32803/12
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA IM CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
UDIENZA PUBBLICA
DEL 11.052012
Composta dagli 111.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ADOLFO DI VIRG1N10
Dott. LUIGI LANZA
Dott. DOMENICO CARCANO
Dott. EMANUELE DI SALVO
Dott. GAETANO DE AMICIS
- Presidente - Consigliere - Consigliere - Consigliere - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) AIELLO FRANCESCO N. IL 22/11/1968
2) ALBANO MARIO N. IL 20/07/1972
3) ANCORA RODOLFO N. IL 12/08/1953
4) CAFORIO RAFFAELE N. IL 05/03/1957
5) CAFORIO RODOLFO N. IL 16/06/1971
6) CATAPANO ANTONIO N. IL 14/01/1973
7) CATAPANO CATALDO N. IL 20/06/1964
8) CIANCIARUSO COSIMO N. IL 21/01/1965
9) CIANCIARUSO SALVATORE N. IL 25/07/1969
10) CINIERI CATALDO N. IL 13/11/1951
11) CRISTALLO FRANCESCO N. IL 28/03/1946
12) DE FLORIO CATALDO N. IL 13/04/1965
13) DE LUCA SALVATORE N. IL 03/05/1959
14) LA GIOIA LUIGI N. IL 28/02/1952
15) LA GIOIA RAFFAELE N. IL 05/08/1953
16) LEONE PIETRO N. IL 01/10/1957
17) LIUZZI GIUSEPPE N. IL 22/09/1959
18) MICOLI ORLANDO N. [L 11/11/1969
19) MODEO CFLAUDIO N. IL 17/03/1964
20) MORRONE GIUSEPPE N. IL 12/07/1962
21) PANARITI GIOVANNI N. IL 17/03/1975
22) PERELLI ADRIANO N. IL 10/08/1968
23) PIROZZOLO SERGIO N. IL 16/07/1959
24) PRESICCI ANTONIO N. IL 03/04/1960
25) ROMANAZZI COSIMO N. IL 20/04/1971
26) SANTOVITO GIUSEPPE N. IL 04/03/1946
avverso la sentenza n. 576/2003 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 13/07/2010
SENTENZA
N. 793/2012
REGISTRO GENERALE
N. 8 I 38/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/05/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Francesco Mauro
IACOVIELLO che ha concluso:
- per il rigetto dei ricorsi di AlELLO Francesco, CAFORIO Raffaele,
LA GIOIA Raffaele, LEONE Pietro e MODEO Claudio;
- per l'inammissibilità dei ricorsi di ALBANO Mario, ANCORA
Rodolfo, CAFORIO Rodolfo, CATAPANO Antonio, CATAPANO
Cataldo, CIANCIARUSO Salvatore, ClNIERI Cataldo, CRISTALLO
Francesco, LIUZZI Giuseppe, MORRONE Giuseppe, PERELLI
Adriano, PRESICCI Antonio e SANTO VITO Giuseppe;
- per l'annullamento con rinvio sul tentato omicidio e rigetto nel resto
relativamente a CIANCIARUSO Cosimo;
- per l'annullamento con rinvio sulla continuazione e il rigetto nel
resto relativamente ai ricorsi di DE FLORIO Cataldo, DE LUCA
Salvatore, MICOLI Orlando, PANARITI Giovanni e ROMANAZZI
Cosimo;
- per l'annullamento con rinvio relativamente ai ricorsi di LA GIOIA
Luigi e PIROZZOLO Sergio.
Sono presenti:
- per PRESICCI Antonio e SANTO VITO Giuseppe l'Avv.
CATAPANO Giancarlo;
- per CRISTALLO Francesco l'Avv. LEUZZI Biagio;
- per CATAPANO Antonio, CATAPANO Cataldo, CIANCIARU SO
Cosimo, CIANCIARUSO Salvatore, DE LUCA Salvatore e
PANARITI Giovanni l'Avv. VITALE Gaetano anche in qualità di
sostituto processuale dell'Avv. PUTIGNANO Pietro per ANCORA
Rodolfo e LEONE Pietro e in sostituzione dell'Avv. LEVATO
Rosario per MICOL1 Orlando;
- per PIROZZOLO Sergio l'Avv. ANNICCHIARICO Pasquale;
- per MODEO Claudio l'Avv. LECCE Giuseppe;
- per LA GIOIA Luigi, LA GIOIA Raffaele e PERELLI Adriano
l'Avv. SOGGIA Fausto;
- per CIANCIARUSO Cosimo l'Avv. Giuliano DOMINICI, in
sostituzione dell'Avv. Alfredo GAITO,
i quali hanno concluso per l'accoglimento dei motivi di ricorso.
-
RITENUTO /N FATTO
1. Con sentenza del 13 luglio 2010 - 16 settembre 2011, la Corte di appello di Lecce, Sezione
distaccata di Taranto, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Taranto in
data 24 gennaio 2001 - appellata dagli odierni ricorrenti e da altri imputati - ha ridotto le pene
irrogate nei confronti dei seguenti imputati, condannandoli:
1. Albano Mario, esclusa l'aggravante di cui all'art. 7 del D.L. n. 152/91, alla pena di anni otto
e mesi nove di reclusione;
2. Ancora Rodolfo, alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione;
3. Catapano Antonio, alla pena di anni sette di reclusione;
4. Catapano Cataido, alla pena di anni nove di reclusione;
5. Chiochia Cataldo, alla pena di anni otto, mesi sei di reclusione ed €.2.000,00 di multa;
6. Cianciaruso Salvatore, alla pena di anni sette, mesi nove di reclusione ed €.2.000,00 di
multa;
7. Cinieri Cataldo, alla pena di anni cinque, mesi sei di reclusione ed €.34.000,00 di multa;
8. De Florio Cataldo, riconosciute con criterio di prevalenza le già concesse attenuanti
generiche, alla pena di anni nove, mesi cinque e giorni venti di reclusione;
9. Liuzzi Giuseppe, riconosciute le attenuanti generiche, alla pena di anni quattro, mesi due di
reclusione ed C.19.000,00 di multa;
10. Micoli Orlando, alla pena di anni dieci di reclusione ed €.45.000,00 di multa;
11. Marrone Giuseppe (nato nel 1962) alla pena di anni sette e mesi due di reclusione;
12. Panariti Giovanni, alla pena di anni nove di reclusione ed €.30.000,00 di multa;
13. Perelli Adriano, dichiarata l'improcedibilità dell'azione penale in ordine al reato di cui all'art.
74 DPR 309/90, per esistenza di precedente giudicato sul medesimo fatto, alla pena di anni
otto, mesi sei di reclusione ed €.40.000,00 di multa quanto agli altri reati ascrittigli;
14. Presicci Antonio, alla pena di anni nove e mesi due di reclusione;
15. Romanazzi Cosimo, alla pena di anni nove e mesi otto di reclusione;
16. Santovito Giuseppe, alla pena di anni nove e mesi due di reclusione.
Inoltre, sostituita, nei confronti di Ancora Rodolfo e Liuzzi Giuseppe, l'interdizione perpetua dai
pubblici uffici con quella temporanea, la Corte d'appello ha confermato l'impugnata sentenza
nei confronti di Aiello Francesco, Caforio Raffaele, Caforio Rodolfo, Cava Mario, Cianciaruso
Cosimo, Cristallo Francesco, De Luca Salvatore, Di Michele Luciano, La Gioia Luigi, La Gioia
Raffaele, Leone Pietro, Mode° Claudio, Muoio Giuseppe, Perelli Stefano, Pirozzolo Sergio e
Ruggiero Antonio, condannandoli al pagamento delle spese processuali del relativo grado di
giudizio.
Infine, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Cellamare Francesco e Mappa
Osvaldo in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti, perché estinti per morte del reo.
2. Sulla base della ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza pronunciata nel giudizio di
1
appello, il quadro delle contestazioni mosse ai predetti imputati, in concorso con altri
separatamente giudicati, ha avuto ad oggetto le diverse condotte delittuose appresso indicate
e può essere sinteticamente delineato nei termini qui di seguito esposti:
•
5122-41
AIELLO Francesco, ALBANO Mario, ANCORA Rodolfo, CAFORIO Raffaele, CAFORIO Rodolfo,
CATAPANO Antonio, CIA NCIARUSO Salvatore, CRISTALLO Francesco, DE FLORIO Cataldo,
LIUZZI Giuseppe, MICOLI Orlando, MORRONE Giuseppe (12,7.62), PANARITI Giovanni,
PERELLI Adriano, ROMANAZZI Cosimo, in ordine al delitto di cui all'art. 416-bis, primo,
secondo, terzo e quarto comma, cod. pen., per avere partecipato ad un'associazione a
delinquere di stampo mafioso ed armata, denominata "clan dei fratelli Modeo", operante nella
città e nella provincia di TARANTO dal 1987 e facente capo a Riccardo Gianfranco Claudio
MODEO, oltre che, per taluni periodi, a Marino PULITO e Salvatore ANACONDIA, avvalendosi
della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di
omertà che ne deriva, per commettere delitti e per realizzare ingiusti profitti e vantaggi.
In tale contesto associativo, successivamente al luglio del 1991, CESARIO Vincenzo,
CIANCIARUSO Cosimo, MARTERA Antonio, MARTERA Luigi e CESARIO Cosimo, insieme ai
defunto PORCELLI Giuseppe, organizzavano e dirigevano, mentre tutti gli altri vi
partecipavano, un'associazione di stampo mafioso ed armata, convenzionalmente denominata
"Clan Cesario - Cianciaruso Martera", avente le stesse finalità della precedente, nell'ambito
della quale si affrancavano dal predominio dei Modeo per controllare e gestire in via esclusiva
(anche mediante il ricorso all'omicidio e ad altri atti di violenza o di intimidazione quali
strumenti di risoluzione dei conflitti) le attività delittuose in Taranto, con particolare riguardo al
traffico e alla distribuzione delle sostanze stupefacenti, alle estorsioni, all'acquisto di armi e
materiale esplodente, ed in modo, altresì, di acquisire in via diretta o indiretta la gestione o
comunque il controllo del territorio, e di realizzare e mantenere, anche durante la detenzione
in carcere degli associati, profitti e vantaggi ingiusti per sé o per altri (in Taranto, dal 1989 al
1994, e successivamente).
•
Q7.122i1
AIELLO Francesco, ALBANO Mario, ANCORA Rodolfo, CAFORIO Raffaele, CAFORIO Rodolfo,
CATAPANO Antonio, CATAPANO Cataldo, CINIERI Cataldo, CRISTALLO Francesco, DE FLORIO
Cataldo, LIUZZI Giuseppe, MICOLI Orlando, MORRONE Giuseppe (12.7.62), PANARITI
Giovanni, PERELLI Adriano, PRESICCI Antonio, ROMANAZZI Cosimo, SANTO VITO Giuseppe, in
ordine al delitto di cui agli artt. 75 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, 74, commi primo,
secondo, terzo e quarto, del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e 7 del D.L. n. 152/91 per avere,
avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416 - bis, cod. pen. sopraindicate, partecipato ad una
associazione finalizzata al traffico Illecito e alla distribuzione di sostanze stupefacenti di tutti i
2
tipi, in particolare "eroina", composta da un numero di persone superiore a dieci e avente
disponibilità di armi e materiale esplodente (in Taranto, dal 1989 al 1993, e successivamente).
•
fdiM.£2.
CAFORIO Rodolfo, MICOLI Orlando, MORRONE Giuseppe (1962), PANARI77 Giovanni, PERELLI
Adriano, ROMANAZZI Cosimo, in ordine al delitto di cui agli artt. 81 cpv., 110 cod. pen., 73,
80 e 74 del D.P.R.. n. 309/90, e 7 del D. L. n. 152/91, per avere, in concorso con altri,
partecipato ad un'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, con il CESARIO Pasquale,
quale promotore e organizzatore, ed il MASELLA Egidio quale partecipe (in Taranto dai 1990
al 1996 e successivamente).
•
eill~
ALBANO Mario, ANCORA Rodolfo, CAFORIO Raffaele, CAFORIO Rodolfo, CATAPANO Antonio,
CATAPANO Cataldo, CINIERI Cataldo, CRISTALLO Francesco, DE FLORIO Cataldo, LIUZZI
Giuseppe, MICOLI Orlando, MORRONE Giuseppe (12.07.1962), PANARI77 Giovanni, PERELLI
Adriano, PRESICCI Antonio, ROMANAZZI Cosimo, SANTO VITO Giuseppe, in ordine al delitto di
cui agli artt. 81, cpv., cod. pen., 71 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, 73, 60 e 80 del
D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, 7 del D.L. n. 152/91 per avere, avvalendosi delle sopraindicate
condizioni di cui all'art. 416-bis, cod. pen., con più azioni esecutive del medesimo disegno, in
concorso fra loro e con altri, deceduti o imputati in procedimenti connessi, Illegalmente
detenuto e spacciato sostanze stupefacenti del tipo eroina, cocaina ed "hashish", anche in
quantità ingenti (in Taranto, dal 1989 al 1996).
2.1. Le contestazioni racchiuse nei capi di imputazione articolati dal D 1. al D 103.
-
-
riguardano, inoltre, numerosi e specifici episodi di detenzione e traffico di sostanze
stupefacenti, che vedono coinvolti a vario titolo e in diverse occasioni gli imputati sopra
menzionati nel capo D).
2.2. Gli ulteriori addebiti mossi a taluni degli imputati, quali reati-fine dei su descritti reati
associativi, sono invece enucleati nei capi di imputazione qui di seguito sinteticamente
illustrati:
CAPQ j)
LEONE Pietro, in concorso con altri, in ordine ai delitto di cui agli artt. 81 cpv., 110 cod. peri.,
71 della L. n. 685/75, per detenzione al fine di spaccio di un ingente quantitativo di sostanza
stupefacente del tipo "hashish", in Taranto, sul finire del 1990.
CAPO 7)
3
PIROZZOLO Sergio, in concorso con altri, in ordine ai delitto di cui agli artt. 110 c.p., 73 e 80
del D.P.R. n.309/90, e 7 del D.L. n. 152/91, per avere, al fine di agevolare l'associazione di cui
al capo 1), illegalmente detenuto, trasportato e ceduto, per il successivo spaccio, un
quantitativo ingente di "eroina", in Taranto, all'inizio del 1991.
CAPO 101
CRISTALLO Francesco, in concorso con altri, in ordine al delitto di cui agli artt. 81 cpv., 110,
cod. pen., 12 della legge n. 497/74, 7 del D.L. n. 152/91, per avere, al fine di agevolare
l'associazione di cui al capo A), illegalmente detenuto, portato in luogo pubblico e ceduto in
Taranto, in due differenti occasioni, a CESARIO Cosimo e GIANNETTI Giovanni, delle armi in
cambio di "eroina", nonché per avere custodito armi, in tempi diversi, in Taranto, dal gennaio
1993 al marzo 1994.
CAPO 1_23
CRISTALLO Francesco, in ordine ai delitti di cui agli artt. 81 cpv., cod. pen., 73 del D.P.R. n.
309/90, 10 e 12 della legge n. 497/74, per avere, al fine di agevolare l'associazione di cui al
capo A), commerciato in armi (destinate all'uso degli associati) e acquistato "cocaina ed
eroina" al fine di spaccio, in Taranto, dall'aprile all'agosto del 1993.
CAPO 131
CIANCIARUSO Cosimo e DE LUCA Salvatore, in concorso con altre persone, in ordine al reato
di cui agli artt. 81 cpv., 110 cod. pen., 10 e 12 della legge n. 497/74, 648 cod. pen., 7 del D.L.
n. 152/1991, per avere, al fine di agevolare l'associazione di cui al capo A), con più azioni
esecutive di un medesimo disegno criminoso, illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico
armi comuni e armi da guerra non commerciabili di provenienza delittuosa, in Taranto, dalla
fine del 1990 alla fine del 1991 e sino ai 14 gennaio 1992.
CAPO 14)
PIROZZOLO Sergio e CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altre persone, in ordine al reato
di cui agli artt. 81 cpv., 110, cod. pen., 10, 12 e 14 della legge n. 497/74, 3 della legge n.
110/75 e 7 del D.L. n. 152/91, per avere, al fine di agevolare l'associazione di cui al capo A),
illegalmente detenuto e trasportato in luogo pubblico, per poi cederle, armi destinate all'uso di
gruppo,in Taranto e provincia nel 1991.
CAPO 15)
CRISTALLO Francesco, in concorso con altre persone, in ordine al delitto p. e p. dagli artt. 31
cpv., 110 cod. pen., 10 e 12 della L. n. 497/74, 7 del D.L. n. 152/91, per avere, al fine di
agevolare l'associazione mafiosa "Cesario - Martera Cianciaruso", dalla fine dei 1992, o primi
dei 1993, e fino al febbraio - marzo del 1994, illegalmente detenuto e trasportato in luogo
4
pubblico, un fucile mitragliatore "Kalashnikov", in Taranto e Martina Franca, fino ai primi mesi
del 1994.
CAPO 16)
CIANCIARUSO Cosimo, e CRISTALLO Francesco, in concorso con altre persone, in ordine al
delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv., 110, cod. pen., 10 e 12 della L. n. 497/74, 7 del D.L. n.
152/91, per avere, al fine di agevolare l'associazione di stampo mafioso dei "CesarioMarteraCianciaruso", dalla fine del 1992 e fino al febbraio o al marzo del 1994, illegalmente
detenuto e trasportato in luogo pubblico, un fucile mitragliatore "kalashnikov", in Taranto e
Martina Franca, fino ai primi mesi del 1994.
CAPO 17)
CIANCIARUSO Cosimo e CIANCIARUSO Salvatore, in concorso con altri, in ordine al delitto p. e
p. dagli artt. 31 cpv. 110 cod. peri., 10 e 12 della legge n. 497/74, 7 del D.L. n. 152/91, per
avere, al fine di agevolare l'associazione mafiosa facente capo ai "CESARIO-MARTERACIANCIARUSO", tutti detenuto e portato in luogo pubblico armi comuni e da guerra di vario
tipo, in Taranto, fra il dicembre ed il settembre del 1993.
CAPO 18)
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altri, in ordine al delitto delitto p. e p. dagli artt. 81
cpv, 110, cod. pen., 9, 10, 12 e 14 della legge n. 497/74, 7 del D.L. n. 152/91, 648 cod, pen.,
per avere illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico armi di provenienza furtiva,
nell'interesse dell'associazione "Cianciaruso - Martera - Cesario", in Taranto, in epoca
successiva e prossima al 22 luglio 1991 e fino al 15 settembre 1994.
CAPO 19)
CRISTALLO Francesco, in ordine al delitto di cui agli artt. 81 cpv., 110, cod. pen., 10 e 12 della
L. n. 497/74, per avere ricevuto da CESARIO Vincenzo esplosivo per la custodia, in Taranto, in
epoca anteriore e prossima al 22 febbraio 1994.
CAPO 21)
LA GIOIA Raffaele e LA GIOIA Luigi, in concorso con altri, in ordine al delitto p, e p. dagli
artt.81 cpv., 110 C.P., 10 e 12 della L. n. 497/74 e 7 del D.L. n. 152/91, per avere, al fine di
agevolare l'associazione "CESARIO-MARTERA CIANCIARUSO", illegalmente detenuto e portato
in luogo pubblico ingenti quantitativi di esplosivo, da loro utilizzato per la pesca di frodo, parte
del quale, in diverse occasioni, cedevano, in violazione all'art. 9 della su citata legge, a
CATAPANO Emanuele, per attentati dinamitardi, in Taranto, dal 1991 al 1993.
CAPO 23)
5
CIANCIARUSO Cosimo, in ordine al delitto di cui agli artt.624, 625 nr. 2-7, cod. pen., per
essersi impossessato, con violenza sulle cose, del furgone bianco con radiotelefono a bordo, di
proprietà di FAGO Antonio, che asportava mentre era in sosta sulla pubblica via, in San Giorgio
Jonico, il 14.10.1991.
CAPO 24)
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altri, in ordine al delitto p. e p. dagli artt. 110, 629,
commi 1 e 2, cod. pen. (con riferimento all'art. 628, ultimo comma, n. 3, cod. pen.) e 7 del
D.L. n. 152/91, per avere, avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 -bis cod. pen.,
indicate al capo A), costretto FAGO Antonio a versare la somma di lire 6.000.000, per rientrare
in possesso il 15.10.1991 del furgone di cui sopra, con la minaccia della perdita definitiva dello
stesso, e ciò al fine di agevolare l'attività dell'associazione, in San Giorgio Jonico e Taranto, il
14 e 15.10.1991.
CAPQ 281
MODEO Claudio, in concorso con altri, in ordine al delitto di estorsione con minaccia (artt. 629
comma 1 e 2 cod. pen., con riferimento all'art. 628, ultimo comma, n. 1 e 3 cod. pen.),
avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis cod. peri., ed al fine di agevolare
l'associazione mafiosa facente capo al fratelli MODEO, in Taranto, nel corso dei 1988.
CAPO 29)
MODEO Claudio, in concorso con altre persone, in ordine al delitto di estorsione con minacce a
commercianti (artt. 81 cpv., 629 comma 1 e 2, cod. pen., con riferimento all'art. 628, ultimo
comma, n. 1 e 3 cod. pen., e 7 del D.L. n. 152/91), avvalendosi delle condizioni previste
dall'art. 416 - bis cod. pen., operando nell'ambito delle attività dell'associazione mafiosa dei
fratelli MODEO, in Taranto, dal 1988 al mese di luglio 1991.
CAe0 301
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altre persone, in ordine al delitto di estorsione con
minacce implicite di arrecare danni ingiusti a commercianti (art. 81 cpv., 112, 629 comma 1 e
2, cod. pen., con riferimento all'art. 628, ultimo comma, n. 1 e 3, cod. pen., 7 del D.L. n.
152/91), avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 - bis cod. pen., al fine di agevolare
l'associazione mafiosa denominata "Cesario - Martera — Cianciaruso", in Taranto, dal luglio
1991 al maggio 1993.
CAPQ 31)
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altri, in ordine al reato di estorsione con minaccia
implicita di arrecare un danno ingiusto (artt. 110, 629 comma 1 e 2, cod. pen., con riferimento
all'art. 628, ultimo comma, n. 3, cod,. pen., 7 del D.L. n. 152/91), avvalendosi delle condizioni
6
previste dall'art. 416 - bis cod. pen., al fine di agevolare l'associazione mafiosa denominata
"Gasarlo Martera
Cianciaruso", in Taranto, tra il 27.9.1991 ed il 5.11.1991.
CAPO 321
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altri, in ordine al reato di estorsione con minaccia
implicita di arrecare un danno ingiusto (artt. 81 cpv., 110, 629 comma 1 e 2 cod. pen., con
riferimento all'art. 628, ultimo comma, nr. 3, cod. pen., 7 del D.L. n. 152/91), avvalendosi
delle condizioni previste dall'ad 416 - bis, cod. pen., al fine di. agevolare l'associazione
mafiosa denominata "Cesario Martera Cianciaruso", in Taranto, dal luglio 1991 al maggio
1993.
CAPO 33)
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altri, in ordine al reato di estorsione con minaccia
implicita di arrecare un danno ingiusto (artt. 110, 629, comma 1 e 2, cod. pen., con
riferimento all'art. 628, ultimo comma, nr. 3, cod. pen., 7 del D.L. n. 152/91), avvalendosi
delle condizioni previste dall'art.416 - bis, cod. pen., in Taranto, agli inizi del 1991.
CAPQ 341
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altri, in ordine al reato di estorsione con minaccia (artt.
110, 629, comma 1 e 2, cod. pen., con riferimento all'art. 628, ultimo comma, nr. I e 3, cod.
pen., 7 del D.L. n. 152/91, avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 - bis, cod. pen., a
fine di agevolare l'associazione mafiosa denominata "Cesario - Martera Cianciaruso", in
Taranto, il 21.5.1991.
CAPO 36)
CIANCIARUSO Cosimo, del reato di estorsione con minaccia di danno ingiusto (art. 629,
comma 1 e 2, cod. peli., con riferimento all'art. 628, ultimo comma, n.3, cod. pen., e 7 del
D.L. n. 152/91), avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 - bis cod. pen., con minaccia
implicita di arrecare un danno ingiusto, in Taranto, nel corso del 1991.
CAPO 38
CIANCIARUSO Salvatore, del reato di estorsione con minaccia implicita di un danno ingiusto
(art. 629, comma 1 e 2, cod. pen., con riferimento all'art. 628, ultimo comma, n. 3, cod. pen.,
e 7 del D.L. n. 152/91), avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 - bis, cod. pen., in
Taranto I' 11.6.1991 ed il 28.2.1992.
CAPO 39)
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altri, in ordine al reato di estorsione con minaccia
implicita di un danno ingiusto (ex artt. 110, 629 comma 1 e 2, cod. pen., con riferimento
7
all'art. 628 ultimo comma, n. 3, cod. pen., e 7 del D.L. n. 152/91), avvalendosi delle condizioni
previste dall'art. 416 - bis cod. pen., In Taranto, il 7.02.1992.
