I FRUTTI DEL PARADISO PERDUTO
Cultivar tradizionali della Marca Trevigiana
Emanuele Bellò
Edizioni Museo Etnografico Provinciale
Case Piavone
I FRUTTI DEL PARADISO PERDUTO
Cultivar tradizionali della Marca trevigiana
Emanuele Bellò
Un paradiso perduto
I pittori della famiglia Da Ponte e della loro scuola bassanese quando dovevano
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pianura che allora apparteneva alla Marca Trevigiana. Lo scenario infatti, creato in
secoli di pacifico dominio della Serenissima, era veramente elegiaco, con boschi,
campi coltivati regolarmente, acque abbondanti e soprattutto tanti alberi da frutto che
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-giardino della tradizione veneta, dove
si concentravano primizie, piante aromatiche e officinali e piante di recente
acclimatazione. Se quegli artisti potessero ritornare oggi non riconoscerebbero più
quei luoghi, trasformati dallo sviluppo urbanistico ed industriale oltre che da guerre
rovinose e troverebbero capannoni, fabbriche e cemento al posto della rigogliosa
vegetazione che abbelliva il loro paradiso terrestre, perduto ormai ma non
completamente. Nonostante tutto è ancora possibile incontrare brandelli di quel
paesaggio felice in qualche podere isolato, in qualche boschetto delle colline, in
terreni semincolti e soprattutto in oasi naturali come il parco dello Storga, uno dei più
grandi parchi urbani europei. Qui, come in altri luoghi affini più o meno lontani, non
si avvertono gli echi delle devastazioni moderniste e il paesaggio si è fermato in uno
stato di grazia primitiva.
Grazie alla proprietà pubblica, alla vocazione agraria e alle scelte amministrative, nei
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ricreati nella scuola pittorica veneta che un crescente numero di appassionati cerca di
salvare e diffondere per conservare un patrimonio genetico prezioso.
Per documentare questa realtà la Provincia di Treviso ed il Gruppo Folcloristico
Trevigiano hanno organizzato una ricerca coronata da una mostra fotografica e da
una pubblicazione che per la prima volta descrive, anche con terminologia scientifica,
le principali varietà fruttifere che fino ad recente passato erano oggetto di
coltivazione domestica.
Vengono anche registrati gli usi connessi a queste varietà, sia in campo gastronomico
che economico e sociologico.
Sistemi di coltivazione e conservazione
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veri e propri e nemmeno frigoriferi per la conservazione degli alimenti.
Infatti le colture principali davano frumento e vino per i padroni, granoturco e
verdure per i contadini fittavoli o mezzadri e il terreno restante doveva servire per le
colture prative necessarie per gli animali da lavoro.
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Asolano dove intere colline venivano tenute a ciliegi, la
frutticoltura non era specializzata e ricorreva ai terreni marginali o poco redditizi,
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niente restava incolto.
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siepi così da fornire, oltre a legna da ardere e consolidamento delle rive dei fossati,
anche frutta e richiamo per uccelli da catturare.
Però non era sempre facile farlo: infatti, per piantare un albero, occorreva il consenso
del padrone del fondo, che non sempre lo dava, sostenendo che impoveriva il suo
terreno senza alcun vantaggio per lui, visto che per consuetudine i frutti spettavano al
coltivatore. Alcuni proprietari davano il consenso ma si assicuravano una
compartecipazione chiedendo un certo quantitativo di frutta sotto forma di
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Di preferenza gli alberi frutticoli si collocavano a dimora nelle siepi perché servivano
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un apporto proteico notevole alla dieta contadina solitamente basata sui vegetali.
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dove concentravano piante aromatiche, piante da frutto e piante ornamentali come in
un giardino.
Coltivando varietà di tutte le specie possibili e climaticamente compatibili, sia
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la si consumava fresca solo in parte. Infatti le varietà più tardive davano frutti duri,
aspri o poco gradevoli e, solo con particolari accorgimenti, si potevano mangiare, ma
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foglie ( soprattutto le nespole, i cotogni, le sorbe, le pere vernine, le prugne
autunnali); messi sotto grappa (uva, pere selvatiche cotte nel vino, pere di San
Martino, pere nivali); messi in tavole o graticci in luogo ben aereato.
