Agostino Colombo Ci fosse un’altra vita Agostino Colombo è l’eteronimo di Mauro Valsangiacomo, pittore e incisore, nato a Chiasso (TI) nel 1950. Ha esposto in gallerie e musei in Svizzera e all’estero. Cura, assieme alla moglie, le “edizioni alla chiara fonte”. Ci fosse un’altra vita è la sua prima raccolta di versi. Vive a Lugano. Ci fosse un’altra vita Appaio in maniche di camicia bianca a righe fini e blu come un fantasma su di un carro che sarebbe poi tutto per me se ci fosse un’altra vita da vivere in un altro tempo e tu calzoni sdruciti, maglietta bianca che sembri un pesce fuori dall’acqua accoccolata al fianco; tu macedone o alessandrina o lombarda, tu profumata di chicchi di riso, capezzoli ardenti e cieli tersi e mani che se fossero state queste nostre vere non si lascerebbero più; invece solo fumo e sillabe che fanno sognare un tempo altro da questo estremo che ci è dato in sorte; cavallo carro e una certa violenza del vivere che come donna non capiresti mai: io uomo in giacca scura e spessa, in velluto direi, e bombetta; uno spaventapasseri di mezza età in mezzo all’erba alta, un capo, un contrabbandiere, un uomo antico e tu la donna a lui seduta accanto su di un carro che ha un secchio in latta agganciato e dondolando batte e fa l’eterno rumore dell’andare e un telo per fare l’ombra quando si fa l’amore e si dorme nel viaggio che non termina mai e del quale soltanto tu sapresti qualcosa ma non sei voluta venire. 73 Agostino Colombo / Ci fosse un’altra vita Se succede che Pan ci guarda soddisfatto La giacca è polverosa Avrei paura a vedermelo lì pelle ossa e zampe caprine e puzzo di becco che corre su per la china sgraziato torvo mai fermo e poi lanciarsi dietro a una capra e con fragore ridere e far bestialità, avrei paura a vedermelo lì nudo e crudo che si sganascia improvviso e salta grandi salti e atterra sempre in piedi: abbasserei la cresta, il vanto, starei zitto zitto e tremante in quel suo sibilare tra canne e soffi e urla e risa e zoccoli e capre e corna e salti e grida improvvise come improvvisi sono i cambi d’umore. La giacca è polverosa, la camicia ha il collo unto e mancano i bottoni; più che i bottoni mi mancano le tue mani e di prenderle nelle mie e tenerle con me perché sei una donna di terra e io un uomo di terra. Radici Sono nato ai bordi di uno stagno tra i canneti, ho ancora addosso il sapore del germoglio e il freddo del vento che soffia tra le foglie; sono nato sotto la ragnatela e il nido del passero e ho visto luccicare il luccio quando veniva il temporale, e certi barconi avvicinarsi alla mia casa di canne come per prendermi con la loro civiltà e le loro regole, mi nascondevo tra i rami più folti, ero come una lucertola o un topo di campagna, ho sempre avuto un rifugio dove nascondermi agli uomini, sono invecchiato e conosco molto bene lo stagno, le canne, l’umido ma non so quasi niente di loro, miei simili. Sulle spalle Io sulle spalle ti porterei volentieri tanto sembri leggera o sei come quei santoni che sono tutto pelle e ossa a guardarli ma sono macigni perché sono saggi e praticamente ancorati allo spirito e dunque ben saldi alle maniglie dell’eterno? Io ti porterei sulle spalle un po’ soltanto per farti vedere che sono ancora forte ma anche perché è bello che il vento ti sfiori i capelli e la faccia e i seni lassù in alto, ma ti prego di ridere perché sei più leggera e poi apriremmo le braccia tutti e due, uno sopra l’altro sotto; immagina che bello deve essere ballare in un prato e girare su se stessi e sentirti ridere come una ragazza di primo pelo. 74 Ti ho mai parlato delle scarpe? Sono stanche e con stringhe vecchie e i calzoni molli di fustagno stanno su con la corda e sui prati sfiorano col bordo i fiori e le erbe profumate – guardo indietro, resta il segno del passo ma poi l’erba si raddrizza subito perché vado via leggero; se tu venissi a far la pellegrina con me al santuario della terra potremmo accenderlo insieme il cero di sego e ringraziare; là c’è un albergo per chi passa la notte e una locanda: ci tratteremmo bene: fare l’amore a lungo e dormire il mattino. Ma se non