CAPO 401
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altri, in ordine al reato di estorsione con minaccia
implicita di un danno ingiusto (art. 81 cpv., 110, 629 comma e 2, cod. pen., con riferimento
all'art.. 628 ultimo comma n. 3, cod. pen., e 7 del D.L. n. 152/91), avvalendosi delle condizioni
previste dall'art. 416 - bis C.P., ed al fine di agevolare l'associazione mafiosa denominata
Cesario-Martera-Cianciaruso, in Taranto tra il 10 ed il 16 giugno 1991.
CAPO 411
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altri, in ordine al reato di estorsione con minaccia e
danneggiamento con un ordigno esplosivo (artt. 81 cpv., 629 comma 1 e 2, cod. pen., con
riferimento all'art. 628, ultimo comma, n. 1 e 3, cod. pen., 635 cod. pen., e 7 del D.L. n.
152/91), avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 - bis, cod. pen., al fine di agevolare
l'associazione mafiosa denominata "Cesario- Martera- Cianciaruso", in Taranto, il 6.8.1991.
CAPO 421
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altri, in ordine ai reati di estorsione con minaccia
implicita di arrecare danni ingiusti, detenzione e porto in luogo pubblico di un ordigno esplosivo
(artt, 61 n.1 e 2, 81 cpv.,112 cod. pen., 10 e 12 della legge n. 497/74 e 7 del D.L. n. 152/91),
al fine di commettere 11 reato che precede ed agevolare l'associazione denominata "CesarioMartera-Cianciaruso", in Taranto, dall'agosto del 1991 al marzo 1993.
CAPO 431
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altri e con un minore, in ordine al reato di estorsione
con violenza e minaccia, facendo deflagrare un ordigno con conseguenti ingenti danni (artt.
110, 629 comma 1 e 2 cod. pen., con riferimento all'art. 628, ultimo comma, n. 1 e 3, cod.
pen., 635, 61 n.2, cod. pen., e 7 del D.L. n. 152/1991), avvalendosi delle condizioni previste
dall'art. 416 - bis, cod. pen., al fine di agevolare l'associazione mafiosa denominata "Cesario Martera — Cianciaruso", in Taranto, 1 1 8.4.1991.
CAN) 441
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altri, in ordine al delitto di cui agli artt. 61, n. 1 e 2, 81
cpv., 110 cod. pen., 10 e 12 della Legge n. 497/74, per avere detenuto e portato in luogo
pubblico un ordigno esplosivo, al fine di commettere il reato che precede e di agevolare
l'associazione mafiosa denominata "Cesario Martera Cianciaruso", in Taranto, il 18 aprile
1991.
8
CAP9 45)
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altri, in ordine al delitto di estorsione con minaccia
implicita di arrecare danni ingiusti (art. 81 cpv., 629 comma 1 e 2, cod. pen., con riferimento
agli artt. 628, ultimo comma, n. 1 e 3, cod. pen., 7 del D.L. n. 152/91), avvalendosi delle
condizioni previste dall'art. 416 - bis cod. pen., ed al fine di agevolare l'associazione mafiosa
denominata "Cesario - Martera — Cianciaruso", in Taranto, dal luglio 1991 all'ottobre 1992.
CAPI> 47)
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altri, per il delitto di estorsione con minaccia implicita
di arrecare un danno ingiusto (artt. 81 cpv., 110, 629 cornma 1 e 2, cod. pen., con riferimento
agli artt. 628 ultimo comma n. 3, cod, pen. e 7 dei D.L. n. 152/91), avvalendosi delle
condizioni previste dall'art. 416 - bis cod. pen., al fine di agevolare l'associazione mafiosa
denominata "Cesario Martera — Cianciaruso", in Taranto, dal marzo-aprile 1991 al maggio
1993.
CAPO 501
CIANCIARUSO Cosimo e LEONE Pietro, in concorso con altri, in ordine al delitto di estorsione
con minaccia di morte (ex artt. 81, 629 comma 1 e 2, cod. pen., con riferimento all'art. 628,
ultimo comma, n. 1 e 3, cod. pen., e 7 del D.L. n. 152/91), avvalendosi delle condizioni
previste dall'art. 416 - bis, cod. pen., al fine di agevolare l'associazione mafiosa denominata
"Cesario-Martera-Cianciaruso", in Taranto, tra il marzo e l'aprile del 1991.
CAPO 51)
CIANCIARUSO Cosimo, in ordine al delitto di estorsione (artt. 56 e 629 cod. pen., con
riferimento all'art. 628, u.c., n. 3 e art. 7 del D.L. n, 152/91), per avere, al fine di procurarsi
un profitto ingiusto, avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 - bis, cod. pen., ed al
fine di agevolare l'attività dell'associazione di cui al capo A), compiuto atti idonei con minacce
implicite e danneggiamento, in Taranto, nel settembre 1991.
CAPO
sa)
CIANCIARUSO Cosimo e CIANCIARUSO Salvatore, in concorso con altri e con il defunto Di
MATTEO Massimo, in ordine al delitto di danneggiamento, per avere, con più azioni esecutive
del medesimo disegno criminoso e con deflagrazione di ordigno esplosivo, illegalmente
detenuto e portato in luogo pubblico, al fine di agevolare l'attività dell'associazione di cui al
capo A (artt.81 cpv., 112 e 61, n.2, cod. pen., 10 - 12 della legge n. 497/1974 - 635 comma
2, 112, 61 n.1 e 7, cod. pen., e 7 del D.L. n. 152/91), in Taranto, il 27 settembre 1991.
CAPO 531
9
CIANCIARUSO Cosimo e CIANCIARUSO Salvatore, in concorso con altri e con il defunto Di
Matteo Massimo, in ordine al delitto di danneggiamento con esplosione di un ordigno
illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico, al fine di depistare le indagini e agevolare
l'attività dell'associazione di cui al capo A) (artt.81 cpv., 61, n.2, cod. pen., 10 - 12 della legge
n. 497/1974, 635, comma 2, cod. pen., e 7 del D.L. n. 152/91), in Taranto, il 27 settembre
1991.
CAPO 541
CIANCIARUSO Cosimo e CIANCIARUSO Salvatore, in concorso con altri e con il defunto Di
Matteo Massimo, in ordine al delitto di cui agli artt.81 cpv., 110, 61 n. 2, cod. pen., 10- 12
della Legge n. 497/1974, art. 635 cod. pen. e 7 del D.L. n. 152/91, per danneggiamento, con
esplosione di un ordigno illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico, al fine di agevolare
l'associazione di cui al capo A), in Taranto, il 29 settembre 1991.
CAPO 55)
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altri e con il defunto Di Matteo Massimo, in ordine al
delitto di tentato omicidio con esplosione di numerosi colpi di arma da fuoco (artt. 56, 112,
575, 577 n. 3, cod. pen., e 7 del D.L. n. 152/91), al fine di agevolare l'associazione di cui al
capo A), in Taranto, 11 10 ottobre 1991.
CAPO 55)
CIANCIARUSO Cosimo, in concorso con altri, per avere illegalmente detenuto e portato in
luogo pubblico armi e relative munizioni, al fine di commettere il delitto che precede ed
agevolare l'associazione di cui ai capo A (artt. 61 n.2, 81 cpv., cod. pen., 10, 12 e 14 L. n.
497/74; 7 D.L. n. 152/91), in Taranto il 1° ottobre 1991.
capi;
57)
CIANCIARUSO Cosimo e CIANCIARUSO Salvatore, in concorso con altri, per danneggiamento
con esplosione di un ordigno, illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico, al fine di
agevolare l'associazione mafiosa "Cesario - Martera — Cianciaruso" (artt. 81 cpv., 110, 61 n.
2, cod. pen., e 10-12 della legge n. 497/1974, art. 635 cod. pen. e 7 del D.L. n. 152/91), in
Taranto il 3 novembre 1991.
CAPO 581
LEONE Pietro, in concorso con altri, in ordine al delitto di cui agli artt. 81 cpv. - 110 - 61 n. 2,
cod. pen., artt. 10-12 della legge n. 497/74, art. 635, 61, n. 2, cod. pen,, per avere
danneggiato il Palazzo "Latagliata", sede provvisoria degli Uffici Comunali, collocandovi e
facendo scoppiare un ordigno, illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico, a fini di
intimidazione di un Impiegato comunale, in Taranto, il 18 dicembre 1991.
10
3. Sulla base dell'ampio materiale probatorio acquisito nel corso delle istruttorie dibattimentali
celebrate nei due gradi di giudizio deve rilevarsi, in estrema sintesi, che le sentenze
pronunciate dai Giudici di merito hanno consentito di ricostruire i principali stadi evolutivi della
storia dei sodalizi criminali oggetto della regiudicanda, ritenendo acclarata l'ipotesi accusatoria
formulata in ordine all'esistenza di un'associazione di tipo mafioso denominata "clan CesarioMartera-Clanciaruse, scaturita, successivamente al luglio del 1991, dal sodalizio criminale
denominato "clan dei fratelli Modeo", dal quale progressivamente si andò distaccando, per
conquistare un proprio autonomo spazio criminale, incompatibile con quello precedentemente
occupato dal "clan Modeo", con i cui esponenti entrò in feroce conflitto.
Sin dal giugno-luglio 1991, in particolare, Il nuovo gruppo, facente capo ai fratelli Cesario
Vincenzo, Cosimo e Giuseppe, nonché ai fratelli Martera, Luigi ed Antonio, ed a Cianciaruso
Cosimo, cominciò ad operare autonomamente prima nel settore delle estorsioni, quindi in
quello del traffico di stupefacenti, non inviando più al clan Modeo la quota di spettanza, e
dunque affrancandosi dalla precedente organizzazione.
Inoltre, la fattispecie associativa finalizzata al traffico di stupefacenti, contestata al capo
d'imputazione sub B) e diretta da Cesario Vincenzo, Martera Antonio e Cesario Cosimo, si
sarebbe in una prima fase avvalsa della protezione derivante dall'associazione facente ai fratelli
Modeo, e successivamente avrebbe operato in modo autonomo, utilizzando, a garanzia delle
attività inerenti al traffico di droga, la nascente organizzazione derivata appunto dal clan
Modeo, e facente capo, come si è visto sopra, ai fratelli Cesario, al Martera Luigi ed al
Cianciaruso Cosimo.
L'associazione di stampo mafioso, peraltro, avrebbe rivestito, secondo la ricostruzione dei fatti
offerta nella motivazione della sentenza dei Giudice di prime cure, un carattere secondario e
servente rispetto all'associazione finalizzata all'attività di spaccio, la cui redditività le avrebbe
consentito di assumere un posto centrale e preponderante rispetto alle altre attività criminali.
Infine, al capo sub C) dell'imputazione viene contestata al Cesario Pasquale, in qualità di
promotore ed organizzatore, un'ulteriore, autonoma, fattispecie associativa di cui all'art. 74 del
D.P.R. n. 309/1990, con la collaborazione di Masella Egidio e Nicola - il primo addetto alla cura
dei rapporti con i fornitori ed all'organizzazione del trasporto degli stupefacenti, il secondo
invece incaricato di tenere i contatti con gli acquirenti - e la partecipazione di numerosi altri
indagati, direttamente o indirettamente riforniti in modo continuativo di sostanze stupefacenti
di vario tipo (eroina e cocaina) dallo stesso Cesario Pasquale.
4. Avverso la sentenza pronunziata il 13 luglio 2010 dalla Corte di appello di Lecce, Sezione
distaccata di Taranto, hanno proposto ricorso per cassazione i predetti imputati, deducendo al
riguardo i motivi di impugnazione per ciascuno di essi specificamente illustrati nei termini qui
di seguito esposti, unitamente all'indicazione delle correlative statuizioni pronunciate nei loro
confronti dalle sentenze di primo e di secondo grado.
11
Deve osservarsi, peraltro, che taluni imputati hanno rinunciato parzialmente ai motivi di
Impugnazione proposti (Albano, Ancora, Catapano Antonio, Catapano Cataldo, Cianciaruso
Salvatore, Cinieri, De Floria, Liuzzi, Micoli, Marrone, Panariti, Perelli Adriano, Presicci,
Rornanazzi e Santovito) e che per essi la Corte territoriale ha ritenuto in parte fondate le
argomentazioni prospettate nei motivi per i quali non vi era stata rinunzia, irrogando le pene
considerate per ognuno eque e correlate alla gravità dei fatti contestati.
Per le residue posizioni processuali, invece, la Corte d'appello, dopo aver rigettato alcune
questioni preliminari di rito congiuntamente sollevate dalla difesa di taluni imputati (ed
inerenti, segnatamente, alla revoca dell'ordinanza di rinnovazione dell'istruttoria
dibattimentale, in quanto emessa in violazione del principio di immutabilità del Giudice sancito
dall'art. 525 c.p.p., alla richiesta di dichiarare la nullità della sentenza per inutilizzabilità delle
prove in merito alla escussione dei testi Labrini, Bono e Ferretti perché ausiliari del P.M. nelle
indagini preliminari, ed infine alla richiesta di applicazione della diminuente di cui all'art. 442
c.p.p.), ha ritenuto infondati i motivi di impugnazione proposti dagli appellanti Aiello
Francesco, Caforio Raffaele, Caforio Rodolfo, Cianciaruso Cosimo, Cristallo Francesco, De Luca
Salvatore, La Gioia Luigi, La Gioia Raffaele, Leone Pietro, Modeo Claudio e Pirozzolo Sergio, nei
cui confronti è stata pertanto integralmente confermata l'impugnata sentenza di primo grado.
4.1. AIELLO FRANCESCO
Nel giudizio di primo grado veniva dichiarato colpevole dei reati di cui ai capi A) e B) - unificati
con il vincolo della continuazione ed in concorso di attenuanti generiche prevalenti sulle
aggravanti contestate - e veniva condannato alla pena di anni dieci di reclusione.
Nei motivi di impugnazione, in via principale, chiedeva di essere assolto da tutti i reati
ascrittigll, per mancanza, insufficienza, o contraddittorietà delle prove, quantomeno in
ossequio a quanto disposto dal capoverso dell'art. 530 c.p.p..
In subordine, chiedeva l'assoluzione dalle imputazioni relative ai reati associativi ascrittigli sub
A) ovvero sub B), o quantomeno la condanna per il solo reato sub A), ritenendo in esso
assorbita l'imputazione sub B) e, conseguentemente, ridurre la pena inflitta con la sentenza di
primo grado, ovvero, per il capo sub C), derubricare il reato di cui all'art. 74 del D.P.R. 309/90
nella diversa fattispecie criminosa di cui agli artt. 110 c.a. - 73 D.P.R. cit., ovvero 74, comma
6, dello stesso testo normativa ovvero, in ogni caso, escludere l'aggravante di cui all'art. 7 del
D.L. n. 152/91, con conseguente riduzione di pena, o ancora contenere la pena nel minino
edittale o, comunque, ridurne l'entità rispetto a quella inflitta con la sentenza impugnata,
mediante una maggiore diminuzione della pena base (per effetto del riconoscimento delle
circostanze attenuanti con carattere di prevalenza) e/o mediante un contenimento
dell'aumento di pena operato (per lì capo A), per effetto della riconosciuta continuazione tra i
due capi di imputazione per cui vi è stata condanna.
La Corte d'appello ha confermato integralmente l'impugnata sentenza ed ha ritenuto congrua e
correlata alle condotte ascritte all'imputato la pena irrogata dal primo Giudice, considerandola
12
non suscettibile di riduzione sui presupposto che lo stesso aveva già fruito, in primo grado, del
riconoscimento delle attenuanti generiche con criterio di prevalenza sulle contestate aggravanti
e che l'aumento di pena irrogato a titolo di continuazione era stato estremamente contenuto e
correttamente determinato.
Con ricorso per cessazione dell'il novembre 2011 Aiello Francesco, difeso di fiducia dall'Avv.
Stefano Sperti, ha chiesto l'annullamento con rinvio della su citata pronuncia, deducendo i
seguenti motivi di impugnazione:
a) violazione della legge processuale penale stabilita a pena di invalidità, con riferimento
alle regole di valutazione della prova indiziaria ed alla mancanza e/o illogicità manifesta
della motivazione riguardo al giudizio di responsabilità per i reati di cui ai capi A) e B)
dell'imputazione (ex art. 192, commi 2 e 3, c.p.p., in riferimento all'art. 606, comma 1,
lett. c) e lett. e), c.p.p.), stante la mancanza di riscontri oggettivi e soggettivi alle
dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia (Cesario Vincenzo, Martera
Luigi e D'Ancona Cosimo), la loro genericità, difformità e mancanza di convergenza in
ordine alla ritenuta sussistenza dei vincoli associativi; in particolare, il Martera cadrebbe
in contraddizione quando precisa che l'Aiello era coadiuvato nell'attività di spaccio da
un'altra persona soprannominata "Pacioccone", ignorando la circostanza che egli era
soprannominato proprio in tal modo, mentre in ordine al capo sub A) l'unico elemento
di accusa riguardo alla sua partecipazione al sodalizio criminale sarebbe fornito dalle
dichiarazioni - prive di riscontro esterno - rese dal collaboratore D'Ancona: né il
Cesario, né il Martera, infatti, avrebbero riferito della sua partecipazione ad alcun
sodalizio criminale di stampo mafioso o di altro tipo, nonostante il ruolo apicale rivestito
dal Cesario nel clan Modeo e nel gruppo successivamente formatosi;
b) violazione dell'art. 546, comma 1, lett. e), c.p.p., per l'omessa enunciazione delle
ragioni di inattendibilità delle prove contrarie e la mancanza di motivazione ex artt.
546, comma 3 e 125, comma 3, c.p.p., sugli elementi esposti a favore dell'imputato,
con particolare riferimento all'incertezza della prova sull'appartenenza dell'Aiello al
contestato sodalizio criminale, per il fatto che il collaboratore D'Ancona l'avrebbe
esclusa dinanzi al P.M., fornendo invece una diversa dichiarazione in sede di udienza
dibattimentale, e per il suo coinvolgimento nella cd. "strage della barberia", che
dimostrerebbe il suo ruolo di mero tossicodipendente occasionalmente coinvolto nella
realizzazione di predeterminati e specifici episodi di spaccio di stupefacenti, piuttosto
che di compartecipe nei sodalizi criminali oggetto di imputazione;
c) violazione degli artt. 416 bis c.p. e 74 del DPR n. 309/1990, per avere il Giudice di
-
merito omesso di tenere conto del fatto che, in assenza di qualsiasi imputazione per i
reati-fine (nel caso di specie, la consumazione dei reati di spaccio di sostanze
stupefacenti), è esclusa l'utilizzazione degli stessi al fine di provare la partecipazione ai
contestati reati associativi;
13
d) violazione degli artt. 416 - bis e 15 c.p., con riferimento all'art. 74 del DPR n.
309/1990, per l'omesso assorbimento di tale ultimo reato nel primo, in forza del
principio di specialità reciproca;
e) vizio di motivazione riguardo all'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 7 del D.L. n.
152/1991, non emergendo alcuna prova della partecipazione dell'Aiello al clan Modeo,
né della conoscenza, da parte dell'imputato, di efferati episodi criminali di cui
l'associazione si sarebbe resa responsabile.
4.2. ALBANO MARIO
In primo grado, l'imputato veniva condannato per i reati di cui ai capi B), D) e D1) - esclusa
l'aggravante di cui all'art. 80 del DPR 309/90, in concorso di attenuanti generiche equivalenti
alle aggravanti contestate - alla pena di anni quattordici e mesi sei di reclusione. Veniva altresì
assolto ex art. 530, comma 2, c.p.p., dal reato di cui al capo A), per non aver commesso il
fatto.
Nei motivi di impugnazione chiedeva di essere assolto dai reati ascrittigli perché il fatto non
sussiste, o con diversa formula di giustizia, ed In subordina la concessione dei minimi edittali,
la derubricazione del fatto nell'ipotesi gradata di minor punibilità, la concessione di ogni
beneficio di legge, anche della pena sospesa se concedibile, e della diminuente di cui all'art.
442 c.p.p,
In sede di gravame l'imputato ha rinunciato a tutti i motivi di impugnazione, esclusi quelli
concernenti l'entità della pena e l'aggravante di cui all'art. 7 del D.L. n. 152/91.
La Corte d'appello ha escluso la presenza di tale aggravante, ritenendo che non sia emersa
dagli atti la finalità di agevolare l'associazione mafiosa, e che congrua e correlata alla penale
responsabilità dell'appellante sia la pena di anni otto e mesi nove di reclusione (così
determinata: p.b. per il capo 13) art. 74 DPR 309/90: anni 13 di reclusione, ridotta di un terzo
per l'art. 62 bis c.p.= anni otto e mesi otto, aumentata di mesi 1, ex art. 81 cpv. c.p. per i capi
D-Dl).
Con ricorso per cassazione del 20 ottobre 2011 All'ano Maria, difeso di fiducia dall'Avv.
Fabrizio Lamanna, ha chiesto l'annullamento della su citata pronuncia, deducendo la
mancanza, ovvero la manifesta illogicità, della motivazione ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod.
proc. pen., stante la ricostruzione prettamente presuntiva emersa nel corso dei due gradi di
giudizio in ordine alla individuazione della sua responsabilità penale.
4.3. ANCORA RODOLFO
In primo grado veniva condannato, per il reato di cui al capo A), alla pena di anni cinque di
reclusione; veniva altresì dichiarata nei suoi confronti l'improcedibilità, ex art. 649 c.p.p., per il
reato di cui al capo D-D4), seconda parte, perché già giudicato con una sentenza della Corte di
Appello di Reggio Calabria del 21.2.2000, ed infine veniva assolto dai reati di cui ai capi 6) e
D-D4), prima parte, per non aver commesso il fatto.
14
Nei motivi di impugnazione chiedeva di essere assolto dal reato ascrittogli ai sensi dell'art.
530, commi 1 o 2, c.p.p., ed in subordine chiedeva concedersi le attenuanti generiche
prevalenti sulle contestate aggravanti, con rideterminazione della pena da contenere nel
minimo edittale.
In sede di gravame l'imputato ha rinunciato a tutti i motivi di impugnazione, esclusi quelli
concernenti la concessione delle attenuanti generiche e la riduzione della pena.
La Corte d'appello ha ritenuto congrua e correlata alla penale responsabilità dell'appellante ed
alla gravità del fatto la pena di anni tre e mesi quattro di reclusione (così determinata: p.b. per
il capo A), anni cinque di reclusione, ridotta di un terzo per l'art. 62 - bis c.p., al fine di meglio
adeguare la pena al commesso reato).
Con ricorso per cessazione del 17 novembre 2011 Ancora Rodolfo, difeso di fiducia dall'Avv.
Pietro Putignano, ha chiesto l'annullamento della su citata pronuncia, ovvero la declaratoria di
estinzione del reato per intervenuta prescrizione, deducendo:
a)
la violazione dell'art. 649 c.p.p., in relazione all'art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., in
quanto le pronunce di merito avrebbero ritenuto la sussistenza del reato di cui all'art.
416-bis c.p., nonostante l'intervenuta assoluzione da tutti i reati-fine, e, soprattutto, a
seguito dell'intervenuta assoluzione per gli stessi fatti da parte del Tribunale di Palmi,
prima, e, poi, della Corte di Reggio Calabria;
b) la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) e c), c.p.p., In relazione agli art. 157 c.p. e
129 c.p.p., in ragione dell'intervenuta estinzione del reato per prescrizione, tenuto
conto del fatto che la partecipazione del ricorrente al contesto associativo di cui al capo
A) sarebbe durata sino al luglio del 1991.
4.4. CAFORIO RAFFAELE.
In primo grado, veniva condannato - per i reati di cui ai capi B) e D-D20), prima parte, esclusa
l'aggravante dell'ingente quantità e quella di cui all'art. 7 del D.L. n. 152/91, in concorso di
attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, unificati i reati con il vincolo della
continuazione - alla pena di anni dieci di reclusione e £.40.000.000 di multa, mentre veniva
assolto ex art. 530, comma 2, c.p.p., dal reato di cui al capo A), per non aver commesso il
fatto.
Nei motivi di impugnazione chiedeva di essere assolto dai reati ascrittigli per non aver
commesso il fatto, ed In subordine la concessione delle attenuanti generiche con criterio di
prevalenza sulla contestata aggravante, e conseguente diminuzione o comunque riduzione
della pena.
La Corte d'appello ha confermato l'impugnata sentenza, ritenendo l'imputato attinto da plurimi,
gravi e precisi indizi di reità emergenti dalle dichiarazioni rese da numerosi collaboratori di
giustizia, ed ha conseguentemente escluso che l'imputato fosse meritevole del riconoscimento
delle già concesse attenuanti generiche con criterio di prevalenza, tenuto conto dei precedenti
penali dello stesso e della gravità della condotta ascrittagli. Al riguardo, la Corte ha posto in
15
luce il fatto che egli era solito rifornirsi di almeno un chilogrammo di eroina per volta, ed anche
da più fornitori, sicché ha ritenuto pena equa e correlata alle imputazioni contestate, anche
sotto il profilo della continuazione, quella irrogata dai primo Giudice, considerandola, come
tale, insuscettibile di riduzione.
