I FRUTTI DEL PARADISO PERDUTO Cultivar tradizionali della Marca Trevigiana Emanuele Bellò Edizioni Museo Etnografico Provinciale Case Piavone I FRUTTI DEL PARADISO PERDUTO Cultivar tradizionali della Marca trevigiana Emanuele Bellò Un paradiso perduto I pittori della famiglia Da Ponte e della loro scuola bassanese quando dovevano di pi n ge r es c e nea mbi e nt a t ene l l ’ Ede ns ii s pi r a va n oa ldo l c ep a e s a gg i ove ne t oc hes i s t e n de vad a va n t ia il or ooc c hi ,c i o èl ’ a p e r t ur ade l l aVa l l ede lBr e nt ave r s ol ’ a l t a pianura che allora apparteneva alla Marca Trevigiana. Lo scenario infatti, creato in secoli di pacifico dominio della Serenissima, era veramente elegiaco, con boschi, campi coltivati regolarmente, acque abbondanti e soprattutto tanti alberi da frutto che s p u nt a va n odap o de r i ,vi g ne t ie“ broli” ,g l ior t i -giardino della tradizione veneta, dove si concentravano primizie, piante aromatiche e officinali e piante di recente acclimatazione. Se quegli artisti potessero ritornare oggi non riconoscerebbero più quei luoghi, trasformati dallo sviluppo urbanistico ed industriale oltre che da guerre rovinose e troverebbero capannoni, fabbriche e cemento al posto della rigogliosa vegetazione che abbelliva il loro paradiso terrestre, perduto ormai ma non completamente. Nonostante tutto è ancora possibile incontrare brandelli di quel paesaggio felice in qualche podere isolato, in qualche boschetto delle colline, in terreni semincolti e soprattutto in oasi naturali come il parco dello Storga, uno dei più grandi parchi urbani europei. Qui, come in altri luoghi affini più o meno lontani, non si avvertono gli echi delle devastazioni moderniste e il paesaggio si è fermato in uno stato di grazia primitiva. Grazie alla proprietà pubblica, alla vocazione agraria e alle scelte amministrative, nei c a mpic h i u s ide l l ’ a n t i c at e nu t as ir i t r o va n omol t ide if r ut t ir i t r a t t ine igi a r d i nib i b l i c i ricreati nella scuola pittorica veneta che un crescente numero di appassionati cerca di salvare e diffondere per conservare un patrimonio genetico prezioso. Per documentare questa realtà la Provincia di Treviso ed il Gruppo Folcloristico Trevigiano hanno organizzato una ricerca coronata da una mostra fotografica e da una pubblicazione che per la prima volta descrive, anche con terminologia scientifica, le principali varietà fruttifere che fino ad recente passato erano oggetto di coltivazione domestica. Vengono anche registrati gli usi connessi a queste varietà, sia in campo gastronomico che economico e sociologico. Sistemi di coltivazione e conservazione Aive c c hit e mpis ir i u s c i vaa da ve r ef r u t t ape rt ut t ol ’ a n n os e nz ac hec if o s s e r of r ut t e t i veri e propri e nemmeno frigoriferi per la conservazione degli alimenti. Infatti le colture principali davano frumento e vino per i padroni, granoturco e verdure per i contadini fittavoli o mezzadri e il terreno restante doveva servire per le colture prative necessarie per gli animali da lavoro. Qui nd i ,c on l as ol ae c c e z i o nede lMo g l i a ne s e ,do vec ’ e r a n ol e“ persegarìe”o pe s c h e t i ,el az o nade l l ’ Asolano dove intere colline venivano tenute a ciliegi, la frutticoltura non era specializzata e ricorreva ai terreni marginali o poco redditizi, c omer i ve , b or dur e , a pp e n di c ide ic a mpi( i nd i a l e t t o:“ rivali, frassoni, coassse” ) . Ne l l aBa s s aTr e v i gi a nac ’ e r al ’ us odip i a nt a r euna l be r odaf r ut t oa l l ’ i n i z i od io gn i “ piantada”of i l a r ed iv i t i ,us a n d oun’ e s s e nz ad i v e r s ap e rog n i“ testada” ;i nq ue s t o modo, con colture promiscue, si utilizzava anche il minimo spazio