LA TELA DELLA MADONNA DI LORETO
IN VALLELUNGA PRATAMENO
di Don Francesco Novara
INTRODUZIONE
Per la prima volta si sta tentando di leggere e interpretare la tela della Madonna di
Loreto tra angeli e santi in gloria di Vallelunga Pratameno. Il prodotto finale di questo
piccolo studio non ha nessuna pretesa di essere esaustivo e nelle conclusioni si lascia aperto
il campo all’approfondimento e alle indagini future.
Per chi non è abituato a leggere una qualsiasi opera d’arte con le dovute cautele e i
metodi storico-scientifici può incorrere nel pericolo di far dire tante cose li per lì valide ma
che in fondo non rispecchiano il vero ed originario messaggio degli autori e/o dei
committenti, né il particolare contesto e movente storico che l’ha prodotto. Affinché si
possano continuare a percepire le intenzioni originarie degli autori di un’opera d’arte, è
necessario un duplice approccio di esegesi e di interpretazione da parte degli studiosi,
proprio come avviene per le opere letterarie e soprattutto per la Sacra Scrittura. Occorre dar
voce alle idee rappresentate nelle più svariate forme non trattandoli come semplici oggetti da
studiare, ma come soggetti da contemplare, soprattutto in ambito religioso, e che sono
l’anima dello stesso prodotto finale.
Un’opera d’arte come quella qui presa in esame non può non suscitare l’attenzione
degli osservatori anche più distratti e disattenti. Sebbene si tratti di un’immagine familiare
alle persone del luogo, essa rappresenta non solo quell’icona della Santa Patrona a cui la
comunità vallelunghese è votata da quasi quattro secoli, ma anche quel simbolo in cui ogni
singolo individuo si riconosce come parte integrante di quella comunità, anche a distanza di
tempo e di luoghi (con esplicito riferimento agli emigrati e ai loro discendenti).
CAPITOLO I
LA TELA DELLA MADONNA DI LORETO IN VALLELUNGA PRATAMENO
1.1 Una lettura immediata o mediata dell’opera?
Una lettura immediata dell’immagine della Madonna di Loreto rappresentata nel
quadro della Chiesa Madre di Vallelunga Pratameno è possibile solo a condizione che si
conoscano preventivamente:
1. la sua specifica e particolare iconografia;
2. la storia, la tradizione e la fede del popolo vallelunghese.
Eppure non tutti i vallelunghesi conoscono la storia dell’origine della devozione alla
Madonna di Loreto né le vicende storiche della famiglia feudataria e fondatrice all’origine
della committenza. L’introduzione del culto della Vergine Lauretana, infatti, sorge quasi
contemporaneamente con la fondazione del paese di Vallelunga da parte del barone D. Pietro
Marino nella prima metà del sec. XVII.
La tela della Madonna di Loreto si presenta arricchita da una serie di personaggi in
vari atteggiamenti di preghiera e di contemplazione. I personaggi ivi rappresentati risultano
plasticamente e simmetricamente disposti attorno al soggetto principale (in posizione
centrale e più elevato): la Vergine Lauretana col Bambin Gesù. Si distinguono, soprattutto, in
primo piano e nella parte inferiore del quadro, quattro figure orientate verso la Vergine col
Bambino classificabili nel seguente modo:
a) n. 3 soggetti storico-temporali (figure umane);
b) n. 1 soggetto a-temporale (figura di angelo).
Circa queste quattro figure parlerò più abbondantemente e dettagliatamente nel terzo
paragrafo del capitolo successivo.
Nella parte superiore del quadro, invece, troviamo solo figure di angeli:
a) n. 5 angeli (a destra di chi guarda);
b) n. 7 angeli (a sinistra di chi guarda)
in vari atteggiamenti (alcuni sono suonatori di strumenti musicali a corda e a fiato altri sono
cantori). Lo sfondo in cui tutte e quante le figure sono inserite trascende quello reale e
terrestre per la presenza massiccia e composta della folla di angeli (soggetti spirituali), ma
anche per la presenza delle nubi e delle stelle (oggetti metereologici ed astronomici) e che
fanno sembrare il quadro una finestra spalancata sul cielo soprannaturale. Quest’idea viene
anche suggerita dall’assenza di una luce naturale e da uno sfondo prevalentemente scuro,
voluto di proposito per dare maggior risalto alla Vergine Maria ed al Bambin Gesù in vesti
chiare, luminosissime e preziosissime. Un unico nimbo solare di forma irregolare
contribuisce poi a dare maggiore risalto ai volti bruni della Madonna e di Gesù Bambino1.
1
L’impressione è che si tratti più che altro di un semplice alone aureo destinato ad evidenziare nitidamente le
teste more della Madonna e di Gesù Bambino, altrimenti confondibili con lo sfondo del quadro.
1.2 Scheda del quadro
Oggetto: Madonna di Loreto in gloria tra angeli e santi
Autore: Ignoto pittore siciliano
Cronologia: anni ‘30 del sec. XVII
Materia e dimensioni: Olio su tela, cm 200 x 300
Ubicazione: Vallelunga Pratameno (CL), Chiesa Madre Santa Maria di Loreto.
CAPITOLO II
CENNI STORICI SULLE ORIGINI DELLA DEVOZIONE LAURETANA IN
VALLELUNGA PRATAMENO
2.1 Origini e committenza del quadro della Madonna di Loreto
La committenza del quadro della Madonna di Loreto va storicamente collocata ai
tempi della fondazione dell’omonima parrocchia nella Terra di Vallelunga ad opera del
nobile termitano2 Pietro Marino, nuovo signore della Baronia di Vallelunga. Pietro Marino
acquistò la Baronia di Vallelunga da Vincenzo Notarbartolo De Homodeis e consorti il 20
gennaio 1621 (atto stipulato presso il notaio Nunzio Panitteri di Palermo) mentre nel 1633
chiese ed ottenne da vicerè Ferdinando Afan de Rivera duca di Alcalà la Licentia populandi3,
ossia la facoltà di costruire abitazioni da concedere in enfiteusi ai nuovi coloni 4. Il successo
dell’impresa portò ancora il barone a formulare al vescovo della diocesi di Cefalù, Mons.
Ottavio Branciforti, nel cui territorio ricadeva il feudo di Vallelunga, la richiesta di fondare e
di fabbricare una chiesa da intitolarsi alla Madonna di Loreto per l’assistenza spirituale dei
nuovi coloni e l’amministrazione dei sacramenti.
2
Termini Imerese, città situata sulla costa settentrionale della Sicilia, in provincia di Palermo.