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buca scavata in un pendio, foderata con foglie secche, riempita di strati di frutta
separati da una superficie di foglie, il tutto rivestito di foglie ricoperte da muschio e
da terra per evitare infiltrazioni di acqua piovana.
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frutta: era posta a nord, con finestre a croce per assicurare ventilazione continua e
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topi.
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alle travi del granaio e tenendoli fino al periodo pasquale.
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frutta veniva tagliate a fettine, mondata se necessario, quindi messa a seccare sopra il
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ottenuta bruciando legni particolari, come si faceva anche per formaggi e salumi.
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o gelatina, ma non veniva molto usato, sia per il suo costo (combustibile per il fuoco,
zucchero, contenitore) sia per il pericolo di intossicazione alimentare sempre in
agguato coi metodi casalinghi.
Della frutta si usavano anche parti che noi ora scartiamo, ad esempio i semi; quelli di
mela si adoperavano per insaporire la grappa e quelli di pesca venivano tostati per
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nelle osterie, nei cinema, nei filò, come gli attuali pop-corn.
La frutta seccata dava origine ad un discreto commercio ambulante che dal
Trevigiano si spingeva fino a Venezia; da Revine Lago partivano per il Bellunese e
per la Laguna molte donne a vendere mele e pere secche, chiamate a seconda dei
dialetti trevigiani
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La frutta secca, soprattutto prugne, veniva impiegata spesso per cucinare il
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Cultivar autoctone tradizionali
Coi metodi di coltivazione tradizionali si teneva in vita un grande patrimonio
genetico con abbondanza varietale che permetteva la sopravvivenza di tantissime
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le più adatte ad un tipo di suolo, ad un dato clima o meglio microclima, alle esigenze
della famiglia e del piccolo mercato.
Perciò le varietà di piante fruttifere erano così numerose quanto gli appezzamenti di
terra messi a coltura; ogni zona aveva le sue specialità ed ogni stagione la sua frutta.
Anche se la produttività era limitata, la diversità genetica assicurava la stabilità
produttiva in quanto la coesistenza nello stesso fondo di piante diverse implicava un
grande ostacolo alla diffusione di parassiti monofagi e di malattie specifiche.
Inoltre per la compresenza di piante adatte a sopportare il caldo ed il freddo e di altre
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50-60, era un grande mosaico genetico di varietà
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frequente che una donna, andando sposa in un altro paese, portasse con sé anche semi
di fiori e di piante di casa propria, sia per nostalgia che per il mantenimento di usi
alimentari. Per rendersi conto della biodiversità assicurata dai vecchi sistemi basta
considerare che nei trattati di frutticoltura e pomologia di fine Ottocento sono citate
oltre cento varietà di mele prodotte in Italia; nella prima metà del secolo scorso erano
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varietà principali soltanto.
Per quanto riguarda le denominazioni popolari si riscontrano molti casi di sinonimia
per cui a volte una pianta risulta assente in una zona mentre in realtà esiste ancora ma
sotto un altro nome; un esempio può essere la mela diaccia, conosciuta col nome di
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un bicchiere di vino bianco e mangiare una mezza pesca come auspicio di prosperità.
Nella Bassa Trevigiana i sarmenti di viti erano riservati per scaldare il forno nella
panificazione casalinga; tradizionalmente servivano 7 fascine per cuocere
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streghe, si poteva venire presi da incubi.
Per ombreggiare la casa, chi non poteva permettersi un portico, ricorreva ad un
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sole i bambini piccoli nei loro giochi.
Un fico o un melograno piantati davanti alla casa auguravano fertilità e prosperità per
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morire i bovini che venivano venduti spesso per fare la dote alle figlie).