disponibile e niente restava incolto. Questo si s t e mas ia d o pe r a vas opr a t t u t t one l l a“ beussèra” ,u nt i p i c ovi g ne t oar a gg i e r a alta che ormai è in disuso; molto spesso gli alberi da frutta venivano piantati nelle siepi così da fornire, oltre a legna da ardere e consolidamento delle rive dei fossati, anche frutta e richiamo per uccelli da catturare. Però non era sempre facile farlo: infatti, per piantare un albero, occorreva il consenso del padrone del fondo, che non sempre lo dava, sostenendo che impoveriva il suo terreno senza alcun vantaggio per lui, visto che per consuetudine i frutti spettavano al coltivatore. Alcuni proprietari davano il consenso ma si assicuravano una compartecipazione chiedendo un certo quantitativo di frutta sotto forma di “ onor a nz e ”or e ga l ì eedis o l i t os ir i s e r va v a n ol epr i mi z i e. Di preferenza gli alberi frutticoli si collocavano a dimora nelle siepi perché servivano a da t t i r a r eg l iuc c e l l i , s pe c i ed’ i n ve r n o, equi n dif a vo r i va nol ’ uc c e l l a g i on ec hef or ni v a un apporto proteico notevole alla dieta contadina solitamente basata sui vegetali. Ic o l t i va t or ip i ùbe n e s t a n t i ,s u l l ’ e s e mpi ode l l evi l l ea r i s t oc r a t i c h e ,r i s e r v a va n oa l l a f r u t t i c ol t u r au npi c c o l os pa z i oc h i u s ovi c i noa l l ac a s a ,c h i a ma t o“ brolo”o“ broléto” dove concentravano piante aromatiche, piante da frutto e piante ornamentali come in un giardino. Coltivando varietà di tutte le specie possibili e climaticamente compatibili, sia “ bonorive”opr i ma t i c c ec he“ tardive” ,c is iga r a n t i vaf r u t t ape rt u t t ol ’ a n no,a nc hes e la si consumava fresca solo in parte. Infatti le varietà più tardive davano frutti duri, aspri o poco gradevoli e, solo con particolari accorgimenti, si potevano mangiare, ma a ve va noi lva n t a g g i odip ot e rdu r a r epe rt ut t ol ’ i n ve r no.Ce r t if r u t t ive ni va n oqu i nd i me s s ii n“ màsera” ,c i oèf a t t ia mme z z a r ec onva r ime t odi: conservati in paglia, fieno, foglie ( soprattutto le nespole, i cotogni, le sorbe, le pere vernine, le prugne autunnali); messi sotto grappa (uva, pere selvatiche cotte nel vino, pere di San Martino, pere nivali); messi in tavole o graticci in luogo ben aereato. Ne ipa e s id ic ol l i n ap e r eeme l eve ni va noc o ns e r va t eme t t e nd o l ene l l a“ rìssera” :u na buca scavata in un pendio, foderata con foglie secche, riempita di strati di frutta separati da una superficie di foglie, il tutto rivestito di foglie ricoperte da muschio e da terra per evitare infiltrazioni di acqua piovana. Ne l l ec a s epa dr o na l ic ’ e r ai n ve c eu nas t a n z aoun ap a r t ede lgr a na i ope rc o ns e r v a r el a frutta: era posta a nord, con finestre a croce per assicurare ventilazione continua e “ grisiòe” ,ograticci di canne, appese al soffitto per distendervi la frutta al riparo dai topi. L’ uvave n i v af a t t aa pp a s s i r ep e rl apr o d uz i o nede lv i ns a n t oa p pe n de n doigr a p po l i alle travi del granaio e tenendoli fino al periodo pasquale. Il sistema più usato per la c on s e r va z i o nee r as i c ur a me nt equ e l l ode l l ’ essiccazione: la frutta veniva tagliate a fettine, mondata se necessario, quindi messa a seccare sopra il t e t t o,s u l“ piòl”ot e r r a z z oi nl e gn ode l l ec a s ede l l aPe de mont a na ,o pp ur es ugr a t i c c i nel granaio. Nel Cans i g l i oc ’ e r aa nc hel ’ u s a nz ad ic on s e r va r el ec a s t a g neme di a nt ea f f umi c a t ur a ottenuta bruciando legni particolari, come si faceva anche per formaggi e salumi. Una l t r ome t od ope ra ve r el af r ut t ad’ i nv e r noe r aq ue l l od it