Rassicuro Costa: tutte le infrastrutture in
fibra ottica finora costruite sono indispensabili per realizzare il Piano Nazionale e raggiungere gli obiettivi dell'
Agenda Digitale Europea 2020».
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La Granda "maglia nera" nell' Internet super veloce
04/03/2015
Il Messaggero - Ed. umbria
Pag. 42
(diffusione:210842, tiratura:295190)
A due anni dall'avvio del percorso dell'Agenda digitale dell'Umbria, la Regione intende coinvolgere cittadini,
imprese, pubblica amministrazione, associazioni e tutto il partenariato economico-sociale, per confrontarsi su
quanto fatto e mantenere aperta la collaborazione sulla costruzione dell'Agenda digitale in Umbria, arrivando
a un evento il 23 marzo a Perugia, "#AdUmbria2015". In vista dell'evento "#AdUmbria2015" che si svolgerà il
23 marzo 2015 a Perugia, la Regione Umbria e la Scuola Umbra di Amministrazione Pubblica hanno
organizzato, a due anni dall'avvio del percorso dell'Agenda digitale dell'Umbria, un percorso preparatorio di 5
"focus group" in cui le persone che avranno manifestato interesse a discutere e confrontarsi su un tema
specifico, porteranno il proprio contributo, andando così a costituire una comunità di pratica permanente sulle
cinque missioni previste dall'Agenda digitale dell'Umbria.
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Agenda digitale : arriva #AdUmbria
04/03/2015
Avvenire
Pag. 4
(diffusione:105812, tiratura:151233)
Pileri (Italtel): ma per il futuro bisogna costruire una nuova Rete Mirtillo (Ericsson): «Bene, il governo deve
sostenere la transizione, non imporre l'uso di una specifica tecnologia. Queste analisi spettano alle aziende»
CLAUDIA LA VIA
Il piano presentato dal Consiglio dei ministri non vuole fare i conti in tasca alle aziende né imporre scelte.
L'obiettivo, ha spiegato il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, è «stimolare gli
investimenti». Prima di questo, però, lo scopo dovrebbe essere un altro: assicurare a tutti una connessione
internet ultraveloce. In una parola, quello che conta è il risultato, non le strade percorse per raggiungerlo.
Sullo sfondo c'è l'Agenda europea, che entro il 2020 vuole portare a tutti una connessione internet che viaggi
ad almeno 30 megabit al secondo (Mbps) e di riuscire ad avere, almeno per il 50% della popolazione, una
capacità effettiva di rete che possa raggiungere i 100 Mbps. «Il governo deve sostenere questa transizione,
ma non imporre l'uso di una specifica tecnologia. Queste analisi spettano alle aziende che operano in questo
settore, e che devono valutare sulla base dei loro piani industriali gli investimenti sostenibili», precisa Nunzio
Mirtillo, Ad per l'Italia di Ericsson, che spiega come, in un futuro ormai vicinissimo, il traffico di informazioni
sulle reti aumenterà di 10 volte rispetto a oggi. «Per questo serve farsi trovare preparati». La "lungimiranza"
infatti, è una delle chiavi di lettura di questo potenziamento della connettività. Gli obiettivi di copertura per il
2020 «possono essere raggiunti con un moderato sviluppo della fibra ottica fino alle abitazioni, e utilizzando
al meglio le tecnologie che sfruttano ancora una parte di rete in rame», spiega Stefano Pileri Ad di Italtel.
Insomma, l'idea degli operatori di valutare soluzioni "ibride" per raggiungere gli obiettivi fissati dall'Ue è una
scelta ragionevole secondo il numero uno di Italtel. Il problema però è un altro: «Le cose stanno cambiando in
modo talmente rapido che gli obiettivi che l'Europa ha fissato quattro anni fa (con l'Agenda digitale, ndr), sono
ormai superati in prospettiva», sottolinea Pileri. Significa che raggiungere i 30 Mbps è solo il primo, piccolo,
passo ma bisogna iniziare a lavorare oggi per evitare di ritrovarsi nel 2020 col fiato corto. Le reti non sono
ancora adeguate all'effettivo utilizzo della banda per il traffico futuro e il numero di utenti connessi. Tutta
"colpa" dei video in ultra definizione, il 4K, che «tra 4-5 anni al massimo avrà raggiunto l'80% della capacità
attuale», sostiene Pileri. Per questo bisogna evolvere, e in questo senso la mossa del governo suona più
come un pungolo all'innovazione che come un rimproverare agli operatori. «Chi crede che il rame sia eterno
sbaglia», dice Pileri, secondo cui occorre iniziare a lavorare subito. «Per costruire una nuova rete occorrono
almeno 1520 anni e non si può più aspettare». Nel frattempo gli operatori hanno iniziato ad avviare una
nuova rivoluzione: trasformare le centrali telefoniche in data center virtualizzando le reti. Fantascienza? No.
«Anche noi siamo già al lavoro: in Germania aiuteremo Vodafone a migrare su una rete virtuale», dice Pileri.
Il futuro delle telecomunicazioni, rivela, sarà la convergenza fra fisso e mobile. La rete insomma, virtuale o
reale, diventerà una.
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«Meglio il modello ibrido fibra-rame»
04/03/2015
Il Foglio
Pag. 4
(diffusione:25000)
Stefano Parisi
Al direttore - Che l'Italia sia in ritardo rispetto agli obiettivi dell'Agenda digitale europea è noto. E' in grave
ritardo nella digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche, è in grave ritardo nella penetrazione delle
connessioni internet tra le famiglie e tra le imprese, pochi usano internet per fare acquisti, quasi nessuno per
accedere ai servizi pubblici, ancora pochi lo usano per l'home banking. Il ritardo si registrerà anche sullo
sviluppo della banda ultra larga. Solo pochi anni fa la rete in fibra italiana rappresentava il 40 per cento di
tutte le reti in fibra europee. E non era la rete di Telecom Italia. Poi è successo che gli investimenti hanno
rallentato, è iniziata una fortissima concorrenza tra operatori in un mercato senza crescita. Così il risultato è
stato una forte riduzione dei prezzi, dei margini per le imprese e sempre meno risorse per fare investimenti. A
questo si aggiunge il pesante debito di Telecom Italia che non le ha permesso di darsi una strategia di
investimenti lungimirante. La situazione è stata poi aggravata dal quadro regolatorio e politico. Telecom Italia
e i suoi azionisti italiani sono diventati il malato da salvare. La forte lobby fatta dai vertici di quell'azienda ha
indotto l'Autorità delle comunicazioni ad aumentare a dismisura la profittabilità del rame, danneggiando gli
operatori alternativi e azzerando la pur debole propensione dell'operatore dominante a investire nelle reti di
nuova generazione. Non parliamo poi della retorica dell'"internet gratis per tutti" che abbiamo sentito da parte
di molti politici, dando la chiara percezione che internet gratuito è un diritto. Senza spiegare il costo di quegli
investimenti e la necessità di creare una condizione di mercato favorevole a sviluppare quegli investimenti.
Internet gratis? Niente internet! Tutto questo tempestato da infuocate fasi di discussione e polemiche sulla
proprietà della rete di Telecom Italia, proposte di modifica della legge sull'Opa, minacce di leggi ed espropri,
tutto finito nel nulla. Anche a livello locale abbiamo avuto a che vedere con piani per la banda larga regionali,
che hanno avuto alterne vicende. Ricordo che la regione Lombardia tentò un piano molto dirigista che riuscì
nel miracolo di far mettere d'accordo tutti gli operatori tlc: tutti d'accordo contro il piano. Forse sarebbe ora di
mettere a punto qualche idea coerente, per evitare di finire un'altra volta in un nulla di fatto. Cosa che
veramente ormai non possiamo più permetterci. Il nostro ritardo rispetto agli obiettivi dell'Agenda 2020 è
quasi incolmabile. E il nostro ritardo ha un drammatico impatto sulla crescita, sull'occupazione giovanile, sulla
riduzione dei costi del sistema pubblico, sulla produttività del sistema economico. Non è tanto una partita tra il
rame e la fibra ma tra lo sviluppo e la modernizzazione del paese e il drammatico status quo. Dunque un
piano per la banda larga non può non tenere conto del contesto di mercato debole, senza crescita. Il primo
impulso deve urgentemente esser dato dalla trasformazione della Pa. Questo è il vero switch off da fare.
Qualunque politica di sostegno agli investimenti senza crescita del mercato è un fallimento sicuro. Questa
volta sì: il pubblico può avere un ruolo fondamentale, generando qualità di servizi indispensabili alla vita degli
italiani. Vi sono poi altri due importanti punti di attenzione che devono essere posti sul provvedimento del
governo. Abbiamo scampato il pericolo dello switch off dal rame alla fibra. Sembra singolare il fatto che
l'ipotesi non solo sia stata presa in considerazione, sia circolata e addirittura sia stata difesa. Come se
qualcuno a Palazzo Chigi potesse decidere dove si fermerà l'evoluzione di una tecnologia oggi oggetto di
studio dei principali centri di ricerca del mondo sulle telecomunicazioni. Scampato questo pericolo bisogna
anche evitare che lo stesso spirito dirigista porti lo stato a imporre le scelte tecnologiche alle aziende private
che operano sul mercato libero. Sarebbe davvero singolare se il governo imponesse, senza avere la
responsabilità che i manager delle aziende hanno verso i loro azionisti e i loro clienti, la tecnologia da
utilizzare in Italia per le reti di nuova generazione. Non entro nelle differenze tecnologiche tra Ftth e Fttc ma
pongo una questione sui limiti d'influenza della politica e dello stato sui mercati. Tanto più in un mercato
regolato da autorità indipendenti la cui autonomia sarebbe brutalmente vulnerata da una simile decisione.
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Connessi si cresce. Consigli a Renzi per evitare gravi errori sulla banda
larga
04/03/2015
Il Foglio
Pag. 4
(diffusione:25000)
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Tanto più in una situazione di conflitto d'interessi palese essendo lo stato indirettamente azionista di una
azienda locale che sviluppa appunto una di queste tecnologie. Speriamo che le polemiche e gli annunci letti
sui giornali con grande enfasi in questi giorni finiscano e che il piano per la banda larga del governo sia
accompagnato da un disegno di sviluppo intelligente, che aiuti l'Italia a crescere, e che liberi le migliori forze
del mercato. Stefano Parisi Fondatore di Chili Tv
04/03/2015
MF
Pag. 4
(diffusione:104189, tiratura:173386)
La pubblicità più cara? Su Alibaba
La concorrenza spietata tra i venditori per una posizione di rilievo su piattaforme di e-commerce come
Taobao e Tmall sta creando una vera e propria gara al rialzo per gli annunci pubblicitari
Kathy Chu e Gillian Wong
Per i milioni di venditori di Taobao e Tmall, costole del gruppo Alibaba, dare visibilità ai propri prodotti è uno
degli aspetti più importanti, e difficili, nella gestione del negozio online. Ovviamente fare pubblicità è uno dei
sistemi per attrarre l'attenzione dei clienti, ma il processo è più complesso di quanto possa sembrare. Uno dei
tipi di pubblicità più comuni è programmato per apparire solo quando l'utente ricerca una determinata parola
o espressione, come per esempio «scarpe con i tacchi» oppure «crema per il viso». Ma la comparsa
dell'annuncio di un negozio tra i primi risultati della ricerca dipende ampiamente da quanto il titolare offre per
questo spazio. E i prezzi possono essere molto salati: in un ogni istante migliaia di venditori stanno
contrattando per raggiungere un posto di punta sulle piattaforme per lo shopping di Alibaba, che mette
all'asta gli spazi ai migliori offerenti con un sistema similea quello impiegato da Google e dal motore di ricerca
cinese Baidu. Più è alta l'offerta, più probabilmente il venditore si assicurerà un ottimo posto sulla piattaforma.
Recentemente, stando a Web Presence in China, una tech company alla quale la società di marketing
digitale cinese fa consulenza ha vinto il secondo migliore spazio nella sezione delle inserzioni di Taobao
pagando 2,5 yuan per ogni click registrato sul suo annuncio in seguito alla ricerca del termine «scheda di
memoria Apple» digitato in lingua cinese. Si consideri che il sistema di gestione degli annunci di Alibaba
calcola e consiglia i venditori sulle probabilità di efficacia delle loro offerte e, in questo caso, aveva elaborato
che una proposta di 2,5 yuan avrebbe provocato 78 click stimati al giorno per l'annuncio, mentre una di 3,5
yuan avrebbe comportato 99 click al giorno. Le tariffe per i termini di ricerca molto utilizzati di categorie come
la cosmesi e l'abbigliamento possono raggiungere i 10 yuan per click. I banner che scorrono sulla homepage
di Taobao o sulla homepage di una categoria di prodotto come le scarpe o l'abbigliamento femminile
diventano inoltre più cari in base alla stima dei potenziali clienti che dovrebbe raggiungere. Stando ad Arron
Zhang, ceo di Advangent, società di consulenza per il settore dell'ecommerce, un banner visibile in dozzine di
città e attraverso diverse categorie di prodotto può costare fino a un milione di yuan al giorno. Tra l'altro i
commercianti riferiscono che il prezzo dei banner cresce durante le campagne di sconto speciali indette da
Alibaba, come il Single Day dell'11 novembre scorso. L'aspra concorrenza per la pubblicità sulle piattaforme
di Alibaba sta potenziando i profitti del colosso dell'e-commerce: nel 2014 i ricavi pubblicitari sono aumentati
del 32%, rappresentando più della metà dei 68,2 miliardi di yuan di entrate, stima iResearch. Tuttavia, poiché
Alibaba sta cercando di vendere più spazi visibili sulle app mobile, la crescita degli introiti pubblicitari sta
rallentando. Il caso di Feng, un venditore di scarpe che ha raccontato la sua esperienza assieme ad altri
cinque commercianti che hanno unito le risorse per investire in un banner sulla homepage di Taobao per un
giorno, mette in luce che, mentre pubblicità come questa possono generare molto traffico, viene diffusa
anche molta «robaccia». Sul tema, Alibaba ha fatto sapere che si sta impegnando per assicurare che gli
annunci siano pertinenti, anche se questo eroderà i guadagni relativi ai click sulle inserzioni. Inoltre, la tariffa
pagata dai commercianti che garantisce la presenza nella ricerca tramite parole chiave non è l'unico fattore
determinate per la gerarchia: stando ad Alibaba, contano anche la qualità del prodotto e il commerciante.
Tuttavia, le società di consulenza fanno notare che i prezzi di molti annunci stanno aumentando in forza di
questa crescente competizione, in parte a seguito dell'impegno di Alibaba volto ad attirare i marchi di alto
livello, con portafogli sicuramente più gonfi. «È in atto una guerra al rialzo per lo spazio pubblicitario», ha
commentato Nicole Bernard, presidente della regione Cina per Clavis Insight. «È simile alla gara per lo
spazio televisivo durante il Super Bowl». Lu Yunsong, che dalla città di Suzhou vende abbigliamento
femminile su Tmall e Taobao, ha descritto la corsa al rialzo per la visibilità nel ranking dei risultati di ricerca
come «una concorrenza selvaggia». Un venditore aveva incrementato la propria spesa destinata alla
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IL FENOMENO, SIMILE A EVENTI COME IL SUPER BOWL, PONE PERÒ DUBBI SULLA SOSTENIBILITÀ
04/03/2015
MF
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pubblicità per ottenere una posizione migliore, «altri se ne sono accorti e hanno pensato: si è classificato
meglio di me. Bene, allora continuerò ad aumentare l'investimento», ha spiegato Yunsong, «la vera natura
del commercio viene compromessa e diventa meramente una concorrenza selvaggia. Questo è il modello del
commercio cinese: alla fine tutti avranno una morte tragica», è stato il suo commento. traduzione di Giorgia
Crespi
ALIBABA 3 dic '14 3 mar '15 75 105 95 85 115 quotazioni in dollari
Foto: Jack Ma
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/alibaba
04/03/2015
MF
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Stefania Peveraro
Intesa Sanpaolo affianca le aziende italiane nell'attività di e-commerce con la Cina. La banca guidata da
Carlo Messina ha annunciato ieri che la controllata Setefi, specializzata nella gestione dei pagamenti
elettronici, ha siglato un accordo con Alipay.com, controllata di Alibaba e principale fornitore cinese di servizi
di pagamento online; una sorta di PayPal cinese, insomma. Obiettivo dell'accordo è offrire ai marchi italiani
maggiori opportunità commerciali in Cina e nel Sud-Est asiatico, visto che gli esercenti partner di Setefi
avranno l'opportunità di accettare pagamenti attraverso Alipay, ovvero la soluzione che i consumatori cinesi
preferiscono. Secondo iResearch, nel primo trimestre 2014 Alipay era in testa al mercato cinese dei
pagamenti online di terzi con il 49,2% del volume lordo delle merci. Alipay supporta il pagamento di
transazioni online sia sui siti di e-commerce del gruppo Alibaba sia su quelli di terze parti in Cina. L'accordo
con Alipay si inserisce nell'ambito di un progetto più ampio di supporto di Intesa Sanpaolo alle piccole e
medie imprese nell'attività di e-commerce, che verrà illustrato e lanciato in occasione di Expo Milano 2015.
«Tra marzo e aprile sarà completamente operativo il portale createdinitalia.com, che al momento è in
versione provvisoria», aveva anticipato nei giorni scorsi a BeBeez.it Stefano Favale, responsabile della
divisione marketing e retail di Intesa Sanpaolo. «Per ora è possibile acquistare biglietti per l'Expo e accedere
a offerte scontate di pacchetti vacanza e ristroranti, ma a breve sarà operativa l'intera piattaforma di ecommerce che permetterà alle aziende ospitate di proporre ai clienti prodotti e servizi, concludendo la vendita
via web. Intesa Sanpaolo gestirà l'intero ciclo del pagamento online con tutti i possibili strumenti, dalle
principali carte di credito a PayPal, sino appunto ad AliPay». L'operatività partirà nel segmento B2C
(business-to-consumer), ma già si sta lavorando per ampliare l'operatività del sito al B2B (business-tobusiness). «Il nostro piano d'impresa prevede che la banca inizi a fare anche alcuni nuovi mestieri e prevede
un'offerta non bancaria con personale dedicato che va dall'e-commerce ai servizi di biglietteria,
dall'intermediazione alla consulenza immobiliare», ha concluso Favale. (riproduzione riservata)
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Intesa stringe accordo con Alipay e prepara un sito di e-commerce per pmi
04/03/2015
DailyNet
Pag. 1
(diffusione:15000, tiratura:15000)
6 MWC2 Programmatic: PubMatic porta il native advertising su mobile il native advertising è un formato
ideale per comunicare su mobile. ma lo si può fare in programmatic? a questa domanda ha risposto
pubmatic, con il lancio della nuova funzionalità presentata in occasione del mwc. John stoneman, vp emea,
ha raccontando a dailynet le caratteristiche principali del prodotto, spiegando uno dei motivi alla base del
recente approdo in italia: il video. puBMATIC AL MWC. QuALI soNo I MoTIVI ALLA BAsE DELLA VosTrA
pArTECIpAZIoNE? pubmatic partecipa al mobile World congress perché crede che il futuro dell'advertising e
del publishing è legato a smartphone a tablet. la nostra piattaforma è stata sviluppata sempre con l'idea di
innovare e integrare i nuovi dispositivi. l'occasione non ci permette solo di incontrare gli editori per fare il
punto sul settore ma ci dà anche la possibilità di dialogare con tutti i player dell'ecosistema mobile per essere
sicuri che stiamo facendo la cosa giusta. in questo senso abbiamo integrato il native advertising all'interno
della nostra piattaforma, una tecnica pubblicitaria che si sposa con l'ambiente mobile. i publisher possono
disporre di una singola piattaforma con insights, real-time analytics, data visualization e reporting necessari
per gestire e monetizzare la propria strategia native tra diversi screen e canali di vendita. la nuova soluzione
è disponibile per m-site e app, così come per terminali desktop, sia su private marketplace sia in rtb. non
solo, garantisce anche un grande controllo. il lancio è stato possibile anche grazie a diverse demand-side
partnership, tra cui quella con turn. sIETE DA poCo sBArCATI IN ITALIA. CosA VI ATTIrA DI pIù DEL NosTro
MErCATo? da quando siamo sbarcati a milano a novembre stiamo consolidando la nostra presenza in italia,
sotto la guida di andrea campana. la scelta di approcciare il vostro mercato è stata abbastanza ovvia perché
estende la nostra presenza europea e ci interessa la componente video. pensiamo che il video abbia grandi
potenzialità e vogliamo aiutare i publisher a sfruttare questa possibilità.
Foto: John stoneman
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MWC2 Programmatic: PubMatic porta il native advertising su mobile
04/03/2015
DailyNet
Pag. 5
(diffusione:15000, tiratura:15000)
Beintoo lancia la nuova piattaforma di proximity based generation Be
Audience
c'è anche la milanese Beintoo al mobile World congress per mostrare alla platea del prestigioso evento la
nuova soluzione Be audience. parola all'head of product William nespoli. CI rACCoNTA LA sTorIA DI
BEINToo? siamo nati nel 2011 a milano e siamo cresciuti rapidamente aggiudicandoci anche il premio le
Web per miglior startup europea. con il tempo ci siamo allargati fino a diventare una realtà globale con uffici a
milano, roma, new York, shangai e presto anche a londra. il nostro core business è l'advertising mobile.
pErChé QuI AL MoBILE WorLD CoNgrEss? vogliamo presentare al mercato la nostra nuova soluzione Be
audience, a proximity based audience generation platform. l'obiettivo di questo lancio - come quello della
nostra attività - è rendere la pubblicità utile. come? attraverso un software development Kit (sdk) che i
publisher possono installare in-app. noi studiamo i comportamenti degli utenti oine, in modo anonimo e nel
pieno rispetto della privacy per poi ritargetizzarli con messaggi di loro interesse. un vantaggio che si riflette
anche sugli advertiser nostri clienti. lo facciamo soprattutto in modalità programmatic. al prodotto si aggiunge
anche Be attribution, una soluzione che consente di sapere quanti utenti colpiti da una campagna sono andati
in uno store fisico. CI può CITArE QuALChE VosTro CLIENTE o LE TIpoLogIE prINCIpALI ALL'EsTEro
CoME IN ITALIA? negli stati uniti lavoriamo con il mondo entertainment e retailer e i principali attori
dell'universo programmatic. in italia collaboriamo con i principali centri media e con clienti diretti del calibro di
rcs e vodafone. a breve anche nel nostro paese integreremo la Be audience nei trading desk.
Foto: WiLLiam nespoLi
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Mobile Advertising
04/03/2015
DailyNet
Pag. 28
(diffusione:15000, tiratura:15000)
Lewis pr acquisisce il digital marketing di piston
Tra i servizi offerti dalla società di San Diego ci sono seo, sem, display advertising , pianificazione e acquisto
di spazi media, analisi e progettazione creativa
lewis pr acquisisce piston, agenzia di servizi digitali con sede a san diego, california. una struttura
specializzata nel digital marketing che include servizi di seo, sem, display advertising, pianificazione e
acquisto di spazi media, analisi e progettazione creativa. piston vanta, tra i propri clienti, nomi come aaa,
aarp, Bareminerals, cars.com, intuit, inspirato, mophie, shiseido, skullcandy, sunglass hut, tvg e Yakult.
l'accordo rafforza le competenze in ambito digitale di lewis (che vanta un fatturato globale di oltre 72 milioni di
dollari e uno americano di oltre 37), permettendo all'azienda di compiere un ulteriore passo avanti nel mondo
della pubblicità e di affinare i propri servizi creativi e di analytics. piston (che nel 2014 ha fatturato 8,4 milioni
di dollari) entra così a far parte della rete globale dei 28 uffici targati lewis e lavorerà sotto la divisione di
digital mktg pulse, nonché accanto a purestone, agenzia di web design inglese acquisita di recente. l'accordo
è stato chiuso il 23 febbraio 2015. le acquisizioni precedenti di lewis pr includono leads united, pageone pr,
dmg, purestone ed eba. l'accordo è il primo di una serie di acquisizioni da parte di lewis pr nel 2015/16.
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Mercato
04/03/2015
Pubblicita Today
Pag. 1
System24 chiude il 2014 con il segno più. Via al nuovo naming
Claudia Cassino
Il dg Ranza: "Quasi 4.000 clienti per la galassia che ruota intorno al Sole. Siamo leader sul target italian CSuite. WebSystem primo AdNetwork in Italia per pagine viste" [ pagina 14 ] Èin salute la galassia che ruota
attorno al Sole . A un anno dal suo arrivo alla guida della concessionaria del Gruppo 24 Ore , il direttore
generale Ivan Ranza ha presentato ieri al mercato le novità che riguardano la struttura che si occupa della
raccolta pubblicitaria per carta stampata, radio e web. A partire dal naming: messa da parte la vecchia
System Advertising, nasce infatti ucialmente System24 che si presenta con un nuovo logo e con la volontà di
valorizzare (anche attraverso listini adeguati e per la prima volta online sul nuovo sito trade che sarà lanciato
a breve) un portafoglio mezzi rivolto a un'audience di sicuro appeal per gli investitori pubblicitari: un target
istruito, alto spendente e con un'ottima propensione all'acquisto. Il 'sistema Sole' raggiunge ogni giorno
3.420.000 individui, mentre l'audience totale di System24 con i suoi 'satelliti' registra in Italia 4.633.000
persone al giorno e oltre 28 milioni di individui al mese. "Abbiamo deciso di andare più a fondo, analizzando
per la prima volta questi numeri in maniera innovativa - spiega Ranza - . Siamo riusciti così a isolare cinque
categorie di individui che rappresentano il nostro target e che mostrano come il nostro portafoglio abbia la
massima penetrazione sul cosiddetto Italian C-Suite, dove la 'C' rappresenta ceo, cfo, cmo. Ovvero manager
e imprenditori con il reddito più elevato, che spendono molto in abbigliamento, accessori e cura di sé".
System24 ne raggiunge ben il 74% con un indice di concentrazione pari a 1.126, pari a un'audience di oltre
329.000 individui. Ci sono poi i nuovi dandy 'Golden Pop', le 'Women' (donne over30), i 'New Freedom' (over
55) e i 'Futures' (20-35 anni), tutti accomunati da un reddito superiore alla media. Per venire incontro, inoltre,
alle esigenze dei clienti (che sfiorano ormai le 4.000 unità), la concessionaria ha lanciato il nuovo
dipartimento Brand Connect : una struttura che attraverso analisi, numeri e idee ore una serie di strumenti
che permettono di realizzare progetti cross-mediali e soluzioni tailor made di elevata qualità. Il suo team
creativo è in grado di produrre format innovativi per le opportunità di comunicazione per i clienti. Quanto al
portafoglio mezzi, dopo una serie di importanti e recenti novità (la raccolta legale e finanziaria per il
quotidiano Il Tempo , l'acquisizione dei siti Fox e di Lettera 43 in capo a WebSystem ), il direttore generale
dice di "aver messo le basi per un'oerta molto forte e di qualità, per il momento ci concentriamo nel vendere
bene i prodotti che abbiamo". Intanto si incassano successi. L'accelerata sul fronte digital ha portato la
divisione WebSystem a "diventare il primo AdNetwork italiano per pagine viste (ogni mese sono 789.727.593,
ndr )". In attesa dei dati finanziari uciali, inoltre, Ranza non può che essere soddisfatto: "La concessionaria
chiude il 2014 con un lieve segno positivo, abbiamo raggiunto risultati 'overperformanti' su tutti i settori:
stampa, radio e web. Quanto al 2015, la debolezza dei primi mesi non mi sembra significativa e credo che il
mercato quest'anno possa andare nel complesso un po' meglio". Nel corso del 2014 Ranza ha eettuato una
serie di ritocchi importanti anche nella squadra di System24. La prima linea della concessionaria ha visto
l'ingresso di Pierfrancesco Caria , alla direzione Marketing e Iniziative Speciali, Nicola Schiapparelli , nuovo
responsabile Centri Media e Agenzie, e Romeo Gnoni , coordinatore Vendite Legale, Finanziaria, Immobiliare
e Speciali. Promosso sul campo Fabrizio Lolli , che guida la direzione Commerciale Clienti Italia, oltre al
settore Moda/Lifestyle e Estero, mentre sono stati confermati nei loro ruoli Fausto Amorese (Radio) e Luca
Paglicci (WebSystem). L'evento di ieri, prima uscita uciale di fronte a clienti e centri media, ha ospitato la
performance dell'artista Fabio Pietrantonio che ha presentato la sua installazione 'Save the economy'
all'interno della sede del Gruppo 24 Ore in via Monterosa. La serata dal titolo 'Un passo dentro, uno sguardo
fuori' è stata realizzata con la collaborazione dell'agenzia I am a bean . Il direttore generale Ivan Ranza:
"Quasi 4.000 clienti per la galassia che ruota intorno al Sole. Siamo leader sul target italian C-Suite"
Foto: ivan ranza
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la concessionaria del gruppo 24 ore ha presentato ieri al Mercato la proposta rinnovata
04/03/2015
Pubblicita Today
Pag. 1
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Foto: Da sinistra: fausto amorese (Radio), pierfrancesco caria (Direttore Marketing e Iniziative Speciali),
romeo gnoni (Coordinatore Vendite Legale, Finanziaria, Immobiliare, e Speciali), ivan ranza (Direttore
Generale System24), luca paglicci (WebSystem), fabrizio lolli (Direzione Commerciale Clienti Italia, Moda/
Lifestyle e Estero), nicola schiapparelli (Responsabile Centri Media e Agenzie)
04/03/2015
Pubblicom Now
Pag. 1
Kingerlee in Videology Emea
La piattaforma di video advertising Vide ology ha ampliato il team europeo nomi nando Robin Kingerlee alla
carica di Emea media director. Sarà responsabile dell'ac celerazione dello sviluppo del programma tic buying
in tutta la regione. La piattaforma di video advertising Videology ha ampliato il team europeo nominando
Robin Kingerlee alla carica di Emea media director. Considerata la rapida crescita dell'azienda in Europa, il
suo ruolo sarà fondamentale nel dare seguito a questa tendenza e favorire l'adozione del programmatic
trading in Emea affidandosi alla piat taforma e ai servizi di Videology. Riportando a Jana Eisenstein, global
director of media, Kingerlee sarà responsabile del consolidamento della leadership di Videology in Europa e
dell'accelerazione dello sviluppo del programmatic in tutta la regione Emea dagli uffici londinesi dell'azien da.
Kingerlee vanta oltre 19 anni di esperienza nel settore pubblicitario, 14 dei quali spesi sui media online. È
entrato in Videology dopo 8 anni in Microsoft Advertising, dove ha contribuito al lancio di Microsoft Exchange
nel Regno Unito, con la creazione di Microsoft Video Network, guidando così la strategia video dell'azienda
nel mercato d'oltremanica.
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 04/03/2015
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aziende e mercati
04/03/2015
Pubblicom Now
Pag. 11
Arcaplanet investe nel net retail e inaugura il canale di e-commerce
Arcaplanet, la prima catena italiana di supermercati per animali con 120 punti vendita italiani e oltre 10.000
referenze trattate, punta al mondo del web investendo in soluzioni tecnologiche nel settore net retail. Un
progetto che prevede la collaborazione con MagNews per l'email marketing e Magento per la piattaforma ecommerce, inaugurata il mese scorso. L'accordo verrà, infatti, uffi cializzato in occasione della seconda
edizione di Meet Magento, dal 5 al 6 marzo a Milano. «Per venire incontro alle esigenze sempre crescenti
della nostra clientela, abbiamo scelto di aprire il canale e-commerce - ha dichiarato Michele Foppiani,
amministratore delegato di Arcaplanet. - Un investimento importante per noi non solo dal punto di vista
logistico ma anche dal punto di vista strutturale. Per questo ci siamo affidati a MagNews e Magento, partner
ideali per flessibilità, competenza, servizio e importanti per raggiungere i nostri obiettivi». Attraverso
l'integrazione dei sistemi Magento e MagNews, Arcaplanet disegna un progetto di email marketing strutturato,
con contact plan personalizzati e rilevanti per l'utente su più basi di dati, tra le quali, informazioni di carattere
anagrafico (autoprolifera zione sul form), preferenze espresse sull'e-commerce (prodotti acquistati, carrelli
wishlist), dati di tipo comportamentale sulla newsletter (click, aperture, tag). Oltre a definire spe cifici pattern
di comporta mento per l'automazione del direct marketing, Arcaplanet vuole integrare sia le informazioni
rilevate da Magento e MagNews, sia quelle tratte dal sistema delle fidelity card. In questo modo, potrà
prendere in considerazione ogni singola interazione con il cliente, da quelle che avvengono sull'e-commerce
e tramite i sistemi, a quelle strettamente legate al punto vendita.
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 04/03/2015
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web
03/03/2015
Altroconsumo - Hi Test - Ed. n.48 - marzo 2015
Pag. 21
Lanciata nel maggio del 2010, l'Agenda digitale europea ha lo scopo di portare tutti i Paesi membri a un
livello avanzato di uso della rete a banda larga e ultralarga entro il 2020. In Italia in questi cinque anni,
nonostante le promesse fatte da ciascuno dei governi che si sono succeduti, non si è ancora colmato il
divario digitale, quella frattura tra la parte del Paese che è connessa a internet a banda larga e usa la rete
quotidianamente e quella che invece ne è tagliata fuori. Un terzo di analfabeti totali I dati riferiti a fine 2014
dicono che in media nei 28 paesi Ue la quota di persone che non ha mai usato internet è scesa dal 43% del
2006 al 18% del 2014; in Italia si partiva dal 59% e si è giunti al 32%. Un progresso notevole, ma che ci vede
comunque a livelli di Romania, Bulgaria e Grecia, ben lontani dal 3% di analfabeti digitali della Danimarca e
dal 6% del Regno Unito. Quanti usano la rete quotidianamente? Nella Ue il 65% dei cittadini, in Italia solo il
58%. Banda stretta Quanto a larghezza di banda, gli obiettivi europei per il 2020 sono ambiziosi: 100%
copertura a 30 Mb e 50% di adozioni di banda a 100 Mb a fronte di una copertura dell'85%. A che punto
siamo? In Europa la copertura della banda a 30 Mb è al 62%, in Italia al 21%, cioè un terzo. E continuano a
esserci sacche di digital divide, dove internet non arriva nemmeno a 2 Mb, in tutto il Paese e non solamente
nei paesini di montagna.
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 04/03/2015
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L' Agenda digitale resta un libro dei sogni
03/03/2015
Wired - Ed. n.70 - marzo 2015
Pag. 56
CAROLA FREDIANI ART MATTHEW GRIFFIN
Attaccato al muro c'è un màxischèrmo viso in due parti. Da un lato c'è una mappa! dell'Italia punteggiata di
pallini verdi: so-! no dei firewall avanzati, dispositivi che in-! tercettano minacce informatiche e tentativi | di
intrusione prima che da internet entrino j nella rete di un'azienda. Dall? tici rossi mostrano jjBgmxacchi
denegazione o DDoS), andare offline un sito j ffdolo con pacchetti di richieste (male o iri grande quantità.
«Una delle prime domande che ci fanno è: dove avete il Soc? Ovvero: lo gestiìdete qualcosa di altri?», com.
marketing manager sede delI la nota azienda di, | sigla Soc sta per Security ter, ovvero la sala operativa è I
sicurezza informatica di un'organizzazio! ne. In questo caso la stanza è divisa in due i parti separate da un
vetro: da un lato ci soino gli analisti che difendono direttamente il provider, cioè Fastweb; dall'altro, davanti al
videowall coi pallini e i grafici, quelli che si occupano dei clienti aziendali. (...) gente del Dipartimento attività
ispettive e sanzioni del Garante, non sono state anco-1 ra fatte, «anche se vogliamo continuare sulla strada
dei controlli». Ma sono ancora i percorsi del traffico in- j ternet che tornano al centro dell'attenzione. Gli Ixp
sono soggetti neutrali, aperti a tutti, e hanno preso piede soprattutto in Europa dove hanno un approccio
quasi no profit anche quando sono formalmente delle srl come il Mix. Nascono improntati su una filosofia di
sei-vizio alla rete. In questi luoghi i provider possono scambiarsi traffico tra pari e gratuitamente (è il
cosiddetto peering), accorciando il percorso delle comunicazioni tra di loro, senza dover passare per le linee
internazionali, soprattutto quando si tratta di andare da Milano a Roma e via dicendo. «Il peering nasce
soltanto per motivi di efficienza», spiega Giustozzi. «I provider che affittano linee dai grossi cavi internazionali
si chiedono: perché pagare quelle linee se i nostri clienti sono tutti in Italia? Creiamo quindi un punto di
interscambio in cui ci attacchiamo tutti gratis e accorciamo il tragitto delle nostre comunicazioni». Quindi per
fare parlare gli utenti di due operatori tricolori, invece di passare per Olanda o Francia, si tira una prolunga tra
i rispettivi apparati riuniti nella stessa sala macchine: e il traffico non deve viaggiare all'estero. Costa di meno.
E eòi tempi che corrono è anche più rassicurante. «È una scelta dettata da ragioni commerciali», aggiunge
Giustozzi. «Il filtri fftfjtftlfi flusso di dati giri in altri paes te una vulrf chi voglia "guardare" quet più facile farlo
dall'estero. Quindi un maggiore controllo sulle nostre rotte può essere importante». - . Ma dal luglio 2013 l'exf
Italia ha smesso di scambii.. ^ ."". fico in questo modo con altri operatori, proponendo un servizio a
pagamento anche attraverso la sua controllata Telecom Sparkle che rivende traffico verso le reti
internazionali. «Ciò significa che chi voglia interconnettersi a Telecom, ci arriva o direttamente (pagando) o
attraverso dei giri internazionali», commenta Rossi. «È una scelta commerciale che come conseguenza porta
più traffico italiano all'estero». Peri ! che anche una mail che dovrebbe andare da; | Torino a Milano rischia di
passare per Ani- i I sterdam o Francoforte o da altre parti. «Te-1 \ nere il traffico internet di un paese nei suoi '
: confini è difficilmente praticabile ma. ad | esempio, quello che intercorre tra i cittadiini e la pubblica
amministrazione potrebbe : essere auspicabile che rimanga in Italia», (aggiunge Rossi con in sottofon ' '
tostante delle macchine. ! Per dirla con le parole di Gigi Tagliapiecontro sulla sicurezza della filiera internet
nazionale: «Più che i nodi di scambio il problema sono gli utenti della rete e i loro dati». Problema che si è
posto Stefano Quintarelli, deputato di Scelta Civica e attualmente presidente del comitato d'indirizzo
dell'Agenzia per l'Italia digitale, quando ha depositato una proposta di legge per tutelare la "sovranità
tecnologica" e la riservatezza dei dati trattati dallo Stato italiano. Stabilisce che i soggetti pubblici debbano
comi prare software, hardware e servizi solo da ! imprese europee, che tali strumenti debba! no essere open
source, oltre che operare con | formati e protocolli aperti, e che anche i serjvizi di accesso alla rete e di
hosting siano erogati da imprese dell'Ue e localizzati in polìtica dal luglio scorso, ma in realtà s'in-j serisce in
un filone di pensiero continentale. ! Obbligare i sei-vizi internet Usa a informare j i clienti europèi che i loro
dati possono esse-1 re oggetto di sorveglianza in base alla legge Fisa americana e favorire la nascita di
servizi web e cloud europei è uno degli auspici di una nota informativa richiesta dalla commissione per le
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 04/03/2015
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CYBER INSICUREZZA
03/03/2015
Wired - Ed. n.70 - marzo 2015
Pag. 56
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento di Strasburgo. Ma anche il documento sulla strategia
di cybersìcurezza dell'Unione europea insiste I sul fatto che il Vecchio continente sia troppo | dipendente da
soluzioni tecnologiche estejre (ovvero statunitensi e israeliane, chiosa ÌGiustozzi), spingendo per lo sviluppo
di una industria locale, considerate le capacità di ricerca eccellenti. «Ci sono ragioni economiche ma anche
strategiche, visto che si è capito che non ci si può più fidare nemmeno delle nazioni amiche», commenta
Giustozzi. «Le competenze ci sono, basti pensare che l'algoritmo di crittografia che oggi è standard mondiale
(l'Aes) e che è stato selezionato dall'Istituto nazionale degli standard e delle tecnologie (Nist) per il j governo
Usa, in realtà fu sviluppato in Belgio all'università di Lovanio. Ciò detto, per l'Europa sarà una sfida difficile
perché al suo interno un mercato polverizzato in tan'- ti concorrenti». Per l'Italia poi l'impresa è ancona più
ardua. Qui l'industria della cybersicurezza è bipolare: da un ,., lato i grandi contractor della difersa che dai
.missili stanno passando al cyber; dall'altro piccole imprese verticali, che nascono da specifiche ^competenze
e che si trovano una .OTCcnia. «Mentre le gròsse società di consulenza quando vanno sull'operativo alla fine
subappaltano p erogano servizi con forza lavoro dall'estero», commenta Giustozzi. «Il problema - ragiona un
consulente di sicurezza informatica che preferisce non essere nominato - è che il mercato italiano è fatto al
90% di aziende che rivendono soluzioni software e hardware altrui». Se la cybersicurezza è un processo, nel
nostro paese troppo spesso viene spacciata come un prodotto. «I marchi globali di cybersecurity in Italia
hanno per lo più distaccamenti commerciali. I Soc sono spesso esternalizzati». Il fatto è che da noi, a parità di
costi, non c'è margine in questo mercato. Né le aziende né la pubblica amministrazione hanno o vogliono
disporre di budget per proteggere i loro dati. Almeno finché non accade l'irreparabile. «E tuttavia si perde il
conto dei comuni bucati da malware. A furia di fare gare al ribasso, i risultati si vedono», commeni fa il
consulente. Eppure le persone capaci ! non mancherebbero. Giovani smanettoni, Ihacker, o profili anche
molto qualificati. | Qualcuno mette su un'aziendina. Oppure rijcevono commissioni da aziende straniere. E
'molti vanno all'estero. «Alla fine sul mercaromeni della sicurezza informatica». SELEX ES, ELETTRONICA
SPA, RESI GROUP, HACKING TEAM, TIGER SECURITY, CRYPTONET, EMAZE, PRIVATEWAVE,
EXPERT SYSTEM, DAMANTIC, SECURE NETWORK, QUANTUMLEAP, MEDIASERVICE, TESLA
CONSULTING, SECURITY BROKERS, CERTEGO, REPLAY, YOTTA TECNOLOGIE *SECURE GROUP),
YOROI, ALBA ST, LUTECH, VEM, LONGWAVE, SINTHERA, DEDAGROUP, TERASYSTEM, TEST SPA
/Industrie che nascono nel / campo della difesa e degli ' armamenti che ora stanno investendo anche in rami
e prodotti informatici. Ma anche piccole aziende sviluppatesi solo sul terreno cyber che hanno messo a punto
strumenti, come alcuni tipi dì malware, che oggi sono considerati armi digitali a tutti gli effetti. E che sono
rivenduti ai governi. È il caso della milanese Hacking Team. ^Aziende che offrono soluzioni /per la sicurezza
informatica / proattiva, l'analisi del rischio, la gestione delle vulnerabilità, soluzioni antimalware e antiDDoS,
intelligence. Ma anche soluzioni dì VolP sicuro e criptato su mobile, come PrivateWave. O lo sviluppo di
software semantici per ta gestione delle informazioni. INVESTIGAZIONE I Aziende che forniscono ; servizi
con l'obiettivo di f sondare le misure di sicure dì un sistema informativo. Impiegano anche tecniche analìtiche
e investigative per identificare ed esaminare prove/informazioni di reato, facendo perizie per avvocati e
POSTIT •Per i rapporti Clusit: clusit.it. Delia prevenzione e repressione dei crimini informatici che colpiscono
infrastnitture di natura critica e di rilevanza nazionale si occupa UCnaipic della Polizia distato (bit.
ly/ìzH9RNU). Idue documenti d'indirizzo strategici sono il Quadro strategico nazionale per la sicurezza dello
spazio cibernetico (bit.ly/lKJ3FqC) e il Piano nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica
(bit.lv/lKJ3rzJ).
aziende. Alcune fanno anche cyberintelligence e analisi delle minacce alla fonte. ! Si occupano di gestire I i
Soc. Più in generale offrono piattaforme di rilevamento, analisi e risposta agii incidenti di sicurezza
informatica. Alcune, come Yoroi, forniscono anche KickBack Attack: a fronte di attacchi cercano di ottenere
informazioni sullattaccante utilizzando tecniche di controspionaggio informatico. /Integrano sistemi informativi
1 diversi in un'ottica di sicurezza. / Tra le offerte: gestione di data / center, virtualizzazione delle / infrastrutture
informatiche, / filtri antispam e antivirus. / Alcune si occupano anche di sicurezza dei sistemi industriali Scada.