Con ricorso per cessazione personalmente proposto in data 28 dicembre 2011,
Caforlo
Raffaele ha chiesto l'annullamento della su menzionata pronuncia, deducendo la violazione
dell'art. 606, lett. b), c.p.p., per l'erronea applicazione della legge penale, in relazione alla non
corretta valutazione delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, non riscontrate da
sequestri di droga, videoriprese o arresti in flagranza, e talora contraddittorie in ordine alla
prova del vincolo associativo. Al riguardo si evidenzia, in particolare, come lo stesso Cesario
Vincenzo dichiari di non essere a conoscenza dell'affiliazione del ricorrente al sodalizio
criminale, pur sostenendo al contempo con sicurezza che i fratelli Caforio spacciavano droga
per i Modeo.
Il ricorrente deduce, altresì, la violazione dell'art. 606, lett. e), c.p.p., per l'illogicità della
motivazione in ordine alla configurabilità della fattispecie di cui all'ad, 74 del D.P.R. n.
309/1990, in quanto la mancata presenza di una cassa comune, di una divisione di compiti e di
un rapporto fra sociali, lascerebbero intendere che i singoli imputati di spaccio agissero su un
piano di perfetta "autonomia commerciale".
4.5. CAFORIO RODOLFO.
In primo grado, veniva condannato per i reati di cui ai capi B), C) e D-D21), esclusa
l'aggravante di cui all'art. 80, e riconosciuto il vincolo della continuazione, alla pena di anni
quindici di reclusione, con concessione di attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti.
Veniva inoltre assolto ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., dal reato di cui al capo A), per
non aver commesso il fatto.
Nei motivi di impugnazione chiedeva di essere assolto dai reati ascrittigli per mancanza,
Insufficienza o contraddittorietà di prove, quantomeno ex art. 530, comma 2,. c.p.p. .
In subordine, chiedeva di essere assolto dai reati associativi sub B) e/o C), o quantomeno
derubricare il reato di cui all'art. 74 DPR 309/90 in quello di cui agli artt. 110-73, ovvero 74,
comma 6; escludere l'aggravante di cui all'art. 7 D.L. n. 152/91, contestata ai capi B) e C), con
la conseguente riduzione di pena; assoluzione dal reato di cui ai capi D-D21), o concessione
dell'attenuante di cui al quinto comma dell'art. 73 DPR n. 309/90; contenere la pena nel
minimo edittale, o comunque ridurla in concorso di attenuanti generiche prevalenti sulle
aggravanti contestate e/o mediante contenimento degli aumenti di pena operati sulla pena
base di cui al capo B), per effetto della riconosciuta continuazione, e/o ridurre la pena base di
cui al capo B), riconosciuti i benefici di legge e quello della sospensione condizionale, ove
concedibile, nonché la diminuente di cui all'art. 442 c.p.p..
La Corte d'appello ha integralmente confermato l'impugnata sentenza, ritenendo infondati i
motivi di impugnazione sull'assunto dei plurimi, convergenti e gravi indizi di reità raccolti a
16
carico dell'imputato in ordine ai reati ascrittigli, ed emergenti dalle diffuse e concordi
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia escussi In primo grado, i quali hanno riferito in ordine
alla continuativa attività di spaccio svolta dall'imputato nell'ambito del vincolo associativo
contratto prima con i fratelli Di Bari e poi con il clan Cianciaruso-Martera.
La pronuncia di secondo grado, inoltre, ha ritenuto il Caforio Rodolfo non meritevole della
concessione con criterio di prevalenza delle già riconosciute attenuanti generiche, sul
presupposto che la pena nei suoi confronti irrogata dal primo Giudice fosse equa e correlata
alla gravità dei fatti ascrittigli ed alla sua personalità, emergente dai numerosi precedenti
penali, e come tale insuscettibile di riduzione - anche in considerazione del contenuto aumento
di pena operato ex art. 81 c.p. - ovvero di applicazione di qualsivoglia beneficio, compresa la
diminuente di cui all'art. 442 c.p.p., ritenendo nei caso di specie insussistenti le condizioni di
legge che ne legittimano il riconoscimento.
Con ricorso per cessazione interposto in data 7 novembre 2011 dal suo difensore di fiducia,
Avv. Salvatore Maggio, Caforio Rodolfo ha chiesto l'annullamento della su citata sentenza,
deducendo la violazione della legge processuale penale con riferimento alle regole di
valutazione della prova indiziaria ed alla mancanza e/o illogicità manifesta della motivazione
riguardo al giudizio di responsabilità per i reati di cui ai capi B), C) e D-D 21) dell'Imputazione
(artt. 192, commi 2 e 3, in riferimento all'art. 606, comma 1, lett. c) ed e), c.p.p.).
La responsabilità penale del ricorrente, infatti, sarebbe stata affermata sulla base di chiamate
in correità genericamente effettuate dai collaboratori di giustizia, senza chiarirne tuttavia
l'attendibilità e senza acquisire i necessari riscontri individualizzanti in ordine alle attività
delittuose ascrittegli, tenuto conto peraltro della sua condizione di tossicodipendenza e del
fatto che, per tale motivo, a dire dello stesso collaboratore Perelli Stefano, egli non era un
soggetto affidabile.
Illogica e contraddittoria, inoltre, risulterebbe la motivazione della gravata pronuncia, laddove
ha riconosciuto la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 7 del D.L. n, 152/1991
(contestatagli al capo D-D21), sebbene egli fosse stato assolto in primo grado dall'accusa di
partecipazione all'associazione di stampo mafioso (capo A), e nonostante per altri coimputati,
la cui posizione processuale era del tutto analoga a quella del ricorrente (ad es., Albano Mario
e Cinierl Cataldo), quell'aggravante fosse stata esclusa.
4.6. CATAPANO ANTONIO
In primo grado, era stato condannato per i reati ascrittigli sub A), 13), D-027) - esclusa
l'aggravante di cui all'art. 80 DPR 309/90, riconosciuto il vincolo della continuazione, ed in
concorso di attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti - alla pena di anni
dodici di reclusione.
Nei motivi di impugnazione chiedeva di essere assolto dai reati ascrittigli ai sensi dell'art. 530,
commi 1 o 2, per non aver commesso il fatto, ed in subordine la riduzione della pena nel
minimo.
17
In sede di gravame, l'imputato ha rinunciato a tutti i motivi di impugnazione, esclusi quelli
concernenti l'assoluzione dal reato di cui al capo A), ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., le
aggravanti di cui all'art. 7 del D.L. n. 152/91, nonché quella di cui all'art. 80 del DPR 309/90,
in relazione ai capi B) e D-D27, e le aggravanti di cui all'art.74 del DPR 309/90 e la riduzione
della pena.
In sede di discussione del gravame, infine, l'imputato ha rinunciato a tutti i motivi di
impugnazione, esclusi quelli concernenti l'entità della pena.
La Corte d'appello ha ritenuto congrua e correlata alla penale responsabilità dell'appellante la
pena di anni sette di reclusione (così determinata: p.b. anni dieci di reclusione per il capo B),
ridotta di un terzo ex art. 62 bis, ed aumentata di mesi quattro per la continuazione interna
con il reato di cui ai capi D-D27).
Con ricorso per cessazione proposto in data 7 novembre 2011 nell'interesse di Catapano
Antonio, l'Avv. Gaetano Vitale ha dedotto la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) e lett.
e), c.p.p., per inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché per mancanza di
motivazione, in ordine al riconoscimento dell'aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 7 del
D.L. n. 152/1991, i cui elementi sintomatici, tenuto conto delle dichiarazioni rese dai
collaboratori giustizia (Cesario Vincenzo, Martera Antonio, D'Ancona Cosimo e Catapano
Vincenzo), non sarebbero propriamente ravvisabili nella condotta posta in essere dal
ricorrente.
4.7. CATAPANO CATALDO
In primo grado, veniva condannato per i reati ascrittigli ai capi B), D-D28) - esclusa
l'aggravante di cui all'art. 80 DPR 309/90, riconosciuto il vincolo della continuazione ed in
concorso di attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti - alla pena di anni
undici di reclusione.
Nei motivi di impugnazione chiedeva, in via preliminare, la rinnovazione degli atti a seguito del
mutamento di collegio, sul presupposto della violazione dell'art. 525, comma 2, c.p.p., in
relazione all'art. 190 - bis c.p.p., alla stregua delle innovazione introdotte con la modifica
dell'art. 111 della Costituzione in tema di giusto processo; nel merito, chiedeva di essere
assolto perché il fatto non sussiste o con altra formula di giustizia, in subordine ex art. 530,
comma 2, c.p.p., e ridursi la pena con il riconoscimento della diminuente del rito abbreviato.
In sede di gravame l'imputato rinunciava a tutti i motivi di impugnazione, escluso quello
concernente l'entità della pena.
La Corte d'appello ha ritenuto congrua e correlata alla penale responsabilità dell'appellante la
pena di anni nove di reclusione (così determinata: p.b. anni dieci di reclusione per il capo B),
ridotta per l'art. 62 - bis c.p. ad anni otto e mesi undici di reclusione, comprensiva
dell'aumento per l'aggravante di cui all'art. 7 della L. n. 152/91, aumentata di un mese per la
continuazione con i reati di cui ai capi D-D28), non potendosi riconoscere il vincolo della
continuazione con i reati di cui alle sentenze irrevocabili del Tribunale di Taranto del 23.6.1999
18
e della Corte di Appello, Sez. dist. di Taranto, del 4.6.2001, trattandosi di fatti autonomi,
espressione non di un medesimo disegno criminoso ab origine, bensì frutto di una devianza
sociale e di una propensione a commettere azioni delittuose quale mezzo di sostentamento.
Con ricorso per cessazione proposto in data 7 novembre 2011 nell'interesse di Catapano
Cataido, l'Avv. Gaetano Vitale ha dedotto la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) e lett.
e), c.p.p., per l'erronea applicazione dell'art. 81 c.p. e la contraddittorietà, ovvero la manifesta
illogicità della motivazione, in relazione all'iter argomentativo attraverso cui la gravata
pronunzia ha negato nei confronti del ricorrente il riconoscimento del vincolo della
continuazione tra i fatti-reato oggetto del presente procedimento ed i fatti-reato concernenti le
sentenze emesse dal Tribunale di Taranto in data 23 giugno 1999 e dalla Corte d'appello di
Taranto in data 4 giugno 2001, entrambe relative a reati di detenzione di sostanza
stupefacente posti in essere dal Catapano nel medesimo arco temporale e nei medesimi luoghi
oggetto di contestazione (quartiere "Paolo VI").
4.8. CIANCIARUSO COSIMO
In primo grado, veniva condannato per i reati di cui ai capi sub 13), 17), 18) (escluso il reato
di cui all'art. 9 della L. n. 497/74), 23), 24), 30), 32), 33), 34), 36), 39), 40), 45), 47), 50),
51), 52), 53), 54), 55) (esclusa l'aggravante di cui all'art. 577, n. 3, c.p.) 56) e 57), unificati
ex art. 81 c.p., ed esclusa la circostanza aggravante di cui all'art. 7 del D.L. n. 152/1991 per il
capo 50), alla pena di anni ventitre di reclusione e £.6.000.000 di multa.
Veniva assolto, inoltre, dai reati ascrittigli ai capi sub 14), 16), 31), 41), 42), 43) e 44), per
non aver commesso Il fatto, e dal reato di cui all'art. 9 della L. n. 497/74 (capo 18), perché il
fatto non sussiste.
Nei motivi di impugnazione chiedeva dichiararsi la nullità della sentenza per la inutilizzabilità
delle prove in merito alla rinnovazione degli atti istruttori già assunti per mutamento del
collegio e della prova orale ed escussione dei testi Labrini, Bono e Ferretti, perché ausiliari del
P.M. nelle indagini preliminari. Nel merito, chiedeva l'assoluzione con formula di giustizia, in
subordine la diminuente di cui all'art. 442 c.p.p., ed infine la riduzione della pena nei minimi
edittali, con il riconoscimento delle attenuanti generiche.
La Corte d'appello, preliminarmente respinte le eccezioni di inutilizzabilità delle prove e di
improcedibilità dell'azione penale, ha ritenuto infondati nel merito i motivi di impugnazione,
confermando la pena Irrogata dal primo Giudice e ritenendola equa sia nella determinazione
della pena base che in relazione agli aumenti irrogati a titolo di continuazione; ha rigettato,
Infine, sia la richiesta di applicazione della diminuente per la scelta del rito, sia la richiesta di
applicazione delle attenuanti generiche, in forza della spiccata pericolosità sociale
dell'imputato.
Con ricorso per cessazione proposto in data 17 novembre 2011 nell'interesse di Clanciaruso
Cosimo, l'Avv. Pietro Putignano ha chiesto l'annullamento dell'impugnata pronunzia,
deducendo al riguardo i seguenti motivi:
19
a) violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., in relazione all'art. 525 c.p.p. ed
all'art. 111 Cost., nonché errata applicazione dell'art. 190-bis c.p.p., ovvero
incostituzionalità della stessa norma poiché contraria agli artt. 3, 24 e 111 Cost., ed in
violazione dell'art. 6, par. 3, lett. d), C.E.D.U., poiché il Giudice di prime cure, con
ordinanza poi confermata in appello, ha disposto de plano la rinnovazione degli atti
mediante lettura, nonostante il parziale mutamento del collegio, senza alcun
contraddittorio ed in assenza del consenso delle parti. Si evidenzia, ai riguardo, come
non possa giustificarsi un diverso e più deteriore trattamento processuale in sede di
accertamento della responsabilità dell'imputato, a seconda dei reati per i quali si
procede, non essendo omologabile, sotto il profilo della legittimità costituzionale, una
diversa presunzione di non colpevolezza, né un meno garantito accertamento dei fatti.
Altrettanto chiara, inoltre, risulterebbe la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., in
relazione al diritto di difesa ed ai canoni del giusto processo, stante il diritto
dell'imputato, riconosciuto anche in sede pattizia, di confrontarsi con i testimoni in
presenza del giudice che dovrà poi decidere sul merito delle accuse;
b) violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c) e lett. e), c.p.p., in relazione agli artt. 14
della Convenzione europea di estradizione, recepita in Italia con la L. n. 300/1963, e
129 c.p.p., per l'improcedibilità dell'azione penale, poiché l'estensione dell'estradizione
è intervenuta dopo l'esercizio dell'azione penale: in assenza della estensione
dell'estradizione, infatti, è possibile svolgere tutte le attività antecedenti l'esercizio
dell'azione penale, non invece esercitare quest'ultima, come avvenuto nel caso di
specie;
c) violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c) e lett. e), c.p.p., per carenza, illogicità e/o
contraddittorietà della motivazione, in relazione alle regole di valutazione fissate
dall'art. 192, comma 3, c.p.p., con riferimento ai diversi capi d'imputazione (recanti i
nn. 13, 17, 18, 23, 24, 32, 33, 34, 36, 39, 40, 45, 47, 50, 51, 52, 53, 54, 56 e 57) per
i quali il ricorrente è stato condannato dalla gravata pronuncia;
d) violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c) e lett. e), c.p.p., in relazione all'art. 442
c.p.p., per la mancata riduzione della pena a seguito della richiesta del rito abbreviato
in sede di udienza preliminare;
e) violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e), c.p.p., per il diniego della
concessione delle attenuanti generiche, senza tener conto del lunghissimo tempo
decorso dai presunti reati, né del positivo comportamento serbato post delictum ai sensi
dell'art. 133 c.p..
4.9. CIANCIARUSO SALVATORE
In primo grado, veniva condannato per I reati di cui ai capi A), 38), 52), 53) e 57) - unificati ex
art. 81 c.p. anche con i delitti di cui alla sentenza del G.I.P. presso il Tribunale di Taranto in
data 19.11.1993, ed esclusa la continuazione con il reato di cui alla sentenza del Tribunale di
20
Taranto del 22.7,1994 - alla pena di anni dodici di reclusione e £.4.500.000 di multa, mentre
veniva assolto dai reati di cui ai capi 17) e 54), per non aver commesso il fatto.
Nei motivi di impugnazione chiedeva dichiararsi la nullità della sentenza per inutilizzabilità delle
prove in merito alla rinnovazione degli atti istruttori già assunti per mutamento del collegio e
della prova orale e l'escussione dei testi Labrini, Bono e Ferretti, perché ausiliari del P.M. nelle
indagini preliminari. Nel merito chiedeva l'assoluzione con formula di giustizia, in subordine la
diminuente di cui all'art. 442 c.p.p. ed ancora ridursi la pena nei minimi edittali con il
riconoscimento delle attenuanti generiche e del vincolo della continuazione con la sentenza del
Tribunale di Taranto del 22.7.1994.
In sede di gravame l'imputato rinunciava a tutti i motivi di impugnazione, esclusi quelli
concernenti la riduzione della pena.
La Corte d'appello ha ritenuto congrua e correlata alla penale responsabilità dell'appellante ed
alla gravità dei fatti ascrittigli la pena di anni sette, mesi nove di reclusione ed euro 2.000,00
di multa (così determinata: p.b. anni sei e mesi sei di reclusione ed euro 1.100,00, tenuto
conto dell'aggravante speciale contestata, aumentata di mesi sei per la continuazione con il
reato di cui al capo A) e di mesi tre ed euro 300,00 ciascuno per i reati di cui ai capi 52), 53) e
57).
La Corte, peraltro, ha escluso la sussistenza del vincolo della continuazione con i reati
giudicati con le sentenze irrevocabili del Tribunale di Taranto in data 19.11.1993 e 22.7.1994,
sul presupposto che tali fatti costituiscono espressione di autonome ideazioni criminose, posti
in esecuzione in contesti differenti, ad opera di soggetti diversi e quindi frutto di una
particolare propensione a delinquere ed alla realizzazione di un sistema di vita deviante e
connotato dal disvalore sociale delle condotte.
Con ricorso per cessazione proposto in data 4 novembre 2011 nell'interesse di Cianciaruso
Salvatore, l'Avv. Gaetano Vitale ha dedotto la violazione dell'art. 606, comma 1, lett.
b) e
lett. e), c.p.p., per l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 81 c.p. e la
contraddittorietà, ovvero la manifesta Illogicità della motivazione, in relazione
all'iter
argomentativo attraverso cui la gravata pronunzia ha negato al ricorrente il riconoscimento del
vincolo della continuazione tra i fatti-reato oggetto del presente procedimento ed i fatti - reato
concernenti le sentenze emesse dal Tribunale di Taranto in data 19 novembre 1993 e 22 luglio
1994 (per condotte commesse nel febbraio del 1992 e nell'agosto del 1993), in quanto
appartenenti alla medesima ideazione criminosa e collocabili in un analogo contesto temporale.
4.10. CINIERI CATALDO
In primo grado veniva condannato per il reato di cui ai capo D-D36), seconda parte - esclusa
l'aggravante di cui all'art. 80, riconosciuto il vincolo della continuazione con il reato di cui alla
sentenza del GUP presso il Tribunale di Taranto in data 3.11.1994 ed in concorso di attenuanti
generiche - alla pena di anni nove di reclusione e £.70.000.000 di multa, mentre veniva
21
assolto dal reato di cui al capo B), per non aver commesso il fatto, e da quello di cui al capo DD36), prima parte, perché il fatto non sussiste.
Nei motivi di impugnazione chiedeva di essere assolto perché il fatto non sussiste o per non
averlo commesso, ex art. 530, commi 1 o 2, ed in subordine l'assoluzione dall'aggravante di
cui all'art. 7 del D.L. n. 152/91 e/o la massima riduzione della pena.
L'imputato rinunciava a tutti i motivi di impugnazione, ad esclusione di quelli concernenti la
misura della pena e l'esclusione dell'aggravante di cui all'art. 7 del D.L, n. 152/91.
La Corte d'appello ha ritenuto di escludere tale aggravante, non essendo emersa dagli atti la
finalità di agevolare l'associazione mafiosa, ed ha ritenuto congrua e correlata alla penale
responsabilità dell'appellante la pena di anni cinque, mesi sei di reclusione ed euro 34.000,00
di multa (così determinata: p.b. anni sei ed euro 40.000,00 di multa per capi D-D36),
diminuita per l'art. 62 - bis ad anni cinque ed euro 30.000,00, di multa, ed aumentata di mesi
tre ed euro 2.000,00 per la continuazione interna e di ulteriori mesi tre ed euro 2.000,00 per la
continuazione esterna già riconosciuta in primo grado con la sentenza del GUP presso il
Tribunale di Taranto emessa in data 3.11.1994)
Con ricorso per cassazione personalmente proposto in data 28 novembre 2011, Cinieri
Cataldo ha dedotto il vizio di motivazione per carenza ed illogicità dell'impugnata pronunzia in
relazione al punto in cui, nel determinare la pena da Irrogare a seguito della concessione
dell'attenuante di cui all'art. 62-bis c.p., ha operato una minima riduzione senza motivare la
scelta in ossequio ai principi statuiti dall'art. 133 c.p.. Analoga doglianza viene rappresentata
dal ricorrente in ordine ai criteri adottati per determinare l'aumento di pena derivante
dall'applicazione dell'istituto della continuazione.
4.11. CRISTALLO FRANCESCO
In primo grado veniva condannato per i reati ascrittigli ai capi sub A), B), D-D39), 10), 12),
15), 16) e 19), ad eccezione della detenzione illecita di sostanza stupefacente di cui al capo
12) - unificati per la continuazione ed in concorso di attenuanti generiche equivalenti alle
contestate aggravanti - alla pena di anni quindici di reclusione, mentre veniva assolto dal reato
di cui ai capo 12), limitatamente alla detenzione illecita di sostanza stupefacente, per non aver
commesso il fatto.
Nei motivi di impugnazione chiedeva di essere assolto per non aver commesso il fatto, in
subordine dai reati associativi per non averli commessi e/o dall'aggravante di cui al D.L.
152/91; chiedeva, inoltre, derubricarsi il reato di cui all'art. 416 - bis c.p. nell'ipotesi attenuata
di concorso esterno, nonché il reato di cui all'art. 74 in quello di cui all'art. 73, ed in via ancor
più gradata la concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante
con la diminuzione di un terzo della pena, e comunque la riduzione della stessa nel minimo
edittale.
La Corte d'appello ha ritenuto infondati i motivi di impugnazione, evidenziando gli elementi di
reità emergenti a carico dell'imputato dalle plurime e convergenti
dichiarazioni accusatorie
22
t
provenienti dai collaboratori di giustizia, ed in particolare dal Cesario Vincenzo, di cui
l'imputato era diventato intimo amico ed autista In un periodo nel quale lo stesso Cesario
temeva la realizzazione di attentati da parte del Cianciaruso Cosimo, che intendeva
soppiantarlo nell'ambito associativo per quanto concerne l'attività di spaccio di droga.
Ritenendo pienamente provata la penale responsabilità dell'imputato, la Corte ha valutato
come del tutto congrua e correlata alla personalità dell'imputato - emergente anche dal suo
ruolo di guardaspalle e di uomo di assoluta fiducia del Cesario - ed alla particolare gravità dei
fatti ascrittigli, la sanzione irrogata dal primo Giudice, non emergendo dagli atti elementi tali
da consentire il riconoscimento, con criterio di prevalenza, delle già concesse attenuanti
generiche con il criterio dell'equivalenza, e quindi la possibilità di una ulteriore riduzione di
pena.
Con ricorso per cessazione proposto in data 11 novembre 2011 nell'interesse di Cristallo
Francesco, l'Avv. Biagio Leuzzi ha dedotto la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c) e lett.
e), c.p.p., per error in procedendo con riferimento agli art. 190 - bis, 511 e 525 c.p.p., nonché
agli artt. 3, 101 e 111 Cost., al fine di ottenere l'annullamento della sentenza pronunziata dal
Giudice di prime cure, in considerazione della mancata partecipazione all'intera istruttoria
dibattimentale di tutti i Giudici che hanno concorso alla deliberazione della sentenza, nonché
della inutilizzabilità delle prove orali assunte prima della definitiva modifica del Collegio
giudicante.
Viene altresì dedotta la violazione dell'art. 606, lett. b) e lett. c), c.p.p., in relazione agli artt.
192 e 195 c.p.p., per l'insufficienza delle sole dichiarazioni rese, peraltro de relato, dai
collaboratori di giustizia, ad assumere pieno valore probatorio in assenza di alcun riscontro
oggettivo circa la loro attendibilità.
4.12. DE FLORIO CATALDO
In primo grado veniva condannato per i reati ascrittigli - assorbito il capo D-D44), prima parte,
nel capo A), ed unificati gli stessi per il vincolo della continuazione, in concorso di attenuanti
generiche equivalenti alle contestate aggravanti - alla pena di anni sedici di reclusione.
Nei motivi di impugnazione chiedeva di essere assolto ai sensi dell'art. 530, commi 1 e 2,
c.p.p., ed in subordine la concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulle contestate
aggravanti, e/o la riduzione della pena contenendola nel minimo, con l'applicazione della
continuazione con i reati già giudicati.