r a s f or ma r l ai nma r me l l a t a o gelatina, ma non veniva molto usato, sia per il suo costo (combustibile per il fuoco, zucchero, contenitore) sia per il pericolo di intossicazione alimentare sempre in agguato coi metodi casalinghi. Della frutta si usavano anche parti che noi ora scartiamo, ad esempio i semi; quelli di mela si adoperavano per insaporire la grappa e quelli di pesca venivano tostati per f a r ec r oc c a n t i .Is e midiz u c c a ,c ot t ia lf o r no,da va noi“ brustolini”c hes iv e n de va n o nelle osterie, nei cinema, nei filò, come gli attuali pop-corn. La frutta seccata dava origine ad un discreto commercio ambulante che dal Trevigiano si spingeva fino a Venezia; da Revine Lago partivano per il Bellunese e per la Laguna molte donne a vendere mele e pere secche, chiamate a seconda dei dialetti trevigiani , “ sonde” , “ pote” , “ cotinfe” ,“ scognife” , “ maregne” , “ siespe” . D’ i nve r nos ive nde v a n oa nc h ef i c h is e c c hipe rf a rde c o t t ie s pe t t or a nt ieif a mos i “ petorai”ope r ec ot t ees e r v i t ebe nc a l d epe rc omba t t e r er a f f r e d do r iei nf l u e n z e ; l ’ ul t i move nd i t or eès t a t oBe piMe z z a v i l l ac h ef i n oa gl ia n ni’ 50ve n de vape r ec o t t e in stazione per ristorare i viaggiatori. La frutta secca, soprattutto prugne, veniva impiegata spesso per cucinare il “ pa t a c hè o” , u nat or t ar us t i c ad if a r i nad ima i s , po l pad iz uc c aepe z z id if r utta. Cultivar autoctone tradizionali Coi metodi di coltivazione tradizionali si teneva in vita un grande patrimonio genetico con abbondanza varietale che permetteva la sopravvivenza di tantissime s pe c i eec ul t i va rl oc a l ic hel ’ e s pe r ienza di generazioni di contadini riconosceva come le più adatte ad un tipo di suolo, ad un dato clima o meglio microclima, alle esigenze della famiglia e del piccolo mercato. Perciò le varietà di piante fruttifere erano così numerose quanto gli appezzamenti di terra messi a coltura; ogni zona aveva le sue specialità ed ogni stagione la sua frutta. Anche se la produttività era limitata, la diversità genetica assicurava la stabilità produttiva in quanto la coesistenza nello stesso fondo di piante diverse implicava un grande ostacolo alla diffusione di parassiti monofagi e di malattie specifiche. Inoltre per la compresenza di piante adatte a sopportare il caldo ed il freddo e di altre r e s i s t e nt ia l l ’ umi dooa ls e c c o,n o no s t a n t ei lmut a r ede l l ec o nd i z i o nic l i matiche e la c ompa r s ad ima l a t t i ene lc or s ode l l ’ a n na t aa g r a r i a ,i lr e nd i me nt ome di ono ns ub i v a grandi alterazioni. Lano s t r ac a mpa gna ,f i n oa gl ia n n i’ 50-60, era un grande mosaico genetico di varietà ed ecotipi locali, determinati non solo dalla naturale evoluzione biologica ma anche da l l ’ i n t e r a z i o ne c on l et e c n i c he d ic ol t i va z i on eel ec a r a t t e r i s t i c h ec u l t ur a l i de l l ’ a mbi e nt ea nt r o pi c oos p i t a n t e .La circolazione genetica era assicurata da scambi, do n i ,a c q ui s i z i o ni ,t r a s mi s s i o nin e l l ’ a mbi t ode l l ef a mi gl i econtadine. Per esempio era frequente che una donna, andando sposa in un altro paese, portasse con sé anche semi di fiori e di piante di casa propria, sia per nostalgia che per il mantenimento di usi alimentari. Per rendersi conto della biodiversità assicurata dai vecchi sistemi basta considerare che nei trattati di frutticoltura e pomologia di fine Ottocento sono citate oltre cento varietà di mele prodotte in Italia; nella prima metà del secolo scorso erano gi às c e s eac i n qua n t aeog g i g i or n ol ’ ot t a nt ape rc ento della produzione si basa su tre varietà principali soltanto. Per