03/03/2015
360com
Pag. 8
E' Quisma ad aggiudicarsi il budget 2015 di Marina Rinaldi
La società, parte di GroupM, e il suo managing director Gianpaolo Vincenzi si occuperanno di consulenza e
coordinamento delle attività di web marketing europee della casa di moda
Quisma, agenzia internazionale all'avanguardia nel performance marketing online parte di GroupM e il
managing director, Gianpaolo Vincenzi, annunciano l'ingresso nel portafoglio clienti di Marina Rinaldi. Il noto
brand di moda, primo al mondo per aver proposto una collezione di abiti e accessori fashion per le donne con
le curve, ha incaricato l'agenzia di coordinare le attività di web marketing e di investimento relative al
commercio elettronico nei Paesi europei (http://www.marinarinaldi.com), che si affianca agli oltre trecento
negozi presenti nelle principali città del mondo. A Quisma è stata richiesta, inoltre, un'attività di supporto
nell'analisi della domanda digitale funzionale alla definizione dei Paesi europei in cui promuovere il
commercio elettronico di Marina Rinaldi. «Siamo molto orgogliosi di poter annunciare la collaborazione con
un'azienda come Marina Rinaldi. Un'attività che coinvolge tutte le competenze di Quisma - sottolinea
Gianpaolo Vincenzi, Managing Director dell'agenzia -: web marketing applicato all'ecommerce, tecnologia e
capacità di gestire le opportunità che l'innovazione offre, oltre all'internazionalizzazione. Il progetto si fonda su
un approccio trasparente volto alla condivisione e alla cultura della performance». Dunque, il 2015 si apre per
Quisma in modo molto positivo, con l'ingresso di una serie di nuovi incarichi tra cui, appunto, quello affidatogli
da Marina Rinaldi. Consulenza e coordinamento delle attività di web marketing europee sono gli obiettivi
strategici che dovranno essere ottenuti dall'agenzia per soddisfare le esigenze dell'illustre cliente.
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AgEnziE una serie di nuovi incarichi aprono l'anno di wpp
03/03/2015
ADV Express
Sito Web
Videology: Robin Kingerlee è il nuovo EMEA Media Director
Riportando a Jana Eisenstein, Global Director of Media, il manager sarà responsabile del consolidamento
della leadership della piattaforme di video advertising in Europa e dell'accelerazione dello sviluppo del
programmatic in tutta la regione EMEA dagli uffici londinesi dell'azienda. Videology (videologygroup.com), tra
le principali piattaforme di video advertising, annuncia l'ampliamento del suo team europeo con la nomina di
Robin Kingerlee a EMEA Media Director. Considerata la rapida crescita dell'azienda in Europa, il suo ruolo
sarà fondamentale nel dare seguito a questa tendenza e favorire l'adozione del programmatic trading in
EMEA affidandosi alla piattaforma e ai servizi di Videology. Kingerlee vanta oltre diciannove anni di
esperienza nel settore pubblicitario, quattordici dei quali spesi sui media online. Entra in Videology dopo otto
anni passati in Microsoft Advertising, dove ha recentemente contribuito al lancio di Microsoft Exchange nel
Regno Unito, con la creazione di Microsoft Video Network, guidando così la strategia video dell'azienda nel
mercato d'Oltremanica. Riportando a Jana Eisenstein, Global Director of Media, Robin Kingerlee sarà
responsabile del consolidamento della leadership di Videology in Europa e dell'accelerazione dello sviluppo
del programmatic in tutta la regione EMEA dagli uffici londinesi dell'azienda. "Dato che EMEA continua a
giocare un ruolo fondamentale nella rapida espansione internazionale di Videology, era sorta l'esigenza di
una nuova posizione espressamente dedicata a capitalizzare al meglio il trend estremamente positivo che ci
ha visto entrare in sette nuovi mercati nel 2014, con una crescita significativa in termini di media e partnership
in tutta la regione", dichiara Jana Eisenstein. "La solida esperienza nei media online di Robin, sia demandche supply-side, unita alle sue comprovate capacità nello sviluppo di business e di partnership, ne fanno il
candidato ideale per sostenere il programmatic in Europa". Commentando la sua nomina, Robin afferma:
"Mettendo a disposizione la mia esperienza nei media online, sono entusiasta di unirmi a un leader di
mercato globale dedito all'innovazione di prodotto e all'accelerazione dell'adozione di un trading automatico e
intelligente nel mercato del VOD. La potenza del media planning programmatic consente ai publisher europei
inserirsi nella domanda, indipendentemente dalla regione in cui si trovano e per questo non vedo l'ora di
guidare le relazioni con i media per Videology e contribuire ad accelerare il cambio di passo nel mio ruolo di
primo piano nelle operazioni dell'azienda in Europa". EC
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Persone
03/03/2015
ADV Express
Sito Web
ValVerde torna in comunicazione con Espressione e Acting out
La storica cooperativa piemontese di soci allevatori di Saluggia è attiva con una serie di iniziative di
promozione instore, una campagna stampa a supporto dei punti vendita, un leaflet/ricettario per i consumatori
e una forte presenza su Facebook, Twitter e Youtube. Restyling grafico, campagna adv, nuovo logo e nuovo
sito web a cura di Espressione, produzioni audio e video a cura di Acting out, PR e ufficio stampa affidate a
Maybe. Dopo l'assegnazione del premio Good Chicken e il lancio in GDO del marchio Pollo dal Piemonte,
ValVerde, storica cooperativa piemontese di soci allevatori di Saluggia (VC), si rilancia in comunicazione con
una serie di azioni volte al rafforzamento del corporate e del brand awareness. Una strategia di
comunicazione multicanale, aperta anche al mondo del web e ai social network: ValVerde è attiva con una
serie di iniziative di promozione instore, una campagna stampa a supporto dei punti vendita, un
leaflet/ricettario per i consumatori e una forte presenza su Facebook, Twitter e Youtube. Restyling grafico,
campagna adv, nuovo logo e nuovo sito web a cura di Espressione, produzioni audio e video a cura di Acting
out, PR e ufficio stampa affidate a Maybe. Per le caratteristiche del prodotto e la filosofia aziendale che
regola tutti i processi di allevamento, il marchio ValVerde si è posizionato ad un livello "top quality" ed è
presente nelle macellerie più importanti di Piemonte, Liguria, Valle d'Aosta e Lombardia e in molti Carrefour
del Nord d'Italia. Tutta la comunicazione è volta a trasmettere questi valori di attenzione e cura nei confronti
dei consumatori e del benessere animale. Il Pollo ValVerde viene mostrato, tramite la campagna adv
pianificata su quotidiani e riviste di settore; viene raccontato attraverso il canale web e l'attività di ufficio
stampa; viene fatto assaggiare, attraverso le instore promotion, in programma da febbraio a maggio 2015
presso i punti vendita Carrefour, che prevedono momenti di incontro con i consumatori, informazione ,
degustazione e la distribuzione del ricettario gratuito. MF
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03/03/2015
ADV Express
Sito Web
"Lo shopping a casa tua" con Zalando e Vanessa Incontrada nello spot di
Jung von Matt/Elbe
La campagna del fashion e-commerce, realizzata esclusivamente per il mercato italiano, è on air da
domenica 1 marzo su Canale 5, Italia 1, Rete 4, Top Crime, Extra e La 5. Oltre allo spot TV, sono previsti una
campagna affissione, un sito dedicato e attività social media. Il fashion e-commerce Zalando e Vanessa
Incontrada mostrano come sia semplice e comodo fare shopping da casa nella nuova campagna
primavera/estate "Lo shopping a casa tua" girata da Matthew Frost, celebre regista newyorkese. "Matthew
Frost racconta come può essere facile fare shopping. Grazie a Zalando il negozio si trasferisce direttamente
a casa, trasformando il salotto in boutique e il divano in showroom. Un intero mondo fashion a portata di click,
senza fretta né stress - dai brand di tendenza a quelli premium, dalla categoria petite a quella maternity",
commenta Giuseppe Tamola, country manager di Zalando Italia. Vanessa Incontrada spiega nello spot come,
con Zalando, i capi di tendenza arrivano direttamente a casa. La campagna "Lo shopping a casa tua", creata
dall'agenzia Jung von Matt/Elbe, è stata realizzata esclusivamente per il mercato italiano. Sarà trasmessa da
domenica 1 marzo su Canale 5, Italia 1, Rete 4, Top Crime, Extra e La 5. Oltre allo spot TV, sono previsti una
campagna affissione, un sito dedicato e attività social media. Guarda lo spot
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03/03/2015
Engage.it
Sito Web
Robin Kingerlee è il nuovo EMEA Media Director di Videology
Il suo ruolo sarà quello di dare seguito alla crescita della sigla e favorire l'adozione del programmatic trading
nella regione Emea
La piattaforma di video advertising Videology annuncia l'ampliamento del suo team europeo con la nomina di
Robin Kingerlee a Emea media director.Considerata la crescita dell'azienda in Europa, il suo ruolo sarà quello
di dare seguito a questa tendenza e favorire l'adozione del programmatic trading nella regione Emea
affidandosi alla piattaforma e ai servizi di Videology.Riportando a Jana Eisenstein, global director of media,
Robin sarà responsabile del consolidamento della posizione di Videology in Europa.Robin vanta oltre
diciannove anni di esperienza nel settore pubblicitario, quattordici dei quali spesi sui media online. Entra in
Videology dopo otto anni passati in Microsoft Advertising, dove ha recentemente contribuito al lancio di
Microsoft Exchange nel Regno Unito, con la creazione di Microsoft Video Network, guidando così la strategia
video dell'azienda nel mercato d'Oltremanica.«Dato che Emea continua a giocare un ruolo fondamentale
nella rapida espansione internazionale di Videology, era sorta l'esigenza di una nuova posizione
espressamente dedicata a capitalizzare al meglio il trend estremamente positivo che ci ha visto entrare in
sette nuovi mercati nel 2014, con una crescita significativa in termini di media e partnership in tutta la regione
- dichiara Jana Eisenstein. - La solida esperienza nei media online di Robin, sia demand- che supply-side,
unita alle sue comprovate capacità nello sviluppo di business e di partnership, ne fanno il candidato ideale
per sostenere il programmatic in Europa».Commentando la sua nomina, Robin afferma: «Mettendo a
disposizione la mia esperienza nei media online, sono entusiasta di unirmi a un leader di mercato globale
dedito all'innovazione di prodotto e all'accelerazione dell'adozione di un trading automatico e intelligente nel
mercato del VOD. La potenza del media planning programmatic consente ai publisher europei inserirsi nella
domanda, indipendentemente dalla regione in cui si trovano e per questo non vedo l'ora di guidare le
relazioni con i media per Videology e contribuire ad accelerare il cambio di passo nel mio ruolo di primo piano
nelle operazioni dell'azienda in Europa».
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Tecnologia
03/03/2015
Il Sole 24 Ore Online
Sito Web
(tiratura:405061)
Zuckerberg cerca di farsi amici gli operatori, ma è una sfida in salita
Mr Facebook lavora di immagine cercando di farsi amici gli operatori. Per il secondo anno consecutivo il
fondatore Mark Zuckerberg si presenta come la star del Mobile World Congress in jeans e maglietta, con un
sorriso fiero e ingenuo visto con un certo fastidio dai manager delle telecom in giacca e cravatta. Il suo
keynote è dedicato al progetto Internet.org che vuole portare gratuitamente connettività e alcuni servizi online
base nelle aree del mondo dove ancora internet non c'è.Oggi viene offerto in sei Paesi: Zambia, Tanzania,
India, Ghana, Kenya e Colombia. «Vogliamo fare di più» dice Zuckerberg. Proprio qui 12 mesi fa aveva
lanciato la sfida agli operatori: portiamo internet gratis a chi non ce l'ha, poi i servizi a valore aggiunto pay
garantiranno il ritorno dell'investimento.I grandi operatori si sono dimostrati essenzialmente contrari, specie in
un momento in cui lamentano il peso degli investimenti a loro spese mentre gli over the top macinano miliardi
di dollari di ricavi con app e pubblicità. Per questo Zuckerberg è tornato sul palco con tre operatori che hanno
avuto un buon feedback dopo alcuni mesi di test di internet.org: Airtel Africa, Millcom e Telenor Group. E non
ha fatto mancare le lusinghe: «Sono gli operatori a connettere il mondo, non Facebook», aggiungendo che
sono loro a far crescere internet e per farlo hanno bisogno di una crescita dei ricavi. Alle domande sulle
difficoltà delle telecom a trovare un business model nel nuovo mondo il ceo ha risposto «non so, non sono un
operatore e nemmeno un'autorità regolatoria. So però che le app stanno spingendo l'uso di internet e questo
è il futuro del business»Nel pomeriggio era stata Google a illustrare la sua strategia per rendere internet
universale, e Zuckerberg si è detto «assolutamente favorevole» all'idea di collaborare al progetto (lo stesso
aveva detto il capo di Android, Sundar Pichai, poche ore prima; annunciando peraltro l'imminente lancio di un
servizio di connettività wireless che rappresenta una ulteriore minaccia per il business degli operatori).Qual è
il bilancio di questo anno di Internet.org? «Che funziona!» esclama Zuckerberg. «C'era il timore che i servizi
free avrebbero cannibalizzato il business tradizionale, abbiamo scoperto il contrario». La parola agli operatori.
Ovvio che a parlare sul palco insieme a Zuckerberg sia finita una selezione non casuale. Il Wall Street
Journal, alla vigilia, aveva sentito pareri un po' diversi: «Zuckerberg è quel tipo di persona che inviti a una
festa e beve il tuo champagne, bacia le tue ragazze e non porta niente» (Denis O'Brien, ceo di Digicel Group,
operatore wireless sudamericano). Già un anno fa, il ceo di Vodafone Vittorio Colao si era detto fortemente
contrario.Sul palco, invece, i pareri positivi. «Un anno fa vi avrei detto che Facebook era il diavolo - provoca il
ceo di Airtel Africa, Christian De Faria -. Oggi dico che la bestia è più umana: non abbiamo perso ricavi».
Mario Zanetti, capo del Latin America per Millicom, sottolinea che durante la sperimentazione in Paraguay il
numero di utenti di internet mobile è cresciuto del 30% e che il 40% dei nuovi utenti è rimasto anche dopo i 6
mesi di offerta free. Si è poi capito che alle telecom non piace il fatto che Facebook, con la chat Messenger e
WhatsApp, offra messaggistica gratis. Lui ha risposto che su internet.org la scelta dei servizi da integrare
spetta agli operatori dei singoli Paesi. Chissà se li ha convinti.©RIPRODUZIONE RISERVATA
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03/03/2015
03:34
Primaonline.it
Sito Web
Robin Kingerlee, Emea Media Director di Videology
Videology, la piattaforma di video advertising , annuncia l'ampliamento del suo team europeo con la nomina
di Robin Kingerlee a Emea [...]
Videology, la piattaforma di video advertising, annuncia l'ampliamento del suo team europeo con la nomina di
Robin Kingerlee a Emea Media Director. Considerata la rapida crescita dell'azienda in Europa, il suo ruolo
sarà fondamentale nel dare seguito a questa tendenza e favorire l'adozione del programmatic trading in
Emea affidandosi alla piattaforma e ai servizi di Videology.Robin può vantare oltre diciannove anni di
esperienza nel settore pubblicitario, quattordici dei quali spesi sui media online. Entra in Videology dopo otto
anni passati in Microsoft Advertising, dove ha recentemente contribuito al lancio di Microsoft Exchange nel
Regno Unito, con la creazione di Microsoft Video Network, guidando così la strategia video dell'azienda nel
mercato d'Oltremanica.Riportando a Jana Eisenstein, Global Director of Media, Robin sarà responsabile del
consolidamento della leadership di Videology in Europa e dell'accelerazione dello sviluppo del programmatic
in tutta la regione EMEA dagli uffici londinesi dell'azienda."Dato che EMEA continua a giocare un ruolo
fondamentale nella rapida espansione internazionale di Videology, era sorta l'esigenza di una nuova
posizione espressamente dedicata a capitalizzare al meglio il trend estremamente positivo che ci ha visto
entrare in sette nuovi mercati nel 2014, con una crescita significativa in termini di media e partnership in tutta
la regione", dichiara Jana Eisenstein. "La solida esperienza nei media online di Robin, sia demand- che
supply-side, unita alle sue comprovate capacità nello sviluppo di business e di partnership, ne fanno il
candidato ideale per sostenere il programmatic in Europa".Commentando la sua nomina, Robin afferma:
"Mettendo a disposizione la mia esperienza nei media online, sono entusiasta di unirmi a un leader di
mercato globale dedito all'innovazione di prodotto e all'accelerazione dell'adozione di un trading automatico e
intelligente nel mercato del VOD. La potenza del media planning programmatic consente ai publisher europei
inserirsi nella domanda, indipendentemente dalla regione in cui si trovano e per questo non vedo l'ora di
guidare le relazioni con i media per Videology e contribuire ad accelerare il cambio di passo nel mio ruolo di
primo piano nelle operazioni dell'azienda in Europa".
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PrimaOnLine »
03/03/2015
00:27
Pubblicitaitalia.it
Sito Web
Tutte le News
Quisma, agenzia internazionale di performance marketing parte di GroupM di cui è managing director
Gianpaolo Vincenzi (nella foto) è stata scelta da Marina Rinaldi. Primo al mondo per aver proposto una
collezione di abiti e accessori fashion per le donne con le curve, il brand ha incaricato l'agenzia di coordinare
le attività di web marketing e di investimento relative al commercio elettronico nei Paesi europei
(www.marinarinaldi.com), che si affianca agli oltre 300 negozi presenti nelle principali città del mondo. A
Quisma è stata richiesta anche un'attività di supporto nell'analisi della domanda digitale funzionale alla
definizione dei Paesi europei in cui promuovere il commercio elettronico di Marina Rinaldi. L'azienda del
gruppo Wpp inaugura il primo trimestre con una serie di nuovi incarichi. Il primo è il brand di moda che le
affida i suoi obiettivi strategici: consulenza e coordinamento delle attività di web marketing europee. "Siamo
molto orgogliosi di poter annunciare la collaborazione con un'azienda come Marina Rinaldi. Un'attività che
coinvolge tutte le competenze di Quisma - sottolinea Gianpaolo Vincenzi, managing director dell'agenzia -:
web marketing applicato all'e-commerce, tecnologia e capacità di gestire le opportunità che l'innovazione
offre, oltre all'internazionalizzazione. Il progetto si fonda su un approccio trasparente volto alla condivisione e
alla cultura della performance". Condividi
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Marina Rinaldi sceglie Quisma per l' e-commerce in Europa
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO
74 articoli
04/03/2015
Corriere della Sera
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
«Pronto a trattare su Rai e reddito di cittadinanza»
Emanuele Buzzi
«Siamo pronti al dialogo con tutti, anche con il Pd, sul reddito di cittadinanza e la riforma della Rai». Beppe
Grillo apre al confronto su due dei temi centrali nella strategia del Movimento 5 Stelle. A cominciare dal
sostegno «a chi perde il lavoro, a chi non lo raggiunge. Sono 780 euro al mese, ma varia a secondo del
numero dei componenti familiari».
Per questo obiettivo, spiega il leader al Corriere , «auspico tutte le convergenze del mondo. Bisogna capire
che la povertà va affrontata come una malattia, non come un reato. Se ci sono proposte, siamo aperti a
qualsiasi discussione».
Quanto alla Rai, sì a una riforma che escluda i partiti «purché le nostre proposte non siano bocciate a priori:
ci vuole onestà intellettuale».a pagina 9
Una nuova fase per i Cinque Stelle. Beppe Grillo la racconta partendo dall'incontro con il nuovo inquilino del
Quirinale, ma soprattutto parlando di una possibile apertura al dialogo con tutti (Pd compreso) su Rai e
reddito di cittadinanza.
Ha appena incontrato il presidente Mattarella. E i suoi primi commenti sono stati molto positivi.
«È difficile valutare un incontro come una seduta psicoanalitica. In questa occasione Mattarella mi è
sembrato una persona gentile, sensibile ai temi del Movimento, dalla lotta alla corruzione alla mafia - che
ormai è cambiata, è diventata quasi a norma di legge, 2.0 -, al reddito di cittadinanza, su cui sembrava molto
d'accordo. Abbiamo speso tempo per far capire al presidente che non sono come mi descrivono, quello che
urla, e credo sia rimasto piacevolmente sorpreso».
Pensa sia possibile aprire un dialogo con Mattarella?
«Assolutamente sì. È già un buon inizio. Lui ovviamente deve essere al di sopra delle parti, mi sembra un
garante della Costituzione molto preparato, anche se non sta a me giudicare».
Ora la vostra battaglia è il reddito di cittadinanza, in commissione Lavoro al Senato.
«Sì, il reddito di cittadinanza è vedere il mondo del lavoro in un altro modo, è un diritto civile. Ed è anche uno
dei nostri due punti cruciali in economia insieme al referendum sull'euro. Si tratta di dare una occasione alla
gente».
La vostra proposta costa 15,5 miliardi. In tempi di crisi e di tagli dove pensa possiate trovare le coperture?
Chi ne potrà usufruire?
«È destinato a chi perde il lavoro, a chi non lo raggiunge. Sono 780 euro al mese, ma varia a secondo del
numero dei componenti familiari. Penso a una coppia con figli, lei casalinga: gli si potrà garantire 1.200-1.300
euro. Nel frattempo chi ne usufruisce segue un percorso con lo Stato. Gli si offrono due-tre lavori, se non li
accetta, perde il reddito. Cambierà anche il rapporto con lo Stato, i sindacati, le imprese: un conto è che puoi
licenziare con il Jobs act che si abbatte come una scure con alle spalle il reddito di cittadinanza, un altro
conto senza. Dobbiamo tenere presente una cosa: in Italia solo il 40% delle persone ha un reddito da lavoro,
il 30% sono figli, persone a carico, il 20% vive da reddito indiretto - con le pensioni - e il 10% con i sussidi».
E per le coperture?
«I soldi li troviamo. Spendiamo 45 miliardi per gli armamenti, 20 per la formazione professionale. Poi c'è il
gioco d'azzardo e le persone che hanno 2-3 milioni di euro di reddito. Se gli prendi lo 0,5-l'1% a questo scopo
non credo siano contrari. Discuteremo anche con la Cei...».
In commissione avrete una audizione. Voi proponete di ritoccare l'otto per mille. Quale crede sarà la
posizione della Chiesa?
«Ne discuteremo, ma credo che papa Francesco sarà sulla nostra stessa lunghezza d'onda».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Intervista con Beppe Grillo
04/03/2015
Corriere della Sera
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
47
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Sul «Corriere» Tito Boeri (Inps) ha parlato di reddito minimo, Libera di Don Ciotti è in sintonia con l'idea, Sel
ha presentato una proposta che ha dei punti di contatto con voi, la minoranza pd si è mostrata sensibile
all'argomento: pensa che ci possano essere convergenze?
«Sono contento che se ne parli. Io auspico tutte le convergenze del mondo. Bisogna capire che la povertà va
affrontata come una malattia, non come un reato. Se ci sono proposte, siamo aperti a qualsiasi discussione.
Noi il reddito di cittadinanza vogliamo farlo e vogliamo che sia chiaro che il merito è del M5S».
Siete disposti a trovare una mediazione?
«Assolutamente sì. Per noi il principio è che nessuno deve rimanere indietro, sennò vanno su le destre, i
fascisti, le persone che...».
A proposito di destre, a Roma sabato c'è stata la manifestazione della Lega di Matteo Salvini a cui ha
partecipato anche CasaPound. Alcuni sondaggi dicono che Salvini possa sottrarre voti al Movimento...
«Sinceramente non so dove Salvini possa arrivare. Decideranno gli elettori. Io non ho niente contro Salvini,
se decideranno di seguirlo terranno presente anche che la storia della Lega è diversa dalla nostra. La Lega è
stata al governo, è artefice del patto di Dublino e ha investito fondi in Tanzania. La gente è confusa, andiamo
sul palco e diciamo tutti la stessa cosa, ma noi abbiamo sempre fatto le cose che abbiamo detto».
Senta, Roberto Fico ha parlato di una riforma Rai, una tv senza l'influenza dei partiti, un'idea condivisa nei
principi anche dal governo...
«Sì, se ci atteniamo ai contenuti. Poi ci sono odi interni e invidie, tante nostre proposte sono state bocciate a
priori. Se superiamo questo scoglio, come abbiamo sempre fatto sulle cose buone, su Rai e reddito di
cittadinanza dialoghiamo con tutti, anche con il Pd. Ma ci deve essere onestà intellettuale».
Si è detto «stanchino», parteciperà alla prossima campagna elettorale per le Regionali?
«Nelle liste per le Regionali abbiamo persone di prim'ordine. Le piazze non funzionano più. Resteremo sotto il
palco, staremo a contatto con la gente. Io già faccio gli autogrill, mi sento un attivista come lo ero nel 20052006».
Ma andrà in tour?
«Non come prima: ho dei sostituti meravigliosi. Il Movimento non è una cosa che possiamo gestire solo io e
Casaleggio, siamo cresciuti, abbiamo altri numeri».
Molti volti del direttorio e non solo sono più spesso in televisione...
«Sono sempre contrario ai talk show, ma ognuno è libero di scegliere il da farsi. Alla tv credo meno perché
siamo un Movimento nato in Rete però capisco che ci sia una fetta di elettorato che si informa con i canali
tradizionali. Può essere che forse abbia sbagliato io».
Ma davvero crede a una Rai senza partiti?
«La vedo necessaria. Sa cosa mi ha colpito in questi giorni?».
Dica.
«Il fatto che Ei Towers (la società controllata da Mediaset ha lanciato l'opas su Rai Way, ndr ) abbia una
struttura congegnata esattamente come Rai Way. Non un caso: è scandaloso, vuol dire che era già tutto
preparato».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il testo
Il Movimento Cinque Stelle ha presentato un disegno di legge sul reddito di cittadinanza Il testo, che al
momento si trova in discussione in commissione Lavoro al Senato, ha ricevuto la copertura delle commissioni
Bilancio di Palazzo Madama e Montecitorio La proposta del M5S prevede un reddito di almeno 780 euro netti
mensili
per 9 milioni di cittadini che vivono sotto la soglia di povertà Nel testo è previsto che le persone che
usufruiranno del reddito di cittadinanza dovranno seguire un percorso di formazione e reinserimento nel
mondo del lavoro, che prevede anche un progetto di impegno settimanale per la collettività
04/03/2015
Corriere della Sera
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Foto: Genovese,
66 anni,
Beppe Grillo, esordisce in tv alla fine degli anni Settanta e dopo una lunga carriera da comico nel 2009 crea,
con Gianroberto Casaleggio,
il Movimento Cinque Stelle, di cui è presidente (LaPresse) Abbiamo voluto far capire a Mattarella che io non
sono quello che urla, non sono come mi descrivono Credo sia stato piacevolmente sorpreso
04/03/2015
Corriere della Sera
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Lo scrittore Amos Oz: uno Stato palestinese è garanzia per Israele
L'intervento alle pagine 18 e 19
I niziamo dalla cosa più importante, una questione di vita o di morte:
Se non ci saranno due Stati, ce ne sarà solo uno;
Se ce ne sarà uno solo, sarà arabo;
Se sarà arabo, chissà quale sarà il futuro dei nostri e dei loro figli.
Uno Stato arabo, quindi, dal mare al fiume. Non uno stato binazionale, poiché gli stati bi e multinazionali
(tranne l'eccezione svizzera) non hanno un futuro promettente: difatti tendono a frantumarsi o a dissanguarsi
fino all'annientamento.
E difatti, immaginare che palestinesi e israeliani, che si sono inflitti finora reciprocamente tante e tali
sofferenze, siano disposti all'improvviso a voltar pagina e ad accogliere una pacifica ed equa convivenza,
appare a dir poco una chimera. Dopo un'eventuale separazione, in un futuro lontano, potrebbero anche
adottare una qualche forma di cooperazione, ma non prima che i palestinesi abbiano avuto modo di
sperimentare la libertà e la dignità che - come ben sappiamo - scaturiscono dall'indipendenza. Pertanto,
esclusa la realtà di due Stati, e relegato al dominio della fantasia l'ipotesi del binazionalismo, ecco che
avanza minacciosa la prospettiva di un unico Stato arabo in grado di cancellare il nostro sogno sionista.
Nel tentativo di arginare una visione così funesta, questa terra - dal fiume Giordano al mar Mediterraneo potrebbe essere governata da una dittatura di fondamentalisti ebraici, caratterizzata dal fanatismo razziale e
capace di imporre la sua volontà sia alla maggioranza araba che all'opposizione ebraica. Come si è visto in
gran parte delle dittature delle minoranze nell'era contemporanea, anche questa non durerà. Dovrà fare i
conti con il boicottaggio internazionale, assistere a bagni di sangue interni, o entrambe le cose, finchè non
sarà costretta a cedere davanti all'inevitabile: uno Stato arabo dal fiume Giordano al mar Mediterraneo. E la
soluzione dei due Stati? Molti di noi, che appoggiano questa prospettiva, sostengono che l'attuale conflitto
non può trovare soluzione in altro modo. Ai loro occhi, Yasser Arafat era troppo forte e intransigente, ma il
suo successore Mahmoud Abbas (Abu Mazen), uomo ponderato e ragionevole, è troppo debole. Pertanto si
manterrebbe in vita l'opzione dei due Stati tramite un'operazione di «gestione del conflitto».
Ma ahimè, solo l'estate scorsa abbiamo vissuto sulla nostra pelle il significato di questa «gestione», che ci
condanna alla prossima Guerra del Libano, e a un'altra ancora; alla prossima Guerra di Gaza, e a tutte le
successive; come pure alla terza, quarta e quinta Intifada a Gerusalemme e in Cisgiordania, combattute nelle
nostre strade. Il collasso inevitabile dell'Autorità palestinese vedrebbe l'emergere di Hamas o di un
successore ancor più estremista, mentre tutti sarebbero testimoni di un'infinità di morti da una parte e
dall'altra. Questa è la realtà della «gestione del conflitto».
Infine, l'idea di una possibile risoluzione del conflitto merita uno sguardo più approfondito: da un centinaio di
anni a questa parte, non c'è stato un momento più favorevole alla fine delle ostilità come oggi. Non che i
nostri vicini si siano convertiti al Sionismo, né abbiano di colpo accettato il nostro diritto a questa terra. Il
motivo invece sta nel fatto che i principali attori politici della regione - Egitto, Giordania, Arabia Saudita, gli
altri Stati del Golfo e del Nord Africa - si ritrovano ad affrontare una minaccia di gran lunga più imminente e
catastrofica a lungo termine rispetto a Israele. Per alcuni di loro, l'Iran è al vertice nella classifica delle forze
del male. Per altri, questa minaccia si chiama Isis. Ma sia Teheran che l'Isis sono la causa delle molte notti
insonni in tutte le capitali del Medio Oriente, e su questo sfondo oggi Israele appare come parte della
soluzione, se solo la collaborazione con noi fosse legittimata e rafforzata con la fine dell'occupazione dei
Territori palestinesi e con il riconoscimento delle aspirazioni dei palestinesi verso uno Stato proprio.
Dodici anni fa ci è stata proposta l'Iniziativa saudita per la pace, in seguito sottoscritta (con qualche modifica)
anche dalla Lega araba. Non suggerisco di adottarla a occhi chiusi, ma certamente vorrei che venissero
coinvolti i sauditi ed altri partecipanti in una discussione sui nostri dubbi e le nostre riserve. Una nostra
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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INTERVISTA Il conflitto
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risposta condizionata, ma positiva, a questo rovesciamento storico dell'antica posizione araba di rifiuto e
chiusura totale sarebbe altamente auspicabile, e spalancherebbe la porta alla collaborazione sia sulla
proposta dei due Stati che sulla sicurezza regionale.
La verità ineluttabile - per quanto controversa - è che la Guerra dei sei giorni, nel 1967, ha segnato la nostra
ultima vittoria decisiva. Da allora, nessun risultato ottenuto può essere considerato una vittoria, perché in
guerra il vincitore non è necessariamente colui che infligge le distruzioni peggiori, ma colui che ottiene il suo
scopo. Non avendo fissato alcun obiettivo politico per le guerre più recenti, non abbiamo potuto né aspettarci
né dichiarare vittoria, e l'assenza di obiettivi è il riflesso di una realtà in cui nessuno dei nostri obiettivi
nazionali è più raggiungibile con la forza.
Con questo non intendo dire che la forza militare sia ormai inutile. Anzi, essa è essenziale alla nostra stessa
sopravvivenza. Fin troppo spesso ci ha protetto dall'annientamento, ed è servita sia come deterrente, ma
anche per sconfiggere tutti i nostri avversari laddove la deterrenza è fallita. La forza militare ha svolto
egregiamente i suoi compiti. Ma non confondiamo la legittima autodifesa - dove non possono esserci
compromessi - con l'illusione di imporre con la forza la nostra volontà politica sugli altri.
È questa la realtà dei limiti della forza militare, com'è stato dimostrato a più riprese negli ultimi decenni, ed è
per questo che sono giunto alla conclusione che la cosiddetta «gestione del conflitto» è la ricetta di nuove
sventure. Essa è destinata a fallire e dovrebbe, anzi, cedere il passo a uno sforzo sincero e duraturo verso la
soluzione del conflitto.
Fin troppi israeliani si sono convinti che basta utilizzare un bastone più grosso e far mostra di maggior
risolutezza per «educare» gli arabi a sottomettersi alla nostra volontà. Tuttavia, nel centesimo anniversario di
questo concetto fasullo, davanti alla prova schiacciante che il nostro bastone sempre più grosso si rivela ogni
volta inadeguato, è giunto il momento di riconoscere l'arroganza e la futilità del voler «convincerli della nostra
supremazia».
Eppure, la nostra politica è ancora concepita per imporre la nostra volontà con l'uso della forza. Di
conseguenza, in Cisgiordania, l'Autorità palestinese è sul punto di crollare da un momento all'altro, sbattendo
la porta su importanti operazioni di coordinamento per la sicurezza e lasciandola invece spalancata a Hamas
e ad altri gruppi di estremisti pronti a occupare gli spazi lasciati liberi.
I coloni e i loro sostenitori in patria e all'estero ripetono che questa terra è nostra per diritto. E quale sarebbe
questo diritto? Non hanno ancora capito che il mondo - tra cui la maggioranza degli Stati arabi - riconosce il
nostro diritto allo Stato di Israele all'interno della «linea verde» ma respinge senza mezzi termini la nostra
occupazione dei restanti territori? Che riconosce il diritto dei palestinesi ad uno Stato accanto al nostro, ma
respinge ogni pretesa di ampliamento?
Questi coloni, molto simili in questo alla loro controparte estremista tra i palestinesi, sembrano aver
dimenticato che i diritti - per quanto divini - se privi di legittimità internazionale devono restare confinati alle
sacre scritture, non entrare a far parte del programma di governo.
Quando vantano il diritto esclusivo alla Terra di Israele si rifanno al precetto religioso di non cedere un palmo
di terra, e quando pretendono di modificare la normativa che regola la Spianata delle moschee non si curano
affatto dei sentimenti di quanti ne condividono la sacralità. Ai loro occhi, offendere 200 milioni di arabi è solo
una prova di forza per scatenare lo scontro con un miliardo di musulmani in tutto il mondo.
Allora io chiedo: quando reclamiamo il diritto di pregare sulla Spianata delle moschee, siamo disposti a
rinunciarvi finchè non verranno raggiunti gli accordi e che la questione non sia più fonte di divisioni e scontri?
A coloro che intendono scatenare una guerra di religione sulle modalità di preghiera io dico: non nel mio
nome. Non nel nome dei miei figli, dei miei nipoti, non nel nome di tutti i miei cari e di tutti coloro che sono
d'accordo con me.
É sorprendente come persino la provocazione nei confronti degli arabi e dei musulmani non sembri
soddisfare il loro appetito. Oggi assistiamo al tentativo di dettare le scelte politiche degli Stati Uniti, senza
tener conto delle conseguenze per il nostro principale alleato strategico. Nel favorire un connubio tra la nostra
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estrema destra e la loro, nel tentativo di scalzare le fondamenta tradizionali bipartisan di tali rapporti, questi
politici irresponsabili mettono a repentaglio la nostra sicurezza nazionale. Con presunzione essi vanno
affermando: «Il leader del mondo libero oggi è solo nella lotta contro la minaccia iraniana, come osa Obama
sbarrargli la strada?»
La nostra storia è ricca di esempi in cui abbiamo sfidato il mondo e in più di un'occasione i risultati sono stati
catastrofici. David Ben Gurion vedeva giusto quando ci insegnava che lo Stato di Israele non sarebbe mai
esistito senza l'appoggio di un forte alleato a livello globale. Oggi, per quanto salda sia la nostra alleanza con
gli Stati Uniti, la sua permanenza non è affatto scontata. Essa richiede rispetto e considerazione, e
certamente non deve essere sottoposta a pressioni malevole e interessate.
In questo contesto, come in altri, occorre distinguere ciò che è permanente da ciò che è transitorio. La nostra
alleanza con gli Stati Uniti è transitoria, e sta a noi investire costantemente i nostri sforzi per mantenerla in
vita. D'altro canto, la nostra presenza accanto alla Palestina e nel cuore del mondo arabo è una caratteristica
permanente della nostra realtà ed è questa a dover dettare le nostre scelte. Allo stesso modo, la forza degli
agenti ostili, dai terroristi alle potenze nucleari, è in fase di trasformazione. Pertanto, dobbiamo garantire in
permanenza la superiorità delle nostre capacità difensive. E per assicurarci che la nostra potenza difensiva
sia sempre adeguata per affrontare ogni eventuale minaccia, nulla è più deleterio che prendere decisioni
unilaterali; coalizzare la comunità internazionale contro di noi; e indebolire la nostra alleanza con gli Stati
Uniti. Al contrario, guidare uno sforzo di pace dinamico con i nostri vicini palestinesi sotto l'egida dell'Iniziativa
araba di pace farà molto per forgiare una coalizione di sostegno, regionale e internazionale, e disinnescare le
tensioni nei territori, verso un rafforzamento della sicurezza nazionale.
Il mio appello per la pace non è fondato su ingenue aspettative riguardo le difficoltà nel superare le differenze
o le sfide che ci vengono poste dalle bocciature che riceviamo da ogni parte. La pace non è un giocattolo su
una mensola, che basta allungare una mano per afferrarlo. Né era semplicemente per il rifiuto di un papà Rabin, Barak o Olmert poco importa - di pagare il prezzo che ne siamo stati privati così a lungo. Come dice il
proverbio arabo: per applaudire ci vogliono due mani. Bisogna essere in due per ballare il tango attorno al
tavolo dei negoziati e la nostra controparte palestinese ha contribuito non poco ai passati insuccessi. La
colpa è di tutti coloro che sono stati coinvolti in questa vicenda, parti terze e sostenitori inclusi.
Di conseguenza, non prometto nessuna soluzione rapida verso un accordo; nessuna facile attuazione; né
una panacea per il giorno dopo. Ma prevedo gravissime conseguenze se non sapremo separare il nostro
Paese da quello palestinese. Non mi stancherò mai di ripeterlo: ci saranno due Stati se lo vorremo, oppure un
unico Stato arabo in mancanza di alternative.
Non me la sento di criticare i milioni di israeliani che riconoscono la necessità di dividere i territori ma non si
fidano della volontà dei palestinesi di garantirci quello di cui abbiamo più bisogno: la sicurezza. Capisco e
condivido questi timori legittimi. Non li prendo alla leggera. Anzi, ritengo che occorre addossare al movimento
per la pace e ai suoi leader l'ulteriore responsabilità di vegliare attentamente sulle questioni di sicurezza; di
cercare nuove sedi per ribadirne la necessità e l'attuazione (come quelle offerte dall'Iniziativa araba per la
pace); e di convincere gli scettici della sua fattibilità.
La mia premessa sionista è semplice e diretta: non siamo soli su questa terra, né siamo noi gli unici
proprietari di Gerusalemme. Ai miei amici palestinesi dico lo stesso: nemmeno voi siete soli qui. Questa
nostra piccola casa dovrà essere suddivisa in due appartamenti più piccoli. E che vi sia una buona recinzione
tra le due proprietà, per garantire rapporti di buon vicinato.
Una volta divorziati, proviamo a coesistere gli uni accanto agli altri, lasciando alle future generazioni il
progetto di una possibile coabitazione - confederata o di altro genere. La nostra vita non è un film di
Hollywood con i buoni contro i cattivi, bensì una vera tragedia di due cause giuste in un conflitto che genera
sempre maggiori ingiustizie. Potranno continuare a scontrarsi, infliggendo ancora più lutti e sofferenze.
Oppure potranno cercare di riconciliarsi tramite la separazione e il compromesso.
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Nelle terre bibliche è difficile misurarsi con gli antichi profeti. Eppure, è lecito affermare che in Medio Oriente
la durata di un «mai» o di un «sempre» va dai tre mesi ai trent'anni. Ciò che era impossibile quando prestavo
servizio in divisa durante la Guerra dei sei giorni si è trasformato in un visto egiziano e giordano sul mio
passaporto. Coloro che si opponevano aspramente a cedere un territorio «tre volte più grande di Israele» per
sancire la pace con l'Egitto non immaginavano che quella pace sarebbe durata per decenni, superando prove
durissime. I loro argomenti, allora e adesso, contro la pace con i palestinesi rispecchiano lo stesso terrore
dell'ignoto, la stessa riluttanza ad assumere rischi nella prospettiva di un futuro migliore, malgrado la certezza
che lo status quo è un'illusione, che sarà sostituita dall'inaccettabile. E proprio come i due precedenti - con
l'Egitto e la Giordania - così pure le nostre dispute con la Palestina non saranno risolte dalla sera alla mattina.
Eppure anche qui, con una leadership illuminata, si potrà cancellare la parola «impossibile».
(Traduzione di Rita Baldassarre)
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Impegno
Amos Oz, 65 anni, nativo di Gerusalemme, è tra i massimi scrittori israeliani. È figlio di immigrati dall'Europa
orientale Tra i suoi libri: «Una storia di amore e di tenebra» e «Giuda», editi in Italia da Feltrinelli
Foto: L'idea di una possibile risoluzione del conflitto merita uno sguardo approfondito: da un centinaio di anni
a questa parte, non c'è stato un momento più favorevole
Foto: Aquilone
Un bambino palestinese con un aquilone in mano percorre un vicolo
in salita
nella Città
Vecchia di Gerusalemme (Ap/Maya Hitij) Oggi assistiamo al tentativo, da parte di politici irresponsabili, di
dettare le scelte politiche
degli Stati Uniti, senza tener conto delle conseguenze per il nostro principale alleato strategico
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Il disordine delle regole sconvolge le professioni
Michele Ainis
L'Italia unita non è mai stata troppo unita. Corporazioni e campanili recano i segni di un'antica divisione, cui
generalmente manca ogni visione. Mai un progetto slacciato dal proprio tornaconto, mai una scintilla di
solidarietà. Ma adesso divampa un fenomeno senza precedenti: l'implosione delle lobby. E dei partiti, e delle
parti sociali. Perché alla guerra contro il nemico esterno si va sostituendo la guerra intestina, il conflitto tra
fazioni armate l'una contro l'altra. E forse è questa l'eredità più consistente che ci lascia in corpo l'anno I del
governo Renzi I.
N on che le categorie professionali abbiano smesso di combattersi. Per dirne una, a febbraio il disegno di
legge Concorrenza ha acceso livori e furori. Derby fra notai e avvocati, dato che questi ultimi potranno
surrogare i primi nella compravendita d'immobili fino a 100 mila euro. E contro gli avvocati pure i
commercialisti (perché loro sì e noi no?). Infine geometri e architetti contro l'apertura del mercato privato alle
società d'ingegneria. Mentre fra avvocati e medici, sempre il mese scorso, s'è aperta una battaglia a colpi di
spot televisivi. Da un lato, l'esortazione a denunziare la malasanità; dall'altro, la maledizione nei confronti
degli «avvoltoi» dei risarcimenti.
Scaramucce, rispetto allo scontro che infuria in ogni dove. Perché la notizia di giornata è questa: lo scontro
s'estende a tutti i corpi associativi, e per l'appunto si consuma al loro interno, volge in lotta fratricida. Nella
magistratura l'unità delle correnti, da sempre divise per accaparrarsi posizioni, e però sempre coese nella
difesa corporativa del potere giudiziario, è andata in fumo sulla riforma della responsabilità civile: i moderati
volevano lo sciopero, le correnti di sinistra no. Nel frattempo si spacca Magistratura indipendente, in sospetto
di connivenza col governo per interposto sottosegretario (Cosimo Ferri); e Davigo fonda una nuova corrente.
Ma si spacca altresì la Cgil, dilaniata dal conflitto tra Camusso e Landini. Si spacca la Lega Pro del calcio (29
club contro altri 29 sulla fiducia al presidente Macalli). E si spacca, in generale, ogni categoria investita dalle
riforme del governo.
Così, la riforma Delrio delle Province ha avuto l'effetto di porre i loro dipendenti contro gli altri dipendenti
pubblici. La riforma Giannini della scuola promette d'innescare una contesa fra precari semplici e abilitati. La
riforma Madia dell'amministrazione, insieme al tetto sugli stipendi pubblici, ha riacceso il malanimo fra
impiegati e dirigenti. I chirurghi sono sul piede di guerra contro il comma 566 della legge di Stabilità, che li
equipara alle altre professioni sanitarie. A dicembre i giovani avvocati si sono rivoltati contro la Cassa
forense: in seguito a un regolamento del governo, quest'ultima ha trasformato i contributi previdenziali in un
salasso. All'università la penuria di risorse ha posto, ormai da tempo, i ricercatori contro i professori. Con il
futuro accorpamento dei tg, anche alla Rai si preannunziano lotte per la sopravvivenza. Senza dire del
progetto d'unificare le forze di polizia, sempre annunciato e sempre rimandato: 5 corpi sono troppi, ma alla
fine della giostra c'è il rischio che ne rimanga in piedi uno soltanto, con una pistola fumante tra le mani.
