ISTITUTO DI STUDI E ANALISI ECONOMICA Rapporto ISAE Le previsioni per l’economia italiana L’Italia nell’integrazione europea Marzo 2007 Il Rapporto è frutto del lavoro collettivo di un gruppo di ricercatori dell’ISAE coordinati da Sergio de Nardis. In particolare, i testi sono stati redatti da: Maurizio Bovi, Cristina Brandimarte, Sandro Calabresi, Roberta De Santis, Marco Fioramanti, Alessandro Girardi, Andrea Imperia, Massimo Mancini, Maria Cristina Mercuri, Chiara Oldani, Carmine Pappalardo, Giovanni Principe, Daniela Rossi, Franco Sartori, Luisa Sciandra e Claudio Vicarelli. Per la parte: L’Italia nell’integrazione europea, gli autori sono: - Roberto Basile e Marianna Mantuano (capitolo 1); - Roberta De Santis e Claudio Vicarelli (capitolo 2); - Tatiana Cesaroni e Carmine Pappalardo (capitolo 3); - Mauro Costantini, Sergio de Nardis e Massimo Mancini (capitolo 4). Si ringraziano per l’assistenza Emma De Angelis e Paolo Fanfoni. La composizione editoriale è stata curata da Maurizio Brioni e Fernanda Turella dell’area “Servizi editoriali e grafici” dell’Istituto, diretta da Silvia Fanfoni. Il Rapporto è stato chiuso con le informazioni disponibili al 26 marzo 2007. “ RAPPORTO ISAE ” - Registrazione del Tribunale di Roma n° 136/2005 dell’11 aprile 2005 Direttore Responsabile: prof. Alberto Majocchi ISTITUTO DI STUDI E ANALISI ECONOMICA ISAE - Roma - Piazza dell’Indipendenza, 4 - 00185 STAMPATO PRESSO LA SEDE DELL’ISTITUTO - marzo 2007 INDICE Introduzione e sintesi .....................................................................................................v Economia internazionale e area euro: evoluzione recente e previsioni 2007-2008 Tendenze del quadro internazionale ........................................................................... 1 Crescita, cambi, prezzi delle materie prime e commercio mondiale ...........................3 Maggiori economie avanzate ...................................................................................... 6 Aree emergenti .......................................................................................................... 11 Area dell’euro ........................................................................................................... 14 Politica monetaria e mercati finanziari nell’area dell’euro ........................................18 Economia italiana: evoluzione recente Offerta ....................................................................................................................... 27 Riquadro: Trasformazioni dell’industria italiana ......................................................42 Domanda nazionale ....................................................................................................54 Scambi con l’estero ....................................................................................................58 Riquadro: Competitività di prezzo dell’Italia per settori e per paesi .........................66 Mercato del lavoro .....................................................................................................79 Riquadro: Un confronto preliminare sull’andamento della produttività settoriale nell’area euro e in Italia nel periodo 1970-2004 ......................86 Prezzi .........................................................................................................................90 Finanza pubblica ........................................................................................................95 Riquadro: La manovra di finanza pubblica per il 2006 ...........................................103 Previsioni per l’Italia 2007-2008 ...............................................................................111 Riquadro: La manovra di finanza pubblica per il 2007 ...........................................133 L’Italia nell’integrazione europea 1 Cambiamenti nella geografia economica europea dopo il mercato unico e la creazione dell’Unione monetaria: la collocazione delle industrie italiane ..........145 2 Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri. La posizione competitiva dell’Italia .........................................................................185 Riquadro: Un’analisi panel dinamica dell’equazione gravitazionale: lo stimatore “System GMM” ..................................................................190 3 Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione: specificità dell’economia e dell’industria italiana ...............................................................................................207 4 Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano .....................................................................................................251 Introduzione e sintesi UNA PROSPETTIVA MIGLIORE Il 2006 è stato un anno positivo per l’Italia. Le stime ISAE per il biennio successivo confermano, a condizione che il quadro internazionale regga, l’abbandono del sentiero di “crescita zero”, in cui il nostro sistema sembrava essersi impantanato nei primi anni duemila, e il possibile ritorno verso dinamiche annuali più robuste – leggermente inferiori al 2% - simili a quelle che caratterizzavano la seconda metà del decennio novanta: ritmi di per sé non eccelsi, ma neanche disprezzabili se si tiene conto del periodo da cui si proviene e del fatto che, data la bassa demografia, tali andamenti corrispondono a evoluzioni di analoga entità nelle grandezze pro-capite. Essi potrebbero costituire la base per un più deciso rafforzamento del potenziale produttivo che sarebbe consentito da interventi di ammodernamento in quei settori dell’economia e della vita civile su cui non può operare l’azione di spinta all’efficienza derivante dalla pressione concorrenziale internazionale. Che fosse in corso un miglioramento delle possibilità di crescita italiane i previsori lo avevano messo in conto, ma – come spesso avviene nei punti di svolta e allo sbocco di complessi processi di ristrutturazione – avevano sottostimato l’intensità della ripresa. Se si ripercorre la congiuntura delle previsioni, si vede che all’inizio dello scorso anno gli analisti (incluso l’ISAE) accreditavano al più un aumento dell’attività economica dell’1-1,4% per il 2006; la stima si era a fatica innalzata nei successivi round previsivi, spostandosi all’1,4-1,5% in estate; solo nei quadri predisposti negli ultimi mesi dell’anno si era giunti a prospettare incrementi dell’1,7-1,8%. La sottovalutazione, beninteso, non aveva riguardato solo l’Italia, ma l’intera area europea, vista ancora a debita distanza (alla deriva secondo gli osservatori più negativi) rispetto agli Stati Uniti. Lo scetticismo della gran parte delle analisi si concentrava, tuttavia, soprattutto sull’Italia, per la quale – al di là dei numeri più o meno fiacchi proposti in previsione – si giudicava preclu- -v- Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 sa, date le inerzie strutturali che sembravano caratterizzare il sistemaPaese, ogni possibilità di aggiustamento, a meno che non si mettessero in campo profonde riforme di politica economica (dal capitale umano, alle infrastrutture, alle liberalizzazioni), tutte in sé potenzialmente virtuose per il sostegno allo sviluppo, ma che richiedono tempo per dare i frutti sperati. Un aggiustamento, invece, si è verificato. Esso è stato spontaneo (senza cioè l’intervento del policy maker), è risultato guidato dalle forze della competizione globale (il mercato), ha riguardato i settori maggiormente esposti alla concorrenza estera, si è plasmato sulle caratteristiche strutturali della nostra economia (dotazione dei fattori, vantaggi tecnologici, eredità storiche, assetti istituzionali). Esso, inoltre, si è realizzato in un quadro di tendenze della finanza pubblica sostanzialmente migliore di quanto si temeva; un dato che può avere, anch’esso, implicazioni per le potenzialità di crescita di lungo periodo del sistema produttivo. L’ISAE ha cercato, in questi anni, di scavare sotto la crosta della deludente performance macroeconomica, argomentando i motivi di infondatezza che si riteneva inficiassero il paradigma interpretativo del declino nelle sue varie sfumature (Rapporto di febbraio 2005), tentando poi di fornire evidenze sulle trasformazioni in atto nel prolungato periodo di crisi industriale (Rapporto di febbraio 2006), studiando infine le caratteristiche dell’atipico ciclo negativo degli anni duemila alla ricerca del un punto di svolta (individuato nei primi mesi del 2005) alla fase di stagnazione dell’economia (Rapporto di luglio 2006). Nel presente Rapporto proseguiamo, ancor più, in questa direzione perché riteniamo che gli sviluppi degli ultimi anni – tra complesso adattamento all’euro, pressioni concorrenziali globali e cambiamenti nei meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro – abbiano imbrogliato non poco le carte, complicando la lettura delle vicende italiane e finendo col fare apparire amplificata oltremisura anche la gravità di (pur presenti) fenomeni negativi, come la stasi della produttività e la perdita competitiva, dando adito a ipotesi molto pessimistiche di regresso strutturale del Paese. - vi - Introduzione e sintesi LA RISTRUTTURAZIONE Il punto d’attacco dell’analisi è l’osservazione che la ripresa italiana manifestatasi nel 2006 (ma in atto dall’anno precedente), pur essendo un fenomeno ciclico legato al risveglio europeo e al ritorno, dopo lunga latitanza, della locomotiva tedesca, trova un fondamento nel processo di ristrutturazione operato negli ultimi anni dalle imprese manifatturiere: il recupero del ciclo ha, quindi, costituito un’evoluzione condivisa con l’area europea; esso ha consentito di portare alla luce i risultati dell’aggiustamento italiano. Poiché l’intensificazione delle spinte competitive sulla nostra economia sono state (quasi esclusivamente) di ordine internazionale, il settore che “ha dovuto” reagire, aggiustandosi e riorganizzandosi, è stato quello esposto alla concorrenza estera, vale a dire, fondamentalmente, l’industria manifatturiera. Si individuano due principali spinte al cambiamento italiano indotte dalla globalizzazione: l’integrazione della Cina nei mercati mondiali e l’adesione all’euro (in quest’ultimo caso, si tratta di una globalizzazione alle “porte di casa”, ma portata ai massimi livelli). Mentre per le pressioni competitive cinesi l’effetto è presto detto, essendosi concretizzato in una formidabile spinta allo spiazzamento dei prodotti di fascia bassa nei settori di tradizionale specializzazione della nostra industria, per l’euro le ripercussioni sembrano più complesse. Esse si sono sostanziate certamente nell’adattamento dei produttori alla perdita di quell’importante strumento di aggiustamento, molto usato in passato dall’Italia, costituito dal tasso di cambio. Non è stato, però, solo questo. L’approfondimento dell’integrazione, che ha raggiunto un culmine con la moneta unica, si è accompagnato ad alcune modifiche nella geografia economica europea e ha indotto asimmetrici effetti di impulso agli scambi intra-area, rispetto a cui l’Italia si è trovata in posizione atipica e, in parte, relativamente svantaggiata, con non banali ripercussioni, tra l’altro, sulla convergenza ciclica del nostro Paese nei confronti delle dinamiche della zona euro. A questi ultimi aspetti dedichiamo i capitoli di approfondimento nella seconda parte del Rapporto su cui, di seguito, si torna. Ciò che preme qui evidenziare è “in cosa” è consistita questa ristrutturazione industriale. Da un esame dei dati disponibili emergono alcune caratteristiche essenziali, così riassumibili: 1) al contrario dei precedenti episodi di riorganizzazione (primi anni ottanta e inizio de- - vii - Ripresa ciclica, ma fondata sulla ristrutturazione Riflessioni sulle trasformazioni nell’industria Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 cennio novanta) non è stata, nell’insieme, di tipo labour saving (l’occupazione nell’industria in senso stretto è scesa dello 0,6% all’anno a fronte di cadute del 2,7% nelle precedenti occasioni, in presenza di contrazioni produttive di entità analoga a quella dei primi anni di questo decennio); 2) è stata di tipo inter-settoriale, accompagnandosi a un certo ridimensionamento dei settori tradizionali (tessile, abbigliamento, cuoio, calzature, mobili e prodotti della casa), a una crescita di altri settori di specializzazione (meccanica strumentale) e di comparti a media tecnologia (alimentari, industria energetica, prodotti intermedi in metallo, carta-stampa) e a un’ulteriore contrazione relativa dell’alta tecnologia; 3) è stata anche di tipo intra-settoriale, comportando, come già avvenuto in passato in occasione dell’acutizzarsi della competizione dei paesi a basso costo, la scrematura delle imprese meno efficienti nelle industrie tradizionali e il conseguente spostamento di queste produzioni su fasce qualitative più elevate, maggiormente al riparo dalla concorrenza delle economie emergenti; 4) nonostante il ridimensionamento del peso dei settori di beni