In sede di gravame l'imputato rinunciava a tutti i motivi di impugnazione, esclusi quelli
concernenti l'entità della pena, e chiedeva il riconoscimento dei vincolo della continuazione con
i reati di cui alla sentenza irrevocabile emessa dalla Corte di Assise di Taranto (proc. Paolo VI)
in data 15.3.2003.
La Corte d'appello ha escluso la presenza di un preordinato disegno criminoso posto a
fondamento delle rispettive condotte illecite, ritenendo che le stesse costituiscano piuttosto
l'espressione di una particolare inclinazione a delinquere; ha inoltre ritenuto congrua e
23
correlata alla penale responsabilità dell'appellante - riconosciute in suo favore, con criterio di
prevalenza, le già riconosciute attenuanti generiche per il buon comportamento processuale la pena di anni nove, mesi cinque e giorni venti di reclusione (così determinata: p.b. anni
dodici, già compreso l'aumento ex art. 7 del D.L. n,152/91, ridotta di un terzo per l'art. 62 -
bis c.p., aumentata di mesi sei per la continuazione con il capo A), di mesi sei per il capo C) e
di mesi cinque e gg. 20 per i capi D-D44).
Con ricorso per cessazione personalmente proposto in data 11 novembre 2011, De Florio
Cataldo ha dedotto il vizio di motivazione dell'impugnata pronuncia, laddove la Corte
territoriale ha omesso di motivare in ordine alla possibilità di applicare la disciplina della
continuazione tra i reati oggetto del presente procedimento e quelli ritenuti sussistenti,
nell'ambito del processo denominato "Paolo VI", con sentenza irrevocabile della Corte d'appello
di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in data 15 marzo 2003, avuto riguardo alla omogeneità
dei capi d'imputazione, alla contiguità temporale, all'ambiente di operatività e ad ogni altro
elemento che converge per la unicità della illecita determinazione.
4.13. DE LUCA SALVATORE
In primo grado veniva condannato per il reato ascrittogli al capo sub 13) - esclusa la
continuazione e l'aggravante di cui all'art. 7 del D.L. n. 152/91 - alla pena di anni quattro di
reclusione e £.1.500.000 dì multa.
Nei motivi di impugnazione chiedeva dichiararsi la nullità della sentenza per inutilizzabilità delle
prove in merito alla rinnovazione degli atti istruttori già assunti per mutamento del collegio e
della prova orale e l'escussione dei testi Labrini, Bono e Ferretti, perché ausiliari del P.M. nelle
indagini preliminari. Nel merito chiedeva l'assoluzione con formula di giustizia, anche ai sensi
del secondo comma dell'art. 530 c.p.p., in subordine la diminuente per la scelta dei rito, ed
infine la riduzione della pena base nel minimo, con un aumento minimo per la continuazione e
la concessione delle attenuanti generiche.
La Corte d'appello ha ritenuto infondati i motivi di impugnazione proposti ed ha escluso il
riconoscimento dell'invocata diminuente processuale, giudicando equa e correlata alla gravità
dei fatti la pena irrogata dal Giudice di prime cure, con l'esclusione dell'aumento per la
continuazione di cui all'art. 81 cpv. c.p.. A tale riguardo, la Corte ha ritenuto di non poter
riconoscere il vincolo della continuazione, quale espressione di un medesimo, iniziale disegno
criminoso, tra i reati oggetto del presente procedimento e quelli oggetto dei processi penali a
carico di Modeo+94 "Ellesponto" e Marino Pulito-i-28, escludendo che sin dall'inizio della
partecipazione e realizzazione di condotte criminose costituenti reati fine delle suddette
associazioni fosse stato deliberato l'acquisto da parte del De Luca proprio dell'arma oggetto
della regiudicanda.
Con ricorso per cessazione proposto in data 4 novembre 2011 nell'interesse di
De Luca
Salvatore, l'Avv. Gaetano Vitale ha dedotto la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) e lett.
e), c.p.p., esponendo al riguardo i seguenti motivi:
24
a) violazione di legge e nullità della sentenza per la rinnovazione degli atti istruttori già
assunti, a seguito del mutamento dei Giudici componenti il Tribunale: l'ordinanza di
rinnovazione degli atti emessa dal Tribunale di Taranto quando, in data 26 settembre
2000, si insediava un collegio parzialmente composto da nuovi Giudici rispetto a quelli
che avevano presieduto all'acquisizione delle prove orali, veniva adottata de plano,
senza il consenso delle parti;
b) violazione di legge e nullità della sentenza con riferimento alla prova orale della
escussione dei testi Labrini, Bono e Ferretti, perché ausiliari del P.M. durante le indagini
preliminari; i testimoni su indicati avrebbero assunto tale veste nei corso degli atti di
indagine, mentre venivano sentiti i collaboratori di giustizia;
c) violazione di legge e nullità della sentenza per Illogicità della motivazione in merito alla
valutazione delle prove ai sensi dell'art. 192 c.p.p., in quanto solo la perizia espletata
sulle armi (nel caso di specie, due mitra di fabbricazione cinese, peraltro non oggetto di
sequestro nel corso delle indagini) avrebbe consentito di affermare che si trattava
realmente di quelle oggetto della narrazione dei collaboratori di giustizia; sotto altro
profilo vengono censurate, inoltre, le discrasie rinvenibili nelle dichiarazioni rese dai
collaboratori di giustizia Cesario Vincenzo e Martera Antonio, riguardo alla fornitura
delle mitragliette al De Luca, sia per quel che attiene alle modalità di pagamento del
prezzo, sia per quanto riguarda il luogo in cui le stesse furono ritirate;
d) violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione dell'art, 81 c.p., con
riferimento alla richiesta di riconoscimento della continuazione tra il procedimento de
quo ed il procedimento cd. 'Ellesponto", trattandosi di fatti-reato appartenenti alla
medesima ideazione criminosa e posti in esecuzione all'interno di un medesimo contesto
spazio-temporale;
e) violazione di legge per erronea applicazione della legge penale con riferimento all'art.
157 c.p., ovvero per la mancata dichiarazione della prescrizione del reato di detenzione
di arma da fuoco, commesso in Taranto dalla fine del 1990 e sino al 14 gennaio 1992.
4.14. LA GIOIA LUIGI
In primo grado veniva condannato, per il reato di cui al capo n. 21), alla pena di anni quattro,
mesi sei di reclusione e f.1.500.000 di multa.
Nei motivi di impugnazione chiedeva di essere assolto per non aver commesso il fatto, ed in
subordine concedersi le attenuanti generiche e rideterminarsi la pena nel minimo edittale.
Per le statuizioni della pronuncia d'appello v. sub 15).
Con ricorso per cessazione personalmente interposto in data 20 dicembre 2011,
La Gioia
Luigi ha chiesto l'annullamento dell'impugnata sentenza, deducendone la mancanza, la
contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, in quanto le dichiarazioni
accusatorie del Cesario Vincenzo, fondate su notizie apprese de relato dal Martera Luigi e
riguardanti solo uno dei La Gioia, non assurgono ad elemento di prova autonomo nei suoi
25
mr.
confronti, tenuto conto del fatto che io stesso Martera non ha mai pronunziato il nome di La
Gioia, ma ha fatto riferimento ad altre persone alle quali il gruppo criminale si rivolgeva per il
rifornimento di esplosivi per gli attentati, così smentendo pienamente il Cesario
4.15. LA GIOIA RAFFAELE
In primo grado veniva condannato, per il reato di cui al capo n. 21), alla pena di anni quattro,
mesi sei di reclusione e £ 1.500.000 di multa.
Nei motivi di impugnazione chiedeva di essere assolto per non aver commesso il fatto, ed in
subordine concedersi le attenuanti generiche e rideterminarsi la pena nel minimo edittale.
Per entrambi i predetti imputati la Corte d'appello ha considerato attendibili e suffragate da
ulteriori riscontri le dichiarazioni accusatorie rese da Cesario Vincenzo - il quale aveva riferito
che gli ordigni esplosivi utilizzati dal clan Modeo per la commissione di attentati dinamitardi
erano confezionati dai fratelli Raffaele e Luigi La Gioia - ed ha ritenuto pertanto infondati i
motivi di impugnazione dagli stessi proposti, escludendo il riconoscimento delle invocate
attenuanti generiche, alla stregua dei loro precedenti penali specifici, e valutando altresì equa
e correlata alla gravità dei fatti ascritti la pena ad essi irrogata in primo grado.
Con ricorso per cessazione proposto in data 10 novembre 2011. nell'interesse di La Gioia
Raffaele, l'Avv. Fausto Soggia ha dedotto il vizio di motivazione dell'impugnata sentenza, per
la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità risultante dal testo e dai verbali
dibattimentali specificamente indicati, ex art. 606, lett. e), c.p.p., non risultando con chiarezza
il contenuto delle dichiarazioni accusatorie formulate, peraltro
de relato, dal collaboratore
Cesario Vincenzo, laddove non riesce ad individuare esattamente quale dei due fratelli, il La
Gioia Luigi ovvero Raffaele, ha provveduto a confezionare gli esplosivi; inoltre, la stessa fonte
delle informazioni apprese de relato, ossia l'altro collaboratore Martera Luigi, non ha mai
pronunziato il nome di La Gioia Raffaele, ma ha fatto riferimento ad altre persone alle quali il
gruppo criminale si rivolgeva per il rifornimento di esplosivi per attentati, così smentendo
pienamente quanto affermato dal Cesario.
4.16. LEONE PIETRO
In primo grado veniva condannato per i reati di cui ai capi nn. 3), SO e 68) - esclusa
l'aggravante di cui all'art. 7 del D.L. n. 152/1991 per il capo 50) e riconosciuta la continuazione
- alla pena di anni nove di reclusione e £.4.000.000 di multa.
Nei motivi di impugnazione chiedeva l'assoluzione ai sensi dell'art. 530, commi 1 o 2, c.p.p., e
in subordine la concessione delle attenuanti generiche e/o la riduzione della pena nel minimo
edittale.
La Corte d'appello ha integralmente confermato il giudizio di penale responsabilità nei confronti
del Leone sulla base di plurimi, concordanti e gravi indizi di reità acquisiti a suo carico in ordine
a tutte le imputazioni contestate, ritenendo equa e commisurata alla gravità dei fatti ed alla
personalità dell'imputato la pena irrogata dal primo Giudice, ed escludendo, altresì, la presenza
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in atti di valide argomentazioni per il riconoscimento in suo favore delle circostanze attenuanti
generiche, ovvero per il ridimensionamento della pena inflittagli.
Con ricorso per cessazione proposto in data 17 novembre 2011 nell'interesse di Leone Pietro,
l'Avv. Pietro Putignano ha chiesto l'annullamento dell'impugnata pronunzia, deducendo al
riguardo i seguenti motivi:
a) violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., in relazione all'art. 525 c.p.p. ed
all'art. 111 Cost., nonché errata applicazione dell'art. 190-bis c.p.p., ovvero
incostituzionalità della stessa norma poiché contraria agli artt. 3, 24 e 111 Cost., ed in
violazione dell'art. 6, par. 3, lett. d), C.E.D.U., poiché il Giudice di prime cure, con
ordinanza poi confermata in appello, ha disposto de plano la rinnovazione degli atti
mediante lettura, nonostante Il parziale mutamento del collegio, senza alcun
contraddittorio ed in assenza del consenso delle parti. Si evidenzia, al riguardo, come
non potrebbe giustificarsi un diverso e più deteriore trattamento processuale in sede di
accertamento della responsabilità dell'imputato, a seconda dei reati per i quali si
procede, non essendo omologabile, sotto il profilo della legittimità costituzionale, una
diversa presunzione di non colpevolezza, né un meno garantito accertamento dei fatti.
Altrettanto chiara, inoltre, risulterebbe la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., in
relazione al diritto di difesa ed ai canoni del giusto processo, stante il diritto
dell'imputato, riconosciuto anche in sede pattizia, di confrontarsi con i testimoni in
presenza del giudice che dovrà poi decidere sul merito delle accuse;
b) violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c) e lett. e), c.p.p., in relazione all'art. 192,
comma 3, c.p.p., per carenza di motivazione, ovvero illogicità e contraddittorietà della
stessa, in ragione delle numerose contraddizioni interne alle dichiarazioni accusatorie
formulate dal Cesario Vincenzo in ordine all'episodio dell'acquisto del quantitativo di
hashish di cui al capo sub 3), peraltro non suffragate dalle dichiarazioni dell'altro
collaboratore di giustizia, Martera Luigi, ovvero da elementi di riscontro obiettivamente
verificabili; parimenti non riscontrate risulterebbero, altresì, le chiamate in correità
operate dal Martera nei confronti del Leone in relazione alle imputazioni racchiuse nei
capi sub 50 (richiesta estorsiva ai danni del Cricchio) e sub 68 (attentato dinamitardo a
Palazzo Latagliata).
4.17. LIUZZI GIUSEPPE
In primo grado era stato condannato per I reati di cui ai capi A) e D-D66), ritenuta non
sussistente l'aggravante dell'ingente quantità ed esclusa quella di cui all'art. 7 del D.L.
n.
152/91, alla pena di anni sette di reclusione e £20.000.000 di multa. Inoltre, era stato assolto
dal reato di cui al capo B) per non aver commesso il fatto.
Nei motivi di impugnazione chiedeva l'assoluzione ai sensi dell'art. 530, commi 1 o 2, c.p.p. e
in subordine la concessione delle attenuanti generiche prevalenti e/o la riduzione della pena nel
minimo edittale, con applicazione della continuazione.
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In sede di gravame l'imputato rinunciava a tutti i motivi di impugnazione, esclusi quelli
concernenti l'entità della pena.
La Corte d'appello ha ritenuto congrua e correlata alla penale responsabilità dell'appellante la
pena di anni quattro, mesi due di reclusione ed euro 19.000,00 di multa (così determinata:
p.b. anni sei di reclusione ed euro.27.000,00, di multa, ridotta di un terzo per l'art.62-bis c.p.,
ed aumentata di mesi due di reclusione ed euro 1.000,00 per il capo A), ex art. 81 c.p.).
Con ricorso per cessazione personalmente interposto in data 17 novembre 2011, Liuzzi
Giuseppe ha chiesto l'annullamento dell'impugnata sentenza in base all'art. 606, comma 1,
lett, b) e lett. c), c.p.p., in relazione agli artt, 157 e 129 c.p.p., non avendo la Corte d'appello
valutato il decorso del tempo con riferimento all'intervenuta prescrizione del reato di cui al
capo d'imputazione sub A).
4.18. MICOLI ORLANDO
In primo grado veniva condannato per i reati di cui ai capi C) e D-D71), ultima parte, unificati
per continuazione ed in concorso di attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, alla pena
di anni quindici di reclusione e £.140.000.000 di multa. Inoltre, veniva assolto dal reato di cui
al capo D-D71), prima e seconda parte, perché il fatto non sussiste e da quelli di cui ai capi A)
e B), per non aver commesso il fatto.
Nei motivi di impugnazione chiedeva l'assoluzione perché il fatto non sussiste o con altra
formula di giustizia, ed in subordine la concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulle
aggravanti e la diminuente di cui all'art. 442 c.p.p.. Chiedeva, inoltre, il riconoscimento del
vincolo della continuazione con il reati oggetto della sentenza irrevocabile della Corte di assise
di appello di Taranto in data 15 marzo 2003.
In sede di gravame l'imputato rinunciava a tutti i motivi di impugnazione, esclusi quelli
concernenti l'entità della pena ed il riconoscimento del vincolo della continuazione con i reati
oggetto della sentenza irrevocabile della Corte di assise di appello di Taranto del 15 marzo
2003.
La Corte d'appello ha ritenuto congrua e correlata alla penale responsabilità dell'appellante,
tenuto conto della gravità del fatto, la pena di anni dieci di reclusione ed euro 45.000,00 di
multa, così determinata: p.b. anni sette ed euro 30.000,00, aumentata ad anni nove, mesi
quattro ed euro 40.000,00 per l'art. 80, e di mesi otto ed euro 5.000,00 per la continuazione
con il reato di cui al capo C), escludendo il vincolo della continuazione con i reati oggetto della
sentenza irrevocabile sopra indicata, trattandosi di fatti che costituiscono espressione di
autonome ideazioni criminose, posti in esecuzione in contesti differenti, ad opera di soggetti in
parte diversi e quindi frutto di una particolare propensione a delinquere e ad un sistema di vita
deviante e connotato dal disvalore sociale delle condotte.
Con ricorso per cessazione proposto in data 4 novembre 2011 nell'interesse di Micoll
Orlando, l'Avv. Rosario Levato ha dedotto la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) e lett.
e), c.p.p., enucleando al riguardo i seguenti motivi:
28
a) inosservanza ed erronea applicazione dell'ad. 649 c.p.p., con riferimento al
riconoscimento dell'istituto del ne bis in idem tra i fatti-reato oggetto dei presente
procedimento e quelli giudicati con sentenza irrevocabile emessa dalla Corte d'assise
d'appello di Taranto in data 15 marzo 2003, nell'ambito del procedimento cd. "Paolo
VI", in ragione dell'identicità dei reati e dei relativi elementi di prova;
b) inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 81 c.p., con riferimento alla richiesta di
riconoscimento della continuazione tra il procedimento in oggetto ed il procedimento cd.
"Paolo VI", appartenendo i fatti alla medesima ideazione criminosa, in quanto il Micoli
aveva iniziato a svolgere l'attività di spaccio nel quartiere "Paolo VI" e nella città
vecchia dall'estate del 1993 sino al 1996, inizialmente per conto del Perelli Stefano facente parte del gruppo diretto da Cesario Pasquale - e successivamente, dopo
l'arresto del Cesario nel 1994, per conto del gruppo diretto dallo stesso Perelli,
coadiuvato in entrambe le associazioni dalle medesime persone, tra cui il Romanazzi
Cosimo ed altri;
c) contraddittorietà, ovvero manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla
corretta applicazione dell'ad. 81 c.p. tra la sentenza cd. "Orrilo" e la sentenza cd.
"Paolo VI", in ragione del riconoscimento dell'istituto della continuazione operato in
favore del coimputato Perelli Adriano, e viceversa negato al ricorrente, nonostante
l'identità delle rispettive posizioni processuali.
4.19. MODEO CLAUDIO
In primo grado veniva condannato per i reati contestatigli ai capi sub 28) e 29), unificati per la
continuazione, alla pena di anni nove di reclusione e £.3.000.000 di multa.
Nei motivi di impugnazione chiedeva di essere assolto dai reati ascrittigli perché il fatto non
sussiste, o per non averlo commesso anche ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., ed in
subordine chiedeva escludersi l'aggravante di cui all'art. 7 del 0,1_ n. 152/91, concedersi le
attenuanti generiche con criterio di prevalenza e contenersi la pena nel minimo edittale.
La Corte d'appello ha integralmente confermato il giudizio di penale responsabilità espresso dal
Giudice di prime cure, ritenendo provato, sulla base delle concordi dichiarazioni rese dai
collaboratori escussi, riscontrate in parte dalle ammissioni delle persone offese, il fatto che,
prima della scissione del clan Modeo e della nascita dell'autonomo gruppo "Cesario Cianciaruso - Martera", veniva svolta un'attività continuativa e capillare di estorsione in danno
di pescivendoli e commercianti di mitili della città vecchia da parte dei componenti del clan
Modeo, e che il Modeo Claudio era il collettore delle somme ricavate, che finivano nella cassa
comune e venivano poi redistribuite in favore delle famiglie dei componenti del clan, che
all'epoca risultavano tratti in arresto e che percepivano sino a £.2.500.000 cadauno.
Successivamente, osserva la Corte, tale attività era proseguita sempre ad opera dei
componenti del clan, ed i proventi venivano comunque redistribuiti tra i suoi membri, molti dei
quali arrestati nell'ambito di alcune operazioni investigative che dettero luogo ai processi
29
"Ellesponto", "Marino Pulito e altri", ecc., e quindi anche in favore del Modeo Claudio, la cui
appartenenza alla predetta associazione è risultata provata nell'ambito dei processo
"Ellesponto".
La Corte territoriale ha pertanto ritenuto la sussistenza dell'aggravante ad effetto speciale di
cui all'art. 7 del D.L. n. 151/91, giudicata compatibile con quella di cui all'ad, 629, comma 2,
in relazione all'art. 628, comma 3, c.p., osservando che Il Modeo, oltre che appartenere ad
un'associazione di stampo mafioso, nel commettere le su indicate attività criminose si era
avvalso della forza intimidatrice derivante da tale appartenenza. Ha infine ritenuto infondata la
richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche, in considerazione della
inquietante personalità dell'imputato, quale emergente dai gravissimi precedenti penali e dalle
condotte allo stesso ascritte in ambito associativo, dalla cui valutazione non sono emersi
positivi elementi per il riconoscimento delle su indicate attenuanti.
Con ricorso per cessazione interposto in data 5 novembre 2011 nell'interesse di Modeo
Claudio, l'Avv, Giuseppe Lecce ha chiesto l'annullamento dell'impugnata sentenza, deducendo
al riguardo i seguenti motivi di impugnazione:
a) violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) e lett, c), c.p.p., per errata applicazione ed
interpretazione della legge penale in relazione all'ad, 521 c.p.p., stante la mancanza di
correlazione tra i capi d'imputazione contestati e la sentenza di condanna, che ha
ritenuto responsabile il ricorrente di condotte estorsive commesse in quanto
appartenente al "clan Modeo", laddove nei capi d'imputazione non emerge in alcun
modo che egli sia stato chiamato a rispondere di tali reati, in qualità di appartenente al
predetto sodalizio criminoso, ma unicamente in concorso con altri soggetti, a nessuno
dei quali è stato contestato il reato associativo;
b) violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), lett. c) e lett. e), c.p.p., per errata
applicazione ed interpretazione della legge penale, e per contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione con riferimento agli artt, 416-bis, 629, commi 1 e 2,
riguardo all'art. 628, u.c,, n. 1 e n. 3, c.p., e 7 del D.L. n. 152/1991, non potendosi
l'imputato ritenere responsabile delle attività estorsive realizzate nella zona della città
vecchia di Taranto, che sin dal 1988 venivano poste in essere unicamente dal gruppo
costituito da Luigi Martera, in quanto le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia
appaiono al riguardo generiche e non oggettivamente riscontrate, né la responsabilità
del ricorrente in ordine ai reati-fine potrebbe automaticamente desumersi per la sola
appartenenza al sodalizio criminale denominato "clan Modeo", non essendo emerso in
alcun modo il suo effettivo contributo all'attuazione delle singole condotte delittuose;
c) violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), lett. c) e lett. e), c.p.p., per errata
applicazione della legge penale - in relazione agli arti. 416-bis e 629, comma 1 e 2,
c.p., con riferimento all'art. 628 u.c., nn. 1 e 3, c.p. e 7 del D.L. n. 152/1991 - e per
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'effettiva
partecipazione del Modeo alla realizzazione dei reati in rubrica ascrittigli, in quanto sia il
30
3e,
Cesario che il Martera operano sempre un generico riferimento, nelle loro dichiarazioni,
al clan Modeo, e non si riferiscono mai direttamente all'imputato, se non per affermare
che a quest'ultimo si erano rivolti i commercianti affinché intercedesse con gli autori
delle estorsioni per ottenere una riduzione delle somme richieste;
d) violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), lett. c) e lett. e), c.p.p., per errata
applicazione ed interpretazione della legge penale, e per contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione con riferimento agli artt. 192 c.p.p., 416-bis, 629, commi 1 e
2, riguardo all'art. 628, u.c., n. 1 e n. 3, c.p., e 7 del D.L. n. 152/1991, in relazione alla
totale assenza di riscontri oggettivi alle dichiarazioni rese dai coimputati nel medesimo
procedimento, ed in particolare dal Martera Luigi, in considerazione del fatto che
quest'ultimo era da lungo tempo, notoriamente, contrapposto alla persona del Claudio
Modeo;
e) violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), lett. c) e lett. e), c.p.p., per errata
applicazione ed interpretazione della legge penale, e per contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione con riferimento agli artt. 649 c.p.p., 416-bis, 629, commi 1 e
2, riguardo all'art. 628, u.c., n. 1 e n. 3, c.p., e 7 del D.L. n. 152/1991, in relazione alla
condanna inflitta al Modeo nell'ambito dei procedimento cd. "Ellesponto", per il
medesimo ruolo di "cassiere" che egli avrebbe svolto nell'ambito dell'associazione
criminosa de qua;
f)
violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), lett. c) e lett. e), c.p.p., per errata
applicazione ed interpretazione della legge penale, e per contraddittorietà e manifesta
Illogicità della motivazione con riferimento all'art. 7 del D.L. n, 152/1991, in relazione
all'assenza dei presupposti necessari per l'applicabilità di siffatta aggravante.
4.20. MORRONE GIUSEPPE (nato nel 1962)
In primo grado veniva condannato per i reati di cui ai capi A), B), D-D73) prima parte, esclusa
l'aggravante di cui all'art. 80 del DPR 309/90 e riconosciuta la continuazione, alla pena di anni
undici di reclusione, in concorso di attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti.