Per maggiori dettagli su questo argomento vedere G. CIPOLLA , Vallelunga Pratameno. Dalle origini al 1986,
Palermo 1987, 35-38. Va qui precisato che Giuseppe Cipolla ha commesso un errore di trascrizione della
Licentia populandi del 1633 attribuendola al vicerè duca d’Ayala (Ferdinando D’Ayala conte d’Ayala, vicerè
dal 1660 al 1663) e non piuttosto al vicerè duca di Alcalà (Ferdinando Afan De Rivera di Alcalà, vicerè dal
1632 al 1639). L’errore si evince anche dal fatto che il primo, da lui indicato come duca d’Ayala, non è un duca
bensì un conte. Ambedue furono vicerè regnando Filippo IV di Spagna e III di Sicilia (1621-1665) e per fatale
coincidenza avevano anche lo stesso nome di battesimo, ossia Ferdinando. Una calligrafia illeggibile del
documento conservato nell’Archivio di Stato di Palermo ed il mancato ricorso ad una più attenta lettura
dell’elenco dei vicerè di Sicilia sotto il Re Filippo IV ha sicuramente dato origine all’equivoco. Cfr. G.-E. Di
BLASI, Storia cronologica dei Vicerè Luogotenenti e Presidenti del Regno di Sicilia, Palermo 1842, 311-320;
375-379.
4
La grave e disastrosa situazione economico-politico-sociale in cui versava l’isola in quel periodo era dovuta
essenzialmente a due fattori importantissimi, e cioè: 1) l’espulsione degli Ebrei, che privò l’isola della loro
innata capacità imprenditoriale e finanziaria; 2) la scoperta dell’America e la sua successiva conquista che
determinarono lo spostamento delle rotte commerciali verso le nuove terre e la conseguente marginalizzazione
dell’isola di Sicilia da parte della Corona spagnola. I baroni di tanti feudi, al fine di aumentare i loro redditi ed
il loro prestigio in ordine all’autorità ed al potere, iniziarono a rivolgersi dal XVI secolo in poi ai vicerè,
chiedendo il privilegio di popolare i loro feudi imponendo gabelle e tasse. Una volta ottenuto il privilegio
richiesto, i baroni si affrettavano ad emettere bandi nelle città limitrofe più antiche e popolose che non
tardavano a rispondere emigrando verso le nuove terre da abitare. La licentia populandi rilasciata ad un barone
comportava alcuni doveri e non solo diritti. Tra i doveri vi era innanzi tutto quello di costruire a proprie spese
un minimo di 80 abitazioni da offrire ai nuovi coloni, almeno una chiesa, il fondaco, il palazzo del fondatore, le
carceri, il mulino, le cave di pietrame ed argilla.
3
2.1.1 La prova documentale
L’istanza si trova inserita nell’atto di fondazione della Chiesa Madre e si conserva
nell’archivio parrocchiale nella qualità di copia conforme all’originale. Nel documento (qui
sotto si riporta la trascrizione del primo foglio) si legge la seguente richiesta:
«Die vigesimo quarto februarii secunde indictioni millesimo
seicentesimo trigintesimo quarto. Quia D. Petrus Marino Baro
Vellis Longe et Marino precedente licentia Eccellentiae Suae
Tribunalis Regii Patrimonii Vigori literarum datarum Panormi
die tertio septembris proximi preteriti incepit edificare terram in
dicta eius Baronia Vallislongae nuncupata Marino, sita et
positam ina Valle Mazzarie et in therritorio Cephaludensis
Diocesis in qua terra hucusque habitant et commorant
nonnullae incolae et sunt edificate nonnullae Domus et
mantiones pro quarum incolarum beneficio et curam animarum
salute opus est in ea edificare Ecclesiam eique eligere
Cappellanum ut dictis incolsi ministreat divina sacramenta (…)
Ill.mo e R.mo Sig.e D. Pietro di Marino Barone di Valle Longa
et Marino dice a V. S. Ill.ma che avendo cominciato a fabricare
una terra nominata Marino nella indetta sua Baronia di Valle
Longa, territorio della Diocesi di V. S. Ill.ma con licenza Vice
Regia spedita per il Tribunale del Real Patrimonio in Palermo
a’ tre di Settembre prossimo passato, nella quale terra vi sono
edificate molte case con abitazione di molta gente la quale
patisce l’amministrazione dei santissimi sacramenti e
desiderando il supplicante che in essa vi sia una chiesa di S.ta
Maria di Loreto con suo cappellano quale possa amministrare a
detta gente in detta chiesa li SS.mi sacramenti per salute delle
loro anime, e di altri successori che verranno ad abitare in detta
terra si obliga esso Esponente fabricare in quella una chiesa
sotto titolo di Nostra Sig.ra dell’Oreto, e quella dotare di onze
ventiquattro di rendita annuale per sostentazione di detto
cappellano, ed anche si obliga amministrare la spesa necessaria
per ripari e conzi di detta Chiesa, giogali, olio, cera ed altre
cose necessarie al divino culto, riservandosi per esso e suoi
eredi e successori in perpetuuum illius Patronatus di eliggere e
presentare il detto Cappellano pro modo e dopo tempo il Paroco
seu Arciprete a Curato, o altro nome e titolo, supplica perciò V.
S. ill.ma servita ordinare che facendo detta obligazione nel
modo indetto abbia licenzia di poter fondare detta chiesa e
cappellania con clausole indette che oltre essere cosa congrua
l’Esponente la riceverà a grazia ut Altissimus – Die 22
Februarii secunde indictionis 1634 (…) »5.
5
Copia dell’originale ricevuto in data 24 febbraio 1634 da not. Giuseppe Gerardi di Termini. La copia è
conservata presso l’archivio parrocchiale Santa Maria di Loreto in Vallelunga Pratameno rilasciata da not.
Giacomo Gargotta di Termini in data 28 Gennaio 1829 (f 1-1v).
Dalla lettura dell’intero documento (si tralascia infatti tutta la parte riguardante il
seguito della richiesta che consta di altri ben 10 fogli scritti sia nel recto che nel verso) non
risulta chiaro come mai il Barone Pietro Marino abbia espressamente chiesto di intitolare la
chiesa del suo costruendo casale alla Madonna di Loreto6. Il nome Loreto ricorre più volte in
questo nobile casato, tant’è vero che il primo sacerdote nominato al beneficio parrocchiale,
sac. Loreto Marino, era un parente stretto del barone D. Pietro Marino (anche se non viene
specificato il grado di parentela), ed anche il figlio primogenito di D. Pietro, destinato ad
ereditare il feudo di Vallelunga, si chiamava Loreto Maria Marino. Inoltre la provenienza di
questa nobile famiglia feudataria dalla città di Termini Imerese (PA) può essere all’origine
della loro particolare devozione di famiglia al culto della Vergine Lauretana. Questa tesi è
avvalorata dal fatto che nelle vicinanze della loro città sorge ancora uno dei santuari mariani
più famosi della Sicilia e dedicato appunto alla Madonna di Loreto di Altavilla Milicia (PA)
o molto più semplicemente Madonna della Milicia.
2.2 La nomina del primo parroco
Nel documento precedente si legge che il Barone Pietro Marino si riservò l’onore e
l’onere non solo di costruire a sue spese la chiesa da dedicare a “Santa Maria di Loreto”, di
provvedere alla suppellettile, al mantenimento del culto ed alla manutenzione, ma anche il
diritto di eleggere e di presentare al vescovo della diocesi di Cefalù il proprio candidato alla
cappellania.