vieni io vado lo stesso a ringraziarla questa terra. Pomeriggio Me ne sto zitto sull’aia di un vecchio maniero, un cortile, una selva di entrate, ho appena legato il cavallo, staccato il carretto; ho abbassato la guardia aperto le braccia, scappellato il cappello; guardo a veder se ti vedo leggera e con quei capelli neri che non invecchiano, che fanno finta di niente al vento della primavera e ti si snodano tutti intorno con fremiti di seta, guardo se vedo almeno una delle sette vite che un gatto come te vivrebbe, qui soltanto galline e qualche rumore di stalla. Ma le finestre dormono e le tendine frusciano con l’ingenuo muoversi di un corpo senza vita; tendine fantasmi, carezze di un altro mondo, mani morte da far raccapriccio e io ho dato la biada al cavallo, e da bere e anch’io ho bevuto e non ho voglia di andarmene da questo silenzio pomeridiano. Agostino Colombo / Ci fosse un’altra vita Vado per un campo Una moltitudine Vado per un campo infinito e tu hai la gonna a pallini blu, vado e sono il treno di un nuovo ovest e ti prendo su con me davanti dove sudo e trasudo tutto nero di carbone e butto nel fuoco palate di nerofumo in chicchi scuri di grandine nera che il fuoco divora in fretta; ma la tua gonna a pallini blu è come un’acqua gasata, una gazzosa fresca, un giorno d’estate in un bar sulla riva del lago; sei una dolce ragazza gazzosa che mi scoppietta intorno e mi sveglia all’azzurro latta di un treno che tutto arruffato avanza sulle sue rotaie e va lontano. Siamo una moltitudine sulla terra, un’immensa distesa di vite vegetali animali umane; e noi umani siamo i più accaniti a farci strada, secondi solo ai virus, eppure siamo microbi sotto il cielo. Il cavallo è fermo coi paraocchi per le luci improvvise, sono nuvolacce che arrivano, portano poco di buono, l’anno è simile al ’36; segnano male le nuvole; motociclette nere e barbare coi fanali improvvisi passano schizzando fango e prepotenza e bagliori malvagi. Non guardo di fino Con la pazienza Con la pazienza del cavallo da tiro ho voluto provare a vivere, in una stalla ai lati della via principale, quasi sempre su strade sterrate, ho ascoltato il sentimento molto più vecchio di me che la vita scorre e non ne sono il padrone; ho viaggiato su un carro faticoso, con il cavallo per amico e certe volte una donna vicino, ma in fondo sono rimasto solo a guardare l’infinito che va via giù per le rive lunghissime di questo fiume a cui la bestia s’abbevera ma che a me fa paura. Sono uno che non guarda di fino, non un pignolo; non uno spaccapelo, a me basta camminare accanto al carro, sentire lo zoccolo quieto, un toc dopo l’altro; e andare: a briglia sciolta mi scelgono le strade, come per la necessità del caso e se sono tanti gli imbocchi uno solo è lo sbocco: un prato dove ti troverò distesa e candida. Hai un vestito tutto ricamato a fiori e sei giovanissima, come me del resto che mi stendo accanto tra le labbra uno stelo e la camicia bianca e pulita e guardiamo tutti e due il cielo che non ha nuvole e posso toccarti come fossimo in vita; invece siamo eterni e vediamo ogni specie di fiore e di pianta e di animale e il cavallo che tanto ha faticato è lì anche lui e quieto. Non t’importa C’è una lievissima brezza Lo so che a te non importa se la cima più alta è ancora piena di neve o che la valle è secca e non c’è erba o che più avanti un prato è pieno di fiori, lo so che non ti importa che il biancospino è fiorito e tutti gli alberi spingono gemme splendenti nel cielo; lo so che non è gran che che il cavallo è ben governato il carro curato, e che la notte è passata tranquilla e che non t’importa di una bella donna che sto andando a trovare; tu se ci sei sei sopra le nuvole e i tuoi umori non sono uguali ai nostri terreni. C’è una lievissima brezza mi specchio negli occhi dell’animale: tu cavallo, io uomo. Ho un sigaro, una bombetta, una giacca scura; una pancia: non somiglio a Pessoa. Sulla strada sono capace d’orgoglio, per le mie storie le donne ridono nei fienili le notti d’inverno quando s’infila il tabacco nei fili e si aspetta. Ma ora non è l’inverno e la brezza leggera