di consumo del Made-in-Italy, non si è verificata una modifica del modello di specializzazione del paese relativamente ai partner industriali, rivestendo tuttora i comparti tradizionali in Italia, accanto alla meccanica strumentale e ad alcune produzioni intermedie, un ruolo proporzionalmente maggiore rispetto a quanto avviene nelle economie europee e negli altri sistemi con analogo grado di sviluppo; 5) i movimenti inter e intra-settoriali si sono accompagnati a una ricomposizione nella struttura delle imprese esportatrici, con un ricambio (uscita di alcune aziende dai mercati esteri e afflusso di “nuovi” esportatori) particolarmente intenso tanto nei settori che hanno sofferto maggiormente la crisi competitiva dei primi anni duemila (indotto dell’auto, abbigliamento, cuoio-pelli-calzature), quanto in quelli caratterizzati da una migliore tenuta sui mercati internazionali (meccanica) o che hanno registrato un rafforzamento competitivo (metallurgia e prodotti in metallo) e, inoltre, con alcune peculiarità dimensionali, avendo il rinnovamento nella composizione degli esportatori, da un lato, interessato soprattutto le grandi unità produttive, e, dall’altro, “arricchito” di nuovi attori (con afflussi di esportatori nuovi in eccesso rispetto a quelli scomparsi) maggiormente la platea di imprese di medio-piccola dimensione. Si può leggere in queste tendenze un elemento di debolezza nel tipo di ristrutturazione sperimentata dall’industria italiana? Viste la li- - viii - Introduzione e sintesi mitata riduzione dell’occupazione, che si è riflessa in un calo della produttività, e la staticità del modello di specializzazione, che sembra tradursi in una persistente esposizione alla concorrenza dei paesi emergenti, si potrebbe essere portati a rispondere in modo affermativo: si tratta di una ristrutturazione fragile, che non cancella i rischi per l’Italia. A nostro parere, però, le cose non stanno così e per diverse ragioni. Per quanto concerne l’aggiustamento sul fronte dell’occupazione ci si dovrebbe domandare perché mai le imprese italiane non abbiano tratto vantaggio, per innalzare i livelli di produttività, da un mercato del lavoro che negli anni duemila presenta elementi di flessibilità maggiori che nei decenni ottanta e novanta, periodi in cui, in occasione degli episodi di ristrutturazione, si ebbero notevoli tagli occupazionali (con forti tensioni sindacali in un caso e con l’aiuto dell’intervento pubblico nell’altro). A nostro avviso, questo non è avvenuto tra il 2000 e il 2005 per due motivi. In primo luogo, il lavoro – grazie alla moderazione salariale e all’abbattimento, consentito proprio dalle flessibilità, dei costi impliciti nel suo utilizzo – non è stato più il fattore sui cui realizzare i risparmi nei costi operativi (come invece avveniva nei tempi in cui, dopo anni di complesse relazioni industriali, esso risultava “caro” e “rigido”). Anzi, il lavoro sembra quasi diventato un fattore da tesaurizzare in azienda (riducendone, magari, il grado di utilizzo nei tempi di bassa congiuntura); comunque una risorsa da impiegare con maggiore intensità nei processi produttivi, in combinazione con gli altri input. Da questa prospettiva, la flessione della produttività è, in parte, la conseguenza di una scelta di cambio di tecnologia a correzione di mix fattoriali che riflettevano prezzi relativi (espliciti e, soprattutto, impliciti) delle risorse produttive alquanto diversi da quelli della situazione attuale. In secondo luogo, la ristrutturazione degli anni duemila sembra avere richiesto, per aumentare l’efficienza, di far leva su aspetti dell’assetto produttivo diversi dai semplici risparmi di costo ottenuti attraverso riduzione del personale. Essa ha piuttosto comportato interventi, da un lato, di riorganizzazione interna per l’efficace, ancorché ritardata, adozione delle nuove tecnologie (con la realizzazione di investimenti complementari alle innovazioni tecnologiche) e, dall’altro, di riposizionamento delle linee produttive su fasce qualitative più elevate, soprattutto nei settori tradizionali della nostra industria esposti alla competizione delle economie a basso costo del lavoro (con la realizzazione di investimenti in asset immateriali quali ricerca, design, - ix - Convenienze relative dei fattori e leve per l’efficienza Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 È rilevante la specializzazione? marchio, marketing, ecc.). In entrambi i casi, a decidere sul successo o meno degli sforzi delle imprese volti al recupero di competitività non è stata la percentuale dei licenziamenti, ma la qualità e le scelte del management aziendale: un fattore spesso negletto nell’analisi macroeconomica della situazione italiana. Anche per quanto riguarda l’apparente inerzia del modello di specializzazione dell’Italia, la valutazione tende a non essere negativa. In primo luogo perché – come già si sottolineava nel Rapporto ISAE del febbraio 2005 in contrapposizione con la tesi allora risorgente di obsolescenza del modello italiano – non si ritiene che esistano, a priori, specializzazioni da preferire ad altre: se una data struttura della produzione risponde alle profonde vocazioni produttive di un paese – e questo sembrerebbe il caso dell’Italia, visto che neanche la spallata delle grandi economie emergenti è riuscita a scalzare la nostra industria dai tradizionali presidi di vantaggio comparato – allora quella specializzazione è la migliore che si può avere; nelle condizioni date, forzare lo spostamento di risorse verso industrie che si ritengono “a tavolino” migliori (perché si presume, a torto o a ragione, che siano a più alta tecnologia, a più alta crescita della domanda, a più alto valore aggiunto, a più alta produttività e quant’altro) potrebbe rivelarsi un danno per sé e per gli altri (oltre che un’impresa ad alto rischio di sprechi a carico della collettività). In secondo luogo, la condizione estremamente polarizzata di vantaggi e svantaggi competitivi che caratterizza l’Italia sottende, in realtà, una matrice di offerta alquanto articolata. Sotto questa prospettiva, gli indicatori di specializzazione possono essere fuorvianti. Essi misurano unicamente un fenomeno relativo: l’alta specializzazione nella filiera moda-casa segnala che in Italia questi settori sono “rappresentati” più che nei partner industriali; l’output italiano è, però, più variegato di quanto si può essere indotti a pensare sulla base di questi indicatori. Infine, come dovrebbe avere insegnato anche l’esperienza italiana di (sorprendente) lock-in nei settori tradizionali, ciò che conta sono i comportamenti delle imprese, le loro capacità di innovare, di sfruttare le opportunità dell’internazionalizzazione, di riorganizzarsi in funzione delle nuove tecnologie, di proporre prodotti diversi da quelli di concorrenti che possono contare su costi del lavoro pari a una frazione di quelli nazionali. Quindi ai fini della crescita competitiva, non sembra tanto importante il settore in cui si è specializzati o de-specializzati, quanto il fatto che in entrambi i casi riescano a -x- Introduzione e sintesi emergere le imprese in grado di operare sulla frontiera delle rispettive possibilità produttive; il reshuffling relativamente intenso nella popolazione degli esportatori, che il campione delle inchieste ISAE segnala soprattutto in alcuni settori, potrebbe lasciare ben sperare nel fatto che si sia in effetti realizzato, seppure con ritardi e difficoltà, un movimento in questa direzione. CICLO E PREVISIONE L’accelerazione dell’attività economica nel 2006 (+1,9%), pur risentendo di miglioramenti in quasi tutti i settori (unica eccezione, l’agricoltura), ha fondamentalmente riflesso il ritorno su un sentiero di crescita sostenuta dell’industria in senso stretto, il cui valore aggiunto è aumentato, in volume, del 2,8% nei dati corretti per il calendario; esso si era contratto di oltre l’1% all’anno tra il 2000 e il 2005 (-5,5% cumulativamente). Il rialzo sperimentato nel 2006 fa risalire l’attività manifatturiera ai livelli medi di tre anni prima; essa risulta ancora di un 3% circa inferiore al picco del 2000. La “qualità” del recupero dell’industria nel 2006 è avvalorata dal risveglio sperimentato nella produttività del lavoro: dopo essere aumentato dell’1% nel 2005, il valore aggiunto per addetto si è incrementato di un ulteriore 1,5% lo scorso anno. Ciò che più conta è che il rialzo della produttività manifatturiera si è manifestato, nel 2006, in concomitanza con una significativa ripresa dell’occupazione industriale (+1,3% in termini di unità di lavoro standard), dopo un quinquennio di continua contrazione (pur se moderata in rapporto ai cali produttivi). Il ciclo industriale ha, inoltre, presentato in corso d’anno caratteristiche di crescente diffusione. Dall’inizio del 2006 la ripresa è andata interessando anche i settori del sistema moda-arredo che avevano accusato le cadute più consistenti e che apparivano in ritardo nel manifestare segnali di risveglio. Tra la fine dello scorso anno e l’inizio di quello corrente la diffusione della fase espansiva, pur subendo un lieve ridimensionamento rispetto a metà 2006, riguardava il 65% dei comparti manifatturieri (su oltre 180), una percentuale prossima al valore che contrassegnava i mesi centrali del 2000. - xi - Fatti essenziali del 2006 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Dal lato della spesa, gli elementi di maggiore rilievo sono venuti dalle dinamiche dei consumi e delle esportazioni. La spesa delle famiglie è tornata ad aumentare, si stima, leggermente più del reddito disponibile, talché la discesa della propensione al consumo, che aveva contrassegnato il quinquennio 2001-05, si sarebbe interrotta e avrebbe anzi mostrato un lieve rialzo lo scorso anno. Le esportazioni, d’altro canto, hanno registrato una consistente accelerazione aumentando del 5,5%, l’incremento più elevato dal 2000. Il rinvigorimento delle vendite all’estero ha certamente risentito della robusta espansione del commercio mondiale (+9,5% circa) e, in particolare, della ripresa degli scambi intra-europei; si segnala, tuttavia, anche una prima, parziale frenata nel processo di erosione della quota di mercato in volume, che è bensì diminuita, ma a ritmi meno intensi di quanto verificatosi negli ultimi anni. La ripresa delle vendite all’estero ha poi funto da volano per l’irrobustimento delle spese per investimento e per l’attivazione di maggiori acquisti dall’estero. L’accelerazione dell’attività economica ha comportato un sostanziale miglioramento del mercato del lavoro. L’occupazione, misurata in termini di unità standard, è tornata a crescere, dopo un biennio di sostanziale stasi, venendo trainata, oltre che dal ricordato recupero nel settore industriale, da rialzi consistenti nei servizi. Queste dinamiche hanno consentito l’ulteriore riduzione del tasso di disoccupazione, sceso a fine anno al 6,5%, e la ripresa, dopo l’interruzione del biennio 2004-05, del graduale processo di rialzo nei tassi di occupazione (al 58,5% a fine 2006) e di attività (al 62,9%). Se si confronta questa fotografia del mercato del lavoro con quella di appena dieci anni prima colpiscono le marcate differenze: la percentuale dei disoccupati è quasi dimezzata, quella degli occupati in rapporto alla popolazione in età di lavoro è aumentata di circa sette punti, di nove punti nella componente femminile, il tasso di partecipazione si è innalzato di cinque punti. Certamente, a eccezione della quota dei senza lavoro, si tratta di cifre ancora lontane dalle medie europee, per non parlare dei traguardi fissati dagli obiettivi di Lisbona; esse, inoltre, sottendono nuovi importanti squilibri e dualismi tra lavoratori più e meno tutelati che aprono problematiche diverse e non meno complesse relative soprattutto all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, alle loro velocità di carriera, alle loro basse prospettive pensionistiche. Tuttavia, non si può non rimarcare che qualcosa di profondo è cambiato nel mercato del lavoro - xii - Introduzione e sintesi italiano e che questo mutamento si è realizzato nonostante un periodo di crescita molto modesta; le due cose (innalzamento dell’occupazione e abbassamento dello sviluppo) non avrebbero potuto andare insieme – a meno di immaginare ampi errori di misurazione statistica dei fenomeni – senza il verificarsi di un mutamento, quale quello sopra ricordato per l’industria, nelle convenienze relative dei fattori e, al contempo, la realizzazione di un cospicuo abbattimento della cosiddetta disoccupazione strutturale; su questi aspetti si dedica un capitolo nella seconda parte del Rapporto. La dinamica dell’inflazione si è mantenuta contenuta nel 2006, nonostante le forti tensioni che hanno caratterizzato i prezzi dei prodotti energetici e l’ulteriore abbassamento nel tasso di disoccupazione. Le pressioni di origine esterna sono state compensate da spinte sui prezzi generate all’interno nell’insieme moderate. I prezzi al consumo hanno così registrato una crescita del 