Dice: ma dopotutto non c'è di che allarmarsi, se qualcuno s'arrabbia significa che qualcuno ci rimette,
significa perciò che le riforme stanno cambiando la faccia plumbea di questo Paese. Vero, ma fino a un certo
punto. Non se monta una rabbia di tutti contro tutti. Non se la divisione penetra come un coltello nel
corpaccione dei partiti, delle stesse istituzioni. A destra, Forza Italia è spaccata tra Berlusconi e Fitto, la Lega
tra Zaia e Tosi. A sinistra, il Pd ha più correnti del Mar dei Caraibi. Non solo nella minoranza, frastagliata tra
bersaniani, civatiani, lettiani, cuperliani, fioroniani, bindiani, dalemiani. Non solo in mezzo con i Giovani turchi,
un piede di qua, l'altro di là. No, anche la maggioranza si scheggia in varie minoranze. A breve - con la
benedizione di Delrio - il battesimo dei catto-renziani, autonomi e distinti dai renziani-renziani. Di questo
passo lo stesso Renzi finirà tagliato in due come il visconte dimezzato di Calvino.
Infine il seme della discordia mette radici nella cittadella delle nostre istituzioni. Attraverso l'abuso dei decreti,
che ha provocato ruvide carezze fra la presidenza della Camera e quella del Consiglio. E di nuovo attraverso
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riforme necessarie ma non punitive
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le riforme. La legge elettorale, che distingue fra capilista bloccati e candidati votati, alimentando un bel dubbio
di legittimità costituzionale. Il Parlamento prossimo venturo, con una Camera d'eletti e un Senato di negletti.
Divide et impera , dicevano i latini. Ma a forza di dividere, nella bandiera italiana rimarranno soltanto le
bande. Armate.
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DIRITTI (E DOVERi) DEI NUOVI ITALIANI
Gian Antonio Stella
M ohamed Emwazi, il boia dell'Isis detto «Jihadi John», ha dato una coltellata anche ai sogni di tutti quei
bambini e ragazzi figli di immigrati che sono nati in Italia, parlano italiano, tifano per la nazionale italiana e
aspirano a diventare italiani. La riforma della legge sulla cittadinanza del '92, quando a Palazzo Chigi stava
Andreotti e gli immigrati erano un decimo di oggi, rischia infatti di arenarsi nella poltiglia della rissa politica. Di
qua quanti vedono in ogni immigrato, fosse pure buddista, indù o cristiano, un potenziale tagliagole. Di là
quanti credono che sia irragionevole pretendere dei «buoni cittadini senza cittadinanza» ma anche che, di
questi tempi, occorra andar coi piedi di piombo. Tanto che lo stesso Renzi sembra aver un po' accantonato
questo che gli pareva «un problema urgente».
Peccato. Non solo perché l'avventura «a cercar la bella morte» nel nome dell'Isis, come si è visto anche negli
occhi delle ragazzine fotografate in fuga all'aeroporto, c'entra forse con la crisi di identità culturale e poco coi
documenti di identità personale. Ma perché noi stessi abbiamo bisogno che quanti più nuovi italiani possibile
si riconoscano nei nostri valori, nel nostro sistema di diritti, nella nostra Patria.
Certo, tanto più coi flussi caotici in arrivo dalle aree di guerra, occorre andar cauti con lo ius soli automatico.
Come dice uno studio di Graziella Bertocchi e Chiara Strozzi, solo gli Stati Uniti hanno conservato il diritto al
passaporto a chi nasce sul loro territorio. Tutti gli altri Paesi che l'avevano (il 47% degli Stati censiti nel '48)
hanno via via abbandonato lo ius soli integrale per un sistema misto. Scelto anche da chi, come la Germania,
veniva come noi dallo ius sanguinis . Ormai indifendibile. E bene ha fatto il premier fiorentino a battere sulla
necessità di uno ius soli che tenga conto di un certo numero di anni di residenza, del percorso scolastico,
della padronanza della lingua, dell'obbligo di giurare fedeltà.
Insomma, è bene che i paletti siano ben conficcati. Ma come ha detto Napolitano non possiamo rinviare in
eterno «la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati. Negarla è un'autentica follia,
un'assurdità». Gli stessi italiani del resto, dice una ricerca Istat di pochi giorni fa, sono sì preoccupati per i
nuvoloni minacciosi spinti su di noi dai venti di guerra e in tanti vorrebbero che fosse data la precedenza ai
«nostri» nelle case popolari e sul lavoro. Ma allo stesso tempo sono in larghissima maggioranza a favore
della cittadinanza agli immigrati inseriti e ai loro figli. Prova provata che, non andando a caccia di voti, loro
non fanno di ogni erba un fascio...
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Immigrazione e identità
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Troppe questioni insieme e non tutte urgenti Ecco perché il premier ha
rinunciato al decreto
Andrea Garibaldi
ROMA Il governo Renzi esordì con i lavori nelle scuole cadenti un anno fa. Andò avanti con la «campagna di
ascolto» (15 settembre-15 novembre) su come riformare la scuola. Poi, a gennaio, l'annuncio di un decreto
urgente entro febbraio. Fino alla celebrazione di un anno di governo, con presentazione del decreto scuola,
venerdì a Roma.
Ieri la corsa si è fermata, anzi lo stop era già avvenuto da 24 ore, davanti a un ministro Giannini incredula,
esterrefatta. In Consiglio dei ministri Renzi ha spiegato: «Ci sono troppe materie dentro questo decreto,
quelle urgenti si mescolano con le meno urgenti. Meglio che si esprima il Parlamento. Dobbiamo mettere le
Camere nelle condizioni di lavorare al più presto». Poi, in conferenza stampa, la frase chiave: «Decreto o
disegno di legge, il dibattito è surreale. Lo strumento da utilizzare dipende dalla situazione politica. E dalle
caratteristiche di necessità e urgenza». Il ministro Giannini, all'apparenza non più incredula, né esterrefatta,
ha detto che è fondamentale che i ministri si esprimano sul testo del disegno di legge da inviare in
Parlamento». «Una riforma così importante ha bisogno del suo tempo - dice Francesca Puglisi, responsabile
Scuola del Partito democratico -. Deve essere terreno di confronto e condivisione».
Allora, la situazione politica. Ci sono due indicazioni che vengono dal Quirinale di Sergio Mattarella.
Indicazioni indirette. Contro l'abuso di decretazione in nome di un bi-lanciamento fra esigenze del governo e
del Parlamento, Mattarella parlò nel discorso d'insediamento. Va aggiunto che Mattarella ha già alla sua
attenzione il decreto attuativo sullo Jobs act, in questo momento per Renzi più cruciale della scuola. L'ipotesi
decreto è stata usata anche per la Rai, suscitando la critica della presidente della Camera, Laura Boldrini.
Troppi decreti scritti o annunciati, insomma. In questo quadro, Mattarella ha anche ricevuto i rappresentanti
delle opposizioni all'indomani dell'approvazione della riforma costituzionale: chiedevano rispetto per il
Parlamento e il messaggio che esce dal Consiglio dei ministri di ieri è una risposta in positivo.
Con condimento al veleno: «Decida il Parlamento - ha dichiarato Renzi - se procedere in tempi serrati o se
bloccare le assunzioni dei precari della scuola con l'ostruzionismo». Come a dire: il governo potrebbe sempre
riservarsi la possibilità di intervenire d'urgenza, almeno sulle assunzioni. E in questo caso dal Quirinale
potrebbero non arrivare obiezioni.
Saranno sempre le Camere a dover dirimere la questione degli sgravi fiscali a vantaggio di chi iscrive i figli
alle scuole paritarie. Sul tema c'è stata la richiesta esplicita di 44 deputati della maggioranza e c'è stata lunedì - una presa di posizione di Angelino Alfano, leader del Ncd, la seconda forza di governo.
Renzi non è fautore di un punto di vista «laico» su questo tema, quello che richiama l'articolo 33 della
Costituzione (scuole private «senza oneri per lo Stato»). La senatrice Rosa De Giorgi, che fu a Firenze
assessore all'Istruzione proprio della giunta Renzi, ricorda che nel capoluogo toscano «senza le materne
paritarie non ci sarebbe la possibilità di garantire un posto a tutte le famiglie che chiedono il servizio».
Il lavoro su quello che doveva essere il decreto sulla scuola del governo Renzi è stato ultimato sabato.
Contenuti, i più svariati: dall'autonomia all'offerta formativa, dalla carta dello studente ai laboratori territoriali
per l'occupabilità, dall'inclusione scolastica degli alunni stranieri, fino alle famose assunzioni degli insegnanti
precari. Materia troppo densa.
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1,8 Milioni
Le persone
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Il retroscena
04/03/2015
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che hanno partecipato
- non soltanto online alla consultazione nazionale
sulla «Buona Scuola»
del governo guidato
dal premier
Renzi
2 Mila
Quanti sono stati i dibattiti (2.040 per l'esattezza)
su tutto
il territorio
che secondo
il ministero dell'Istruzione hanno contribuito
a migliorare
la «Buona Scuola»
1 Miliardo
La dotazione prevista
per quest'anno per il fondo di realizzazione del piano
della «Buona Scuola». Nel 2016, anno in cui il piano entra a pieno regime, la cifra sale a tre miliardi di euro
Foto: Renzi Vogliamo trasformare la scuola in un'azienda? Mi viene
da ridere
Foto: Il gesto Il presidente
del Consiglio Matteo Renzi, subito dopo aver finito
la conferenza stampa
di ieri sera
a Palazzo
Chigi, saluta
il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini (foto Benvegnù-Guaitoli)
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04/03/2015
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Il fedelissimo Bonavitacola: cambiarla è una battaglia giusta e per Enzo ci
metto il cuore
La tesi Una legge «ad De Lucam»? «No, fu Monti a usare la Severino per la campagna elettorale»
Monica Guerzoni
ROMA «Quasi quasi faccio un video sulla legge Severino e lo lancio sul web, da stamattina avrò fatto trenta
prolusioni...». Camicia nera gessata e in tasca la tessera Fgci del 1973, che estrae ogni due per tre,
l'avvocato Fulvio Bonavitacola ha l'orecchio incollato al cellulare. Tutti lo cercano, perché il deputato
salernitano del Pd è l'autore della proposta di legge che elimina l'abuso d'ufficio dai reati che fanno scattare
sospensione e decadenza.
L'hanno ribattezzata «ammazzaseverino» e il fedelissimo di Vincenzo De Luca ne parla senza imbarazzi: «A
De Luca mi lega da quarant'anni un sodalizio politico e umano. Il dato delle primarie campane ci rende gioiosi
e pieni di soddisfazione». È orgoglioso di firmare una legge ad De Lucam ? «È fuorviante, detta così. Si tratta
di evitare una sanzione ingiusta che colpisce tanti amministratori per bene, che non meritano di subire una
simile gogna. Risolvere il problema in Parlamento, invece di delegarlo alla Corte costituzionale, è una
battaglia di civiltà giuridica. La farei per chiunque...». Davvero? «Diciamo che per Enzo la combatto con più
cuore e più passione». Schietto, diretto e un filo vanesio («non ho il tempo di invecchiare»), Bonavitacola è
nato a Salerno nel 1957. Nel 1987 era vicesindaco e assessore ai lavori pubblici nella prima giunta di sinistra,
«che per la mia città fu una eresia, un fatto traumatico». Il legame con De Luca lo rivendica senza ipocrisie,
ma giura che la sua è una crociata di principio: «La mia proposta è dell'ottobre 2014. L'ho scritta con piglio
giornalistico, perché sono convinto che sia profondamente giusta. Quando l'ho depositata, De Magistris era
stato condannato e il Tar della Campania non si era ancora espresso».
La tesi è che il «governo dimissionario» di Mario Monti nel dicembre 2012 approva un decreto legislativo
«palesemente straripante rispetto alla delega ricevuta dal Parlamento». Le ragioni politiche del «blitz», lui le
spiega così: «Monti usò la severissima legge Severino, che poi dovrebbe chiamarsi Cancellieri perché fu
scritta al Viminale, come un cavallo di battaglia elettorale. Rigore, rigore, rigore». Troppo zelo moralizzatore?
«Peggio, il governo Monti ha strumentalizzato i temi della moralità. Quella legge è incostituzionale per
eccesso di delega». Per carità, l'impianto è giusto... Ma De Luca ha subito una condanna abnorme per
irregolarità formali. L'abuso di ufficio è un reato minore, che non comporta un giudizio di disvalore morale».
Però non c'è fretta.
Il Parlamento può approvare la sua legge anche dopo le Regionali, tanto «De Luca è candidabile, eleggibile,
vincerà la sfida con Caldoro, verrà sospeso e reintegrato dal Tar, che solleverà il tema della incostituzionalità
della Severino». Bonavitacola era bersaniano. Ma quando l'ex segretario mostrò «qualche incertezza sulla
formazione del governo e sull'elezione di Prodi al Quirinale», seguì De Luca nelle manovre di avvicinamento
a Renzi. E adesso, guai a chi glielo tocca: «Mettere in discussione il premier sarebbe una follia.... Non
facciamo come quel tale che compì un gesto insano per fare un dispetto alla moglie».
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Chi è
Fulvio Bonavitacola, 57 anni, alla Camera con il Pd dal 2008, è l'autore della proposta di legge che elimina
l'abuso d'ufficio dai reati che fanno scattare sospensione e decadenza
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L'intervista
04/03/2015
Corriere della Sera
Pag. 11
(diffusione:619980, tiratura:779916)
LE TENSIONI DELL'OPPOSIZIONE AVVANTAGGIANO PALAZZO CHIGI
Scenari Lega sull'orlo della rottura ma Renzi è alle prese con il caso De Luca e Campania e la modifica della
Severino
Massimo Franco
L'insistenza con la quale Forza Italia evoca il suo ritorno alla «centralità» insieme a Silvio Berlusconi sembra
un modo per cancellare una sensazione crescente di subalternità. Subalternità a una Lega con la quale è
costretta ad allearsi per le prossime Regionali, senza avere ottenuto dal leader del Carroccio, Matteo Salvini,
nessun riconoscimento del proprio peso. E al Pd di Matteo Renzi, che dalle divisioni del centrodestra può
guadagnare tempo e spazio politico. Non solo: nel «partito della Nazione di destra» tra Berlusconi e Salvini si
intravede il tentativo di copiare l'idea che il premier sta accarezzando da mesi.
La spaccatura in Veneto tra il governatore leghista Roberto Zaia e il sindaco di Verona, Flavio Tosi, ha
assunto contorni tali da mettere in forse la permanenza nel Carroccio del primo cittadino. L'ultimatum di
Salvini a lui e ai suoi sostenitori a scegliere entro lunedì tra appartenenza alla Fondazione di Tosi e alla Lega,
azzera i margini per un compromesso. O il sindaco si piega, o è fuori. Non è ancora chiaro quali effetti tutto
questo avrà sul risultato del Veneto. L'alleanza con FI dovrebbe garantire margini tali da assicurare la vittoria
nella regione. Anche se qualche dubbio comincia a serpeggiare. «Ci auguriamo che per colpa dei veti di
Salvini non vengano consegnate altre regioni, come il Veneto, al Pd», accusa il Nuovo centrodestra, che si
trova nella posizione scomoda di alleato di Renzi a Roma, e di Lega e FI a livello locale. Il colloquio di ieri
sera tra il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, e Tosi, conferma implicitamente l'incompatibilità di
un'alleanza tra il cartello Salvini-Berlusconi e il Ncd. La resurrezione del Popolo della libertà si allontana,
insomma, a conferma di quanto siano cambiati i rapporti di forza; e di come non solo il capo di FI ma anche
del Carroccio fatichino a evitare rotture interne. È una confusione che avvantaggia Palazzo Chigi, confortato
anche dai giudizi lusinghieri raccolti nella sua visita ufficiale in Europa dal presidente della Repubblica, Sergio
Mattarella. La Commissione Ue ha cominciato a usare parole più concilianti sugli sforzi fatti in materia di
riforme dal governo italiano. Piuttosto, è dal Pd che Renzi continua a ricevere messaggi controversi. L'esito
delle primarie in Campania è la vittoria di un candidato osteggiato da Palazzo Chigi: l'ex sindaco di Salerno,
Vincenzo De Luca, decaduto dopo una condanna in primo grado per abuso d'ufficio.
Il governatore uscente, Stefano Caldoro, berlusconiano, lo ricorda agli elettori. Per la legge approvata quando
Guardasigilli era Paola Severino, anche vincendo De Luca non potrebbe governare. Il problema di Renzi, ora,
è come superare l'ostacolo, dopo avere predicato e praticato un rinnovamento radicale del Pd. «Al momento
non è allo studio da parte del governo nessuna ipotesi di modifica della legge Severino», fa sapere il ministro
delle Riforme, Maria Elena Boschi. «Al momento»: viene da pensare che una decisione sia ancora da
prendere, nessuna esclusa. E questo mette in allarme le opposizioni in Parlamento.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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La Nota
04/03/2015
Corriere della Sera
Pag. 13
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Pansa: la nuova destra? Ha la benzina della rabbia ma mancano auto e
pilota
La piazza «Ho trovato banale il comizio di Salvini a Roma. Non c'erano proposte»
Massimo Rebotti
Milano «Il carburante questa nuova destra ce l'avrebbe, non ha però né la macchina né il pilota».
Gianpaolo Pansa, che ha scritto da poco La Destra siamo noi. Una controstoria italiana da Scelba a Salvini ,
divide la questione della rappresentanza politica della destra in due: da un lato i contenuti - «il carburante» che, sostiene, ci sono; dall'altro il leader - «il pilota» - che viceversa «manca».
Iniziamo dal carburante .
«Adesso è la rabbia. Per le tasse, la burocrazia e lo strapotere del sistema dei partiti che, in questa fase
storica, coincide con il centrosinistra, con il Pd. E poi c'è una base potenziale: la grande massa delle persone
comuni, quelle che non hanno protezione, che tutta questa ripresa di cui parla il governo Renzi nella loro vita
di tutti i giorni proprio non la vedono, non sanno dove sia».
E il leader?
«Quello invece non c'è. Non basta che ci sia un'onda di destra, come in altri Paesi d'Europa. Ci vuole anche
qualcuno che sia in grado di mettersi alla guida. Qui non c'è la signora Le Pen, che da sola vale dieci
uomini».
L'ultimo libro di Giampaolo Pansa, a cominciare dal titolo, racconta di una destra italiana storicamente
maggioritaria nel Paese, interprete, spesso senza saperlo, della sua natura più profonda, eppure in costante
condizione di inferiorità rispetto alla sinistra.
Cosa tiene insieme la destra adesso?
«A questo punto lo devono scoprire di nuovo. Una fase è finita e non c'è molto tempo. Berlusconi, che ha un
anno meno di me, è alla fine della sua vita politica, la sua figura è usurata e ha fatto anche tanti errori. Ma il
suo erede non può essere Matteo Salvini».
Il leader della Lega però è in costante crescita di consensi.
«La manifestazione di Roma, per me, è stata un buco nell'acqua. Ho seguito il comizio e l'ho trovato banale,
francamente mi aspettavo di più. Salvini ha fatto un discorso come se fossimo in campagna elettorale, ma
domani mica si vota. Non c'erano proposte. Oppure sono irrealizzabili. Le tasse al 15%, per esempio. A chi
non piacerebbe? Ma Matteo Salvini non ha spiegato nulla delle coperture, dove si prendono i soldi per
finanziare una riforma di quel tipo? Per un moderato, per il ceto medio che si vuole opporre alla sinistra, c'è
bisogno di parecchio di più. Così non basta».
Quella piazza però ha apprezzato .
«Il leader della Lega ha verve, ma quell'entusiasmo era basato su un'illusione: che possa essere lui a trainare
il carro. Una coalizione di centrodestra è una macchina complessa. E per battere Renzi devono prevalere le
posizioni moderate».
Però nel suo libro ha inserito anche Salvini all'interno dell'album di famiglia della destra italiana.
«Ma certo, c'è anche lui e a buon diritto. La Lega è un partito di destra e non da oggi. E quella di piazza del
Popolo è stata una manifestazione di destra. Una destra non moderata, ma nemmeno così estremista come
si dice in questi giorni».
C'era CasaPound in forze.
«L'intesa con loro non mi scandalizza e liquidarli come fascisti è sommario. Tuttavia, e non voglio mancare di
rispetto alle loro idee - mi hanno pure difeso per i miei libri revisionisti sulla Resistenza -, mi pare contino
poco. Insomma, secondo me, vedendo il comizio di sabato scorso nella Capitale, nell'entourage del
presidente del Consiglio si fregavano le mani».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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L'intervista
04/03/2015
Corriere della Sera
Pag. 13
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Perché i moderati se li prende il Pd?
«Con un' opposizione fatta così Renzi ha davanti un ciclo. Lui è sicuro di sé, ha anche una gran faccia di tolla
e in questo momento può dire tutto e il contrario di tutto. Certo poi può sempre succedere l'imponderabile...».
Ha scritto un libro che racconta varie fasi, leader e personaggi, della destra italiana: da Giovanni Guareschi a
Mario Scelba, da Indro Montanelli a Giorgio Almirante. Ma questa nuova aggregazione di Salvini a cosa
assomiglia?
«Mi ricorda un po' l'Uomo qualunque di Guglielmo Giannini. Ma il parallelo, se lo raccontiamo a Salvini,
penserà che porti iella. Quel movimento - che aveva nel simbolo un italiano, l'italiano medio, schiacciato da
un torchio - ebbe un boom impressionante alla fine degli anni Quaranta, ma poi altrettanto rapidamente si
sgonfiò fino a sparire».
Non pare il caso della Lega.
«No, certo. Anche se, come vediamo in questi giorni, anche quel partito non è immune da liti assassine. Del
resto nemmeno la restante parte del centrodestra sta dando una splendida prova di sé...».
Quindi il paradosso di una destra potenzialmente maggioranza ma che resta minoranza, come sostiene nel
libro, è destinato a perpetuarsi?
«A questo paradosso forse adesso una soluzione c'è: Matteo Renzi è di sinistra o di destra?».
Secondo lei?
«Secondo me molti moderati ora stanno con lui».
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La carriera
Piemontese, 79 anni, Giampaolo Pansa ha lavorato come inviato e commentatore nei più importanti
quotidiani italiani. Ora è editorialista di Libero. Autore di saggi e romanzi storici, ha dedicato diversi volumi
agli aspetti più controversi della Resistenza. L'ultimo libro è La Destra siamo noi. Una controstoria italiana da
Scelba a Salvini (Rizzoli, pp. 406, e 19,90)
Foto: Parallelo Guglielmo Giannini ( foto ) nel 1944 fondò il Fronte dell'Uomo qualunque.
Il settimanale del movimento arrivò a vendere 800 mila copie. Nel 1946 elesse
30 deputati all'Assemblea costituente. Nel 1949 il gruppo si sciolse
Foto: Un po' ricorda l'Uomo qualunque di Giannini che poi si sgonfiò subito Qui non c'è la signora Le Pen che
vale dieci uomini
Foto: Salvini ha verve ma per battere Renzi le posizioni moderate devono prevalere Molti moderati ora stanno
con il premier
04/03/2015
Corriere della Sera
Pag. 21
(diffusione:619980, tiratura:779916)
E Renzi vola verso il Cremlino Obiettivo: mediare con l'Ucraina e
coinvolgere Mosca sulla Libia
Nessuna domanda Dal Cremlino fanno sapere che Renzi dopo l'incontro con Putin non vuole domande
Marco Galluzzo
ROMA Gli incontri li ha chiesti Matteo Renzi e il Cremlino, come del resto il premier ucraino, hanno
immediatamente accettato. Se chiedi alla Farnesina o a chi si occupa di questi dossier a Palazzo Chigi,
rispondono che non c'è nessuna voglia del premier di scavalcare il ruolo che finora hanno avuto Parigi e
Berlino, ma non è un segreto che «nessuno ha il monopolio della pace» e dunque ben venga qualsiasi
sforzo, anche italiano, per implementarla.
L'isolamento internazionale di Putin, le sanzioni economiche contro la Russia, hanno nei mesi limitato i
contatti del Cremlino con gli alleati di una volta: la Merkel e Hollande hanno visto Putin e Poroshenko nella
cornice del formato Normandia, nato a Deauville, eppure Putin è riuscito lo stesso a «bucare» il cordone
diplomatico che gli è stato imposto andando in Austria e in Ungheria, ricevendo Hollande in aeroporto di
ritorno dal Kazakhistan, a dicembre. Per non parlare delle relazioni con Pechino. Insomma isolamento, ma
sino a un certo punto.
Anche per questo motivo Renzi ha deciso di intraprendere la doppia missione: a Kiev starà poche ore, a
Mosca quasi un giorno, non sarà un vertice bilaterale, ma un incontro diplomatico di contesto esclusivamente
internazionale: Libia e crisi Ucraina in testa all'agenda. Di sicuro l'Italia ha finora mantenuto una posizione più
pragmatica degli alleati del G7: «Senza Mosca si perde un protagonista di rilievo nel lotta al terrorismo, dalla
Siria alla Libia» è la linea di Renzi, che ha come obiettivo quello di riportare in modo graduale il Cremlino nel
suo ruolo naturale, attore internazionale dal quale non si può prescindere in molte aree di crisi, oltre che
membro del Consiglio Onu.
Mosca si è già candidata per un pattugliamento navale delle coste libiche, un'aspirazione che al momento,
visto la situazione e lo stato delle relazioni con gli altri attori della crisi, appare più velleitaria che realistica. Ma
che al contempo descrive la voglia della stessa Russia di tornare protagonista dopo il progressivo isolamento,
almeno se le sanzioni verranno ridotte nel tempo.
Ovviamente Renzi ribadirà il messaggio che tutta la comunità internazionale ha finora veicolato su Mosca:
una violazione unilaterale del diritto internazionale resta da condannare ed è difficilmente sanabile, si spera
ora che gli accordi di Minsk vengano attuati secondo gli step che sono stati definiti. Cosa che dipenderà da
entrambi i protagonisti, che Renzi vedrà in separata sede: oggi a Kiev Petro Poroshenko, domani prima il
premier russo Dmitrij Medvedev, poi il presidente della Federazione, Vladimir Putin.
Di sicuro Renzi arriva a Mosca in un momento che non potrebbe essere più delicato, l'omicidio di Nemtsov, i
sospetti e i gialli che vi ruotano intorno, il coinvolgimento di una fidanzata ucraina, le manifestazioni di
protesta contro il governo di questi giorni, anche sulla Piazza Rossa. Basta poco per compromettere il
delicato equilibrio degli accordi del cosiddetto Minsk2.
Ieri pomeriggio Renzi ha avuto una lunga videoconferenza con Barack Obama, Angela Merkel, François
Hollande, David Cameron e Donald Tusk. Al centro della conversazione proprio la questione russo-ucraina
alla luce della implementazione del piano di Minsk e la lotta al terrorismo, in relazione in particolare alla
situazione in Libia.
Non è casuale che il giro di orizzonte sia avvenuto alla vigilia del viaggio del premier, così come sorprende
sino a un certo punto quello che hanno comunicato i russi due giorni fa: Renzi non vuole domande, al termine
degli incontri al Cremlino.
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La visita
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Il retroscena
04/03/2015
Corriere della Sera
Pag. 21
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Il premier arriva stasera nella capitale russa, dopo la tappa a Kiev dal presidente ucraino Petro Poroshenko
Riparte domani pomeriggio dopo i colloqui con Putin e con il premier russo Medvedev Previsto un incontro
con
la comunità
del business italiano
a Mosca
-5,3 miliardi di euro , la perdita nell'interscam-bio Italia-Russia nel 2014 (-17% sul 2013)
a causa delle sanzioni
327 per cento la crescita dell'export italiano verso Mosca fra il 2000 e il 2013. La crisi colpisce soprattutto i
prodotti tessili
04/03/2015
Corriere della Sera
Pag. 30
(diffusione:619980, tiratura:779916)
L'ISIS SI BATTE STACCANDOGLI LA SPINA SUI MEDIA
Guido Olimpio
Twitter ha lanciato la sua guerra all'Isis. Centinaia e centinaia di account della «piattaforma» fatta di brevi
messaggi sono stati chiusi perché legati a simpatizzanti o membri del movimento jihadista. I militanti hanno
replicato con minacce di morte, tutte da verificare ma che danno l'idea di quale sia il campo di battaglia.
Lo Stato islamico vive delle sue conquiste, però si alimenta con una propaganda formidabile. Attacchi,
attentati, combattenti sono celebrati con raffiche di post su Internet. I video delle esecuzioni diventano
un'arma per sottolineare la forza, terrorizzare il nemico e creare difficoltà ai governi. Tutto questo però è reso
possibile dalla visibilità che noi concediamo ai terroristi. Una foto truculenta, le immagini feroci sono
pubblicate - in forme diverse - ovunque per poi essere rilanciate all'infinito. E spesso, quando il movimento ha
patito sconfitte militari, ha cercato la rivincita con una sortita su Internet. Tattica agile quanto efficace perché
ha comunque catturato l'attenzione.
Se vogliamo togliere l'ossigeno all'Isis è necessario imporre un blackout sulla propaganda dei tagliagole. Si
può raccontare quello che fanno senza mostrare il filmato o lo scatto. Non è necessario mostrare il pilota
nella gabbia. Il problema è come arrivarci. Tv e giornali possono imporsi un codice, ma gli islamisti hanno a
disposizione gli altri canali sul web, da Facebook a YouTube. È qui che serve una risposta ancora più decisa
in quanto l'Isis reagisce alla chiusura aprendo nuovi profili in un duello digitale che non ha limiti o confini.
È chiaro che c'è un prezzo da pagare, si tratta pur sempre di limiti alla circolazione delle notizie, esiste il
timore della censura preventiva. In realtà proprio la presenza di molti strumenti mediatici, a disposizione di
tutti, permette di restare informati senza fare un regalo a chi vuole distruggere e gioisce dei suoi massacri.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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ANALISI E COMMENTI Il corsivo del giorno
04/03/2015
Corriere della Sera
Pag. 31
(diffusione:619980, tiratura:779916)
per promuovere la banda larga la mano pubblica è benvenuta
Internet L'Italia non può più attendere di sviluppare una Rete davvero veloce. Quando l'iniziativa privata non
ne ha mezzi o capacità, e quando le caratteristiche di monopolio naturale lo impongono, l'intervento dello
Stato è più che giustificato. E persino virtuoso
Stefano Passigli
C aro direttore, che la banda extra larga sia decisiva per la competitività del Paese è indiscutibile. Ma da venti
anni si discute sul come realizzarla e l'Italia è oramai agli ultimi posti in Europa. Eppure non fu sempre così.
Quando il governo D'Alema mi nominò sottosegretario alla Innovazione tecnologica, banda larga e
superamento del digital divide - indispensabili per la modernizzazione della pubblica amministrazione cui si
dedicò con successo Franco Bassanini - erano parte rilevante del programma di governo. Al summit di
Lisbona del 2000, dedicato a fissare gli obiettivi di crescita per l'Europa, il premier convocò non solo il
ministro degli Esteri ma anche quello del Tesoro e me per ribadire l'importanza dell'innovazione per lo
sviluppo del Paese.
Ma di lì a poco il governo D'Alema cadde, e al successivo governo Amato un colpo di mano parlamentare del
centro-destra impose di utilizzare gli ingenti proventi della vendita delle frequenze televisive per diminuire lo
stock di debito pubblico anziché investire nella banda larga e nel sostegno alla ricerca. Dopo le elezioni del
2001, il governo Berlusconi trascurò gli investimenti nella banda, aggravando così un ritardo che solo la mano
pubblica avrebbe potuto alleviare, la sua origine essendo dovuta all'errore di aver privatizzato Telecom senza
mantenere pubblica la rete malgrado la società non avesse le risorse per modernizzarla.
Le vicende successive hanno aggravato il ritardo. È noto che l'indebitamento delle compagini azionarie che
hanno via via controllato Telecom ha portato la società a privilegiare elevati pay-out anziché investimenti per
trasformare la rete dal rame alla fibra. Del tutto naturale, dunque, che Telecom - non avendo le risorse
necessarie per investire nella fibra - abbia negli anni sempre difeso il suo controllo della rete esistente anche
se avviata alla obsolescenza.
Questa posizione divenne evidente nel 2006, quando, dopo la vittoria di Prodi, il tentativo di trovare un
diverso assetto per la modernizzazione della rete fu fermato dalla divulgazione del cosiddetto «piano Rovati»,
che ipotizzava un ritorno della rete in mano pubblica a fronte di una corresponsione di liquidità che avrebbe
permesso a Telecom di diminuire il suo consistente indebitamento senza vendere alcune delle sue controllate
estere come purtroppo è avvenuto.
È questo il punto cruciale che sfugge ai molti che accusano di nostalgia statalista quanti sostengono la
necessità di un intervento pubblico per promuovere la banda extra larga. Le reti sono dei «monopoli naturali»
che possono anche essere possedute da un unico player purché gestite sotto il controllo di Autorità
indipendenti, e gestite in maniera da permettere a tutti gli operatori pari condizioni di accesso. È quanto
avvenuto in Italia per la rete in rame.
Ma non può essere questa la soluzione se occorre operare in tempi brevi ingenti investimenti in nuove reti a
tecnologia avanzata. In queste condizioni occorre ricorrere a gestori indipendenti, come avviene in molti
Paesi; o a società cui partecipino tutti gli utilizzatori della rete; o infine, quando non siano possibili le suddette
soluzioni, a società a controllo pubblico sul modello di Snam o di Terna.
È quanto è stato proposto a lungo a Telecom, a Fastweb, e a Metroweb (la più estesa rete a fibra ottica
esistente nel nostro Paese), con i buoni uffici di Cassa depositi e prestiti. Ed è quanto, ancora una volta, è
stato rifiutato. Telecom è una società quotata che ha tutto il diritto di assumere liberamente le proprie
decisioni, e sarebbe impensabile il ricorso ad atti di imperio per rimediare l'errore iniziale di aver privatizzato
non solo il servizio ma anche la rete. Ma è altrettanto impensabile legare i destini della modernizzazione del
nostro Paese a quelli di un'impresa e dell'equilibrio finanziario suo o dei suoi azionisti. Parafrasando un
celebre adagio, potremmo affermare che «quanto è bene per Telecom (o per Fastweb)» non è
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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le infrastrutture del web
04/03/2015
Corriere della Sera
Pag. 31
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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necessariamente «bene per l'Italia».
E allora si accetti che Telecom, Metroweb e altri operatori privati confluiscano in una società a controllo
pubblico, o la mano pubblica dovrà procedere autonomamente. Quando l'iniziativa privata non ne ha i mezzi
o le capacità, quando la caratteristica di monopolio naturale lo impone, quando le urgenze non consentono
tempi lunghi, l'intervento dello Stato è più che giustificato anche in una economia di mercato, e talora persino
virtuoso (si ricordi il piano Sinigaglia per la siderurgia che permise il boom della nostra industria
metalmeccanica).
Date queste premesse, bene ha fatto dunque il governo a non adottare soluzioni eccessivamente lesive per
Telecom, ma bene ha fatto - e bene farà - a riservarsi spazi di autonoma azione adottando un piano che
appare realistico quanto a mappatura del Paese, risorse disponibili e tempi di attuazione, e incentivi per
l'utente finale, che senza ricorrere a controversi decreti promuoveranno un naturale switch-off dal rame alla
fibra.
Gli assetti proprietari e le dinamiche interne del nostro campione nazionale o degli altri operatori non possono
pregiudicare ulteriormente lo sviluppo di una infrastruttura indispensabile per il futuro del nostro Paese.
Università di Firenze
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04/03/2015
Corriere della Sera
Pag. 45
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Le costose riproduzioni dei nostri libri antichi
Gian Antonio Stella
Se per due caffè fatti pagare 7 euro in un bar di Milano arrivano i carabinieri a chieder conto al barista della
esosità dell'importo, perché mai un archivio pubblico può impunemente chiedere 7 euro per la riproduzione
digitale di una pagina
di un libro antico che appartiene a tutti i cittadini italiani e a tutti gli studiosi del mondo? Eppure così continua
ad essere, nonostante gli appelli e le denunce, da mesi. Per colpa di una delle leggi più sbagliate, insulse e
forse incostituzionali (articolo 9: «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e
tecnica») varate negli ultimi anni. Quella che vieta tassativamente a chi studia un testo in una biblioteca o un
archivio di riprendere questa o quella pagina con la propria macchina fotografica o il proprio telefono
cellulare. Proibito. Poco male, se il servizio offerto dalle istituzioni pubbliche fosse efficiente ed economico. Il
guaio è che i prezzi rasentano spesso lo strozzinaggio. Un solo esempio, le tariffe dell'Archivio di Stato di
Venezia: «Riprese digitali b/n da originali (tratte dalla medesima unità archivistica), formato A4: euro 1,00 /
formato A3: euro 2,00 / formato A2: euro 3,00. Riprese digitali a colori da originali: formato A4: euro 7,00 /
formato A3: euro 10,00 / formato A2: euro 15,00». Sinceramente: una vergogna. Vi pare possibile che uno
studente obbligato ad avere le riproduzioni di 20 pagine possa essere costretto a pagare 300 euro? O che un
docente di codici medievali debba sborsarne 500 o più per una manciata di foto digitali che potrebbe fare lui
stesso?
Tra le recenti proteste merita una segnalazione la lettera aperta a Dario Franceschini di Brian J. Griffith,
dottorando californiano: «È un sacrosanto dovere la tutela dei "beni culturali" al fine di preservare nel tempo il
ricordo della storia. Ma quando noi ricercatori, specialmente stranieri come il sottoscritto, ci troviamo costretti
a spendere grandi cifre per le riproduzioni delle nostre fonti, ecco che la conoscenza e lo studio della stessa
storia d'Italia ne paga le conseguenze». «La prego», prosegue la lettera al ministro dei Beni culturali, «noi
non intendiamo fare foto ai vostri archivi e biblioteche per "impadronirci" dei vostri "beni culturali", ma solo
perché, grazie alle foto avremo la possibilità di concentrarci sulle fonti documentarie per un tempo più lungo
rispetto al breve periodo di soggiorno in Italia concesso dalle borse di studio». Toc toc, c'è qualcuno in
ascolto?
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Tuttifrutti
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Le ragioni inascoltate della manifattura
Alberto Orioli
La fortuna offre l'occasione ma è la virtù che la sfrutta. Il premier Matteo Renzi conosce bene il senso della
dottrina politica del suo Grande Concittadino Niccolò Machiavelli. Finora ha gestito una fase di svolta
dell'economia indotta da fattori esterni - primo tra tutti l'azione della Bce - ; ha saputo sfruttare al meglio
l'impatto innovatore del "racconto" della volontà riformista per modificare le aspettative, volontà corroborata
da alcune scelte importanti, come il Jobs act, e da alcune ancora di là da venire; ha ottenuto la benevolenza
di un'Europa che ha cambiato atteggiamento e stella polare.
Ha scelto di applicare una cura da pronto soccorso sociale ed elettorale culminata con gli 80 euro. Ha
introdotto sgravi (triennali) sui contratti a tempo indeterminato. Ha rifinanziato gli incentivi per gli acquisti di
macchinari e ridotto moderatamente l'Irap.
Le scelte di breve corso, e ad alto costo, erano state da subito affiancate da annunci di programmi a lungo
termine per evitare l'effetto del fuoco di paglia delle politiche pubbliche. Ma il segnale, ai limiti della gaffe,
sullo slittamento della riforma della scuola e una certa confusione strategica sulle modalità con cui far
attecchire in Italia la banda ultralarga, cruciale per il rilancio dell'economia come lo fu l'Autostrada del sole ai
tempi del miracolo economico, non aiutano a pensare che quel risultato sia raggiunto.
La riforma della scuola non è solo - come dice Renzi - la riforma più importante per i nostri figli e per la
crescita del Paese, ma è anche un segnale di modernizzazione per gli attori dell'economia che aspettano da
sempre la svolta meritocratica (utile al settore, ma anche come paradigma sociale per tutto il Paese) e una
efficiente alternanza tra scuola e lavoro che possa finalmente "rifinire" al meglio una riforma dell'apprendistato
arrivata tardi, ma finalmente arrivata.
Dare voce alle richieste di modernizzazione che provengono dalla manifattura e dalla parte produttiva del
Paese è il modo più efficace per far volare il calabrone-Italia. Servono politiche dei fattori che tengano conto
delle differenze tra settori (se le macchine utensili hanno indicatori di fiducia e ordinativi molto brillanti,
l'edilizia resta ancora di fatto in recessione e con indici di fiducia ancora bassissimi) e sappiano cogliere le
opportunità dei nuovi programmi europei per rilanciare gli investimenti. Le infrastrutture, grandi e piccole, e il
riassetto "sostenibile" delle città sono l'unica via per rilanciare la domanda interna ancora praticamente
congelata.
Un rilancio che passa anche da una riduzione strutturale del costo del lavoro, da politiche automatiche di
incentivazione dell'innovazione (credito d'imposta facile e generalizzato), da una revisione globale degli
incentivi in tema di energia senza dimenticare il disboscamento della iper-burocrazia e la riduzione della
discrezionalità nei contenziosi di fronte ai giudici. È vero, per stare ancora a Machiavelli, che «governare è far
credere», ma lo stato dell'economia oggi non ammette bluff .
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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POLITICA E INDUSTRIA
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1.2
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La «ritirata tattica» di Orange
Antonella Olivieri
Di Antonella Olivieri
il ceo di Orange, Stephane Richard, fa marcia indietro sull'interesse dichiarato per Telecom Italia appena due
giorni prima. L'ex France Telecom - ha dichiarato ieri Richard in un'intervista a Bloomberg Tv, «non ha alcun
piano di entrare sul mercato italiano». La sua sembra però più una ritirata tattica che un'altrimenti
incomprensibile autosmentita. Servizio pagina 2
Ritirata tattica del ceo di Orange, Stephane Richard, su Telecom Italia. Che prima ha definito «una grande
opportunità per il consolidamento del settore in Europa» l'ipotesi di un'alleanza con l'incumbent tricolore. Poi
ha corretto il tiro parlando di «riflessioni interne» al gruppo. E infine, ieri, in un'intervista a Bloomberg tv, si è
rimangiato tutto, dichiarando che Orange «non ha alcun piano di entrare nel mercato italiano». Il tutto nel giro
di tre giorni nei quali erano emersi anche particolari - contatti con il management - ed erano state registrate
smentite da parte italiana, con il presidente di Telecom Italia, Giuseppe Recchi, che aveva negato incontri,
riflessioni interne, o progetti con la compagnia francese.
Un abbaglio? Probabilmente l'ad di Orange ha sottovalutato l'impatto mediatico delle sue dichiarazioni, è la
spiegazione degli osservatori. Perchè, a quanto risulta, in un mondo dove tutti parlano con tutti, appunto
qualche pourparler deve pure esserci stato. E, secondo fonti informate, anche con qualche sponda politica
dal lato Italia, dal momento che l'ex France Telecom ha come azionista di riferimento, con una quota
complessiva di poco inferiore al 27%, lo Stato francese. Più facile a dirsi che a farsi, hanno commentato a
caldo gli analisti, perchè comunque trattandosi dell'ex monopolista, pur privatizzato, è impensabile che
un'aggregazione possa realizzarsi senza l'avallo del Governo italiano.
L'ipotesi di base per una possibile combinazione non era comunque nè un'acquisizione nè una fusione, bensì
la ricostituzione di una Telco 2, con Orange al posto di Telefonica. Ma con chi altro? Una possibilità era
Vivendi, prossima a rilevare l'8,3% di Telecom come parte del pagamento della vendita della brasiliana Gvt
agli spagnoli, alla quale infatti Richard nei giorni scorsi aveva strizzato l'occhio. «Business complementari e
non concorrenti», aveva osservato l'ad di Orange. Mancherebbe però la gamba italiana. Non Mediobanca - di
cui pure il presidente di Vivendi, Vincent Bolloré, è azionista - il cui amministratore delegato Alberto Nagel ha
ribadito anche recentemente la volontà di cedere la quota in Telecom, non appena ottenute le autorizzazioni
dal Sud America per lo scioglimento di Telco. Sul mercato si è affacciata, allora, la suggestione Fininvest, che
ha appena fatto cassa su Mediaset, alzando la scorta di liquidità a circa mezzo miliardo, cui potrebbe
aggiungersi un altro miliardo con la vendita forzata della residua quota in Mediolanum. Risorse che non sono
destinate a sostenere le due operazioni messe in pista dal gruppo del biscione - l'Opa di Ei Towers su Rai
Way, l'offerta di Mondadori per Rcs Libri - che, se andranno avanti, saranno entrambe interamente finanziate
a debito. Fininvest però si chiama fuori. Difficile infilarsi in una partita così complicata e delicata avendo come
azionista Silvio Berlusconi. E poi per che cosa? Certo Mediaset spera ancora di poter stringere un'alleanza
industriale con Telecom per Mediaset Premium, ma anche lì la strada è tutt'altro che spianata.