Certi frutti erano importanti per scandire il corso delle stagioni a cui erano legate
molte tradizioni popolari e molti rituali sociali che si rispecchiano in numerosissimi
proverbi, detti e sentenze. Per invitare alla pazienza s
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col tempo e
co la paja matura i nespoli e la canaja”
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Qualche vecchio agricoltore conserva ancora la ritualità nella raccolta, lasciando
sulla pianta almeno tre frutti per propiziare la continuità e la fecondità; nella potatura
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simbolo di abbondanza; quando nasceva un figlio si piantava un noce o un ciliegio
per avere a tempo debito il legno con cui costruire il mobilio della dotazione maritale;
quando invece un figlio si sposava si piantava una vite come simbolo di stabilità e di
buon augurio.
Nella sagra di Sa
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aiutavano a scartocciare il mais, si offriva una fetta di zucca al forno con un bicchiere
di vino novello.
Tutta questa cultura è stata quasi cancellata per seguire le esigenze della produzione
moderna, che abbisogna di poche varietà standardizzate per dimensioni e quantità,
qualità e tempi produttivi, con sapori non troppo accentuati, con grande
conservabilità in frigorifero e facilità di trasporto.
Con il livellamento colturale sono quasi scomparse le piante da frutto rustiche che
animavano il nostro paesaggio agrario, delimitando i confini delle proprietà o le
entrate dei poderi, sostenendo le viti, solidificando le rive dei fossi e canali,
ombreggiando case coloniche, cortili e concimaie, fornendo legname da lavoro e da
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La loro lista, ricostruita con la suddivisione per specie, ad un primo esame risulta
come segue:
MALUS
Pomo de San Piero: era il primo tipo di mela che
maturava, a fine giugno, di colore verde tenue o
giallino, a polpa farinosa e acidula.
Pomo de la rosa: piccola mela che matura a metà
estate diventando rossa soltanto da una parte; è di
sapore asprigno e polpa dura e si trova ormai solo nel
Quartier del Piave.
Reneta sampagna: mela giallo-verde, succosa e
profumata, che matura a fine estate.
Coastorta: varietà tipica del massiccio del Grappa, di
forma irregolare, polpa dura e maturazione invernale.
Biancon del Grappa: mela bianca farinosa che si
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fare anche il vino.
Pomo del Paradiso: mela gialla a strisce rosse, dolcissima, a maturazione invernale.
Durèl: mela giallo-rossa, picchiettata, a polpa dura e maturazione autunnale.
Dècio nostran: mela rossiccia, sugosa, dal sapore asprigno, che matura in autunno.
Pomo rùzene: mela di colore giallo a macchie ruggini, a polpa bianca e farinosa, che
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maturazione autunnale.
Pomo zigiòto: mela scura, a forma allungata, a polpa dura che si mangiava solo cotta.
Pomo modanese: frutto tondo, a pasta sugosa e dolce, a maturazione autunnale.
Pomo caimàn o caimàgno: mela piccola, rossa, a polpa dura, usata anche per fare il
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Papadopoli lungo il Piave in pianura.
Pomo rosso de Pasqua: mela tardiva che matura a fine inverno, di colore rosso scuro
a polpa dura.
Pomo limonçel: mela gialla e profumata di limone, a maturazione tardiva.
Pomo tarachìn: mela tardiva, molto piccola, a buccia rugosa e polpa dura, buona da
cuocere sotto le braci.
Pomo turco: mela grossissima di colore giallo picchiettato, a maturazione invernale;
arriva al chilo di peso e si cuoce.
Pomo Belfiòr: mela di colore giallo, profumata, che matura in autunno.
Pomo mantovàn: mela di colore rosso sfumato, quasi rosaceo, che matura a fine
autunno-inizio inverno.
Pomo rosséto: mela piccola, rossa e tardiva, tipica ddella zona di Pederobba.
Pomo ferocèsio: mela rosso-marrone, soda, a maturazione tardiva, che dura per tutto
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Pomo rossocèsio: mela rosso vivo, piccola, a maturazione tardiva.
Pomo bondansa: mela rossa e soda a maturazione invernale; gusto piuttosto acido.