Veniva altresì assolto dai reati di cui ai capi C) e 073), ultima parte, per non aver commesso il
fatto.
Nei motivi di impugnazione chiedeva di essere assolto perché il fatto non sussiste o con diversa
formula di giustizia, ed in subordine concedersi i minimi edittali, derubricare il fatto nell'ipotesi
gradata di minor punibilità, concedersi ogni beneficio di legge e quello della sospensione
condizionale, se concedibile, nonché la diminuente di cui all'art. 442 c.p.p. .
In sede di gravame l'imputato rinunciava a tutti i motivi di impugnazione, esclusi quelli
concernenti l'entità della pena.
La Corte d'appello ha ritenuto congrua e correlata alla penale responsabilità dell'appellante la
pena di anni sette e mesi due di reclusione (così determinata: p.b. per il capo B) anni dieci,
31
ridotta di un terzo per l'art. 62 bis = sei e mesi otto, aumentata di mesi tre ciascuno per la
-
continuazione con i reati di cui ai capi A) e D-D73).
Con ricorso per cessazione del 20 ottobre 2011, Morrone Giuseppe, difeso di fiducia dall'Avv.
Fabrizio Lamanna, ha chiesto l'annullamento della su citata pronuncia, deducendone la
mancanza, ovvero la manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod.
proc. pen., stante la ricostruzione prettamente presuntiva emersa nel corso dei due gradi di
giudizio in ordine alla individuazione della sua responsabilità penale.
Con ricorso per cessazione personalmente proposto il 2 novembre 2011, inoltre, li Morrone si
duole della mancata concessione delle attenuanti generiche con criterio di prevalenza, e
dell'omessa motivazione della pronuncia della Corte d'appello per quel che attiene al profilo
della responsabilità penale, richiamandosi quest'ultima alle motivazioni rese dal Giudice di
primo grado.
4.21. PANARITI GIOVANNI
In primo grado veniva condannato per i reati di cui ai capi C), D-D78) ultima parte riconosciuta la continuazione ed in concorso di attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti
contestate - alla pena di anni quattordici di reclusione e f.130.000.000 di multa. Veniva
assolto dai reati di cui ai capi A) e B) per non aver commesso il fatto e D-D78), prima e
seconda parte, perché il fatto non sussiste.
Nei motivi di impugnazione chiedeva dichiararsi la nullità della sentenza per l'inutilizzabilità
delle prove in merito alla rinnovazione degli atti istruttori già assunti per mutamento del
collegio e della prova orale e l'escussione dei testi Labrini, Bono e Ferretti, perché ausiliari del
P.M. nelle indagini preliminari. Nel merito, chiedeva l'assoluzione per non aver commesso il
fatto o con formula di giustizia, In subordine la diminuente di cui all'art. 442 c.p.p., ed infine
ridursi la pena nei minimi edittali.
In sede di gravame l'imputato rinunciava a tutti i motivi di impugnazione, esclusi quelli
concernenti l'entità della pena ed il riconoscimento del vincolo della continuazione con la
sentenza irrevocabile della Corte di assise di appello del 15 marzo 2003 (al. sentenza "Paolo
VI").
La Corte d'appello ha ritenuto congrua e correlata alla penale responsabilità dell'appellante la
pena di anni nove di reclusione ed euro 30.000,00 di multa, così determinata: p.b. anni otto ed
euro 28.000,00 per il capo D-D78), aumentata di anni uno e di euro 2.000,00 per la
continuazione con il reato di cui al capo C), non potendosi riconoscere il vincolo della
continuazione con i reati oggetto della sentenza sopra indicata, trattandosi di fatti che
costituiscono espressione di autonome e diverse ideazioni criminose, posti in esecuzione in
contesti e date differenti e quindi frutto di una particolare propensione a delinquere, oltre che
alla realizzazione di un sistema di vita deviante e connotato dal disvalore sociale delle condotte
poste in essere.
32
Con ricorso per cessazione proposto in data 4 novembre 2011 nell'interesse di Panariti
Giovanni, l'Avv. Gaetano Vitale ha dedotto la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) e lett.
e), c.p.p., esponendo al riguardo i seguenti motivi:
a) inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 649 c.p.p., con riferimento ai
riconoscimento dell'istituto dei ne bis in idem tra i fatti-reato oggetto del presente
procedimento e quelli (relativi alla partecipazione ad un'associazione ex art. 74 del DPR
n. 309/1990, capeggiata da Stefano Perelli ed operante in Taranto, sino al luglio dei
1996) già giudicati con sentenza irrevocabile emessa dalla Corte d'assise d'appello di
Taranto in data 15 marzo 2003, nell'ambito del procedimento cd. "Paolo VI", in ragione
dell'identicità dei reati e dei relativi elementi di prova;
b) Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 81 c.p., con riferimento alla richiesta di
riconoscimento della continuazione tra il procedimento in oggetto ed il procedimento cd,
"Paolo VI", appartenendo i fatti alla medesima ideazione criminosa, in quanto il Panariti
aveva iniziato a svolgere l'attività di spaccio nel quartiere "Paolo VI" e nella città
vecchia di Taranto dall'estate del 1993 sino al 1996, inizialmente per conto del Perelli
Stefano - facente parte del gruppo diretto da Cesario Pasquale - e successivamente,
dopo l'arresto del Cesario nel 1994, per conto del gruppo diretto dallo stesso Perelli,
coadiuvato in entrambe le associazioni dalle medesime persone, tra cui Micoli Orlando,
Romanazzi Cosimo ed altri;
c) contraddittorietà, ovvero manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla
corretta applicazione dell'art. 81 cpv. c.p. tra la sentenza cd. "Orrilo" e la sentenza cd.
"Paolo VI", in ragione del riconoscimento dell'istituto della continuazione operato in
favore del coimputato Perelli Adriano, e viceversa negato al ricorrente, nonostante
l'identità delle rispettive posizioni processuali.
Con motivi nuovi depositati in data 26 aprile 2012, il difensore di fiducia del Panariti ha
precisato che Il primo motivo di ricorso - attinente alla configurabilità dell'istituto del ne bis in
idem, dalla Corte d'appello non applicato ex officio nella impugnata pronuncia - è circoscritto al
capo sub C) della rubrica, ed ha altresì dedotto la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c), in
relazione all'art. 597 c.p.p., poiché l'applicazione della continuazione tra i reati oggetto dei
procedimenti sopra Indicati non era stata chiesta con i motivi d'appello, ma solo in sede di
udienza, con la conseguenza che la Corte avrebbe dovuto dichiararne l'inammissibilità, e non
rigettare nel merito la richiesta, peraltro con motivazione affetta da nullità assoluta.
Viene infine dedotta, sotto il profilo dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., la manifesta
illogicità e contraddittorietà della motivazione della impugnata pronuncia, con riferimento alla
su citata richiesta di riconoscimento della continuazione tra il procedimento in oggetto ed il
procedimento cd. "Paolo VI", stante l'apoditticità e la mera apparenza delle giustificazioni ivi
articolate, essendo stata all'imputato addebitata - nel capo d'imputazione sub C) - un'attività
di spaccio in concorso con Pasquale Cesario, ma in qualità di partecipe dell'associazione ex art,
74 dei DPR. n. 309/1990, facente riferimento al "clan Perelli" ed operante anch'essa in
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Taranto, fino al 1996, come risulta dal capo d'imputazione sub B) di cui alla sentenza
pronunciata nell'ambito del procedimento cd. "Paolo VI" (ove, peraltro, nessun reato-fine
stato contestato).
4.22. PERELLI ADRIANO
In primo grado era stato condannato per i reati di cui ai capi C) e D-079), esclusa l'ipotesi di
cui all'art. 80 del D.P.R. n. 309/90, in concorso di attenuanti generiche prevalenti sulle
aggravanti contestate, alla pena di anni dieci di reclusione. Veniva assolto dai reati ascrittigli ai
capi A) e B) della rubrica per non aver commesso il fatto.
Nei motivi di impugnazione chiedeva di essere assolto per non aver commesso il fatto. In
subordine, chiedeva rinnovarsi l'istruttoria dibattimentale ai fini dell'acquisizione delle buste
paga, del libretto di lavoro e della dichiarazione dei redditi, riconoscersi la continuazione con il
reato di cui alla sentenza del Tribunale d'Istanza di Lorrach (Germania) del 14.11.1994, la
diminuente di cui all'art. 442 c.p.p., le attenuanti generiche con criterio di prevalenza, ed
irrogarsi il minimo della pena, con il minimo aumento ex art. 81 c.p.
In sede di gravame l'imputato rinunciava a tutti i motivi di impugnazione, esclusi quelli
concernenti l'entità della pena, il riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui all'art. 74, comma
7, del D.P.R. n, 309/90 e l'improcedibilità dell'azione penale per precedente giudicato in
relazione al reato di cui all'art. 74 del DPR n. 309/90.
La Corte d'appello ha ritenuto che, in relazione alla suddetta imputazione, l'imputato fosse già
stato giudicato con la sentenza irrevocabile emessa dalla Corte di assise di appello in data
15.3.2003 nell'ambito del procedimento penale cd. "Paolo VI", per fatti commessi fino al luglio
1996, trattandosi di associazione avente
in
comune con quella oggetto del presente
procedimento sia i partecipi, sia le attività delittuose e le sostanze spacciate, sia il contesto
temporale e territoriale nel quale i rispettivi fatti risultano inquadrati.
Conseguentemente, la Corte territoriale ha ritenuto fondato il suddetto motivo di
impugnazione, dichiarando l'improcedibilità dell'azione penale nei confronti del Perelli in ordine
alla fattispecie di reato sopra indicata, perché l'azione penale non poteva essere esercitata per
il precedente giudicato ai sensi dell'art. 649 c.p.p.; ha inoltre ritenuto congrua e correlata alla
penale responsabilità dell'appellante la pena di anni otto, mesi sei di reclusione ed euro
40.000,00 di multa per il reato di cui al capo D-D79), concernente la detenzione, l'acquisto e la
cessione di diversi quantitativi di sostanze stupefacenti, in concorso con altre persone, sino al
1996.
Con ricorso per cassazione proposto in data 3 novembre 2011 nell'interesse di Parali'
Adriano, l'Avv. Fausto Soggia ha chiesto l'annullamento della su citata sentenza, deducendone
il vizio di motivazione ex art. 606, lett. e), c.p.p., in quanto priva di qualsiasi riferimento all'iter
logico-giuridico seguito in ordine alla determinazione della pena, peraltro quantificata in modo
erroneo (con sanzione finale pari ad anni 8, mesi sei di reclusione ed euro 40.000,00 di multa,
in luogo della precedente pena di anni dieci di reclusione), tralasciando ogni riferimento alla
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pena base, sulla quale sarebbero stati successivamente effettuati decurtazioni ed aumenti di
pena ex artt. 62 bis e 81. c.p.: siffatta mancanza, in particolare, non consentirebbe di accertare
-
se la Corte d'appello abbia preso ad oggetto l'attuale, ovvero la previgente, disciplina sugli
stupefacenti.
Ulteriore motivo di doglianza viene prospettato dal ricorrente in relazione all'art. 606, comma
1, lett. b), c.p.p., per la violazione del divieto di reformatio in peius ex art. 597, comma 4,
c.p.p., poiché, in applicazione dell'attuale disciplina sanzionatoria prevista dall'art. 73 del DPR
n. 309/1990, la Corte, adottando il medesimo criterio utilizzato dal Tribunale (che ha irrogato
una sanzione finale pari al minimo edittale della pena prevista per il reato più grave di cui
all'art. 74), avrebbe dovuto infliggere una pena detentiva finale pari ad anni sei (ossia, il
minimo edittale dei vigente art. 73), ovvero in misura addirittura inferiore, poiché in secondo
grado, diversamente da quanto avvenuto nel primo giudizio (ove l'aumento è stato
proporzionato anche alla continuazione cd. esterna), v'è stato un aumento di pena per la sola
continuazione interna.
4.23. PIROZZOLO SERGIO
In primo grado veniva condannato per i reati ascrittigli ai capi sub 7) e 14), esclusa
l'aggravante di cui all'art. 7 del D.L. n. 152/91, alla pena di anni dodici di reclusione e E.
90.000.000 di multa.
Nei motivi di impugnazione chiedeva, in via preliminare, dichiararsi l'inutilizzabilità dei tabulati
telefonici relativi all'utenza intestata a Pirozzolo Nicola (fratello), acquisiti in assenza del
decreto motivato del P.M. ed in violazione dell'art. 191 c.p.p.; inoltre, chiedeva rinnovarsi
l'istruttoria dibattimentale per acquisire un certificato del P.R.A. attestante la proprietà di
autoveicoli da parte dell'imputato e la registrazione dell'udienza dibattimentale del 17 aprile
1997, tenuta dalla Corte di Assise di Reggio Calabria nel procedimento contro Latella più altri.
Nel merito, chiedeva l'assoluzione per non aver commesso il fatto, ed in subordine ridursi la
pena in concorso di attenuanti generiche prevalenti, ritenuta la continuazione, e contenersi
comunque la pena nei minimi edittali.
La Corte d'appello ha ritenuto infondati i motivi di impugnazione proposti dall'imputato, e
pronunziandosi in primo luogo su quello concernente la richiesta di dichiarare l'inutilizzabilità
dei tabulati telefonici dell'utenza intestata al fratello Pirozzolo Nicola, ha precisato che già il
primo Giudice aveva ritenuto di non utilizzare in alcun modo i suddetti tabulati, sicché del tutto
superfluo si sarebbe rivelato l'esame di tale profilo di impugnazione.
Inoltre, ha ritenuto superflua la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale
avanzata in relazione all'acquisizione del certificato cronologico nominativo del PRA,
osservando che l'appellante avrebbe potuto utilizzare anche autovetture intestate ad altri,
sicché le risultanze di tale accertamento si sarebbero rivelate del tutto inconferenti.
Per quanto concerne, poi, l'acquisizione della sentenza di primo grado del processo
Latella+altri, celebrato presso la Corte di assise di Reggio Calabria, la Corte territoriale ne ha
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rigettato l'eccezione di inutilizzabilità, rilevando che l'acquisizione è stata finalizzata
esclusivamente ad evidenziare l'esistenza della pronuncia ed i titoli di reato contestati, mentre
la stessa non è stata utilizzata quale elemento di riscontro della colpevolezza dell'imputato.
Nel merito, la Corte d'appello ha ritenuto provata la penale responsabilità dell'Imputato in
ordine ai reati ascrittigli ai capi sub 7) e 14), alla stregua delle dichiarazioni rese dal
collaboratore Cesario Vincenzo, confermate da numerosi elementi di riscontro, ed in particolare
dalle dichiarazioni del Martera Luigi, dal rinvenimento delle armi provenienti dalla fornitura
fatta da Pirozzolo, nonché dalle dichiarazioni rese dal collaboratore calabrese Riggio Giovanni.
Infine, ha ritenuto di confermare la pronuncia del Tribunale anche sotto il profilo sanzionatorio,
osservando, da un lato, che la gravità dei fatti e le qualità soggettive dell'imputato non
consentono di riconoscere in suo favore alcun tipo di attenuante e, dall'altro lato, che il vincolo
della continuazione fra i reati contestati è già stato riconosciuto, con l'applicazione di una pena
base per il reato sub 7) che si è stimata equa e correlata alla gravità del fatto in ragione
dell'ingente quantitativo della sostanza ceduta, sulla quale è stato poi operato a titolo di
continuazione un aumento di pena congruo in relazione alla gravità dei fatti contestati nel capo
sub 14).
Con ricorso per cassazione proposto in data 4 novembre 2011 nell'interesse di Pirozzolo
Sergio, l'Avv. Pasquale Annicchiarico ha chiesto l'annullamento della sentenza sopra citata,
deducendo i seguenti motivi di impugnazione:
a) violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., per la contraddittorietà della
motivazione risultante dalle statuizioni delle sentenze n. 5/01 del 9 maggio 2001 e n.
6/05 dell'il marzo 2005 (esecutiva per l'imputato a far data 26 luglio 2005),
pronunziate dalla Corte d'assise d'appello di Reggio Calabria (la prima in fase di appello,
la seconda a seguito di annullamento con rinvio da parte della Suprema Corte) nel
procedimento Latella più altri (processo cd. "Valanid1"), portante l'assoluzione del
Pirozzolo dai reati di concorso in omicidio, associazione mafiosa ed altro, acquisite nel
giudizio di appello all'udienza del 26 febbraio 2010; con la sentenza n. 5/01 del 9
maggio 2001, in particolare, veniva censurata l'attendibilità di alcuni collaboratori di
giustizia, fra i quali il Cesario Vincenzo, e a seguito di ricorso per cassazione e
conseguente pronuncia di annullamento con rinvio di tale sentenza, la Corte d'assise
d'appello di Reggio Calabria, con la su citata decisione n. 6/05 dell'Il marzo 2005,
assolveva il ricorrente, per non aver commesso il fatto, dai reati di concorso in omicidio
e traffico di armi e stupefacenti, ritenendolo responsabile esclusivamente per i reati di
cui agli artt. 319 e 321 c.p., e rideterminando la pena inflitta in anni quattro di
reclusione: di tale pronuncia, passata in giudicato e pienamente utilizzabile, la Corte
d'appello avrebbe dovuto prendere atto, valorizzandone il contenuto in favore
dell'imputato;
b) violazione dell'art. 606, lett.
b) e lett. c), c.p.p., per l'erronea applicazione e
l'inosservanza di norme processuali stabilite a pena inutilizzabilità in relazione agli artt.
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236 e 238-bis c.p.p., avendo la Corte d'appello utilizzato, al fine di ricercare utili
riscontri alla chiamata in correità del coimputato Cesario Vincenzo, non solo le
dichiarazioni accusatorie dallo stesso rese nel corso del primo grado del processo
v`Valanidi", ma anche le argomentazioni adottate dalla Corte d'assise di Reggio Calabria
nella sentenza di primo grado per fondare la condanna del ricorrente alla pena di
venticinque anni di reclusione, come se i fatti ivi descritti fossero coperti dal giudicato;
c) violazione dell'art. 606, lett.
b) e lett. e), c.p.p., per inosservanza ed erronea
applicazione degli artt. 192, commi 2 e 3, c.p.p., e 26 comma 3, della L. 1° marzo
2001, n. 63, nonché per illogicità e contraddittorietà tra la motivazione e le risultanze
dell'istruttoria dibattimentale in ordine ai riscontri utilizzati per confermare l'attendibilità
del chiamante in correità Cesario Vincenzo: non solo le dichiarazioni del Cesario non
sarebbero state supportate da minimi riscontri individualizzanti, né oggettivamente
confortate da quelle del Martera Luigi, ma neanche le dichiarazioni rese dal
collaboratore calabrese Riggio Giovanni nell'ambito del processo cd. "Valanidi"
potrebbero offrire validi riscontri, tenuto conto dell'esito di quel processo e della
conclamata Inattendibilità dello stesso; illogiche e contraddittorie, peraltro,
risulterebbero le affermazioni contenute nell'impugnata sentenza, riguardo alle modalità
di conoscenza e individuazione della persona del ricorrente da parte del Cesario
Vincenzo - che non ne indica correttamente il nominativo, avendone appreso il
cognome solo successivamente dalle carte processuali - ed alla entità e modalità di
acquisto e consegna delle forniture di armi e stupefacenti effettuate in suo favore dal
Cesario, che su tali profili avrebbe fornito più versioni tra loro discordanti;
d) violazione dell'art. 606, lett.
b) e lett.
c), c.p.p., per inosservanza ed erronea
applicazione degli artt. 531 e 129 c.p.p., in relazione alla omessa pronuncia
dell'intervenuta prescrizione del reato di cui agli artt. 81 c.p., 10-12-14 della L. n.
497/1974 e 3 della L. n. 110/75, contestato al capo sub 14) e posto in essere nell'anno
1991, con conseguente estinzione sopravvenuta sin dall'anno 2006.
Con memoria difensiva depositata il 23 aprile 2012 sono state sinteticamente ribadite alcune
delle ragioni già esposte e sostegno dei motivi di ricorso, in ordine all'Incerto riconoscimento
formale del Pirozzolo, da parte del Cesario, ed all'assenza di validi riscontri alle dichiarazioni
accusatorie nei suoi confronti formulate.
4.24. PRESICCI ANTONIO
In primo grado veniva condannato, esclusa l'aggravante di cui all'art. 80 del DPR n. 309/1990,
per i reati ascrittigli ai capi A), B), D-D91) riconosciuta la continuazione con quelli di cui alla
sentenza del Tribunale di Taranto del 6 maggio1991, ed in concorso di attenuanti generiche
prevalenti sulle aggravanti - alla pena di anni dodici di reclusione.
Nei motivi di impugnazione chiedeva di essere assolto dai reati ascrittigli per non aver
commesso il fatto, ed in subordine riconoscersi le attenuanti generiche (già concesse con
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criterio di prevalenza) con criterio di prevalenza, riducendo la pena irrogata, stante
l'eccessività della pena base e dell'aumento irrogato ai sensi dell'art. 81 c.p. .
In sede di gravame l'imputato rinunciava a tutti i motivi di impugnazione, esclusi quelli
concernenti l'entità della pena e l'aggravante di cui all'art. 7 del D.L. n. 152/91.
La Corte d'appello ha ritenuto congrua e correlata alla penale responsabilità dell'appellante la
pena di anni nove e mesi due di reclusione, così determinata: p.b. anni dieci per il capo B),
ridotta di un terzo per l'art. 62- bis c.p.= anni sei e mesi otto, ed aumentata ad anni otto e
mesi undici per l'art. 7 della L. n. 152/91, nonché di mesi uno e giorni quindici ciascuno per i
reati di cui ai capi D-D95) e per la continuazione con la sentenza irrevocabile del Tribunale di
Taranto in data 6 maggio 1991, ex art. 81 c.p..
Con ricorso per cessazione proposto il 7 ottobre 2011 nell'interesse di Presicci Antonio, l'Avv.
Giancarlo Catapano ha chiesto l'annullamento della su citata pronunzia della Corte d'appello di
Lecce, deducendo l'erronea applicazione dell'art. 606, lett. c), c.p.p., in quanto la rinuncia ai
motivi d'appello è stata formulata al fine di ottenere una riduzione della pena non
corrispondente nella sua entità a quanto richiesto all'atto della rinuncia.
4.25. ROMANAZZI COSIMO
In primo grado veniva condannato per i reati di cui ai capi A), B) e D-D91) - esclusa per
quest'ultimo capo l'ultima parte, unificati per continuazione i predetti reati anche con il reato di
cui alla sentenza del GIP del Tribunale di Taranto del 4 maggio 1990, esclusa invece la
continuazione con i fatti di cui alla sentenza del GIP del Tribunale di Taranto del 25 ottobre
1993, esclusa, inoltre, l'aggravante di cui all'art. 80 ed in concorso di attenuanti generiche
prevalenti sulle residue aggravanti - alla pena di anni dodici di reclusione.
Veniva assolto dal reato di cui al capo C) per non aver commesso il fatto e da quello di cui ai
capo D-D91), ultima parte, perché il fatto non sussiste.
Nei motivi di impugnazione chiedeva di essere assolto da tutti i reati ascrittigli, con il
riconoscimento delle attenuanti generiche con criterio di prevalenza (già concesse dal primo
Giudice), ridursi l'aumento ex art.81 c.p. e comunque ridursi la pena base.
In sede di gravame l'imputato rinunciava a tutti i motivi di impugnazione, esclusi quelli
concernenti l'entità della pena, il riconoscimento del vincolo della continuazione con i reati di
cui alla sentenza nel procedimento "Paolo VI" ed il giudizio di comparazione.
La Corte d'appello ha escluso il vincolo della continuazione tra i reati oggetto del presente
procedimento e quelli giudicati con la sentenza sopra indicata, sul presupposto che i relativi
fatti costituiscano espressione di autonome ideazioni criminose, posti in esecuzione in momenti
differenti, ad opera di soggetti in parte diversi, e quindi frutto di una particolare propensione a
delinquere e ad un sistema di vita deviante e connotato dal disvalore sociale delle condotte,
mentre ha ritenuto congrua e correlata alla penale responsabilità dell'appellante la pena di anni
nove e mesi otto di reclusione, così determinata: p.b. anni dieci, ridotta per l'art. 62 - bis c.p.
ad anni sette e mesi otto, aumentata ex art. 81 c.p. di anno uno per il reato di cui al capo D38
D90, di mesi sei per quello di cui alla sentenza irrevocabile del G.I.P. presso il Tribunale di
Taranto in data 4.5.1990 e di mesi sei per quello di cui al capo A).