Intanto è da capire che ruolo avrà Vivendi, o meglio Vincent Bolloré, in Telecom. Il finanziere bretone per il
momento ha pensato a consolidare la sua posizione nella public company transalpina, sia nell'azionariato dove è appena salito dal 5,15% all'8,15%, distanziando gli altri principali soci (tra cui la Cdp francese che ha il
3,45%) - sia nel consiglio di sorveglianza nel quale, il prossimo 15 aprile, entreranno due uomini a lui vicini a
sostituire gli amministratori in scadenza. Uno è Tarak Ben Ammar, ben conosciuto in Italia - amico storico di
Berlusconi, consigliere di Mediobanca e di Telecom - e l'altro è Dominique Delport, direttore generale di
Havas, controllata dal gruppo Bolloré. Poi, dalla primavera, si vedrà.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Vodafone 81,8 0,13% 1,06% Deutsche 75,5 Telekom -2,04% 23,21%
Telefonica 64,9 -1,58% 14,97% Bt Group 52,4 -0,75% 12,75% Orange 43,1 -2,43% 12,12% Vivendi 28,0 SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Risiko delle Tlc. La verità sul piano francese per Telecom
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1.2
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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1,42% 1,67% Telenor 26,8 -0,52% 0,86% Numericable 26,5 Sfr -0,18% 4,59% Teliasonera 24,5 -0,85%
3,97% Altice 22,8 -1,31% 39,21% Telefonica 14,8 Deutschland -1,49% 10,69% Telecom 14,6 Italia -0,28%
22,11% Kpn Kon 13,1 -1,20% 15,53% Belgacom 11,4 -1,40% 10,88% Inmarsat 5,4 -0,74% 9,26% Talktalk
4,4 Telecom -0,15% 10,16% Tele2 'B' 4,5 -1,38% 1,90% Hellenic 4,5 Telecom -1,64% -1,10% Elisa 4,1 0,29% 7,61% Freenet 3,4 Freenet -1,23% 11,58% Jazztel 3,2 -0,68% -0,92% Cable 2,2 & Wireless 0,60%
18,86% Tdc 5,8 0,0 12,11% Il I GRANDI SOCI DI TELECOM ITALIA Telefonica L'azionariato attuale Generali
Intesa Sanpaolo Mediobanca 66% 19,32% 7,34% 7,34% 22,4 Telco 2,08 People's Bank of China Findim 1,99
Foto:
TELECOM ITALIA
Andamento del titolo a Milano
IL CONFRONTO EUROPEO SULLE TLC
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Perché credo nel valore dei corpi intermedi
Laura Boldrini
Caro Direttore, le questioni poste dal professor Fabbrini sul Sole 24 Ore di sabato ("I pregiudizi sul ruolo del
leader") toccano nodi cruciali della nostra vita politico-istituzionale, e meritano dunque una risposta attenta.
Però, affinché il confronto sia proficuo, credo sia utile ragionare sulle posizioni realmente espresse e non
sulle rappresentazioni caricaturali. Attribuirmi il pensiero che "Matteo Renzi starebbe minacciando la
democrazia italiana", oppure che "la leadership coincida con la tirannia", è una grossolana falsità che ci si
può attendere da chi vuol fare strumentale polemica politica, non da uno studioso di livello.
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Stiamo ai fatti, cioè alle parole effettivamente pronunciate e che hanno suscitato un certo clamore. Qualche
giorno fa, in un incontro di associazioni del mondo agricolo, ho ripetuto concetti sui quali insisto da tempo:
"Credo profondamente nella forza dello stare insieme, del fare team, del fare sistema. Questo vale per tutto:
per la moneta, per la competizione globale. Da soli non ce la facciamo, insieme abbiamo più chance.... Credo
che i corpi intermedi - come i sindacati e le associazioni - abbiano un ruolo centrale, per il nostro Paese in
particolare, perché quel ruolo è nella nostra Costituzione, e dobbiamo rispettarlo, se vogliamo rispettare la
Costituzione. L'idea di avere un uomo solo al potere, contro tutti e in barba a tutti, a me non piace, perché
non rispetta l'idea di democrazia. E allora mi piace sostenere gli sforzi delle associazioni: contate su di me..."
Come si vede era un ragionamento di carattere sistemico, che continuerò a fare perché si tratta di mie
convinzioni e della mia visione di società. Sergio Fabbrini ritiene che "interventi come quello di Laura Boldrini
sarebbero impensabili nelle altre grandi democrazie europee". Francamente trovo questa affermazione
stupefacente. Il mio ragionamento, basato sull'idea che una democrazia è tanto più solida quanto più si fonda
su un ruolo fattivo di tutte le sue componenti - dal Parlamento a quelle realtà associative previste dalla
Costituzione - ritengo sia legittimo e degno di rispetto. Penso all'esperienza tedesca, alla quale in tanti
guardano con ammirazione anche qui in Italia: c'è una guida indubitabilmente forte come Angela Merkel, ma
insieme un Bundestag che conta, Laender molto più rilevanti delle nostre Regioni, partiti influenti, sindacati
che partecipano perfino alla vita e alla gestione delle aziende. I cosiddetti corpi intermedi non sono piombo
nelle ali di quel Paese, ma fattori essenziali della sua forza. È un modello inclusivo, che non lacera la società
e chiama tutti ad un contributo, senza intaccare affatto la leadership che anzi ne risulta potenziata. Se ne può
discutere senza essere accusati di voler fare "resistenza accanita contro il leader" o avere "pregiudizi
negativi" contro l'esercizio dell'indispensabile attività di governo? Sono 'capi di imputazione' che respingo al
mittente e che sento davvero incongrui, peraltro, anche alla luce delle scelte fatte e delle linee di riforma
messe in atto in questi due anni da Presidente. Esse stanno a testimoniare come mi sia ben chiaro che il
Parlamento è chiamato non soltanto a discutere, ma anche a dare conclusione operativa al confronto tramite
una decisione. La mia terzietà si esplica nel dover garantire tanto il diritto delle opposizioni a veder ascoltate
le proprie istanze, quanto il diritto di governo e maggioranza a portare al voto le proprie proposte. Ricordarlo
non significa voler mettere sabbia negli ingranaggi dell'esecutivo. Tengo più di altri, proprio per la funzione
che ho l'onore di svolgere, all'efficienza dell'attività parlamentare, ed è per questo che mi sono pronunciata
più volte per il superamento di un bicameralismo paritario che con tutta evidenza ha perso molto del suo
significato originario. Ed è per la stessa ragione che sin dall'inizio della legislatura ho dato impulso, insieme ai
componenti della Giunta apposita, ad una proposta di profonda riforma del Regolamento della Camera che
da luglio è pronta per arrivare al voto dell'aula, se solo i gruppi fossero d'accordo sulla calendarizzazione.
Qualora il professor Fabbrini volesse approfondirla, potrà lui stesso constatare il duplice sforzo di garantire
sia al governo tempi certi per l'esame delle sue proposte - così da ridurre il ricorso esasperato ai decretilegge che è da molti anni e per giudizio unanime una patologia del nostro sistema istituzionale - sia alle
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LEADERSHIP
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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opposizioni la possibilità di veder discussi e votati i propri testi, che oggi finiscono solo residualmente
all'attenzione dell'assemblea. A Montecitorio, insomma, non stiamo "mobilitando pregiudizi", ma
promuovendo una ridefinizione del ruolo del Parlamento che assume come valore la domanda di decisioni
proveniente dai cittadini.
Laura Boldrini è presidente della Camera
© RIPRODUZIONE RISERVATA Laura Boldrini
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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«I derivati? Equilibrio fra controllo e capacità negoziale»
Vincenzo La Via
Caro Direttore,
l'articolo di Buraschi e Zingales pubblicato ieri dal Sole 24 Ore si distingue dai recenti attacchi mediatici alla
gestione del debito pubblico italiano perché sgombra il campo dalle polemiche sull'opportunità di utilizzare
strumenti derivati per ridurre le oscillazioni del costo della stessa gestione. Tuttavia ha in comune con quegli
attacchi lo scarso livello di accuratezza nell'analisi e l'infondatezza degli argomenti.
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con la replica di Buraschi e Zingales
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E risulta dannoso perché con argomenti infondati insinua dubbi sulla qualità delle gestione del debito italiano,
gestione che 21 paesi stranieri sono venuti a studiare da vicino perché considerata una best practice.
Buraschi e Zingales avanzano sospetti sull'origine del mark-to-market negativo e non si capisce a cosa
alludano visto che loro stessi spiegano che "siccome i tassi recentemente sono scesi non deve sorprendere
che l'Italia abbia accumulato" delle perdite teoriche, e considerano più importante proteggersi dal rischio di
aumento dei tassi che evitare il costo in caso di calo degli stessi.
Buraschi e Zingales sostengono che la Danimarca sarebbe più trasparente dell'Italia perché pubblicherebbe i
dati sui contratti derivati. È falso: la Danimarca pubblica alcuni dettagli sui contratti, senza specificarne la
natura, e non fornisce il valore di mercato del portafoglio. Informazione che invece noi mettiamo a
disposizione del pubblico. Quanto ai dettagli sui contratti in vigore, si tratta di informazioni che nessun
emittente sovrano fornisce.
Buraschi e Zingales sostengono che il Tesoro non disporrebbe dei dati di dettaglio sui contratti derivati. È
falso: come riferito nella recente audizione della direttrice del debito pubblico alla Camera dei Deputati, il
database del Tesoro fornisce un controllo sistematico ed esaustivo dei contratti in vigore sottoscritti dalla
Repubblica Italiana. Per i soli derivati sottoscritti dagli enti locali non viene ancora calcolato il valore di
mercato.
Buraschi e Zingales agitano lo spettro di ingenti perdite che si potrebbero materializzare in qualsiasi momento
in virtù di clausole di chiusura anticipata. È falso: come affermato nel corso dell'audizione, nessun contratto
quadro attualmente in vigore prevede clausole come quella che consentì a Morgan Stanley di chiedere la
chiusura di tutti i contratti nel 2011, all'apice della crisi. Le clausole di estinzione anticipata oggi in essere
riguardano specifici contratti e sono tutte bilaterali (quindi proteggono anche la Repubblica Italiana dal rischio
di deterioramento del merito di credito delle controparti); il mark-to-market di questi contratti al 31.12.2014
ammonta a 9,2 miliardi; tuttavia le clausole non sono esercitabili immediatamente, ma attivabili in un futuro
distribuito tra qui e il 2038. Tutti questi dettagli sono stati forniti nell'audizione che anche gli autori hanno
citato ma alla quale evidentemente non hanno prestato sufficiente attenzione. Gli autori si chiedono anche se
esistano clausole legate al rating. Ce n'è solo una, su un singolo contratto, che scade nel 2016.
Buraschi e Zingales criticano la vendita delle swaption, che genera un'entrata registrata nelle finanze
pubbliche nell'immediato determinando tuttavia un'incertezza futura. Ma le swaption sono state sottoscritte
quando i tassi di mercato erano a livelli storicamente molto bassi, concordando per il futuro tassi spesso
inferiori ai forward di mercato di allora, per posizioni lunghe e quindi tali da assorbire oscillazioni dei tassi.
Pertanto anche le swaption, che corrispondono soltanto all'1% circa del debito pubblico, stanno nel
portafoglio allo scopo di stabilizzare il costo della gestione del debito nel medio-lungo periodo e proteggere le
finanze pubbliche dal rischio di un'impennata dei tassi.
Tutto quanto qui ribadito è disponibile, non solo agli autori ma a tutti i lettori che vogliano informarsi, sul sito
del Dipartimento del Tesoro, sul portale del Ministero dell'Economia e delle Finanze, sul sito della Camera dei
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DOPO IL CASO MORGAN STANLEY / LA RISPOSTA DEL TESORO
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
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Deputati in forma di trascrizione e di registrazione video. Molti dati si rintracciano anche nei bollettini periodici
della Banca d'Italia. Queste informazioni vengono divulgate nella convinzione che anche così si offre una
giusta tutela del diritto democratico a un doveroso controllo sul comportamento dell'amministrazione pubblica.
Una prassi che siamo impegnati costantemente a migliorare anche grazie alle sollecitazioni degli organi
istituzionali e dei media. L'obiettivo comune dev'essere il conseguimento di un equilibrio tra il controllo
pubblico e la tutela della capacità negoziale nei confronti delle controparti. Una disclosure totale non viene
praticata da nessun emittente, perché ne indebolirebbe le capacità negoziali con la conseguenza di
aumentare il costo della gestione del debito. Il punto di equilibrio è quello in cui viene massimizzato l'interesse
collettivo costituito sia dalla trasparenza sia dal contenimento del costo del debito. Il Tesoro della Repubblica
è impegnato su entrambi i fronti.
Vincenzo La Via è direttore del Tesoro
© RIPRODUZIONE RISERVATA Vincenzo La Via
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 5
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Dopo sei mesi il governo è ancora fermo alle linee guida
Eugenio Bruno
LA NOVITÀ POSITIVA
Bene la scelta di non dividere le misure
tra due provvedimenti e di puntare su
un disegno di legge
Sull'istruzione il governo aziona il rewind. Che lo si chiami primo giro di tavolo, per usare il gergo di palazzo, o
«inizio esame», per riprendere le parole del premier Matteo Renzi, la realtà è che linee guida erano il 3
settembre e linee guida rimarranno almeno fino al Cdm di martedì prossimo. Nonostante i due mesi di
consultazione pubblica già svolti sul documento per la «Buona Scuola» e i ripetuti annunci che era ormai
arrivata l'ora di trasformarlo in uno o più provvedimenti (prima a gennaio, poi a febbraio e infine a marzo).
Al netto delle riserve per l'ennesimo rinvio con cui si è conclusa la giornata di ieri - che si somma ad altri
slittamenti in ambiti diversi (si pensi al fisco ad esempio) - c'è un aspetto positivo del ragionamento seguito
dal presidente del Consiglio in conferenza stampa che merita di essere evidenziato. Stavolta in positivo. Si
tratta della volontà di mantenere l'intero disegno riformatore della scuola in un unico provvedimento.
Rinunciando alla strada del doppio binario che è emersa più volte nelle ultime 24 ore e che prevedeva il varo
immediato di un disegno di legge con le modifiche di sistema e l'approvazione in un secondo momento di un
decreto con l'assunzione di 180mila precari.
Questo schema non sarebbe stato condivisibile. Innanzitutto perché è stato già seguito, senza successo, per
il riordino della pubblica amministrazione. Alla conversione senza intoppi del decreto Madia è seguita una vita
difficile in Parlamento della delega Pa che lo completava. E che, a sette mesi dalla sua emanazione in
Consiglio dei ministri, non ha ancora ottenuto il primo via libera parlamentare.
Ma ci sono anche ragioni interne alla riforma della scuola che lo sconsigliavano. L'esigenza di cambiamento
che caratterizza il nostro sistema di istruzione può essere soddisfatta solo se la stabilizzazione di massa e in
due tempi prevista al suo interno - 105mila docenti in cattedra a settembre e 75mila entro il 2019 dopo un
concorso, ndr - arriva contestualmente agli altri capisaldi. Il piano straordinario di assunzioni messo in
cantiere può funzionare solo se collegato, da un lato, alla partenza di un vero organico dell'autonomia e,
dall'altro, alla creazione di un primo percorso di carriera degli insegnanti. In caso contrario si rischierebbe di
ingolfare gli organici con un plotone di insegnanti che non avrebbero alcun ruolo. Fino alla nascita
dell'organico dell'autonomia e al potenziamento delle materie (inglese, musica ed educazione fisica alle
elementari; arte, inglese e diritto alle superiori) i presidi potrebbero usarli solo per coprire le supplenze brevi
dopo la stretta imposta dalla legge di stabilità agli incarichi di un solo giorno.
Passando dai "contenitori" al "contenuto" ci sono alcuni squarci di luce che la «Buona Scuola» contiene e che
i discorsi sulla scelta del veicolo normativo più adatto non possono oscurare. Si pensi all'introduzione di un
vero anno di prova per i docenti neoassunti oppure al superamento degli scatti di anzianità a vantaggio di un
sistema incentrato per il 70% sul merito e sulla valutazione. Così facendo non solo i professori avrebbero
davanti un'opportunità di carriera da perseguire ma verrebbe anche sanata l'anomalia che fa della scuola
l'unico comparto del pubblico impiego a beneficiare ancora degli scatti di anzianità.
Senza dimenticare infine tutto il discorso del collegamento tra il mondo dell'istruzione e quello del lavoro che
viene finalmente valorizzato. Un tema quanto mai cruciale in un un Paese caratterizzato, al tempo stesso, da
un tasso di disoccupazione giovanile oltre il 40% e da una quota di studenti in alternanza che fa fatica a
superare il 10 per cento. Portare dalle attuali 70-80 ore in un anno alle future 400 nel triennio la formazione
on the job per gli istituti tecnici e professionali è un buon segnale che si vuole invertire la rotta. Tanto più
perché abbinato al rafforzamento dal 10 al 30% della quota premiale per gli Istituti tecnici superiori. Due
misure che, se confermate, metterebbero l'Italia sulla stessa strada del modello duale tedesco. Con i risultati
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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L'ANALISI
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 5
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economici e occupazionali che sono sotto gli occhi di tutti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Eugenio Bruno
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04/03/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 8
(diffusione:334076, tiratura:405061)
A Bruxelles sancito il ritorno alla normalità istituzionale
Beda Romano
È trascorso appena un anno dall'ultima visita di un presidente della Repubblica italiana presso le istituzioni
europee. Nel febbraio del 2014, quando Giorgio Napolitano pronunciò un lungo discorso dinanzi al
Parlamento europeo, l'Italia era alle prese con una sua ennesima crisi di governo, e sui mercati finanziari il
divario tra obbligazioni italiane e obbligazioni tedesche era l'angoscia nazionale. A 12 mesi di distanza, il
nuovo capo dello Stato Sergio Mattarella ha toccato con mano un'altra immagine dell'Italia.
Negli ultimi mesi, il paese è riuscito a convincere anche i più pessimisti a Bruxelles come a Strasburgo.
L'Italia continua a essere fonte di incertezza, fosse solo per l'elevatissimo debito pubblico, ma se il confronto
è con la Grecia, sull'orlo del fallimento, o con la Francia, in difetto sul fronte del deficit pubblico, l'Italia
preoccupa meno che nel più recente passato. Nella sua dichiarazione prima di lasciare Bruxelles, il
presidente ha affermato di avere notato tra i suoi interlocutori «molto apprezzamento» per le ultime decisioni
italiane e «molta fiducia» nel paese.
Il nuovo Capo dello Stato ha incontrato i presidenti del Parlamento europeo Martin Schulz, del Consiglio
europeo Donald Tusk, della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Se in passato i colloqui ai più alti
livelli sarebbero stati segnati dalle preoccupazioni europee per il futuro dell'Italia, ieri i temi sono stati altri:
«Hanno parlato della situazione in Libia, della crisi in Ucraina, del futuro dell'unione monetaria», ha spiegato
un esponente del gabinetto di Tusk, riferendosi alla colazione del presidente del Consiglio europeo con
Sergio Mattarella.
Stesso messaggio è giunto dall'entourage degli altri leader europei. D'altro canto, la settimana scorsa quando
il collegio dei commissari ha dovuto decidere le opinioni sui controversi bilanci 2015 di Italia, Francia e Belgio,
la Finanziaria italiana è passata senza eccessivi intoppi. Quella francese, invece, ha provocato un
animatissimo dibattito. Ciò non significa che l'Italia sia fuori dalla secche, o che l'establishment europeo abbia
la memoria corta sui difetti nazionali italiani, ma proprio qualche giorno fa in una riunione un responsabile
europeo ha definito il paese, in questa fase, un benchmark, un punto di riferimento, per il suo tentativo di
modernizzare la propria economia.
Sempre nei suoi colloqui bruxellesi, il nuovo presidente della Repubblica ha sottolineato ieri che il suo ruolo è
quello di arbitro nella vita politica italiana. C'era un tempo, recente, nel quale il Capo dello Stato era uno
snodo cruciale, un fattore di stabilità tra la volatilità dei mercati e il nervosismo della politica. Nella sua visita
di questa settimana, a Berlino prima e a Bruxelles poi, il nuovo capo dello Stato ha voluto sancire - anche
attraverso una comunicazione volutamente parca - il ritorno a una normalità istituzionale che qui a Bruxelles
sperano possa durare nel tempo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Beda Romano
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L'ANALISI
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1.17
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La corruzione è una zavorra per lo sviluppo
Fabrizio Onida
Le stime del csc
Se l'Italia riducesse
l'illegalità anche solo
al livello della Spagna
la crescita aumenterebbe
di quasi lo 0,6 per cento
«La corruzione riduce gli investimenti privati, rende la spesa pubblica inefficiente, scoraggia l'accumulazione
del capitale umano e peggiora la qualità delle istituzioni. È quindi un vero freno per il progresso economico».
Questa citazione non viene da un saggio di sociologia economica progressista ma (felice sorpresa) è l'incipit
del rapporto «La corruzione zavorra per lo sviluppo», contenuto nel numero dello scorso dicembre di Scenari
economici del Centro studi Confindustria.
Il rapporto rappresenta una interessante e coraggiosa novità, e merita maggiore attenzione di quanta finora
abbia ricevuto da parte di imprese, politici giornalisti.
Sull'onda dell'indignazione per lo scandalo di Roma capitale, peraltro seguita a simili e anche più gravi
scandali legati a grandi iniziative come il Mose e l'Expo, a fine dicembre il governo ha varato un Ddl
anticorruzione che ora il Parlamento sta emendando e approvando su materie decisive come inasprimento
delle sanzioni, falso in bilancio, autoriciclaggio, concussione o «induzione indebita a dare o promettere
utilità», allungamento dei tempi di prescrizione per alcuni reati più gravi, regole per il patteggiamento. Il
presidente dell'Anm, Rocco Sabelli, si è augurato che «non ci si limiti a pochi, modesti ritocchi, inseriti in fretta
in qualche ampia proposta di legge, destinata a lunghi percorsi parlamentari e magari a impantanarsi, una
volta scemata l'indignazione del momento e archiviato il ricordo dell'ultimo scandalo».
Segnalo alcuni elementi importanti contenuti nel rapporto del Csc.
Primo, secondo i dati dell'Eurobarometro 2014, il 97% dei cittadini italiani ritiene che la corruzione sia un
fenomeno diffuso nel proprio Paese (contro il 68% dei cittadini francesi e il 59% di quelli tedeschi). Inoltre
l'88% dei cittadini in Italia (contro 75% in Francia e 49% in Germania) è convinta che la corruzione riduca la
concorrenza nel sistema economico. Ancor più preoccupante è la percezione negativa o molto negativa della
corruzione in Italia da parte dei managers stranieri che hanno avuto qualche esperienza nel nostro Paese.
Secondo, esiste una buona evidenza statistica, sulla base di dati 1990-2011 della Banca Mondiale su più di
130 Paesi, che più elevati indici di corruzione danneggiano la crescita. L'aumento di una deviazione standard
nell'indice "Control of corruption" (World Bank Policy Research WP n. 5430, 2010) si associa a un calo dello
0,8% nella crescita media annua del Pil per abitante, dopo aver tenuto conto di diverse caratteristiche dei
Paesi (livello iniziale dello stesso Pil per abitante, crescita demografica, stock di capitale fisico e di capitale
umano). Il Csc calcola che, se l'Italia riducesse la corruzione anche solo al livello della Spagna (che presenta
un indice inferiore di 0,7 punti di deviazione standard rispetto a noi), la nostra crescita aumenterebbe di quasi
lo 0,6 per cento. Ovviamente ci sono direzioni di causalità bilaterali tra questi due fenomeni, ma il risultato è
eloquente. Anche più interessanti sono i dati dell'indagine annuale "Doing business" della Banca Mondiale: in
contrasto con la credenza che la corruzione serve a oliare gli ingranaggi della burocrazia, i Paesi con
maggiori indici di corruzione sono anche quelli dove i tempi della burocrazia e delle pratiche amministrative si
allungano sensibilmente.
Terzo, un'abbondante letteratura indica vari motivi per cui la corruzione frena la crescita: a) minori
investimenti privati (in particolare delle imprese multinazionali) e pubblici; b) aumento dei costi e ridotta
qualità delle infrastrutture, che riducono l'efficienza della spesa pubblica; c) grave ostacolo alla meritocrazia,
da cui incentivo a minori investimenti in "capitale umano" e fuga dei cervelli; d) minori costi del non rispetto
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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L'ANALISI
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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delle regole sociali, che si traduce in peggiore qualità della governance delle istituzioni pubbliche e private.
Quarto, poiché non basta sanzionare (assegnando alla magistratura il ruolo di supplenza) ma occorre sempre
più prevenire, il vice presidente di Confindustria Carlo Pesenti lancia un appello per un «patto sociale per la
legalità» che produca veri propri «rating di legalità» assegnati alle imprese con il coinvolgimento attivo delle
associazioni imprenditoriali, sulla scia della coraggiosa iniziativa di qualche anno fa di Ivan Lo Bello
presidente di Confindustria Sicilia (espulsione associativa delle imprese che accettano di pagare il pizzo).
Questo patto deve far leva su elementi reputazionali come la riprovazione sociale, cruciale ingrediente del
"capitale sociale" nell'accezione di una ormai diffusa letteratura economica (tra gli altri: R.Solow, R.D.Putnam,
D.North e in Italia L.Guiso, P.Sapienza, P.Sestito, C.Trigilia). Tale coscienza civica reputazionale riflette la
convinzione diffusa che combattere corruzione e illegalità promuove il benessere di tutti.
Infine, tra i meccanismi di prevenzione occorre gradualmente abbattere gli ostacoli del disordine normativo
(incertezza, formalismo), nonché garantire una reale tutela dei dipendenti che segnalano comportamenti
illeciti (whistleblowing), argomento toccato anche nel primo rapporto OECD Foreign Bribery Report, 2014
scritto in collaborazione col Working Group Anti-Corruption del G-20. È purtroppo ancora attuale e terribile la
citazione di Tacito (Annales 113) riportata a Premessa del rapporto del Csc: «Moltissime sono le leggi
quando lo Stato è corrotto».
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04/03/2015
Il Sole 24 Ore
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Corruzione in atti giudiziari più severa
G. Ne.
Milano
Per la legge anticorruzione si allungano i tempi e si complicano i contenuti. Sul primo versante è ormai chiaro
che il testo non sarà pronto per l'Aula del Senato già da questa settimana come era stato inizialmente
previsto da Governo e maggioranza. L'ostruzionismo di Forza Italia, ancora in attesa della formalizzazione
dell'emendamento sul falso in bilancio prima del passaggio in Aula, ha rallentato la marcia e ora il ministro
Orlando di dichiara fiducioso in un sì entro la prossima settimana.
E se i tempi sono almeno incerti non chiarissimi sono i contenuti. Ieri pomeriggio il relatore, Nico D'Ascola
(Ncd), ha presentato due emendamenti per alzare le sanzioni per i reati di corruzione in atti giudiziari (6-12
anni nell'ipotesi base e 6-14 e 6-20 nelle ipotesi aggravate) e per l'induzione indebita (6-10 anni). Una
maniera per restituire organicità al Codice penale nella parte dedicata ai reati contro la pubblica
amministrazione, dopo che, la scorsa settimana, era stato approvato l'inasprimento per la corruzione
semplice, con la previsione di una pena massima a 10 anni. Un limite chiaramente incongruo, viste le
sanzioni pari o inferiori previste per fattispecie più gravi come appunto la corruzione in atti giudiziari e la
induzione indebita.
Sennonché l'avere messo alle sanzioni ha indotto il presidente della commissione Francesco Nitto Palma
(Forza Italia) ad alzare il tiro: «Il relatore ha presentato degli emendamenti sulle pene chiaramente
peggiorativi non toccando però né la concussione per costrizione né il peculato, che è un reato storicamente
più grave della corruzione. Il sistema che si sta creando con l'elevazione delle pene probabilmente richiede
un intervento sul 317-bis che prevede l'interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati contro la pubblica
amministrazione sopra i tre anni. Ora, con l'aumento delle pene, sostanzialmente nei minimi, sarebbe
plausibile l'interdizione perpetua dai pubblici uffici anche nel caso di un reato marginale, come una corruzione
da mille euro».
E alla Camera si complica anche la discussione sulla riforma della prescrizione. Nel corso di un vertice a
Montecitorio tra il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, il viceministro Enrico Costa (Ncd) e i due relatori
Stefano Dambruoso (Sc) e Sofia Amoddio (Pd), la presidente della commissione Giustizia, Donatella Ferranti
(Pd), Walter Verini, capogruppo Pd in Commissione, e David Ermini, responsabile Giustizia del Pd è emersa
la contrarietà di Ncd a un aumento dei termini per i reati contro la pubblica amministrazione, sollecitato dal
Governo.
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Riforme in arrivo. Si allungano i tempi - Alla Camera Ncd contro l'aumento della prescrizione sui reati contro
la Pa
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
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Le vera posta in gioco nel negoziato con Teheran
Alberto Negri
LA POSSIBILE SVOLTA
Il ritorno dell'Iran
a un corso della storia
che non è soltanto
orientale ma anche
occidentale
Il negoziato del Cinque più Uno sul nucleare con l'Iran riguarda l'atomica di Teheran ma anche altro, anzi
forse molto di più. Lo stesso formato della trattativa, politicamente corretto, è assai ingannevole. In realtà,
come dimostra il drammatico discorso di Benjamin Netanyahu al Congresso, questo è da molto tempo un
negoziato triangolare tra gli Stati Uniti, l'Iran e Israele, per decidere quali saranno le potenze dominanti in
Medio Oriente.
Sono questi i tre attori, insieme agli alleati arabi di Washington, che si debbono mettere d'accordo e accettare
- o rassegnarsi a seconda dei punti di vista - a un'intesa che cambia i dati strategici della regione perché
implica non soltanto aspetti militari e solidarietà politiche consolidate ma anche un forte contenuto storico e
ideologico che dovrebbe indurci a una riflessione sugli errori del passato e a individuare qualche speranza
per il futuro.
Teheran rappresenta l'"asse della resistenza", il mondo sciita, che non solo si propone come alternativa alla
mezzaluna sunnita combattendo sul fronte anti-Califfato ma ha anche a una visione delle relazioni
internazionali che non è necessariamente anti-occidentale come si vuol fare credere. «La storia della Persia
ha tremila anni di storia, la repubblica islamica poco più di trenta: quella dell'Iran è come un pendolo che
oscilla periodicamente tra Oriente e Occidente», sostiene il filosofo Dariush Shayeghan. Anche la leadership
iraniana attuale rischia qualche cosa firmando un'intesa che può liberare le forze vive di questa società come
ha dimostrato l'Onda Verde del 2009. La rivoluzione iraniana del 1979 è stata condotta non solo dalle correnti
religiose poi diventate dominanti ma anche da quelle liberal-nazionaliste, dal partito comunista Tudeh, il più
forte del Medio Oriente, dall'assorbimento dei moviemnti della protesta studentesca europea e americana.
Venivano da Berkeley e dall'Europa, alcuni dei maggiori leader rivoluzionari che accompagnarono l'Imam
Khomeini al potere.
Fu l'occupazione dell'ambasciata americana a Teheran a segnare la rottura con l'Occidente. Ibrahim
Asgarzadeh era uno dei leader degli studenti che occuparono nel novembre del 1979 l'ambasciata americana
prendendo centinaia di ostaggi. «È stato forse il nostro più grande errore politico - dice - che è costato all'Iran
molto di più del significato simbolico che intendeva avere: eravamo giovani romantici e idealisti». Oggi
Asgarzadeh è un signore con i capelli bianchi, milita nel campo riformista, qualche anno fa è stato anche in
carcere come oppositore e spera in una svolta attesa da tutti gli iraniani. È questo il significato di un
eventuale accordo sul nucleare: il ritorno dell'Iran a un corso della storia che non è soltanto orientale ma
anche occidentale, che si nutre degli apporti dell'uno e dell'altro mondo. Ma che rivendica il diritto ad avere
una sua sintesi e un'elaborazione originale dei rapporti internazionali: gli iraniani intendono decidere il loro
destino in autonomia. Dopo aver visto in Medio Oriente i disastrosi interventi occidentali di questi anni non è
una pretesa poi così arrogante e infondata.
In un certo senso Israele ha ragione ad avere paura di un accordo con l'Iran che ai tempi dello Shah era un
caposaldo delle alleanze americane e il guardiano del Golfo. Ha resistito negli anni '80, dopo la rivoluzione
islamica, all'attacco di Saddam Hussein e delle monarchie arabe che per otto anni finanziarono a piene mani
una guerra contro i persiani buttando al vento 50 miliardi di dollari, con il risultato che fu poi Baghdad,
indebitata fino al collo e con il prezzo del petrolio ai minimi, a invadere il Kuwait. A questo dovrebbe pensare
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04/03/2015
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oggi l'America quando dice di volere combattere l'Isil: i maggiori guai dal Medio Oriente sono sempre arrivati
dai suoi alleati sunniti, 11 settembre compreso. Teheran è il concorrente più temibile degli israeliani, capace
di fondare un movimento come gli Hezbollah libanesi che nel 2006 hanno inflitto a Israele una cocente
sconfitta militare dimostrando di essere competitivi sul piano dell'organizzazione, della disciplina, della
determinazione, qualità caratteristiche proprio degli israeliani. L'Iran fa paura perché come ha detto Obama
può diventare senza le sanzioni una potenza economica: ha 78 milioni di abitanti, enormi risorse energetiche
ed umane, industrie, agricoltura, inventiva e capacità commerciali innate, cultura e storia millenarie. Iraniani
ed ebrei in un certo sono i popoli della regione che si somigliano di più e non a caso hanno condiviso secoli di
vita insieme: oggi ci sono 250mila ebrei di origine persiana in Israele e 25mila ebrei in Iran. Ha ragione
Netanyahu: l'Iran è temibile ma gli accordi si fanno con i nemici potenti, quelli più deboli, come sa bene, si
sconfiggono in battaglia.
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04/03/2015
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«La Russia ha le risorse per sostenere la crisi a lungo»
Antonella Scott
Nemtsov era un uomo coraggioso. Il nuovo russo europeo, un ponte tra Russia ed Europa
«Boris Nemtsov era un uomo davvero coraggioso, diretto. Il nuovo tipo di russo europeo, sapete. Un ponte
tra Russia ed Europa». Le parole di Aleksej Uljukajev, ministro dello Sviluppo economico venuto lunedì
scorso a Milano dove ha tenuto una lezione in Bocconi sulle prospettive dell'economia globale, volano a
Mosca dove un politico che conosceva da vent'anni è stato ucciso, proprio di fronte al Cremlino. «Significa
che sta avvenendo qualcosa di anormale. Il livello di aggressività nella società è troppo elevato, è una sfida
per tutti. Dobbiamo contrastare questa assurdità, sostenere una collaborazione pacifica». Lo stesso
approccio che solo, secondo Uljukajev, può portare a una via d'uscita dalla guerra in Ucraina, e insieme ad
essa sbloccare la crisi economica che così strettamente vi si intreccia. «Questo è un nostro problema
comune - spiega Uljukajev - e peggiora di giorno in giorno. E quando si diventa nemici e si perde la fiducia, è
sempre più difficile sedersi a un tavolo e cercare una soluzione. Ecco perché è importante che europei e russi
si riavvicinino e tornino a comprendersi».
La crisi e le sanzioni pesano ormai sia sull'economia russa che su quelle europee. Crede che il
mondo del business possa contribuire a trovare una soluzione?
Naturalmente, i legami economici sono forti e importanti. Il mondo del business deve far sentire la propria
voce, al servizio di una soluzione. Ognuno di noi ha degli obblighi, deve fare del proprio meglio. Perché ogni
giorno muoiono delle persone.
Debolezza del rublo, inflazione, prezzi del petrolio, sanzioni, indebitamento delle imprese: qual è
l'elemento che la preoccupa di più per le conseguenze che sta avendo sull'economia russa?
Vede, ogni medaglia ha due facce. La crisi non significa solo tempi duri per le famiglie e le imprese, è anche
una sfida. Porta nuove possibilità: la produzione è ridimensionata dalla svalutazione. E queste due cose - la
svalutazione che incide sull'inflazione, l'inflazione che cresce - assottigliano ogni giorno i redditi reali, così si
riduce la domanda di beni di consumo come motore per la crescita. Ma d'altra parte, poiché diminuiscono i
costi di produzione delle imprese, crescono i loro profitti, diventano fonti di investimento. Dobbiamo
aumentare le esportazioni nette, soprattutto attraverso le produzioni che sostituiscono l'import. La chiave è
aumentare la domanda di investimenti, utilizzare le risorse e la domanda del governo. Naturalmente, sono
cruciali i tassi di interesse.
Crede che l'economia possa sostenerli a lungo ai livelli attuali (15%, ndr)?
Dipende dall'andamento del cambio e dell'inflazione. In questo momento il rublo si sta riprendendo, c'è spazio
per un ulteriore apprezzamento. Ma anche l'inflazione cresce, in febbraio al 16%: ci aspettiamo un picco in
aprile, dopo di che calerà per gli effetti della svalutazione. Così la Banca centrale avrà la possibilità di ridurre
il tasso di riferimento. Ma è difficile dire quanto rapidamente.
Una delle prospettive che preoccupa gli analisti - e forse la ragione dietro il downgrading deciso da
Moody's e S&P's - è il timore che le basi finanziarie della Russia non possano sostenere una crisi
prolungata nel tempo. Boris Nemtsov diceva che la fine di Vladimir Putin verrà nel momento in cui
finiranno i soldi con cui garantisce il benessere...
Vede, la matematica dà una risposta a questa domanda. Abbiamo una bilancia corrente molto positiva, un
surplus di quasi 60 miliardi di dollari quest'anno, e se la crisi e la svalutazione proseguiranno nel tempo, la
bilancia dei pagamenti resterà positiva. Da un punto di vista matematico è abbastanza. Abbiamo risorse
sufficienti per sopravvivere a lungo. Da un punto di vista fiscale certo, dobbiamo tenere il bilancio in equilibrio,
con entrate ridotte. Ma se calcoliamo una media dei prezzi del petrolio a 70 dollari - dall'anno scorso all'anno
prossimo - è certo che con questo dato possiamo tenere in equilibrio entrate e spese. Anche se poi c'è un
aspetto psicologico: la gente dovrebbe cambiare abitudini, equilibrare consumi e risparmi. Lo farà? Difficile
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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INTERVISTA ALEKSEJ ULJUKAJEV MINISTRO RUSSO DELL'ECONOMIA
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
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dirlo. Per questo la situazione è comunque delicata.
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Un liberale al governo. Aleksej Uljukajev è ministro dello Sviluppo economico dal giugno 2013
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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04/03/2015
Il Sole 24 Ore
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Risposta univoca dell'Italia su Battisti
Ci sono di nuovo speranze di consegnare alla giustizia italiana Cesare Battisti, terrorista pluriomicida
condannato all'ergastolo in contumacia, su cui ieri una giudice federale di Brasilia ha deciso per l'espulsione.
Brucia ancora il rifiuto di estradizione del presidente del Brasile Lula, il 31 dicembre 2010, che suscitò la dura
reazione dell'allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ci fu persino una risoluzione del
Parlamento europeo per sollecitare l'estrazione.
Adesso ricomincia una partita a scacchi tra governi, diplomazie, organismi di polizia nazionali e internazionali
davanti alle mosse con le ovvie intenzioni di fuga dello stesso Battisti. L'Italia, stavolta, non può sbagliare: gli
organismi tecnici si sono subito attivati; le decisioni di natura politica, se necessarie, non possono che
convergere univoche al risultato del rientro in Italia del latitante. È la risposta attesa da anni dai parenti delle
quattro vittime di omicidio, secondo le sentenze definitive in Cassazione, tra cui uomini delle forze dell'ordine,
l'ultima risalente al 1993.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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L'EX TERRORISTA SARÀ ESPULSO DAL BRASILE
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
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Mazzette nella Palermo dell'antimafia
Cannoli e cassate con mazzetta. Succede a Palermo, la Palermo dei campioni dell'antimafia veri e
dell'ipocrisia dell'antimafia. Roberto Helg, 78 anni, e un pedigree iperlegalitario (cavaliere del lavoro,
commendatore, presidente della Camera di Commercio, di Confcommercio e vicepresidente di Gesap, la
società che gestisce l'aeroporto Falcone e Borsellino) è stato preso con le mani nella ricotta. Centomila euro
di mazzetta, cinquantamila cash, altri cinquantamila con comode rate di 10mila al mese, per aiutare la
pasticceria Palazzolo dell'aeroporto di Punta Raisi a incassare un allungamento del contratto di tre anni. Helg
ha un passato da commerciante di articoli da regalo poi fallito e una carriera galoppante negli organismi
associativi con un cumulo di cariche francamente ridondante. Per un ex imprenditore indifendibile, ce n'è un
altro che senza la minima esitazione ha raccontato delle indebite pressioni. Forse perché Santi Palazzolo,
pasticcerie di Cinisi con negozi in Francia e a Barcellona misura ogni giorno l'efficienza della sua azienda con
quella di altri Paesi. Lo sa Palazzolo ma lo ignorava Helg, che solo qualche mese fa aveva negato il ricorso a
tangenti di massa: «Escludo che il 90% dei commercianti del centro paghino il pizzo». Chissà, invece, qual
era la personale statistica di Helg sul pizzo dei commercianti dell'aeroporto Falcone e Borsellino. Sulla quale
avrà avuto notizie di prima mano.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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ARRESTATO IL PRESIDENTE DELLA CDC
04/03/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 37
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Quei giudici esperti di tutto anzi, esperti di niente
I mali del contenzioso tributario
P.Q.M
Solo pochi giorni fa abbiamo letto, proprio su questo giornale, il bilancio annuale sullo stato del contenzioso
tributario. L'arretrato, pur in calo rispetto al 2013, alla fine dello scorso anno contava 570mila cause, mentre
la durata media di una lite è risultata di quattro anni e tre mesi, contando anche il giudizio di legittimità in
Cassazione. Il dato che più sorprende è che le liti tra fisco e contribuenti valgono più di 52 miliardi di euro (in
primo e secondo grado).
Certo, per cogliere davvero i problemi della giustizia tributaria - bisogna ammetterlo - più dei numeri e delle
statistiche, varrebbe l'esperienza di passare una giornata "sul campo", in una sede di commissione tributaria.
Solo così, infatti, si possono capire le vere difficoltà del sistema, prima fra tutte la scarsità di mezzi a
disposizione e, conseguentemente, le difficoltà di lavoro, sia per i giudici, sia per chi rappresenta lo Stato e i
contribuenti.
A prescindere dalla logistica, però, il grande problema concettuale riguarda la pluralità di argomenti che
investono le singole sezioni di ogni commissione tributaria, spesso nell'ambito della stessa giornata di
udienza.
I tre giudici che compongono il collegio saltano da liti che riguardano l'imposta di registro sulla prima casa a
questioni sulla deducibilità delle spese mediche specialistiche, passando per il riconoscimento fiscale di un
disavanzo da fusione o per la contestazione di fatture per operazioni inesistenti.
I professionisti che assistono i contribuenti, studi agguerriti e attrezzati, non sono in grado di fornire
assistenza indifferentemente su tutti questi aspetti, (e infatti si specializzano in singoli settori); non si capisce
invece perché i giudici tributari debbano continuare a occuparsi di tutto.
Un vecchio motto inglese definisce questa situazione come "jack of all trades, master of none": conoscitore di
mille cose, esperto di nessuna. Il risultato è ben noto a chi abbia assistito a una discussione in commissione.
La lista delle lamentele dei professionisti (e spesso degli uffici) è lunghissima: i giudici concedono pochissimo
tempo alla discussione orale, non tengono adeguatamente conto di tutte le argomentazioni, non si
pronunciano immediatamente alla fine del dibattimento, dispositivi e sentenze si fanno aspettare talvolta
anche per mesi.
Sulla carta, e cioè dati i mezzi a disposizione nella situazione attuale, sembra impossibile che possa esistere
una via d'uscita. Non ci si può illudere che una spruzzata di telematica possa invertire la rotta, né tanto meno
si possono avere grandi aspettative sulla delega fiscale, che si propone di riformare anche questo ambito.
Allora, in attesa di (chissà quali) grandi interventi, non resta che affidarsi alle piccole cose che potrebbero
consentire comunque grossi passi in avanti. Perché non pensare a una minima forma di specializzazione da
introdurre nelle sezioni delle commissioni. È di tutta evidenza che se un collegio giudicante fosse chiamato a
esprimersi sempre sul reddito di impresa, o sulla tassazione delle persone fisiche, o sull'Iva, tanto per fare
qualche esempio, non potrebbe che finire per maneggiare con maggiore competenza e sicurezza la singola
materia. Il risultato sarebbe che le discussioni potrebbero svilupparsi veramente sugli aspetti tecnici
dettagliati, che i giudici sarebbero finalmente in grado di cogliere, e che le sentenze potrebbero essere
emesse in tempi rapidissimi.