CYDONIA
Pomo codògno: mela di colore giallo, di forma tonda o
allungata, pasta bianca, da mangiare solo cotta; matura in
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Tradizionalmente la marmellata di cotogno solidificata
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novembre.
Pero codogno: è come il precedente ma ha forma di pera.
PYRUS
Pero de San Piero: pera piccola di colore giallo,
profumata, matura a fine giugno.
Pero canelìn: pera allungata, buccia di colore cannella,
profumata, matura tra luglio e agosto.
Pero figo: pera piccola, verde, col picciolo simile a quello
del fico, matura in luglio.
Pero moscatèl: pera piccola con la buccia giallo-verde e
la polpa che annerisce, matura fra luglio e agosto.
Pero de San Giacomo: pera piccola, tondeggiante, di
color rosso, matura a metà estate.
Pero spinèl o pero del sangue o spinacarpi: pera piccola giallo-verde e
profumatissima,ottenuta mediante innesto sul carpine.
Pero butìro: pera verde-gialla, grossa e allungata, a polpa bianca e farinosa, matura
in autunno.
Pero del diavolo: pera grossa e dura che arriva anche a otto etti di peso, matura in
inverno e si consuma cotta.
Pero de San Martìn: pera piccola, simile ad una nespola marrone scuro, dura e che
si metteva sotto grappa dopo la raccolta di San Martino.
Pero de legno: pera di colore marrone scuro, a polpa dura, matura a dicembre e si
cucina per mangiarla.
Pero gardignòl: pera piccola, giallo-marrone, a polpa dura, matura in inverno e si
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Pero de inverno: pera di media grandezza, di color rosso sangue, maturava in
inverno e si consumava cotta, di solito nel vino.
Pero campana: pera dolcissima, a buccia giallo-rossa, a forma scampanata, con
maturazione estiva.
Pero spadòn: pera di forma ovale, allungata, con la buccia rosso-verde, la polpa
sugosa, a maturazione estiva.
Pero spadoncìn: pera allungata, giallo-verde, profumata, matura in luglio.
Pero rùzene: piccola, con macchie rugginose, matura in autunno.
Pero làuro: piccola e allungata, a buccia giallo-rossa, e maturazione autunnale.
Pero madernasso: piccola, rotonda, dura, che matura in novembre-dicembre, ottima
cotta e in marmellata.
PRUNUS
Amolo de San Piero: susina piccola e rotonda, di color
giallo carico, matura a fine giugno.
Verdòn –verdusso –verdasso –verdarasso: prugna di
colore verde con la polpa che diventa giallo oro a
maturazione in agosto e va consumata entro pochi giorni.
Strangola-preti: grossa susina gialla, a polpa soda, che
matura in estate.
Oriòl: susino a frutti piccoli come chicchi e raggruppati, di
color giallo oro e molto profumati, a maturazione estiva
che dura pochi giorni.
Amolo de Fransa o àmolo rosso: susine rotonde giallorosso, molto dolci a maturazione estiva.
Brombolòn: susina tonda, piccola, di colore blu, soda, a maturazione autunnale.
Baricòcolo: susina innestata su albicocca, grossa, di color giallo-rosso, a maturazione
estiva, molto profumata.
Angelina: grossa prugna nera, a polpa dura, che si raccoglie prima della maturazione
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Damaschìn: susina giallo-rossa, dolcissima, matura verso la metà di agosto.
Cardinàl: prugna di colore viola-porpora, dolcissima, che matura in estate.
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: ciliegia tonda, grossa, di colore
nero che matura verso la metà di giugno.
Marinela: ciliegia piccola, rosso chiaro, di sapore asprigno,
matura in estate e si conserva sotto grappa.
Sarèsa regina: ciliegia grossa, rossa, polposa e sugosa che
matura a metà di maggio.
Saresa turca: ciliegia molto grossa, di color rosso cupo, con
polpa soda e sugosa, matura in giugno.
Giorgia: ciliegia piccola, rosso vivo, tipica della zona
collinare.