Con ricorso per cessazione personalmente proposto in data 11 novembre 2011, Romanazzi
Cosimo ha dedotto il vizio di motivazione dell'impugnata pronuncia, laddove la Corte
territoriale ha omesso di motivare in ordine alla possibilità di applicare la disciplina della
continuazione tra i reati oggetto del presente procedimento e quelli ritenuti sussistenti,
nell'ambito del processo denominato "Paolo VI", dalla sentenza irrevocabile della Corte
d'appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in data 15 marzo 2003, avuto riguardo alla
omogeneità dei rispettivi capi d'imputazione, alla contiguità temporale, all'ambiente di
operatività e ad ogni altro elemento che converge per la unicità della illecita determinazione.
4.26. SANTOVITO GIUSEPPE
In primo grado veniva condannato per i reati ascrittigli ai capi B) e D-D97) - esclusa
l'aggravante di cui all'art. 80 ed in concorso di attenuanti generiche prevalenti sulle residue
aggravanti, unificati i reati ex art. 81 c.p. ed esclusa la continuazione con i fatti di cui alla
sentenza del Tribunale di Taranto del 14 novembre 2000 - alla pena di anni undici e mesi sei di
reclusione.
Nei motivi di impugnazione chiedeva di essere assolto perché il fatto non sussiste, ed in
subordine la riduzione, per le attenuanti generiche prevalenti (già concesse), di un terzo della
pena e, comunque, una congrua riduzione della stessa.
In sede di gravame l'imputato rinunciava a tutti i motivi di impugnazione, esclusi quelli
concernenti l'entità della pena.
La Corte d'appello ha ritenuto equa ed adeguata alla gravità dei fatti ed alla personalità
dell'imputato la pena di anni nove e mesi due di reclusione, così determinata: p.b. anni dieci
per il capo 8), ridotta di un terzo per l'art. 62- bis c.p.= anni sei e mesi otto, ed aumentata ad
anni otto e mesi undici per l'art. 7 della L. n.152/91, nonché di mesi tre per il reato di cui al
capo D-D95), ex art. 81 c.p.
Con ricorso per cessazione proposto il 7 ottobre 2011 nell'interesse di Santovito Giuseppe,
l'Avv. Giancarlo Catapano ha chiesto l'annullamento della su citata pronunzia della Corte
d'appello di Lecce, deducendo l'erronea applicazione dell'art. 606, lett. c), c.p.p., in quanto la
rinuncia ai motivi d'appello è stata formulata al fine di ottenere una riduzione della pena non
corrispondente nella sua entità a quanto richiesto all'atto della rinuncia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Preliminarmente, occorre esaminare talune censure il cui rilievo è comune alle posizioni
processuali di più ricorrenti, ovvero che investono, per la loro natura, questioni problematiche
fondamentali nell'ambito del presente procedimento.
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5.1. Il profilo di doglianza relativo all'errata applicazione dell'art. 190-bis c.p.p., ovvero
all'incostituzionalità della stessa norma per contrarietà agli artt. 3, 24 e 111 Cost., ed in
violazione dell'art. 6, par. 3, lett. d), C.E.D,U. poichè il Giudice di prime cure, con ordinanza
poi confermata in appello, ha disposto de plano la rinnovazione degli atti mediante lettura,
nonostante il parziale mutamento del collegio, senza alcun contraddittorio ed in assenza del
consenso delle parti (motivo, questo, dedotto nei ricorsi di Cianciaruso Cosimo, Cristallo
Francesco, De Luca Salvatore e Leone Pietro) - è da ritenere manifestamente infondato, in
quanto i Giudici di merito si sono fedelmente attenuti al quadro di principii al riguardo
delineato dalla S.C., secondo cui la disciplina dettata dall'art. 190-bis cod. proc. pen. (H quale
prevede che nei processi di criminalità organizzata e negli altri indicati dall'art. 51 c.p.p.,
comma 3 - bis, quando sia richiesto l'esame di un teste o di un soggetto indicato dall'art. 210
c.p.p. e costoro abbiano già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio o in altro
procedimento, l'esame venga ammesso solo se il giudice lo ritiene assolutamente necessario)
è applicabile anche nell'ipotesi in cui debba procedersi alla rinnovazione dell'istruzione
dibattimentale per sopravvenuto mutamento della persona del giudice (ex multis, v. Sez. 6, n.
2081, del 12/05/2010, dep. 03/06/2010, Rv. 247395).
E' altresì necessario soggiungere che questa S.C. ha ritenuto la manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale dell'art. 190-bis c.p.p., comma 1, per l'asserito contrasto
con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui, relativamente al procedimenti concernenti i reati di
cui all'art. 51 c.p.p., comma 3-bis, impone limiti all'ammissibilità dell'esame di testimoni o di
persone indicate nell'art. 210 c.p.p., che già abbiano reso precedenti dichiarazioni nel
contraddittorio tra le parti, atteso che il peculiare regime di lettura delle predette dichiarazioni
si giustifica per l'esigenza di prevenire l'usura delle fonti di prova - particolarmente pressante
in ragione delle peculiarità soggettive ed oggettive dei procedimenti in questione - e che si
tratta, pur sempre, di dichiarazioni provenienti da persona già debitamente esaminata e
controesaminata dal soggetto nei cui confronti saranno utilizzate (Sez. 6, n. 26119 del
09/05/2003, dep. 18/06/2003, Rv, 228301).
5.2. Parimenti inammissibile, in quanto manifestamente infondata, è da ritenere, inoltre, la
censura (sollevata nel ricorso proposto da De Luca Salvatore) in ordine alla pretesa violazione
di legge e conseguente nullità della sentenza con riferimento all'escussione dei testi Labrini,
Bono e Ferretti, perchè ausiliari del P.M. durante le indagini preliminari, veste che i testimoni
su indicati avrebbero assunto per averlo coadiuvato nel corso degli atti di indagine, mentre
venivano ascoltati i collaboratori di giustizia.
Anche sotto tale profilo, invero, deve rilevarsi come i Giudici di merito si siano pienamente
adeguati al consolidato insegnamento giurisprudenziale di questa S.C., ponendo in evidenza,
con motivazione ampiamente argomentata ed esente da vizi logico-giuridici, la regola secondo
cui dalla disposizione prevista dall'art. 197 c.p.p. non deriva una incompatibilità assoluta a
testimoniare per gli ufficiali ed agenti di P.G. che abbiano altresì svolto la funzione di ausiliari
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del P.M. nel procedimento, dovendo tale incompatibilità rimanere strettamente circoscritta
all'attività da costoro svolta nella redazione degli atti dì cui all'art. 373 c.p.p., mentre il divieto
In oggetto non si estende all'attività che gli stessi agenti di P.G. abbiano direttamente
compiuto nella loro funzione di polizia giudiziaria, in riferimento alla quale possono senz'altro
essere sentiti come testimoni (Sez. 6, n. 17880 del 27/03/2009, deo. 29/04/2009, Rv.
243523; Sez. 2, n. 36483 del 22/09/2011, deo. 10/10/2011, Rv. 251074; Sez. 5, n. 8816 del
05/06/1997, dep. 01/10/1997, Rv. 208707; Sez. 6, n. 6166 del 14/03/1995, dep. 27/05/1995,
Rv. 201825). Al riguardo, peraltro, i Giudici di merito hanno correttamente osservato che la
mera presenza in occasione dell'ascolto dei collaboratori di giustizia non implica, in via
automatica, l'assunzione, da parte degli ufficiali di P.G., che vi abbiano presenziato, della
qualità di ausiliari del P.M., in quanto la partecipazione agli interrogatori ben può inserirsi, e
normalmente si inserisce, nell'adempimento di compiti investigativi, soprattutto qualora si
tratti di ufficiali di P.G. che rivestono ruoli dirigenziali.
6. Esaminando ora, nel dettaglio, i profili di doglianza sollevati dai singoli ricorrenti, devono
ritenersi inammissibili, in quanto manifestamente infondati, sia pure per ragioni diverse come
si vedrà meglio più avanti, i ricorsi proposti da Albano Mario, Ancora Rodolfo, Caforio
Raffaele, Catapano Antonio, Catapano Cataido, Clanclaruso Salvatore, Cristallo
Francesco, De Luca Salvatore, Lluzzi Giuseppe, Marrone Giuseppe, Presicci Antonio e
Santovito Giuseppe (v., per l'illustrazione dei relativi motivi, quanto specificamente esposto,
supra, nei parr. 4. 2, 4.3, 4.4, 4.6, 4.7, 4.9, 4.11, 4.13, 4.17, 4.20, 4.24, 4.26).
6.1. Per quel che attiene alle posizioni, del tutto analoghe, di un primo gruppo di ricorrenti
(ossia,
Albano Mario, Ancora Rodolfo, Catapano Antonio, Catapano Cataldo,
Cianciaruso Salvatore, Liuzzi Giuseppe, Marrone Giuseppe, Presicci Antonio e
Santovito Giuseppe),
deve rilevarsi come gli stessi abbiano rinunziato ai motivi di
impugnazione, escluso quello concernente l'entità della pena.
La Corte di merito, dunque, aveva l'obbligo di motivare solo sul residuo profilo inerente alla
congruità del trattamento sanzionatorio, obbligo, questo, che per ciascuno dei su indicati
ricorrenti è stato assolto con congrua motivazione, avendo la stessa offerto, al riguardo, piena
giustificazione della decisione cui pervenuta.
L'ambito di cognizione attribuito al Giudice di secondo grado, infatti, è limitato, in forza della
previsione di cui all'art. 597, comma 1, c.p.p., ai punti della decisione ai quali si riferiscono i
motivi proposti (Sez. 2, n. 16023 del 22/03/2012, dep. 27/04/2012; Sez. 1, n. 239
dell'11/02/1997, dep. 12/03/1997, Rv. 207177).
A tale proposito, del resto, è stato più volte affermato, in questa Sede, il principio secondo cui
la determinazione della misura della pena tra il minimo ed il massimo editale rientra nell'ampio
potere discrezionale del Giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche attraverso
l'adozione di una sintetica formula di valutazione degli elementi indicati dall'art. 133 c.p. (Sez.
41
4, n. 41702 del 20/09/2004, dep. 26/10/2004, Rv. 230278; Sez. 6, n. 912 del 02/07/1998,
dep. 04/08/1998, Rv. 211583).
Ne, peraltro, i ricorrenti hanno opposto, in relazione a tali valutazioni di merito, come tali
Insindac.abill in questa Sede, censure connotate dagli indispensabili tratti di specificità,
pertinenza e decisività, sì da determinare la disarticolazione del ragionamento posto alla base
dell'impianto motivazionale dell'impugnata pronuncia.
Sotto altro profilo, inoltre, deve osservarsi come i rilievi concernenti la mancata applicazione
del criterio di prevalenza nella concessione delle attenuanti generiche (Marrone Giuseppe), il
riconoscimento dell'aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 7 del D.L. n. 152/1991
(Catapano Antonio), ovvero l'erronea applicazione ed il vizio di motivazione in ordine al
riconoscimento del vincolo della continuazione (Catapano Cataldo e Cianciaruso Salvatore),
non possano di per sè ritenersi genericamente compresi nel motivo di appello concernente
l'entità della pena, atteso che i relativi profili di doglianza postulano l'accertamento di ben
determinate condizioni di applicabilità e di specifici presupposti di fatto da parte del Giudice di
merito (arg. ex Sez. 4, n. 1482 del 07/11/1989, deo. 02/02/1990, Rv. 183196).
Occorre considerare, infine, che l'inammissibilità del ricorso per cessazione, dovuta alla
manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, ogni possibilità di rilevare e dichiarare d'ufficio la presenza
di eventuali cause di estinzione del reato per intervenuta prescrizione (Sez. Un., n. 32 del
22/11/2000, dea. 21/12/2000, Rv. 217266; Sez. Un., n. 23428 del 22/03/2005, dep.
22/06/2005, Rv. 231164; da ultimo, v. Sez. 3, n. 42839 del 08/10/2009, dep. 10/11/2009,
Rv. 244999).
6.2. Per quel che attiene, Inoltre, alle posizioni dei ricorrenti
Caforlo Raffaele, Cristallo
Francesco e De Luca Salvatore, deve rilevarsi come le censure dagli stessi prospettate non
siano consentite in questa Sede, investendo per lo più una serie di aspetti inerenti alla
valutazione della prova, che rientra nella facoltà esclusiva del Giudice di merito e non può
esser posta in questione nel giudizio di legittimità quando il relativo apprezzamento sia fondato
su una motivazione congrua e non manifestamente illogica.
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha provveduto ad esaminare analiticamente le posizioni
dei ricorrenti sopra Indicati, ponendo in evidenza, tra l'altro:
a) con riferimento a Caforio Raffaele, la sua continuativa attività di spaccio e di partecipazione
all'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti facente capo al Cesario ed al
Martera, anche alla stregua dei numerosi riscontri probatori evidenziati dal Giudice di primo
grado, ed emergenti dalle dichiarazioni, ritenute attendibili in quanto convergenti, coerenti e
non contraddittorie, rese da numerosi collaboratori di giustizia, ed in particolare da Cesario
Vincenzo, Martera Luigi, D'Ancona Cosimo, Pichierri Alfonso, Catapano Vincenzo, Di
Bari
Francesco, Appeso Luigi, Perelli Stefano e Mappa Osvaldo, tutti concordi nel riferire dell'attività
di spaccio svolta dal Caforio per conto dell'organizzazione facente capo al gruppo "Cesario42
Martera-Cianciaruso", approvvigionandosi talvolta anche da referenti esterni di Massafra (da
cui prendeva un chilo di droga alla volta, come indicato da D'Ancona Cosimo), circostanza,
questa, che aveva determinato inizialmente Riccardo Mode° a stabilire che egli dovesse essere
eliminato, salvo poi revocare tale ordine a seguito dell'intervento di Cesario Vincenzo, il quale
aveva evidenziato la parentela con i Modeo e, ammonito il Caforio Raffaele, lo aveva indotto a
rifornirsi soltanto da lui, in quantitativi variabili dai 50 ai 100 gr. di eroina per volta, sempre al
prezzo di £.140.000 al grammo;
b) con riferimento a Cristallo Francesco, i numerosi elementi di prova emergenti a suo carico
dalle plurime e convergenti dichiarazioni accusatorie provenienti dal collaboratori di giustizia,
ed in particolare da Cesario Vincenzo - di cui l'imputato era diventato intimo amico ed autista
in un periodo nel quale il Cesario temeva l'organizzazione di attentati da parte di Cianciaruso
Cosimo, che intendeva soppiantarlo nell'ambito associativo per quanto concerne l'attività di
spaccio - nonché da Martera Luigi, D'Ancona Cosimo e Coda Salvatore, dal cui contenuto si
desume chiaramente non solo lo svolgimento delle mansioni di autista, ma anche di ben più
rilevanti e delicati compiti, riguardanti l'assunzione della fittizia titolarità di beni appartenenti al
Cesario, l'agevolazione della sua latitanza e l'espletamento di funzioni di intermediario tra lo
stesso ed i trafficanti (di armi e droga) che intendevano contattarlo durante quel periodo,
nonché l'occultamento e la custodia per suo conto di armi e sostanze stupefacenti, tanto che,
in ragione degli intensi vincoli di amicizia creatisi fra loro, il Cristallo gli aveva messo a
disposizione, per le finalità indicate, la cappella cimiteriale della propria famiglia, e per tali
servigi, nonché per lo svolgimento delle mansioni di autista, egli veniva retribuito con una paga
mensile dell'importo pari alla somma di 3 - 4.000.000 di lire;
c) con riferimento a De Luca Salvatore
(cui sono stati contestati, al capo 13, i reati di
ricettazione, detenzione e porto di due mitra di fabbricazione cinese con caricatore circolare,
ceduti da tale Galeone Antonio a Cesario Vincenzo, il quale poi li consegnava al fratello Cesario
Cosimo ed allo stesso De Luca Salvatore), le dettagliate dichiarazioni rese da Cesario Vincenzo
in merito alla disponibilità di tali armi dalle caratteristiche molto particolari, occultate nel
quartiere "Paolo VI", una delle quali successivamente venne acquistata da De Luca Salvatore al
prezzo di E. 2.000.000, mentre l'altra arma fu trattenuta per sé ed in seguito rinvenuta dalle
forze dell'ordine nel vano ascensore di uno stabile del predetto quartiere; dichiarazioni,
peraltro, confermate anche da altri collaboratori di giustizia, quali Martera Luigi, che ne ha
offerto anche una circostanziata descrizione, D'Ancona Cosimo e Mappa Osvaldo.
Con specifico riguardo alle censure proposte dai ricorrenti or ora menzionati, dunque, il tessuto
motivazionale della sentenza impugnata non presenta quelle carenze o macroscopiche illogicità
nel ragionamento che, alla stregua dei principii affermati da questa Suprema Corte, possano
indurre a ritenere sussistente il vizio di cui
all'art. 606, lett. e), c.p.p., nel quale
sostanzialmente si risolvono i motivi di doglianza nel loro interesse formulati. Al fini della
valutazione della congruità della motivazione dell'impugnato provvedimento, d'altra parte,
occorre fare riferimento alle conformi sentenze di primo e di secondo grado, il cui contenuto si
43
Integra vicendevolmente, confluendo in un risultato organico ed inscindibile (Sez. 4, n. 15227
dei 14/02/2008, dep. 11/04/2008, Rv. 239735).
L'impugnata pronuncia, invero, fa buon governo della legge penale e riposa su un apparato
argomentativo che, in stretta aderenza alle emergenze probatorie, dà conto, secondo schemi
espositivi del tutto congrui ed esenti da vizi logici, delle ragioni che giustificano la conclusione
cui essa perviene, rispondendo puntualmente ai rilievi dalla difesa formulati. Peraltro, non può
costituire vizio deducibile in sede di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i
ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali, non rientrando nei poteri di
questa Corte quello di compiere, come sostanzialmente si richiede, una "rilettura" degli
elementi di fatto posti a fondamento della pronuncia impugnata, essendo il sindacato di
legittimità circoscritto alla verifica dell'esistenza di una logica base argomentativa in grado di
sorreggere i vari punti della decisione (Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, dep. 23/06/2006, Rv.
234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, dep. 28/12/2006, Rv. 235507).
In particolare, sulla base di quanto or ora esposto ed osservato, deve rilevarsi come la Corte
d'appello, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, abbia valutato con rigore
l'intrinseca attendibilità dei vari collaboratori di giustizia e la specifica convergenza dei riscontri
di volta in volta individuati in relazione alle chiamate in correità dagli stessi effettuate,
richiamando a tal fine le conformi valutazioni già espresse dal Giudice di prime cure ed
illustrando con congrua motivazione, per quel che attiene specificamente alla posizione del De
Luca Salvatore, le ragioni per cui rappresenti solo una lieve discrasia, incapace di disarticolare
la complessiva credibilità della narrazione del Cesario Vincenzo, la circostanza che nell'ambito
di un altro processo egli avesse dichiarato di aver ceduto la mitraglietta al De Luca a mezzo del
Martera Antonio.
Nell'impugnata pronunzia, inoltre, la Corte d'appello ha correttamente respinto i motivi di
doglianza relativi all'errata applicazione dell'art. 190-bis c.p.p. (dedotti dal Cristallo e dal De
Luca) ed alla pretesa violazione di legge e conseguente nullità della sentenza (dedotto dal solo
De Luca) con riferimento all'escussione dei testi Labrini, Bono e Ferretti (su tali censure si
richiama quanto già osservato, supra, nei parr. 5.1. e 5.2.).
I rilievi svolti dal De Luca in ordine al riconoscimento della continuazione tra il procedimento de
qua ed il procedimento cd. "Ellesponto" si traducono in allegazioni di mero fatto, con le quali
viene sostanzialmente censurato l'esercizio del potere discrezionale del Giudice di merito,
invero adeguatamente motivato sulle ragioni per cui non possa riconoscersi in concreto
l'espressione di un medesimo, iniziale disegno criminoso, tra i reati oggetto dei su richiamati
procedimenti penali.
Per quel che attiene, infine, all'ultimo motivo di ricorso dal De Luca prospettato [ed illustrato,
supra, nel par. 4.13, lett. en, deve ribadirsi che l'inammissibilità del ricorso per cessazione,
dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente Il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, ogni possibilità di rilevare e dichiarare d'ufficio la presenza
di eventuali cause di estinzione del reato per intervenuta prescrizione (Sez. Un., n. 32 del
44
22/11/2000, dep. 21/12/2000, Rv. 217266; Sez. Un., n. 23428 del 22/03/2005, dep.
22/06/2005, Rv. 231164; da ultimo, v. Sez. 3, n. 42839 del 08/10/2009, dep. 10/11/2009,
Rv. 244999).
7. Infondate devono ritenersi, poi, le censure di carenza, ovvero illogicità e contraddittorietà
della motivazione, prospettate nel ricorso di Leone Pietro (v., per l'illustrazione dei relativi
motivi, quanto specificamente esposto, supra, nel par. 4.16).
Sui punti critici evidenziati, invero, la Corte distrettuale ha già dato esauriente risposta, con
argomentazioni logiche, pienamente in linea con le risultanze processuali ed in nessun modo
censurabili sotto il profilo della congruità, ponendo in evidenza, per quel che attiene al reato di
cui al capo sub 3), che una fornitura di sostanza stupefacente del tipo hashish di rilevante
entità venne ricevuta dal Cesario Vincenzo, per conto dello stesso occultata nella località
balneare denominata "Lido Azzurro" ad opera di Leone Pietro e quindi successivamente
distribuita agli spacciatori tarantini attivi nell'attività di vendita al minuto della predetta
sostanza.
Al riguardo, le dichiarazioni rese dal Cesario sono state ritenute pienamente attendibili dalla
Corte distrettuale, che ne ha motivatamente escluso ogni discrasia sul piano temporale, ovvero
in relazione a particolari giudicati insignificanti ai fini della complessiva credibilità della
narrazione. Siffatta fonte dichiarativa, inoltre, ha ricevuto plurimi elementi di riscontro dalla
disamina delle convergenti dichiarazioni rese dal Martera Luigi in relazione ad aspetti
determinanti della vicenda, il cui rilievo è stato specificamente analizzato e posto in evidenza
nella motivazione dell'impugnata decisione: 1) l'acquisto da parte del Cesario di un ingente
quantitativo di sostanza stupefacente dei tipo hashish; 2) il trasporto ed il successivo
occultamento della droga nella predetta località balneare; 3) Il coinvolgimento nello specifico
episodio criminoso, oltre che del Cesario Vincenzo e dei Martera Antonio, quali responsabili del
traffico di sostanze stupefacenti facente capo all'associazione, di Leone Pietro e Chiochia
Cataldo (il primo, in particolare, incaricato dell'occultamento e della vigilanza della droga); 4)
la successiva distribuzione della sostanza agli spacciatori dediti alla vendita ed allo spaccio di
hashish, tra cui Fago Lino (Fago Angelo) e Pinuccio Catapano (Catapano Giuseppe).
Ulteriori elementi di riscontro, peraltro, sono stati acquisiti, in ordine a tale ultimo profilo della
vicenda, dalle dichiarazioni rese dai collaboratori Catapano Vincenzo e Pichierri Alfonso.
Congruamente motivato, inoltre, deve ritenersi l'iter motivazionale dell'impugnata pronunzia
anche in relazione al capo sub 50) dell'imputazione, attinente ad un'estorsione posta in essere
in danno del contrabbandiere Cricchio Michele, impegnatosi a versare al gruppo CianciarusoMartera la somma di 5 milioni di lire, a seguito di una riunione cui egli stesso partecipò,
unitamente a diverse altre persone, fra le quali, in particolare, il Martera Luigi e lo stesso
Pietro Leone.
Al riguardo, le censure mosse dal ricorrente sono state formulate in termini del tutto generici,
laddove la Corte distrettuale, con argomentazioni congrue e pienamente rispondenti alle
45
risultanze processuali, ha posto in evidenza come le dettagliate dichiarazioni rese dal Martera
Luigi abbiano trovato numerosi elementi di riscontro esterno, segnatamente nelle dichiarazioni
del Cesario Vincenzo, offrendo altresì un'adeguata spiegazione delle ragioni delle reticenti
dichiarazioni sul punto rese dalla persona offesa.
Anche i rilievi difensivi concernenti i passaggi motivazionali relativi alla trattazione dell'episodio
delittuoso contestato al capo sub 68) - inerente all'attentato dinamitardo ed al conseguente
danneggiamento che venne consumato nella notte del 18 dicembre 1991 in danno di Palazzo
Latagliata - vengono prospettati in termini del tutto generici e senza sviluppare un necessario
confronto critico rispetto alle linee portanti del ragionamento probatorio al riguardo delineato
dal conforme impianto motivazionale delle pronunce dei Giudici di primo e secondo grado.
Siffatte doglianze, invero, si risolvono in non consentite censure di merito, con le quali
sostanzialmente si richiedono a questa Corte inammissibili ricostruzioni alternative dei fatti, a
fronte di un assetto motivazionale che non può ritenersi, sotto alcun profilo, illogicamente
strutturato, o carente, ovvero connotato da elementi di contraddittorietà.