2,1%, solo due decimi in più rispetto al 2005. In termini di indice armonizzato, la dinamica è stata del 2,2%, allineata, come già nel 2005, alla media dei paesi aderenti all’UEM. L’anno si è, infine, chiuso con risultati nei conti pubblici sensibilmente più favorevoli di quanto era atteso. L’indebitamento netto si è situato al 4,4% del PIL; escludendo le poste passive di natura straordinaria (fondamentalmente, rimborsi dell’IVA sulle auto aziendali e cancellazione dei crediti dello Stato nei confronti della società TAV), il deficit è notevolmente diminuito, attestandosi al 2,4% del prodotto, in calo dal 4,1% del 2005. In presenza di una stabilizzazione della spesa in rapporto al PIL, il miglioramento è scaturito dalla dinamica molto favorevole delle entrate correnti, la cui stima è stata rivista più volte al rialzo in corso d’anno. Tale espansione è da riconnettere alla ripresa economica, a gettiti superiori alle attese per alcune imposte una tantum previste dalla legge finanziaria per il 2006, agli effetti dell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale e agli interventi di incremento (permanente) di incassi disposti con la manovra di bilancio. L’avanzo primario si è portato al 2,2% (0,2% tenendo conto delle poste straordinarie di uscita), tornando sui livelli di cinque anni prima. Il rapporto debito/PIL si è attestato al 106,8%, sei decimi di punto in più rispetto all’anno precedente. Come detto all’inizio di questa introduzione e come si è cercato successivamente di argomentare, i buoni risultati del 2006 non costituiscono un isolato episodio di rimbalzo dopo una lunga congiuntura - xiii - Previsioni al 2008 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Quadro internazionale Petrolio negativa: la prospettiva italiana sembra essersi riportata su binari stabilmente più favorevoli, essa potrebbe rafforzarsi ulteriormente nel medio-lungo periodo se ai processi spontanei di aggiustamento si affiancassero azioni di miglioramento qualitativo dei fattori della produzione (infrastrutture, capitale umano, istruzione) e di maggiore apertura alle spinte della concorrenza e ai criteri del merito in quei settori della vita economica (servizi, pubblica amministrazione, professioni) poco o nulla esposti all’influenza della competizione internazionale. Ovviamente, per un sistema aperto come quello italiano è cruciale la tenuta del quadro globale, su cui pesano alcuni fattori di rischio principalmente legati alle ripercussioni dello sgonfiamento della bolla immobiliare negli Stati Uniti e alle possibili interazioni che scricchiolii in segmenti del credito americano potrebbero avere con l’accentuazione di volatilità recentemente evidenziata dalle varie piazze finanziarie. Nello scenario che assumiamo a riferimento – sostanzialmente in linea con quello di consenso adottato dagli organismi internazionali – non si verificano episodi traumatici di rottura dell’economia mondiale. Esso sconta che gli elementi di criticità presenti nell’attuale situazione possano essere governati, da un lato, con un’accorta azione sulle leve della politica monetaria delle principali economie, dall’altro, grazie all’incidenza favorevole di alcuni driver della congiuntura internazionale. L’evoluzione del prezzo del greggio, in sostanziale ribasso rispetto alle attese che venivano formulate qualche mese fa, dovrebbe svolgere un effetto di contenimento sui rischi di frenata, contribuendo alla moderazione delle dinamiche inflazionistiche dei paesi importatori e al sostegno della spesa dei consumatori (in particolare, quelli americani). Nelle nostre ipotesi, la quotazione del petrolio si situa intorno ai 57 dollari a barile nella media del 2007 (-13% circa rispetto al 2006); nel 2008 esso rimarrebbe sostanzialmente invariato sui livelli della fine dell’anno precedente (56 dollari). Questa previsione “media” tra l’operare dei fondamentali, che spingerebbero verso una quotazione anche più bassa di quella ipotizzata, e i permanenti fattori di tensione geo-politica che agiscono invece in senso opposto; se le tensioni dovessero tornare ad acutizzarsi, i corsi petroliferi naturalmente ne risentirebbero con la possibilità di nuovi picchi che, per quanto episodici (come quelli della scorsa estate), condurrebbero comunque a quotazioni in media d’anno superiori a quelle ipotizzate. - xiv - Introduzione e sintesi Sul fronte delle politiche monetarie, ci si attende che il rallentamento ciclico e l’affievolirsi dei pericoli di recrudescenze inflazionistiche (grazie ai minori costi di approvvigionamento energetico) spingano la Federal Reserve verso un’intonazione più espansiva, con una riduzione dei tassi di interesse nella seconda metà dell’anno a un livello del 4,5% e con una successiva stabilizzazione nel 2008. Nella zona euro, dopo il rialzo di marzo, la BCE aumenterebbe a inizio estate di un altro quarto di punto, al 4%, il tasso di rifinanziamento marginale; gli andamenti degli aggregati monetari, più che l’evoluzione della congiuntura e le prospettive dell’inflazione, spingerebbero a operare quest’ulteriore correzione. La fase di aumenti, avviata nel dicembre del 2005, potrebbe poi subire un’interruzione fino alla metà del 2008, quando si prevede un nuovo ritocco, al 4,25%, in connessione a un possibile rafforzamento della crescita europea. Nel mercato valutario, le diverse fasi cicliche attraversate da Stati Uniti ed Europa e la prosecuzione della riduzione del differenziale nei tassi a breve termine tra le due aree contribuirebbero, nel corso di quest’anno, a una certa debolezza del dollaro nei confronti dell’euro, che continuerebbe comunque a oscillare all’interno della banda 1,281,33 emersa negli ultimi mesi. Nella media del 2007, la quotazione della valuta americana si attesterebbe a 1,32; nel 2008, si ipotizza una parziale inversione del dollaro, con un cambio medio di 1,29 rispetto all’euro. In questo contesto, ci si attende, nel 2007, una moderazione della crescita internazionale, dopo l’accelerazione dell’anno precedente; la dinamica del 2008 sperimenterebbe un lieve rafforzamento a riflesso di andamenti sostanzialmente positivi in tutte le principali aree. Negli Stati Uniti, il rallentamento, già manifestatosi nel corso del 2006, dovrebbe proseguire nella prima metà dell’anno corrente. Nella media del 2007 l’aumento del PIL americano risulterebbe del 2% (3,3% nel 2006); la congiuntura statunitense potrebbe tornare a irrobustirsi l’anno prossimo (con una crescita del 2,8%), in virtù del favorevole contesto esterno e di qualche moderato fattore di stimolo proveniente dalla politica monetaria e da quella fiscale. L’Asia continuerebbe a rappresentare il principale motore dello sviluppo mondiale, venendo trainata dall’espansione ancora molto accentuata di Cina e India. Il Giappone, avvantaggiandosi del forte dinamismo della regione e potendo contare - xv - Tassi di interesse Cambi Crescita globale Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Ciclo italiano anche su una maggiore vivacità della domanda interna, crescerebbe di circa il 2 per cento nei due anni. Nell’area euro, alla forte accelerazione dell’ultimo trimestre del 2006 dovrebbe fare seguito una moderazione della crescita nella prima parte dell’anno. L’aumento dell’IVA in Germania, frenando in parte i consumi tedeschi (pur se, presumibilmente, meno di quanto si temeva), contribuirebbe all’attenuazione della dinamica economica. La fiducia delle imprese europee, in continua risalita per gran parte dello scorso anno, ha registrato un lieve ripiegamento negli ultimi mesi del 2006 per poi stabilizzarsi su livelli storicamente elevati all’inizio del 2007; su questo andamento ha influito l’evoluzione del clima di opinione delle imprese tedesche, in parziale ridimensionamento nel recente periodo rispetto ai picchi invernali. Nelle nostre stime, il PIL della zona euro dopo essere aumentato nel 2006 del 2,8%, il risultato migliore dal 2000, si incrementerebbe quest’anno del 2,3%, a riflesso di una prima metà dell’anno in relativa decelerazione. La crescita potrebbe tornare a irrobustirsi nella seconda metà del 2007 e nel corso del 2008, pur se in termini di risultati medi annui la dinamica del 2008 non sarebbe dissimile da quella dell’anno corrente. Le componenti interne della domanda dovrebbero continuare a fornire un impulso positivo all’economia europea in entrambi gli anni, risentendo dei miglioramenti nel mercato del lavoro, di condizioni creditizie persistentemente favorevoli e della buon andamento dei profitti. Il commercio internazionale, dopo l’intensa espansione del 2006 (+9,4%), si modererebbe quest’anno, rimanendo comunque su un sentiero robusto di crescita (+7,2%), per poi accelerare nuovamente nel 2008 (+8% circa), grazie al rafforzamento congiunturale delle principali aree economiche. L’intensa accelerazione sperimentata dall’economia italiana alla fine dello scorso anno influisce sui risultati che potranno essere conseguiti nel 2007, comportando per l’anno corrente un trascinamento molto favorevole. Se l’attività produttiva rimanesse, infatti, stagnante ai livelli del quarto trimestre del 2006, ciò di per sé garantirebbe un aumento del PIL dell’1,2% nel 2007, vale a dire un incremento prossimo a quello che i previsori si attendevano lo scorso autunno, giudicandolo favorevole dato il periodo di crescita molto bassa da cui si proveniva. Questa “eredità” ricevuta dal 2006 costituisce, evidentemente, una base di partenza positiva; essa viene, però, in parte smussata da un’at- - xvi - Introduzione e sintesi tenuazione delle dinamiche produttive sperimentata proprio nei primi mesi dell’anno. La moderazione nei ritmi di espansione a inizio 2007 è stata in effetti preannunciata dall’arresto, in autunno, della fase di rialzi che aveva caratterizzato per circa due anni l’indice di fiducia delle imprese; una stabilizzazione a cui ha fatto poi seguito un leggero ripiegamento nei primi mesi dell’anno. La pausa congiunturale, anticipata dagli indicatori qualitativi, ha trovato conferma, in gennaio, nella diminuzione della produzione industriale che ha praticamente compensato il notevole picco del mese precedente. Tali sbalzi hanno probabilmente riflesso anche l’influenza di fattori irregolari che caratterizzano l’ultimo mese dell’anno; se si guarda alla media del bimestre dicembre-gennaio si evince che l’attività produttiva è situata sulla tendenza positiva, ma più moderata, che ha contraddistinto la seconda metà del 2006. La flessione di gennaio condiziona comunque il risultato medio ottenibile nel primo trimestre: nelle stime dell’ISAE, la produzione manifatturiera dovrebbe risultare ferma o marginalmente inferiore al livello medio del trimestre precedente. Tenuto conto di questo ripiegamento, in parte compensato da segnali di buona tenuta sul fronte dei servizi, si stima che il PIL a inizio 2007 freni la corsa che ha contraddistinto l’ultima parte dello scorso anno. Quello che appare come un colpo di freno nei primi mesi del 2007 non preannuncia un esaurimento della ripresa italiana. La congiuntura internazionale, sebbene meno dinamica, si mantiene infatti su un sentiero positivo, soprattutto in Europa. Inoltre, gli indicatori di fiducia delle imprese industriali, pur se non più in rialzo, si attestano a inizio 2007 su livelli storicamente elevati, evidenziando un consolidamento dei favorevoli livelli produttivi conseguiti. Accanto a ciò, il clima di opinione delle famiglie continua, da diversi mesi, tendenzialmente a risalire, confermando il processo di recupero avviato nel 2004 dopo le marcate flessioni dei primi anni duemila. Il persistere di una favorevole prospettiva di crescita per l’economia italiana è, infine, segnalato dall’indicatore anticipatore elaborato dall’ISAE che, dopo una battuta d’arresto in settembre-ottobre (presumibilmente anticipatrice della decelerazione di inizio 2007), ha preso nuovamente, tra la fine dello scorso anno e l’inizio di quello corrente, a orientarsi verso l’alto. Nell’insieme ci si attende che la dinamica produttiva riprenda a incrementarsi, dopo una prima parte del 2007 in tono minore, a ritmi - xvii - Pausa a inizio 2007 Consolidamento di una fase che resta positiva Previsione 2007-2008 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Stimolo della domanda interna congiunturali più vivaci. La crescita del PIL potrebbe così risultare, quest’anno, dell’1,8%, al netto dell’effetto calendario, con una diminuzione del gap di sviluppo dalla zona euro da nove a cinque decimi di punto. Nei dati grezzi, non corretti per i giorni di lavoro (il 2007 ha tre giorni lavorativi in più rispetto al 2006), l’incremento del PIL italiano sarebbe dell’1,9%, in linea con quanto realizzato nel 2006. Nel 2008, in un contesto internazionale ancora complessivamente favorevole e in un quadro interno di tipo tendenziale per quanto riguarda gli andamenti della finanza pubblica, la crescita del PIL si situerebbe all’1,7% (l’effetto calendario non incide il prossimo anno); il divario rispetto ai partner dell’area euro si