Biancolina: ciliegia grossa, di colore bianco-giallo, polpa sugosa e maturazione
estiva; è quasi scomparsa perché non resiste a piogge prolungate.
Marostegana: grossa, di colore rosso carico, matura in giugno.
Mora padovana: piccola e nera, molto dolce, matura in giugno-luglio.
Marascona: rosso vivo, amara; il legno delle piante serviva per fare le pipe di Borso.
PERSICA
Pèrsego lorensìn: pesca a buccia bianco-rossa che
matura a metà agosto.
Pèrsego de San Giacomo: grossa pesca spiccagnola che
matura a metà estate.
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Ana: pesca grossa, a buccia rossa e
polpa bianca, spiccagnola, che matura in luglio.
Pèrsego de la Madalena: pesca piccola, rossiccia, a
polpa soda, che matura a fine luglio.
Avaròn: pesca di colore bianco striato, con polpa bianca
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Pèrsego de la vendema: pesca a polpa bianca e rossa, farinosa, con maturazione tra
settembre e ottobre.
Sanguinèl: pesca piccola, con buccia a striature rosso-sangue, matura a fine ottobre.
Zalòn: pesca grossa a pasta e buccia di colore giallo, che matura a settembre.
Sbèrega: nocepesca a polpa bianca o gialla, molto profumata, a maturazione estiva.
Terìna: nocepesca molto grossa, di colore giallo, molto dolce, a maturazione estiva.
Carmàn: pesca piccola, soda, di colore verde-giallastro, a maturazione estiva.
ARMENIACA
Cagnìn: grossa albicocca di color arancione vivo, a
polpa soda; matura a fine lugno.
Armelìn moscà: piccola albicocca
picchiettata di nero, a maturazione tardiva.
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FICUS
Figo de San Piero: grosso, nero e dolcissimo; matura a
fine giugno.
Figo balotèr: nero, rotondo e sodo; matura a metà
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Bianchèt: bianco, tondeggiante e morbido; matura in
estate ed è tipico del.Vittoriese.
Longhèt: scuro, allungato e morbido; matura a fine
estate ed è tipico del Coneglianese.
Figo de la giossa: giallo scuro, piccolo e dolce; matura
a fine estate producendo la caratteristica goccia di
materiale zuccherino che gli dà il nome.
Panegariòl: color marrone; matura a settembre e marcisce subito se non viene
consumato prontamente.
Segalìn: scuro, allungato e molto fine; matura in estate.
Verdìn: piccolo, verde e a polpa rossa; matura fra settembre ed ottobre.
De Valdobiadene: piccolo, giallastro ed allungato; matura a fine estate.
ZYZYPHUS
Zìzola tonda: frutto rotondo, marrone; matura a settembre.
Zìzola longa: frutto di forma allungata e di color marrone;
matura in settembre-ottobre.
AVELLANA
Nosèla pontìa: nocciola piccola, schiacciata ed appuntita.
Nosèla Trebisonda: nocciola grossa e rotonda.
Nosèla cuoresina: nocciola cuoriforme.
CUCUMIS
Melòn rampeghìn: piccolo, rotondo, giallo-ocra, con
esterno reticolato, polpa arancione; matura in estate.
Melòn sucarìn: piccolo, rotondeggiante, con buccia
ricamata da reticoli grossi, polpa rosso-arancione, a
maturazione estiva.
Melòn moscatèl: grosso, sferico, leggermente costolato,
buccia verdastra, polpa rossa con gusto e profumo del
moscato; matura in estate.
Melòn de Spagna: ovale, con buccia gialla e liscia, polpa
gialla, dolcissimo; matura in estate.
Melòn bacìro: di forma allungata, buccia giallo scuro,
polpa gialla; matura a fine estate.
CRATAEGUS
Pometo lazariòl –lazarìn –usariòl: se ne trovano di tre
varietà: una rossa, una bianca ed una gialla, provenienti da
piante sia spinose che prive di spine.
DIOSPYROS
Caco ragno: rotondo, arancione con striature nere a ragnatela,
polpa arancione; matura in autunno.