Senza contare che si formerebbe una base di esperienza più solida alla quale attingere, magari alimentata
anche dal confronto tra sezioni di commissioni provinciali diverse che però si occupano della stessa materia.
Ne guadagnerebbe la procedura ma, soprattutto, ne guadagnerebbero l'equità e la correttezza dei giudizi.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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04/03/2015
La Repubblica
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La settimana degli intoppi
STEFANO FOLLI
SI VORREBBE credere che la rinuncia al decreto legge sulla scuola sia figlia dei consigli elargiti al governo
dal presidente della Repubblica. A PAGINA 4 SI VORREBBE credere che la rinuncia al decreto legge sulla
scuola sia figlia dei consigli elargiti al governo dal presidente della Repubblica, le cui parole furono
inequivocabili nel discorso di insediamento: l'abuso del criterio di «urgenza» ha creato negli anni una grave
distorsione istituzionale. Si vorrebbe credere quindia un gesto di saggezza da parte di Palazzo Chigi: il
secondo in poco tempo, visto che anche per la riforma della Rai - tipica materia parlamentare - si era pensato
per un attimo al decreto, poi per fortuna accantonato in favore del disegno di legge.
Sfortunatamente nel caso della scuola, ossia l'assunzione definitiva di un esercito di precari, pare non
trattarsi di saggezza, bensì di altri problemi che impongono di rivedere il testo: o le coperture economiche
carenti o le difficoltà pratiche nell'individuare criteri certi per stabilire chi ha diritto ad essere assunto. Nel
rispetto delle direttive europee e con la necessità di evitare una valanga di ricorsi. Ci si domanderà come sia
possibile che si sia arrivati fino al giorno del Consiglio dei ministri per accorgersi che il provvedimento
cosiddetto della Buona Scuola non sta in piedi o quanto meno ha bisogno di un ulteriore lavoro di limatura e
di messa a punto. La risposta andrà girata alle decine di migliaia di insegnanti precari che attendono di
essere sistemati una volta per tutte e rischiano adesso la più amara delle disillusioni. È possibile, s'intende,
che si trovi la quadratura del cerchio. Ma l'improvviso abbandono dello strumento del decreto, da parte di un
governo che ne fa un uso generoso, sta a testimoniare l'esistenza di un grave intoppo.
Certo non ha il sapore di un atto di rispetto verso il Parlamento, come pure si vorrebbe sostenere. Quando
ha potuto o ne ha avuto la convenienza il governo Renzi ha saputo come premere sulle Camere con tuttii
mezzi regolamentari consentiti: è accaduto sia sulla riforma del Senato sia sulla legge elettorale (l'Italicum).
Adesso si sceglie invece di prendere tempoe di procedere con passo lento nonostante che un'urgenza
stavolta ci sarebbe, visto che i precari «stabilizzati» devono trovare il loro posto nei ruoli scolastici entro i
primi di settembre. È il segno che l'operazione scuola non era stata ben preparata ovvero ne erano state
sottovalutate le asperità.
Edè la ragione per la quale il disegno di legge discusso ieri sera risulta tutt'altro che ben definito. Prevale la
nebbia, tipica di quando i problemi non sono risolti, ma si vuole comunque vendere la merce sul piano
mediatico. Nella Prima Repubblica si diceva in questi casi che di un certo provvedimento era stata approvata
«solo la copertina»: al Parlamento l'onore di riempirla di contenuti. All'incirca è quello che sta accadendo con
la scuola e i precari, nonostante che la Prima Repubblica con i suoi riti si consideri estinta da più di vent'anni.
Ma sembra che qualcosa di simile sia avvenuto anche con le misure per la banda larga di Internet: anche qui
grandi attese e poi, al dunque, solo una copertina.O meglio, come si dice oggi, «le lineeguida». Un po' poco
per un governo che della velocità realizzativa ha fatto la sua cifra fondante. In ogni caso è stata una giornata
significativa per il Parlamento. Per la prima volta dopo molto tempo gli è stato riconosciuto giocoforza un
certo ruolo. Non solo. Anche sul caso De Luca le Camere sono tornate centrali nell'ottica di Renzi. Come ha
detto la ministra Boschi, nel solco delle parole del presidente del Consiglio a questo giornale, la legge
Severino non sarà modificata per salvare il candidato del Pd alle regionali.
Tuttavia, ha aggiunto un po' sibillina, il Parlamento è sovrano e prenderà le sue decisioni. Tanto è bastato a
Renato Brunetta per annunciare l'incoerenza del governo e dare per certo un provvedimento «ad personam»
proDe Luca. Una certa ambiguità nel governo c'è senza dubbio, nonostante le assicurazioni del premier. Ma
che sia possibile in questo clima votare una modifica alla legge Severino, sembra fantascienza. Meglio
ragionare su come mai Renzi ha cominciato la settimana così male: fra caso De Luca, riforma della scuola,
banda larga e anche disavventura in elicottero. Un momento di meditazione è opportuno.
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IL PUNTO
04/03/2015
La Repubblica
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04/03/2015
La Repubblica
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Il pasticcio delle primarie
PIERO IGNAZI
IL PD considera le primarie il mezzo principe per la scelta dei candidati alle cariche pubbliche e di partito. Ma
sono veramente il sistema migliore? Dipende dagli obiettivi. Se si vuole aumentare la partecipazione alle
decisioni non c'è mezzo migliore (al di là di esperimenti attraverso la rete che però sono ancora in fase
embrionale). < PAGINA SE ALLO stesso tempo si vuole aumentare la partecipazione alla vita del partitoe
l'incremento degli iscritti, allora si affacciano seri dubbi. Se infine attraverso questo processo di selezione si
vuole aumentare la democraticità interna del partito, non c'è mezzo peggiore: perché seguendo la strada
delle primarie sempre e comunque si rafforza una visione plebiscitaria della democrazia deprimendo quella
delegata. E si arriva così al pasticcio della Campania: dove si candida, e vince nell'imbarazzo generale, un
candidato come De Luca, che il Pd non ha avuto la forza di far desistere. E ora il partito che aveva votato la
legge Severino dovrà votare per un candidato governatore contro quella stessa legge.
Quando le primarie vennero introdotte per la prima volta a livello nazionale, nel 2005, si trattava in realtà di
incoronare il prescelto, Romano Prodi. All'epoca quella iniziativa serviva soprattutto a legittimare un candidato
che non rappresentava i maggiori partiti. Tuttavia emerse anche un effetto laterale: la partecipazione
massiccia dei sostenitori, più di 4 milioni. Quella mobilitazione straordinaria, da un lato, costituiva una sorta di
esibizione muscolare nei confronti dell'avversario, ma, dall'altro, evidenziava un grande desiderio, fin lì
represso, di poter decidere direttamente. Nessuna iniziativa politica aveva mai coinvolto tante persone in
Italia.
Le primarie apparvero quindi un efficace strumento per mobilitare l'elettorato e, in una fase di montante
antipolitica - il successo del vaffa day di Grillo è di appena due anni dopo - , recuperare legittimità alla politica
e ai partiti. Vi era poi un retropensiero in molti dei sostenitori delle primarie: sottraendo alla classe dirigente il
potere di scelta dei candidati ai vari livelli si potevano modificare gli assetti interni e avviare un radicale
rinnovamento del personale politico. In realtà questo obiettivo è stato raggiunto solo negli ultimi anni sia a
livello di partito con la vittoria di Renzi, sia a livello politico con l'affermazione di sindaci e governatori estranei
ai gruppi dirigenti consolidati - Pisapiaa Milanoe Doriaa Genovai casi più eclatanti, oltre a Vendola in Puglia
già nel 2005.
Nel Pd il mito delle primarie è alimentato da una valutazione precisa, ripetuta come un mantra: la maggior
"democraticità" di questo sistema.
Il ragionamento è limpido: aumentando il numero delle persone coinvolte nel processo di selezione, il
cosiddetto "selettorato", aumenta anche il grado di democraticità del partito. È evidente che un processo
decisionale opacoe concentrato insindacabilmente in poche mani non può essere soddisfacente.
Ma la decisione del Pd di estendere il selettorato sempre e comunque a tutti gli elettori - procedura adottata
invece in pochissime occasioni da altri partiti europei - contiene in sé due handicap: dispossessa gli iscritti di
una funzione che dovrebbe essere qualificante per l'appartenenza ad un partito, e stimola il virus plebiscitario
all'interno del partito e, per estensione, nel sistema di rappresentanza italiano.
Nel momento in cui si offre a tutti (compresi i non cittadini italiani e i non aventi diritto al voto come i
sedicenni) il diritto a scegliere, l'incentivo ad iscriversi al partito scende vertiginosamente: rimane solo
l'adesione ideale, affettiva. E infatti gli iscritti al Pd, nonostante le brillanti performance elettorali e politiche di
quest'anno, sono calati. Ma soprattutto, ben al di là della questione della esasperata personalizzazione,
quello che più inquieta è la sottile delegittimazione del principio della rappresentanza e della democrazia
delegata: come se procedere alle scelte attraverso rappresentanti sia un male. Indebolimento dei partiti, e
contestualmente, indebolimento della democrazia sono gli effetti perversi che un uso debordante delle
primarie rischia di provocare.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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L'ANALISI
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 3
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Sono quindici anni che aspetto una cattedra ormai non mi fido più"
Siamo stanchi e disincantati. Questa politica continua a parlare troppo e a concretizzare troppo poco
SALVO INTRAVAIA
« SIAMO stanchie disincantati. Questa politica continuaa parlare troppo e a concretizzare troppo poco».
Dopo lo stop al decreto scuolae nonostante l'assicurazione del premier che le assunzioni ci saranno, Maria
Pirrotta, docente di Italiano alla scuola superiore, in servizio a Palermo, non riesce a nascondere la delusione
per i continui rinvii sul precariato.
Da quanto tempo attende l'immissione in ruolo? «Da 15 anni. Ne ho 48 e mi pare che sia venuto il momento
di essere assunti a tempo indeterminato. Per un certo periodo ci avevo anche creduto».
E poi? «Poi subentra la razionalità e la consapevolezza che ci sono sempre buoni propositi ma poi qualcosa
puntualmente si inceppa».
E adesso come vede il suo futuro? «Spero per me e i miei colleghi che comunque questo piano di assunzioni
vada in porto. Per noi è troppo importante perché stanno giocando con le nostre vite, tenute in sospeso da
anni».
Ha avuto modo di confrontarsi con i suoi colleghi. Qual è il loro stato d'animo? «Siamo stati con l'ansia per
settimane e adesso spero che trovino una soluzione alternativa. Io non sono sposata, ma la stabilizzazione
rappresenta la soluzione di molti problemi per migliaia di miei colleghi che hanno famiglia e figli piccoli. E
francamente la delusione per il rinvio è enorme».
Molti di voi avranno pure delle difficoltà, se sarà chiesto loro di trasferirsi.
«Esattamente. La gente crede che siamo ancora giovani e che ci si possa chiedere di spostarci da una
provincia all'altra con estrema facilità. Ma noi non siamo numeri, anche se molti sarebbero disposti ad andare
ovunque pur di essere assunti».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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L'INTERVISTA / 1. L'INSEGNANTE
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 3
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Il tempo è già scaduto non ce la faremo neanche lavorando tutta l'estate"
Noi che viviamo dentro gli istituti avremmo bisogno di certezze: questo tira e molla non ne dà affatto
(s. i.)
« MI pare di cogliere che difficilmente a settembre verranno assunti 120mila precari della scuola». Paolino
Marotta, presidente dell'Andis, l'Associazione nazionale dei dirigenti scolastici, non è affatto ottimista sul
Piano di assunzioni proposto dalla Buona scuola.
Ma il governo riuscirà ugualmente a portare a casa il piano? «I tempi per le immissioni in ruolo sono
strettissimi. Secondo me hanno ragione tutti quelli che dall'interno dell'amministrazione scolastica ministeriale
continuano a ripetere che non ce la possono fare neppure lavorando tutta l'estate». Cosa accadrà allora? «I
segnali che ho colto sono nella direzione che difficilmente si riusciranno a fare le 120mila immissioni in ruolo
preventivate. Con tutta probabilità saranno 50/60 mila in meno e poi verrà bandito il concorso per 60mila o
più insegnanti.
La cosa più probabile è che si coprano le cattedre vacanti e disponibili, che sono poco meno di 50mila».
E l'organico dell'autonomia? «Da quello che sembra verrà predisposto lo stesso, ma resta il dubbio su chi
verrà assunto e secondo quali criteri. Al momento è tutto piuttosto incerto».
La scuola, almeno per quest'anno, non dirà addio al precariato? «Mi sembra di poter dire che il prossimo
anno le supplenze ci saranno ancora».
Come sta vivendo il mondo della scuola questo tentativo di riforma? «Vedo la scuola reale, quella dei
dirigenti scolastici e degli insegnanti, molto disorientata. Colgo anche molta delusione: c'è bisogno di
certezze, il mondo della scuola non ne può più, perché si cambia quasi ogni giorno».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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L'INTERVISTA. 2 / IL PRESIDE
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 6
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Telecom e Mediaset sotto i riflettori i francesi puntano sul nostro mercato
Bolloré e Vivendi pronti a lanciare una campagna acquisti da 10 miliardi nel Sud Europa
GIOVANNI PONS
MILANO. Ci sarà pure un motivo se un finanziere prudente e riservato come Vincent Bolloré ha puntato in
questi giorni altri 852 milioni di euro per incrementare dal 5,15% all'8,15% la propria partecipazione in
Vivendi. Il colosso dell'entertainment francese sta concludendo in queste settimane la sua strategia di uscita
dal settore delle telecomunicazioni, vendendo il residuo 20% che aveva in Sfr (in totale dalla vendita
dell'operatore telefonico ha ricavato 17 miliardi)e finalizzando la cessione della brasiliana Gvt a Telefonica per
7,45 miliardi. Una volta pagati i debiti e distribuito 5,7 miliardi tra dividendi straordinari e riacquisto di azioni
proprie Vivendi avrà una posizione finanziaria netta positiva per 10-12 miliardi. Una massa enorme di denaro
che nelle intenzioni del management che ha condotto sin qui le operazioni dovrebbe essere reinvestita nel
settore dei contenuti multimediali, magari contigui alla musica (Universal), alla tva pagamento (Canal Plus)e
alle radio che sono già presenti nel suo portafoglio.
Ma ora questa strategia dovrà fare i conti proprio con Bolloré, che avendo rafforzato la sua posizione di socio
di riferimento (e i ben informati riferiscono che potrebbe crescere ulteriormente) e avendo piazzato nel
consiglio di sorveglianza due uomini di cui si fida molto, Tarak Ben Ammar e Dominique Delport, il numero
uno del gruppo Havas, avrà sempre più voce in capitolo.
Ci sarà l'Italia nel mirino di Vivendi nel prossimo futuro? Nell'ultimo consiglio di amministrazione, secondo
ricostruzioni attendibili, siè parlato di Europa del Sude Africa, come aree su cui concentrare l'attenzione nei
prossimi anni. In Africa la tva pagamento Canal Plus ha già una buona presenza e può essere incrementata,
ma i mercati sono ancora di piccole dimensioni. La Spagna è chiusa da un colosso che di nome fa
Telefonica, la prima a scegliere decisamente la strada della distribuzione della tv a pagamento attraverso la
banda larga. Rimane l'Italia e in particolare Telecom di cui Vivendi diventerà tra poco azionista importante
ricevendo da Telefonica azioni pari al 5,7% del capitale e all'8,3% dei diritti di voto. Bolloré cederà alla
tentazione di incrementare attraverso Vivendi la partecipazione in Telecom per diventarne il padrone, visto
che i soldi non mancano? Ovviamente è presto per dirlo, almeno fino a giugno la situazione rimarrà fluida,
dovendosi ancora chiudere l'operazione Gvt. E la sua strada si incrocerà con quella di Mediaset e di
Berlusconi, di cui Ben Ammar è amico e consigliere fidato? Istintivamente la strada sembrerebbe segnata ma
a una lettura più attenta il percorso potrebbe essere diverso. Bolloré ha dimostrato con una più che
decennale presenza di socio e consigliere di Mediobanca di non avere una forte propensione al controllo. Si è
rivelato un azionista paziente, voglioso di guadagnare certo, ma capace di lasciare ampio spazio al
management. E la Telecom nella versione public company, di cui Ben Ammar ha un'esperienza diretta in
quanto consigliere espresso da Mediobanca, è un valore cui un investitore lungimirante oggi non dovrebbe
rinunciare. D'altronde nella stessa piazzetta Cuccia è presente anche la Fininvest ma lì non siè mai formata
un'alleanza di blocco tra Bolloré e la famiglia Berlusconi, semmai ci si guarda con simpatia. Forse il legame
più solido era stato stretto ai tempi di Geronzi, fino alla battaglia che ha portato all'estromissione del
banchiere da Generali. La convergenza dei mezzi e le amicizie potrebbero certo portare Telecom a stringere
un accordo commerciale con Mediaset Premium, la pay tv del Biscione in cerca di accasamento. Ma non di
più, il matrimonio Mediaset-Telecom, quello forse più cercato negli anni dal gruppo di manager che ruota
intorno a Berlusconi, non è nell'interesse del gruppo telefonico e sia Ben Ammar che Bolloré ne sono
consapevoli. Più che altro il recente attivismo del gruppo Fininvest su più fronti, la tv a pagamento, l'assalto ai
libri della Mondadori e l'Opa sulle torri di trasmissione di Rai Way, dimostrano la volontà di essere presente
su tutti i tavoli della partita cercando di ottenere il più possibile. Ma se per la pay tv la soluzione migliore
secondo Ben Ammar è la fusione con Sky, visto che due operatori sul mercato italiano non riescono a
guadagnare sufficientemente, per le torri l'obbiettivo potrebbe essere puramente monetario. Mediaset
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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IL RETROSCENA
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 6
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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dovrebbe cercare di ottenere dal governo l'autorizzazione alla fusione con Rai Way in cambio dell'impegno a
una forte riduzione nell'azionariato per lasciare il posto a investitori istituzionali specializzati in infrastrutture. A
quel punto, senza la pay tv e dopo aver fatto cassa con le torri, Mediasete Mondadori quali produttrici di
contenuti potrebbero anche far gola alla Vivendi 2.0 che Bolloré sta disegnando in queste settimane con i
suoi più fidati consiglieri.
Foto: FINANZIERE Il finanziere bretone Vincent Bolloré, proprietario dell'8,15% di Vivendi, ha messo nel
mirino Telecom Italia
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 11
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Con questa disoccupazione non è onesto dire alla gente che siamo fuori
dalla crisi Ora servono gli investimenti"
Jean Claude Juncker Parla il presidente della Commissione europea: "Quando lanciamo un piano di
aggiustamento va valutato l'impatto sociale. Finora non è stato fatto" Tsipras deve spiegare che alcune delle
promesse con cui ha vinto le elezioni non saranno mantenute Il caso greco dimostra che questa impressione
che la Germania diriga l'Europa con pugno di ferro non è vera
CLAUDI PEREZ
BRUXELLES. A un certo punto, negli ultimi due anni, dopo aver perso le elezioni in Lussemburgo, JeanClaude Juncker ha accarezzato l'idea di lasciare la politica e scrivere un libro di memorie. Poi ha pensato che
su quello di cui non si può parlare bisogna tacere: «Per dire qualcosa di interessante su questi anni di piombo
bisogna raccontare interiorità inconfessabili». Juncker ha accantonato il progetto di tornare nel suo habitat
naturale: ha vinto le elezioni europee e ora, nonostante le reticenze di Berlino, guida la Commissione Ue che
lui stesso definisce «dell'ultima opportunità», riferendosi alla necessità di sollevare definitivamente la testa da
questa concatenazione di crisi multiple condite da un euro-disincanto di proporzioni clamorose.
Qual è il problema più grosso dell'Europa? «Il disincanto della gente verso le istituzioni è un problema serio,
ma quello più grande è la disoccupazione. Con cifre come quelle di Spagna o Grecia - anche se c'è un
miglioramento-è una meschinità raccontare alla gente, e raccontare a se stessi, che la crisi è finita. È più
onesto dire che le difficoltà continueranno a esserci finché la disoccupazione non scenderà. Ci siamo in
mezzo alla crisi, nonè finita».
Non c'è stato abbastanza tempo per vedere i risultati delle politiche europee? Cinque anni di programma di
salvataggio in Grecia, per esempio, non sembrano aver facilitato le cose a Tsipras.
«Tsipras ha fatto un passo fondamentale, ha cominciato ad assumersi le sue responsabilità.
Però ha un problema: deve spiegare che alcune delle promesse con cui ha vinto le elezioni non saranno
mantenute. Tsipras ha il merito di aver posto le domande giuste, ma non ha mai dato risposte. Se ha dato
una risposta lo ha fatto esclusivamente per la Grecia, mentre è evidente che quando si parla della Greciae
del suo programma di aiuti ci sono 19 opinioni pubbliche di cui bisogna tener conto. Le elezioni non cambiano
i trattati: è ovvio che ci può essere un altro approccio alla crisi greca; può esserci più flessibilità, ma la vittoria
di Tsipras non gli dà il diritto di cambiare tutto». Tsiprasè stato eletto grazie al suo messaggio antiausterità,
antitrojka, con la promessa di ristrutturare il debito. Teme che altri partiti, come Podemos, possano
raccogliere questa bandiera? «Questa nuova tipologia di partiti spesso fa un'analisi realistica della situazione,
richiama giustamente l'attenzione sui problemi sociali. Ma se vince le elezioni non riesce a mantenere le
promesse, a trasformare i programmi in realtà. Le proposte di alcuni di questi partiti non sono compatibili con
le regole europee: condurrebbero a una situazione di blocco totale».
È arrivato il momento di mandare a morte la trojka? «Io dico da anni che sarebbe meglio farla finita con la
trojka.».
È la stessa cosa che dice Tsipras.
«È diverso. Io metto l'accento sul fatto che i Paesi destinatari del piano di salvataggio non si sedevano a
trattare con la Commissione o con l'Eurogruppo, ma con funzionari. Non era una cosa appropriata. C'è un
secondo problema: quando lanciamo un programma di aggiustamento è imprescindibile realizzare una
valutazione dell'impatto sociale. Questo non è stato fatto».
L'Europa sta cominciando a cambiare le sue politiche: più flessibilità sui bilanci, investimentie una Bce più
attiva. Gli Stati Uniti hanno il doppio della crescita e la metà della disoccupazione. È troppo tardi? Sono stati
fatti degli errori da questa parte dell'Atlantico? «Gli Stati Unitie l'Eurozona non sono comparabili. In Europa
continuiamo a pensare che il risanamento dei bilanci e le riforme sono importanti, ma è evidente che solo con
questo non possiamo farcela: bisogna investire per evitare che quei 23 milioni di europei continuino a
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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INTERVISTA L'Europa
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 11
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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sognare un lavoro. Per questo abbiamo progettato il piano di investimenti da 315 miliardi di euro. Le banche
pubbliche di Germaniae Spagna si sono unite al progetto. Siamo sulla buona strada». Lei è tra coloro che
hanno disegnato le attuali regole dell'Eurozona. Sono state pensate per un mondo che non esiste più? Crede
veramente che funzioneranno? «L'Europa non è uno Stato con un governo e un Tesoro. Le regole sono
imprescindibili per coordinare le politiche economiche. Il Patto di stabilità consente la flessibilità; l'Unione
bancariaè un grande passo avanti per evitare che si ricreino le condizioni per una replica della crisi
finanziaria. E questo è un processo in corso». Perché il Sud dell'Europa ha l'impressione che la flessibilità
con le regole arrivi proprio quando è la Francia ad avere problemi, come già successe nello scorso decennio
con la Germania? «Lei confonde le date: la Germania non rispettò il Patto nel 2003, e la riforma si fece nel
2005.
Rispetto alla decisione di concedere due anni in più alla Francia, Berlino ha espresso il suo malcontento e
diversi Paesi, compresi Paesi del Sud, hanno criticato la decisione. Peraltro non vedo un grande entusiasmo
in Francia, che è obbligata a modificare il suo bilancio e a tenere fede ai suoi impegni.
Qualcuno può avere l'impressione che la Francia abbia avuto un regalo, ma è un regalo avvelenato».
Il tradizionale asse franco-tedesco sembra appartenere al passato? Che cosa ne pensa di quello che Tony
Judt definiva "l'inquietante predominio della Germania"? «La Grecia è la dimostrazione che questa
impressione che la Germania diriga l'Europa con pugno di ferro non corrisponde alla realtà. Ci sono stati molti
Paesi più intransigenti della Germania: l'Olanda, la Finlandia, la Slovacchia, i Paesi baltici, l'Austria. Nelle
ultime settimane, Spagna e Portogallo sono stati molto esigenti nei confronti della Grecia».
Una delle grandi sfide della sua presidenza è il referendum britannico sulla permanenza nell'Unione. Non è
stufo di tutte queste apocalissi? «Le rivoluzioni non si annunciano: le rotture dello status quo riescono solo se
arrivano di sorpresa.
Voglio ragionare sulle proposte che ha fatto il Regno Unito. Londra ha le sue linee rosse. E io ho le mie: la
libera circolazione delle persone non è negoziabile. Sono sorpreso che Paesi del Sud come la Spagna o i
Paesi dell'Est, con vecchie tradizioni di emigrazione, non reagiscano con maggior fermezza».
Che proposta farà la Commissione? «Comprendo la determinazione a contrastare gli abusi, ma a questo non
si risponde cambiando le regole europee, ma cambiando le leggi nazionali. Se oggi attacchiamo la libera
circolazione delle persone, nel giro di due anni saranno prese di mira altre libertà».
Quel tipo di proposte va in parallelo con l'avanzata del populismo, ma sono altre le cose che infastidiscono
gli europei, per esempio l'evasione fiscale. Lei è la persona adatta per risolvere questo problema dopo il
Luxleaks? «Il problema del Lussemburgo è uguale in molti altri Paesi. Ma l'ecosistema è cambiato. Diversi
Stati si sono visti obbligati a realizzare aggiustamenti che mettono a rischio i loro sistemi di welfare, e non
tollerano più comportamenti fiscali di questo tipo. Gli europei non accettano più che le multinazionali, con
l'aiuto di società di consulenza, eludano con facilità il pagamento delle imposte. Quanto al Luxleaks, in
Lussemburgo le regole sono chiare, anche se probabilmente non corrette: non è il ministro dell'Economia che
prende queste decisioni, ma l'amministrazione tributaria. So che nessuno ci crede, però è così».
Copyright El Pais Traduzione di Fabio Galimberti PER SAPERNE DI PIÙ ec.europa.eu www.quirinale.it
Foto: SERGIO MATTARELLA: RIFORME APPREZZATE "Sono soddisfatto dell'esito dei colloqui e del
ribadito apprezzamento sulle riforme del nostro Paese". In foto, il capo dello Stato, Sergio Mattarella e il
presidente consiglio Ue, Donald Tusk
Foto: NUMERO UNO Jean Claude Juncker, presidente della Ue
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 13
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Condizionati dalla destra io voterò contro la legge"
Si è trovato un compromesso poco onorevole rimanendo così in mezzo al guado Manca il coraggio
(l.mi.)
ROMA. «È come voler stare in mezzo al guado e cercar di galleggiare...». Felice Casson, ex giudice istruttore
a Venezia e oggi senatore della sinistra Pd, ha appena finito di leggere il testo del falso in bilancio e fa una
brutta smorfia.
Che vuol dire? Non le piace questa norma? «Mancanza di coraggio».
Pesante eh...
«Non credo, perché si poteva decidere di invertire completamente la rotta rispetto alle indicazioni
berlusconiane». E invece che si è fatto? «Sono anni che, come Democratici, cerchiamo di rendere
concretamente punibili i delitti di falso in bilancio. E invece, all'ultimo momento, si decide di non farlo per
bene». Di chi è la colpa? Dei cosiddetti poteri forti, leggi magari Confindustria? «Non solo. C'è un indubbio
problema politico all'interno della maggioranza e del governo. Quando si parla di anti-corruzione, di
prescrizione e di falso in bilancio, il Nuovo centrodestra si ritrova automaticamente con Forza Italia.
Il governo va in difficoltàe quindi cerca un compromesso».
Il compromesso trovato le pare troppo al ribasso? «Non mi pare molto "onorevole"».
Ma lei che fa, lo vota? «Voterò la proposta che, come senatori del Pd, abbiamo presentato fin da giugno del
2014».
E cioè? «Pena fino a 6 anni, dando la possibilità alla magistratura di fare intercettazioni».
Quindi non vota il testo del governo? «No».
Dicono che il falso è un reato documentale e gli ascolti non servono.
«Non è vero affatto perché collegati al falso in bilancio spesso ci sono molti altri reati che possono essere più
gravi, dalla corruzione, alla concussione, dalla turbativa d'asta, alla truffa aggravata ai danni di enti pubblici».
È giuridicamente coerente applicare la legge sulla tenuità del fatto ai falsi in bilancio? «È inutile, anzi è
controproducente per il messaggio politico e sociale negativo che viene dato».
Ma se la legge passa sarà più facile perseguire i falsi? «Per le società quotate sì, sarà complicato fare
indagini approfondite proprio come adesso».
Foto: SENZA CORAGGIO
Foto: SENATORE PD Felice Casson senatore Pd
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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L'INTERVISTA/ FELICE CASSON, PD
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 13
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Nessun regalo alle imprese giusto eliminare gli ascolti"
Questa legge è un macigno su chi intende compiere reati Così è finalmente equilibrata
(l. mi.)
ROMA. Un regalo a chi falsa i bilanci? «È il contrario, questa legge non è affatto un regalo, ma un macigno
sulla loro strada». Così difende la nuova formula del falso in bilancio il viceministro della Giustizia Enrico
Costa, esponente di Ncd.
Non è vero invece che la montagna ha partorito il topolino? «Quando il testo arriverà in commissione tutti
verificheranno che si è raggiunto un equilibrio tra le spinte eccessivamente garantiste e quelle
eccessivamente giustizialiste».
In via teorica, eliminare le intercettazioni per il falso in bilancio non è un regalo gratuito ai corruttori? «Il
codice le consente per i reati al di sopra di una certa pena edittale. Trovo fuorviante che la discussione si
incentri non sulla pena appropriata per il falso in bilancio, ma sull'esigenza di raggiungere quella soglia».
Ma allora, al governo, della corruzione dilagante non importa nulla? Non vede che proprio gli ascolti
consentono di scoprire i reati connessi a chi crea fondi neri? «Il testo in discussione al Senato contiene
norme molto forti per contrastare i fenomeni corruttivi. È ovvio che la repressione non è sufficiente, ma serve
una seria opera di prevenzione... «.
... che comprende anche la possibilità di considerare "tenui" reati come il falso in bilancio? «Il decreto sulla
tenuità del fatto ha dei criteri molto dettagliati che consentono di applicarlo per condotte inoffensive».
Scusi se insito, ma il falso in bilancio può davvero essere considerato un reato inoffensivo? «È essenziale
colpire i falsi in bilancio finalizzati a creare fondi neri. Ma un lievissimo scostamento in una piccola impresa
non può avere lo stesso trattamento».
Quindi, per legge, si può considerare "tenue" e viene "graziato"...
«Per fare una norma equilibrata occorre sottrarsi alla ventennale demagogia dei giustizialisti».
Per questo voi di Ncd non volete aumentare neppure la prescrizione per i reati di corruzione? «Siamo
d'accordo ad elevare il tempo di prescrizione. Siamo contrari a rendere di fatto imprescrittibili questi reati».
Foto: VICEMINISTRO Enrico Costa Ncd
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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L'INTERVISTA/2 ENRICO COSTA, NCD
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 15
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"Troppe epurazioni, volevo lasciare l'ex premier mi ha convinto a
congelare tutto"
TOMMASO CIRIACO
ROMA. Aeroporto di Linate, risponde la senatrice Manuela Repetti. «Scusi il fiatone. Sono con Sandro
(Bondi, ndr), dobbiamo prendere l'aereo». Hanno appena lasciato Arcore. Doveva comunicare all'ex
Cavaliere l'addio a Forza Italia, ha scelto di congelare per qualche giorno l'uscita da FI.
Come è andata, senatrice? «Un colloquio approfondito. Molto intenso».
Commozione e lacrime.
«Come negarlo, emotivamente intenso. Sa, c'è affetto. È un'amicizia importante».
La polemica però è stata aspra. Ha comunicato al Presidente l'intenzione di lasciare? «La novità è che per
ora ho congelato le mie dimissioni». Ma non le aveva appena presentate, senatrice? «Ora sono congelate».
E Berlusconi? «Su alcuni punti il Presidente si è mostrato d'accordo nelle valutazioni, su altri si è riservato di
riflettere.
Anche perché, diciamolo: FI è in profonda crisi ed è sotto gli occhi di tutti».
Le ha chiesto di ripensarci o si è mostrato indifferente? «È stato un confronto vero. Anche perché, mi creda,
il passo che avevo deciso di fare è molto sofferto, con valutazioni non certo campate in aria. Non possiamo
accettare di non vedere i problemi, né continuare a nasconderli». Si riferisce alle epurazioni in atto? «Anche.
Una delle due persone in questione è molto per bene. Non meritava tutto questo. È stato sempre vicino al
Presidente anche nelle difficoltà. Non ha mai discusso la sua leadership. C'è un sovraccarico di tensione che
non va assolutamente bene, in Forza Italia».
Gli ha detto che è colpa del cerchio magico di Arcore? «Nessun nome, guardi. Non è nel mio stile. Tanto le
cose si comprendono comunque, non c'è bisogno di fare nomi. È stato invece un confronto su come è gestito
il partito». Il cellulare passa rapidamente di mano. Ora tocca a Bondi. «Congelate anche le mie dimissioni?
Senta, io ho chiuso con la politica. Definitivamente. Naturalmente condivido quanto sostiene Manuela. Il suo
intervento è stato molto nobile. Qualcosa che in un partito democratico dovrebbe essere apprezzato, ecco».
Foto: COPPIA IN POLITICA E NELLA VITA I senatori di FI Sandro Bondi e Manuela Repetti.
Si sono dimessi, poi hanno congelato la scelta
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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L'INTERVISTA/ MANUELA REPETTI, COMPAGNA DI SANDRO BONDI
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 17
(diffusione:556325, tiratura:710716)
La stretta dei democratici "Basta votare contro il partito ora serve
obbedienza"
Il cambio di marcia sarà annunciato dal presidente dei senatori Zanda. Ma la sinistra si ribella al diktat:
"Grave errore, così si accentua lo scontro tra di noi" L'ironia di Gotor: "Abbiamo votato appena 34 fiducie"
L'ultimo episodio è accaduto ieri: la maggioranza non ha retto su un emendamento sugli ecoreati "Troppe
disubbidienze finora"
GIOVANNA CASADIO
ROMA. «Ci vuole disciplina, non si può andare avanti come nei mesi passati in cui ciascuno ha fatto quello
che ha voluto... ». Non è più possibile perché in assenza del Patto del Nazareno, cioè dell'intesa con Forza
Italia - spiegherà oggi Luigi Zanda, il presidente dei senatori dem nell'assemblea del gruppo- votare in
dissenso creando una situazione di anarchia significa mettere a rischio il governo. La stretta nel Pd è stata
annunciata ieri nell'ufficio di presidenza di Palazzo Madama.
E la giornata parlamentare del resto già parlava da sola. Due volte al Senato è mancato il numero legale in
mattinata sull'informativa sul calcio per i fatti di RomaFeyenoord. Il ministro Angelino Alfano non si è
presentato, il vice ministro Filippo Bubbico è stato accolto da contestazioni, due volte seduta sospesa e alla
fine salta l'informativa. Nel pomeriggio poi il governo è stato battuto su un emendamento sugli ecoreati: la
maggioranza, assottigliata da assenze giustificate, non ha retto. L'ennesimo episodio, dopo tante gocce che
hanno fatto traboccare il vaso. A gennaio le mine sull'Italicum, ovvero le richieste di modifica soprattutto della
sinistra dem, sono state schivate dal governo grazie al "soccorso azzurro". E solo una settimana fa l'Imu
agricola e la raccolta di firme su un emendamento in dissenso di Roberto Ruta ha irritato non poco i renziani.
Il clima quindi è teso. La sinistra dem si ribella al diktat. Ma la parola d'ordine del governo, del capogruppoe
dei renziani è: «Serriamo le file, basta dissensi». Uno dei dissidenti bersaniani, Miguel Gotor dice che «Zanda
ha ragione, serriamo pure le file, l'abbiamo fatto finora, tanto che abbiamo festeggiato la 34esima fiducia al
governo...
poi però c'è la politica». Tra i civatiani, come Lucrezia Ricchiuti, Walter Tocci, Laura Puppato l'insofferenza è
palpabile. Tocci presentò le sue dimissioni da senatore (poi respinte) dopo il voto sul Jobs Act, lacerato tra
l'obbedienza al gruppo e il dissenso motivato. Zanda ha osservato, e ribadirà oggi, che «non si possono non
avere regole» e che «ci vuole il rispetto delle decisioni prese a maggioranza». Il capogruppo dem chiederà ai
senatori di chiarire come intendano comportarsi nei prossimi giri di boa. «Non ci possono essere trabocchetti
che partano dalle nostre file, così ci si mette fuori dal gruppo», sarà il pressing. La strada in Senato è tutta in
salita. Non solo sulla riforma costituzionalee sull'Italicum, per ora alla Camera, ma anche sull'anticorruzione e
su divorzio breve e unioni civili che sono i prossimi nodi al pettine. La sarabanda dei veti e del fuoco
incrociato spaventa governo e Pd. Lucrezia Ricchiuti - che ha detto "no" sul Jobs Act, sui capilista bloccati
nell'Italicum e sul Senato dei non-eletti - contrattacca: «Se nel gruppo si pensa di risolvere il dissenso
minacciando e imponendo l'obbedienza, credo sia davvero la strada sbagliata. Così si acuisce lo scontro. Le
fratture saranno solo più profonde. Invece ci vorrebbe da parte della maggioranza più confronto e capacità di
ascolto». «Non siamo sabotatori - ripetono nella sinistra dem - però non si può pensare di mettere a tacere
chi dissente».
Puppato invita a non esasperare il confronto: casomai ci vuole più ascolto. Però da parte di Renzi e del
ministro per i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi c'è il timore che la maggioranza di Palazzo
Madama, già sul filo, possa traballare fino a cadere.
maggioranza
I numeri a Palazzo Madama
172 TOTALE: 315 senatori + 6 senatori a vita Pd di cui 25-30 minoranza Scelta civica 7 Gal 3 Misto 2 Per le
autonomie 17 Area popolare ex 5Stelle che a volte hanno votato con la maggioranza 15 Quorum: 161
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Il retroscena
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 17
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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MARGINE DI SICUREZZA: 11 PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.partitodemocratico.it
Foto: Luigi Zanda
Foto: DISSIDENTI Lucrezia Ricchiuti e Corradino Mineo senatori civatiani spesso in dissenso con le riforme
del governo dal Jobs Act all'Italicum con i capilista bloccati
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 19
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Un appello di impatto che smonta l'accordo"
Il risultato delle trattative è che alla fine gli iraniani faranno la bomba Bisogna mantenere l'arma delle sanzioni
economiche
ARTURO ZAMPAGLIONE
NEW YORK. Presidente da vent'anni del Middle East Forum, un think tank conservatore, e considerato un
"falco" sulle questioni medio-orientali, Daniel Pipes mette le mani avanti: «Non sono mai stato tenero nei
confronti di Benjamin Netanyahu». Una premessa, questa, che serve a Pipes per non apparire schiacciato
sulle posizioni del premier israeliano: eppure il suo giudizio del discorso di ieri al Congressoèa dir poco
entusiasta. «Èstato un testo scrittoe pronunciato in modo brillante», dice Pipes a Repubblica : «Ha toccato
tutti i punti-chiave del problema iraniano intrecciando l'intelligenza del ragionamento con appelli molto
emotivi». Perché la Casa Bianca si era opposta con tanta tenacia alla visita del premier?I giornali
conservatori hanno parlato di sei settimane di "capricci".
«Lo si è capito bene ascoltando il discorso: il premier ha smontato sistematicamente tutte le posizioni di
Obama e dei suoi negoziatori, avvertendo che il risultato delle trattative sarà di spianare la strada alla bomba
atomica iraniana e che non bisogna credere che l'attuale regime di Teheran sia meglio dei precedenti».
Ritiene che il premier israeliano sia stato in grado di cambiare le opinioni dei politici Usa e gli orientamenti
della Casa Bianca in un momento in cui l'accordo con Teheran appare a portata di mano? «Al Congresso non
si sta discutendo se bombardareo meno gli impianti atomici iraniani, ma più semplicemente se mantenere
l'arma delle sanzioni economiche nei confronti del regime iraniano, come si apprestano a chiedere i
repubblicani in una risoluzione con un alto valore simbolico».
Perché un provvedimento del genere sia al riparo dal veto presidenziale occorre una maggioranza dei due
terzi: non sarà facile, visto che oltre cinquanta democratici hanno boicottato il discorso del premier.
«A me sembra invece che le parole di Netanyahu abbiano fatto breccia - nel Congresso come nel paese - e
che non sia quindi impossibile ottenere una maggioranza ampia a favore delle sanzioni commerciali. Di qui il
la mia valutazione positiva. Aggiungo che il discorso aiuterà il premier nelle prossime elezioni, perché gli
israeliani apprezzeranno la sua statura internazionale».
PER SAPERNE DI PIÙ www.nytimes.com www.haaretz.com
Foto: IL "FALCO" Daniel Pipes presidente del Middle East Forum, think tank conservatore
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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INTERVISTA / 1. LO STORICO DI DESTRA DANIEL PIPES
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 19
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Tra due settimane si vota è una manovra elettorale"
Sapeva che avrebbe irritato Obama ma non ha desistito Ed è stato offensivo I nostri negoziatori non sono
incompetenti
». (a. zamp.)
NEW YORK. «Benjamin Netanyahu ha mosso mari e monti per pronunciare il suo discorso di ieri al
Congresso», ricorda James Traub. Professore alla New York University, columnist di Foreign Policy , autore
di vari libri, tra cui una biografia di Kofi Annan e un saggio sulla politica estera di George W. Bush, Traub,
come altri esponenti liberal americani, Traub è molto critico sulla visita di Netanyahu a Washington. «Sapeva
che Barack Obama e i suoi collaboratori di politica estera si sarebbero molto irritati, tanto che il presidente
non ha voluto neanche ricevere Netanyahu alla Casa Bianca. Sapeva che avrebbe incrinato l'approccio
bipartisan che la politica americana ha sempre avuto nei confronti di Israele. Eppure non ha desistito: tutto
questo faceva supporre che il premier israeliano volesse lanciare una proposta nuova sul dossier iraniano. E
invece? Invece, si è limitato a ripetere vecchie cose, avvalorando così la sensazione che dietro alla sua visita
a Washington ci fossero in realtà obiettivi di politica interna, visto che Israele sta per andare al voto».
Traub, alcuni hanno giudicato le parole del premier offensive. È d'accordo? «La primaa dirsi insultataè stata
Nancy Pelosi, expresidente della Camera e attuale capogruppo dei democratici. Ha detto: "Sono in lacrime
non perché mi hanno commosso le parole di Netanyahu, ma perché hanno offeso noi americani". La Pelosi
ha ragione:i nostri negoziatori non sono né incompetenti, né stupidi, come il premier israeliano ha lasciato
intendere. E se lui avesse avuto proposte migliore, avrebbe dovuto illustrarle pubblicamente».
Quali saranno le conseguenze del discorso? «Nella migliore delle ipotesi servirà a far capire a Teheran che
gli Stati Uniti non hanno più margini nelle trattative. Ma nel complesso apparirà irrilevante. Quel che è sicuro
invece è che Netanyahu si è inimicato molti democratici. Faccio un esempio: Robert Menendez, senatore del
New Jersey, un uomo politico che condivide molte opinioni degli israeliani, ma che ora ha preso le distanze
dal premier
Foto: IL LIBERAL James Traub, giornalista, professore alla New York University, è autore di saggi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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L'INTERVISTA/2. IL PROFESSORE JAMES TRAUB
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 23
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Dietro la lotta alla mafia nascondono i loro interessi"
Sono sconcertata e non da ora e per questo ho scelto il silenzio: con questi non voglio avere più nulla a che
fare
ALESSANDRA ZINITI
" PALERMO. «Sono sconcertata. E purtroppo non da ora. Anche per questo sono in silenzio ormai da diverso
tempo. Dobbiamo ammetterlo,è più onesto: prendiamo atto che c'è parte della società che ha fatto della
legalità una convenienza e io con questa antimafia delle apparenze non voglio avere nulla a che fare».
Rita Borsellino è amareggiata e addolorata. È consapevole che l'arresto di Roberto Helg è un altro durissimo
colpo all'immagine del movimento antimafia.
Prima l'indagine per mafiaa carico di Montante, ora l'arresto di Helg. Che sta succedendo? «Dare giudizi
personali è sempre molto difficile, ma questa è una valanga che crea sconcerto nell'opinione pubblica. Ed è
una realtà che purtroppo potrebbe spingere a buttare l'acqua sporca con tutto il bambino.E questo sarebbe
pericolosissimo».