manterrebbe nell’ordine dei cinque decimi di punto. La lieve decelerazione della dinamica del 2007 rispetto al 2006 rifletterebbe, fondamentalmente, la diversa incidenza dei trascinamenti congiunturali che caratterizzano i due anni. Nel complesso, nel triennio 2006-08 l’economia italiana sperimenterebbe un tasso medio di sviluppo dell’1,8%, in sensibile accelerazione rispetto al quadriennio precedente (+0,4% tra il 2001 e il 2005) e vicino alla dinamica media che ha caratterizzato la seconda metà del decennio novanta. L’evoluzione nel 2007 e 2008, si avvarrebbe soprattutto del contributo positivo della domanda interna, tanto nella componente dei consumi che in quella degli investimenti. Sulla dinamica dei consumi privati (+1,6% quest’anno e +1,4% nel 2008) inciderebbe l’evoluzione favorevole del reddito disponibile che dovrebbe risentire, in entrambi gli anni, del buon andamento del mercato del lavoro e dell’aumento delle retribuzioni pro-capite; il miglioramento della ragione di scambio, determinato dalla diminuzione dei prezzi petroliferi e dall’apprezzamento dell’euro, contribuirebbe nel 2007 all’aumento delle possibilità di acquisto dei consumatori. Il recupero del clima di fiducia delle famiglie potrebbe consentire, nell’anno in corso, la prosecuzione dell’andamento leggermente più favorevole nella propensione alla spesa che ha iniziato a evidenziarsi nel 2006. Per quanto riguarda gli investimenti, dopo l’accelerazione di fine 2006 la dinamica dovrebbe mantenersi su ritmi positivi, risentendo delle persistenti esigenze di ristrutturazione delle imprese, del clima congiunturale favorevole e del miglioramento della profittabilità aziendale. Spingono nella stessa direzione anche le indicazioni delle inchieste ISAE sul grado di utilizzo degli impianti, su livelli ancora - xviii - Introduzione e sintesi PREVISIONE PER L'ECONOMIA ITALIANA: QUADRO RIASSUNTIVO (variazioni percentuali salvo diversa indicazione) 2006 2007* 2008* Quadro interno Prodotto interno lordo PIL non corretto della stagionalità e delle giornate lavorative 1,9 1,9 1,8 1,9 1,7 1,7 Importazione di beni e servizi Esportazioni di beni e servizi 4,5 5,5 4,0 4,5 4,4 4,4 1,5 -0,3 1,6 0,1 1,4 0,6 2,4 3,0 2,8 - consumi nazionali - investimenti totali - esportazioni nette - variazioni delle scorte ed oggetti di valore 0,8 0,5 0,2 0,4 1,0 0,6 0,1 0,0 1,0 0,6 0,0 0,1 Prezzi al consumo Prezzi alla produzione 2,1 5,6 1,8 1,9 2,0 1,4 Retribuzione pro-capite nell'economia Occupazione totale (1) Tasso di disoccupazione 2,8 1,6 6,8 2,1 1,0 6,4 2,7 0,9 6,0 -4,4 0,2 42,3 106,8 -2,3 2,5 42,6 105,6 -2,4 2,3 42,4 104,6 3,73 4,20 4,60 1.475.401 1.536.938 1.599.858 5,1 3,3 2,8 4,5 2,0 2,3 4,7 2,8 2,2 Tasso di cambio dollaro/euro (livello) Domanda mondiale 1,26 9,4 1,32 7,2 1,29 8,1 Tassi d'interesse ufficiali (2) - BCE - Federal Reserve 3,50 5,25 4,00 4,50 4,25 4,50 19,2 19,1 65,60 14,0 -11,7 57,00 7,4 -1,4 56,00 Spesa per consumi delle famiglie residenti Spesa per consumi della AA.PP. e delle ISP Investimenti fissi lordi Contributo alla crescita del PIL Indebitamento netto delle AA.PP. (in % del PIL) Avanzo primario delle AA.PP. (in % del PIL) Pressione fiscale delle AA.PP. Debito delle AA.PP. (in % del PIL) Tasso sui Bot a 12 mesi (2) p.m. PIL nominale (milioni di euro) (3) Riferimenti internazionali Prodotto interno lordo - Mondo - Stati Uniti - Area euro Prezzi materie prime in dollari - non energetici - energetici di cui: Brent ($/ barile) Fonte: ISTAT, Banca d'Italia, BCE, Federal Reserve, FMI, HWWA. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale. (1) In unità di lavoro standard. (2) Tassi annui di fine periodo. Per i Bot tasso lordo. (3) PIL non corretto della stagionalità e delle giornate lavorative. - xix - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Si riduce la perdita di quote delle esportazioni Mercato del lavoro storicamente elevati a inizio 2007, e, nel contempo, i minori ostacoli alla produzione dovuti a insufficiente domanda. Nel complesso, gli investimenti fissi lordi aumenterebbero del 3% nel 2007 e del 2,8% l’anno prossimo. Dal lato della domanda estera, le indicazioni congiunturali disponibili segnalano, dopo il notevole slancio sperimentato al termine del 2006, un minor dinamismo dell’export nei primi mesi dell’anno. Nelle stime ISAE, superata la pausa di inizio 2007, le esportazioni dovrebbero confermare la migliore tenuta sui mercati internazionali registrata lo scorso anno. Le vendite all’estero aumenterebbero del 4,5% nel 2007. Tenuto conto dell’allargamento dei mercati italiani, l’erosione della quota di mercato in volume, negli sbocchi di destinazione delle merci dell’Italia, sarebbe di soli 2,5 punti percentuali, con un netto miglioramento, quindi, rispetto al 2006 (circa 5 punti) e, ancor più, rispetto al periodo di crisi competitiva degli anni precedenti (7-8 punti di flessione nel biennio 2004-05). Nel 2008, le esportazioni di beni e servizi si incrementerebbero del 4,4%. La riduzione della quota in volume, in rapporto all’ampliamento del mercato per i prodotti italiani, sarebbe di circa tre punti, confermando la performance meno negativa dell’ultimo periodo. Il buon andamento della congiuntura interna e la dinamica ancora positiva delle esportazioni (componente di domanda a elevato fabbisogno di input importati) dovrebbero influire sull’evoluzione degli acquisti italiani dall’estero. Nella stima ISAE, le importazioni aumenterebbero del 4% quest’anno e del 4,4% nel 2008. Il mantenimento di un profilo dell’import inferiore a quello delle esportazione assicurerebbe, nel 2007, un apporto ancora positivo della domanda estera netta alla variazione del PIL; l’anno prossimo, il contributo tenderebbe, invece, ad annullarsi, in conseguenza del sostanziale allineamento dei tassi di crescita delle due correnti di scambio. La dinamica favorevole dell’occupazione si conferma tanto nel 2007 che nel 2008. In termini di unità standard (ULA), l’input di lavoro aumenterebbe dell’1% quest’anno e leggermente meno (+0,9%) nel successivo. Tenuto conto dell’andamento dell’attività produttiva, l’elasticità (apparente) dell’occupazione al PIL si attesterebbe su un valore (0,53) inferiore a quello del 2006 (0,84), ma ancora storicamente elevato. Proseguirebbe la diminuzione del tasso di disoccupazione che si porterebbe al 6% nella media del 2008, un livello prossimo a quello - xx - Introduzione e sintesi che si registrava nella seconda metà degli anni sessanta. La riduzione si verificherebbe in presenza di qualche pressione salariale (il 2008 è in un anno di rinnovi contrattuali), senza che, però, ciò si traduca in un effettivo surriscaldamento. In altri termini, si suppone che l’economia italiana sia in grado di mantenere una condizione di sostanziale moderazione retributiva anche con un tasso di disoccupazione storicamente molto basso; ciò è fondamentalmente il risultato del significativo ridimensionamento registrato dalla disoccupazione “di equilibrio”, a seguito dell’aumento di flessibilità nel mercato del lavoro italiano e delle ripercussioni che ne sono derivate in termini di maggiore elasticità dal lato tanto dell’offerta che della domanda di lavoro. Per quanto concerne le retribuzioni, le ipotesi di dinamica salariale per il biennio 2007-08 si basano sulle erogazioni contemplate negli accordi in essere e sulle nuove tornate contrattuali che interesseranno soprattutto il prossimo anno. Nel quadro ISAE, le retribuzioni pro-capite aumenterebbero nell’intera economia del 2,1% nel 2007 e del 2,7% nel 2008. Il costo del lavoro per unità di prodotto, riflettendo anche il relativo rafforzamento della produttività, rallenterebbe quest’anno, attestandosi su un aumento dell’1,3%. Nel 2008, le dinamiche retributive un po’ più sostenute porterebbero a un rialzo del costo unitario del lavoro dell’1,9%. Gli andamenti nell’industria in senso stretto si collocherebbero al di sotto di questi incrementi, risentendo di un più consistente rafforzamento della produttività che consentirebbe di compensare dinamiche salariali più elevate di quelle medie dell’economia. Nel quadro previsivo dell’ISAE, la discesa dei prezzi dei beni energetici consente di mantenere moderati gli sviluppi futuri dell’inflazione. Al rientro delle spinte provenienti dai combustibili si accompagnerebbe infatti una ripresa della dinamica dei prezzi per le principali componenti di fondo, come effetto di una più intensa traslazione dei passati maggiori costi intermedi favorita dalla migliore congiuntura. Nella media del 2007, l’inflazione metterebbe comunque in evidenza una riduzione, risultando pari all’1,8%, tre decimi di punto in meno rispetto all’anno precedente. In termini di indice armonizzato, la variazione dei prezzi sarebbe leggermente più elevata, ma sempre in riduzione rispetto al 2006 (1,9% a fronte del 2,2%), con un divario rispetto all’area dell’euro che dovrebbe tornare, anche se marginalmente, sfavorevole. Nel 2008, l’inflazione risulterebbe un po’ più sostenuta a riflesso dell’accelerazione dei costi unitari in un quadro - xxi - Inflazione Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Finanza pubblica congiunturale ancora relativamente robusto. Essa si riporterebbe nella media dell’anno al 2%, due decimi in più rispetto al 2007; anche in termini di indice armonizzato, l’incremento dei prezzi potrebbe essere del 2%, con un divario rispetto all’area euro che tornerebbe ad annullarsi. Dopo il miglioramento registrato nel 2006, continuano a manifestarsi nel biennio 2007-08 andamenti favorevoli nei conti pubblici. Il deficit delle Amministrazioni Pubbliche, infatti, dovrebbe rimanere quest’anno sostanzialmente sui livelli acquisiti nel 2006, scendendo appena al 2,3% del PIL, per poi posizionarsi nuovamente al 2,4% nel 2008. La condizione più positiva della finanza pubblica si accompagna, comunque, a livelli della pressione fiscale storicamente molto elevati (solo nel 1997, anno di valutazione per l’ammissione all’area dell’euro, la pressione fu più alta). Livelli sorretti anche dagli 8-10 miliardi di risorse aggiuntive, valutate dal Governo come strutturali, di cui 7,5 dovrebbero assicurare la correzione permanente nel 2008. Per l’anno in corso, le previsioni ISAE prudenzialmente scontano alcuni fattori di cautela, con un impatto della manovra rivisto alla luce dei risultati dello scorso anno. In particolare, non vengono contabilizzate le entrate che dovrebbero scaturire dalla riforma dell’imposizione sui redditi delle attività finanziare, i cui tempi di approvazione sono incerti. Inoltre, si ipotizzano incassi derivanti dal complesso delle misure volte a contrastare evasione ed elusione fiscale inferiori alle quantificazioni ufficiali indicate nelle relazioni tecniche; ciò per evitare duplicazioni di gettito già incorporato negli andamenti tendenziali se, come sembra plausibile, parte della favorevole evoluzione delle entrate del 2006 è collegabile a un miglioramento della tax compliance indotta anche dagli interventi predisposti. Infine, dato l’andamento contenuto di talune uscite nel 2006 con forti riduzioni fatte registrare dallo Stato, si valutano comportamenti di spesa più dinamici nell’anno in corso, specie con riferimento agli investimenti sia statali che delle Amministrazioni Locali. Nel 2008, data l’evoluzione congiunturale con il conseguente andamento delle entrate e grazie all’assenza di una tantum e alla natura permanente degli interventi di correzione adottati nell’ultima legge finanziaria, le Amministrazioni Pubbliche potrebbero registrare, come indicato, un disavanzo tendenziale in rapporto al PIL appena superiore a quello al deficit del 2006. - xxii - Introduzione e sintesi L’avanzo primario dovrebbe aumentare al 2,5% del PIL quest’anno (dal 2,2% del 2006, al netto delle uscite straordinarie) per poi ridursi al 2,3% nelle tendenze del 2008. La spesa per interessi crescerebbe notevolmente nel 2007, portandosi al 4,8% del PIL (dal 4,6% del 2006), per poi ridursi appena nel 2008. Il rapporto debito/PIL dovrebbe ridursi nei due anni, grazie a un ridimensionamento del fabbisogno della P.A. Esso si porterebbe dal 106,8% del 2006 al 105,6% nel 2007 e al 104,6% nel 2008. L’ITALIA NELL’INTEGRAZIONE EUROPEA La fase di ristrutturazione attraversata dall’economia italiana nei primi anni duemila, su cui si è argomentato nelle pagine precedenti, è stata innestata in risposta alla formidabili sfide competitive materializzatesi tra la seconda metà degli anni novanta e l’inizio dell’attuale decennio. Degli effetti della “grande” globalizzazione (integrazione della Cina e degli altri paesi emergenti nel mercato mondiale) sull’Italia si è detto molto nelle analisi micro e macroeconomiche: si conoscono le ripercussioni e si è cominciato anche a capire il tipo di reazione che ha interessato i produttori italiani. Meno scandagliata è invece la “piccola” globalizzazione, quella realizzata dall’Italia con le altre economie nell’area euro. L’aggettivo piccola sta unicamente a indicare che è un fenomeno avvenuto alle “porte di casa”, tra paesi