quanto riguarda le denominazioni popolari si riscontrano molti casi di sinonimia per cui a volte una pianta risulta assente in una zona mentre in realtà esiste ancora ma sotto un altro nome; un esempio può essere la mela diaccia, conosciuta col nome di “ pomodel ’ o j o”maa nc he“ giàssola”o“ pomo del giasso”i nva r ipa e s ide l l aDe s t r a Piave. Molte varietà prendono il nome del periodo di maturazione o di raccolta ( “ pomi de San Piero” ,“ pèrseghi de San Lorenso” ,“ peri de San Martin”ec o s ìvi a ) , a l t r es ir i f e r i s c o no a l l az o nad ipr o ve n i e n z a( “ àmoli de Fransa” ,“ caimani de Combai” ,“ damaschini” ,“ pomi modanesi” ) ;a l t r ea nc or ar i c or d a n o pa r t i c o l a r i t à ne l l ’ a s pe t t o( “ pomo limonçel” , “ coastrorta” ,“ pero-figo” , “ pero-campana” ) . Èc ur i os on o t a r ec hel ade nomi na z i one“ del diavolo”op p ur e“ turco”i n di c af r u t t idi dimensioni insolite, quasi mostruose per la grandezza o il peso. Ogn iva r i e t àoc c up a v auns u os pa z i op r e c i s one l l ’ u ni ve r s oc o nt a di n o,n ons ol o da un punto di vista lavorativo, intellettuale o simbolico, ma anche magico e sociale. Ad e s e mpi os o l os u l l epi a nt ed ipe s c os if a c e val ac e r i moni ama gi c ade l“ marso del sì, marso del no”pe rma nt e ne r eb i a nc al ape l l ede l l er a ga z z ec hed o ve v a n oa nda r ea lavorare sui campi. Ne l l a“ festa dei òmeni”de l2a go s t on e l l ’ Al t aTr e v i gi a nae r at r a d i z i o nebe r ea l l ’ a l b a un bicchiere di vino bianco e mangiare una mezza pesca come auspicio di prosperità. Nella Bassa Trevigiana i sarmenti di viti erano riservati per scaldare il forno nella panificazione casalinga; tradizionalmente servivano 7 fascine per cuocere un’ i nf or n a t a . Sot t oi ln oc ep oino nbi s og na vama ia d dor me nt a r s ipe r c hé ,e s s e n d ol ’ a l be r ode l l e streghe, si poteva venire presi da incubi. Per ombreggiare la casa, chi non poteva permettersi un portico, ricorreva ad un pe r go l a t odiv i t i ,c hec os ìr i nf r e s c a va nol ’ e nt r a t ade l l ’ a b i t a z i o n eepr o t e gge va n oda l sole i bambini piccoli nei loro giochi. Un fico o un melograno piantati davanti alla casa auguravano fertilità e prosperità per l ’ a bb o nda nz ade il or os e mi . L’ ol e a n dr o no n ve ni vama ip i a nt a t o vi c i n oa l l ac a s a“ parché sinò le fie no se maridava più”( i nf a t t il es uef o g l i es on ov e l e no s eeme s c ol a t ea lf or a gg i op o s s o nof a r morire i bovini che venivano venduti spesso per fare la dote alle figlie). Certi frutti erano importanti per scandire il corso delle stagioni a cui erano legate molte tradizioni popolari e molti rituali sociali che si rispecchiano in numerosissimi proverbi, detti e sentenze. Per invitare alla pazienza s idi c ea n c oro gg i“ col tempo e co la paja matura i nespoli e la canaja” ;ac hihal af a c c i as of f e r e n t es idi c e“ te ga la siera de pomi coti” ;s idi c ea n c he“ i omeni i xe come i meloni: de çento solo tre xe boni”ec os ìv i a . Qualche vecchio agricoltore conserva ancora la ritualità nella raccolta, lasciando sulla pianta almeno tre frutti per propiziare la continuità e la fecondità; nella potatura de l l ev i t is ime t t ed apa r t eu nma nne l l odit r a l c idabr uc i a r ene l“ panevin”c ome simbolo di abbondanza; quando nasceva un figlio si piantava un noce o un ciliegio per avere a tempo debito il legno con cui costruire il mobilio della dotazione maritale; quando invece un figlio si sposava si piantava una vite come simbolo di stabilità e di buon augurio. Nella sagra di Sa nt ’ Ur ba n oc ’ e r al ac o n s ue t ud i nec h ei lf i d a nz a t or e g a l a s s ea l l a “ morosa”un ac o l l a n