Dalla monografia sulla storia del clero di Vallelunga, curata dal Sac. Giovanni
Battista Criscuoli e pubblicata a Palermo nel 19107 si ricava l’informazione del nome del
primo parroco, ossia Loreto Marino8. Suppongo che il Barone Pietro Marino, avvalendosi
della facoltà di elezione e presentazione del cappellano, abbia giustamente scelto per questo
incarico un suo parente (fratello, nipote, cugino, zio?). Anche il nome “Loreto” la dice lunga
sulla particolare devozione della famiglia Marino verso l’immagine dell’omonima Madonna
se si considera che l’immediato successore del Barone Pietro si chiamò pure Loreto Maria.
Dell’attività del primo parroco Loreto Marino si conosce ben poco, tranne che rimase
in carica per circa tre anni, dal 1634 al 1637, concludendo il suo mandato con un atto di
6
La Chiesa Madre risulta ubicata nel centro geometrico dell’originario casale fondato dal Marino e
caratterizzato da una rete di assi viari perpendicolari tra loro in modo da adattare i lati più lunghi degli isolati
alla lieve pendenza del terreno. Il palazzo baronale era situato invece nella parte più alta del casale mentre una
cinta muraria racchiudeva tutto l’abitato secondo precise indicazioni dettate nella Licentia populandi.
7
All’attuale parroco Zuzzè Don Giuseppe va il merito di essersi preoccupato di recuperare, restaurare e
conservare presso l’archivio parrocchiale quanto più materiale possibile tra registri, carteggi e documenti
ammucchiati nella soffitta dell’abitazione privata di uno dei suoi predecessori, in balia di umidità, topi,
colombe ed altri agenti parassitari.
8
Cfr. G. B. CRISCUOLI, Appunti e memorie per la storia del clero di Vallelunga, Palermo 1910, 3.
rinunzia. Lo storico G. B. Criscuoli, in una nota della sua monografia, sottolinea il
particolare legame esistente tra il primo parroco e la tela della Madonna di Loreto in questi
termini:
«Le memorie più antiche gli attribuiscono il quadrone della
Madonna Lauretana che fu venerato sul maggiore altare della
chiesa, finchè il primo arciprete Audino lo sostituì col simulacro
omonimo che tutt’ora vi si conserva»9.
Ma di quali memorie più antiche sta parlando il Criscuoli? Forse di qualche
testimonianza scritta (documento cartaceo, lapide commemorativa) non pervenuta ai nostri
giorni?
2.2.1 La riproduzione dello stemma gentilizio
Un elemento che torna però a favore della realizzazione della tela della Madonna di
Loreto su commissione dei Marino è la presenza dello gentilizio dipinto nella tela e collocato
in basso a destra. Lo stemma si presenta inquartato e sormontato da una corona di duca 10. Lo
stemma dei Marino riprodotto nella tela altro non è che il risultato di una composizione di
più stemmi appartenenti ad altri casati nobiliari con cui il ramo della famiglia Marino di
Vallelunga si imparentò nel corso dei secoli. Probabilmente questo permetteva loro di
distinguersi dagli altri rami venuti fuori dall’unico ceppo originario. Infatti i simboli originari
e comuni al casato Marino sono riprodotti nel primo riquadro in alto a sinistra e
corrispondono alle descrizioni riportate nel dizionario di araldica siciliana (curato dallo
studioso V. Palizzolo Gravina della seconda metà del sec. XIX), mentre degli altri simboli
araldici presenti nelle rimanenti tre parti dello scudo non sono ancora identificabili. Nel
dizionario del gravina troviamo la seguente descrizione del casato:
«Altro casato nobile della famiglia Marino troviamo
anche in Termini, ove secondo Mugnos si distinse un Andrea di
Marino nobile genovese nipote dell’arcivescovo Ubertino di
Palermo, per di cui ordine venne in Sicilia; fu giurato 1421, ed
occupò le prime cariche di quella città. Altri personaggi
potrebbonsi qui rilevare che per brevità tralasciamo; un
9
G. B. CRISCUOLI, Appunti e memorie per la storia del clero di Vallelunga, Palermo 1910, nota 8, p. 10.
Ogni famiglia nobile godeva di più titoli. Il casato dei Marino di Termini, per esempio, che di per sé erano
duchi, ma al momento dell’investitura della Baronia di Vallelunga acquisirono anche il titolo di baroni, per il
feudo.
10
Vincenzo11 però acquistò la baronia di Vallelunga ed occupò
grandi cariche. Levò per arme: d’azzurro, con una stella d’oro,
col mare in punta agitato d’argento»12.
2.3 I quattro santi a i piedi della Madonna di Loreto
In questo paragrafo si intende individuare e descrivere le quattro figure presenti nella
parte bassa del quadro della madonna di Loreto a cominciare da destra verso sinistra.
2.3.1 San Pietro Apostolo
Il primo personaggio di destra, semicalvo e con la barba bianca arruffata, è
inconfondibilmente San Pietro Apostolo. Egli con la destra tiene in pugno una coppia di
chiavi, attributo che rimanda all’episodio evangelico della consegna delle chiavi del Regno
dei Cieli da parte di Gesù con il duplice incarico di legare e di sciogliere13. Con l’altra mano
invece regge un libro, simbolo che si riferisce alle due lettere di San Pietro raccolte nel
Nuovo Testamento. San Pietro indossa il consueto abito degli apostoli consistente in tunica e
pallio, rispettivamente di colore blu e giallo, simboli della gravitas e dell’auctoritas di cui
l’Apostolo Pietro è stato investito dal maestro Gesù. Sebbene i suoi occhi siano rivolti in alto
per contemplare la Madonna col Bambino, la figura di San Pietro da’ l’impressione di
camminare verso l’osservatore e di uscire quasi dalla scena del quadro.
Questo effetto permette di percepire visivamente la figura di San Pietro leggermente
più grande rispetto alle altre tre rappresentate nel registro inferiore, forse perché la sua
presenza è un chiaro riferimento al nome del barone D. Pietro Marino, fondatore e
committente della chiesa. Anche lo stemma gentilizio collocato vicino al piede sinistro
dell’Apostolo è un chiaro riferimento alla famiglia feudataria e che va abbinato a questa
prima figura del quadro.
2.3.2 Sant’Onofrio re di Persia
Accanto a quella di San Pietro si trova una curiosa figura di uomo anziano, canuto,
inginocchiato e completamente nudo. I suoi lunghi capelli bianchi coprono insieme con la
barba più di metà del corpo. Anche gli occhi di questo secondo personaggio sono rivolti in
11
L’autore ha commesso l’errore di scrivere Vincenzo anziché Pietro. Mi permetto così di puntualizzare che
Pietro Marino acquistò la baronia di Vallelunga da un Vincenzo Notarbartolo di Polizzi. È probabile che sia
stata fatta anche qui un po’ di confusione scambiando il nome proprio dell’acquirente con quello del venditore.