che condividevano già un percorso molto importante di interdipendenza commerciale e produttiva, nonché (dal 1993) istituzioni e legislazioni comuni riguardo ad ampi aspetti della vita economica. Nondimeno, l’integrazione ha raggiunto in questo caso, con l’adozione della moneta unica, massimi livelli di intensità, portando a un virtuale azzeramento di tutti i costi di transazione negli scambi intra-area: per un produttore lombardo vendere a ottocento chilometri a Sud (nel Mezzogiorno) o a Nord (in Germania) dovrebbe essere divenuta, dalla fine dello scorso decennio, la stessa operazione dal punto di vista dei costi di transazione da affrontare. Nell’analisi delle ripercussioni dell’euro l’attenzione generalmente si focalizza su due effetti macroeconomici: uno, molto positivo per un paese ad alto debito come l’Italia, rappresentato dall’acquisizione della stabilità macroeconomica e dall’azzeramento del premio al rischio di cambio (ma, forse, anche dalla diminuzione di quello al rischio - xxiii - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Modifiche nella geografia economica europea paese) insito nei tassi di interesse; l’altro negativo, rappresentato dalla perdita del tasso di cambio come importante strumento di aggiustamento, frequentemente utilizzato nel passato dall’Italia per riallineare i costi interni a quelli dei concorrenti. Uno strumento che, se fosse stato ancora a disposizione dell’economia italiana, non sarebbe assolutamente servito a correggere lo squilibrio competitivo nei confronti della Cina, che ha costi pari a una frazione di quelli italiani, ma solo a rimettere temporaneamente in linea la competitività dell’apparato produttivo italiano con quello delle economie più simili dell’area industriale, in primo luogo quelle europee. Tuttavia, l’esperienza della moneta unica nei primi anni di vita ha avuto implicazioni ben più complesse di quelle, pur importanti, indicate negli schemi macroeconomici. Nella prima fase di vita dell’euro si sono ridefiniti alcuni assetti produttivi e si sono manifestati effetti di integrazione eterogenei a seconda dei paesi e dei settori coinvolti. Ciò può avere costituito, almeno inizialmente, un fattore di amplificazione delle diversità tra i sistemi interessati dalla più intensa integrazione, con la conseguenza di rendere le economie, da un lato, più esposte a shock specifici e, dall’altro, più propense a subire in modo differenziato gli effetti di shock comuni. Questa osservazione sembra che si attagli particolarmente all’esperienza italiana che avrebbe visto un aumento dell’eterogeneità rispetto ai partner europei, a seguito sia dei cambiamenti intervenuti nella geografia economica dell’area, sia degli effetti differenziati di trade-creation prodotti dalla moneta unica. Nella seconda parte del Rapporto si dedicano, quindi, alcuni capitoli di approfondimento a queste tematiche che possono contribuire a gettare luce sulle modalità della lunga fase di aggiustamento attraversata dall’economia italiana. Che l’integrazione possa produrre un ampliamento dei divari tra un centro sviluppato e una periferia arretrata e anche un’accentuazione delle specializzazioni regionali attraverso le agglomerazioni territoriali consentite dall’azzeramento dei costi di transazione, è una possibilità da tempo segnalata dai modelli di nuova geografia economica ed evidenziata, soprattutto da alcuni osservatori d’oltreoceano, facendo riferimento a quella plurisecolare esperienza di Unione monetaria costituita dagli Stati Uniti d’America. Nel capitolo Cambiamenti nella geografia economica europea dopo il mercato unico e la creazione dell’Unione monetaria: la collocazione dell’Italia, si cerca di verifica- - xxiv - Introduzione e sintesi re, basandosi sulle evidenze fornite da una batteria di indicatori statistico-spaziali recentemente sviluppati in letteratura, in quale misura queste predizioni di rafforzamento delle differenze siano in grado di spiegare il caso europeo. Una prima conclusione è che non sembra essere emerso, tra l’inizio degli anni ottanta e i primi anni duemila, un approfondimento del divario core-periphery in Europa. Anzi, l’attività economica si è, in una certa misura, maggiormente diffusa verso le aree che in origine apparivano più periferiche. Questo processo di estensione ha, però, preso soprattutto la direzione Nord (coinvolgendo molte regioni scandinave e l’Irlanda) e Ovest (regioni della penisola iberica); la direzione Sud (dove si colloca il Mezzogiorno italiano) è rimasta invece periferica. Per quanto riguarda le specializzazioni regionali, la composizione dell’output manifatturiero europeo ha visto, nell’arco di tempo considerato, alcuni rilevanti cambiamenti, con una perdita del peso di industrie come il tessile-abbigliamento e, all’opposto, un aumento dell’importanza di settori come l’elettronica. Al tempo stesso si sono manifestate modificazioni nella dislocazione delle attività produttive. In generale, la previsione di un’accentuazione della specializzazione per aree sembra avere riguardato (con un consolidamento della cosiddetta configurazione di monocentro) l’industria alimentare e delle bevande e il tessile-abbigliamento-calzature. Nel primo caso, il monocentro ha teso a circoscriversi in alcune regioni spagnole e francesi. Nel caso del tessile-abbigliamento-calzature la crescente concentrazione si è accompagnata a una progressiva polarizzazione che ha interessato le regioni che erano già fortemente specializzate in queste attività, vale a dire principalmente quelle italiane la cui antica vocazione produttiva, radicata nel territorio, sembra averle rese naturali candidate a svolgere questi “compiti” nella nuova divisione del lavoro europea. È emerso, inoltre, un monocentro nell’elettronica che precedentemente non esisteva; esso si è concentrato nelle regioni scandinave che risultavano despecializzate in tali produzioni. Se i movimenti della geografia economica sembrano essersi accompagnati all’amplificazione di alcune diversità di specializzazione, effetti asimmetrici emergono con riferimento agli impulsi sugli scambi intra-area connessi con l’introduzione dell’euro. E’ noto che una letteratura sviluppatasi tra la fine degli anni novanta e l’inizio del decennio duemila aveva portato a fare ritenere che l’adozione della moneta unica - xxv - Moneta unica e integrazione commerciale Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 avrebbe determinato elevati effetti di crescita (fino a una triplicazione) del commercio tra i paesi membri, implicando l’esistenza di un ampio potenziale di interscambio che in precedenza non era “sfruttato”, a causa delle segmentazioni e dei costi di transazione connessi alle molteplici monete utilizzate. Svariate verifiche empiriche hanno poi generalmente mostrato che l’impatto dell’euro sugli scambi intra-area è stato, invece, sì positivo, ma alquanto modesto. Nelle stime presentate nel capitolo Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri, la posizione competitiva dell’Italia si quantifica l’incremento del commercio intra-area derivante dall’introduzione della moneta unica nell’ordine del 4-5 per cento, collocandosi piuttosto nella fascia bassa del range delle stime (3-9%) condotte con analoghe metodologie. D’altro canto, un effetto limitato non dovrebbe sorprendere rappresentando la moneta unica l’ultimo passo di un processo di integrazione avviato ben cinquant’anni fà. Quel che più conta è che l’effetto, per quanto contenuto, ha riguardato in modo diversificato le varie tipologie di produzioni. In particolare, l’introduzione dell’euro ha determinato conseguenze più rilevanti, in termini di impulso agli scambi intra-area, soprattutto per i comparti caratterizzati da economie di scala e a elevata differenziazione di prodotto. Ciò ha fatto sì che si avessero anche ripercussioni diverse della moneta unica sul trade dei paesi coinvolti, a seconda del tipo di specializzazione commerciale, della dimensione media d’impresa, e della forma di mercato dei comparti più rilevanti nelle varie economie. La asimmetria si spinge al punto che per alcune tipologie di beni e per alcuni paesi dell’UEM sembrerebbe essersi determinata una diminuzione del commercio intra-area, in occasione dell’arrivo della moneta unica. Un’indicazione che potrebbe suggerire un riorientamento geografico dei flussi di esportazione dal mercato intra-euro a quello esterno: un (presumibilmente temporaneo) effetto di allontanamento dall’Europa e di attrazione verso altre aree. Tra questi casi il più rilevante sembra quello del tessile-abbigliamento italiano che avrebbe subito un effetto negativo. Una possibile motivazione di questo fenomeno potrebbe essere rintracciata in un una sorta di effetto ridistributivo connesso alla limitata creazione di commercio portata dall’euro; in altri termini, l’effetto benefico di impulso agli scambi intra-area, che è stato assorbito per intero da alcuni comparti (quelli a rendimenti crescenti di scala, differenziazione orizzontale di prodotto, con imprese - xxvi - Introduzione e sintesi medio-grandi), potrebbe essersi realizzato a scapito di altri settori (privi delle caratteristiche tecnologiche e di dimensione di impresa necessarie per godere dei benefici), i quali hanno, quindi, sperimentato uno sganciamento relativo dalla destinazione europea. Anche presumibilmente per questo motivo – e, nonostante, il sostegno agli scambi intra-area che la moneta unica ha portato per altri settori italiani come gli autoveicoli – l’Italia non sembra essere stata tra i paesi che hanno, nell’insieme, tratto significativi benefici commerciali, in termini di maggiore integrazione intra-europea, dall’adozione della moneta unica. Le evidenze fin qui illustrate concorrono a porre in luce alcune circostanze dell’esperienza di integrazione europea che possono avere reso, in una certa misura, l’Italia “più esposta” agli shock competitivi degli anni duemila rispetto agli altri partner dell’area. Le modifiche nella geografia produttiva, plasmate in alcune industrie sulle vocazioni originarie dei paesi, hanno teso a rafforzare determinate specializzazioni regionali nella divisione del lavoro europea: questo è il caso dei settori tradizionali dell’industria italiana. D’altro canto, l’effetto (generalmente limitato) di trade-creation intra-area non sembra avere coinvolto (per caratteristiche tecnologiche, dimensionali e di struttura del mercato) proprio quei settori tradizionali in via di rafforzamento relativo in Italia. E’ possibile che i due fenomeni abbiano finito, da un lato, per amplificare l’esposizione relativa dell’industria italiana (in rapporto agli altri partner europei) allo shock proveniente dalla Cina e dagli altri paesi emergenti, senza poter offrire, dall’altro, una “compensazione” con un effetto positivo pro-trade dell’euro all’interno dell’area. In questa situazione, sembra essersi reso più difficoltoso, rispetto al periodo antecedente l’euro, il processo di convergenza dell’Italia al ciclo europeo. Nel capitolo Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione: specificità dell’economia e dell’industria italiana, si evidenzia come, in generale, i paesi europei, e tra essi l’Italia, abbiano generalmente realizzato nella seconda metà degli anni novanta una convergenza delle componenti del ciclo economico piuttosto elevata (la correlazione si colloca tra 0,6 e 0,8). Ciò indicherebbe che, in linea con l’evidenza sullo scarso effetto di integrazione commerciale indotto dall’euro, la gran parte della convergenza tra i cicli europei sembrava essere già realizzata prima dell’arrivo della moneta unica. Non a caso, negli anni a cavallo della creazione dell’euro non si sono verificate si- - xxvii - Convergenza al ciclo europeo Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Modifiche nel mercato del lavoro italiano gnificative discontinuità in questa situazione. Tuttavia, a partire dal 2001 si osservano flessioni generalizzate, seppur contenute, della correlazione dinamica dell’Italia nei confronti delle maggiori economie dell’area euro. Un’evidenza che è vieppiù confermata se si depurano i cicli dei vari paesi dalla componente comune europea. La correlazione dinamica tra gli indicatori di ciclo specifico dell’Italia mostra cali nei confronti della Germania e della Spagna e il manifestarsi di valori negativi nei confronti di altre economie (come Austria e Olanda). Solo con la Francia, per un determinato periodo (tra il 2003 e il 2005), la correlazione dinamica del ciclo specifico italiano ha teso a innalzarsi. Un elemento fondamentale nel caratterizzare il particolare aggiustamento italiano degli ultimi anni è stato costituito dal mutato funzionamento del mercato del lavoro. Modifiche si sono, naturalmente, avute anche negli altri paesi europei. Tuttavia, in Italia questi cambiamenti si sono accompagnati, come visto, a risultati macroeconomici piuttosto sorprendenti, non riscontrabili in altre economie. Il capitolo Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano evidenzia, effettivamente, l’emergere