adif i c his e c c hic omea us p i c i odif e r t i l i t à . Co nl af r u t t af e r me nt a t as iot t e ne va noa nc hede is ur r o ga t ide lvi n o( “ vin de pomi” , “ vin de peri” ,“ vin de còrnole” ,“ vin de more” ,e t c . ) ;ne if i l ò,a ipa r t e c i p a n t ic h e aiutavano a scartocciare il mais, si offriva una fetta di zucca al forno con un bicchiere di vino novello. Tutta questa cultura è stata quasi cancellata per seguire le esigenze della produzione moderna, che abbisogna di poche varietà standardizzate per dimensioni e quantità, qualità e tempi produttivi, con sapori non troppo accentuati, con grande conservabilità in frigorifero e facilità di trasporto. Con il livellamento colturale sono quasi scomparse le piante da frutto rustiche che animavano il nostro paesaggio agrario, delimitando i confini delle proprietà o le entrate dei poderi, sostenendo le viti, solidificando le rive dei fossi e canali, ombreggiando case coloniche, cortili e concimaie, fornendo legname da lavoro e da c ombus t i bi l eef u nz i o na nd od af r a ng i v e n t one l l adi f e s ade ls u ol oda l l ’ e r o s i o ne . La loro lista, ricostruita con la suddivisione per specie, ad un primo esame risulta come segue: MALUS Pomo de San Piero: era il primo tipo di mela che maturava, a fine giugno, di colore verde tenue o giallino, a polpa farinosa e acidula. Pomo de la rosa: piccola mela che matura a metà estate diventando rossa soltanto da una parte; è di sapore asprigno e polpa dura e si trova ormai solo nel Quartier del Piave. Reneta sampagna: mela giallo-verde, succosa e profumata, che matura a fine estate. Coastorta: varietà tipica del massiccio del Grappa, di forma irregolare, polpa dura e maturazione invernale. Biancon del Grappa: mela bianca farinosa che si conserva bene p e rt u t t ol ’ i n ve r n oes ic ol t i vas ulGr a p pa ,d ov eu nt e mpos e r vi vaa fare anche il vino. Pomo del Paradiso: mela gialla a strisce rosse, dolcissima, a maturazione invernale. Durèl: mela giallo-rossa, picchiettata, a polpa dura e maturazione autunnale. Dècio nostran: mela rossiccia, sugosa, dal sapore asprigno, che matura in autunno. Pomo rùzene: mela di colore giallo a macchie ruggini, a polpa bianca e farinosa, che ma t ur aa do t t o br ees ic on s umape rt u t t ol ’ i nv e r n o. Pomo de l ’ oj o: mela di colore rosso-giallo-verde con la polpa traslucida, a maturazione autunnale. Pomo zigiòto: mela scura, a forma allungata, a polpa dura che si mangiava solo cotta. Pomo modanese: frutto tondo, a pasta sugosa e dolce, a maturazione autunnale. Pomo caimàn o caimàgno: mela piccola, rossa, a polpa dura, usata anche per fare il s i dr o;c ’ e r a n od ueva r i e t à ,q ue l l ad iComba ine lqua r t i e rde lPi a veeq ue l l ad i Papadopoli lungo il Piave in pianura. Pomo rosso de Pasqua: mela tardiva che matura a fine inverno, di colore rosso scuro a polpa dura. Pomo limonçel: mela gialla e profumata di limone, a maturazione tardiva. Pomo tarachìn: mela tardiva, molto piccola, a buccia rugosa e polpa dura, buona da cuocere sotto le braci. Pomo turco: mela grossissima di colore giallo picchiettato, a maturazione invernale; arriva al chilo di peso e si cuoce. Pomo Belfiòr: mela di colore giallo, profumata, che matura in autunno. Pomo mantovàn: mela di colore rosso sfumato, quasi rosaceo, che matura a fine autunno-inizio inverno. Pomo rosséto: mela piccola, rossa e tardiva, tipica ddella zona di Pederobba. Pomo ferocèsio: mela rosso-marrone, soda, a maturazione tardiva, che dura per tutto l ’ i n ve r no. Pomo rossocèsio: mela rosso vivo, piccola, a maturazione tardiva. Pomo bondansa: mela rossa e soda a maturazione invernale; gusto piuttosto acido. CYDONIA Pomo codògno: mela di colore giallo, di forma tonda o allungata, pasta