Ma cosa c'è che non funziona sotto le bandiere dell'antimafia? «Il movimento antimafia è nato
spontaneamente in Sicilia sull'onda emotiva delle stragi del 92. C'è tanta gente che si è messa in gioco, che
ha sacrificato il suo tempo e il suo lavoro per educare alla legalitài bambini,i ragazzi.E purtroppo, per quanto
sia doloroso dirlo, evidentemente c'è altra gente che all'ombra di questa bandiera ha costruito i propri
interessi».
Helg sicuramente lo avrete avuto accanto in tante occasioni a parlare di lotta alla mafia e alla corruzione, di
ribellione al racket e legalità. Un grande bluff? «All'inizio non era così. Purtroppo con il passare degli anni
questa parola, legalità, è diventata solo una parola di cui riempirsi la bocca. Io penso a chi pronuncia questa
parola a proprio uso e consumo in convegni e interviste e a chi invece ha immolato al profondissimo concetto
del rispetto della legge la propria vita. E lo ha fatto in profonda solitudine. Ecco, ai nostri ragazzi dobbiamo
dire che gli unici esempi da seguire purtroppo sono quelli che non ci sono più».
Lei sembra aver fatto un passo indietro, perché ha fatto la scelta del silenzio da qualche tempo a questa
parte? «Io continuo a fare quello che faccio da moltissimi anni ormai, vado in giro per le scuole, lavoro con i
ragazzi. Con quegli stessi ragazzi che, evidentemente a ragione, sono diffidenti verso chi ci rappresenta,
verso la politica, le istituzioni. Io stessa mi rifugio in questa nuova generazione. Al resto, all'antimafia che
appare, ho ormai rinunciato con grande amarezza».
Cosa c'è da fare? «Ci vorrebbe un sussulto di consapevolezza, un po' di dignità, un rigurgito di senso di
responsabilità. Dobbiamo essere noi i primi ad isolare questa gente».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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L'INTERVISTA / RITA BORSELLINO
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 28
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Ferrari a Wall Street con una quota superiore al 10%
(p.g.)
GINEVRA. Fca potrebbe vendere più del 10 per cento di Ferrari al momento della quotazione a Wall Street
«Teoricamente e tecnicamente potremmo vendere anche il 90 per cento» spiega con un'iperbole Sergio
Marchionne.
L'ad del Lingotto conferma che lo sbarco della rossa alla Borsa di New York è in programma «entro il terzo
trimestre», probabilmente a luglio. Fuori dalle iperboliè chiaro chei vertici di Torino stanno studiando
l'eventualità di mettere subito sul mercato, in quella occasione, più del 10 per cento. Per quale motivo?
«Stiamo valutando la situazione. Se arrivasse un compratore che si offre di acquistare l'intero pacchetto che
cosa accadrebbe?» Ma è arrivato? «A questa domanda non rispondo». È evidente che maggiore è il
pacchetto messo immediatamente sul mercato, maggiori sono le possibilità che si suddivida tra più
acquirenti. Altrimenti ci si potrebbe trovare nell'imbarazzante situazione di un nuovo socio che possiede da
solo tante azioni quante ne ha Piero Ferrari. Certo, l'ipotesi di dover aumentare il pacchetto della prima
vendita della Casa di Maranello sembra confermare la tesi che Marchionne riassume scherzando: «Vendere
il dieci per cento di Ferrari non è molto difficile. Per questo è bene che le banche collocatrici non si facciano
pagare commissioni troppo alte». La vendita del primo pacchetto Ferrari dovrebbe precedere di qualche
mese la trasformazione delle azioni Fca in modo da consegnare a ciascun socio del Lingotto un titolo del
Cavallino. Lo spin off dovrebbe avvenire «entro fine anno». Ma in quel lasso di tempo come si comporterà il
titolo? Salirà ancora rispetto alla quotazione o, al contrario scenderà consegnando agli azionisti Fca azioni
Ferrari che valgono meno di quelle offerte in vendita con il primo pacchetto? Si tratta, in sostanza di trovare
un punto di equilibrio tra la quantità di titoli da immettere subito sul mercato e il valore di quelli che si
ritroveranno in mano gli azionisti Fca.
In ogni caso l'annuncio di Marchionne sembra parlare soprattutto ai mercati e alle banche: l'ipotesi della
vendita di una quota superiore al dieci per cento di Ferrari dovrebbe ingolosire i primi e abbassare le pretese
dei secondi.
Quel che è praticamente certo è che anche Ferrari avrà una sede legale olandese e una sede fiscale
inglese. «È molto importante - precisa subito Marchionne - che rimangano italiane le attività, la progettazione,
la produzione e la Ferrari spa, che continuerà anche a pagare le tasse in Italia. Se poi nascerà una Ferrari
holding di diritto olandese, questo accadrà perché avremo deciso di seguire la strada già tracciata con Cnh e
Fca».
Nel primo salone di Ginevra senza Luca di Montezemolo, tocca al ceo Amedeo Felisa illustrare sullo stand le
caratteristiche della nuova nata, la 488 Gtb, otto cilindri turbo destinataa sostituire nel tempo la 458 berlinetta
con il motore aspirato. «Abbiamo già registrato un grande interesse per la 488», ha spiegato Felisa. I limiti
imposti dall'Ue su consumi e emissioni di CO2 costringono anche la Rossa ad aumentare l'efficenza del
motore con il turbo.
Foto: AL DEBUTTO Il Salone dell'auto di Ginevra apre ufficialmente al pubblico domani e sarà visitabile fino
al 15 marzo
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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L'OPERAZIONE/ L'AD DI FCA: LA DOMANDA È MOLTO ALTA, C'È CHI VORREBBE QUESTA
PERCENTUALE DA SOLO, IL PROBLEMA È IL PREZZO
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 28
(diffusione:556325, tiratura:710716)
La parabola Dmail da grande promessa della new economy a scatola
finanziaria vicina al fallimento
I soci forti Percassi e Viganò e quello in pectore Farina, non hanno eseguito l'aumento di capitale deciso a
luglio
CARLOTTA SCOZZARI
MILANO. Che ne sia stato dei 15,3 milioni che sarebbero dovuti entrare nella casse della società di
commercio online Dmail entro ottobre nessuno lo sa. Eppure la cifra emerge nero su bianco dal decreto con
cui il tribunale di Milano, l'estate scorsa, ha omologato l'accordo di ristrutturazione del debito da 20,65 milioni
con le banche (Bnl, Mps, Intesa e Unicredit per citare le principali). «Il piano di risanamento - si legge nel
documento - poggia su un aumento di capitale inscindibile per 15,3 milioni che dovrebbe essere deliberato
entro fine luglio ed eseguito entro ottobre». Lo stesso decreto aggiunge che il piano poggia sull'impegno
assunto «a vario titolo a sottoscrivere detto aumento» dal patron dell'Atalanta Antonio Percassi, da Gianluigi
Viganò, soci di Dmail rispettivamente al 17,3% e all'11,5%, e dallo stampatore Vittorio Farina, grande
azionista "in pectore" della società. In effetti dall'ultima relazione finanziaria (al 30 settembre) della società,
nota per vendere gli oggetti più divertenti e impensabili, risulta che fino allo scorso ottobre Percassi e Farina
avessero versato 7,5 milioni in «conto futuro aumento di capitale».
Una cifra che andrebbe quasi a coprire metà dell'importo necessario per rimettere in sesto Dmail, ma che
non si è ancora tradotta in un vero e proprio rafforzamento patrimoniale: «Tali versamenti saranno convertiti
in capitale - spiega la relazione - alla liberazione ed esecuzione dell'aumento stesso». Operazione che,
almeno stando alle comunicazioni ufficiali della società, a oggi non si è verificata. Insomma, per Dmail, che è
quotata in Borsa, la fase sembra quanto mai complessa. Sembrano ormai lontanissimi i fasti della new
economy , tra la fine degli anni Novanta e l'inizio dei Duemila, quando a guidarla e controllarla era Rinaldo
Denti. Mentre sono molto più vicini, visto che si parla della primavera del 2014, ma sembrano comunque
lontani anni luce i tempi in cui Dmail si faceva avanti come "cavaliere bianco" di Seat Pagine Gialle.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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IL PUNTO
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 29
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"La Luxottica del futuro con Google e Intel"
Parlano i due nuovi ceo del gruppo, Khan e Vian: faremo più cose e più velocemente, il fatturato raddoppierà
in 10 anni Continueremo lo scouting di licenze, un rapporto 70-30 secondo noi va bene, nel 2015 partiamo
con Kors L'e-commerce cresce bene, il segreto di Ray Ban è la sua piattaforma logistica per gli occhiali su
misura
GIOVANNI PONS
MILANO. Gli investitori di Borsa sono rimasti un po' delusi dal fatto che Luxottica ha distribuito un dividendo
maggiorato (687 milioni) ma non così come avrebbe potuto, avendo generato ben 803 milioni di cassa nel
2014. Il titolo così è sceso del 2,86% a 54,40 euro ma la corsa fatta dal minimo di 35 euro di ottobre è di oltre
il 60%.
Leonardo Del Vecchio può dunque dire di aver superato con successo il periodo turbolento del cambio di
management, avvenuto tra agosto e ottobre scorso, con l'uscita prima di Andrea Guerra e poi di Enrico
Cavatorta. Turbolenza che ha preso spunto anche dalla risistemazione delle quote della holding di famiglia, la
Delfin, che ha visto lo stesso Del Vecchio riprendersi una quota del 25% da destinare in futuro all'attuale
moglie. Orai due Ceo nei panni di Adil Mehboob-Khan e Massimo Vian prendono in mano le redini del gruppo
e dovranno dimostrare di saper continuare sulla strada di crescita che dura ormai da più di vent'anni. Pensate
che la nuova organizzazione con due amministratori delegati con differenti funzioni possa funzionare meglio
rispetto a prima e perché? Khan: «L'idea di introdurre due Ceo in Luxottica in realtà covava da molto tempo,
vista la mole di lavoro. La divisione dei ruoli tra noi è molto naturale, io mi occupo di mercati, retail, go to
market, Massimo Vian dell'area innovazione, prodotto e sviluppo delle collezioni. Poi vi sono quattro aree
condivise: la finanza, le relazioni esterne, il legale e le risorse umane.
Non ci sono sovrapposizioni, il feeling tra noi è ottimo e ci stiamo anche divertendo. È passato solo un mese
e mezzo dal nostro insediamento ma la scommessaè che grazie a due Ceo si potranno fare più cose e più
velocemente».
L'obbiettivo di raddoppiare il fatturato di Luxottica nei prossimi dieci anni è ambizioso. Come pensate di
farcela? Vian: «Se cresciamo ogni anno con lo stesso ritmo degli ultimi 5, cioè al 7-8%, il risultato finale è
quello che abbiamo indicato. Ma ovviamente su una base di ricavi crescente aggiungere il 7-8% diventa via
via più difficile. Ma riteniamo di avere tutte le leve necessarie per raggiungere l'obiettivo.
La strategia, però, non cambia, puntiamo sulla crescita organica ma anche su quella per linee esterne, come
Luxottica ha fatto nel corso degli anni. Dobbiamo cercare di fare ovunque ciò che sappiamo già fare bene in
alcune aree».
Luxottica realizza anche una buona parte del fatturato con le licenze. Nel 2015 lancerete Michael Kors,
pensate di ampliare ulteriormente il portafoglio? Khan: «Certamente lo scouting di licenze continuerà.
Luxottica ha un fatturato leggermente più alto nella divisione retail ma guadagna di più nel wholesale dove ci
sono margini più alti. Le licenze pesano per il 30%, dei 33 brand in portafoglio più di 20 sono in licenza.
Vogliamo mantenere dinamico il portafoglio, un rapporto 7030 va bene».
Il gruppo Kering ha deciso di portare in casa la produzione e distribuzione degli occhiali con i propri
marchirzi. È una strategia che vi preoccupa? Vian: «Luxottica sviluppa circa 2 mila nuovi modelli di occhiali
ogni anno. Non credo che gruppi della moda possano replicare un sistema come quello di Luxottica né nella
produzione né nella distribuzione. In Italia abbiamo sei stabilimenti che realizzano il 43% di tutta la nostra
produzione, con volumi alti e una manifattura di ottimo livello riusciamo a essere molto attraenti per chi ha un
marchio da concedere in licenza».
Anche nell'e-commerce avete numeri in crescita. È un'area di business su cui state puntando e investendo?
Khan: «Luxottica realizza con l'e-commerce circa 200 milioni di ricavi, solo con il marchio Ray Ban la crescita
è stata del 100% con 50 milioni di fatturato. Il successo di Ray Banè dovuto alla piattaforma logistica che
permette di personalizzare l'occhiale, viene prodotto in Italia o in California e nel giro di 3-4 giorni il cliente
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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L'INTERVISTA
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 29
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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riceve a casa il proprio pezzo unico. È un'area che può crescere molto e a cui dedichiamo molta attenzione e
risorse». Dopo il primo lancio dei Google Glass l'entusiasmo sembra essersi spento.È ancora in piedi la
vostra partnership con l'azienda di Mountain View? Vian: «L'accordo con Google continua, dopo la prima
versione Explorer all'interno dell'azienda è stata creata una divisione specifica ed è stato ingaggiato Tony
Fadell da Apple che aveva messo la sua firma sull'Ipod. Luxottica si occupa dello studio estetico per i
prossimi Google Glass che verranno distribuiti al pubblico. Ci siamo già assicurati l'esclusiva della
distribuzione nel settore eyewear».
Avete pensato ad altri accordi di questo tipo negli ambiti in cui l'innovazione è più forte? Vian: «É stato da
poco siglato un accordo con Intel seguendo il filone delle maschere da sci lanciate da Oakley, che ci permette
di sperimentare campi specifici in ambito sportivo legati al marchio californiano. Ma tutta l'area dei dati
biomedici legati al corpo umano è in forte evoluzione e nei prossimi anni i device si sposteranno al polso e
all'occhiale, per offrire esperienze digitali sofisticate».
Foto: TANDEM AL VERTICE Adil Mehboob-Khan e Massimo Vian
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 32
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IL MIO AMICO NEMTSOV E I "BUONI" RUSSI
MAREK HALTER
ERO andato a Mosca a presentare un mio libro appena tradotto in russo, e mi sono ritrovato alla testa di un
corteo di cinquantamila persone che rendeva omaggio al mio vecchio amico Boris Nemtsov, appena
assassinato.
C'erano i soliti nostalgici del comunismo, i nazionalisti e gli esponenti della destra xenofoba. C'era anche
quell'intelligentsia politica d'opposizione composta da chi era giovanissimo quando al potere c'era Eltsin, e
che approfittò del vuoto politico lasciato dalla caduta dell'Urss. Nel lungo corteo, i "politicizzati" erano una
piccola minoranza, sìe no, un decimo del totale. E quando lanciavano uno slogan, la folla non lo riprendeva
neanche.
Tutti gli altri, li definirei, come hanno fatto i giornali moscoviti, dei "buoni" russi, persone che manifestavano
perché non vogliono vedere morti ammazzati per le strade di Mosca. È forse per questo motivo che c'erano
migliaia di bandiere russe. Già, perché i russi sono patrioti, e il patriottismo consiste nel rifiuto di omicidi del
genere.
Conoscevo Nemtsov da trent'anni. Era un uomo dolcissimo, e un grande amante dell'Occidente, in
particolare dell'Italia, dove era stato diverse volte. Sua madre era ebrea, e insieme parlavamo yiddish.
Assieme all'ex premier Kasyanov e a Kudrin, ha introdotto l'idea di un liberalismo all'occidentale, soprattutto
nelle facoltà di economia russe. Nemtsov era il più inoffensivo degli oppositori del regime putiniano.
Il suo solo progetto politico, o meglio, il suo sogno, o la sua chimera, era di "europeizzare" la Russia
democratizzandola.
Ma la Russia è diversa dall'Europa, geneticamente. Ogni Paese va visto e analizzato nella sua unicità. La
Russia è una nazione-continente, con una popolazione che non è abituata alla politica, dove non esiste una
tradizione democratica e partecipativa, dove i partiti hanno un ruolo molto diverso da quello che hanno in
Europa, e dove la stampa libera non esiste. Ho recentemente trovato uno scambio epistolare tra Tolstoj e
Gandhi. In una lettera, il Mahatma chiede al grande scrittore perché i russi subiscono passivamente, senza
mai ribellarsi, sia pure come gli indù, in modo pacifico. Tolstoj gli spiega che il suo popolo «può restare
sommerso nella merda per cent'anni», immobile, sopportando ogni cosa, fino al giorno in cui non ne può più,
si alza in piedi, si scrolla di dosso ciò che lo sporca, schizzando il mondo intero, per poi rimettersi supino per
un altro secolo. Non è quando la Cina si sveglierà che il mondo tremerà: ciò accadrà quando a svegliarsi sarà
la Russia. Chi ha ucciso Nemtsov? Se fossi un investigatore del Fbi non saprei da dove cominciare, perché è
stato un omicidio pulitissimo e organizzatissimo. Una cosa è certa: in un momento di difficili negoziati con
l'Occidente per l'Ucraina, a Putin non conviene mostrare un Paese dove lo stato di diritto è calpestato e dove
l'opposizione non è protetta. Per lui, in questa congiuntura, l'ultima cosa che ci voleva è l'assassinio del più
debole dei suoi oppositori. C'è perciò chi ha pensato al complotto internazionale: i servizi segreti americani
che, per mettere in cattiva luce il presidente russo, avrebbero lanciato i loro scherani contro Nemtsov.
Ma anche questa ipotesi è alquanto inverosimile. Quanto a chi sostiene che la colpa sia dello stesso regime
per il clima di odio creato in questi mesi, rispondo che in Russia non c'è bisogno di aizzare la popolazione,
perché sono tutti profondamente nazionalisti. E Putin ovviamente ne trae vantaggio. Più la stampa e le tv
estere lo insultano, più lui guadagna consenso.
Ai russi non piace che si sputi sul loro leader, anche se loro lo considerano un poco di buono. La gente non
ama che l'Occidente impartisca lezioni di morale alla Russia.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Lettere Commenti & Idee
04/03/2015
La Repubblica
Pag. 32
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MICHELE SERRA
NEMMENO la più accesa passione politica riesce a spiegare certe rivalità tra capi, specie dello stesso
branco, che si azzannano come se l'azzannarsi fosse parte integrante del loro ruolo. E magari lo è, ma in
termini etologici e non ideologici, cose da maschi alfa che devono stabilire chi è che comanda, e chi deve
sottomettersi. L'odio tra Salvini e Tosi, per esempio, non consente una lettura puramente politica, non esiste,
dentro la Lega, nessuna divergenza "di linea" che sia tanto drastica da spiegare perché l'uno voglia far fuori
l'altro. Sono solo questioni di supremazia personale: punto. Stesso discorso per l'animosità furente del
vincitore delle primarie in Campania, De Luca, uno che parla degli avversari affilando le parole come coltelli,
tira a distruggerli, un supermacho, uno che non fa prigionieri. Perfino di un uomo saggio e signorile come
Bersani viene da sospettare, a volte, che voglia regolare i conti interni con chi lo ha ferito, magari a
tradimento. E anche se la politica è sangue e merda, come diceva Rino Formica, piace immaginare come
sarebbe, la scena, con meno maschi in giro, e qualche femmina, anche se matriarca, che regola le cose.
Magari poi il potere renderebbe ferine anche le donne; ma almeno questa eterna rissa per capire chi ce l'ha
più lungo, quella ce la risparmierebbero.
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L'amaca
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La Repubblica
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L'ANTIMAFIA DOCILE E OSCURANTISTA
"Esiste ufficialmente da una cinquantina d'anni ma sinora non era mai stata così ubbidiente cerimoniosa e
attratta dal potere
ATTILIO BOLZONI
DA quando esiste - una cinquantina d'anni ufficialmente - non è mai stata così ubbidiente, cerimoniosa e
attratta dal potere. Più attenta all'estetica che all'etica, l'Antimafia sta attraversando la sua epoca più
oscurantista. Proclami, icone, pennacchi, commemorazioni solenni e tanti, tanti soldi. C'è un'Antimafia finta
che fa solo affari e poi c'è anche un'Antimafia ammaestrata.
Neè passato di tempo dalle uccisioni di Falcone e Borsellino e il movimento, che era nato subito dopo
l'omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesae che aveva trovato nuova forza dopo le stragi del 1992,
sopravvive fra liturgie, litanie e un fiume di denaro. Tutto ciò che conquista lo status di antimafia «certificata»
si trasforma in milioni o in decine di milioni di euro, in finanziamenti considerevoli a federazioni antiracket, in
contributi per «vivere la neve» (naturalmente con legalità), in uno spargimento di risorse economiche senza
precedenti e nel più assoluto arbitrio. È un'Antimafia sottomessa. Soggetta all'altrui benevolenza e alla
concessione di un generoso Pon (Programma operativo nazionale Sicurezza e Sviluppo, ministero
dell'Interno) o di somme altrettanto munificamente elargite dalla Pubblica Istruzione, la sua conservazione o
la sua estinzione è decisa sempre in altro luogo. Così il futuro di un circolo intitolato a un poliziotto ucciso o a
un bambino vittima del crimine, di uno "sportello" anti-usura, di un "Osservatorio" sui Casalesi o sui
Corleonesi, di un Museo della 'Ndrangheta,è sempre appesoa un filoea un "canale" che porta a Roma. C'è
chi chiede e chi offre. Il patto non scritto è non disturbare mai il potente del momento. Addomesticata,
l'Antimafia è diventata docile e malleabile.
È un'inclinazione che naturalmente non coinvolge tutte le associazioni (anche se, in più di un'occasione, lo
stesso don Ciotti ha strigliato i suoi per una certa inadeguatezza di conoscenza e un conformismo che si è
diffuso dentro Libera), ma gran parte dell'Antimafia sociale ormai è in perenne posa, immobile, come in un
fermo immagine a santificare "eroi" e a preoccuparsi di non restare mai con le tasche vuote.
È un'Antimafia consociativa. Dipendente da quella governativa che presenzia pomposamente agli
anniversari di morte, che organizza convegni alla memoria, che firma convenzioni e protocolli con gli amici
che sceglie a suo piacimento sui territori. A parte il caso estremo del presidente di Sicindustria Antonello
Montante - indagato per concorso esterno, a capo di una consorteria che ha occupato ogni luogo decisionale
della Regione, comprese quelle camere di commercio siciliane dove è stato appena arrestato il suo vice
Roberto Helg per una tangente di 100mila euro - e a parte gli inevitabili approfittatori o i saltimbanchi che
girano l'Italia come al seguito di un circo, la questione che stiamo dibattendo è molto più seria e profonda
proprio perché è quasi l'intero movimento antimafia che si è svilito.
In questo clima felpato e silenziato anche il fronte giudiziario ha perso molte delle sue energie. Se si
escludono singoli magistrati, anche capi degli uffici - a Roma, Reggio Calabria, in Sicilia, a Milano, a Bologna
- in troppi guardano molto al passato e poco al presente, alla faccia nuova del crimine. C'è difficoltà
nell'intercettare le evoluzioni del fenomenoe nell'analisi. Qualche giorno fa, la relazione annuale (periodo dal
1 luglio 2013 al 30 giugno 2014) del procuratore nazionale Franco Roberti non ha offerto un solo spunto
originale, fra 727 pagine neanche qualche riga dedicata al mutamento dei rapporti delle mafie con la politica e
con i poteri economici sospetti. Una relazione innocua. Unico «scatto» il riferimento ai silenzi della Chiesa
(dimenticando gli effetti clamorosi nelle diocesi dopo il viaggio di Papa Francesco in Calabria dell'anno
scorso) che ha provocato la reazione di Nunzio Galantino, il segretario della Conferenza Episcopale Italiana:
«Procuratore, questa volta ha toppato». È un'Antimafia sempre più cauta. Soprattutto quando si avvicina
dalle parti del Viminale. Dopo Claudio Scajola (arrestato per concorso esterno) e dopo Annamaria Cancellieri
(in rapporto trentennale intenso con una delle famiglie di più cattiva reputazione del capitalismo italiano) è
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Lettere Commenti & Idee
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arrivato dalla Sicilia Angelino Alfano. È uno di quelli che insieme al suo grande amico Totò Cuffaro (arrestato
per mafia) rivendicò a Palermo la paternità dello slogan «la mafia fa schifo». È sempre stato legatissimo al
Cavaliere Silvio Berlusconi (sotto sospetto permanente di legami con Cosa Nostra attraverso Marcello
Dell'Utri) fin da quando è entrato in Parlamento. È lui che qualche settimana fa ha ancora fortissimamente
voluto Antonello Montante (indagato per mafia) all'Agenzia nazionale per i beni confiscati. La domanda
rischia di scivolare nella banalità: come si combina la tanto sbandierata (e crediamo sincera) fede antimafia
del ministro Alfano con quei rapporti politici e personali così stretti, con un'intimità così spinta verso
personaggi che a svariato titolo e nelle più diverse situazioni non hanno certo titolo per vantare titoli antimafia
realisticamente cristallini (Cuffaro e Berlusconi) o ricoprire incarichi istituzionali (Montante)? Ministro Alfano,
non basta dire «la mafia fa schifo».
L'Antimafia ormai è materia sfuggente o addirittura materia d'indagine, come dimostrano negli ultimi giorni e
negli ultimi mesi i "paladini" finiti in carcere o invischiati in losche faccende. Come fa a non saperlo anche
Alfano che nell'ottobre del 2013 ha voluto portare a Caltanissetta - la città dove Montante ha il suo quartiere
generale - il comitato nazionale di ordine pubblico e sicurezza? In Sicilia non accadeva dai giorni delle stragi
Falcone e Borsellino. Cosa è avvenuto, nel centro Sicilia, di così straordinario o di così drammatico per far
arrivare capo della polizia, comandanti di Arma e Finanza, i direttori dei servizi di sicurezza? Nulla,
assolutamente nulla. Ma anche lì, a Caltanissetta, serviva un bollo, uno di quei "certificati" per dichiarare
quella città capitale dell'Antimafia. "Zona franca per la legalità" d'altronde l'aveva già battezzata il governatore
Raffaele Lombardo, uno condannato in primo grado a 6 anni e 8 mesi per reati di mafia. Ecco perché, fra tanti
travestimenti e ambiguità o semplici equivoci, forse è arrivato il momento di una riflessione su cos'è
l'Antimafia e dove sta andando.
PER SAPERNE DI PIÙ www.sicurezzasud.it www.partitodemocratico.it
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"Solamente la pace a Tripoli ferma i migranti"
Il vicepresidente della Commissione Ue: possiamo fermare i trafficanti di profughi E su Schengen: «Va
rafforzato»
Marco Zatterin
A PAGINA 5 «Tutto si tiene», confessa Frans Timmermans. Lo dice in italiano, alla vigilia del dibattito di
orientamento sulla questione dei flussi migratori previsto per oggi alla Commissione Ue, di cui l'olandese è
primo vicepresidente. «Per tutti i governi è un caso da affrontare in modo omnicomprensivo - spiega -. Si
impone più efficacia nel combattere gli illegali, ma si deve anche trovare una via per utilizzare i flussi legali e
metterli al servizio dell'economia. Sono due facce della stessa medaglia. Se non risolvi l'una, difficilmente la
gente accetterà l'altra». L'ex ministro degli Esteri del governo Rutte, già diplomatico, poliglotta e socialista,
suggerisce la necessità di «combinare politica estera, efficacia normativa, interventi nelle regioni di
provenienza dei rifugiati e rafforzamento della sicurezza dei confini esterni». Oltretutto, aggiunge, «abbiamo
bisogno d'una vera solidarietà fra gli Stati», cosa non facile nell'era dei populismi diffusi quanto le minacce.
«Dobbiamo agire in modo razionale - spiega -. Senza commettere gli errori che fanno dire alla gente "stanno
distruggendo la nostra vita"». Le regole ci sono. Spesso non sono ben applicate. «In effetti vanno usati
strumenti e leggi esistenti in modo migliore e più coordinato. Il fenomeno è mutato, non riguarda solo alcuni.
Ecco l'esigenza d'un approccio diverso e di nuova politica comune». A Lampedusa riprendono gli sbarchi. Le
soluzioni potrebbero arrivare troppo tardi. «Non è vero. Il problema che abbiamo in Libia, per esempio, è che
non c'è uno Stato con cui parlare, bensì tre gruppi che non lavorano insieme. Renzi ha ragione. Serve uno
sforzo maggiore per favorire la nascita di strutture libiche funzionanti. Bloccherebbe il flusso dei rifugiati. Può
essere fatto in tempi brevi». Come arginare i trafficanti di anime in fuga? «Sono grandi gang criminali a cui la
gente paga 4500 euro in cambio del rischio di morire nel Mediterraneo. Dobbiamo identificare i loro asset
finanziari, abbiamo strumenti europei e nazionali per farlo. Trovare i soldi, vedere dove vanno, scoprire chi
possiede le navi. Guadagnano milioni sfruttando chi fugge dalla guerra. Possiamo fermarli». I Ventotto hanno
davvero la volontà di farlo? «C'è un'ambizione diffusa fra le capitali di aumentare la cooperazione solidale alla
voce "Immigrazione"». In ogni paese esiste però un Salvini che dice cose come «i padani sono vittime della
pulizia etnica coordinata dall'Ue». «È un pensiero rivoltante». C'è chi gli crede e lo vota. «Invito sempre a
diffidare dei politici che hanno soluzioni semplici per problemi articolati, di chi trova sempre qualcuno a cui
dare la colpa. Gli estremisti affermano che è tutto facile. Poi non li vedo rispettare le promesse fatte». Avete
rifinanziato la missione Triton in febbraio. Ci potranno essere altri soldi? «Seguiremo la situazione. Non lo
escludiamo». La questione migratoria si unisce al dossier Sicurezza, no? «È l'altra faccia, anche se è sciocco
pensare che con una diversa politica per l'immigrazione si fermano i jihadisti. Chi commette gli attacchi vive
già fra di noi». Qual è la risposta? «Identificarli e sapere come si muovono. Rafforzare Schengen per sapere
chi esce e quando torna. Serve un migliore scambio di informazioni, una piattaforma che permetta ai servizi
di polizia di lavorare insieme, per esempio mediante Europol. E un sistema europeo per la raccolta dei dati
dei passeggeri». Il jihadismo è anche un problema sociale. «Ha radici profonde. Sono giovani che si sentono
esclusi e nei salafiti vedono chi li fa sentire a casa. È problema sociale, ma anche morale: sono catturati dal
totalitarismo». Come opporsi? «C'è molto da fare in termini di istruzione e consapevolezza. Non si diventa
jihadista in un attimo. È un cambiamento graduale che bisogna riuscire a capire». Siamo in pericolo? «Non
esistono società sicure. Siamo vulnerabili perché aperti. Ma la risposta non è chiuderci, sarebbe un errore
tragico. Diventeremo ostaggi dei terroristi».
Così la situazione in Italia
7882 Migranti Sono le persone sbarcate nei primi due mesi del 2015 sulle coste italiane, il 43% in più rispetto
allo stesso periodo del 2014
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INTERVISTA PARLA TIMMERMANS
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67.128 Stranieri Ospiti nelle strutture d'accoglienza (temporanee e centri d'accoglienza per richiedenti
d'asilo). La maggior parte (13.999) in Sicilia
69 Sbarchi Quelli dei primi due mesi sulle coste italiane, in gennaio e febbraio 2014 furono 46 Lo scorso anno
sono arrivate 170 mila persone
1657 Strutture Sono i centri temporanei presenti in Italia: è qui che si trova il maggior numero di ospiti, 37
mila. I richiedenti asilo sono 10.110
Dobbiamo bloccare beni e finanziamenti di gang che sfruttano gente disperata Sono rivoltanti le parole di
Salvini sui «padani vittime della pulizia etnica voluta dalla Ue» Frans Timmermans Primo vicepresidente della
Commissione europea, Commissario per le relazioni interistituzionali e la carta dei diritti fondamentali
3500 jihadisti Europei che sono andati a combatte in Siria. Alcune centinaia sono tornate nei Paesi di origine
4500 euro La somma chiesta dai trafficanti di immigrati per un viaggio su un barcone dalla Libia all'Italia
Foto: ALBERTO PIZZOLI /AFP Un gruppo di migranti provenienti dalla Libia soccorsi e sbarcati a Lampedusa
aspettano il traghetto per Porto Empedocle
04/03/2015
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L'Antitrust stringe su Mediaset "Dica perché vuole il 66% di Rai Way"
Ma il Biscione è pronto a modifiche su quota e vincoli
FRANCESCO SPINI MILANO
L'Antitrust vuole vederci più chiaro nell'offert a l a n c i a t a d a E i Towers, controllata da Mediaset, su Rai
Way e tesa a creare il campione nazionale delle torri di trasmissione del segnale tv. L'authority guidata da
Giovanni Pitruzzella ha inviato una lettera all'offerente (che avrà 5 giorni per rispondere) per chiedere ulteriori
informazioni «ritenendo che quelle fornite in sede di comunicazione preventiva» fossero «gravemente
incomplete» e comunque «non idonee a consentire una compiuta valutazione dell'operazione». Gli argomenti
principali sarebbero principalmente due. Il primo è capire perché la società del Biscione abbia lanciato
l'offerta su almeno il 66,67% quando il governo attraverso un Dpcm abbia stabilito che la soglia minima del
51% debba restare in capo alla Rai e quindi pubblica. Inoltre vuole avere tutti i dati che riguardano i mercati a
valle delle torri, ovvero quello della copertura televisiva e del mercato pubblicitario sottostante. Facile intuire
che alla prima domanda, quella sull'ambizione proibita ad arrivare alla maggioranza, Ei Towers risponderà
come ha risposto due giorni fa alla Rai, e cioè che il decreto è stato adottato «nel contesto della quotazione in
borsa di Rai Way». Dunque, ritengono nel gruppo che fa capo a Berlusconi, la quota pubblica di
partecipazione non è scolpita nella pietra e può essere modificata, come avvenuto di recente con la decisione
di Padoan di scendere nel capitale di Enel dal 31% al 25,5%. Se nel gruppo le bocche restano ben cucite,
nessuno si è però scomposto di fronte a domande dell'authority che vengono giudicate quasi rituali e
comunque del tutto consuete in operazioni di questo genere, tanto più quando a tirare la giacchetta si è
messa la commissione di Vigilanza sulla Rai: logico che l'authority chieda il massimo delle informazioni. Lo
stesso film si era già visto ai tempi della fusione tra Elettronica Industriale e Dmt, che sotto Ei Towers unì gli
unici due operatori ai tempi sul mercato (Rai Way era ancora una divisione di Viale Mazzini). Anche allora
furono esaminati i mercati a valle e dall'Antitrust uscì tutta una serie di impegni assai severi (un trattamento
da monopolista, nei fatti) per Ei Towers: aprire il servizio a tutti, garantire a tutti lo stesso livello di servizio e
adottare un prezzo regolamentato. Adottati tali impegni, il Biscione anche ora, sebbene l'offerta non lo
espliciti, è disposto ad accettare eventuali nuovi vincoli che dovessero derivare dal nuovo esame
dell'authority e pure a modificare in corsa la rotta. Il gruppo è pronto a far valere la clausola contenuta nella
stessa offerta con cui può «rinunciare a una o più delle condizioni di efficacia dell'offerta ovvero a
modificarle». Questo vale anche per la quota minima del 66,67% che non sarebbe un punto fermo
irrinunciabile. Se proprio fosse impossibile portare a termine l'operazione come inizialmente immaginata,
l'idea resta quella di sondare possibili alternative, quale quella dell'operatore terzo (sia Rai che Mediaset
dovrebbero avere una quota ben inferiore al 30%) o anche a maggioranza pubblica (con la regia di Cdp).
L'importante - è il ragionamento - è che si faccia qualcosa per esprimere il valore delle due imprese e si crei
un operatore unico con un forte senso industriale e con un azionariato italiano. Ed escludere così che i tralicci
tv facciano il percorso di quelli telefonici di Wind, finiti agli spagnoli di Abertis.
51% La quota pubblica Secondo la legge la maggioranza di Rai Way deve restare in mano pubblica giorni Il
tempo concesso dall'Antitrust a Mediaset per fornire chiarimenti sull'offerta per Rai Way
Foto: La sede di Mediaset
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Retroscena
04/03/2015
La Stampa
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"Questa è l'ultima occasione per avere giustizia"
Il figlio di una delle vittime: "Sono qui che lo aspetto"
BARBARA COTTAVOZ NOVARA
«Io sono qui e lo aspetto, l'Alain Delon del terrorismo. Ho pazienza e vincerò. Lui lo sa». È un duello che non
finisce mai tra l'ex terrorista dei Pac Cesare Battisti e Alberto Torregiani, 51 anni, figlio del gioielliere ucciso a
Milano durante un agguato. Quel 16 febbraio '79 era un ragazzino ma porta ancora oggi i segni dell'assalto:
cadendo, il padre Pierluigi sparò un colpo che colpì il figlio alla schiena paralizzandolo. A lungo dipendente
del Comune di Novara, adesso vive in un paesino della provincia dove ieri ha saputo dell'espulsione di
Battisti. Cosa significa questa notizia? «Mi ha colto di sorpresa. Però non è più come un tempo quando il
passato mi tornava addosso con una fortissima botta emotiva». Che cosa è cambiato? «Sono stufo di fare il
bravo ragazzo. Adesso picchierò i pugni sul tavolo: è l'ultima occasione per avere giustizia. Se anche il
governo di Renzi non la coglierà, la figuraccia sarà sua. Io però non sto più zitto e buono. Capisco le
questioni economiche e finanziarie ma la giustizia deve passare davanti a tutto. Chiedo solo di applicare le
sentenze pronunciate dai giudici italiani». Si immagina Battisti in prigione? «Non ho mai preteso che si
facesse due ergastoli ma qualche a n n o s ì . Te m o i nve ce c h e quando arriverà in Italia qualcuno correrà
a portargli i fiori e a eleggerlo in Parlamento». Lui si è sempre proclamato innocente. «Allora perché fugge?
Se ha le prove della sua innocenza, come ripete, perché non le tira fuori? Ha sempre millantato bene le sue
bugie e c'è tanta gente che gli ha creduto, in Italia come in Francia. Persone non comuni, tra l'altro, con
grande riscontro mediatico e sociale». In passato lei ha anche incontrato il presidente Sarkozy per parlargli
della vicenda Battisti. «Sì, e lui se ne è lavato le mani. Poi il presidente del Brasile Lula ha concesso l'asilo
politico. Era tutto fatto, era già pronto l'aereo ma evidentemente i poteri forti non hanno voluto». Avete mai
avuto contatti? «Mi ha scritto una lettera attraverso la sua amica, la scrittrice Fred Vargas. Diceva che voleva
mostrarmi le prove della sua innocenza, io gli ho chiesto di farlo pubblicamente. È finito tutto lì. Ho cercato di
leggere i suoi libri ma ho lasciato perdere: sono abominevoli». Che cosa farà adesso? «Mi muoverò con il mio
partito, Fratelli d'Italia, perché finalmente venga ripresa in mano la pratica-Battisti. E poi tirerò fuori dal
cassetto il libro giallo che sto scrivendo e ha uno come lui come protagonista. La sua vita è veramente un
romanzo. Ma aspetto a finire l'ultimo capitolo: con Battisti non si sa mai».
Foto: Alberto Torregiani Ha 51 anni ed è il figlio del gioielliere milanese ucciso nel '79 in un agguato dei Pac
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Intervista
04/03/2015
La Stampa
Pag. 25
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Elkann: «La Stampa è inutile, buone prospettive»
[TEO. CHI.]
Non solo auto, ma anche editoria per John Elkann, ieri al Salone di Ginevra. Il presidente di Fca e di Exor fa il
punto sul quotidiano La Stampa, controllato da Fca tramite Italiana Editrice, e su Rcs. «La Stampa ha avuto
un buon 2014, abbiamo chiuso l'anno in utile racconta l'esponente della famiglia Agnelli che di Italiana
Editrice è presidente -. Grazie al lavoro di tutta la squadra, sul digitale abbiamo superato le 30 mila copie
vendute al mese, con una crescita dei ricavi del 20%». Secondo Elkann, sono molto positive le prospettive
per il 2015 di Italiana Editrice, società nata dalla fusione de La Stampa con Il Secolo XIX, quotidiano
genovese della famiglia Perrone. «L'abbinamento ha migliorato il prodotto e stimiamo una crescita del digitale
sia per la diffusione sia per i ricavi della pubblicità. Siamo molto soddisfatti per come sta procedendo
l'operazione».Più problematica la vicenda di Rcs che controlla il Cor- riere della Sera e di cui Fiat è il primo
azionista col 16,7%. «In Rcs sostiene Elkann precisando «che è una società che noi non controlliamo» - è in
corso un'opera di risanamento, portata avanti con successo dall'attuale management, che le permette di
avere prospettive positive per il suo futuro. Rcs presenterà i risultati del 2014 nel consiglio dell'11 marzo. Su
Rcs interviene anche Sergio Marchionne. «In Fca chi gestisce la partita Rcs è John Elkann - spiega - Scott
Jovane sta facendo un lavoro adeguato. Starà poi agli azionisti risolvere gli eventuali problemi futuri».
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«Rcs, in corso il risanamento»
04/03/2015
La Stampa
Pag. 27
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Mps crolla in Borsa Oggi il Cda sull'aumento
[R.E.]
TORINO Alla vigilia del Cda che dovrà dare il via libera all'aumento di capitale fino a 3 miliardi richiesto dalla
Bce, Monte dei Paschi crolla in Borsa. Le azioni dell'istituto toscano più volte sospese al ribasso ieri hanno
perso il 9,91%. Fortissimi gli scambi, con 254,8 milioni di pezzi passati di mano: quasi il 5% del capitale
sociale. Oggi il board è chiamato ad approvare il bilancio (il 2014 si è chiuso con perdite pari a 5,3 miliardi),
ma soprattutto ad integrare l'ordine del giorno dell'assemblea degli azionisti convocata per il 14 per la parte
straordinaria, ovvero il rafforzamento di capitale necessario a colmare il deficit di 2,1 miliardi. La riunione dei
soci servirà anche a nominare i nuovi vertici del Monte. Secondo le attese il presidente Alessandro Profumo e
l'amministratore delegato Fabrizio Viola dovrebbero essere confermati al comando anche se al momento né i
soci aderenti al patto né i diretti interessati hanno sciolto formalmente la riserva in merito. Ieri il Consiglio di
amministrazione dell'altra banca uscita malconcia dai test della Bce - Carige - ha invece approvato il progetto
di bilancio del 2014, ma ha fatto slittare al 23 l'assemblea degli azionisti chiamata ad approvare i conti. Con
ogni probabilità sarà quello l'appuntamento per il via libera dei soci alla ricapitalizzazione da almeno 700
milioni che sarà varata dal consiglio di amministrazione appena ottenuto l'ok dalla Bce. Bpce, intanto, ha
svalutato nuovamente la quota nell'istituto genovese. Il socio francese con il 9,9% ha effettuato una
correzione di valore per 120 milioni di euro nei conti 2014 mentre la svalutazione a carico del quarto trimestre
è di 52 milioni.
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CARIGE RINVIA I CONTI
04/03/2015
Il Messaggero
Pag. 3
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Internet veloce, cantiere aperto il vero nodo le poche risorse
Marco Conti
R O M A Sul piatto della banda larga, «il secondo investimento sul futuro» dopo la scuola - come lo definisce
il sottosegretario Graziano Delrio - il governo mette sei miliardi. «Un volano», lo definisce il sottosegretario
nella conferenza stampa notturna dalla quale si comprende che la partita è solo all'inizio e che il nodo delle
risorse resta quello principale. Un nodo che non permette al governo di presentare un provvedimento definito
con tanto di tabelle e date di scadenza, ma solo una cornice dentro la quale «si lascia al mercato la scelta
della tecnologia». Va in soffitta - almeno per ora - l'idea dello «switch off» della rete in rame che tanta
apprensione aveva creato nei vertici Telecom e si ribadisce un obiettivo, quello della connessione a 30
megabit per tutta la popolazione entro il 2020. SCONTI Un po' poco rispetto alle ambizioni del piano Tiscar e
dei progetti messi nero su bianco dalla Cassa depositi e Prestiti con il vettore Metroweb. La libertà
tecnologica che si lascia agli operatori mette in soffitta anche l'ipotesi di un'unica agenzia nazionale che
arrivava a mettere insieme la fibra con le torri di trasmissioni di Rai Way e quelle di Mediaset tramite Ei
Towers. Sgravi fiscali, contributi, voucher e catasto delle reti i tre punti di forza di una cornice ancora priva del
contenuto principale: le risorse. Il rischio che la cornice del ministro Guidi finisca come il piano Romani che
prevedeva la diffusione della banda larga entro il 2012, potrebbe diventare concreto se si limitasse ad elargire
sconti fiscali. Inizialmente il piano di azione "Strategia italiana per la banda larga" prevedeva un fabbisogno di
oltre 11 miliardi di euro, di cui 8 per la sola prima fase. Ai 4 miliardi provenienti dal fondo di coesione
andrebbero aggiunti due miliardi da fondi regionali e due dagli investitori privati. «Perchè i progetti di banda
ultra larga, così come pare usciranno dal Cdm, si realizzino servono risorse pari a 12-15 miliardi di euro»,
spiegava ieri pomeriggio ai microfoni di Skytg24 Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio
della Camera. Cifre lontane da quelle messe a disposizione del governo. Indicando sei miliardi Delrio si limita
a mettere insieme i fondi di coesione a quelli regionali tralasciando il contributo che dovrebbero mettere i
privati. LIBERTA' Alla cornice manca il quadro. Ed è forse per questo che ieri sera Renzi, al termine del
consiglio dei ministri, non ha speso una parola per difendere un piano che sembra non convincerlo del tutto.