La Corte d'appello, richiamandosi alle conformi valutazioni già compiutamente espresse nella
pronuncia di primo grado, ha posto in evidenza le dettagliate dichiarazioni accusatorie rese dal
Martera Luigi, il quale ebbe a riferire che l'esecutore materiale del delitto fu Pietro Leone, al
quale il fratello Martera Antonio consegnò l'ordigno esplosivo da collocare presso quel Palazzo,
all'epoca sede degli Uffici comunali e luogo di lavoro della vittima predestinata (un dipendente
comunale che aveva intrecciato una relazione sentimentale con la convivente di uno dei più
attivi spacciatori del gruppo). Ha inoltre precisato, con esposizione congruamente
argomentata, priva di vizi logici ed attenta alle deduzioni difensive, la causale dell'azione
delittuosa, le ragioni della ritenuta attendibilità delle dichiarazioni del Martera Luigi
(individuandone peraltro i necessari riscontri) e le motivazioni della scelta del Leone per la
concreta realizzazione dell'attentato, abitando egli nelle immediate vicinanze di quel palazzo,
con la conseguenza che avrebbe potuto comodamente innescare l'ordigno e subito dopo
rifugiarsi presso la propria abitazione, senza farsi scoprire.
L'infondatezza del residuo profilo di doglianza dal ricorrente sollevato, relativamente all'errata
applicazione dell'art. 190-bis c.p.p., è già stata evidenziata, supra, nel par. 5,2., e le
considerazioni ivi espresse devono pertanto essere richiamate anche in questa sede.
Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, il ricorso del Leone deve,
pertanto, essere rigettato.
8. Parzialmente fondati, limitatamente al diniego della continuazione, devono ritenersi i motivi
di ricorso proposti da De Florio Cataido, Micoli Orlando, Panariti Giovanni e Romanazzi
Cosimo (v., per l'illustrazione dei relativi motivi, quanto specificamente esposto, supra, nei
parr. 4.12, 4.18, 4.21, 4.25), i quali hanno rinunciato a tutti i motivi di impugnazione, esclusi
quelli concernenti l'entità della pena ed il riconoscimento del vincolo della continuazione con i
46
reati oggetto della sentenza irrevocabile pronunziata dalla Corte di assise di appello di Taranto
Il 15 marzo 2003.
Sotto tale ultimo profilo, invero, deve rilevarsi come le scarne sequenze motivazionali
dell'impugnata pronuncia appaiano apoditticamente scandite e non consentano di individuare
le ragioni giustificatrici della soluzione adottata, ricorrendo all'utilizzo di mere formule di stile,
senza dar conto dei criteri di valutazione impiegati per escludere la sussistenza del vincolo
della continuazione con i reati oggetto della sentenza sopra richiamata.
Al riguardo, questa Suprema Corte ha enunciato il principio secondo cui l'identità del disegno
criminoso è apprezzabile sulla base di un complesso di elementi costituiti: a) dalla distanza
cronologica tra i fatti; b) dalle modalità della condotta; c) dalla tipologia dei reati; d) dal bene
tutelato; e) dalla omogeneità delle violazioni; f) dalla causale e dalle condizioni di tempo e di
luogo, anche (soltanto) attraverso la constatazione di alcuni di tali elementi, purché ritenuti
significativi (Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, dep. 02/12/2008, Rv. 242098; Sez. 1, n. 1587
del 01/03/2000, dep. 20/04/2000, Rv. 215937).
A tale complesso di criteri, dunque, il Giudice di merito dovrà attenersi per accertare se
sussista o meno la preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni, tenendo altresì
conto del fatto che, in tema di continuazione, l'analogia dei singoli reati, l'unitarietà del
contesto, l'identità della spinta a delinquere, e la brevità del lasso temporale che separa i
diversi episodi, singolarmente considerate, non costituiscono indizi necessari di una
programmazione e deliberazione unitaria, anche se ciascuno di questi fattori, aggiunto ad un
altro, incrementa la possibilità dell'accertamento dell'esistenza di un medesimo disegno
criminoso, in proporzione logica corrispondente all'aumento delle circostanze indiziarie
favorevoli (Sez. 1, n. 12905 del 17/03/2010, dep. 07/04/2010, Rv. 246838),
Discende, da quanto or ora esposto, che la sentenza impugnata deve essere annullata nei
confronti dei predetti ricorrenti, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce, per
un nuovo esame limitatamente al profilo su indicato, mentre i relativi ricorsi vanno rigettati per
quei che attiene ai residui motivi di doglianza, dovendosi richiamare, al riguardo, le medesime
ragioni già evidenziate,
supra,
nel par. 6.1., stante l'intervenuta rinuncia ai motivi
d'impugnazione.
9. Parimenti fondati devono ritenersi, fatta eccezione per il quarto profilo di doglianza, i motivi
di ricorso dedotti da Aiello Francesco (v. la relativa sintesi esposta, supra, nel par. 4.1),
apparendo le argomentazioni dalla Corte territoriale sviluppate nell'impugnata pronunzia dei
tutto carenti riguardo alla contestata appartenenza dell'imputato alle associazioni criminose di
cui ai capi sub A) e B), nonché in ordine all'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 7 del D.L.
n. 152/1991.
La Corte d'appello, infatti, ha omesso di enunciare le ragioni specifiche per cui ha ritenuto di
condividere integralmente le argomentazioni utilizzate dal Giudice di primo grado sulla
partecipazione dell'imputato alle associazioni sopra indicate, non offrendo adeguata risposta
47
alle censure difensive dedotte in appello con particolare riguardo all'individuazione del ruolo
svolto dall'imputato nell'ambito delle contestate realtà associative e degli elementi indicativi
della sussistenza della predetta aggravante ad effetto speciale (a lui contestata con riferimento
al capo sub B).
E' noto, sotto tale profilo, il principio secondo cui la possibilità di procedere all'integrazione
delle sentenze di primo e secondo grado, così da farle confluire in un prodotto unico cui il
Giudice di legittimità deve fare riferimento, richiede che le due decisioni abbiano utilizzato
criteri omogenei e seguito un apparato logico -argomentativo uniforme; in assenza di tali
condizioni, di contro, non è possibile integrare le argomentazioni della Corte di appello con
quelle adottate dalla motivazione della sentenza di primo grado, ed eventuali carenze della
seconda decisione in ordine alle censure contenute nell'atto d'impugnazione non sono
superabili mediante Il richiamo agli argomenti adottati dalla prima sentenza (Sez. 3, n. 10163
del 01/02/2002, dep. 12/03/2002, Rv. 221116; v., inoltre, Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011,
dep. 12/04/2012, Rv. 252615).
9.1.
L'iter argomentativo seguito nell'impugnata pronuncia mostra di valorizzare le
dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia Cesario Vincenzo, Martera Luigi e
D'Ancona Cosimo, senza tuttavia esplicitare il quadro dei necessari riscontri di portata
individualizzante a carico dell'Aiello (se non ricorrendo ad un elemento "neutro", quale quello
offerto dai controlli di polizia sulla frequentazione con altri spacciatori del gruppo Cesario o
appartenenti al clan Modeo), lasciando così in ombra l'elemento essenziale
dell'affectio
societatis con i vari sodali, il cui accertamento appare tanto più necessario ove si consideri che
nel caso di specie non è stata contestata al ricorrente la commissione di reati-fine.
Deve osservarsi, al riguardo, che se è vero che l'elemento oggettivo del reato di associazione
finalizzata al traffico di stupefacenti prescinde dal numero di volte in cui il singolo partecipante
ha personalmente provveduto allo spaccio, per cui anche il coinvolgimento in un solo episodio
di cessione di droga non è incompatibile con l'affermata partecipazione dell'agente
all'organizzazione (Sez. 4, n. 45128 del 11/11/2008, dep. 04/12/2008, Rv. 241927), è pur
vero che occorre un'adeguata motivazione sulla condotta di partecipazione dell'imputato al
reato associativo e sul ruolo da lui stabilmente svolto all'interno dell'organizzazione (Sez. 6, n.
6867 del 14/01/2008, dep. 13/02/2008, Rv. 239670; Sez. 5, n. 9457 del 24/09/1997, dep.
22/10/1997, Rv. 209073), tenendo conto del fatto che la partecipazione al reato di
associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti va desunta da una serie di
condotte significative che, complessivamente valutate, denotino l'organico inserimento in una
struttura criminosa (accertamento, questo, che deve essere particolarmente rigoroso quando
la prova dell'accordo sia desunta da condotte svolte nell'ambito di un solo episodio criminoso,
ovvero da comportamenti che possono anche essere il frutto di un aiuto episodico od
occasionale).
48
Il vincolo associativo, inoltre, può essere ravvisato anche tra il fornitore e il venditore al
minuto, qualora l'attività di quest'ultimo sia realizzata avvalendosi consapevolmente delle
risorse dell'organizzazione con la coscienza di farne parte, ma deve escludersi che possa
essere desunto automaticamente da una serie di operazioni, anche frequenti, di compravendita
delle sostanze illecite concluse tra le stesse persone, in quanto è necessario che gli acquirenti
agiscano con la volontà e consapevolezza di operare in qualità di aderenti ad una
organizzazione criminale e nell'interesse della stessa (Sez. 6, n. 23798 del 07/04/2003, dep.
29/05/2003, Rv. 225682; Sez. 6, n. 44102 del 21/10/2008, dep. 26/11/2008, Rv. 242397),
dovendo siffatte condotte, per le loro connotazioni, essere in grado di attestare, al di là di ogni
ragionevole dubbio e secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico della persona,
funzionale all'associazione e alle sue dinamiche operative e di crescita criminale (Sez. 6, n.
44102 dei 21/10/2008, dep. 26/11/2008, Rv. 242397).
9.2. Per quel che attiene, poi, ai criteri necessari per ritenere configurabile l'aggravante di cui
all'art. 7 del D.L. n. 152/1991, convertito in legge 12 luglio 1991 n.
203 (ossia, l'aver
commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis cod. pen. ovvero al fine
di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo), occorre considerare che
non è sufficiente il mero collegamento con contesti di criminalità organizzata o la "caratura
mafiosa" degli autori del fatto, occorrendo, invece, l'effettivo utilizzo del metodo mafioso
nell'occasione delittuosa (da ultimo, v. Sez. 6, n. 27666 del 04/07/2011, dep. 14/07/2011, Rv.
250357).
9.3. Infondato, di contro, deve ritenersi il quarto motivo di doglianza, incentrato sull'omesso
assorbimento del reato di cui all'art. 74 del D.P.R. n. 309/1990 in quello di cui all'art. 416-bis
c.p., ove si consideri che lo stesso, peraltro solo genericamente prospettato, non tiene conto
del fatto che i reati di associazione di tipo mafioso e di associazione per delinquere finalizzata
al traffico di sostanze stupefacenti possono concorrere formalmente per la diversità dei beni
giuridici tutelati - rispettivamente l'ordine pubblico messo in pericolo dalle situazioni di
assoggettamento e di omertà, e la salute individuale e collettiva, minacciata dalla diffusione
dello spaccio di sostanze stupefacenti - con la conseguenza che uno stesso soggetto ben può
far parte della struttura associativa impegnata nel traffico di stupefacenti senza avvalersi del
cosiddetto metodo mafioso (Sez. 1, n. 17702 dei 21/01/2010, dep. 10/05/2010, Rv. 247059;
Sez. U, n. 1149 del 25/09/2008, dep. 13/01/2009, Rv. 241883; Sez. 4, n. 12349 del
29/01/2008, dep. 20/03/2008, Rv. 239298).
9.4. Conclusivamente deve ritenersi, pertanto, che i motivi di ricorso proposti nell'interesse
dell'Aiello sono fondati (fatta eccezione, come si è visto, per il quarto motivo) ed impongono
l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza ad un'altra Sezione della Corte d'appello di
Lecce, affinchè proceda, nel rispetto dei principii e dei criteri dianzi indicati, ad un nuovo
esame che rivaluti le note modali della condotta, dando conto, con congrua motivazione sui
49
punti sopra evidenziati, della sussistenza degli elementi costitutivi dei reati associativi al
ricorrente attribuiti.
10. Il ricorso di Caforio Rodolfo (v., per l'illustrazione dei relativi motivi, quanto
specificamente esposto,
supra,
nel par. 4.5.) è fondato limitatamente all'applicazione
dell'aggravante ex art. 7 della L. n. 203/91 ascrittagli In relazione ai reati di cui ai capi sub
B), C) e D-D21 - non emergendo dall'iter motivazionale dell'impugnata pronuncia, se non
attraverso affermazioni del tutto generiche, le ragioni giustificative dei percorso decisorio
tracciato dalla Corte territoriale, avuto riguardo, in particolare, al fatto che il ricorrente è stato
assolto in primo grado dall'accusa di partecipazione al reato di associazione per delinquere di
stampo mafioso di cui all'art. 416-bis c.p. .
Si è già osservato, del resto, e deve anche in tal caso ribadirsi, che la possibilità di procedere
all'integrazione delle sentenze di primo e secondo grado, così da farle confluire in un prodotto
unico cui il Giudice di legittimità deve fare riferimento, richiede che le due decisioni abbiano
utilizzato criteri omogenei e seguito un apparato logico-argomentativo uniforme; in assenza di
tali condizioni, di contro, non è possibile integrare le argomentazioni della Corte di appello con
quelle adottate dalla motivazione della sentenza di primo grado, ed eventuali carenze della
seconda decisione in ordine alle censure contenute nell'atto d'impugnazione non sono
superabili mediante il richiamo agli argomenti adottati dalla prima sentenza (Sez. 3, n. 10163
del 01/02/2002, dep. 12/03/2002, Rv. 221116; v., inoltre, Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011,
dep. 12/04/2012, Rv. 252615).
10.1. In relazione allo specifico profilo problematico sopra evidenziato, appare altresì
necessario ribadire l'insegnamento giurisprudenziale, ormai da tempo delineato da questa
Suprema Corte, secondo cui, ai fini della configurabilità della su indicata circostanza
aggravante ad effetto speciale (ossia, l'aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni
previste dall'art. 416-bis cod. peri., ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni
previste dallo stesso articolo), non è sufficiente il mero collegamento con contesti di criminalità
organizzata, ovvero la "caratura mafiosa" degli autori del fatto, ma deve ritenersi necessario,
invece, l'effettivo utilizzo del metodo mafioso nell'occasione delittuosa (Sez. 6,
n. 27666 del
04/07/2011, dep. 14/07/2011, Rv. 250357; Sez. 6, n. 26326, del 26 aprile 2007, dep. 6 luglio
2007, Rv. 236861). Dal quadro dei principii di diritto fissati da questa Suprema Corte, inoltre,
risulta chiaramente posto in evidenza: a) che la tipicità dell'atto intimidatorio è ricollegabile
non già alla natura ed alle caratteristiche dell'atto violento in sè considerato, bensì al metodo
utilizzato, nel senso che la violenza con cui esso è compiuto risulti concretamente collegata alla
forza intimidatrice del vincolo associativo (Sez. 6, n. 30246 del 17/05/2002, dep. 05/09/2002,
Rv. 222427); b) che la rappresentazione del potere del gruppo criminale deve porre
concretamente la vittima in condizioni di soggezione (Sez. 2, n. 47414 del 29/10/2003, dep.
50
10/12/2003, Rv. 227583; v., inoltre, in motivazione, Sez. 1, n. 5783 del 22/01/2010, dep.
12/02/2010, Rv.. 246626).
10.2. A diverse conclusioni, di contro, deve giungersi in relazione al giudizio di responsabilità
espresso con riguardo ai reati di cui ai capi sub B), C) e D-D21, avendo la Corte territoriale
valorizzato, con un discorso giustificativo del tutto congruo e logicamente argomentato, le
convergenti dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia escussi in primo grado, quali
Caforio Vincenzo, Martera Luigi, Pichlerri Alfonso, Di Bari Cosimo, Ventrella Leonardo (anch'egli
appartenente al clan Di Bari), Perelli Stefano, Mappa Osvaldo, Coda Salvatore e Martinese
Saverio, che hanno riferito in ordine alla continuativa attività di spaccio svolta dall'imputato
nell'ambito del vincolo associativo contratto prima con i fratelli Di Bari e, poi, con il 'clan"
Cianciaruso-Martera, dichiarazioni, peraltro, riscontrate anche ab extemo dagli accertamenti di
P.G., che hanno evidenziato gli stretti rapporti intercorrenti tra l'imputato e gli appartenenti al
predetto gruppo, finalizzati all'attività di spaccio e posti in essere con la chiara consapevolezza
del vincolo di appartenenza all'associazione criminosa contestata. Dall'iter motivazionale
dell'impugnata pronunzia emerge, inoltre, a fronte di un quadro di censure solo genericamente
prospettato in ricorso, congrua giustificazione del tipo di contributo fornito dal Caforio
all'associazione facente capo al Cesario Vincenzo, avendo egli assicurato una stabile rete di
spacciatori al minuto in relazione a tutti i tipi di sostanze stupefacenti trattate, ponendosi in
rapporto di sostanziale continuità con l'attività di spaccio dallo stesso esercitata, dal '93 in poi,
per conto del clan Perelli.
10.3. L'impugnata pronuncia, in definitiva, fa buon governo della legge penale e riposa su un
apparato argomentativo che, in stretta aderenza alle emergenze probatorie, dà conto, secondo
schemi espositivi del tutto congrui ed esenti da vizi logici, delle ragioni che giustificano la
conclusione cui essa perviene, rispondendo puntualmente ai rilievi dalla difesa formulati.
Peraltro, non può costituire vizio deducibile in sede di legittimità la mera prospettazione di una
diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali, non rientrando
nei poteri di questa Corte quello di compiere, come sostanzialmente si richiede, una "rilettura"
degli elementi di fatto posti a fondamento della pronuncia impugnata, essendo il sindacato di
legittimità circoscritto alla verifica dell'esistenza di una logica base argomentativa in grado di
sorreggere i vari punti della decisione (Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, dep. 23/06/2006, Rv.
234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, dep. 28/12/2006, Rv, 235507).
10.4. Da quanto or ora esposto discende l'annullamento della sentenza impugnata nei
confronti del predetto ricorrente, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce, che
provvederà ad un nuovo esame limitatamente al profilo su indicato, mentre il relativo ricorso
deve essere rigettato per quel che attiene al residuo motivo di doglianza.
11. Anche il ricorso proposto da Perelii Adriano (v., per l'illustrazione dei relativi motivi,
quanto specificamente esposto, supra, nel par. 4.22) deve ritenersi parzialmente fondato,
51
limitatamente al primo motivo inerente al denunciato difetto di motivazione sull'entità della
pena, ove si consideri che l'iter argomentativo dell'impugnata pronuncia ha del tutto omesso di
esplicitare il procedimento di determinazione della pena irrogata ai ricorrente (condannato in
secondo grado per i soli reati di detenzione e cessione di stupefacenti di cui ai capi sub D e D79, previa declaratoria di improcedibilità dell'azione penale in ordine al reato di cui all'art. 74
del D.P.R. n. 309/1990).
Siffatta carenza motivazionale, in particolare, non consente di ricostruire le modalità di
computo e quantificazione del trattamento sanzionatorlo irrogato, sia trascurando di indicare
l'entità della pena base, sia omettendo di precisare quale sia stata la disciplina in concreto
applicata, in conseguenza della modifica introdotta dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, tenuto
conto del principio di diritto, in questa Sede più volte affermato, secondo cui la possibilità
dell'applicazione di un trattamento sanzionatorio più favorevole per il reato di cui all'art. 73,
comma primo, del d.P.R. n. 309 del 1990, in conseguenza della modifica introdotta dalla
predetta novella legislativa, impone la piena rivalutazione di merito della pena inflitta, anche
nell'ipotesi in cui essa si discosti dal precedente minimo edittale (Sez. 6, n. 12707 del
24/02/2009, dep. 20/03/2009, Rv. 243685; Sez. 5, n. 4790 del 29/10/2010, dep. 09/02/2011,
Rv. 249782; Sez. 4, n. 23922 del 09/04/2009, dep. 10/06/2009, Rv. 244218).
11.1. Infondato, per contro, deve ritenersi il secondo motivo di doglianza, le cui ragioni sono
state prospettate solo in forma perplessa o alternativa (Sez. 6, n. 800 del 06/12/2011, dep.
12/01/2012, Rv. 251528; Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, dep. 23/08/2010, Rv. 248037).
11.2. Discende, da quanto or ora esposto, che la sentenza impugnata deve essere annullata
nei confronti del predetto ricorrente, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce,
per un nuovo esame limitatamente al profilo su indicato, mentre il relativo ricorso deve essere
rigettato per quel che attiene al residuo motivo di doglianza.
12. Devono ritenersi fondati, inoltre, i ricorsi proposti da La Gioia Luigi e La Gioia Raffaele
(v., per l'illustrazione dei relativi motivi, quanto specificamente esposto, supra, nei pari.. 4.14 e
4.15), ai quali è stato contestato (nel capo d'imputazione enucleato sub 21) di avere, in
concorso con Catapano Emanuele ed al fine di agevolare l'associazione "Cesario-MarteraCianciaruso", illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico ingenti quantitativi di esplosivo,
da loro utilizzato per la pesca di frodo, parte del quale, in diverse occasioni, cedevano a
Catapano Emanuele, per gli attentati dinamitardi eseguiti dal gruppo di Martera Luigi e
Cianciaruso Cosimo.
12.1. L'iter argomentativo al riguardo sviluppato nell'impugnata pronuncia appare del tutto
insufficiente nella individuazione dei necessari riscontri individualizzanti rispetto ai contenuto
(peraltro generico ed appreso de relato) delle dichiarazioni accusatorie rese dal Cesario
Vincenzo, il quale nel corso dell'udienza dibattimentale del 26 ottobre 2000 (il cui verbale è
stato allegato al ricorso), ha riferito, senza addurre tuttavia ulteriori precisazioni, che era uno
52
dei due fratelli a confezionare gli esplosivi, e che uno di essi si rese responsabile, assieme a
tale Catapano Emanuele, di un attentato dinamitardo a scopo estorsivo. Dal testo della
sentenza, inoltre, risulta che il Cesario ha dichiarato di essersi recato, in un'occasione, presso
l'abitazione di La Gioia Raffaele, che vi custodiva del tritolo con cui aveva confezionato ordigni
esplosivi per conto del gruppo Cianciaruso, ma le dichiarazioni rese dal Martera Luigi, da cui
egli avrebbe appreso alcune di queste informazioni, non sembrano offrire al riguardo elementi
certi di riscontro, avendo egli solo genericamente affermato che gli ordigni esplosivi utilizzati
per la commissione di attentati dinamitardi venivano commissionati a pescatori di frodo,
esperti nel loro confezionamento, senza riferirsi con precisione ad uno, ovvero ad entrambi
gli imputati. Né, peraltro, sembrano potersi trarre elementi specifici di riscontro dal rapporto di
affinità di uno dei La Gioia con il Catapano Emanuele, ovvero da sentenze di condanna
pronunziate nei loro confronti per altri fatti di reato, sia pure concernenti la detenzione di armi
e materiale esplosivo.
12.2. Deve al riguardo ribadirsi, alla stregua di un consolidato orientamento giurisprudenziale
delineato da questa Suprema Corte, che, ai fini della valutazione della chiamata in correità, le
dichiarazioni "de relato" rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un
procedimento connesso a norma dell'art. 12 cod. proc. pen., e non confermate dal soggetto
indicato come fonte di informazione, possono costituire un elemento indiziario idoneo a fondare
la dichiarazione di colpevolezza soltanto se confortate, ai sensi dell'ad 192, comma terzo, cod.
proc. pen., da riscontri estrinseci certi, univoci, specifici, individualizzanti, e tali da consentire
un collegamento diretto ed obiettivo con i fatti contestati e con la persona imputata. Ne
consegue che il riscontro ad una chiamata in reità o correità "de relato" non può essere
integrato da un'altra chiamata dello stesso tipo priva dei suddetti riscontri, mentre plurime
chiamate "de relato" ben possono ritenersi reciprocamente corroborate e idonee a fondare il
giudizio di colpevolezza, purché sottoposte alla verifica di attendibilità, intrinseca ed estrinseca,
e supportate da riscontri esterni muniti delle su indicate caratteristiche (da ultimo, v. Sez. 6, n.
16939 del 20/12/2011, dep. 07/05/2012, Rv. 252631).
12.3. Da quanto or ora esposto discende, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata
nei confronti dei predetti ricorrenti, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce,
che provvederà ad un nuovo esame relativamente ai punti sopra evidenziati, adeguandosi ai su
esposti principii di diritto.
13.
Parimenti fondato deve ritenersi il ricorso proposto da
l'illustrazione dei relativi motivi, quanto specificamente esposto,
Modeo Claudio
(v., per
supra, nel par. 4.19), cui
vengono contestate, in concorso con altre persone, una serie di condotte estorsive commesse
(nel periodo di tempo ricompreso fra il 1988 ed il 1991) in danno di numerosi commercianti di
prodotti ittici della città vecchia di Taranto, sinteticamente descritte nelle imputazioni articolate
nei capi sub 28) e 29).