bianca, da mangiare solo cotta; matura in ottobre-n o ve mbr e e du r a p e r t u t t o l ’ i nv e r n o. Tradizionalmente la marmellata di cotogno solidificata vi e naus a t ane lMo gl i a n e s epe rc onf e z i o n a r ei l“ madajòn de San Martìn” ,t i p i c odo l c ede l l af e s t adiSa nMa r t i n oi n novembre. Pero codogno: è come il precedente ma ha forma di pera. PYRUS Pero de San Piero: pera piccola di colore giallo, profumata, matura a fine giugno. Pero canelìn: pera allungata, buccia di colore cannella, profumata, matura tra luglio e agosto. Pero figo: pera piccola, verde, col picciolo simile a quello del fico, matura in luglio. Pero moscatèl: pera piccola con la buccia giallo-verde e la polpa che annerisce, matura fra luglio e agosto. Pero de San Giacomo: pera piccola, tondeggiante, di color rosso, matura a metà estate. Pero spinèl o pero del sangue o spinacarpi: pera piccola giallo-verde e profumatissima,ottenuta mediante innesto sul carpine. Pero butìro: pera verde-gialla, grossa e allungata, a polpa bianca e farinosa, matura in autunno. Pero del diavolo: pera grossa e dura che arriva anche a otto etti di peso, matura in inverno e si consuma cotta. Pero de San Martìn: pera piccola, simile ad una nespola marrone scuro, dura e che si metteva sotto grappa dopo la raccolta di San Martino. Pero de legno: pera di colore marrone scuro, a polpa dura, matura a dicembre e si cucina per mangiarla. Pero gardignòl: pera piccola, giallo-marrone, a polpa dura, matura in inverno e si ve nde vac o t t aa lf or n ope rt ut t ol ’ i n ve r n o. Pero de inverno: pera di media grandezza, di color rosso sangue, maturava in inverno e si consumava cotta, di solito nel vino. Pero campana: pera dolcissima, a buccia giallo-rossa, a forma scampanata, con maturazione estiva. Pero spadòn: pera di forma ovale, allungata, con la buccia rosso-verde, la polpa sugosa, a maturazione estiva. Pero spadoncìn: pera allungata, giallo-verde, profumata, matura in luglio. Pero rùzene: piccola, con macchie rugginose, matura in autunno. Pero làuro: piccola e allungata, a buccia giallo-rossa, e maturazione autunnale. Pero madernasso: piccola, rotonda, dura, che matura in novembre-dicembre, ottima cotta e in marmellata. PRUNUS Amolo de San Piero: susina piccola e rotonda, di color giallo carico, matura a fine giugno. Verdòn –verdusso –verdasso –verdarasso: prugna di colore verde con la polpa che diventa giallo oro a maturazione in agosto e va consumata entro pochi giorni. Strangola-preti: grossa susina gialla, a polpa soda, che matura in estate. Oriòl: susino a frutti piccoli come chicchi e raggruppati, di color giallo oro e molto profumati, a maturazione estiva che dura pochi giorni. Amolo de Fransa o àmolo rosso: susine rotonde giallorosso, molto dolci a maturazione estiva. Brombolòn: susina tonda, piccola, di colore blu, soda, a maturazione autunnale. Baricòcolo: susina innestata su albicocca, grossa, di color giallo-rosso, a maturazione estiva, molto profumata. Angelina: grossa prugna nera, a polpa dura, che si raccoglie prima della maturazione a ut u nn a l ees ic on s e r vape rt ut t ol ’ i nv e r n o .Se c c a t a ,s ic o n s e r va vai nc a s ape rf a r eu n “ apio”oi nf u s oe s pe t t or a nt e . Damaschìn: susina giallo-rossa, dolcissima, matura verso la metà di agosto. Cardinàl: prugna di colore viola-porpora, dolcissima, che matura in estate. CERASUS Sar e s adeSa nt ’ Ant oni : ciliegia tonda, grossa, di colore nero che matura verso la metà di giugno. Marinela: ciliegia piccola, rosso chiaro, di sapore asprigno, matura in estate e si conserva sotto grappa. Sarèsa regina: ciliegia grossa, rossa, polposa e sugosa che matura a metà di maggio. Saresa turca: ciliegia molto grossa, di color rosso cupo, con polpa soda e