L'obiettivo iniziale del governo era quello di portare Telecom al tavolo della trattativa, ma per ora la minaccia
di accelerare lo spegnimento della rete in rame ha creato talmente tante reazioni non solo da parte dell'ex
monopolista ma anche delle banche creditrice di Telecom - da spingere il governo a soprassedere. Renzi sa
però che lo stallo favorisce le imprese che potranno investire scegliendo i tempi, la tecnologia, se arrivare o
meno con la fibra alle centraline o alle case e le aree dove investire. Il silenzio di Renzi, al quale solitamente
piace mettere la faccia sulle cose che condivide, e le poche battute spese dal ministro Guidi confermano
come il cantiere sia ancora aperto e che sviluppi potrebbero esserci da ciò che deciderà Telecom nel
consiglio d'amministrazione del 19 marzo. La rapidità del presidente del Consiglio è nota, ma quella del
mercato rischia di essere notevolmente superiore e la mossa di Mediaset su Rai Way lo conferma.
Foto: Il ministro Guidi
Foto: IL PREMIER NON SEMBRA DEL TUTTO CONVINTO DEL PROGETTO. ATTESA PER IL CDA
TELECOM DEL 19 MARZO
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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IL RETROSCENA
04/03/2015
Il Messaggero
Pag. 5
(diffusione:210842, tiratura:295190)
La scelta di puntare sul ddl: difficile che l'opposizione decida di far saltare la stabilizzazione degli insegnanti Il
malumore del ministro dell'Istruzione per i ritardi della riforma fa irritare Renzi: «Il problema non esiste»
Claudio Marincola
` IL RETROSCENA R O M A Se c'era qualcuno che il decreto ieri lo avrebbe voluto, questo era Matteo Renzi.
Se non altro perché sulla scuola il premier sin dall'inizio ci ha messo la faccia. Ecco perché quando gli hanno
riferito che la ministra Giannini aveva preso male il rinvio («sono basìta») è rimasto «basìto» lui per primo. E
non è la prima volta, si fa notare, che il titolare di viale Trastevere e il presidente del Consiglio incorrono in
qualche «difetto comunicativo». Era già successo quando Renzi avocò a sé il progetto della Buona scuola
lasciando la Giannini nella penombra. E anche questo precedente dimostra quanta fretta abbia il rottamatore
di mettersi all'occhiello la riforma della scuola. La scelta di prendere tempo e coinvolgere il Parlamento nasce
dall'esigenza di «non stressare il Colle». E anche da un calcolo politico: se la riforma naufragherà o la prima
conseguenza sarà la mancata assunzione dei precari, 125 mila abilitati tra graduatorie ad esaurimento e ai
vincitori di concorso. Un Parlamento che alzi le barricate e scelga la strada dell'ostruzionismo si assumerebbe
la responsabilità del loro destino. Non salterebbe soltanto il progetto renziano ma anche l'assunzione a tempo
indeterminato dei precari. Più ancora della politica potè insomma l'aritmetica inelluttabilità dei numeri: la
pressione dei supplenti più che mai legati a filo doppio alla riforma. Tanto più che il decreto conteneva temi
diversi e non tutti caratterizzati da criteri di urgenza. Che la Giannini ci sia rimasta male è poi un altro
discorso, un film iniziato lunedì sera con la decisione improvvisa di ritirare il decreto. «Potevano almeno
avvisarmi», è sbottata la ministra spiazzata da Renzi. «Se la conosco l'avrà presa malissimo - immagina
Bruno Molea, deputato di Scelta civica, membro della commissione Cultura della Camera lei è molto precisa.
Ma mai come questa volta i motivi di urgenza c'erano tutti e il decreto serviva per assumere i precari con
l'inizio del prossimo anno scolastico». IL NODO DEGLI SGRAVI Renzi assicura che il problema invece non
esiste. Che in questa settimana i ministri ne discuteranno e poi si deciderà lo strumento legislativo. «Siamo
partiti da una campagna d'ascolto sentendo 1 milione e 800 mila persone, 2040 incontri tra parlamentari,
cittadini e amministratori - siamo entrati nelle case delle famiglie italiane». L'unico che non si era ancora
espresso era il presidente della Repubblica Mattarella. Appunto. Meglio evitare la clava e l'abuso della
decretazione d'urgenza su una materia così popolare. Tanto più che l'arma del decreto servirà ancora (e il
pensiero corre alla riforma della Rai che potrebbe riprodurre lo stesso schema). «Se non li faccio mi criticano,
se li faccio dicono che sono un dittatorello.... ora, mi apro al dibattito e chissà che diranno...». Così Renzi, per
il quale non c'è rischio che slittino le procedure, «ci sono le condizioni ma il Parlamento dovrà decidere». Ma
non si dica che non ci sono le coperture, ( e il Mef conferma): un miliardo dalla legge di stabilità, 3 miliardi a
regime nel 2016. Per assurdo a bloccare il metodo-Mattarella sarebbe stato insomma - indirettamente Mattarella stesso. Ma anche Renzi che ha colto la palla al balzo. A sentire i tecnici di viale Trastevere, infatti, i
tempi per assumere entro il 31 agosto i precari sono strettissimi. E lo sarebbero stati anche con un decreto. Il
bubbone potrebbe scoppiare sul nodo della Paritaria, tema sul quale è tornato non più tardi di ieri l'ex ministro
Berlinguer. L'Ncd ne ha fatto una bandiera: bisogna trovare una soluzione sulla richiesta di sgravio fiscale».
Calma e sangue freddo, ci si sta lavorando.
Foto: MINISTRO Stefania Giannini
Foto: IL RISCHIO CHE NELLA MAGGIORANZA SCOPPI UN CASO SUGLI AIUTI FISCALI PER LA
PARITARIA, BANDIERA DELL'NCD
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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No al decreto «per non stressare il Colle» Tensione tra il premier e la
Giannini
04/03/2015
Il Giornale
Pag. 5
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Quasi sciolto il nodo Regionali Attesa per il ritorno del Cavaliere
Vicino l'accordo con Lega e Ncd per le candidature in Veneto e Campania Berlusconi vede Bondi e Repetti
ad Arcore e convince lei a congelare le dimissioni AUSPICIO DI BRUNETTA «Con la ritrovata libertà di Silvio
tornerà la centralità di Forza Italia»
Francesco Cramer
Roma Quadra in vista per le Regionali anche se Berlusconi non ha fretta; non vuole entrare a gamba tesa
nelle grane che stanno scuotendo il Carroccio. Intanto ieri è stata la giornata di una amarezza rientrata
perché un pezzo di storia di Forza Italia aveva deciso di lasciare il partito. Si tratta dell'indissolubile coppia di
senatori Bondi-Repetti: il primo, ex coordinatore del Pdl, da tempo lontano dalla politica e critico; la seconda,
sua moglie, che aveva annunciato il suo addio attraverso una lettera al Corsera . Un metodo che non ha fatto
fare i salti di gioia al Cavaliere che ha convocato i due a villa San Martino per ricucire lo strappo in extremis.
Tentativo andato a buon fine visto che, dopo tre ore di colloquio, i due hanno fatto dietrofront e congelato il
loro addio al partito. Tornato il sereno tra uno dei fondatori di Fi e l'ex premier, sono arrivate anche buone
notizie dagli ambasciatori azzurri incaricati di chiudere la partita alleanze in vista delle prossime
amministrative. La certezza ancora non c'è ma tra i forzisti si spera di chiudere l'accordo con Lega e Ncd:
Forza Italia potrebbe convergere su Zaia in Veneto senza che Alfano, per ritorsione al veto leghista, molli
l'azzurro Caldoro in Campania. Ci si sta lavorando senza sosta ma questo, alla fine, potrebbe essere l'epilogo
del risiko Regionali. Molto dipende da cosa farà il sindaco di Verona Tosi, messo all'angolo nel suo partito e
quindi tentato dalla corsa solitaria. Se decidesse in questo senso a mettere la pettorina tosiana, almeno al
primo turno, ci sarebbero senza dubbio anche i centristi alfaniani. Ma tutto dipende dalle scelte che farà a
breve il leader della Liga Veneta. Campania e Veneto sono i nodi principali sciolti i quali, poi, il puzzle si
comporrebbe anche dei tasselli Liguria, Toscana, Umbria e Marche posto che in Puglia la candidatura di
Francesco Schittulli è super blindata. La soluzione per le altre Regioni potrebbe essere la seguente: la Lega
che la spunta in Liguria con Edoardo Rixi ma va un passo indietro in Toscana a favore di un azzurro; o Gianni
Lamioni o un altro nome ma con la casacca di Forza Italia. Se ne riparlerà nei prossimi giorni quando, ad
Arcore, si riunirà la commissione di Fi sulle Regionali composta da Altero Matteoli, Giovanni Toti, Renato
Brunetta, Paolo Romani e Denis Verdini. Restano le fibrillazioni interne a Forza Italia con Fitto che continua
nel suo attivissimo controcanto e che, domenica prossima, riunirà i suoi «Ricostruttori» a Palermo. Insomma,
Fi sembra sfilacciata nonostante Brunetta guardi già al brindisi della prossima settimana: «Verrà il 9 marzo e
tornerà la centralità di Forza Italia. Riprendere l'iniziativa politica di idee e di presenza con la ritrovata libertà
di Berlusconi. Questa è la sola prospettiva di rinascita per l'Italia». Il Cavaliere, però, ieri è riuscito a mettere
del mastice su una crepa interna aperta dalla senatrice Repetti che aveva detto «addio» a Forza Italia a
mezzo stampa: lascio perché «sta avvenendo una vera e propria distruzione, con faide interne il cui unico
fine è quello di spartire l'eredità politica di Berlusconi», il suo j'accuse . E ancora: «La rivoluzione liberale è
stata intrapresa solo in parte e per questo abbiamo perso consenso. Colpa degli alleati che, tuttavia,
continuiamo a inseguire nonostante ci siano evidenti, abissali diversità».
7 5 Le Regioni in cui si voterà a primavera e per le quali ForzaItaliacercaunaccordo con Lega e Ncd I giorni
che mancano alla fine dell'affidamento ai servizi sociali per Silvio Berlusconi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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il retroscena
04/03/2015
Il Giornale
Pag. 7
(diffusione:192677, tiratura:292798)
«L'euro è stato un errore Non dovevamo entrarci»
L'affondo del dissidente Pd ed ex viceministro: «Così la moneta unica ha spaccato l'Eurozona e sta portanto il
Vecchio continente al naufragio»
Matteo Carnieletto
Se vuole sopravvivere, l'Europa deve abbandonare l'euro. Così la pensa Stefano Fassina, economista e
deputato Pd. La moneta unica è stata imposta agli europei senza che ci fossero i presupposti politici e
economici adatti. E i risultati di questa operazione sono stati disastrosi. Onorevole Fassina, recentemente ha
detto che l'«euro è finito». Anche l'Italia, secondo lei, dovrebbe abbandonare la moneta unica? «L'euro è il
tassello di una linea di politica e economica che non funziona e che sta portando l'Eurozona al naufragio.
Come dimostra la Grecia, non ci sono le condizioni politiche per una correzione della rotta economica. Non è
un problema dell'Italia o della Grecia. È un problema di tutti. Anche della Francia e della Germania». L'errore
è quindi a monte: abbiamo sbagliato a entrare nell'euro... «Allora abbiamo fatto degli errori politici. Abbiamo
pensato a uno scenario che non si è verificato. Si è sognato un'integrazione politica che non c'è stata. L'euro
non solo non ha avvicinato i Paesi, ma anzi li ha allontanati. Ha divaricato le opinioni pubbliche degli Stati.
L'integrazione politica è stata minata dall'euro stesso». Dall'euro si passa alla Troika. Renzi ci va a braccetto,
ma lei la critica. Non si sente un po' incoerente? «Renzi per ragioni di consenso è quello meno disciplinato
rispetto ai governi precedenti. Penso al governo Monti, per esempio. Il Jobs Act era nell'agenda della Troika,
che interviene direttamente nella gestione dei governi. E quando non interviene direttamente, lo fa con le
raccomandazioni delle commissioni. È evidente che vivo in contraddizione, ma provo a spostare quelle
posizioni del Pd che non funzionano, che non aiutano il Paese a venire fuori dalla spirale di stagnazione, di
disoccupazione e di aumento del debito pubblico». Se da una parte la sinistra ha come punto di riferimento
Renzi, dall'altra ha Tsipras che rappresenta un modello politico alternativo. Un modello più coerente con gli
ideali e la tradizione di sinistra. Tsipras contrasta la Troika; Renzi invece no. Perché la sinistra italiana non
riesce a smarcarsi? «In Grecia hanno dovuto patire sofferenze economiche e sociali perché maturasse una
linea alternativa. Da noi la sinistra non riesce a comprendere che con la svalutazione e l'austerità imposte
dalla Troika non c'è alcuna prospettiva. Abbiamo idealizzato la funzione di Bruxelles senza riconoscere gli
interessi nazionali che venivano colpiti. Ora facciamo fatica a uscire da un paradigma culturale che abbiamo
seguito per troppo tempo». Un'alternativa sembra essere quella di Landini... «Landini pone problemi concreti.
Il problema di un fronte sociale che riguarda il lavoro, i diritti, il bene comune. E pone anche una questione
rilevante: quella di un'adeguata rappresentanza politica di un universo sociale che è stato segnato da questi
anni di difficoltà. Le sue proposte però non devono essere strumentalizzate: non sta proponendo un partito.
Pone delle domande serie alla politica. E credo che la sinistra le debba raccogliere».
Foto: RIOTTOSO Il deputato Pd ed ex viceministro dell'Economia Stefano Fassina
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Stefano Fassina l'intervista
04/03/2015
Il Giornale
Pag. 30
(diffusione:192677, tiratura:292798)
I D'Alema non sono emarginati, quelli di «CasaPound» sì
Mario Cervi
Egregio Dottor Cervi, la prego di commentare il seguente passo, di cui è autore il direttore del Giornale ,
pubblicato il 2 marzo. «La ferocia del comunismo ha sterminato cento milioni di innocenti nel mondo, che ha
fatto diventare un'inezia gli orrori del nazismo e gli errori del fascismo. Ma sta di fatto che in Europa un
comunista, vedi D'Alema, può guidare un governo di centrosinistra senza che questo desti scandalo». Non
commento io che non sono nessuno: ubi maior minor cessat , ma lei non si deve esimere. Se lo facesse la
considererei un vile e la mia opinione la diffonderei tra amici e conoscenti. Dico solo che il nostro spirito
imbevuto di indottrinamenti cristiani ci dovrebbe indurre al perdono nei confronti di Massimo D'Alema, nato
esattamente sessanta anni dopo la nascita di un uomo i cui crimini sono stati definiti un'«inezia» dal direttore
Alessandro Sallusti. Silverio Tondi e-mail Caro Tondi, lei mi sfida, e lo fa con una certa arroganza. A questo
punto, non volendo passare per vile ed essere da lei sputtanato tra i suoi amici e conoscenti, rispondo. Non
ho difficoltà a dire che nella sua vis polemica Sallusti ha molto sottostimato, definendoli un'«inezia», gli orrori
del nazismo. Personalmente credo che quando viene superato un certo livello di ferocia e di efferatezza la
contabilità delle vittime non abbia troppa importanza. Nemmeno mi azzardo a dire cosa sia stato
razionalmente peggio. Se il nazismo che ha fatto strage degli ebrei e di altri popoli, o il comunismo staliniano
che ha fatto strage di popoli dell'Urss. Quello tra Stalin e Hitler, come geni del male, è un testa a testa. Va
tuttavia ricordato che il discorso di Sallusti, con il suo inciso, non riguardava la storia, riguardava la politica.
Sottolineava cioè la diversa valutazione - politicamente corretta - del marchio con la falce e il martello e del
marchio con la svastica. Il primo tuttora sventolante in innumerevoli manifestazioni, il secondo costretto a
rintanarsi - giustamente, aggiungo - negli scantinati ideologici. Massimo D'Alema impersona il perbenismo
d'una sinistra non definitivamente condannata, i vocianti di CasaPound impersonano lo sforzo di
sopravvivenza e di decenza d'una destra antica e nuova. I totalitarismi non sono tutti uguali, nel ricordo.
Quello della Mosca di Stalin e di Breznev è più uguale degli altri.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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la stanza di Mario Cervi
04/03/2015
Il Giornale
Pag. 30
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Società civile fra nuovi Ciompi e vigilanza
Paolo Granzotto
Caro Granzotto, in gran spolvero fino a ieri, che fine ha fatto la società civile? E la sua «rivoluzione» per
educare la politica? Non mi dirà che tutto è finito in Passera. Ludovico Mattei e-mail Buona, questa, Però
sappia che la rivoluzione (civile) non dorme, caro Mattei. Le sarà sicuramente sfuggito (ne ha dato conto solo
il Fatto e leggendo ho capito il perché: al convegno del quale parleremo partecipava anche Travaglio. Strano,
perché Marco è tutto meno che un perdigiorno), ma giorni fa il Club Libertà e Giustizia ha tenuto una assise in
quel di Firenze. E lei sa bene che L&G rappresenta il fiore del fior fiore della società civile, anche di quella
con obbligo scolastico (in una kermesse al Palavobis mandò sul palco, per esibirsi in un saggio di
antiberlusconismo duodenale, un pischello di 14 anni). Dalla cronaca, si capisce subito che il summit di
Firenze si svolse all'insegna della noia. Noia pazzesca che la cronista prova a stemperare deliziandoci sul
fatto che i liberi giustizieri s'erano congregati nel «teatro della rivolta dei Ciompi» i quali, insorgendo,
«ottennero di partecipare alla vita pubblica» (ciò che reclama la società civile d'oggidì, vedi tu come è piccolo
il mondo). I ciompi non ottennero un bel niente, questa è storia, ma si apprezza lo sforzo per dare un po' di
pepe all'evento: il «popolo grasso» che si riunisce nel tempio del «popolo magro». Mutatis mutandis , come
quella volta che operaisti proletari del Manifesto si riunirono in assemblea al Parco dei Principi. Non sto
menando il can per l'aia per non venire al dunque, caro Mattei: è che l'insieme di quegli intelligentoni
produsse solo aria fritta nell'olio del ciarpame «sinceramente democratico» (Renzi che adotta il piano P2 di
Gelli; «orgia di riformismo a tappe forzate»; nell'ufficio di Paul Ginsborg ci piove; Italicum e Legge Acerbo del
1923 se non zuppa pan bagnato; «la democrazia non è compatibile con i capi» (con i gregari? Mah). Però si
rassicuri: la vigilanza resta alta.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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L'angolo di Granzotto
04/03/2015
Il Manifesto
Pag. 8
(diffusione:24728, tiratura:83923)
Uzi Eilam: «Sui pericoli, il premier esagera»
Michele Giorgio INVIATO A TEL AVIV
Il generale della riserva Uzi Eilam non è una colomba. Ha fatto parte dell'establishment militare israeliano ai
livelli più alti ed è stato a capo della Commissione nazionale dell'energia nucleare. Ma è anche uno scienziato
e come altri esperti ed ex responsabili militari e dei servizi di sicurezza, contesta apertamente l'allarmismo, il
panico considerato ingiustificato che Netanyahu diffonde in Israele a proposito del programma nucleare
iraniano. Lo abbiamo intervistato mentre ieri il primo ministro si rivolgeva al Congresso degli Stati Uniti per
denunciare l'accordo che l'Amministrazione Obama sta negoziando con l'Iran. Netanyahu attacca il possibile
accordo tra i Paesi del 5+1 e Tehran. Sostiene che l'Iran userà le intese per muovere l'ultimo passo decisivo
verso la bomba atomica. Parla di minaccia imminente per l'esistenza stessa di Israele. Le cose stanno
davvero così? Non credo che questo pericolo sia imminente e concreto e ho avuto modo di ripeterlo più volte
in questi ultimi anni. Ho provato a convincere i miei interlocutori o chi mi ascoltava che, sì, è vero che ci sono
dei rischi legati al comportamento degli iraniani e che l'Iran afferma che Israele non dovrebbe esistere. Ma
allo stesso tempo è in corso uno sforzo per eliminare eventuali pericoli connessi al programma nucleare
iraniano e ho spiegato che siamo nella fase tra la prima intesa provvisoria e un possibile ampio accordo tra la
comunità internazionale e Tehran. Ho aggiunto anche che i responsabili dell'Agenzia internazionale per
l'energia atomica (Aiea) riferiscono che i dirigenti iraniani, dalla firma della prima intesa un anno e mezzo fa
stanno rispettando i loro impegni. Lei è a favore dell'accordo con l'Iran? Non sono a conoscenza di tutti i
particolari dell'accordo che si sta negoziando. Tuttavia ne so abbastanza per dire che se l'accordo prevederà
che il numero della centrifughe messe in funzione dagli iraniani rimarrà di poche migliaia, così da consentire a
Tehran di produrre l'uranio arricchito di cui ha bisogno ma in una quantità modesta, e se i russi avranno in
vari modi il controllo di questa produzione di uranio arricchito e del suo utilizzo, allora la questione della
costruzione di armi atomiche non esisterà. Ci sono altri nodi importanti naturalmente, come l'acqua pesante
utilizzabile per una possibile produzione di plutonio. Questo punto è stato molto discusso durante i colloqui
per l'accordo provvisorio. Gli iraniani hanno interrotto i lavori per il reattore in grado di produrre plutonio e gli
ispettori dell'Aiea hanno la possibilità di visitare quei siti in qualsiasi momento. È ovvio che per essere sicuri
(che l'Iran non cerchi di dotarsi in futuro di armi nucleari) occorre che cessi qualsiasi forma di produzione del
plutonio e so che questo punto fa parte dell'accordo finale che si spera di raggiungere con l'Iran. E sappiamo
che ci sono stati comportamenti sospetti dell'Iran che non ha sempre dato agli ispettori libero accesso ai suoi
siti. Allo stesso tempo la stessa intelligence statunitense qualche anno fa ha detto che gli iraniani già dal 2003
hanno cessato ogni attività finalizzata a costruire la bomba atomica, forse nel timore di un attacco militare
americano. In defintiva penso che se saranno risolte le questioni più delicate si potrà raggiungere con l'Iran
un buon accordo. Se questo «pericolo esistenziale» per Israele non è imminente, anche il Mossad lo ha
ridimensionato, perché Netanyahu continua a battere su questo tasto? Se le cose si giudicano dal punto di
vista scientifico e tecnologico, allora non esistono ragioni per suscitare panico. Non significa che non
dobbiamo preoccuparci o seguire da vicino gli sviluppi, ma non c'è alcuna catastrofe nel futuro immediato. La
politica però è una cosa diversa e Netanyahu forse pensa di usare questa minaccia per conquistare
popolarità. C'è anche un altro punto, che davvero non posso giustificare. Il premier ha fatto del nucleare
iraniano la sua missione storica invece di concentrarsi su altre questioni di grande importanza (in Israele, ndr)
delle quali non si sta occupando. In sostanza si enfatizza la minaccia iraniana per mettere in ombra temi
interni di grande rilevanza. A proposito di nucleare, Israele resta l'unico paese del Medio Oriente a possedere
segretamente bombe atomiche e non ha firmato il Trattato di non-proliferazione. I governi israeliani hanno
ribadito la posizione di «ambiguità» nucleare. Non è giunto il momento di dire come stanno le cose ed uscire
da questa ambiguità? A richiederlo sono i Paesi della regione, a cominciare dall'Egitto. A mio avviso, è
ancora la posizione migliore da mantenere. Ma c'è bisogno di altro. Faccio un salto all'indietro nel tempo per
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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INTERVISTA · Ex capo Commissione energia nucleare
04/03/2015
Il Manifesto
Pag. 8
(diffusione:24728, tiratura:83923)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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spiegarmi. Quando ero a capo della Commissione israeliana per l'energia atomica, fui in grado di persuadere
il primo ministro di quel tempo, Menachem Begin, a fare una dichiarazione all'Assemblea Generale dell'Onu
di sostegno ad un Medio Oriente libero dalle armi nucleari. Quella dichiarazione fu letta dall'allora ministro
degli esteri Yitzhak Shamir. Ecco, credo che l'obiettivo debba essere quello ma la questione va discussa tra
tutti i Paesi della regione. All'inizio alcuni o molti di questi Paesi non saranno pronti ad avviare il dialogo con
Israele su questo tema. Solo Egitto e Giordania hanno relazioni con noi. In ogni caso Israele deve cercare di
procedere verso un Medio Oriente privo di armi atomiche mantenendo, fino al raggiungimento di una intesa
regionale, la sua posizione di ambiguità nucleare.
04/03/2015
Libero
Pag. 25
(diffusione:125215, tiratura:224026)
«L'anticapitalismo di destra ci salverà dalla crisi»
Il politologo Giorgio Galli introduce l'opera dell'inglese Alfred R. Orage «Il tempo non è denaro», che già nel
1934 profetizzava le diseguaglianze di Piketty, la finanza nera e una strana alleanza...
LUCA MARCHESI
«Nel divario che separa il Valore dei Prezzi dai Redditi, c'è abbastanza polvere da sparo da far saltare
qualsiasi parlamento democratico». Parole, che sembrerebbero di un qualsiasi agitatore ispirato dai principi
del marxismo; sono in realtà di Alfred Richard Orage, intellettuale inglese, giornalista, sindacalista, uno dei
primi divulgatori dell'opera di Nietzsche nel Regno Unito. Nella prefazione della raccolta antologica di alcuni
suoi scritti Il tempo non è denaro. Credito sociale contro speculazione finanziaria pubblicata di recente da
Mimesis ( pp 142, euro 11 ) nella collana Oro e lavoro , curata da Luca Gallesi, Giorgio Galli, politologo di
fama internazionale già docente presso l'Università degli Studi di Milano, definisce il pensatore britannico
«una di quelle personalità che si possono collocare nella cultura dell' anticapitalismo di destra, come C. H.
Douglas o Ezra Pound ». Il riferimento «esplosivo» alla crisi delle democrazie occidentali, era la conclusione
del discorso di Orage Povertà in mezzo all'abbondanza , radiotrasmesso dalla Bbc. il 5 novembre 1934,
quando ancora l'Europa si leccava le ferite per una crisi economica che, partita nel settembre '29 da Wall
Street, la aveva travolta nel giro di pochi mesi. Durante la radiotrasmissione Orage, accusò dei malori, ma
portò ugualmente a termine il programma. Colpito da infarto durante la notte, morì il giorno dopo. «Mi rendo
conto che la definizione di anticapitalismo di destra possa essere discussa» sottolinea Giorgio Galli «ma si
tratta di una scelta chiarificatrice. C'è un ben noto anticapitalismo di sinistra, culminante con il marxismoleninismo, che vuole abbattere il capitalismo. Poi ci sono altre correnti culturali, il nome più noto è quello di
Ezra Pound (sua la critica alla usucrazia , potere dell'usura), solo da poco fatte oggetto di studio, che
criticano il capitalismo non per abbatterlo ma per migliorarlo, in un'ottica che non è neanche quella del
socialismo riformista. Ed è per questo motivo, per la sua estraneità al marxismo, che definisco questa cultura,
anticapitalismo di destra». Per Orage la terapia al conflitto sociale era un sindacalismo delle gilde; qualcosa
che portasse il paese reale, i ceti produttivi, a determinare direttamente le scelte economico - politiche dei
Paesi (un'anticipazione delle «diseguaglianze» del Capitale di Piketty) . «Ma ciò che risulta sorprendente in
Orage, come in tutti questi pensatori trascurati o dimenticati in quanto lontani dal mainstream marxista, è che
avevano capito già nella prima parte del XX sec. quale sarebbe stato il problema del capitalismo (e della
povertà) del futuro». Quindi, professor Galli, anche di quello che ha prodotto l'attuale crisi economica e che in
diversi stati ha portato alla «sospensione» della democrazia, cioè a forme di democrazia eterodirette da elite
economiche. «Da vari anni, gruppi e associazioni, in Usa e in Europa, sostengono che, se non si limita il
potere delle banche private di creare denaro dal nulla, la prossima crisi potrebbe essere ancora più
devastante della precedente. E lo dice anche il maggiore quotidiano economico del mondo ( Financial Times)
, pilastro della cultura economica neo liberale » . Lei suggerisce, a partire dalle idee di Orange, di far
partecipare il popolo alla elezione dei membri dei Consigli di Amministrazione di importanti aziende. «Certo, è
un fatto che la democrazia rappresentativa è in difficoltà. I poteri reali dei parlamenti sono sempre più ridotti.
Nel mondo occidentale ci sono cinquecento multinazionali, nei cui consigli si prendono le decisioni che
contano, alle quali i parlamenti sono assolutamente subalterni. La mia idea è che il naturale sviluppo della
democrazia rappresentativa potrebbe essere la partecipazione dei cittadini alla elezione di quei consigli di
amministrazione. Capisco che sembri un'idea utopica, ma nel '700 era utopico pensare di arrivare al suffragio
universale, dato che l'unico parlamento elettivo esistente, quello inglese, aveva una base elettorale del 2%
della popolazione. Una democrazia rap-presentativa se vuol funzionare oggi, deve coinvolgere il potere
economico. Se non lo coinvolge, alla fine i cittadini si trovano a votare per istituzioni che oramai detengono
una piccola parte del potere». Lei oggi crede possibili delle convergenze tra gli anticapitalisti marxisti, e quelli
di matrice differente, da lei definita di destra? «Certo che sì. La Bce, ad esempio, rappresenta solo un potere
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Intervista allo studioso
04/03/2015
Libero
Pag. 25
(diffusione:125215, tiratura:224026)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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reale che è quello delle multinazionali. Juncker , il presidente della Commissione Europea, come primo
ministro del Lussemburgo ha concesso alle multinazionali clamorose evasioni fiscali, permettendo loro di
collocare nel Granducato le loro sedi fiscali. E questo gli anticapitalisti sia di destra che di sinistra lo hanno
denunciato. Parlando della Grecia, che la famosa Troika non sia altro che la rappresentanza operativa di
questi poteri, sia Alba Dorata che Tsipras, lo hanno detto apertamente». Valutando la attuale crisi economica,
lei è d'accordo con Orage che nel discorso Povertà in mezzo all'abbondanza , parlava di una miseria indotta
dalla finanza più spregiudicata, alla quale gli stati hanno concesso il diritto di stabilire la quantità di denaro da
mettere in circolazione? «Sì. Penso che se l'Italia non correggerà la politica economica, andrà incontro ad
impoverimento progressivo. Tutte le statistiche della Banca d'Italia lo confermano. Abbiamo un capitalismo
poco produttivo e largamente parassitario. Renzi sta confermando la linea dei governi Monti e Letta, dettata
dal capitalismo finanziario improduttivo, buona parte del quale neanche nazionale. Se non si renderà conto
che non è con il Jobs Act che si può rilanciare l'economia italiana, si limiterà a gestire il progressivo
impoverimento. Servirebbe un patto tra produttori, non tra saccheggiatori e corruttori. Finora lui è stato quello
che i poteri tradizionali e forse anche la massoneria, han voluto fosse. Renzi ha però una personalità più
spiccata rispetto ai predecessori, una formazione politica solida. Sembrerebbe avere le qualità per svincolarsi
da abbracci perniciosi. Vorrei scommettere sul suo ravvedimento, dato che oramai si pensa che l'attuale crac
greco sia anche il nostro futuro». ANALISTI DI IERI E OGGI Sopra il politologo di fama internazionale Giorgio
Galli. A lato, Alfred Richard Orage, intellettuale inglese, giornalista, sindacalista, uno dei primi divulgatori
dell'opera di Nietzsche nel Regno Unito.
04/03/2015
Il Foglio
Pag. 2
(diffusione:25000)
Adriano Sofri
Privato come sono, non dispongo di una rassegna stampa. Coi miei modesti mezzi, ho stentato a trovare
notizia della visita a Roma del primo ministro della "Regione Autonoma del Kurdistan", cioè il Kurdistan
(provvisoriamente) iracheno. Forse se l'elicottero che portava a Roma Matteo Renzi avesse avuto un vero
incidente. Per fortuna non è andata così, e non ho stentato a trovare notizie e commenti sullo scandalo di
andare a Roma in elicottero. Renzi, almeno lui, ha scritto sul suo Fb: "Ho ricevuto a Palazzo Chigi Nechirvan
Barzani, primo ministro del Kurdistan Iracheno. Lo avevo incontrato ad Erbil, lo scorso 20 agosto 2014, nel
momento di maggiore difficoltà della sua terra, quando le milizie dello stato islamico sembravano inarrestabili
e incontenibili. Ho ancora nel cuore le immagini di Erbil impaurita e gli sguardi dei profughi del campo di
Baharka. Ma le donne e gli uomini di questo popolo coraggioso hanno saputo resistere, combattendo per la
libertà di tutti. Oggi che la situazione è migliorata continuiamo a lavorare insieme". Anche il Papa Francesco
ha ricevuto il primo ministro curdo, e "ha riconosciuto gli sforzi del Governo regionale del Kurdistan ed
elogiato il fatto che il Kurdistan ha fornito uguale trattamento a persone di diversi retroterra". Così la giornata
romana dei nostri stivali sul suolo.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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PICCOLA POSTA
04/03/2015
ItaliaOggi
Pag. 2
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Bersani non si rassegna alla sconfi tta e chiede un partitino suo dentro il
Pd
Gli oppositori vogliono organizzarsi in correnti
SERGIO SOAVE
Pier Luigi Bersani ha convocato per il 21 marzo una specie di congresso separato delle correnti di
opposizione del Partito democratico, il che rappresenta un salto di qualità nella battaglia interna a quel partito.
Sembra di capire che in sostanza quello che si chiede a Matteo Renzi è di accettare che il partito di cui è
segretario per effetto del mandato ricevuto dalle primarie si strutturi, come fu per la Democrazia cristiana e,
fino all'affermazione definitiva di Bettino Craxi per il Psi, sulla base di correnti organizzate e riconosciute
come fonte della legittimazione politica. Il fatto che la battaglia più ostinata condotta dalle opposizioni riguarda
la reintroduzione del voto di preferenza e il rifiuto dell'elezione automatica dei capilista dei diversi collegi fa
intendere che questo sia l'obiettivo principale. Le preferenze, che com'è noto sono state un'eccezione italiana
che non esiste in nessun sistema elettorale delle altre grandi democrazie, al di là dei fenomeni clientelari e
dei localismi, hanno l'effetto di consentire a gruppi interni di militanti di assicurare l'elezione dei propri sodali e
quindi alle correnti di diventare partiti nel partito. Sta qui, nella possibilità di combattere battaglie elettorali
parallele e distinte, la differenza tra le correnti di opinione, che sono una realtà ovvia in formazioni politiche
democratiche (e che per questo erano formalmente escluse dallo statuto del Pci), e le correnti di potere che
invece che discutere contrattano, in base a una forza propria. È assai probabile che, alla fine, Renzi sia
costretto ad accettare questa mutazione «dorotea» della struttura interna del partito, anche se è assai
probabile che in un regime correntizio si realizzerà l'incompatibilità tra ruoli di guida del partito e del governo.
Amintore Fanfani fu costretto ad accettarla, per negarla Craxi invece abolì il sistema delle correnti che aveva
dilaniato per decenni la vita interna del Psi. Se invece il segretario decidesse di rifi utare questo ricatto,
dovrebbe puntare a un rafforzamento del sistema delle primarie, che dimostra lacune e criticità evidenti
soprattutto a livello locale e regionale, ma anche questa strada risulta assai ardua in una situazione in cui
manca lo spirito di collaborazione necessario per innovare le regole interne. Per le minoranze, d'altra parte,
questa battaglia è assolutamente vitale, perché senza questo sbocco correntizio sarebbero destinate a
essere gradualmente integrate nel sistema di potere del segretario. Proprio per questo l'alternativa al partito
delle correnti cristallizzate appare quella delle scissioni, l'altra patologia tradizionale della sinistra italiana. ©
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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IL PUNTO
04/03/2015
MF
Pag. 1
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Nasdaq boom, questo record è senza bolla
E.S. Browning
Nuovi protagonisti e niente follia dot.com, oggi non si guarda più a utenti e click ma ai veri utili (Browning a
pagina 3) Il Nasdaq Composite ha sfondato i 5.000 punti, arrivando a un livello che non si vedeva da quasi 15
anni e avvicinandosi verso al record per la prima volta dalla bolla delle dot-com. L'indice è salito di 44,57
punti, ovvero dello 0,9%, a 5.008,10, rientrando nel territorio che ha occupato per appena due giorni prima di
crollare nel marzo del 2000, precipitando in un mercato in calo per due anni. Ma anche il Dow Jones
Industrial Average e lo S&P 500 sono saliti, chiudendo entrambi a livelli eccezionali. Il Nasdaq è di nuovo in
corsa, quasi quadruplicando il proprio valore nel corso di un rally durato sei anni e iniziato nel 2009. Questo,
tuttavia, non è il Nasdaq di soli 15 anni fa. «Non vedo la follia della bolla delle dot-com», ha commentato lo
storico della finanza Richard Sylla della Stern School of Business della Nyu, «i click dei computer sono
ancora importanti nelle nostre vite, ma non utilizziamo il loro calcolo per stabilire quanto sia promettente una
società come si faceva allora. Gli investitori sono molto più cauti nel valutare se un investimento realmente li
ripagherà». Nel 2000, il Nasdaq era il selvaggio West guidato da un'ossessione per i titoli tecnologici. Oggi,
sebbene sia ancora dominato dalle azioni tech, è più stabile. All'epoca gli investitori erano ipnotizzati da startup con nomi come Cyberian Outpost, theglobe.com e Pets.com. Molte di queste società hanno perso gran
parte o tutto il loro valore nel crollo, mentre le grandi, come Cisco Systems, Intel e Microsoft sono scese più
del 50% e ancora non sono tornate ai loro massimi. Per Ned Davis Research, solo 68 su 100 grandi società
del Nasdaq hanno avuto utili netti nel 2000. Il resto è stato operato ad occhio, in base ai click o alla previsione
di un brillante futuro. Oggi, 90 delle principali 100 compagnie sono redditizie e molte offrono dividendi, cosa
che poche facevano nel 2000. Il maggiore cambiamento rispetto al 2000 è però l'atteggiamento
dell'investitore medio, che non vede più le azioni come uno spettacolo. I barbieri e i bar sono tornati a far
vedere lo sport in televisione, e non i commenti sui titoli; i tassisti hanno smesso di dare consigli sulle azioni e
la gente comune parla di altro alle feste. In un certo senso il Nasdaq oggi assomiglia al Dow Jones Industrial
Average degli anni Venti, Trenta e Quaranta secondo Sylla. Le imprese industriali erano la versione
dell'epoca delle attuali tech company; alcuni storici ritengono, infatti, che l'elettricità abbia avuto una carica
rivoluzionaria ancora più forte di internet. Dal massimo del 1929 al minimo del 1932 il Dow è sceso dell'89%,
mentre il Nasdaq del 78% con l'esplosione della bolla delle dot-com. Ora è cresciuto un po', come ha fatto il
Dow dopo il 1929. «Quanto sono cambiate le cose», ha commentato Laszlo Birinyi, fondatore della società di
ricerca e investimento Birinyi Associates di Westport, nel Connecticut, «il mercato è su nuovi massimi e
praticamente nessuno ne sta scrivendo». I rialzi di questi giorni sono guidati maggiormente dai grandi
investitori, come gli hedge fund e altri gestori di portafoglio, e non dai piccoli investitori che speculano nella
speranza di future vittorie. Per Birinyi una dose di questa cautela da parte dei piccoli è dovuta anche alla
demografia, nello specifico all'invecchiamento della popolazione. Alcuni investitori, ha sottolineato, «hanno
subito delle perdite molto dolorose». In conformità ai dati dell'Investment Company Institute, nei sei anni dal
1995 fino al Duemila gli americani hanno investito 1.050 miliardi di dollari nei fondi comuni basati sui titoli
statunitensi e, nel corso di questi 14 anni, i dati mostrano che sono stati ritirati 394 miliardi di dollari netti.
Molti investimenti sono andati in fondi obbligazionari e fondi legati ai titoli esteri, alcuni sono andati in etf.
Anche contando gli etf che contengono i titoli, alcuni dei quali sono stati utilizzati pesantemente dai gestori
patrimoniali professionisti piuttosto che dagli investitori familiari, i fondi legati ai titoli statunitensi non hanno
attirato così tanto capitale in 14 anni rispetto a quanto hanno raccolto in questi sei anni di gloria. «I clienti
riconoscono di aver bisogno di una maggiore esposizione ai titoli, ma non sono così entusiasti di fare questa
mossa», ha riferito Bruce McCain, che co-gestisce più di 25 miliardi di dollari in quanto chief investment
strategist alla Key Private Bank di Cleveland. «È rimasta diffusa la sensazione che le azioni siano molto più
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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IL LISTINO È COMPLETAMENTE CAMBIATO RISPETTO A 15 ANNI FA, QUANDO L'INDICE ERA SALITO
PER LA PRIMA VOLTA A 5.000
04/03/2015
MF
Pag. 1
(diffusione:104189, tiratura:173386)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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rischiose di quanto pensasse la gente prima della crisi del 2007». Ma i cambiamenti non si limitano a questo.
I rialzi dell'indice questa volta sono stati guidati da diverse società, compresa Apple, che nel 2000 non era tra
le dieci maggiori società del Nasdaq, e Google, che è stata quotata nel 2004. Delle cinque maggiori
compagnie del Nasdaq per valore di mercato del 2000, nessuna è tornata al valore nominale di mercato
dell'epoca. E, considerando l'effetto dell'inflazione, nessuna delle top 10 del 2000 lo è. Nel 1999, tra la prima
emissione di titoli e la fine dell'anno, undici giovani società sono cresciute più del 1.000%. Per Birinyi
Associates, nessuna l'aveva mai fatto prima. Il Nasdaq oggi opera 32 volte i profitti delle società rispetto agli
ultimi 12 mesi, livello superiore a indici come lo S&P 500 i cui titoli hanno raggiunto 19 volte i profitti. Nel
2000, tuttavia, il ratio del Nasdaq era 175. Siccome raccoglie molte società piccole e volatili in rapida
espansione, la sua media dal 1995 è 57. All'epoca, al Nasdaq sono serviti appena 49 giorni per balzare da
4.000 a 5.000 punti. Infatti, dopo aver chiuso oltre i 5.000 punti il 9 marzo 2000, l'indice è rimasto sopra quel
livello per appena un giorno ancora, il 10 marzo, poi è collassato. Questa volta ci ha invece messo più di 300
giorni per passare da 4.000 a 5.000 punti. «Le variabili fondamentali non sono così tirate come nel 1995 o nel
2000», ha commentato Birinyi. Alcuni investitori ritengono però che le azioni siano salite al punto che è ormai
tardi per entrare sperando in un'ulteriore crescita significativa. Sylla della Nyu ha ammesso che si sta
alleggerendo di azioni, ma non prevede nessun crollo devastante. «Se il mercato scende del 10% o del 20%,
sarà in forma migliore per riacquistare», ha spiegato, «la sopravvalutazione era superiore allora di quanto non
lo sia oggi». traduzione di Giorgia Crespi
DOPO 15 ANNI HI-TECH TORNA SUI MASSIMI, MA STAVOLTA È DIVERSO L'indice Nasdaq dal 1995
GRAFICA MF-MILANO FINANZA
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/nasdaq
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MF
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(diffusione:104189, tiratura:173386)
Limite ai diritti di voto e scorporo tra cooperativa e spa per blindare le
popolari
Luca Gualtieri
(Gualtieri a pagina 8) La trattativa tra governo e Assopopolari entra nella fase più calda e la contenibilità delle
future società per azioni è il punto focale della partita. L'associazione di categoria presieduta da Ettore Caselli
è al lavoro su un doppio fronte: da un lato tenere aperto il tavolo con l'esecutivo per addolcire gli aspetti più
indigesti del decreto Renzi-Padoan, dall'altro lato mantenere unita la compagine delle banche, che si mostra
sempre meno coesa al proprio interno. Gli istituti di maggiori dimensioni avrebbero infatti già digerito la
mossa di Palazzo Chigi e si starebbero preparando all'imminente giro di valzer delle aggregazioni. Al
contrario, le popolari mediopiccole potrebbero decidere di puntare i piedi e adire le vie legali per difendere
l'attuale modello di governance. Da questo punto di vista le strade percorribili sono molteplici, dal ricorso alla
Corte Costituzionale al referendum abrogativo, anche se per il momento la palla resta saldamente in mano ad
Assopopolari, che tra oggi e domani dovrebbe tirare le fila del lavoro svolto finora. Caduta l'ipotesi del
modello ibrido, l'obiettivo dell'associazione è limitare la contendibilità delle future spa, spingendo per
l'introduzione di un tetto al diritto di voto al 3-5%. Questa soglia permetterebbe non solo di sbarrare la strada
a eventuali raider, ma anche di favorire la stabilizzazione della governance attorno a un unico soggetto.