di rilevanti discontinuità di comportamento tanto dal lato dell’offerta che della domanda di lavoro, sostanziatesi in aumenti significativi delle elasticità del salario e del costo reale del lavoro a variazioni del tasso di disoccupazione. E’, in altri termini, aumentata la reattività dei soggetti del mercato del lavoro (lavoratori e imprese) a squilibri occupazionali; un cambiamento che va nella direzione di una diminuzione della disoccupazione strutturale italiana. L’analisi pone in evidenza, peraltro, che questi mutamenti non sono un fatto recente, ma si sono verificati in periodi piuttosto indietro nel tempo, a metà del decennio ottanta per quanto riguarda l’offerta di lavoro e a metà degli anni novanta per quel che concerne la domanda di lavoro. Tuttavia, non ci si è “accorti” di questi profondi cambiamenti – la letteratura italiana e internazionale di metà degli anni novanta era univocamente intonata a sottolineare le rigidità del nostro mercato del lavoro – se non nel momento in cui l’economia italiana, dopo il 1995, è tornata a crescere e il tasso di disoccupazione ha preso a diminuire con continuità, portandosi da quasi il 12% al 6-7% dei livelli attuali. Una discesa che si è prodotta senza che si manifestassero effetti di surriscaldamento della dinamica retributiva: una evidenza indiretta del ridimensionamento della disoccupazione strutturale. - xxviii - Introduzione e sintesi Osservando le date dei cambiamenti di regime individuati con i test econometrici (la fine del 1984 dal lato dell’offerta di lavoro, la fine del 1995 dal lato della domanda) e le riforme negli assetti normativi e di contrattazione intervenute in tali periodi sembrerebbe che le relazioni del mercato del lavoro siano state investite dalle modifiche che hanno riguardato sia i meccanismi di formazione del salario (depotenziamento del meccanismo di indicizzazione nei primi anni ottanta, abolizione della scala mobile nel 1992 e Protocollo di luglio 1993), quanto gli aspetti di regolazione del rapporto e dell’orario di lavoro (soprattutto a metà anni novanta). In generale, l’esperienza di concertazione, il miglior coordinamento delle richieste salariali di imprese e lavoratori e l’introduzione di elementi di flessibilità attraverso la strada della contrattazione sembrano essere stati i mutamenti istituzionali che hanno contribuito a innalzare l’elasticità del salario e del costo (reale) del lavoro alla disoccupazione. E’ bene precisare che le evidenze proposte non implicano una sottovalutazione delle importanti riforme del mercato del lavoro realizzate negli anni successivi a quelli dei cambi di regime individuati nel capitolo: tali misure sono andate infatti nella stessa direzione di quelle prime innovazioni e hanno contribuito a rafforzarle; se non si fossero realizzate, confermando le scelte passate, le modifiche nelle elasticità individuate nel 1984 e 1995 avrebbero potuto non emergere. Un’ulteriore considerazione riguarda l’anomala esperienza dell’Italia degli anni recenti di aumento dell’occupazione un contesto di crescita molto modesta. L’analisi presentata nel capitolo segnala un aumento di flessibilità e un conseguente abbassamento della disoccupazione strutturale. Questi elementi non aiutano, da soli, a spiegare il verificarsi della fase di growthless job creation degli anni duemila che appare, quindi, come un fenomeno distinto. Esso riguarda non la relazione tra salari e occupazione, ma il nesso tra quest’ultima e la crescita economica. Se alla bassa crescita non ha fatto seguito un andamento parimenti modesto dell’occupazione – anzi si è verificato l’opposto – ciò è da riconnettere all’apparente modifica dell’economia italiana da sistema ad alta intensità di capitale in uno che fa un uso più intensivo di manodopera. La crescita della flessibilità entra in questo meccanismo nella misura in cui si è tradotta in una riduzione dei costi impliciti connessi nell’impiego di lavoro e ha quindi contribuito a modificare, unitamente ai minori costi espliciti dovuti alla moderazione salariale, la convenienza relativa a utilizzare il fattore lavoro. - xxix - Economia internazionale e area euro: evoluzione recente e previsioni 2007-2008 TENDENZE DEL QUADRO INTERNAZIONALE L’economia mondiale continua a essere caratterizzata da una fase di espansione; in corso d’anno ci si attende una moderazione ciclica, cui seguirebbe una nuova, leggera accelerazione nel 2008. Tra i paesi industrializzati, gli Stati Uniti sperimenterebbero quest’anno un rallentamento relativamente più marcato di quello atteso per l’area euro, dove però la crescita rimarrebbe principalmente sostenuta dalle componenti interne, così come in Giappone; tra i paesi emergenti, la regione asiatica, con Cina e India in testa, continuerebbe a rappresentare il principale motore dell’economia internazionale. Il 2008 vedrebbe il ritorno di un ritmo di espansione più vicino al potenziale negli Stati Uniti; in Europa e Giappone si determinerebbe una leggera accelerazione nel profilo trimestrale, tale da stabilizzare la crescita del PIL in termini di media annua. L’attuale scenario previsivo ISAE per il biennio 2007-08 continua a non incorporare episodi di “rottura” dell’economia mondiale. Alcuni degli elementi di criticità per la stabilità dello scenario internazionale, in evidenza nei mesi scorsi, sono stati infatti in parte ridimensionati; altri se ne sono, però, aggiunti. Negli Stati Uniti, la flessione dei prezzi nel mercato immobiliare potrebbe non essere pervenuta al suo punto di minimo. Ciononostante la paventata brusca decelerazione dell’economia statunitense dovrebbe rivelarsi più graduale di quanto atteso da alcuni analisti, ma pur sempre significativa rispetto agli standard di crescita che hanno caratterizzato questa economa negli anni recenti. Dei “deficit gemelli”, quello pubblico appare in riassorbimento, quello esterno sembra essersi stabilizzato in rapporto al PIL, pur se su livelli elevati. -1- Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Il prezzo del greggio si è notevolmente ridimensionato rispetto ai picchi dell’estate scorsa, stabilizzandosi nei primi mesi del 2007; le quotazioni medie rimangono tuttavia al di sopra di quanto ipotizzabile sulla base di una analisi dei fondamentali di domanda e offerta. Qualche nube si è addensata sul fronte dei mercati finanziari. Dopo aver raggiunto in molti casi i massimi storici, le principali borse mondiali hanno subito una brusca correzione. L’enorme liquidità che caratterizza i mercati, alimentata dal fenomeno del carry trade, appare particolarmente sensibile in questa fase a qualsiasi segnale possa far presagire la fine, o un deterioramento, delle condizioni di credito eccezionalmente favorevoli finora verificatesi. Un forte ribasso nella borsa di Shanghai, alimentato da timori di possibili misure da parte delle autorità cinesi atte a limitare l’esuberanza degli investitori, si è propagata a tutte le principali piazze mondiali. Anche in assenza di fondamentali in grado di innescare un inversione di tendenza, soprattutto nei paesi industrializzati, l’aumento dell’avversione al rischio rende i mercati mobiliari più esposti a un “effetto contagio”. Tab. 1 Aree PIL MONDIALE (variazioni percentuali) 2005 2006* 2007** 2008** Asia 8,2 8,6 8,0 8,3 Medio Oriente 5,5 5,6 5,2 5,6 America latina 4,3 5,0 4,5 4,1 Africa 5,3 5,3 5,0 4,9 5,3 6,6 6,0 5,5 Paesi emergenti Europa centro-orientale 6,8 7,3 6,8 6,9 Paesi industrializzati 2,4 2,9 2,2 2,6 Stati Uniti 3,2 3,3 2,0 2,8 Giappone 1,9 2,2 2,1 2,1 Area euro 1,5 2,8 2,3 2,2 UE15 1,6 2,8 2,4 2,4 UE25 2,1 3,3 2,9 2,8 4,6 5,1 4,5 4,7 Mondo (1) Fonte: elaborazioni ISAE su dati OEF, FMI, EUROSTAT e OCSE. (1) Ponderato con pesi FMI sulla base delle PPA del 2004. * Preconsuntivi. ** Previsioni ISAE. Nelle nostre ipotesi, il rallentamento ciclico statunitense e l’affievolirsi dei rischi di recrudescenze inflazionistiche indurrebbero la Federal Reserve ad una intonazione più espansiva di politica monetaria. -2- Economia internazionale e area euro: ... Le autorità statunitensi ridurrebbero i tassi di riferimento nella seconda metà dell’anno, per arrivare a fine 2007 a un livello pari al 4,5% con una stabilizzazione nel 2008. CRESCITA, CAMBI, PREZZI DELLE MATERIE PRIME E COMMERCIO MONDIALE Rispetto al precedente esercizio previsivo dell’ISAE (ottobre 2006), la principale novità è costituita dagli andamenti delle quotazioni internazionali del greggio e dei combustibili, notevolmente più moderate di quanto ipotizzato in precedenza. Dopo aver raggiunto nei primi giorni di agosto quotazioni storicamente elevate, con picchi intorno agli 80 dollari al barile, il prezzo del petrolio ha successivamente subito una forte correzione, sfiorando i 50 dollari nella prima metà di gennaio 2007, per poi tornare su livelli attualmente vicini ai 60 dollari. Il forte ridimensionamento è da imputarsi al venire meno di alcuni degli elementi che sostenevano le quotazioni: il diradarsi di alcuni focolai di tensione geopolitica, le miti condizioni climatiche e i dati confortanti relativi alle scorte di prodotti raffinati negli Stati Uniti, il rafforzamento delle ipotesi di una decelerazione della domanda internazionale nei prossimi trimestri. Anche la volontà dei paesi produttori di stabilizzare il prezzo al di sopra dei 60 dollari annunciando a tale scopo tagli alla produzione può aver costituito, in questo quadro, un fattore di moderazione dello scenario energetico. A seguito di tali andamenti, il prezzo medio nel quarto trimestre del 2006 è così risultato inferiore di circa 5 dollari a barile rispetto a quanto precedentemente ipotizzato. Tali sviluppi hanno portato a correggere notevolmente, nei livelli, la precedente previsione circa le quotazioni per il 2007. Le ipotesi formulate sulle tendenze di fondo rimangono, però, sostanzialmente confermate: in assenza di tensioni legate a fattori geopolitici e speculativi, la volontà dei paesi produttori di stabilizzare il prezzo attraverso tagli alla produzione dovrebbe compensare una possibile riduzione di domanda, implicita nelle nostre ipotesi, in particolare nel corso del 2007. Le aree emergenti, quelle cioè a maggiore intensità di consumo energetico, continueranno peraltro a sostenere la domanda su buoni livelli. -3- Prezzo del petrolio ... Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Nel corso del 2007 continuiamo quindi a ipotizzare una leggera discesa delle quotazioni rispetto ai prezzi di inizio anno. Il prezzo medio per l’anno in corso si collocherebbe quindi intorno ai 57 dollari a barile, con una riduzione media di circa il 13% rispetto al 2006. Per il 2008 ipotizziamo una invarianza sui livelli di fine 2007. Di conseguenza, anche l’andamento delle altre materie prime energetiche risentirebbe di una brusca correzione: per l’anno in corso si determinerebbe una riduzione media di oltre l’11%, nel 2008 di circa l’1,5 per cento. Tab. 2 PREZZI COMMERCIO MONDIALE (variazioni percentuali sui dati in dollari) 2005 2006 2007* 2008* 0,0 10,9 15,8 7,7 b) Altre materie di base (1) 14,5 32,6 11,1 6,8 c) Combustibili (1) 36,5 19,1 -11,7 -1,4 54,7 65,6 57,0 56,0 a) Alimentari (1) Brent (dollari a barile) d) tot a+b (2) 5,5 19,2 14,0 7,4 e) tot d+c (2) 19,8 19,2 2,1 3,3 2,5 2,2 4,6 2,0 6,5 6,1 4,0 2,3 f) Manufatti TOTALE e+f (2) Fonte: HWWA, FMI, CPB. * Previsioni ISAE. (1) Indice HWWA. (2) Ponderato con la struttura delle esportazioni mondiali 2003. … e altre commoditiy non energetiche Per quanto riguarda le materie prime industriali, il 2006 si è chiuso con ritmi di espansione moderati, in forte decelerazione rispetto al primo semestre, i cui andamenti hanno però condizionato il risultato medio annuo (+32,6%). Prevediamo la prosecuzione di tale tendenza anche per il 2007, a seguito di un indebolimento della domanda e della maggiore offerta di alcune commodity: tali sviluppi porterebbero a un notevole ridimensionamento in termini di variazione media annua (11,1%). Nel 2008, l’ulteriore contenimento (6,8%) sottenderebbe però un profilo trimestrale in leggera accelerazione grazie a una più vivace domanda mondiale in corso d’anno. Nell’ultima parte del 2006, l’andamento dei prezzi delle materie prime alimentari si è rivelato invece assai più vivace di quanto ipotizzato: l’anno si è chiuso con un incremento medio del 10,9% (indice -4- Economia internazionale e area euro: ... HWWA). Il risultato di fine 2006 ha effetti di trascinamento sull’anno corrente: nonostante un andamento sostanzialmente moderato, il 2007 vedrebbe comunque una accelerazione nel tasso di espansione medio annuo (15,8%) come conseguenza degli incrementi precedenti; solo l’anno successivo si determinerebbe un contenimento (7,7%). Gli scambi mondiali in volume nel 2006 sono aumentati di oltre il 9%. In corso d’anno, il secondo trimestre ha visto un marcato rallentamento (1,0% rispetto al primo trimestre, dopo il 3,2 e 2,3% precedenti), in coincidenza con le correzioni sui mercati azionari e l’incertezza generata dal cambiamento nella impostazione seguita dalla politica monetaria delle principali Banche centrali in Europa e in Asia; nella seconda metà dell’anno, grazie anche alla discesa delle quotazioni dei beni energetici, alla ripresa delle quotazioni di borsa, a una decelerazione moderata negli Stati Uniti, si è però tornati a registrare tassi di Tab.3 AREE VOLUME DEL COMMERCIO MONDIALE (variazioni percentuali) IMPORTAZIONI ESPORTAZIONI. 