12
V. Palizzolo Gravina, Il blasone di Sicilia. Dizionario storico-araldico della Sicilia, Palermo 1871-75, 249.
13
Mt, 16, 19.
alto verso la Madonna col Bambino, come quelli di San Pietro, e con le braccia incrociate sul
petto in atteggiamento di contemplazione e di penitenza. Si tratta della figura di Sant’Onofrio
Re di Persia, uno dei santi patroni della città di Palermo detto anche Santu Nofriu ‘u pilusu
(Sant’Onofrio il peloso) a causa dei suoi lunghissimi capelli e folta barba. È probabile che la
famiglia Marino fosse particolarmente legata anche al culto di questo santo per la vicinanza
della loro città di origine, Termini Imerese, alla capitale Palermo. Potrebbe anche darsi che
un componente della famiglia Marino si chiamasse con questo nome, ma di questo non c’è
certezza.
2.3.3 Santa Ninfa vergine e martire
Il terzo personaggio, figura femminile, viene rappresentata come una giovane fanciulla
mentre genuflette, con il capo velato ed in abiti classici di colore arancione. Il suo corpo è
orientato simmetricamente e specularmente verso Sant’Onofrio, ma il suo sguardo è rivolto
verso l’alto dove appare la Madonna di Loreto. Nella mano sinistra tiene un libro chiuso da
due sigilli, mentre in quella destra, leggermente più alzata dell’altra, tiene un altro oggetto
dorato simile ad un vaso o ad una lampada da cui fuoriesce una fiamma. Un altro elemento
molto strano è una specie di piuma bianca collocata ai suoi piedi. Il terzo personaggio va
identificato con Santa Ninfa14, anche questa compatrona della città di Palermo insieme a
14
Il nome deriva dal greco Nynphe e indicava le giovani donne in età da marito; inoltre le ninfe erano divinità
femminili minori dei boschi, fiumi, monti, laghi. Santa Ninfa è ignota a tutti gli antichi Martirologi. I suoi Atti,
tratti da Codici del XII secolo, sono connessi alla Vita di S. Mamiliano. Ninfa era figlia di Aureliano, prefetto
di Palermo, persecutore dei cristiani. Fu convertita e battezzata nella sua casa dal vescovo Mamiliano, insieme
ad altre trenta persone. Il padre Aureliano mentre arrestava Mamiliano e altri duecento cristiani, cercò di far
recedere la figlia dalla nuova religione. Visti vani i suoi tentativi e dopo averli sottoposti a torture, li fece
chiudere in carcere, ma un angelo li liberò, conducendoli in riva al mare dove trovarono una barca. In seguito
ad una persecuzione religiosa per opera degli Ariani verso l’anno 450 fu mandata in esilio in Africa, forse
insieme a San Mamiliano vescovo di Palermo. Da qui, riscattata dalla pietà dei fedeli, si ritirò in Sardegna e
quindi all’Isola del Giglio o in altra viciniore, ove San Mamiliano pare abbia fondato qualche Monastero per
monache eremite. Desiderosi di visitare Roma, sbarcarono sotto indicazione celeste, in un luogo chiamato
Bucina; dopo la visita alle tombe degli apostoli, Mamiliano morì e Ninfa lo fece seppellire vicino Bucina; dopo
circa un anno anche Ninfa morì e fu sepolta dove erano conservate le reliquie di altri martiri. Per il legame con
il Santo monaco, pare si sia recata a Roma per venerarvi i Sepolcri degli Apostoli Pietro e Paolo e sia morta a
Porto Romano, cioè Fiumicino, ove i Cristiani le edificarono una Chiesa. I cristiani del luogo la invocarono
perché passasse una siccità che li affliggeva. La più antica notizia su S. Ninfa è del secolo IX, nel Liber
Pontificalis, perché nella biografia del papa Leone IV (847-855), si legge che egli fece un dono alla chiesa di S.
Ninfa martire, esistente nella zona Portuense. Le sue reliquie nel sec. XII, si trovavano in varie chiese di Roma
e il capo nel 1592 era venerato nella chiesa di S. Maria in Monticelli. Nel 1593 il capo della Santa fu trasferito
a Palermo in un altare della cattedrale, consacrato nel 1598. Il culto si diffuse in altre città siciliane e un paese
in provincia di Trapani ne porta addirittura il nome. Il popolo e il Senato palermitano il 5 Giugno 1606 elessero
Santa Ninfa Patrona della Città con le Sante Oliva ed Agata. Il culto nella Città di Palermo è antichissimo; la
sua memoria risale al 1483 per la dedicazione di una campana nella Cattedrale; in un Capitularium manoscritto
dell'Archivio storico Diocesano del XIV secolo è ricordata in una Litania dei Santi; nel Breviario
membranaceo di Simone di Bologna nel Tesoro della Cattedrale di Palermo ( 1445 ) e nelle varie espressioni
dell'arte. Celebrata dalla Chiesa Palermitana fino al 1980 come Memoria Obbligatoria; dal 1981 è stata espunta
dal Calendario Liturgico Regionale, ma nella Città di Palermo può essere sempre celebrata con il grado di
Memoria facoltativa. Le è dedicata una Chiesa della Città nel 1600, mentre il culto è vivo a S. Ninfa ( TP ), sua
patrona principale.
Sant’Onofrio. Uno degli attributi di questa santa è la “face d’oro infuocata”, ossia una specie
di lampada ad olio portatile ed impugnabile, così come appare in un codice miniato del sec.
XII che la rappresenta. Il motivo della rappresentazione di questa santa è dovuto al nome
della moglie del barone Pietro Marino, Ninfa Notarbartolo, figlia del precedente barone
Vincenzo Notarbartolo. Quando Ninfa Notarbartolo andò in sposa a Pietro Marino, questa
aveva ricevuto in dote dal padre 1/3 del feudo di Vallelunga. Successivamente D. Pietro
Marino acquistò i rimanenti 2/3 del feudo, divenendo così signore e barone dell’intero feudo
di Vallelunga, a partire dalla data di stipula dell’atto di compravendita, 20 gennaio 1621.
2.3.4 San Michele Arcangelo
La quarta ed ultima figura riprodotta all’estrema sinistra del quadro, e
simmetricamente opposta a quella di San Pietro, è San Michele Arcangelo. L’Arcangelo
indossa una corazza militare simile a quella di un generale romano con accessori in cuoio,
metallo e stoffa: parabracci, gonnellino, mantello rosso, elmo piumato, calzari. Con la mano
sinistra impugna uno scudo metallico ovale molto baroccheggiante mentre con la mano
destra tiene alzata una spada pronta a colpire il demonio dalle sembianze antropomorfe. Il
diavolo, sotto i piedi di San Michele, è come immobilizzato e quasi del tutto sprofondato
nelle fenditure delle rocce infuocate che rappresentano l’inferno. La faccia del diavolo è
rivolta verso San Michele ed anche il suo braccio destro è teso verso l’arcangelo quasi come
ad implorare un atto di clemenza prima di sferrare il suo colpo finale con la spada. Per ovvie
ragioni di iconografia, l’Arcangelo San Michele è l’unico dei quattro santi rappresentati nel
quadro a non guardare verso la Madonna di Loreto (è rivolto infatti verso il diavolo). La
presenza di San Michele nel quadro della Madonna di Loreto si spiega per il semplice fatto
che questo era il nome di uno dei fratelli del barone che venne ad abitare insieme con lui nel
palazzo residenziale di Vallelunga.
2.4 Varie ubicazioni del Quadro nel corso dei secoli
Il quadro della Madonna di Loreto in origine era collocato nell’abside della Chiesa
Madre sull’altare maggiore. In quell’epoca la chiesa era limitata alle sole tre navate fino alla
prima metà dell’800. Infatti, dal 1827 in poi ci furono nella chiesa una serie di modifiche e di
ampliamenti che ne alterarono la sua originaria struttura e fisionomia, sia interna che
esterna15.
La tela subì un primo spostamento dal suo posto originario verso la fine del 1700
quando fu realizzata l’attuale simulacro ligneo che prese il suo posto sull’altare maggiore.
Quando fu rifatto il presbiterio la tela continuò a decorare la parete laterale destra del nuovo
presbiterio fino a qualche decennio fa. Fu in seguito collocata all’inizio della navata laterale
destra fino ai nostri giorni.
15
La vecchia abside fu abbattuta per creare un presbiterio più profondo a pianta rettangolare; furono aggiunte
due cappelle laterali adiacenti il presbiterio ed il transetto; furono sostituite le capriate a vista con copertura
voltata a botte ed ispessiti i pilastri delle navate (da base quadrata a base rettangolare) con il conseguente
rimpicciolimento degli archi divisori. Fu rifatto pure il prospetto in stile neogotico, molto in voga
nell’ottocento, con l’aggiunta di due campanili cuspidati.
CAPITOLO III
LA MADONNA DI LORETO TRA STORIA, ARTE E LEGGENDE
3.1 Caratteri generali sul culto della Madonna di Loreto
Prima di esaminare le singole parti che compongono l’immagine della Madonna di
Loreto riprodotta nel quadro di Vallelunga Pratameno, intendiamo presentare sinteticamente
l’origine della devozione legata a questa immagine venerata nella Santa Casa di Loreto
(AN), uno dei santuari mariani più famosi del mondo.
3.1.1 Da Nazareth a Loreto
La devozione all’immagine della Madonna di Loreto si sviluppa attorno a quella che,
secondo un’antichissima tradizione, è una parte della casa di Maria di Nazareth. A Loreto,
località marchigiana in provincia di Ancona, si conservano le pareti esterne della casa di
Maria e che, secondo la tradizione, fu trasportata per ministero angelico prima in Illiria e poi
nel territorio di Loreto nel 129416. La storia della traslazione della santa Casa si confonde a
tutt’oggi con il leggendario volo della Casa ad opera degli angeli, così come scrisse nel sec.
XV il Teramano e riferendosi a sua volta ad una tabula del sec. XIV:
«…in detta Casa nacque la Vergine Maria, e quivi fu
allevata e poi dall’angelo Gabriele salutata; (…) Quindi gli
apostoli e i discepoli consacrarono quella camera in chiesa, ivi
celebrando i divini misteri (…) Ma dopo che quel popolo
abbandonò la fede di Cristo ed accettò la fede di Maometto,
allora gli Angeli levarono dal suo posto la predetta chiesa e la
trasportarono nella Schiavonia, posandola appresso un castello
chiamato Fiume (1291) Ma ivi non venne affatto onorata (…)
perciò da quel luogo la tolsero nuovamente gli Angeli e la
portarono attraverso il mare nel territorio di Recanati (1294) e
la posero in una selva, di cui era padrona una gentildonna
chiamata Loreta; donde prese allora nome la predetta chiesa
Santa Maria de Loreta…»17.
Recenti scoperte archeologiche hanno dimostrato che non ad opera di spiriti beati
giunsero in Europa i resti della casa della Madonna, ma ad opera di crociati
conseguentemente alla loro espulsione dalla Palestina da parte dei musulmani ed alla perdita
del controllo del porto di Accon. L’esperienza delle crociate in Terra Santa permise di
trasportare in Europa e di salvare dall’opera distruttrice dei musulmani un grandissimo
16
17
La data della traslazione della Santa Casa è fissata nel calendario liturgico per il 10 dicembre
Brano del Teramano tratto da: AA. VV. I Mille Santuari Mariani d’Italia illustrati, Roma 1960, 4.
quantitativo di reliquie-memorie della vita terrena di Gesù e di Maria, tra cui la casa
dell’annunciazione.
I risultati degli scavi archeologici nel sottosuolo della Santa Casa e le sufficienti
testimonianze documentali attestano che le pietre della casa di Nazareth sono state
trasportate a Loreto via mare, per iniziativa del despota dell’Epiro Nicefaro De Angelis.
Quando la figlia del despota Nicefaro, Ithamar, andò in sposa a Filippo di Taranto,
quartogenito di Carlo II d’Angiò, re di Napoli, trasmise la dote al marito consistente nelle
sante pietre portate via dalla casa di nostra Signora la Vergine Madre di Dio18 insieme ad
altri beni (settembre 1294). Da qui la leggenda popolare con l’inevitabile confusione del
nome proprio De Angelis con il trasporto in volo della casa per mezzo di angeli. A Loreto
sono state ricostruite le parti esterne della casa di Maria mentre l’altra metà scavata nella
roccia rimane custodita all’interno della basilica di Nazareth in Galilea. Recentissimi studi
sulla struttura edilizia della Santa Casa e i raffronti di questa con la grotta di Nazareth hanno
confermato la chiara consistenza delle due parti le quali combaciano perfettamente. La storia
si confonde con la leggenda e non è semplice dire come sono andate esattamente le cose,
resta comunque il fatto che parte di quella che fu l’abitazione della Santa Madre di Dio si
ritrova da più di sette secoli circondata da una ben radicata venerazione da parte dei fedeli
provenienti da tutto il mondo.
3.1.2 La Madonna ed il Bambino perchè sono neri?
La statua della Madonna, oggi esposta alla venerazione dei fedeli nella S. Casa, è di
legno di cedro ricoperta da un’ampia e preziosa veste ricolma di doni votivi, detta dalmatica.
L’attuale statua imita quella più antica che andò distrutta a causa di un incendio scoppiato in
basilica nel 1921. La statua attuale venne costruita con legno di cedro esistenti nei giardini
vaticani dal caratteristico colore bruno e per di più artificialmente tinteggiato di nero. Anche
l’antica statua era di colore bruno ma non così nera, al pari del colore bruno dei volti
riprodotti nel quadro della Madonna di Loreto di Vallelunga. Il nuovo simulacro fu
incoronato a Roma il 5 settembre 1922 da Pio XI e portato solennemente a Loreto il 7
settembre successivo. Il 4 ottobre 1962 Papa Giovanni XXIII, pellegrino a Loreto alla vigilia
del Concilio Ecumenico Vaticano II, incoronò ancora una volta la statua della Madonna.
Gli studiosi hanno appurato che la prima immagine venerata nella Santa Casa era
un'icona dipinta in legno, di probabile origine orientale e potrebbe avere riferimenti alla
Grande Madre ed alla divinità egizia Iside. Molto probabilmente le prime comunità cristiane
18
S. De Fiores, Maria Nuovissimo Dizionario, Bologna 2006, II, 1063.
mediorientali e la Chiesa Copta avevano trasferito aspetti e simbologie del culto di Iside a
quello Mariano che i Templari assimilarono e trasferirono poi in Europa. Una curiosità: nel
1797 Napoleone, tra il bottino che portò a Parigi, fece trasportare al Museo del Louvre la
statua della Madonna di Loreto, classificata come statua di legno orientale di scuola egiziogiudaica. Venne restituita per fortuna alla basilica cinque anni più tardi.
3.2 Dal Santuario di Altavilla Milicia per Termini a Vallelunga
Il documento custodito nell’archivio parrocchiale di Vallelunga circa la fondazione
della Chiesa Madre non rivela il motivo della scelta del titolo mariano, ma pare che i Marino
nutrissero una grande devozione nei riguardi della Vergine Lauretana. La devozione dei
Marino alla Madonna di Loreto potrebbe essere nata nel contesto della loro città di origine
Termini situata nei pressi di uno dei santuari mariani della Sicilia più antichi e famosi: il
Santuario della Madonna della Milicia.
3.2.1 La Madonna della Milicia
Il santuario della Madonna della Milicia, nel comune di Altavilla Milicia, si trova
situato a 19 Km dalla città di Termini Imerese e a 25 da Palermo. La storia delle origini del
santuario, misto a leggenda, rivela delle affinità con la devozione verso la patrona di
Vallelunga soprattutto ad iniziare dal titolo. Come per il caso di Vallelunga anche il paese di
Altavilla Milicia fu fondato agli inizi del sec. XVII, con licentia populandi del 1621,
concessa al ricco feudatario Francesco Maria Beccatelli il quale fece pure costruire una
chiesa nel suo nascente borgo che intitolò alla Madonna di Loreto ed al Serafico Francesco
d’Assisi (forse in riferimento al suo nome Francesco Maria). In realtà l’iconografia della
Madonna della Milicia non ha niente a che vedere con quella tipica delle madonne di Loreto.
Questo lo dimostra il risultato di un recentissimo restauro avvenuto nel 1990, a causa dei
forti deterioramenti nelle sue componenti lignee e pittoriche. Precedentemente il dipinto
aveva subito grossolani interventi di restauro in cui era stata ricoperta coperta una figura
umana di sesso maschile in atteggiamento di preghiera (committente) posto tra san Francesco
e la Madonna col Bambino seduta in trono. Nella prima metà dell’800, la figura della
Madonna, chiamata comunque con l’appellativo di Lauretana, fu ricoperta con una manta
d’argento che la rese più simile alla Madonna di Loreto, ma con il restauro del 1990 è stato
possibile recuperare non solo l’iconografia originaria del quadro ma anche di datarlo entro la
metà del sec. XIV e di attribuirlo alla scuola toscana.
3.2.2 La leggenda della nave pirata e del carro trainato dai buoi
È probabile che il popolo di Altavilla al fine di spiegare la provenienza
dell’immagine e le l’origini della pietà popolare ad essa connesse abbia artificiosamente
inventato la leggenda della nave pirata e del carro trainato dai buoi in alcuni punti molto
simile ad un’altra leggenda che circolava anche a Vallelunga:
«La leggenda narra che il mare fu sconvolto da una
furiosa tempesta rendendo estremamente difficoltoso ad una
nave di pirati di mantenere la rotta verso Palermo. Sulla nave
tenevano una giara come contenitore di acqua potabile, coperta
con un quadro della Madonna e San Francesco, rubato in una
delle loro scorribande. Qualcuno dei pirati, preso dal terrore,
attribuì la tempesta al volere del quadro e tentò di distruggerlo,
ma non vi riuscì. Mentre la nave rischiava il naufragio, il
quadro fu battuto fra le onde ed il mare improvvisamente si
calmò (…) depositando sulla spiaggia il dipinto. Un gruppo di
contadini lo prese e lo caricò su un caro trainato da buoi,
seguendolo come in processione fino a quando gli animali si
fermarono sulla collinetta. Qui fu eretta una cappella e qui si
trova il santuario. A questi eventi è legato l’avvenimento più
importante di Altavilla, la solenne festa della Madonna della
Milicia che si svolge ogni anno dal 6 all’8 settembre e che ha il
suo momento più significativo nella processione del quadro
mediante un carro trionfale alto 15 metri e trainato da dodici
buoi: ogni anno, in occasione della processione, il carro che
simula una grande nave, è costruito ex novo per poi essere
smontato fino al nuovo anno…»19.
La storia del traino dell’immagine della Madonna di Loreto tramite il carro dei buoi è
arrivata in qualche modo anche a Vallelunga. La leggenda di Vallelunga non è però solo un
riciclaggio di quella di Altavilla ma è stata utilizzata per spiegare e motivare la sostituzione
dell’antica pala d’altare della Madonna di Loreto con l’attuale simulacro ligneo della fine del
1700 e per iniziativa dell’arciprete Rosario Audino Guarenti, parroco dal 1779 al 1827,
tramandato dal sac. Giova Battista Criscuoli:
«Verso questo periodo, sullo scorcio del secolo XVIII, al
vecchio quadrone di Maria Lauretana che troneggiava immenso
ed augusto sull’altare maggiore della chiesa, il ben. Audino
sostituì l’attuale simulacro intonato al Nigra sum scritturale,
attorno a cui la fede ingenua e la leggenda han ricamato
fantastici dettagli. La storia infatti si confonde qui con le
popolari tradizioni, ricordando che il simulacro, menato fin
presso l’abitato di Vallelunga per essere trasportato ad altra
19
KATIA M., Dalla Cannamela al Santuario. Altavilla racconta, in Palermo. Rivista della provincia regionale
di, (novembre-dicembre 2004), 45.
destinazione, avrebbe in modo sovrumano chiaramente mostrato
di voler fermarsi nel luogo. E allora il parroco, circondato dal
clero e dal popolo, l’avrebbe introdotto con immensa pompa nel
paese che la Nera Signora aveva così graziosamente
prescelto»20.
Spiegare l’origine di un culto in forma leggendaria esprime il bisogno di un popolo a
mitizzare anche il più semplice degli avvenimenti arricchendolo di eventi prodigiosi quasi
come a provare la presenza di Dio e dei suoi amici intercessori in mezzo a loro. Anche nella
leggenda di Vallelunga, architettata per giustificare la realizzazione della nuova statua in
sostituzione dell’antico quadro, compare tuttavia un fondo di verità: non è da escludersi che
la nuova statua sia stata realmente accolta ed introdotta in paese con solennità e pompa
magna mentre veniva trasportata su di un carro trainato da buoi (non dimentichiamoci
d’altronde che questo avvenne verso la fine del 1700), nè è improbabile che per
l’intronizzazione del nuovo acquisto ci sia stata la partecipazione di tutto il popolo e del
clero, quale chiaro segno di una particolare sensibilità dei fedeli di due secoli fa assai più
semplice, pia e genuina.
20
G. B. CRISCUOLI, Appunti e memorie per la storia del clero di Vallelunga, Palermo 1910, 70-71.
CAPITOLO IV
LETTURA TEOLOGICA, BIBLICA E SPIRITUALE DELLA MADONNA DI
VALLELUNGA PRATAMENO
4.1 Descrizione dell’immagine
L’iconografia della Madonna di Loreto riprodotta nella ex pala dell’altare maggiore
della Chiesa Madre di Vallelunga è molto originale. Vi è in particolare un elemento del tutto
insolito di rappresentazione mariana che incuriosisce molto: la tiara papale o triregno posta
sul suo capo. Sebbene le immagini della Madonna vengano ancora oggi incoronate per antica
consuetudine, raramente la si vede incoronata con un triregno. Riteniamo che in questo caso
si voglia alludere alla missione della Chiesa ed al suo triplice compito di insegnare,
governare e santificare. Mentre fa ciò, la Chiesa è invitata a guardare a Maria nella qualità di
Madre della Chiesa e suo particolare modello e prototipo. Se si considera poi il fatto che al
momento della realizzazione del quadro la Chiesa era fresca del suo modo di concepirsi nella
rigida struttura piramidale di Cristo, Maria e Papa scaturita dal concilio di Trento ecco che il
quadro altro non è che il risultato stereotipato dell’autocomprensione che la Chiesa aveva di
sé in quel periodo. Non a caso anche la mariologia, come trattato separato e dedicato ed
approfondire sistematicamente il mistero della Madre del Signore, nasce in quest’epoca di
riforme e di controriforma ad opera del siciliano Placido Nigido, che pubblicò nel 1602 a
Palermo la Summae sacrae mariologiae pars prima, a partire dalla quale si moltiplicarono le
pubblicazioni di trattati di argomento mariologico, in risposta ad interventi ritenuti
provocatori provenienti dall’ambito protestante21. I nuovi trattati di mariologia hanno
contribuito parecchio ad influenzare l’opera di molti artisti, fedeli alle indicazioni dei
committenti e costantemente aggiornati sui nuovi risvolti in abito teologico e dottrinale.
Il simbolo della corona applicata a Maria si spiega anche per la sua singolare
partecipazione alla regalità del Figlio, Signore dell’universo. Infatti anche Lui, nelle vesti di
Gesù Bambino, porta una corona d’oro di tipo imperiale riccamente incastonata di perle e
pietre preziose. Egli viene qui raffigurato benedicente mentre regge con la mano sinistra il
globo tripartito e sormontato da una croce (attributo che veniva consegnato ai re durante il
rito della loro incoronazione e consacrazione).
La sopravveste che ricopre sia la Vergine Maria che il Bambino Gesù si chiama
dalmatica. Si tratta di una sorta di toga bianca anticamente usata in Dalmazia ed in seguito
assunta dai romani in epoca imperiale. Forse proprio per il fatto che la Santa Casa, secondo
21
Cfr. su questo argomento B. FORTE, Maria. la donna icona del mistero. Saggio di mariologia simboliconarrativa, Cinisello Balsamo (MI) 19964, 29.
le antiche testimonianze, sostò per un certo periodo di tempo in quei luoghi fu arricchita di
una primitiva immagine rivestita con abiti locali dalmati?
4.2 La Madonna di Loreto: un’icona biblica?
In questa seconda parte del quarto capitolo intendiamo descrivere l’immagine della
Madonna di Loreto in riferimento ad alcuni testi biblici con particolare riferimento a quei
brani, talvolta consistenti anche in pochissimi versetti, che la Chiesa ha riletto in chiave
cristologica, mariologica ed ecclesiologica. In particolare vengono ora qui sotto riportati, per
una lettura biblico-teologica dell’immagine della Madonna di Loreto di Vallelunga, due
brani dell’Antico Testamento ed un brano del Nuovo Testamento.
4.2.1 Dal Salmo 45 (44)
Questo salmo, composto probabilmente per celebrare le nozze del Re Salomone con
una principessa di origine straniera, interpreta le nozze mistiche di Cristo Sposo con la
Chiesa Sposa. Si tratta di un canto d’amore nuziale accolto nel canone della Bibbia per
significare appunto una realtà d’amore divino-umano e che trova la sua massima espressione
nell’incarnazione del Verbo. Dopo l’esaltazione iniziale della figura del Re (vv. 1-9), il
salmista descrive il resto della cerimonia nuziale puntando l’attenzione sulla Regina Sposa
che gli va incontro accompagnata da uno stuolo di vergini (vv. 10-16). Questa fanciulla oltre
ad essere bellissima risulta vestita in modo sfarzoso:
«Figlie di re stanno tra le tue predilette; alla tua destra
la regina in ori di Ofir. Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio,
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre; al re piacerà la
tua bellezza. Egli è il tuo signore: pròstrati a lui. Da Tiro
vengono portando doni, i più ricchi del popolo cercano il tuo
volto. La figlia del re è tutta splendore, gemme e tessuto d’oro è
il suo vestito. È presentata al re in preziosi ricami; con lei le
vergini compagne a te sono condotte; guidate in gioia ed
esultanza entrano insieme nel palazzo del re»22.
In una traduzione dai testi originali edita dalla San Paolo viene proposta invece
quest’altra versione:
«Una figlia di re a te viene incontro qual regina alla tua
destra, in oro di Ofir. Ascolta, o figlia, e vedi; protendi il tuo
orecchio e dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre.
Piaccia al re la tua bellezza; poiché egli è il tuo signore e
22
Cfr. La Bibbia di Gerusalemme, Bologna 199614, 1116.
rendigli omaggio. La figlia di Tiro viene con doni; il tuo volto
ricercano i più ricchi del popolo. Tutta splendore nell’interno
la figlia regale: tessuto in oro è il suo vestito, in vesti variopinte
è condotta al re. Le vergini sue compagne son fatte venire al suo
seguito; sono introdotte con gioia e letizia, esse entrano nel
palazzo regale»23.
La preziosa stoffa bianca damascata della dalmatica, arricchita di quattro file di
collane d’oro incastonate di perle e gemme preziose, sembra rispondere alla descrizione delle
vesti regali della regina e sposa del Messia Re. Il prezioso indumento avvolge ambedue i
corpi della Madonna e del Bambino quasi come a sottolineare un’intrinseca unione spirituale
tra i due come nel caso delle corone. Poiché Maria è la Santa Madre di Dio, Ella gode anche
della dignità concessa alla regine madri sedute accanto al figlio sovrano. Il salmo 44 è
comunemente interpretato come un epitalamio regale ma potrebbe anche alludere
all’ingresso della stessa regina madre nella corte del figlio re. La loro posizione aveva un
grande peso nelle corti orientali specialmente in Israele:
«Le regine madri erano strettamente legate all’onore del
re (Ger 13,18; 22,6). Anzi non era tanto il ruolo, la posizione
del re che contava, quanto quella di madre del re, la quale
portava il titolo di Gebirah, termine che significa padrona,
opposta a serva, ed è parallela ad adon signore (…) La regina
madre del re, a differenza della sposa, fruisce di un onore
particolare presso il principe regnante»24.
Una rappresentazione analoga della Vergine Maria nelle vesti della regina madre alla
destra del Figlio Re la ritroviamo nei mosaici dell’arco trionfale della Basilica di Santa Maria
Maggiore in Roma ed esattamente nel secondo registro di sinistra che riproduce l’episodio
dell’Adorazione dei magi, oppure nello splendido mosaico del catino absidale di Santa Maria
in Trastevere, stessa città, in cui Cristo Re abbraccia Maria, figura della Chiesa,
accogliendola sul suo trono regale.
4.2.2 Dal libro del Cantico dei Cantici
Un altro brano biblico a cui si ispira in particolar modo l’iconografia delle madonne
nere, è il primo capitolo del Cantico dei Cantici. Questo libro accolto nel canone della Bibbia
è un idillio d’amore sbocciato dal cuore di due giovani ed è stato composto per esaltare
l’amore umano fra l’uomo e a donna. Interpretando il testo in chiave allegorica esso esprime
23
Cfr. per la traduzione del testo A. LANCELLOTTI, I Salmi. Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali,
Cinisello Balsamo (MI) 19954 , 313-314.
24
S. GASPERI, Maria Regina coronata in gloria, in AA. VV., Maria icona viva della chiesa futura. Atti del
convegno di studi mariani, Mussomeli 9-12 aprile 1996, Roma 1998, 261-263.
per la cultura ebraica l’amore di Dio verso Israele e per la cultura cristiana l’amore di Cristo
Sposo verso la sua Chiesa Sposa. Il breve passo che però ci interessa è quello che si riferisce
al colorito bruno della pelle dell’amata e che consta in appena due versetti:
«Io sono bruna ma graziosa, figlie di Gerusalemme,
come le tende di Kedar, come le cortine di Salomone. Non
badate se son brunetta: mi ha abbronzata il sole. I figli di mia
madre si sono adirati con me; m’hanno posto a guardia delle
vigne, ma la mia, la vigna non ho custodita»25.
In un momento di monologo, l’amata si autoesalta e si giustifica con le altre donne
gerosolimitane per il colorito della sua pelle, molto più scuro, perché costretta dai fratelli a
custodire una vigna in campagna al fine di distoglierla da un ragazzo di cui probabilmente si
era innamorata. In modo furbescamente lei riesce comunque a vedersi con l’amato di
nascosto dai fratelli che per l’invidia e la gelosia l’hanno relegata nel posto più isolato e
lontano possibile. Lei stessa infatti spiega il motivo per cui è bruna, simile al colore delle
tende dei pastori: è stata abbronzata dal sole! Tuttavia la ragazza riesce a prendersi gioco dei
suoi fratelli perché intanto continua a vedersi di nascosto con l’amato.
In questo caso la dimensione sponsale di Cristo con la Chiesa consiste soprattutto
nell’effetto che la mistica unione produce. Gesù è il sole. Maria, la donna amata, è la piena di
grazia, abbronzata dal sole della grazia divina ed ardente d’amore per il suo Signore. Come
per la furbizia della fanciulla del Cantico dei Cantici è stato possibile l’incontro con il suo
amato e ad ottenerlo in sposo, così per l’umiltà di Maria di Nazareth al momento
dell’annunciazione è stata colmata di grazia, covata dallo Spirito Santo ed elevata alla dignità
di Madre di Dio: Figlia del Padre, Madre del Figlio, Sposa nello Spirito Santo. Anche la
Chiesa in continua tensione al raggiungimento della sua piena perfezione guarda a Maria,
rivestita della gloria del suo Signore, quale suo prototipo e simbolo profetico-escatologico.
4.2.3 Dal libro dell’Apocalisse
Considerando (quasi per caso) la presenza nel quadro dell’Arcangelo Michele,
l’immagine della Madonna di Loreto sembra accennare anche alla visione apocalittica della
Donna vestita di sole e coronata di dodici stelle. Queste ultime si trovano infatti inserite
nell’unico alone luminoso che evidenzia le teste della Madonna e del Bambino:
25
Cfr. per la traduzione del testo D. COLOMBO, Cantico dei Cantici. Nuovissima versione della Bibbia dai testi
originali, Cinisello Balsamo (MI) 19997 , 48-50.
«E un segno grandioso apparve nel cielo: una donna
vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e una corona di
dodici stelle sul suo capo: aveva un bimbo nel seno e gridava in
preda alle doglie e al travaglio del parto»26.
Gli studiosi sono concordi nel vedervi in questo passo dell’apocalisse giovannea sia
la figura della Chiesa sia quella di Maria. Lo sfondo della produzione dell’ultimo libro della
Bibbia sembra essere quello della grande persecuzione di Domiziano con l’intento di
preparare la Chiesa santa di Dio alle difficili prove da sopportare, facendo però intravedere
in anticipo l’esito positivo del suo definitivo trionfo glorioso. Allo stesso modo Maria è così
immagine e modello della Chiesa trionfante sugli assalti del maligno, anche perché è
l’Immacolata Concezione, la tutta Santa, la prima creatura ad essere stata redenta ancor
prima che la redenzione stessa avvenisse storicamente con il sacrificio del Figlio.
Così i santi raffigurati nella parte inferiore del quadro ci invitano a guardare a Maria e
a confidare in lei al pari di loro per ottenere su questa terra la sua protezione e nel Cielo la
visione beatifica.
26
Cfr. per la tradudione del testo A. LANCILLOTTI, Apocalisse. Nuovissima versione della Bibbia dai testi
originali, Cinisello Balsamo (MI) 19969 , 114-115.
CONCLUSIONE
Il presente lavoro vuole essere un contributo inedito sullo studio specifico dell’antica
tela della Madonna di Loreto di Vallelunga Pratameno che rischia a tutt’oggi di rimanere
rincantucciata in un angolo della chiesa senza la possibilità di leggervi attraverso tutta una
serie di messaggi di varia natura, soprattutto storica, teologica e spirituale. La possibilità di
dare il giusto peso e valore a qualsiasi opera d’arte, sia essa pregevole o meno, è quanto ci
siamo proposti di raggiungere in questo lavoro al fine di scoprire e interpretare i tanti simboli
e segni nascosti in esse, cariche di significato e foriere di motivi storici e culturali che li
hanno prodotti.
Questo frutto di appassionate ricerche richiede tuttavia di essere sviluppato ancora
meglio in futuro e per tale motivo esso rappresenta solo un buon punto di partenza per un
eventuale studio più approfondito dell’oggetto in questione in grado di darle voce e per far
raccontare storie di uomini e significati di simboli che corrono il rischio di rimanere sepolti
sotto gli starti dei colori ad olio.
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Palermo 1871-75.
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Rivista della provincia regionale di Palermo, (novembre-dicembre 2004).
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Quadro Madonna di Loreto