Secondo quanto risulta a fonti accreditate, questo nuovo centro di gravità potrebbe essere una cooperativa
partecipata dalle principali istituzioni del territorio e dagli stessi azionisti forti della banca in base a un modello
simile a quello previsto dalla legge Amato per le ex casse di risparmio. La formula più lineare per arrivare a
questo obiettivo sarebbe lo scorporo delle attuali popolari tra azienda bancaria quotata e, per l'appunto,
cooperative che resterebbero azioniste della spa e potrebbero assumere la forma giuridica di fondazioni.
Anche se questi nuovi enti dovessero sottostare al limite di possesso azionario, formerebbero in ogni caso il
perno della nuova governance, specie se alleati con gli altri soci forti della banca, come imprenditori o
fondazioni. Il modello piace già a due-tre presidenti di grandi popolari. Come Gianni Zonin, numero uno della
Popolare di Vicenza, che ne ha parlato pubblicamente in più occasioni. Senza dimenticare che un progetto di
questo genere era stato proposto un paio d'anni fa da Andrea Bonomi alla Banca Popolare di Milano. Oggi in
aggiunta ci sarebbe una ragione politica in più per scegliere questa via: la creazione della cooperativa non
quotata permetterebbe alle principali ex popolari di restare iscritte ad Assopopolari ed evitare così che
l'associazione ne esca profondamente ridimensionata o scompaia del tutto. Ma quale potrebbe essere l'esito
della trattativa? Palazzo Chigi non sembra intenzionato a fare grandi sconti alla categoria, ma potrebbe
lasciare margini di manovra ai singoli istituti. Non tanto agendo sul testo del decreto, che non dovrebbe subire
variazioni minimali, ma permettendo alle banche di intervenire sugli statuti con quorum inferiori rispetto a
quelli attuali. Limitazioni al diritto di voto e altre formule anti-scalata potrebbero insomma essere direttamente
sottoposti al vaglio delle assemblee, previo assenso della Vigilanza nazionale ed europea. Ma anche in
questo caso, suggerisce qualcuno, non è il caso di farsi troppe illusioni. (riproduzione riservata)
IL BOOM DELLE POPOLARI IN BORSA Dati in euro GRAFICA MF-MILANO FINANZA Fonte: elaborazione
dati MF-Milano Finanza Credito Valtellinese Pop. Etruria e Lazio Popolare di Milano Banco Popolare Pop.
Emilia Romagna Popolare di Sondrio Ubi Banca 65,28% 62,67% 48,76% 48,07% 44,46% 37,82% 27,56% 2,86% Inv. -2,53% -2,80% -3,21% -3,26% -2,17% 1,19 0,58 0,81 13,2 6,94 3,91 6,78 Banca Variazione 3
mar/12 gen '15 Variazione sul 2 mar '15 Quotazione al 3 mar '15
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/popolari
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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ASSOPOPOLARI
04/03/2015
Financial Times
Pag. 9
(diffusione:265676, tiratura:903298)
VISUAL ARTS Renato Guttuso: Painter of Modern Life The Estorick Collection, London Rachel Spence
Renato Guttuso is one of the most tantalising Italian painters of the 20th century. He was a communist who
loved the dolce vita - his mistress Marta Marzotto was a countess - and his oeuvre is as brimful of
contradictions as his life. Pablo Neruda was a witness at his wedding. Pasolini wrote a poem about one of his
paintings. Yet a crippling machismo saw his later years blighted with porn-lite images of women.
Nevertheless, when he lined up his paintbrush with his politics, his vision sang with conviction. Born in
Bagheria, near Palermo, in 1911, Guttuso grew up in a country wracked by violence and poverty, yet his own
world was abundant with the natural beauty of Sicily. His father encouraged him to paint. By 1929, Guttuso
was making freschi for the village church; two years later, he was showing at Rome's Quadriennial, an
important national exhibition. At the time, the Italian art establishment was at the mercy of the fascist
administration and the dominant style was a figurativeness that flirted with neoclassicism. Its champions were
the painters of the Novecento group such as Mario Sironi. Their guiding light was Margherita Sarfatti, who
was Mussolini's mistress throughout the 1920s. In this climate, your style of painting expressed your politics.
Guttuso, whose socialist father had been persecuted by fascists, was leftwing by nature and nurture. Given
the realism beloved of the Novecento, he might have been expected to embrace abstraction. But obscurity
was inimical to an art that was supposed to be for the people. Instead, he developed a fluid, emotional
expressionist line, strengthened by rich, saturated colours. After settling in Rome in 1937, Guttuso hooked up
with a group of painters known as Corrente. Including Emilio Vedova, they shared a belief that figurative
painting was the correct expression of their desire for "an impassioned and direct relationship between the
artist and the world". That meant that Guttuso was as interested in paintpots on a table, or a shapely female
posterior, as he was in revolution. Throughout his life he would paint landscapes and still lifes - and nudes as often as manifestos. This show highlights Guttuso's apolitical work though sensibly it includes just one halfnaked siren. This is a shame, particularly given the startling power of his early anti-fascist paintings. There
are just two works made before 1947, both still lifes. One, "Still Life with Lamp" (1940-41), is a fraught affair
whose imagery - a lamp of the kind used for interrogations, a ram's skull, a fallen birdcage - and jangled
composition look back to Picasso's "Guernica". But the masterpiece of this period is "The Crucifixion" (194041), which references "Guernica" in every tormented limb, yet employs acid-bright hues and the Christian
allegory - a bitter jibe at fascism's hypocritical self-righteousness - to hoik itself out of derivativeness. Other
great paintings include the "Flight from Etna" (1938-39), where the erupting volcano stands for Fascist
violence, and "Execution in the Countryside" (1938), a close-up of a firing squad. By excluding these works,
the curators risk reducing Guttuso to a talented realist who occasionally flashed leftwing fire. The absence
also denies the viewer an insight into the nexus between art and politics in fascist Italy: "The Crucifixion" and
"Flight from Etna" both won prizes in shows organised by the fascist ministry of education in the early 1940s.
The showpiece here is "Death of a Hero" (1953), which portrays the corpse of a Soviet soldier in bed. Guttuso
evokes sheets, bandages and the lifeless complexion in grey, white and dirty yellow, splashes a scarlet flag
over the bedpost, and foreshortens the body in the manner of Mantegna's "Dead Christ". The canvas
belonged to Eric Estorick, founder of the museum, who "downplayed [the painting's] specific political
connotations", preferring to read it as an expression of humanism. In reality, Guttuso was becoming a
member of the Italian communist establishment. After the war, his decision to stick with realism rather than
abstraction, to which Corrente members had gravitated, recommended him to the party apparatchik. Had
Guttuso gone the other way, his formal strengths would have served him well. "Houses among the Trees"
(1947) shows him flirting with abstraction. Dismantling walls and branches into interlocking shapes that twist
around each other, the autumnal colours broken only by two spears of sky-blue, Guttuso conjures a forest fit
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Gripped by great contradictions
04/03/2015
Financial Times
Pag. 9
(diffusione:265676, tiratura:903298)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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for wolves. By the 1970s, Guttuso was a communist MP. Although his lifestyle saw him accused of hypocrisy,
his vigour when he turned his attention to politics makes it impossible to doubt his sincerity. In
"Neighbourhood Rally" (1975), the popolo are squeezed into a square loomed over by tenements, their faces
upturned towards the orator on the podium. In the crowd we can spot Marilyn Monroe, Picasso and a
Madonna and Child. It's a painting by a man who loved life. Little wonder he struggled to live as ascetically as
his credo demanded. Such contradictions make us human. Allied to Guttuso's artistic prowess they make him
a gripping painter. Let's hope the Estorick finds a way to show him in all his complexity before too long. To
April 4, estorickcollection.com Allegory: 'Death of a Hero' (1953) 'Houses among the Trees' (1947)
04/03/2015
Financial Times
Pag. 21
(diffusione:265676, tiratura:903298)
Wall Street
Eric Platt
US carmaker shares slipped yesterday after results from the country's largest manufacturers fell short of Wall
Street expectations, blunted by icy winter weather that kept consumers out of dealer showrooms. Ford Motor,
Fiat Chrysler and General Motors reported February sales below forecasts with executives from the first two
pointing to the bitter cold for some of the impediment. Vehicle sales at Ford fell 2 per cent from a year earlier
to 180,383 units, shy of projections for a 5.8 per cent gain, with double-digit percentage declines by its
Taurus, Focus and Fiesta cars. While Chrysler and GM fared better - sales climbed 5.6 per cent and 4.2 per
cent respectively from the prior year - they were not able to hurdle forecasts for stronger gains. The lacklustre
sales figures were a blow to investors expecting further strength from a sector that has proved a resilient
engine in the US recovery. Manufacturers have increased production at factories across the country as
demand rose and several analysts expect that larger and more expensive vehicles, including pick-up trucks
and SUVs, could gain share in the market after the fall in fuel prices. Economists with Deutsche Bank noted
that easing credit conditions - over the last four quarters motor vehicle loans have ticked 8.7 per cent higher coupled with strong job growth would probably buoy auto sales this spring as wintry conditions abated. "Any
potential weakness in February vehicle sales will likely be short lived and once weather patterns normalise,
vehicle sales should trend meaningfully higher, which was exactly what happened last year," said Joseph
LaVorgna, an economist with Deutsche. Overall, sales were expected to advance 9 per cent from a year ago
to an annualised pace of 16.7m units. Ford shares fell 3 per cent to $16.16 while General Motors was little
changed. Shares of Fiat Chrysler trading in New York declined 4 per cent to $15.26 while Volkswagen ADRs
slid 3 per cent to $49.33. Yum shares fell 1 per cent to $80.98 after analysts with Baird cut their rating from
"outperform" to "neutral", citing the stock's double-digit gains this year, which have outpaced the S&P 500.
The brokerage said shares now traded above its price target and that the current price/earnings premium
against the S&P exceeded its two-year average, despite limited visibility on Yum's turnround in China. "We
remain confident in longer-term fundamentals but we still see elevated risk on Yum - especially at current
valuation metrics - related to the uncertain timing/trajectory of the China recovery," said David Tarantino, an
analyst with Baird. US stocks slipped from record levels, including the technology-heavy Nasdaq Composite,
which a day earlier eclipsed 5,000 for the first time in 15 years. The index, which slid 0.5 per cent to 4,985.52,
remained within 1.2 per cent of its record closing high. The broader S&P 500 fell 0.5 per cent to 2,106.95
while the Dow Jones Industrial Average inched 0.4 per cent lower to 18,215.86.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Carmakers slide as icy weather keeps buyers away from showrooms
04/03/2015
International New York Times
Pag. 10
(diffusione:222930, tiratura:500000)
Rob Hughes
Parma, with debts of well over $100 million, is facing the same fate as Parmalat, the company that once
owned it.Once upon a time, Italian soccer set the template for high-cost transfers whenever a world-class
player caught the attention of owners like the Agnellis of Juventus, the Morattis of Internazionale or the
Berlusconis of A.C. Milan.Serie A was king of the big spenders, as it sent out formidable and splendid teams
to conquer Europe.Today, only Juventus, whose checks are still signed by the Agnelli family, is in that league.
There are billionaires funding clubs in England, Spain and Germany, but, as Sunday and Monday have
shown, standards and solvency are not what they once were in Italy.On Sunday, for the second week
running, Parma F.C. failed to take the field. It is sliding, it seems, toward bankruptcy, with no money to pay
the laundry bill, never mind the players or staff.Then on Monday, the two sides leading the standings,
Juventus and A.S. Roma, met at the Stadio Olimpico in Rome. It was almost a moribund match. Juventus,
defending a ninepoint lead in the standings, simply blocked off every move that the home team attempted in
the first hour. Roma, these days under American ownership, relied too much upon Francesco Totti and
Daniele de Rossi.Totti, at 38, no longer has the legs or the lungs to go with his imagination, while de Rossi,
though seven years younger, also looks past his prime.The Old Lady, Juventus, toyed with what Roma could
throw forward. Both teams put spite into their tackles in a way that obliged the referee to throw yellow cards
like confetti. Five cautions to the home team, five to the visitors, and barely a worthy shot between them.Only
in Italy can this be regarded as art. Everyone knew that it was a waiting game, that Juve - with playmaker
Andrea Pirlo and the midfield strongman Paul Pogba out because of injuries - was happy to play for a
point.So while Juventus would not force the pace, and Roma could not do it, a stalemate ensued.The
inevitable intervened after 63 minutes when yellow turned to red after Vasileios Torosidis, Roma's Greek
defender, clipped the heel of Arturo Vidal. That was a mild offense compared with a two-footed lunge that had
brought the first yellow of the night to Torosidis.While Torosidis was expelled, Carlos Tévez did the sweetest
thing of the game by curling the free kick from just outside the penalty box into the Roma goal.Roma Coach
Rudi Garcia did what he might have done earlier. He withdrew the fading Totti and de Rossi, and their
replacements, particularly Juan Iturbe, changed the contest with their energy. Iturbe was too swift for Giorgio
Chiellini, who fouled him rather than let him pass. On the resulting free kick, Seydou Keita rose to level the
game with a header.The 1-1 result makes it unlikely that Juventus, the defending champion, will fail to retain
its title. But at least the followers of both teams have Europe to look forward to - Juventus in the Champions
League and Roma in the secondary Europa League.Parma has maybe only weeks to survive as a
professional club. The famous old club from the Emilia-Romagna region in northern Italy has failed to play its
last two league games because its spirit, as well as its money, is running out. On Sunday, the Parma players
who have not been paid since the start of the season finally said that if their game at Genoa were not called
off, they would consider going on strike. Their team bus and even medical equipment from their training base
have been seized. Parma, with debts of well over $100 million, is facing the same fate as Parmalat, the giant
dairy company that once owned the club before collapsing into insolvency in 2004.The club survived that fall,
and as soccer teams sometimes remarkably do, it clawed its way back to once again become a presence in
Serie A. However, a succession of recent owners turned the club into a farce that has churned hundreds of
players through its doors over the past few years.It has exploited loose FIFA rules that allow clubs to employ
players on temporary contracts as loan players. Parma could field a number of teams with the players it has
loaned out to clubs like the Italian-owned Watford Town, which operates in the second tier of English
soccer.The thought was that Parma could profit by nurturing youth players, then lend them out to gain
experience and either sell them when the price was right or take back the best of them as improved
players.Italy's La Repubblica paper suggested in 2013 that Parma had more than 300 players in transit that
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Top to bottom, Serie A hard to stomach
04/03/2015
International New York Times
Pag. 10
(diffusione:222930, tiratura:500000)
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year. Its system had previously been called ''a cattle market.''Owners came and went, most notably an
Albanian businessman named Rezart Taci, who paid one euro for the club and, apparently without ever
meeting the players, sold it for the same notional sum to the current owner, Giampietro Manenti.The team
captain, Alessandro Lucarelli, said that Manenti did meet the players. ''He showed us a bank document,''
Lucarelli told reporters, ''and stated that there was a hundred million euros available to invest in Parma.''The
players had some doubt, and have not received payments since.Two weeks ago, disillusioned fans pinned a
notice on the padlocked gates around Parma's stadium. ''Chiuso per rapina,'' it read. ''Closed for robbery.''As
much as anything, it is the memories of what Parma once was that are stolen. The team won the UEFA Cup
twice in the '90s, as well as three Copa Italia titles. Its lineup included men whose marvelous style would have
given any team a run for its money: Gianluigi Buffon, Fabio Cannavaro, Lilian Thuram, Ariel Ortega, Juan
Sebastian Veron, Faustino Asprilla, Hernán Crespo.If, as seems likely, Parma is shut down, it will take
decades for the club to rise again, starting over as an amateur club, to be anything like what it was.
04/03/2015
The Independent
Pag. 25
The Independent
white squacquerone from the surrounding Emilia Romagna region, Italy's cheese belt. The protesters will also
name a rogues gallery of bogus overseas products which have, says the Coldiretti agricultural association,
"done more damage to the local economy than the financial crisis or the earthquake that struck there three
years ago".British companies selling "Grated Parmesan" are among the culprits to be named and shamed.
"Parmesao," sold in Brazil, "Reggianito" on sale in Argentina, and "Grande Parmesan" in the US are also
unfortunate examples of how Parmigiano has become the most imitated Italian cheese, Coldiretti said.
According to the local edition of Corriere Della Sera, the fake Parmigiano loved by the Americans had "a taste
light years away from that made in Emilia Romagna".Massimo Aliprandi, a spokesman for Coldiretti, said:
"Production of the real products is falling. Producers are closing down. The problem is that quality costs. Real
Parmigiano can stand for 24 months. It's not instant. But this culinary culture will be lost if we don't protect
it."With "thousands of producers, cheesemakers, restaurateurs and consumers," expected in Bologna's
Piazza XX Settembre, Coldiretti announced that there will be will be producers in the piazza "making cheese
according to the ancient methods with milk from a stable of red cows, the historic breed from which
Parmigiano Reggiano was created".Giorgio Apostoli, organiser of Thurday's event, called on the EU to
intervene to ensure that the US, the biggest market for fake Italian cheese, was aware ofwhat theywere
eating. "I think lots ofAmericans don't even know that what they're eating isn't real Parmigiano. We're asking
for Europe to intervene and make the situation a bit clearer," he said.Previous reports have warned about the
proliferation of fake Italian wines and olive oils abroad. In 2010, the Italian food producers' association,
Federalimentare, said the market in Italian-sounding foods that had nothing to do with Italy was worth £22bn
in the EU, twice the value of genuine food exports.
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Cheesemakers hold protest over grating issue of 'imposters'
04/03/2015
The Times
Pag. 39
Tom Kington Rome
The leader of a new anti-immigrant political alliance in Italy is prospering in the polls by demanding that
African and Syrian refugees crossing the Mediterranean be sent home.Matteo Salvini, the head of the
Northern League party, has forged an alliance with former hard-right allies of Silvio Berlusconi and the farright party CasaPound, which celebrates the dictatorship of Benito Mussolini.Yesterday, Mr Salvini shrugged
off his party's links to fascism by claiming that the European Union is worse than Italy's 1930s dictatorship.
"They are starving people in a way two decades of Italian fascism never did," he said.Mr Salvini, 41, a
member of the European parliament, added: "In Brussels there is a lot worse than Mussolini."At a rally on
Saturday people in the crowd cried "Duce, Duce" and gave stiff-armed fascist salutes while a banner featured
a photo of Mussolini with the slogan: "Salvini, I have been waiting for you." Simone Di Stefano, CasaPound's
vice-president, pledged allegiance to Mr Salvini and called for an "Italians first" policy in jobs and schools.The
coalition is filling a political vacuum left by the decline of Mr Berlusconi, the former prime minister who
succumbed to scandal. At 16 per cent support, the Northern League leads Mr Berlusconi's Forza Italia party
(12 per cent) in the polls.Speeches at the rally focused on cutting taxes, leaving the euro and halting the flow
of migrants fleeing war, oppression and poverty. After 170,000 arrived last year, 8,000 have set sail so far this
year, up more than 70 per cent on the same period last year. "Send them home, we cannot allow even one
more to land," Mr Salvini said.He also said that he wanted to send in bulldozers to demolish Roma camps in
Italy. "Buy a house, take out a mortgage, ask for a council house, go and be a gypsy somewhere else," he
said.One analyst said that the rhetoric was increasing hostility towards Italy's second generation migrants.
"They feel suffocated by this atmosphere," said Robert Elliot, who works with the racism monitors Occhio ai
Media.The Northern League has ditched its traditional call for autonomy for Italy's northern regions as Mr
Salvini repositions himself as a national leader.He has won praise from Marine Le Pen, leader of the far-right
National Front in France. "He sends me into ecstasy," she said when she introduced Mr Salvini at a rally last
year.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Italians greet arrival of sea migrants by embracing far right
04/03/2015
La Tribune Quotidien
Pag. 111,
AVEC LA GRECE, POUR UNE EUROPE SOLIDAIRE
La Tribune
Le gouvernement Tsipras a été dès le premier soir face à un dilemme cornélien : appliquer son programme
de rupture avec l'austérité européenne tout en demeurant dans la zone euro. Alexis Tsipras et son ministre
des finances Yannis Varoufakis ont cru qu'il pouvait exister un « autre euro », plus compatible avec les
intérêts de la majorité des Européens et avec la raison économique.UNE GRÈCE DÉTERMINÉE MAIS
ISOLÉEMais le vendredi 20 février, l'illusion s'est dissipée et un scénario bien connu s'est à nouveau répété :
la menace de blocus monétaire agitée par la BCE puis la dégradation rapide des conditions de liquidité du
système bancaire grec ont forcé le gouvernement grec fraichement élu à renoncer à une large part de ses
promesses de campagne. Ce premier round de négociations a fait apparaître une Grèce déterminée mais
rendue incapable d'inverser fondamentalement le rapport de force en raison de son isolement sur la scène
européenne et de l'absence de solidarité des autres pays d'Europe du Sud. Après les engagements non
tenus de François Hollande et de Matteo Renzi, dont aucun des deux n'aura même essayé de « réorienter
l'Europe », l'espoir d'une amélioration du sort des citoyens européens semble donc à nouveau
s'éloigner.QUATRE MOIS POUR RENÉGOCIER LESCONDITIONS DE SON "SAUVETAGE"La Grèce a
maintenant quatre mois pour renégocier les conditions de son « sauvetage » avec ses partenaires
européens. Cette nouvelle bataille est peut-être la dernière chance qui reste à l'Europe de se sauver de ses
vieilles tentations autodestructrices. Yannis Varoufakis a bien compris le caractère systémique de la crise de
la zone euro, une crise qui trouve son origine dans la politique mercantiliste de l'Allemagne engagée à partir
du début des années 2000. Cette politique de compression des salaires s'est traduite par un affaissement de
la demande intérieure allemande, un sous-investissement dans l'économie domestique et des excédents
commerciaux colossaux, pour une large part réalisés au détriment de ses voisins. L'épargne allemande s'est
exportée dans les pays périphériques de l'Europe, provoquant le gonflement dans ces pays d'une bulle de
dette (essentiellement privée). Les grandes banques françaises et allemandes, du fait notamment du hasard
moral induit par l'euro et par le syndrome du « too-big-to-fail », ont été les principaux artisans de la bulle
d'endettement périphérique jusqu'en 2008.AUCUN MÉCANISME POUR RECYCLERL'ÉPARGNE
ALLEMANDEL'éclatement de cette bulle, qui s'est produit dans le sillage de celle des subprimes, a servi de
révélateur aux malfaçons de la zone euro : aucun mécanisme fédéral n'ayant été prévu pour recycler
l'épargne allemande, la demande européenne s'est durablement effondrée.
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OPINIONS
04/03/2015
La Tribune Quotidien
Pag. 121
LES ENFOIRES, LES PRIVILEGES DES ANCIENS ET LE CHOMAGE DES
JEUNES
La Tribune
En Italie, qui connaît des problèmes similaires, le gouvernement Renzi vient d'adopter le 20 février plusieurs
décrets dont la principale mesure est la création d'un contrat de travail unique, à « protection évolutive » ou
Contratto a tutele crescenti qui s'appliquera, à quelques exceptions près, à toutes les nouvelles embauches
dans le secteur privé. Dorénavant, l'employeur pourra terminer un contrat de travail à tout moment. En cas de
litige, si le licenciement est estimé injustifié, il devra payer une indemnité proportionnelle à l'ancienneté (deux
mois de salaire par année d'ancienneté), d'un maximum de deux ans de salaire, mais ne devra plus
réintégrer l'employé en question. Ce changement met un terme à une pratique vieille de 45 ans, où la
perspective de réintégration bloquait de facto un grand nombre d'ajustements d'effectifs. Le décret du 20
février définit aussi une procédure de conciliation avec l'objectif d'éviter les coûts de justice. Elle prévoit une
indemnité d'un maximum de 18 mois, exonérée de toute fiscalité. En l'acceptant, l'employé licencié renonce à
son droit d'aller en justice. Ce mécanisme de paiement d'une compensation pour un licenciement
s'appliquera aussi aux licenciements collectifs, dont le coût devient maintenant transparent pour l'employeur
qui souhaite réduire ses effectifs.LES COMPROMIS DE MATTEO RENZIMatteo Renzi a dû faire des
compromis pour réussir à faire passer une reforme aussi révolutionnaire et a consenti à ne pas inclure les
employés du secteur public. De plus, la nouvelle règle va s'appliquer aux nouveaux contrats, mais pas aux
contrats en place. Ceci pourrait entraver la mobilité volontaire, puisque les gens ne voudront ne pas renoncer
à un contrat protégé pour un nouveau contrat.EN FRANCE, LE POUVOIR AUX JUGESEn France, non
seulement le code du travail rend difficile la réduction des effectifs si la situation financière de l'entreprise
n'est pas catastrophique, mais aussi il donne un pouvoir de décision à des juges, par nature ignorants en
matière de gestion des entreprises, basé sur leur appréciation de la situation économique des firmes qui
licencient. À chaque législature successive, le code du travail s'est graduellement alourdi et a dérivé vers de
plus en plus de complexité, d'opacité, et de contraintes. L'esprit dirigiste qui anime nos hommes politiques et
leur incompréhension des mécanismes de marché constituent le fondement culturel sur lequel cette
complexité a proliféré. Les Enfoirés ont la certitude que travailler dur permet à n'importe qui de pouvoir s'en
sortir et se réaliser. C'est généralement vrai, mais pour cela, encore faut-il avoir l'opportunité de déployer ses
talents. Si c'est le cas des artistes qui disposent du statut particulier des intermittents du spectacle et dont
certains bénéficient de revenus élevés, la génération qu'ils représentent continue de profiter de protection du
CDI qui pèse sur la création d'emplois dont ont besoin les jeunes. La partie favorisée des jeunes ayant
exprimé ses talents et goût pour l'étude dans de bons lycées puis des grandes écoles peut migrer vers des
cieux plus ouverts à l'initiative privée, où ils pourront déployer leur créativité et leur dynamisme. Les autres
sont face à ce marché du travail monolithique et au peu d'espoir de développement social. Certains vont se
battre avec les contraintes du quotidien pour un résultat aléatoire. D'autres ont déjà baissé les bras et
attendent une aide de l'Etat sous forme de RSA inconditionnel et d'emplois aidés.
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OPINIONS
04/03/2015
Les Echos
Pag. 10
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Catherine Chatignoux
Les échéances financières approchent et la Grèce n'a pas les moyens de les honorer. Dix jours après le
compromis avec l'Eurogroupe qui a prolongé de quatre mois le plan d'aide à la Grèce, cet accord ressemble
à tout sauf au « répit » financier qu'escomptait le gouvernement d'Aléxis Tsípras. Les échéances se
rapprochent à grands pas et Athènes a toutes les difficultés à trouver les financements nécessaires pour les
honorer. Ce vendredi, le Trésor doit rembourser près de 300 millions d'euros au FMI, la première d'une série
de quatre tombées de dette échelonnées tout au long du mois de mars pour un total de 1,5 milliard d'euros.
Le gouvernement va procéder aujourd'hui à une émission de bons du Trésor à 6 mois pour 875 millions.
L'opération est risquée car les banques grecques qui généralement se portent acquéreur de la quasi-totalité
de ces titres à court terme se sont vu interdire par la BCE d'accroître leur exposition à ces obligations. La
BCE a bloqué le canal traditionnel de financement des banques grecques, laissant ouvert un financement
d'urgence plus coûteux et plafonné (ELA), limitant de facto la possibilité pour les établissements financiers
d'acheter la dette de l'Etat. Maintenir la pression Demain, le conseil des gouverneurs de la BCE devra à
nouveau se prononcer sur la prolongation de ce dispositif d'urgence. Selon plusieurs observateurs, elle ne
devrait pas faire de cadeaux à la Grèce aussi longtemps que celle ci n'aura pas fait les efforts de réformes
suffisants. C'est en tout cas ce que le patron de la BCE, Mario Draghi avait laissé entendre il y a quelques
jours. De son côté, le ministre des Finances, Yánis Varoufákis multiplie les interventions publiques en Grèce
dans lesquelles il indique vouloir commencer à renégocier dès à présent la dette de son pays vis-à-vis de la
BCE, sans doute pour éviter d'avoir à lui rembourser les 6 ,7 milliards qui lui sont dûs cet été. Dès avril,
expliquait le ministre dimanche à l'Associated Press, « nous voulons démarrer la conversation avec nos
partenaires et les institutions concernant la soutenabilité de la dette et son rééchelonnement. » Les
Européens, eux, ont adopté la stratégie inverse consistant à maintenir la pression maximum sur le
gouvernement grec. Le président de l'Eurogroupe, Jeroen Dijsselbloem, a déclaré lundi qu'une première
tranche des 7,2 milliards de prêts en attente de paiement depuis le mois de septembre pourrait être versée
dès ce mois-ci à condition qu'Athènes adopte rapidement les réformes attendues. Si ce n'est pas le cas, le
ministre des Finances sera contraint de faire les fonds de tiroir de l'Etat et des entreprises nationales pour y
grappiller 1 ou 2 milliards de trésorerie. Il pourrait aussi retarder le paiement des factures à ses fournisseurs
ou encore emprunter à la sécurité sociale ce qui lui reste des fonds de retraite.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Faute de financement rapide, le mur de la dette menace la Grèce
04/03/2015
Les Echos
Pag. 22
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Bruno Trévidic
Airbus Helicopters dévoile son nouveau modèle, le H160. L'industriel veut faire de son nouveau modèle un
appareil marquant une rupture technologique, comparable à ce que fut l'A320 pour Airbus. Exit le X4, bonjour
le H160. Au terme d'un long « teasing » de deux ans, ponctués d'indiscrétions distillées au compte-gouttes,
Airbus Helicopters a dévoilé hier, en ouverture du Salon Heli-Expo d'Orlando (Floride), son dernier-né, le
H160, connu jusqu'alors sous le nom de code de X4. Deux mois après l'entrée en service de l'EC175, la
sortie de ce nouveau modèle aux lignes très futuristes illustre l'effort d'innovation d'Airbus Helicopters,
engagé depuis 2005 avec le lancement du EC175, et qui doit s'achever vers 2020 par un complet
renouvellement de la gamme de l'ex-Eurocopter. Le nouvel H160, dont le prix n'est pas encore fixé, sera
commercialisé à compter de 2016 pour une entrée en service en 2018. Il aura la lourde tâche de succéder à
la grande famille des Dauphin, l'un des plus gros succès de l'ex-Eurocopter, sur le créneau ultra-compétitif
des hélicoptères bimoteurs de moyen tonnage, capables d'effectuer les missions les plus variées, du
transport de passagers aux évacuations sanitaires, en passant par la desserte des plates-formes pétrolières.
Un segment de marché qui représente plus de 30 % des ventes d'hélicoptères civils, soit entre 1.450 et 1.575
commandes potentielles d'ici à 2019, selon Honeywell Aerospace. De la réussite commerciale du H160
dépendra donc la capacité d'Airbus Helicopters à préserver sa place de numéro un mondial des hélicoptères
civils, face à la pression grandissante de ses principaux concurrents, l'américain Bell et le britannique
AgustaWestland, filiale de Finmeccanica. Cependant, au-delà de l'enjeu commercial et financier, cet
investissement d'un demi-milliard d'euros est aussi un défi technologique. A l'instar de l'A320 d'Airbus dans
les années 1980, le H160 se veut un « appareil de rupture », susceptible de modifier la donne sur le marché
des hélicoptères. Airbus Helicopters y a placé ses dernières innovations. A commencer par de nouvelles
pales Blue Edge, aux extrémités en forme de boomerang. Fabriquées à La Courneuve, elles devraient rendre
l'appareil nettement moins bruyant (- 50 %) que l'actuel Dauphin. Le bruit étant l'une des principales
limitations à l'utilisation des hélicoptères en milieu urbain, une telle amélioration pourrait permettre au H160
d'aller là où ses concurrents sont bannis. Autre innovation : une nouvelle avionique digitale, avec de larges
écrans en lieu et place des traditionnels cadrans, comme sur les avions de ligne de nouvelle génération, qui
devrait considérablement simplifier la tâche des pilotes. avec des gains attendus en terme de sécurité.
Fuselage 100 % composite Le H160 sera aussi le premier appareil à utiliser le nouveau moteur Arrano,
développé spécialement par Turbomeca, qui sera son motoriste exclusif, après le retrait de Pratt & Whitney.
Associé à un fuselage 100 % composite plus léger, cette nouvelle turbine devrait offrir au H160 un gain de
consommation de carburant de 10 % à 15 % comparé aux hélicoptères actuels. S'ajoutent à cela d'autres
innovations, très visibles, comme le rotor de queue décentré et un stabilisateur biplan, qui confèrent au H160
sa silhouette si particulière... Ou moins visibles, comme le train d'atterrissage électrique, qui réduit le poids
des circuits hydrauliques. De quoi permettre au H160 de creuser l'écart avec son principal concurrent, l'AW
319 d'AgustaWestland, lancé en 2001, et espérer prendre une part de marché au moins égale aux 44 %
détenus par Airbus Helicopters sur le marché civil. Ce qui représenterait un marché potentiel de 600 à 700
machines, pour une valeur totale d'environ 9 milliards de dollars (sur la base d'un prix estimé de 15 millions
de dollars). Mais aussi de quoi assurer l'avenir du site de Marignane, où sera assemblé le H160. Si le
fuselage en composite sera fabriqué en Allemagne, près de Munich, 80 % de la valeur de l'appareil sera
conçu et fabriqué en France. À noter Changement de nom oblige, l'ex-Eurocopter a changé l'appellation de
ses appareils. La lettre H a remplacé EC, sur presque tous ses modèles.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Airbus Helicopters veut changer la donne avec son dernier-né
04/03/2015
Les Echos
Pag. 23
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Ingrid Feuerstein
Les émissions de CO 2 ont baissé de 20 % en six ans en Europe. Des progrès essentiellement réalisés sur
les moteurs thermiques. Ne cherchez plus les voitures électriques sur un Salon automobile. Après les débuts
chaotiques de cette technologie, c'est bien sur les moteurs thermiques que misent les constructeurs pour
respecter la réglementation sur le CO2 en 2021. Peugeot, qui est en train de renouveler ses moteurs, expose
sur son stand au Salon de Genève une 208 qui émet 79 grammes de CO2 au kilomètre. « Nous avons
abaissé ce seuil de 10 grammes par rapport au lancement du véhicule en 2012 », affirme Laurent Blanchet,
directeur du produit chez Peugeot. Renault, qui avait déjà proposé des moteurs à 85 grammes sur la Clio,
présente un Kadjar rejetant 99 grammes de CO2 kilomètres en version diesel. « Se situer à ce niveau pour
un SUV, c'était inimaginable il y a quelques années », souligne Bruno Ancelin, le patron des programmes de
Renault. Même les marques les plus gourmandes en profitent, comme Land Rover, qui déploie un bloc
émettant à peine 109 grammes de CO2, du jamais-vu pour la marque. Signe de cette évolution, les voitures
neuves vendues en Europe en 2014 affichaient une émission moyenne de 123,3 grammes, en baisse de 2,7
% par rapport à 2013, d'après l'étude annuelle publiée par Jato Dynamics. C'est l'équivalent d'environ 5 litres
aux 100 kilomètres. On est loin des 153,7 grammes enregistrés en 2008... Certes, ces chiffres doivent être
pris avec recul : il s'agit avant tout de consommation théorique, issus d'un calcul, qui évoluera en 2017. Mais
ils témoignent des progrès réalisés sur les moteurs thermiques. « Jusqu'en 2020, on ne verra pas beaucoup
d'électrification dans le véhicule », affirme Karl-Thomas Neumann, le patron de GM Europe. Dans ce
contexte, le diesel continue de jouer favorablement sur les émissions de CO2. « On peut facilement aller
jusqu'à 65-70 grammes de CO2 au kilomètre avec du diesel uniquement », affirme Bruno Ancelin chez
Renault. Face au débat soulevé en France sur le gazole, les constructeurs défendent cette technologie, qu'ils
jugent clef pour atteindre le seuil de 95 grammes de CO2 à horizon 2021. « Nous ne sommes pas chagrinés
par cette limite. Simplement, il ne faut pas dire au milieu de la trajectoire que le diesel ne compte pas », a
déclaré Carlos Tavares, le patron de PSA. Une ligne également défendue par Sergio Marchionne, président
de Fiat Chrysler. « Si l'interdiction du diesel devient la norme, le secteur va s'adapter, mais ça ne sera pas
gratuit », a-t-il mis en garde. Vers un Qashqai électrique Sur certains segments, l'électrification de la chaîne
de traction pourra s'imposer. Renault réfléchit à intégrer l'hybride sur son futur crossover de segment D. Du
côté de Nissan, on étudie l'idée d'une version électrique ou hybride du Qashqai, qui pourrait permettre de
faire descendre les émissions globales du constructeur. « Notre gamme électrique va se développer et le
Qashqai est un véhicule symbolique », juge Guillaume Cartier, de Nissan Europe. Enfin, chez Toyota, on
rappelle les chiffres. « Nous vendions 70.000 hybrides il y a quatre ans en Europe, nous sommes à 178.000
en 2014. Les premiers grammes sont faciles à gagner, mais, pour prendre les derniers, il va falloir faire des
paris technologiques », indique Didier Leroy, président de Toyota Europe.
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Le diesel, levier clef pour réduire les émissions de CO2
04/03/2015
Les Echos
Pag. 29
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Pierre de Gasquet
Rome veut lancer un plan à 6 milliards d'euros d'ici à 2020. Il a pour but d'assurer un service universel à 30
mégabits par seconde pour toute la population. L'accès à Internet à très haut débit devient une priorité
nationale dans la péninsule. Face au retard accumulé par la troisième économie de la zone euro en matière
d'accès au haut débit (28e sur les 34 pays de l'OCDE), le gouvernement de Matteo Renzi a annoncé hier un
plan d'investissement de 6 milliards d'euros sur cinq ans (financé à hauteur de 4 milliards par le Fonds de
développement et de cohésion et pour 2 milliards par les fonds européens gérés par les régions) en vue
d'inciter les opérateurs à passer à l'Internet rapide. Objectif affiché : assurer un service universel à 30
mégabits par seconde pour la totalité de la population (contre 43 % aujourd'hui) et une couverture à 100
mégabits par seconde pour 50 % des utilisateurs d'ici à 2020. En revanche, Rome a renoncé à l'idée d'un «
switch off » (coupure obligatoire) pour assurer le passage du cuivre à la fibre optique, contesté par Telecom
Italia. « Nous sommes disposés à collaborer avec d'autres opérateurs qui seraient disponibles pour réaliser
ce plan, y compris avec Telecom Italia », a confié hier le patron de Vodafone Italia, Aldo Bisio, à « La
Repubblica ». Mais il reste opposé à toute prise de contrôle par Telecom Italia de Metroweb, la société gérant
le réseau de fibre optique dans la région milanaise, aujourd'hui détenue à 46 % par la Cassa Depositi E
Prestiti (la Caisse des Dépôts italienne). De son côté, Telecom Italia a déjà prévu d'investir 10 milliards
d'euros sur trois ans (2015-2017) dans les réseaux de nouvelle génération (4G, fibre), dont 3 milliards d'euros
sur la seule fibre optique. « Toute incitation supplémentaire est bienvenue », indiquait-on hier au siège du
groupe. Un retard a rattraper Le plan gouvernemental prévoit la mise en place d'un « cadastre » unique des
infrastructures alimenté par l'ensemble des opérateurs télécoms, mais aussi tous les opérateurs (publics ou
privés) détenant des réseaux d'infrastructures utilisables pour l'essor de la fibre optique. Au bout d'un an de
mise en service de la fibre optique par un opérateur dans une agglomération, aucun concurrent ne pourra
plus offrir un accès à très haut débit sur un réseau en cuivre dans la zone concernée. L'usager aura accès
aux services sur fibre optique au même prix que sur les réseaux en cuivre grâce à des incitations publiques
visant à compenser la différence, afin d'obliger les opérateurs à investir sur la fibre jusqu'au domicile (Ftth).
Le lancement du « plan haut débit » - deux ans après celui de la France - vise à combler le retard italien :
seuls 21 % des foyers italiens ont accès à l'Internet rapide selon la Commission européenne. Ce plan
intervient au moment où Telecom Italia fait l'objet de multiples spéculations. Au lendemain des déclarations
du patron d'Orange, Stéphane Richard, sur l'« opportunité de consolidation » que représenterait un
rapprochement avec Telecom Italia, ce dernier a démenti tout « échange de vues » entre les deux groupes.
La presse italienne n'exclut pas des manoeuvres éventuelles sur la part de 8,3 % de Telecom Italia que
Vivendi s'apprête à reprendre à Telefonica ou la constitution d'un « noyau dur » avec le président du conseil
de surveillance de Vivendi, Vincent Bolloré. Mais le président de Telecom Italia, Giuseppe Recchi, a écarté
toute discussion avec Orange.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Renzi veut injecter 6 milliards dans le très haut débit en Italie
04/03/2015
Liberation
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Pour la Libye, Matteo Renzi compte sur la Russie
Monde - Par LIBERATION
Le chef du gouvernement italien sera mercredi à Moscou, où il rencontrera Vladimir Poutine, auprès duquel il
cherchera un soutien dans le dossier libyen. «L'objectif de la visite est d'impliquer la Russie dans l'affaire
libyenne», a estimé Ettore Greco, directeur de l'Institut pour les affaires internationales. L'Italie, en première
ligne face à l'afflux de dizaines de milliers de réfugiés arrivant des côtes libyennes, pousse pour une
intervention politique de la communauté internationale afin de trouver une solution passant à travers le
dialogue entre les principales factions du pays. «Si la Russie retourne à la table de la communauté
internationale, nous serons tous plus tranquilles, a estimé Matteo Renzi. Mais pour cela il est clair que
Poutine doit sortir de l'Ukraine.»Photo Reuters
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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Le Premier ministre italien rencontre Vladimir Poutine à Moscou mercredi.
04/03/2015
Wall Street Journal
Pag. 22
BY ERIC SYLVERS
GENEVA-Andy Palmer once tried to persuade former employer Nissan Motor Co. to buy niche sports-car
maker Aston Martin Lagonda Ltd. Now as the tiny British car maker's chief executive, Mr. Palmer is fighting to
keep it independent.Long associated with its role as a featured automobile in the James Bond series, Aston
Martin has struggled in recent years even as high-end rivals surge. Sold by Ford Motor Co. in 2007, annual
sales have since fallen to about 4,000 from 7,300.Mr. Palmer, a U.K. native on the job for 150 days, left
Nissan's Infiniti luxury- car business to join Aston Martin, and will begin unveiling key parts of his plan for the
niche car company at the Geneva auto show this week, including a revamped seven-vehicle lineup.In addition
to presenting two new limited- edition models, the company outlined a plan to offer three redesigned sports
cars, a new sedan and a car resembling a small crossover.Ultimately, the question facing Mr. Palmer is
whether a company that sells in such small volumes can finance the market's growing requirement to keep
adding new technology at a time that the price of keeping up is skyrocketing.Auto makers from General
Motors Co. to Tesla Motors Inc. are ramping up development spending, and the cost of creating an entirely
new vehicle can top $1 billion."This is not a car company that is ever going to be selling a lot of cars," Mr.
Palmer said. "Part of its mystique is the exclusivity."Mr. Palmer estimates Aston Martin can rebound to 7,000
vehicles, but shouldn't grow bigger to protect exclusivity.His ability to maintain that exclusivity will be in the
spotlight as Fiat Chrysler Automobiles NV nears the spinoff of Italian sport- car maker Ferrari.While he wants
to keep the company independent, Mr. Palmer said one of the reasons he joined was because of Aston's new
deal with Daimler AG, which should help lower the cost burden. "Daimler wants the relationship with Aston
Martin to share technology but doesn't want to own the company," he said.Daimler owns 5% of the company.
Its investment in Aston Martin follows a failed joint- vehicle program between Aston and Toyota Motor Corp.,
designed to sell inexpensive small cars- far from the British company's core product.Mr. Palmer said of the
new partnership: "We get the benefit of being a very agile techy enthusiastic company that can create things
amazingly quickly, but in the background I have the benefit the research and development that Daimler has
and I can draw on that technology."Currently, the 102-year-old company sells three pricey sports cars and a
sedan starting at $150,000. Its previous business plan called for £500 million ($768 million) to be invested to
update a lineup that Mr. Palmer said needs to be freshened."You can't introduce your car then wait 12 years
to replace it." Mr. Palmer has made fast work of changing the culture, replacing four of Aston Martin's six
regional heads, and hiring a former Porsche AG executive to run operations in China.Investindustrial, an
Italian private-equity fund that bought 38% of Aston in 2012, has said it is ready to invest more. Two Kuwaiti
investment funds-Investment Dar and Adeem Investment & Wealth Management- are also major
stakeholders.Andrea Bonomi, Investindustrial's chairman, helped recruit Mr. Palmer and said he could
envision holding the investment firm's Aston stake for as long as a decade. That firm held Italian motorcycle
maker Ducati for seven years, tripling its investment before it sold out.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 04/03/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Aston Martin Outlines An Expanded Lineup
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