2005 2006* 2007** 2008** 2005 2006* 2007** 2008** 6,3 7,7 4,4 6,5 5,3 8,5 5,9 6,4 Europa 5,9 8,9 4,7 6,1 5,0 8,6 5,4 5,5 Area euro 5,5 7,9 5,8 6,2 4,4 7,9 6,2 5,5 OCSE Stati Uniti 6,9 6,6 3,3 6,4 7,6 10,3 8,0 9,3 Giappone 4,6 2,5 4,2 9,4 5,6 9,6 6,0 7,6 NON OCSE 11,4 11,0 11,9 12,7 14,3 12,2 9,3 10,0 Africa e Medio Oriente 7,0 15,0 14,3 14,0 10,0 6,2 6,4 5,8 America latina 8,7 10,1 7,8 7,4 8,4 7,2 6,9 7,8 Asia 9,6 10,1 13,3 15,1 14,1 13,9 10,4 11,0 Europa centro-orientale 9,5 15,6 10,0 7,5 8,1 11,3 9,0 7,9 MONDO 7,7 9,1 7,2 8,6 7,7 9,7 7,1 7,6 Fonte: elaborazioni ISAE su dati FMI e OCSE. *Preconsuntivi. **Previsioni. crescita sostenuti (2,5% sia nel terzo che nel quarto trimestre). Nel 2007, il rallentamento previsto in alcune economie industrializzate, in particolare negli Stati Uniti e, in parte, in Asia, sottenderebbe un raffreddamento anche nei tassi di espansione degli scambi: nella previsione ISAE il commercio mondiale registrerebbe nel 2007 un incremento del 7,2%. Il 2008 vedrebbe una nuova accelerazione (8,1%), grazie al -5- Scambi mondali in decelerazione nel 2007 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Il tasso di cambio del dollaro in leggero deprezzamento rafforzamento della congiuntura statunitense, più in linea con il potenziale, e alla tenuta europea e asiatica. Nel nostro quadro, date le diverse fasi cicliche che caratterizzano gli Stati Uniti e l’Europa, l’andamento della politica monetaria nelle due aree favorirebbe la prosecuzione della riduzione del differenziale nei tassi di interesse a breve termine. Ciò contribuirebbe a un leggero deprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro in media d’anno, con una sostanziale oscillazione all’interno di una banda definita (compresa tra 1,28 e 1,33 dollari) per tutto l’orizzonte previsivo. Nel corso del 2007, i valori medi del tasso di cambio euro/dollaro si collocherebbero al limite superiore di tale banda, determinando un apprezzamento della valuta europea pari a circa il 5% (1,318 contro l’1,255 del 2006), a cui seguirebbe una parziale inversione nel corso del 2008 (1,293, pari a un deprezzamento medio dell’euro dell’1,9%) MAGGIORI ECONOMIE AVANZATE Stati Uniti Nella seconda parte del 2006 gli Stati Uniti hanno registrato un evidente rallentamento, guidato, dalla crisi del mercato immobiliare; in Giappone dopo la decelerazione nel secondo e terzo trimestre, nella parte finale dell’anno si è evidenziato un forte recupero dei consumi privati. In prospettiva, per l’economia statunitense ci si attende un rallentamento in corso d’anno, a cui seguirebbe un ritorno verso un ritmo di espansione più vicino al potenziale nel 2008. In Giappone, la fase ciclica appare oramai ben avviata: le componenti interne di domanda dovrebbero essere in grado di sostenere la ripresa nel biennio di previsione. Negli Stati Uniti, nonostante la revisione al ribasso, rispetto alla prima release, dei dati di contabilità nazionale relativi al quarto trimestre, continua a prevalere l’ipotesi di “atterraggio morbido” nel ritmo di espansione dell’economia. I timori di un “hard landing”, principalmente legati alla brusca caduta degli indicatori di produzione e domanda edilizia, si sono recentemente ridimensionati, grazie ai primi segnali di stabilizzazione provenienti dal settore immobiliare. Il rischio che il recente deterioramento del mercato dei mutui “sub prime” si ripercuota negativamente sul resto dell’economia appare limitatamente limitato, -6- Economia internazionale e area euro: ... considerando che gli stessi rappresentano circa un decimo del totale dei mutui immobiliari. Nella media del 2006, il PIL degli Stati Uniti è cresciuto per il terzo anno consecutivo al di sopra del potenziale, nonostante il rallentamento evidente verificatosi tra il primo e i successivi trimestri: ad una crescita del 5,6% su base annua registrata nella prima parte dell’anno, nei mesi successivi il ritmo di espansione ha decelerato, nell’ordine, al 2,6, 2 e 2,2%. Nell’ultima parte dell’anno le singole componenti hanno mostrato una variabilità marcata: i consumi delle famiglie hanno contributo per 2,9 punti percentuali, mentre gli investimenti totali hanno ridotto la crescita quasi dello stesso ammontare (-2,8 punti percentuali), con un apporto omogeneo di investimenti fissi e scorte. In particolare, gli investimenti residenziali (-1,2 punti percentuali) hanno evidenziato una contrazione per il quinto trimestre consecutivo. Le esportazioni nette hanno fornito il contributo più elevato dal quarto trimestre 1996 (1,5 punti percentuali). Tab. 4 CONSUNTIVI E PREVISIONI (variazioni percentuali) Prodotto interno lordo Prezzi al consumo (1) 2005 2006* 2007** 2008** 2005 2006* 2007** 2008** Francia 1,2 2,0 1,9 2,4 1,9 1,9 1,4 1,6 Germania 1,1 2,9 2,3 2,2 1,9 1,8 1,9 1,9 Spagna 3,5 3,9 3,4 3,2 3,4 3,6 2,5 3,2 Regno Unito 1,9 2,7 2,4 2,6 2,1 2,3 2,3 1,9 Stati Uniti 3,2 3,3 2,0 2,8 3,4 3,2 1,9 2,2 Giappone 1,9 2,2 2,2 2,1 -0,3 0,2 0,1 0,2 Area Euro 1,5 2,8 2,3 2,2 2,1 2,2 1,8 2,0 Paesi industrializzati 2,4 2,9 2,2 2,6 2,6 2,6 1,9 2,0 Fonti: elaborazioni ISAE. (1) per i paesi europei, indice armonizzato dei prezzi al consumo. * Preconsuntivi. ** Previsioni ISAE. L’entità del rallentamento si è mantenuta comunque sostanzialmente in linea con le aspettative, smorzando i timori di cadute recessive avvalorate da alcuni analisti. La decelerazione non ha peraltro determinato forti ripercussioni sul mercato del lavoro, dove si sono create in media, nella seconda metà dell’anno, circa 186 mila nuove buste paga mensili. Nei primi due mesi del 2007 il ritmo di creazione -7- Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 di posti di lavoro si è ridotto; le nuove buste paga sono state 146 e 97 mila rispettivamente in gennaio e febbraio. La dinamica del mercato del lavoro ancora accentuata, unita a moderazione del ritmo di espansione dell’economia, ha comportato un ridimensionamento della crescita della produttività rispetto a quanto registrato nei dieci anni precedenti: in particolare, il prodotto per ora lavorata è cresciuto di appena l’1,7% nella media del 2006 (dal 1998 l’incremento non scendeva sotto il 2%). Nella seconda metà dello Graf. 1 - STATI UNITI: PRODUTTIVITÀ scorso anno la correzione del 12 mercato immobiliare si è resa 10 più evidente. Gli effetti princi8 pali si sono avuti nella ridu6 zione delle quantità scambiate; i prezzi si sono invece stabi4 lizzati poco al di sotto dei pic2 chi raggiunti a inizio anno. 0 Ciò ha concorso a evitare il te-2 muto effetto negativo sulla spesa per consumi che hanno, -4 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 anzi, continuato a rappresentaTotale imprese Imprese non agricole re la componente più imporImprese manifatturiere tante della crescita. La Fonte: Thomson datastream. positiva evoluzione del mercato del lavoro e la discesa dei prezzi dei prodotti energetici hanno contribuito a stimolare la spesa delle famiglie americane. Sul fronte dello squilibrio estero, sul finire dello scorso anno si sono manifestati i primi segni di stabilizzazione del deficit di parte corrente in rapporto al PIL, grazie ai benefici effetti sulle esportazioni della positiva evoluzione della domanda mondiale e del deprezzamento del dollaro. Il deficit nell’ultimo trimestre è sceso al 5,8% del PIL, dal 6,9% del periodo precedente; nel totale dell’anno lo squilibrio dei conti con l’estero è stato pari al 6,5 per cento. Il disavanzo federale ha mostrato un miglioramento ancora più consistente di quello della bilancia delle partite correnti, riducendosi, nel 2006, all’1,9% in rapporto al PIL. Prima della presentazione del nuovo Bilancio preventivo da parte della Casa Bianca, il Congressional Budget Office stimava un ritorno al surplus già nel 2012. Il nuovo pia- -8- Economia internazionale e area euro: ... no dell’Amministrazione americana, che prevede minori entrate e maggiori spese, in particolare per la sicurezza, sposta in avanti la data del rientro del deficit, sempre secondo i calcoli del CBO, al 2017. Anche grazie al rientro delle quotazioni del petrolio dai massimi toccati in agosto, la dinamica inflazionistica statunitense si è moderata a partire dalla fine dell’estate. Il rallentamento è stato evidente nell’indice dei prezzi al consumo, il cui tasso di incremento è passato dal 4,3% in giugno al 2,1% in gennaio dell’anno in corso; nello stesso periodo l’indice core è rimasto, invece, pressoché stabile al 2,7%. In febbraio si è avuta una nuova inversione di tendenza nell’indice generale, principalmente a causa del rialzo dei beni alimentari ed energetici, riportando il tasso di variazione annua al 2,4%. Tali variazioni non hanno però modificato l’inflazione calcolata nelle componenti meno volatili. Il rallentamento in corso Graf. 2 - STATI UNITI: INFLAZIONE (calcolata sulle spese per consumi personali) dell’economia americana, manifestatosi già sul finire del 4 2006, dovrebbe protrarsi nella 3,5 prima metà dell’anno corrente 3 in via principale per una mo- 2,5 derazione dei consumi delle 2 famiglie e degli investimenti delle imprese, per poi tornare, 1,5 1 sul finire del 2007 e nell’anno successivo, verso ritmi vicini a 0,5 quelli potenziali. 0 Sulla base di queste con- gen-00 gen-01 gen-02 gen-03 gen-04 gen-05 gen-06 gen-07 Totale Core siderazioni, si conferma la previsione dello scorso ottobre Fonte: Thomson datastream. di un profilo trimestrale del PIL statunitense per il 2007 sostanzialmente in linea rispetto a quanto mostrato nei due trimestri centrali del 2006; ciò determinerebbe una decelerazione pari circa a 1,3 punti percentuali nella media 2007 (2,0%, contro il 3,3% del 2006). Nel 2008, un favorevole contesto internazionale e qualche moderato fattore di stimolo proveniente sia dalla politica monetaria che da quella fiscale, determinerebbe il ritorno verso tassi di espansione più vicini al potenziale (2,8% l’incremento medio del PIL). -9- Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Giappone Con una crescita ininterrotta per otto trimestri, il Giappone ha registrato il periodo di espansione più prolungato degli ultimi dieci anni. Dopo aver rallentato nel 2005 (all’1,9%, dal 2,7% dell’anno precedente), nel 2006 il PIL giapponese è cresciuto del 2,2%. Di particolare rilievo è stata l’accelerazione, registrata nell’ultimo trimestre dello scorso anno, dei consumi delle famiglie, con un apporto di 6 decimi di punto percentuale alla crescita, mentre il contributo degli investimenti è stato pari a 5 decimi. Nel complesso, nel quarto trimestre il prodotto interno lordo è aumentato dell’1,3% su base congiunturale (5,5% annualizzato). Le esportazioni nette hanno avuto un ruolo minore, rispetto al trimestre precedente (1 decimo contro 4). L’economia giapponese, trainata negli anni precedenti dalla domanda estera, sta beneficiando in misura crescente del sostegno della domanda interna. Nel corso del 2006 la proGraf. 