viene dal mare, onde quiete sulla spiaggia, laggiù gli alberghi dei ricchi. Su di un carro sbilenco trascorre la vita. 75 Agostino Colombo / Ci fosse un’altra vita Certo del cammino Notte Certo del cammino è il cavallo che si fida del padrone che in realtà lo inganna: è lui che lo segue come nella storia dei ciechi, ma tutti e due sanno bene dove arriveranno alla fine. Non descriverò le fatiche ma la compagnia che si fanno i due, alleati attempati, come i santi russi camminano e camminano, non vanno a Compostela, né a Gerusalemme; vanno per le stradine sotto ai pioppi frangivento, lungo i rigagnoli dove le erbe sono verdi e grasse e tagliano il cielo che si specchia un po’ nei fiumicelli e le saracinesche si alzano e si abbassano e fanno laghi e pozze anche profonde come il pensiero che passa nella mente e non c’è più; resta il freddo sapere intellettuale: uno strumento, una tecnica; subito muoiono le sfumature, le sensazioni, il gusto, la passione, la vita. I campi non hanno nome, si chiamano tutti campi, come i prati che si chiamano prati ma tutti hanno l’impronta dell’uomo: l’aratro e la falce per la sua fatica; i recinti, le sbarre e le reti per la sua brama, il camposanto per la sua paura; e qui mi sono fermato, ho staccato il cavallo, ho acceso un fuoco, ho aspettato la sera. Scendono le ombre scure, si avvicinano le mani dei morti, i volti di quelli conosciuti, quelli pianti, quelli dimenticati, si avvicinano e sono come il freddo che sale dalla terra, certe volte è terrificante la nebbia, e i rumori sembrano passi: allora ho paura di morire, di essere così totalmente solo a morire, ho paura delle mani dei morti che sono fredde e mi toccano la barba per rubarmi il caldo: certo che ce n’è ancora tanto di caldo in questo corpo! andate via: non per voi ma per la vita suonerò l’ocarina per tutta la notte! Ho fame Noi non sappiamo Immagino spesso come vivono i ricchi coi camini e l’interno tiepido e suona sempre un violino e nelle camere si muovono senza fare rumore, senza urtarsi, senza neppure lasciare un odore; con tanti figli tutti bene curati e educati e sani, ho immaginato le bellissime donne spogliarsi e curarsi, lasciarsi amare, amare, addormentarsi. Fanno tutto sottovoce e con calma e senza spargere sentore, o quando vanno giù negli alberghi dei mari che sono tutto servizi e cerimonie deve essere un piacere esserci con l’abito scuro, il farfallino e l’anello col nome sulla pietra nera grossa come un fagiolo e l’inchino quando il garçon porge il vino e salatini e pizzette e tartarughine viziate di senape nera, foie gras di serpente in un letto di noci, nocciole di fritto bollito e timballo di polipi in sugo di carne, polpaccio di miele al profumo di piede di porco mandibole secche di bufala al latte di corva, minestra di semi spaccati e sputati da denti avariati, ditate nell’occhio alla greca, unghiette infilate in detriti di schiuma e per finire carciofi di campo gelati con brina di carne in lattina: ho fame. 76 Noi non sappiamo cosa abbiamo nel corpo, dicono alcuni che non c’è solo materia; io appena posso li guardo bene i corpi nudi delle donne e sono particolarmente luminosi, sono lisci e dentro, sotto la pelle, sembra esserci qualcosa di nascosto, imprendibile, inesplicabile, di più profondo che l’intelligenza e il sapere; e di smisurato; come quando il cavallo che ho qui, (è una cavalla), si spazientisce tutta per via di qualcosa che la muove verso un infinito che sembra dietro l’angolo ma che solo i cavalli vedono, è l’infinito dei cavalli, negli uomini ce n’è uno maggiore, più contorto e strano, straziante quasi; e spaventoso se ci mettiamo davvero a crederci che possiamo assassinarci tra di noi perché Dio, che è infinito, lo vuole. Io mi baso su quello che vedono gli occhi e percepiscono i sensi: delle parole non mi fido troppo, possono essere voltate e rivoltate a piacimento dai furbi: guardo giù verso il mare e non mi pare che voglia assassinarmi; chiede rispetto, mi dice di stare all’erta, comunica la sua grandezza, e dicono che anche il sole va morendo: si vive e si muore, meglio sarebbe vivere in pace.