Vaniliòn: grosso, giallo-arancione, con la superficie divisa in
coste; matura in autunno.
Piòstro: piccolo, con frotti a grappolo di color arancione; matura
in inverno e si vendeva caramellato nelle sagre di fine stagione.
CUCURBITA
Crèpa: rotonda, piccola, a buccia striata, a polpa gialla.
Porseèra: rotonda, piccola, a buccia spessa, coltivata fra il
granoturco ed utilizzata per nutrire i maiali.
Baretina: rotonda, a forma di turbante, con costolature, di colore
verdastro con chiazze rosso-arancione.
Marina: grossa, rotonda, con costolature, di colore verde scuro.
Melonera: zucca tonda o allungata, con buccia reticolata come il
melone.
CASTANEA
Matarèla: piccola, farinosa, a maturazione precoce.
Marzapàna: grossa, a buccia spessa; matura in ottobre.
Asolana: grossa, farinosa; matura in ottobre.
Bonése: piccola, farinosa, a maturazione tardiva.
Passadèla: piccola, soda, a maturazione tardiva.
Rosséta: piccola, a buccia rossastra, a maturazione tardiva.
Moréta: piccola, a buccia marrone scuro, soda; matura in autunno.
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: grossa, di colore scuro, soda; matura a fine novembre.
De la Madona: piccola, di colore scuro; matura in ottobre.
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Bacò: uva nera con acini a pallino, molto tanninica; matura a
metà estate; forniva il vino per le sagre di luglio ed agosto.
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Ana: uva bianca da tavola con grappoli piccoli;
matura in luglio.
Crinto: uva nera a grappoli piccoli, molto profumata;
maturazione a fine estate.
Jòr: varietà di crinto, più gentile di gusto, di colore rosso.
Senarénta: uva a grappoli compatti di colore viola con
profumo intenso; era la varietà più usata per fare i pergolati
nella Bassa Trevigiana.
Tintòria: uva nerissima a grappoli compatti che si usava per tagliare i vini deboli o
poco colorati.
Grapariòl: varietà di raboso bianco, a maturazione tardiva, tipica del Basso Piave.
Corbinèa: uva nera con acini sodi, usata anche per tagliare vini.
Fragola bianca: varietà di uva Isabella, sia da tavola che da vinificazione.
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Dolséta: uva bianca con acini delicati, usata sia da tavola che da vinificazione.
Doròna: uva bianca con grani giallo oro, usata soprattutto per la tavola.
Borgogna: uva nera a grappoli compatti, a grani sodi e molto profumati.
Pitusséta: uva bianca a grappoli molto piccoli dal gusto asprigno, coltivata un tempo
nei paesi attorno al Montello.
Poaròsa: uva di colore rosso cupo con grappoli piccoli e profumati, coltivata nella
Bassa Trevigiana.
Varietà recuperate e documentate
Le varietà sopra elencate e descritte sono state in buona parte ricostruite in
base a testimonianze orali e a ricordi personali, perché ormai abbandonate
da anni; ma di circa un terzo di esse è ancora rintracciabile qualche
esemplare, soprattutto nel Parco dello Storga.
Di queste si è cercato di dare una documentazione fotografica anche se non
sempre possibile per vari motivi: a volte le condizioni atmosferiche non lo
consentivano, altre volte i frutti non si sono trovati perché fuori stagione o
già consumati.
Tra le immagini raccolte abbiamo operato una selezione, privilegiando le
foto più leggibili ed incisive e quelle riguardanti le varietà più rare,
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o-artistico.
Alla pubblicazione è legato un CD-ROM con le foto raccolte che può
essere richiesto alla Provincia di Treviso per scopi didattici o culturali.
Altre notizie sulle piante da frutto in via di estinzione si possono ottenere
da
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espano del Grappa, oltre che da diversi vivai
operanti nei paesi della Marca Trevigiana.
Edizioni Case Piavone
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I FRUTTI DEL PARADISO PERDUTO Edizioni Museo