3 - GIAPPONE: MERCATO DEL LAVORO duzione industriale si è espan6 sa ad un ritmo sostenuto (4,6% 1 rispetto al 2005); nella prima parte dell’anno in corso si è 5 però evidenziato un rallenta0 mento che, se limitato al primo trimestre, comporterebbe 4 per il 2007 solo una lieve cor-1 rezione rispetto alla media 2006. La fase ciclica positiva ha 3 -2 gen-00 gen-01 gen-02 gen-03 gen-04 gen-05 gen-06 gen-07 influito favorevolmente sul Tasso di disoccupazione mercato del lavoro che ha viPosti vacanti/candidature (scala destra) Inflazione al consumo (scala destra) sto crescere il numero degli Fonte: Thomson datastream. occupati totali e diminuire il tasso di disoccupazione. Quest’ultimo è tornato, dopo il picco raggiunto ad agosto del 2002 (5,5%), ai valori di fine 1998: a gennaio le persone in cerca di occupazione erano il 4% della forza lavoro. Ciononostante, non si sono ancora manifestati effetti sulle retribuzioni che stentano a mostrare variazioni positive: in gennaio, queste ultime risultavano inferiori a quelle di 12 mesi prima dell’1,4%. Il forte incremento dei consumi aggregati avvenuto sul finire del 2006 sarebbe quindi da ricondurre principalmente all’incremento della massa salariale. - 10 - Economia internazionale e area euro: ... Le prospettive di crescita rimangono positive, pur con una moderazione nel ritmo di sviluppo. I processi di riforma che hanno caratterizzato negli ultimi anni il settore industriale e del credito sono pressoché completati, costituendo una solida base per la ripresa. Le buone condizioni finanziarie delle imprese dovrebbero comportare, da un lato una prosecuzione dell’ampliamento della capacità produttiva, e dall’altro, condurre a dinamiche retributive più sostenute. Ciò dovrebbe permettere alla domanda interna di trainare l’espansione giapponese a ritmi simili a quelli registrati nel 2006; le esportazioni nette potrebbero fornire un contributo ancora positivo, anche se di minor rilievo rispetto al passato, grazie ad un contesto esterno, in particolare nell’area asiatica, che rimarrebbe comunque favorevole, nonostante il previsto apprezzamento dello yen . Alla luce di questi elementi l’ISAE prevede una crescita del PIL al 2,1 percento in entrambe gli anni. AREE EMERGENTI Nel 2006 i paesi emergenti hanno registrato performance di crescita migliori di quelle, già elevate, dell’anno precedente; la dinamica del PIL si sarebbe attestata, infatti, al 8,6% nell’area asiatica (escluso il Giappone) e al 5% in quella latino-americana. Per l’insieme delle aree emergenti, dopo una espansione del 7,3% nel 2006, l’ISAE prevede uno sviluppo vicino al 7% nel biennio 2007-08. Nell’area latino-americana sta proseguendo il processo di risanamento economico, dopo le crisi di inizio decennio; per l’area nel suo insieme, nel biennio 2007-08 l’ISAE stima una decelerazione della crescita rispetto ai valori del 2006 (4,5 e 4,1% rispettivamente, dopo il 5% dello scorso anno). Tra i principali paesi, l’Argentina ha tratto giovamento dalla stabilizzazione monetaria, dalla spinta espansiva della spesa pubblica e dall’incremento dei prezzi dei beni alimentari ed energetici, che costituiscono parte rilevante delle esportazioni; l’inflazione continua però a rimanere elevata, rappresentando il principale fattore di rischio per il prossimo biennio. Dopo l’espansione sostenuta registrata nel 2006 (8,5%), nelle stime ISAE il ritmo di crescita del PIL decelererebbe notevolmente (rispettivamente al 6,2% e 4,1%), anche a causa delle misu- - 11 - America Latina Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Asia BRIC re restrittive necessarie a riportare la dinamica dei prezzi sotto controllo. L’area asiatica continua a presentare una dinamica ciclica assai sostenuta. Per il biennio di previsione, l’ISAE stima un tasso di espansione intorno all’8%, in leggera decelerazione rispetto al picco raggiunto nel 2006, ma linea con quello registrato negli ultimi anni. Tra gli elementi di squilibrio che caratterizzano l’economia internazionale, l’accumulo di riserve e la quotazione della valuta cinese rappresentano ancora un fattore di potenziale instabilità. Il processo di accumulazione di riserve ufficiali in dollari da parte dei paesi asiatici non sembra al momento registrare una inversione di tendenza; Cina e Giappone detengono complessivamente quasi 2 mila miliardi di riserve, in gran parte in dollari statunitensi. Alla fine del 2006 il PresidenGraf. 4 - PAESI ASIATICI: RISERVE UFFICIALI te della Repubblica Popolare (in milioni di dollari) Cinese ha dichiarato che utilizzerà parte delle riserve uffi1.050.000 ciali per l’acquisto delle 800.000 materie prime necessarie per l’industria e la realizzazione 550.000 delle infrastrutture di cui ne300.000 cessita il paese. Tale processo 50.000 potrebbe contribuire a ridurre 2003 2004 2005 2006 gradualmente le riserve uffiCina Giappone Corea del Sud ciali, senza intaccare il regime Singapore Hong Kong di cambio, che nelle intenzioni delle autorità dovrebbe proFonte: elaborazioni ISAE su dati Thomson Financial e gressivamente divenire più FMI. flessibile nel prossimo futuro, con un allargamento delle bande di oscillazione. Nel gruppo dei paesi a più rapido sviluppo, i cosiddetti BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), nel 2006 la performance migliore è nuovamente stata registrata in Cina (10,7%), seguita dall’India (9,1%) e dalla Russia (6,9%); a una certa distanza si è collocato il Brasile (2,9%). Il ritmo di espansione dell’economia cinese, trainato sia dalla domanda estera sia da gli investimenti, non ha finora determinato un surriscaldamento nella dinamica inflazionistica, nonostante le elevate - 12 - Economia internazionale e area euro: ... quotazioni del petrolio e la cattiva efficienza energetica. Per il biennio 2007-08 l’ISAE stima la continuazione di tale tendenza espansiva: la crescita si attesterebbe intorno al valor medio registrato negli ultimi quattro anni (10% nel 2007, 10,7% nel 2008). L’India prosegue lungo il Graf. 5 - BRIC: PIL DELLE PRINCIPALI sentiero della stabilizzazione ECONOMIE EMERGENTI (variazioni percentuali) interna, del contenimento del12 la spesa pubblica e dello sviluppo del settore terziario. Lo squilibrio esterno permane, ma viene compensato parzial- 8 mente dall’afflusso di investimenti diretti esteri. Questi elementi caratterizzerebbero 4 anche il biennio 2007-08, per il quale l’Istituto prevede una crescita del PIL rispettivamen0 2005 2006 2007* 2008* te del 8,3 e 7,7 per cento. Brasile Russia India Cina In Russia la crescita ha Fonte: elaborazioni ISAE su dati OEF e previsioni ISAE beneficiato lo scorso anno del per il 2007 e 2008. contributo rilevante sia dei consumi interni (11,8%) che gli investimenti (12%); l’azione di risanamento della politica fiscale ha contribuito a stabilizzare il quadro macroeconomico. Per il biennio 2007-08 l’ISAE prevede una crescita media appena superiore al 6 per cento. L’evoluzione dell’economia brasiliana è stata trainata dalla domanda estera e ha tratto vantaggio dal contenimento monetario degli shock subiti nel recente passato. La performance di sviluppo dovrebbe ulteriormente migliorare nel biennio 2007-08, raggiungendo il 4%, grazie anche al ritorno a una intonazione maggiormente espansiva della politica monetaria a sostegno della domanda interna. - 13 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 AREA DELL’EURO Nel 2006, la performance economica dell’area dell’euro è stata decisamente positiva. Il 4,0 PIL ha registrato il tasso di 3,5 crescita medio (2,8%) più ele3,0 vato dal 2000, quasi doppio ri2,5 spetto a quello del 2005 2,0 (1,5%). Il profilo trimestrale 1,5 ha mostrato un trend crescen1,0 te, con una moderazione nel 0,5 terzo trimestre, seguita da una 0,0 decisa accelerazione, superio-0,5 re alle attese, nell’ultima parte -1,0 dell’anno. Tutte le componenti 2006 2004 2005 PIL Domanda interna Domanda estera della domanda interna hanno Fonte: Eurostat. contribuito positivamente alla crescita. I consumi privati, che nel 2005 stentavano a ripartire, hanno evidenziato segni di ripresa grazie al migliorato clima di fiducia dei consumatori e alle più favorevoli condizioni del mercato del lavoro. Nonostante l’apprezzamento dell’euro in corso d’anno, anche le esportazioni nette hanno fornito un apporto positivo allo sviluppo. Tra le economie dell’area, la Germania e la Francia, continuano a procedere a una differente velocità ma a ruoli invertiti rispetto all’esperienza di questo scorcio di decennio. Se negli anni passati la performance economica francese era stata costantemente superiore a quella tedesca, nel 2006 le posizioni si sono ribaltate. Sostenuta da una crescita generalizzata di tutte le componenti, con un particolare dinamismo dei consumi privati, in Francia il ritmo di espansione del prodotto è risultato in accelerazione rispetto all’anno precedente (2,0%, contro l’1,2% del 2005); allo stesso tempo però l’economia tedesca, dopo la performance deludente degli anni recenti, è risultata come una delle più dinamiche dell’area. Il tasso di crescita annuo del PIL tedesco è stato pari al 2,9%, nettamente superiore a quello registrato in media nel quinquennio 2001-2005 (0,6%). Il profilo trimestrale del PIL della Germania ha mostrato tassi di sviluppo tendenziali in accelerazione Graf. 6 - AREA EURO: PIL E CONTRIBUTI ALLA CRESCITA (variazioni percentuali annue e punti percentuali) Andamento nei singoli paesi - 14 - Economia internazionale e area euro: ... lungo tutto l’arco dell’anno; la crescita è stata trainata principalmente dagli investimenti, con un particolare dinanismo di quelli residenziali, stimolati dagli elevati saggi di profitto e dai tassi di interesse ancora bassi, e dalle esportazioni. Queste ultime, nonostante l’apprezzamento dell’euro, hanno sperimentato una buona performance, sostenute dalla competitività di prezzo legata al contenimento dei costi di produzione delle imprese tedesche. I consumi hanno mostrato una dinamica meno brillante delle altre componenti con l’eccezione dell’ultimo trimestre, il cui risultato (1,8% tendenziale), però, è in parte dovuto all’anticipo di spesa legato all’incremento dell’aliquota dell’IVA atteso per il 2007. La Spagna continua a segnare tassi di crescita tra i più elevati nell’area dell’euro. Nel 2006 il PIL (3,9%) è stato trainato dalle componenti interne della domanda. In particolare, i consumi privati hanno beneficiato della favorevole evoluzione del clima di fiducia e delle positive condizioni del mercato del lavoro. Dal lato degli investimenti, accanto alla tenuta del settore immobiliare, in espansione oramai da circa dieci anni grazie anche all’intenso flusso migratorio, è da segnalare l’ottima performance del comparto macchinari e attrezzature, che nell’ultimo trimestre ha segnato un incremento tendenziale dell’11,4%. Le esportazioni nette hanno mitigato il loro apporto negativo rispetto al risultato del 2005. Tutti gli indicatori conGraf. 7 - AREA EURO: INDICATORI DEL CLIMA DI FIDUCIA giunturali con poche eccezio(saldi destagionalizzati) ni, indicano una prosecuzione 8 -4 clima di fiducia dell'industria della crescita per la prima parclima di fiducia dei consumatori (scala destra) te del 2007. 6 Il clima di fiducia nel-6 l’area euro, sia per l’industria 4 sia per i consumatori, ha mo- 2 strato nell’anno una generaliz-8 0 zata tendenza al miglioramento, che si è protratta nei -2 -10 primi due mesi del 2007. A livello nazionale, i più recenti -4 segnali provenienti dalle in-12 chieste sono orientati all’otti- -6 2004 2005 2006 2007 mismo. In Germania, nonoFonte: Eurostat. stante il dato sulle vendite al - 15 - Tendenze recenti e prospettive a breve termine Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Dinamica dei prezzi e mercato del lavoro dettaglio sia stato peggiore delle attese (-4,3 in gennaio da 2,4%), sul fronte degli indicatori congiunturali continuano a pervenire delle indicazioni complessivamente favorevoli. Particolarmente buono e al di sopra delle attese è stato il dato di produzione industriale di gennaio (1,9% su base congiunturale). L’indice IFO, che ha toccato in dicembre il suo massimo assoluto, ha registrato nei primi due mesi dell’anno una correzione al ribasso, mantenendosi però su livelli storicamente molto elevati. Nello stesso periodo, l’indicatore elaborato dallo ZEW, che monitora la fiducia degli operatori finanziari, ha segnato un netto recupero (5,8 in marzo da 2,9): in particolare, si sono stabilizzati i giudizi sulla situazione corrente e sono migliorati quelli sulle attese future, suggerendo una percezione di un limitato effetto dell’IVA sull’economia tedesca. Dopo una decisa tendenza Graf. 8 - Il CLIMA DI FIDUCIA IN GERMANIA alla decelerazione tra luglio e 80 110,0 ottobre dello scorso anno, do60 108,0 vuta principalmente allo sgonfiamento delle quotazioni dei 40 106,0 prodotti energetici, il tasso di 20 104,0 inflazione al consumo armonizzato ha registrato una dina0 102,0 mica più vivace ma contenuta -20 100,0 entro il valore target della Banca Centrale; nella seconda -40 98,0 metà del 2006 la dinamica in2006 2007 IFO flazionistica ha subito un riZEW economic sentiment (scala destra) piegamento, scendendo sotto Fonte: ZEW e IFO. il 2%. Le più recenti informazioni, che scontano l’intonazione maggiormente restrittiva della politica monetaria, segnalano un’inflazione ancora stabile (1,8 in febbraio), nonostante la dinamica del PIL, la riduzione del tasso di disoccupazione e la continua accelerazione della massa monetaria. A partire da ottobre, tuttavia si è registrata una tendenza al rialzo dell’inflazione core che si era mantenuta su di un trend stabile nei mesi precedenti. Le condizioni nel mercato del lavoro sono state connotate, per tutto il 2006, da una tendenza al miglioramento. Il tasso di disoccupazione ha mostrato una costante discesa, che si è protratta anche all’inizio del 2007, toccando livelli storicamente bassi (7,4% a gennaio). - 16 - Economia internazionale e area euro: ... Sulla base delle informaGraf. 9 - INDICE ARMONIZZATO DEI PREZZI zioni disponibili, l’ISAE pre- AL CONSUMO E TASSO DI DISOCCUPAZIONE (variazioni percentuali annue) vede, per il 2007, una crescita 2,6 8,4 del PIL in decelerazione in seguito al manifestarsi, in corso 2,4 8,2 d’anno, degli effetti legati 2,2 8 all’aumento dell’IVA in Ger2 mania, alla moderazione della 7,8 domanda mondiale e all’into1,8 nazione più restrittiva della 7,6 politica monetaria. Tuttavia, in 1,6 linea con le recenti indicazioni 7,4 1,4 di miglioramento del clima di 7,2 fiducia degli imprenditori e 1,2 2006 2007 2004 2005 dei consumatori, la domanda cpi CPI core interna dovrebbe continuare a tasso di disoccupazione (scala destra) fornire un apporto positivo Fonte: Eurostat. alla crescita. