APPROFONDIMENTI PROFESSIONALI
La crisi dell’impresa e della rappresentanza
suggerisce la corsa ai contratti minori
di Riccardo Girotto - consulente del lavoro
Da tempi non sospetti le aziende chiedono al legislatore un intervento chiaro finalizzato alla riduzione
del costo del lavoro. Al cospetto di un interlocutore indifferente, l’unica strada percorribile per abbattere
questa voce di spesa è rinvenibile nella stretta applicazione delle fonti vigenti.
L’indiscussa libertà sindacale sancita dall’art.39 della nostra Costituzione, in merito alla quale si
sono spesi litri d’inchiostro, agevola la ricerca del Ccnl più confacente alle necessità aziendali, che
si concentrano tanto sull’organizzazione efficace del lavoro, quanto sulla riduzione dei costi legati al
personale.
Contratti collettivi “minori”, una qualificazione non sempre giustificata
Da maggiore rappresentatività a rappresentatività comparata: parti sociali a confronto
in assenza di regole
L’efficacia erga omnes resta una chimera. L’ambizione di estendere a tutte le aziende il medesimo contratto, continua a trovare il proprio limite nella fonte
prescelta per regolare i sistemi di concertazione1.
Insistendo sul contratto interconfederale, vincolante
solo nei limiti del diritto comune, nessuna efficacia
alternativa al mandato o all’adesione potrà prodursi.
Con questa chiosa non si vuole minimizzare la situazione, ma solamente premettere i passaggi che
agevoleranno la comprensione del tema trattato.
Proseguiremo proprio analizzando la posizione di
tutti quei contratti che non hanno la presunzione di
estendere erga omnes la propria efficacia, ma si limitano a difendere la propria esistenza.
I contratti in questione, di qualsiasi livello, sono stipulati da parti sociali che non appartengono alla
triplice, da parte lavoratori, né alle associazioni di
categoria firmatarie degli accordi interconfederali da
parte datoriale.
L’azienda nell’applicazione della disciplina collettiva
gode di una libertà condizionata; infatti se si può affermare con sufficiente certezza che ogni datore di
lavoro è libero di applicare qualsiasi disciplina collettiva, non si può sottovalutare la presenza di due fonti
cogenti che ne condizionano la scelta.
La prima di queste è rappresentata dall’art.36 della
Costituzione: “…Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo
lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e
alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa…”. Questa previsione spesso richiamata dai Giudici del Lavoro non evidenzia alcun metro di valutazione circa la
retribuzione equa e sufficiente, pertanto il magistrato opta giocoforza per il rinvio alle tabelle previste
dai Ccnl di settore.
Si badi bene, in caso di contrattazione concorrente
non è prevedibile la scelta di l’uno o l’altro accordo,
pertanto in ambito settoriale l’azienda conserva ancora un margine di manovra.
Il secondo disposto vige in ambito previdenziale
ove l’art.1 co.1 del D.L. n.338/89 convertito dalla L.
n.389/89 prevede che la retribuzione da assumere
quale base di calcolo dei contributi previdenziali ed
assistenziali sia quella stabilita dai Ccnl stipulati dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative su
base nazionale di categoria. In questo caso la previsione è più precisa, ma ancora insufficiente a definire con certezza la disciplina applicabile2.
Proprio per questi motivi il gergo spesso qualifica
queste intese come “minori”, tanto da alimentare un dibattito che, pur timidamente, da qualche
anno si affaccia con frequenza ai tribunali di merito.
Ovviamente, a seconda del lato della medaglia prescelto, i contratti collettivi cd “minori” possono considerarsi linfa per il dumping contrattuale, oppure
libera scelta circa la regolamentazione dei rapporti
di lavoro.
Peraltro ad oggi la tendenza è inversa ed alimenta i contratti
separati.
Il testo riporta “Ccnl” senza prevedere l’ipotesi di azienda che
non applica alcuna intesa nazionale
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Su questo punto la Cassazione ha delineato in via
oramai consolidata il metodo applicativo del dettato
che impone all’Istituto previdenziale di dimostrare la
maggiore rappresentatività, su base nazionale, delle
organizzazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo sulle cui retribuzioni intende calcolare l’onere
previdenziale3.
Il problema di fondo, irrisolvibile, è che le norme citate esprimono la propria efficacia senza precisare i
criteri di individuazione della rappresentanza maggioritaria o comparata, generando dubbi che in ambito ispettivo si traducono in aspro contenzioso.
Se, come detto, con riguardo alla rappresentanza
comparata non esistono indicazioni operative, in
quanto i sistemi di comparazione individuati negli
accordi interconfederali anche recenti (giugno 2011
e maggio 2013 su tutti) autolimitano la propria efficacia per effetto della natura meramente contrattuale, l’elaborazione giurisprudenziale diviene l’unica risorsa utile per l’individuazione della maggiore
rappresentatività.
Per capire infatti quale sia il contratto da applicare,
evitando di violare i precetti richiamati, risulta necessario capire se le parti stipulanti possono garantire il rispetto dei requisiti di maggiore rappresentatività che i Giudici hanno individuato in:
• consistenza numerica sulla base degli iscritti;
• diffusione territoriale;
• partecipazione effettiva alle relazioni industriali;
• stipula dei contratti collettivi.
Di contro, non si può omettere la segnalazione di
sentenze che legittimano il contratto sottoscritto da
sigle che soddisfano unicamente la “capacità di imporsi alla parte datoriale come controparte al tavolo
delle trattative”.
Ne discenderebbe che ogni Ccnl potrebbe rappresentare un parametro per valutare l’adeguatezza
della retribuzione4.
Preme sottolineare peraltro come il dato delle adesioni sia sempre un tabù, tanto che alla fine gli accordi interconfederali individuerebbero il Cnel come
l’ente abilitato alla certificazione del dato associativo. Trovato il contatore, la sfortuna che si abbatte sui
sistemi di computo continua a manifestarsi. Nel caso
di specie il nuovo esecutivo Renzi ha preso di mira
proprio il Cnel, qualificandolo ente inutile destinato
a scomparire.
Alla luce di quanto esposto, sicuramente già noto ai
lettori, può abbozzarsi il concetto di contratto Maggiore e quindi per converso di contratto Minore. Chi
scrive tende però ad allentare gli entusiasmi, considerato che i più di un settore permangono contratti
separati firmati disgiuntamente dalle sigle autodeterminatesi maggiormente rappresentative.
A fronte del caos che contraddistingue le odierne relazioni sindacali, considerare un contratto maggiormente rappresentativo comporta una scelta forte,
determinante la violazione della libertà sindacale.
Ecco allora che sigle di diversa estrazione attivano
tavoli finalizzati alla stipula di intese collettive alternative, che assumono ancor più valore quando le
aziende decidono liberamente di volerle applicare.
In questo solco si insinuano gli accordi sottoscritti da
associazioni quali Unci, Confsal, Ancos, Cnai e Cisal.
I detrattori di queste intese, solitamente sigle concorrenti, guardano dall’alto le parti citate giudicando
inesigibile ogni intesa da queste prodotte.
Permane però il problema di dover argomentare tale
attacco dal punto di vista giuridico; posto che le definizioni “maggiormente” e “comparativamente” non
agevolano, per quanto detto sopra, alcun percorso
selettivo.
Il settore cooperativo e la pluralità di contratti
Il tema legato alla scelta del giusto contratto investe in modo particolare, ma non esclusivo, il settore
cooperativo. Il motivo è presto detto: questo settore lega la propria attività in via pressoché esclusiva
all’ambito degli appalti, ove il costo del lavoro ricopre quasi completamente i costi di esercizio a carico
dell’azienda, riflettendosi inevitabilmente sul prezzo
del servizio.
Gli operatori del settore che intendono conservare
competitività possono agire solo su questo fattore. È
naturale quindi che proprio in tale ambito la tendenza sia la ricerca del contratto più conveniente.
A questo proposito le cooperative applicanti le intese
Unci-Confsal, dalle quali emergono tabelle retributive sicuramente meno ricche di quelle dei contratti di
settore concorrenti, sono passate spesso sotto l’occhio vigile della giurisprudenza. Gli organi giudicanti
non hanno comunque garantito, nei diversi gradi,
veri indici di certezza.
Il settore cooperativo, peraltro, per quanto riguarda
il trattamento economico del socio-lavoratore soggiace ad un regime particolarmente vincolante, che
va ad aggiungersi alle norme cogenti già citate, im-
In questo senso le sentenze di Cassazione n.4074/90; n.6024/00;
n.16764/09; n.400/12.
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In questo senso le sentenze di merito di Bologna n.263/07; Firenze n.265/08; Roma n.15753/08 e n.11728/10.
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posto dalla L. n.142/01 che all’art.3 co.1:
Oltre a rendere dinamica l’azione comparativa, il
Giudice nel passo successivo investe l’Inps dell’onere
di vigilare costantemente sul percorso di rappresentatività di un determinato Ccnl, dando prova dell’eventuale accertata posizione dominante. La decisione viene confermata in appello.
Ma i giudici torinesi non sono nuovi a queste posizioni, già nel 2008 confermavano la natura nazionale
dei contratti stipulati tra Unci e Confsal, tanto da disconoscere l’imposizione di eventuali differenze retributive in forza di discipline collettive più generose.
Sempre a Torino la sentenza n.3988/08 chiarisce
come i capitolati d’appalto non possano imporre
l’applicazione di uno specifico Ccnl, con buona pace
degli auto proclamati sindacati maggiori. Concetto in
parte confermato dal Consiglio di Stato n.4949/06,
che ha ritenuto illegittimo un provvedimento di
esclusione di un’impresa la cui offerta sia stata qualificata come “anormalmente bassa” a causa dei minimi previsti dal Ccnl applicato.
Lo stesso anno con la sentenza n.265/08 il Tribunale di Firenze legittimava per il settore cooperativo
l’applicazione del Ccnl Unci, precisando che l’applicazione di un contratto collettivo nazionale esclude
automaticamente l’obbligo di applicarne uno diverso che prevede minimi contrattuali più favorevoli per
il lavoratore, pur se finalizzato al rispetto il dettato
dell’art.36 della Costituzione.
Per converso, il Consiglio di Stato il 28 marzo 2012
rinfrescava la qualifica di “minore” al Ccnl sottoscritto da Unci evidenziandone la mancanza di rappresentatività, senza però precisare i motivi, sancendo
un principio chiaro che fissa il minimo retributivo
come unico parametro per la qualificazione di un
contratto come “inutilizzabile”. Ciò a significare che
qualora un contratto prevedesse importi maggiori
di uno esistente, sarebbe sicuramente il più adatto,
anzi l’unico “utilizzabile” (per riprendere l’aggettivo
coniato dal Consiglio di Stato).
A supporto di questa tesi viene richiamata la tabella del costo del lavoro che il Ministero elabora sulla
base dei minimi previsti dai sindacati comparativamente più rappresentativi. Chi scrive rileva come
ancora si richiami il concetto di maggiore rappresentatività, senza definirne criteri certi di rilevamento.
In assenza di detti criteri non si può negare che l’unica strada percorribile per definire il Ccnl applicabile,
sia sicuramente coerente, in quanto il Ministero del
Lavoro nei propri Decreti riprende i minimi determinati dalla contrattazione Cgil - Cisl - Uil, pertanto solo
questi secondo il Consiglio di Stato possono ritenersi
“…Fermo restando quanto previsto dall’articolo
36 della legge 20 maggio 1970, n. 300, le società cooperative sono tenute a corrispondere
al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità
e qualità del lavoro prestato e comunque non
inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale
del settore o della categoria affine…”
È quindi davvero libera la cooperativa di applicare un
Ccnl a piacere? Una breve sintesi delle più recenti
pronunce giurisprudenziali agevolerà l’assunzione di
una condotta per lo meno difendibile.
In prima battuta, con riferimento alla pretesa previdenziale, si segnala l’orientamento della Suprema
Corte che ha demandato più volte all’Inps l’onere
di provare la maggiore rappresentatività ed il conseguente Ccnl da applicare per rispettare la retribuzione equa e sufficiente5. Questo percorso a carico
dell’ente previdenziale si rende necessario per giustificare l’applicazione di una determinata disciplina
collettiva. La prova dovrebbe palesarsi sin dal ricorso
introduttivo, tramite l’indicazione dei fatti precisi dai
quali desumere la qualità di organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa su base nazionale.
Il mero recupero contributivo, in assenza del percorso logico giuridico imposto dalla Cassazione, non
può ritenersi legittimo.
Nel merito anche la Corte d’Appello di Torino in data
27 novembre 2009 si è espressa sul tema del recupero, sempre ad opera dell’Inps, dei differenziali contributivi legati alla difforme applicazione del Ccnl.
La questione verteva in modo specifico sull’applicazione per una cooperativa di facchinaggio del Ccnl
Unci/Confsal, invece del Ccnl Cgil/Cisl/Uil con Agci/
Legacoop e Confcooperative, più favorevole ai lavoratori dal punto di vista retributivo. Già in primo grado l’Istituto risultava soccombente.
In questa sede il Giudice torinese di prime cure sanciva un principio applicativo di estremo interesse:
“la maggiore rappresentatività comparata non
può essere determinata a priori e consistere in
una attribuzione stabile ed irreversibile del sindacato, ma deve essere verificata nel tempo attraverso la comparazione con le diverse associazioni…”.
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Cass Sentenza 3912/99.
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applicabili.
In linea con quest’ultima tesi si richiamano le precedenti decisioni dei Tribunali di Torino del 14 ottobre
2010 e Lucca 14 aprile 2011, per converso recentemente il Tribunale di Milano n.4707/13 ribadisce
l’assenza assoluta di relazione diretta tra la maggiore rappresentatività e il contratto più favorevole dal
punti di vista retributivo.
Per quanto concerne la prassi: con la lettera circolare n.4610/12 Ministero del Lavoro offre uno spunto
importante per le aziende del settore cooperativo
che volessero evitare il rischio di diffide accertative. Il Dicastero consiglia infatti agli osservatori della
cooperazione il controllo del Regolamento interno,
documento cardine del nuovo sistema cooperativo
regolato dalla L. n.142/01.
Si rileva però come anche l’inserimento nel regolamento interno del Ccnl applicato non allontani la
minaccia ispettiva, come dimostra la sentenza 1215
della Corte d’Appello di Torino, scaturita proprio da
un’azione dell’Istituto previdenziale tesa a disconoscere l’applicazione del Ccnl Unci - Confsal in una
cooperativa ove il regolamento interno ex art.6 L.
n.142/01 recava esplicitamente l’indicazione dell’applicazione di detto Ccnl.
Nello stesso documento il Lavoro non richiama alcun
riferimento esplicito a precise sigle sindacali eppure,
ad avviso di chi scrive, indirettamente un elemento
di chiaro pregiudizio si rinviene dall’intestazione della lettera circolare, che infatti viene trasmessa per
conoscenza solo a Cgil, Cisl e Uil per parte sindacale
e Agci con Legacoop e Confcooperative per parte datoriale6.
La conferma della tendenza a scegliere sigle precise la si ottiene dalla lettera circolare del 1° giugno
2012 ove il Ministero, riprendendo in prassi i criteri di individuazione dei Ccnl comparativamente più
rappresentativi come visti dalla giurisprudenza, senza mezze misure erge ad unico contratto collettivo
applicabile quello sottoscritto da CGIL, CISL e UIL,
concludendo che ove l’ispettore rilevi applicazioni
difformi da questa debba avviarsi precisa diffida accertativa.
Il Dicastero per mezzo della prassi tende quindi a
conferire quell’efficacia erga omnes che legge e giurisprudenza non sono state in grado di sancire7. Sarebbe a questo punto interessante conoscere il pa-
rere ministeriale qualora le citate sigle arrivassero in
futuro a firmare intese separate.
Le considerazioni espresse devono ritenersi pienamente estendibili a qualsiasi settore, essendosi
questo autore concentrato sul settore cooperativo
in quanto interessato in modo particolare dalla giurisprudenza.
Il giudice di Pistoia rade al suolo le certezze,
colpo di genio o pura sregolatezza?
Esiste una sentenza di merito ineccepibile per chiarezza, ma che proprio perché “troppo conforme” al
dettato normativo, non ha convinto gli operatori del
settore.
Il caso trattato riguardava una cooperativa di facchinaggio, settore in cui concorrono il Ccnl del Trasporto e Logistica, che comprende comunque i facchini
tra i profili regolati, ed il Ccnl del facchinaggio pulizia
e disinfestazione. Proprio quest’ultimo si dimostra
specifico per categoria, tanto da acquisire il titolo di
contratto che per specificità meglio si adatta all’attività da regolare pur sottoscritto da sindacati fino a
questo punto considerati minori quali Unci e Confsal.
Il Tribunale della città murata ha ritenuto infatti il
contratto facchinaggio pulizia e disinfestazione non
solo pienamente rispettoso dei disposti normativi in
tema retribuivo/contrattuale, ma ha pensato bene di
ergerlo a unico contratto applicabile. Infatti il Giudice
del Lavoro ritiene che il corretto contratto collettivo
da applicarsi è quello che regola l’attività concretamente svolta.
Dovesse condividersi questa lettura, comunque non
certo peregrina anche se estrema nei suoi effetti, diventerebbe determinante regolare specificatamente
un singolo settore scoperto, o accorpato ad altri più
ampi, per considerare quel Ccnl come unico applicabile.
Tale interpretazione peraltro spingerebbe fuoristrada comparti interi quali ad esempio quelli artigiano
che da anni ha intrapreso un proficuo percorso di accorpamento settoriale, anche al fine di ottimizzare le
energie da spendere ai tavoli concertativi.
Questa lettura coraggiosa, invertirebbe la tendenza
oltraggiosa che la lettura sindacale ha sovente riservato ai contratti “minori” che, per converso, verrebbero elevati a contratti pienamente aderenti all’attività concretamente svolta dall’azienda.
L’effetto sarebbe quello di definire intese sempre più
legate alle caratteristiche specifiche dell’attività da
regolare.
Posta la scelta degli interlocutori, riteniamo anomalo che la Direzione Generale possa avallare l’applicazione di Ccnl diversi da
quelli sottoscritti dai destinatari della lettera circolare.
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In realtà è la volontà delle parti.
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La Corte Costituzionale tira un sospiro di
sollievo concentrandosi sulla forma a dispetto della sostanza
cita dalla mancata applicazione del secondo comma
dell’art.39 della Costituzione, nessun elemento di
certezza pare oggi rinvenirsi nel nostro diritto positivo. La mancata definizione dei concetti di sigle maggiormente o comparativamente più rappresentative
legittima, ancora oggi, qualsiasi sigla a contrarre.
In questo scenario ogni datore di lavoro può misurare la propria indipendenza contrattuale:
• decidendo in piena libertà l’intesa più confacente alle proprie esigenze ed esponendosi di conseguenza a rischi per lo più ispettivi, ma con buone possibilità di trovare conforto nel Giudice del
Lavoro una volta superata la fase stragiudiziale;
• oppure applicando le intese che prevedono il
trattamento retributivo di miglior favore, che
ogni lavoratore o ente ispettivo non avrebbe alcun interesse a contestare.
In altre parole il significato degli aggettivi “minore” o
“maggiore” assegnati ai contratti collettivi, è inversamente proporzionale al rischio che incorporano.
L’operatore sa quindi che la legittimità a contrarre,
estesa a tutte le sigle, non trova oggi limitazione alcuna nei concetti di “minore” o “maggiore”.
Non deve fuorviare nemmeno il Decreto del Ministero dello Sviluppo economico del 22 novembre 2013,
finalizzato alla revoca del riconoscimento quale associazione di rappresentanza del settore cooperativo
all’Unci.
Tale decreto, peraltro al tempo in cui si scrive sospeso dal Tar8 su impugnazione dell’associazione stessa,
attiene esclusivamente la legittimazione dell’Unci ad
operare quale revisore di società cooperative secondo quanto previsto dal D.Lgs. n.220/029.
Nulla questio invece sulla capacità a contrarre, che
può comunque conservarsi indipendentemente dalle posizioni del Mise, che non assumono alcun rilievo
in ambito concertativo.
Tutti noi operatori del settore abbiamo sperato che
la Corte Costituzionale fosse in grado di produrre un
giudizio dirimente sulla questione della rappresentatività, tramite lo spunto offerto dal settore cooperativo. Se i tribunali di merito possono dedicarsi
alle più diverse articolazioni logiche, se la Cassazione
non guarda il merito pur spingendosi spesso verso
pronunce determinanti anche su questioni non propriamente di legittimità, il Giudice delle Leggi non
può discostarsi dalla Carta.
E in tema di efficacia contrattuale la nostra Costituzione offre una soluzione chiara e incontrovertibile
legata alla mancata applicazione dell’art.39. Nel caso
di specie però il tema è delicato perché la Corte,
investita della questione dal Tribunale di Lucca, si
sarebbe trovata costretta a sancire la piena applicazione di qualsiasi intesa collettiva, legittimando retribuzioni distanti da quelle sostenute dal Ministero
del Lavoro.
La sentenza n.59 del 29 marzo 2013 di fronte a tante
aspettative, sarebbe potuta diventare epica e dirimente, avrebbe potuto segnare il nuovo tempo della concertazione. Il fato ha voluto che il ricorrente
(Inps) sia inciampato in errore nell’individuazione
della norma presumibilmente disapplicata, avendo
posto a scrutinio una disposizione non pertinente
rispetto all’oggetto delle censure.
Il ricorrente infatti si è concentrato sulla normativa
pertinente la determinazione della retribuzione da
garantire ad una determinata categoria. La questione
che ha generato la remissione invece verteva il rapporto previdenziale che interessa azienda ed Inps,
doveva pertanto richiamarsi la diversa L. n.389/89.
L’aberratio ictus ha permesso al Giudice delle Leggi
di potersi smarcare da una decisione scomoda, limitandosi, con piena cognizione di causa, ad evidenziare l’errore nell’individuazione della legge da tutelare.
Qualcuno ha indicato la luna, ma fortunatamente la
Corte è stata costretta a guardare il dito.
Conclusioni
Oltre ad una giurisprudenza oscillante, che si badi
bene non ha mai condannato in modo definitivo le
sigle minori, oltre ad una disciplina di diritto comune che non permette ad alcuna intesta di esprimere
efficacia generalizzata ed oltre a strumenti ispettivi
che non sempre assistono la libertà sindacale san-
Ordinanza 30 gennaio 2014 con fissazione della trattazione di
merito al 12 giugno 2014.
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Si veda il recente Punto di Vista di Francesco Natalini nel Giurista del Lavoro n.3/14 pag.7-9, pienamente condiviso da questo
autore.
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