53
Preliminarmente, deve osservarsi come le ragioni addotte a sostegno del primo motivo di
doglianza - incentrato sul rilievo che Il Modeo sarebbe stato ritenuto responsabile delle
condotte estorsive solo sul presupposto della sua presunta appartenenza ad un'associazione
criminale della quale egli sarebbe stato ritenuto il referente (ossia, il clan Modeo) - debbano
ritenersi sostanzialmente assorbite nei vizi relativi alle violazioni di legge e carenze
motivazionali prospettate negli ulteriori motivi di ricorso, risolvendosi le stesse in un ulteriore
argomento illustrato a supporto di quelle censure, senza che possa sotto alcun profilo
ravvisarsi un difetto di correlazione tra il
decisum e i capi di imputazione al ricorrente
addebitati.
Passando ora ad esaminare le ulteriori censure dal ricorrente prospettate, deve osservarsi
come nell'iter motivazionale dell'impugnata pronuncia si ponga in evidenza il fatto che il
coinvolgimento di Modeo Claudio nei fatti contestati emerge dalla circostanza che le estorsioni
praticate in danno dei commercianti di pesce della città vecchia si inserivano in un più vasto
contesto associativo facente riferimento al clan dei fratelli Modeo, all'epoca rappresentati dal
fratello minore Claudio, al quale i commercianti di pesce si erano rivolti affinché intervenisse
presso i partecipi di tale attività criminosa, in quanto ritenevano troppo elevato l'importo delle
somme di denaro da costoro richieste, ottenendone infatti una riduzione. Tali commercianti di
pesce, infatti, erano da tempo vittime di estorsione da parte dell'associazione, in un primo
periodo - fino agli anni '87-88 - quando referente dell'attività estorsiva era Claudio Modeo, al
quale veniva conferita una quota dei proventi derivanti dalle estorsioni, come anche quelli
rivenienti dalla gestione delle bische clandestine e delle rapine perpetrate dal gruppo, ed in un
secondo periodo - decorrente dagli anni '91-92 sino al suo arresto, avvenuto nel 1993 quando collettore del denaro rinveniente dalle estorsioni in danno dei commercianti era altra
persona (tale Chiochia Cataldo), che provvedeva a consegnare il ricavato di tale attività illecita
a Cesario Vincenzo, il quale, a sua volta, effettuava la distribuzione dei proventi delle attività
illecite ai diversi gruppi.
Al riguardo, tuttavia, deve rilevarsi come dal complesso delle fonti dichiarative su cui la
sentenza di condanna ha ritenuto di fondare il giudizio di responsabilità del Modeo (in
particolare, quelle rese dai collaboratori Cesario Vincenzo, Martera Luigi, Pereili Stefano e
Mappa Osvaldo, oltre che dalle stesse persone offese) non sembra emergere con chiarezza
quale sia stato il rilevante ed effettivo contributo prestato dall'imputato nella realizzazione delle
attività delittuose oggetto della regiudicanda. In esse, infatti, non sembra esservi alcun
riferimento diretto, specifico e circostanziato alla condotta delittuosa tenuta dall'imputato, ma
solo una generica indicazione sul contesto storico-fattuale in cui egli si trovò ad operare, e sul
ruolo in quel periodo svolto dall'organizzazione criminale che egli avrebbe rappresentato.
Sul punto, è necessario ribadire il consolidato principio secondo cui il ruolo di partecipe
rivestito da taluno nell'ambito di una struttura organizzativa criminale non è di per sè solo
sufficiente a far presumere la sua automatica responsabilità per ogni delitto compiuto da altri
appartenenti al sodalizio, anche se riferibile all'organizzazione ed inserito nei quadro del
54
programma criminoso, giacchè dei reati-fine rispondono soltanto coloro che materialmente o
moralmente hanno dato un effettivo contributo, causalmente rilevante, volontario e
consapevole all'attuazione della singola condotta criminosa, alla stregua dei comuni principi in
tema di concorso di persone nel reato, essendo teoricamente esclusa dall'ordinamento vigente
la configurazione di qualsiasi forma di anomala responsabilità di "posizione" o da "riscontro
d'ambiente" (Sez. 6, n. 3194 del 15/11/2007, dep. 21/01/2008, Rv. 238402).
Né, peraltro, vengono individuati, con specifico riferimento ai fatti oggetto di contestazione,
elementi di riscontro idonei e dotati della necessaria efficacia individualizzante, tenuto conto
delle esigenze di maggiore approfondimento motivazionale determinate, per un verso, dalle
oggettive implicazioni della su indicata scansione di sequenze temporali operata in sentenza, e,
per altro verso, dai compito di "cassiere" dei proventi delle estorsioni per conto del clan Modeo,
svolto dall'imputato proprio nell'arco temporale ricompreso fra gli anni 1987 - 1988, secondo
quanto accertato alla luce delle richiamate risultanze probatorie del processo "Ellesponto".
Analoghe carenze motivazionali paiono emergere, altresì, con riferimento alla configurabilità
dell'aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 7 della L. n. 203/1991, i cui presupposti ed
elementi costitutivi non vengono esplicitati con riferimento alle modalità di realizzazione delle
specifiche condotte delittuose in contestazione.
Anche in relazione a tali profili problematici, dunque, è necessario richiamare l'attenzione, in
sede di giudizio di rinvio, sul quadro di principii e regole già illustrato, supra, nel parr. 10.1 e
12.2, con riguardo ad altre posizioni processuali ivi esaminate.
Da quanto or ora esposto discende, conclusivamente, l'annullamento della sentenza impugnata
nei confronti di Modeo Claudio, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello già
individuata, che provvederà ad un nuovo esame relativamente ai punti sopra evidenziati,
adeguandosi ai su esposti principii di diritto.
14. Fondato, infine, deve ritenersi il ricorso di Pirozzolo Sergio (v., per l'illustrazione dei
relativi motivi, quanto specificamente esposto, supra, nel par. 4.23), nei cui confronti, come si
è già osservato, la Corte d'appello ha ritenuto provata la penale responsabilità in ordine ai reati
ascrittigli ai capi sub 7) e 14), alla stregua delle dichiarazioni rese dai collaboratori Cesario
Vincenzo e Martera Luigi, del rinvenimento delle armi provenienti dalla fornitura da lui operata,
nonché delle dichiarazioni rese da altri collaboratori (Riggio Giovanni e De Fazio Francesco).
Al riguardo, paiono del tutto generici i riscontri provenienti dalle dichiarazioni del collaboratore
De Fazio Francesco, il cui contenuto sembra avere ad oggetto fatti e situazioni collocabili in un
contesto spazio-temporale diverso da quello cui si riferiscono le vicende processuali oggetto del
presente procedimento, mentre non pienamente dotate della necessaria efficacia
individualizzante paiono le dichiarazioni rese dal Martera Luigi, che oltre a non fare riferimento
esplicito alla persona del Pirozzolo, sembra descrivere diverse modalità di consegna e trasporto
delle armi rispetto a quanto dichiarato dal Cesario Vincenzo, riferendo, in particolare, di essersi
recato da solo a prelevarle per conto del gruppo, senza confermare, peraltro, la circostanza
55
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della compresenza, sua e di altre persone, all'atto della consegna della fornitura di armi al
Cesario in Fragagnano.
Non ha costituito, inoltre, oggetto di congrua valutazione ai sensi dell'art. 238-bis c.p.p. (v., da
ultimo, Sez. 6, n. 42799 dei 30/09/2008, dep. 17/11/2008, Rv. 241860; Sez. 6, n. 23478 del
19/04/2011, dep. 10/06/2011, Rv, 250098), l'esito decisorio del processo cd. "Valanidi", del
quale vengono vagliate, nell'iter motivazionale dell'impugnata pronuncia, solo le
argomentazioni utilizzate nella sentenza di condanna pronunciata in primo grado dalla Corte
d'assise di Reggio Calabria, unitamente alle dichiarazioni ivi rese dal collaboratore Riggio
Giovanni, nonostante sia stata disposta l'acquisizione della pronuncia parzialmente assolutoria
(n. 6/05 dell'Il marzo 2005, esecutiva per l'imputato a far data dal 26 luglio 2005)
successivamente adottata nei suoi confronti dalla Corte d'assise d'appello di Reggio Calabria,
che lo scagionava dalle accuse di concorso in omicidio e dai reati di traffico di armi e
stupefacenti, ritenendolo responsabile per i reati di cui agli artt. 319 e 321 c.p., con
conseguente rideterminazione della pena inflittagli. Anche riguardo a siffatti aspetti
problematici inerenti alla specifica posizione del ricorrente, dunque, va richiamata l'attenzione,
in sede di giudizio di rinvio, sul rispetto del quadro di principii e regole generali già illustrato,
supra, nel par. 12.2, con riferimento ad altra posizione processuale ivi esaminata.
14.1. Non sostenuto da congrue e logiche argomentazioni, inoltre, appare il percorso
motivazionale seguito nell'impugnata pronuncia riguardo alla valutazione degli esiti dei diversi
riconoscimenti dell'imputato operati da parte del Cesario nel corso del procedimento, tenuto
conto, in particolare, del mancato riconoscimento fotografico in sede dibattimentale,
dell'incertezza dell'esito della ricognizione formale disposta in aula dalla Corte, e della visibilità
di segni particolari di riconoscimento sulla persona del ricorrente (cicatrice che correrebbe dalla
base del naso fino al labbro superiore).
Anche su tale punto della motivazione, dunque, è necessaria una rivalutazione dei diversi
profili or ora evidenziati, sì da offrire una ricostruzione affidabile del risultato probatorio.
14.2. Ne deriva, conclusivamente, l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di
Pirozzolo Sergio, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello già individuata, che
provvederà ad un nuovo esame relativamente ai punti sopra evidenziati, adeguandosi ai su
esposti principii di diritto.
15. Infondato, sia pure parzialmente per quanto si dirà di seguito, deve ritenersi il ricorso
proposto da Clanciaruso Cosimo (v., per l'illustrazione delle relative censure, quanto
specificamente esposto, supra, nel par. 4.8).
Preliminarmente, per quel che attiene, in particolare, all'infondatezza del primo motivo di
doglianza (relativo alla prospettazione di un'errata applicazione del disposto di cui all'art. 190bis c.p,p), si rinvia alle considerazioni già esposte in generale, supra, al par. 5.1. .
56
15.1. Palesemente infondato deve ritenersi il quarto motivo di ricorso (incentrato sulla
mancata riduzione della pena a seguito della richiesta del rito abbreviato a norma dell'art. 442
c.p.p,), avendo la Corte d'appello correttamente argomentato il rigetto della relativa istanza,
richiamando sul punto le analoghe considerazioni già espresse dal Giudice di primo grado, nel
rilevare che il Tribunale aveva concesso nel corso dell'udienza dibattimentale del 26 settembre
2000, su richiesta di tutti i difensori, un termine al fine di vagliare l'opportunità di richiedere,
nell'interesse dei loro assistiti, la definizione del processo con il rito abbreviato, come all'epoca
consentito dall'art. 4 del d.J. 7.4.2000, n. 82, convertito in L.4.6.2000, n. 144, richiesta che,
tuttavia, veniva avanzata soltanto da Romano Giuseppe alla successiva udienza del 3 ottobre
2000 (con conseguente stralcio degli atti relativi alla posizione di tale imputato e designazione
di un diverso Collegio al fine della decisione del processo a suo carico), mentre nessuno degli
altri imputati avanzava quella richiesta nei termini di legge, con il conseguente riconoscimento
del difetto delle condizioni di legge per l'applicabilità della invocata diminuente processuale.
15.2, Parimenti infondato, inoltre, deve ritenersi anche il secondo motivo di doglianza
(incentrato sull'eccezione di improcedibilità dell'azione penale per la pretesa violazione del
principio di specialità in materia di estradizione), sia pure per ragioni diverse da quelle esposte
nella motivazione dell'impugnata decisione.
Al riguardo, infatti, deve osservarsi che se, per un verso, può condividersi il rilievo difensivo
mosso circa l'erronea interpretazione delle conseguenze derivanti dalla corretta applicazione
dei principi giurisprudenziali richiamati nella motivazione dell'impugnata pronuncia, essendo
dei tutto evidente che la clausola di specialità si configura come introduttiva di una condizione
di procedibilità, la cui mancanza costituisce elemento ostativo all'esercizio dell'azione penale
nelle forme tipiche fissate dall'art. 405 cod. proc. pen., anche se non impedisce il compimento
degli atti di indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova (Sez. U, Sentenza n.
8 del 28/02/2001, dep. 24/05/2001, Rv. 218767), con la logica conseguenza che per i fatti
diversi da quelli per i quali è stata concessa l'estradizione e commessi prima della consegna è
inibito l'esercizio dell'azione penale, salvo che sia sopravvenuta l'estradizione suppletiva
disciplinata dagli artt. 12 e 14.1, lett. a), ovvero si sia verificata una delle cause di estinzione
dell'estradizione previste dall'art. 14.1, lett. b), della Convenzione del 1957; per altro verso,
tuttavia, non può non rilevarsi come a fondamento dell'eccezione difensiva di improcedibilità
dell'azione penale nessuna specifica e concreta allegazione documentale sia stata operata,
difettando al riguardo ogni adempimento dell'onere probatorio sulla corretta delimitazione dei
contorni spazio-temporali della questione di rito sollevata dalla difesa, rilievo, questo, ancor più
necessario ove si consideri che nessun elemento storico - fattuale, né alcun dato
procedirnentale concreto possono evincersi al riguardo dalla lettura dell'impugnata decisione, sì
da non rendere possibile in questa Sede la necessaria verifica sulla stessa configurabilità dei
57
presupposti e delle condizioni di una estensione dell'estradizione apoditticamente affermata
come intervenuta in epoca successiva all'esercizio dell'azione penale.
In relazione a tale profilo di doglianza, dunque, non può che ribadirsi il pacifico orientamento
giurisprudenziale secondo cui l'onere di provare il fatto processuale, dal quale dipenda
l'accoglimento dell'eccezione procedurale, grava sulla parte che ha sollevato l'eccezione stessa
(per un caso del tutto analogo, v. Sez. 5, n, 1915 del 18/11/2010, dep. 21/01/2011, Rv.
249048; v., Inoltre, Sez. 5, n. 600 del 17/12/2008, dep. 12/01/2009, Rv. 242551),
15.3. In ordine al terzo motivo di doglianza, che prospetta, talora in forma del tutto generica
ed aspecifica, varie carenze motivazionali in ordine alle diverse condotte delittuose per cui è
stata riconosciuta la responsabilità del ricorrente, deve rilevarsi come tali censure non siano
consentite in questa Sede, investendo per lo più una serie di aspetti inerenti alla valutazione
della prova, che rientra nella facoltà esclusiva del Giudice di merito e che non può, dunque,
esser posta in questione nel giudizio di legittimità quando il relativo apprezzamento sia fondato
su una motivazione congrua e non manifestamente illogica.
Anche tale motivo, pertanto, deve ritenersi infondato.
Nel caso di specie, invero, la Corte territoriale ha provveduto ad esaminare analiticamente le
diverse condotte delittuose al ricorrente addebitate, richiamando le conformi argomentazioni
già compiutamente espresse al riguardo dal Giudice di prime cure, ponendo in evidenza, tra
l'altro: a) quanto alla fornitura dei due fucili a pompa che forma oggetto del capo sub 13), le
convergenti e dettagliate dichiarazioni auto ed etero-accusatorie provenienti da Cesario
Vincenzo e Martera Luigi, in ordine alle modalità della fornitura di armi pervenuta
all'associazione da altri soggetti ed alla successiva destinazione delle stesse al Cianciaruso,
assistite da numerosi riscontri esterni già vagliati dal Giudice di primo grado; b) quanto ai capi
sub 17) e 18), relativi alla detenzione illegale di armi ed esplosivi da parte dei partecipi
dell'associazione, le dichiarazioni rese dal Cesario, ed in particolare dal Maitera Luigi,
congruamente ritenute di per sé attendibili ed assistite da numerosi riscontri probatori sulle
modalità dell'incontro finalizzato alla cessione del fucile oggetto del capo sub 17), e sulle
modalità di ricezione ed utilizzo da parte del Cianciaruso e del suo gruppo del fucile "Spas 12"
oggetto del capo sub 18), oltre che sulle specifiche caratteristiche di quell'arma, peraltro
utilizzata dal Cianciaruso in occasione del tentato omicidio di cui al capo sub 55).
Per quel che attiene, poi, alle condotte delittuose descritte nei capi d'imputazione enucleati dal
23) al 50), a fronte delle dettagliate, convergenti ed, ab externo, riscontrate dichiarazioni
accusatorie rese dal Cesario e dal Martera - che fanno riferimento, tra l'altro, all'attività
estorsiva svolta quando, avendo il Martera diversificato i propri interessi da quelli del Cesario,
che aveva assunto l'egemonia nell'ambito dello spaccio di droga nella città vecchia, il primo
promosse, in particolare con il gruppo facente capo ai Cianciaruso, una continuativa e
sistematica attività estorsiva in danno di numerosi esercizi commerciali, già sottoposti,
peraltro, ad analoga attività estorsiva da parte del clan Modeo - le relative censure lambiscono
58
la soglia dell'inammissibilità, venendo prospettate dal ricorrente in forma del tutto generica ed
apodittica, senza confrontarsi criticamente con le ragioni espresse dalle sequenze
argomentative al riguardo compiutamente esposte nell'iter motivazionale sviluppato
dall'impugnata decisione.
Analoghi vizi di genericità ed aspecificità colpiscono, inoltre, le censure dal ricorrente mosse in
relazione alle condotte delittuose oggetto dei capi d'imputazione dal 51) al 57), valendo anche
in tal caso le medesime considerazioni da ultimo esposte in relazione ai capi che precedono .
Né possono dirsi immotivatamente disattesi i rilievi dalla difesa svolti in ordine alla richiesta
derubricazione dei reati di estorsione di cui ai capi sub 34), 36), 39) e 40) - aventi ad oggetto
le estorsioni in danno dei concessionari di moto Cometa Cataldo e Giovane Vincenzo, che
vennero costretti a cedere agli associati motoveicoli per un valore di diverse decine di milioni,
accettando come corrispettivo cambiali emesse dagli stessi partecipi, ovvero da prestanome,
nella piena consapevolezza che tali titoli non sarebbero mai stati onorati - in quello
d'insolvenza fraudolenta ex art. 641 c.p..
Al riguardo, infatti, la Corte territoriale ha osservato, con congrua e logica esposizione
argomentativa, come la carica fortemente intimidatoria che connotava le espressioni utilizzate
dal Martera e dal Cianciaruso, e le modalità con le quali si erano presentati ai concessionari
evidenziavano non già un'intenzione fraudolenta, bensì li palese intento di ottenere, in cambio
di un insignificante contributo economico, beni di consistente valore, apparentemente
acquistati in modo lecito, atteso che — come riferito dal Martera e confermato dalle stesse
persone offese - il rilascio dei titoli cambiari era fittizio, in un caso, ed al parziale pagamento
degli importi complessivamente dovuti nell'altro caso (10-15 milioni di lire, sull'intero importo
di circa 80-90 milioni di lire) non avrebbe fatto seguito l'estinzione dell'obbligazione, essendo le
persone offese ben consapevoli di avere a che fare con personaggi di elevata caratura
criminale, ai quali comunque non avrebbero potuto opporsi se non a pena di gravi
conseguenze.
Corretta, pertanto, deve ritenersi l'osservazione svolta dal Giudice di secondo grado
nell'impugnata decisione, laddove ha posto in rilievo che non vi fu alcuna dissimulazione di
stato d'insolvenza da parte degli imputati, risultando al contrario palese, al "contraente più
debole", che egli null'altro avrebbe potuto ottenere in corrispettivo di beni di valore consistente
da chi, con atteggiamento intimidatorio, pretendeva di conseguire ingiusti vantaggi economici
con altrui danno.
L'impugnata pronuncia, dunque, fa buon governo della legge penale e riposa su un apparato
argomentativo che, in stretta aderenza alle emergenze probatorie, e saldandosi con le
conformi valutazioni già sviluppate nella decisione di primo grado, dà ampiamente conto,
secondo schemi espositivi del tutto congrui ed esenti da vizi logici, delle ragioni che giustificano
la conclusione cui essa perviene, rispondendo puntualmente ai rilievi dalla difesa formulati.
Peraltro, non può costituire vizio deducibile in sede di legittimità la mera prospettazione di una
diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali, non
59
4 N.
rientrando nei poteri di questa Corte quello di compiere, come sostanzialmente si richiede, una
"rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della pronuncia impugnata, essendo il
sindacato di legittimità circoscritto alla verifica dell'esistenza di una logica base argomentativa
in grado di sorreggere i vari punti della decisione (Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, dep.
23/06/2006, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, dep. 28/12/2006, Rv. 235507),
15.4. Parimenti infondato, infine, deve ritenersi il quinto motivo di ricorso, incentrato, anche in
tal caso attraverso generiche prospettazioni, sul diniego della concessione delle attenuanti ex
art. 62-bis c.p., avendo la Corte territoriale compiutamente esposto le ragioni giustificative del
trattamento sanzionatorio al ricorrente irrogato, in relazione ai diversi criteri indicati dall'art.,
133 c.p. .
15.5.
Va peraltro dichiarata l'estinzione per intervenuta prescrizione dei reati di
danneggiamento ex art. 635 c.p., oggetto dei capi d'imputazione di cui ai capi sub 52), 53),
54) e 57) (per i primi due, maturata il 7 settembre 2006, e per gli altri due, rispettivamente, il
29 marzo 1999 ed il 3 maggio 1999): in relazione a tali condotte delittuose, dunque,
l'impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di
Lecce, che provvederà alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio al ricorrente
irrogato, individuando la pena residua sulla base dell'intervenuta estinzione per prescrizione
dei reati sopra indicati.
16.
E' opportuno precisare, peraltro, che secondo il consolidato
i nsegnamento
giurisprudenziale di questa Suprema Corte, in caso di annullamento parziale della sentenza,
qualora sia rimessa al giudice di rinvio esclusivamente la questione relativa alla determinazione
della pena, il giudicato
formatosi
sull'accertamento del reato e della responsabilità
dell'imputato rende definitive tali parti della sentenza ed impedisce l'applicazione delle cause
estintive del reato eventualmente sopravvenute alla pronuncia di annullamento (Sez. U, n.
4904 del 26/03/1997, dep. 23/05/1997, Rv. 207640; Sez. 4, n. 2843 del 20/11/2008, dep.
22/01/2009, Rv. 242494).
17. Per quel che attiene, infine, alla posizione del ricorrente Cinieri Cataido, va disposta la
separazione dagli atti del relativo ricorso, stante l'omessa notifica dell'avviso di fissazione
dell'udienza, rinviandosi a nuova data il processo nei suoi confronti.
18. Alla declaratoria dl inammissibilità dei ricorsi presentati da Albano Mario, Ancora Rodolfo,
Caforio Raffaele, Catapano Antonio, Catapano Cataido, Cianciaruso Salvatore, Cristallo
Francesco, De Luca Salvatore, Liuzzi Giuseppe, Morrone Giuseppe, Presicci Antonio e Santovito
Giuseppe, consegue per legge la condanna dei predetti al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
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Al rigetto del ricorso proposto da Leone Pietro consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del
predetto al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla nei confronti di Cianciaruso Cosimo la sentenza impugnata, limitatamente ai reati di cui
all'art. 635 cod. pen. di cui ai capi 52, 53, 54 e 57, per essere gli stessi estinti per prescrizione.
Rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Lecce per la determinazione della pena residua.
Rigetta il ricorso nel resto.
Annulla la stessa sentenza nei confronti di Aiello Francesco, Caforio Rodolfo (quest'ultimo
limitatamente all'aggravante ex art. 7 I. 203/91), La Gioia Luigi, La Gioia Raffaele, Modeo
Claudio e Pirozzoio Sergio; annulla la stessa sentenza, limitatamente al diniego della
continuazione, nei confronti di De Florio Cataldo, Micoll Orlando, Panariti Giovanni e Romanazzi
Cosimo, nonchè nei confronti di Perelli Adriano, limitatamente all'entità della pena; rinvia per
nuovo giudizio sugli stessi punti ad altra sezione della predetta Corte di appello. Rigetta nel
resto i ricorsi di Caforio Rodolfo, De Florio Cataldo, Micoli Orlando, Panariti Giovanni,
Romanazzi Cosimo e Perelli Adriano.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Albano Mario, Ancora Rodolfo, Caforio Raffaele, Catapano
Antonio, Catapano Cataldo, Cianciaruso Salvatore, Cristallo Francesco, De Luca Salvatore,
Liuzzi Giuseppe, Morrone Giuseppe, Presicci Antonio e Santovito Giuseppe. Condanna i predetti
al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 ciascuno in favore della
Cassa delle ammende.
Rigetta il ricorso di Leone Pietro che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dispone la separazione dagli atti del ricorso di Cinieri Cataido per omessa notifica dell'avviso di
fissazione dell'udienza e rinvia a nuova data Il processo nei confronti del medesimo.
Roma, lì, 11 maggio 2012
Il Consigliere estensore
Dr. aetano De Amicis
Il Presidente
d
dolf Di Virginio
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