sugosa, matura in giugno. Giorgia: ciliegia piccola, rosso vivo, tipica della zona collinare. Biancolina: ciliegia grossa, di colore bianco-giallo, polpa sugosa e maturazione estiva; è quasi scomparsa perché non resiste a piogge prolungate. Marostegana: grossa, di colore rosso carico, matura in giugno. Mora padovana: piccola e nera, molto dolce, matura in giugno-luglio. Marascona: rosso vivo, amara; il legno delle piante serviva per fare le pipe di Borso. PERSICA Pèrsego lorensìn: pesca a buccia bianco-rossa che matura a metà agosto. Pèrsego de San Giacomo: grossa pesca spiccagnola che matura a metà estate. Pè r s e godeSant ’ Ana: pesca grossa, a buccia rossa e polpa bianca, spiccagnola, che matura in luglio. Pèrsego de la Madalena: pesca piccola, rossiccia, a polpa soda, che matura a fine luglio. Avaròn: pesca di colore bianco striato, con polpa bianca emol t od ol c e ;e r amol t ou s a t ape rf a r ei l“ perseghìn”o “ ratafià”d ip e s c hedipr o d uz i o nec a s a l i n ga . Pèrsego de la vendema: pesca a polpa bianca e rossa, farinosa, con maturazione tra settembre e ottobre. Sanguinèl: pesca piccola, con buccia a striature rosso-sangue, matura a fine ottobre. Zalòn: pesca grossa a pasta e buccia di colore giallo, che matura a settembre. Sbèrega: nocepesca a polpa bianca o gialla, molto profumata, a maturazione estiva. Terìna: nocepesca molto grossa, di colore giallo, molto dolce, a maturazione estiva. Carmàn: pesca piccola, soda, di colore verde-giallastro, a maturazione estiva. ARMENIACA Cagnìn: grossa albicocca di color arancione vivo, a polpa soda; matura a fine lugno. Armelìn moscà: piccola albicocca picchiettata di nero, a maturazione tardiva. arancione, FICUS Figo de San Piero: grosso, nero e dolcissimo; matura a fine giugno. Figo balotèr: nero, rotondo e sodo; matura a metà de l l ’ e s t a t e . Bianchèt: bianco, tondeggiante e morbido; matura in estate ed è tipico del.Vittoriese. Longhèt: scuro, allungato e morbido; matura a fine estate ed è tipico del Coneglianese. Figo de la giossa: giallo scuro, piccolo e dolce; matura a fine estate producendo la caratteristica goccia di materiale zuccherino che gli dà il nome. Panegariòl: color marrone; matura a settembre e marcisce subito se non viene consumato prontamente. Segalìn: scuro, allungato e molto fine; matura in estate. Verdìn: piccolo, verde e a polpa rossa; matura fra settembre ed ottobre. De Valdobiadene: piccolo, giallastro ed allungato; matura a fine estate. ZYZYPHUS Zìzola tonda: frutto rotondo, marrone; matura a settembre. Zìzola longa: frutto di forma allungata e di color marrone; matura in settembre-ottobre. AVELLANA Nosèla pontìa: nocciola piccola, schiacciata ed appuntita. Nosèla Trebisonda: nocciola grossa e rotonda. Nosèla cuoresina: nocciola cuoriforme. CUCUMIS Melòn rampeghìn: piccolo, rotondo, giallo-ocra, con esterno reticolato, polpa arancione; matura in estate. Melòn sucarìn: piccolo, rotondeggiante, con buccia ricamata da reticoli grossi, polpa rosso-arancione, a maturazione estiva. Melòn moscatèl: grosso, sferico, leggermente costolato, buccia verdastra, polpa rossa con gusto e profumo del moscato; matura in estate. Melòn de Spagna: ovale, con buccia gialla e liscia, polpa gialla, dolcissimo; matura in estate. Melòn bacìro: di forma allungata, buccia giallo scuro, polpa gialla; matura a fine estate. CRATAEGUS Pometo lazariòl –lazarìn –usariòl: se ne trovano di tre varietà: una rossa, una bianca ed una gialla, provenienti da piante sia spinose che prive di spine. DIOSPYROS Caco ragno: rotondo, arancione con striature nere a ragnatela, polpa arancione; matura in autunno. Vaniliòn: grosso, giallo-arancione, con la superficie divisa in coste; matura in autunno. Piòstro: piccolo, con frotti a grappolo di color arancione; matura in inverno e si vendeva caramellato nelle sagre di fine stagione. CUCURBITA Crèpa: rotonda, piccola, a buccia striata, a polpa gialla. Porseèra: rotonda, piccola, a buccia spessa, coltivata fra il granoturco ed utilizzata per nutrire i maiali. Baretina: rotonda, a forma di turbante, con costolature, di colore verdastro con chiazze rosso-arancione. Marina: grossa, rotonda, con costolature, di colore verde scuro. Melonera: zucca tonda o allungata, con buccia reticolata come il melone. CASTANEA Matarèla: piccola, farinosa, a maturazione precoce. Marzapàna: grossa, a buccia spessa; matura in ottobre. Asolana: grossa, farinosa; matura in ottobre. Bonése: piccola, farinosa, a maturazione tardiva. Passadèla: piccola, soda, a maturazione tardiva. Rosséta: piccola, a buccia rossastra, a maturazione tardiva. Moréta: piccola, a buccia marrone scuro, soda; matura in autunno. DeSant ’ Andr e a : grossa, di colore scuro, soda; matura a fine novembre. De la Madona: piccola, di colore scuro; matura in ottobre. VITIS Bacò: uva nera con acini a pallino, molto tanninica; matura a metà estate; forniva il vino per le sagre di luglio ed agosto. UadeSant ’ Ana: uva bianca da tavola con grappoli piccoli; matura in luglio. Crinto: uva nera a grappoli piccoli, molto profumata; maturazione a fine estate. Jòr: varietà di crinto, più gentile di gusto, di colore rosso. Senarénta: uva a grappoli compatti di colore viola con profumo intenso; era la varietà più usata per fare i pergolati nella Bassa Trevigiana. Tintòria: uva nerissima a grappoli compatti che si usava per tagliare i vini deboli o poco colorati. Grapariòl: varietà di raboso bianco, a maturazione tardiva, tipica del Basso Piave. Corbinèa: uva nera con acini sodi, usata anche per tagliare vini. Fragola bianca: varietà di uva Isabella, sia da tavola che da vinificazione. Francesina:va r i e t àd if r a go l ador a t a , us a t aunt e mpope rf a r ei l“ vinsanto” . Ua pirolòta:u vabi a nc ac o ngr o s s ia c i n is c h i a c c i a t i ,us a t as i ad at a v ol ac h e“ da c ompos t a ”me t t e n d ol as o t t ogr a pp a . Dolséta: uva bianca con acini delicati, usata sia da tavola che da vinificazione. Doròna: uva bianca con grani giallo oro, usata soprattutto per la tavola. Borgogna: uva nera a grappoli compatti, a grani sodi e molto profumati. Pitusséta: uva bianca a grappoli molto piccoli dal gusto asprigno, coltivata un tempo nei paesi attorno al Montello. Poaròsa: uva di colore rosso cupo con grappoli piccoli e profumati, coltivata nella Bassa Trevigiana. Varietà recuperate e documentate Le varietà sopra elencate e descritte sono state in buona parte ricostruite in base a testimonianze orali e a ricordi personali, perché ormai abbandonate da anni; ma di circa un terzo di esse è ancora rintracciabile qualche esemplare, soprattutto nel Parco dello Storga. Di queste si è cercato di dare una documentazione fotografica anche se non sempre possibile per vari motivi: a volte le condizioni atmosferiche non lo consentivano, altre volte i frutti non si sono trovati perché fuori stagione o già consumati. Tra le immagini raccolte abbiamo operato una selezione, privilegiando le foto più leggibili ed incisive e quelle riguardanti le varietà più rare, me t t e ndoa l l ’ ul t i mopos t oc ons i de r a z i onidit i poe s t e t i c o-artistico. Alla pubblicazione è legato un CD-ROM con le foto raccolte che può essere richiesto alla Provincia di Treviso per scopi didattici o culturali. Altre notizie sulle piante da frutto in via di estinzione si possono ottenere da l l ’ Or t oCons e r va t i vode lComunediTr e vi s oeda l“ Ce nt r oNa t ur aDon Pa ol o Chi a va c c i ”diCr espano del Grappa, oltre che da diversi vivai operanti nei paesi della Marca Trevigiana. Edizioni Case Piavone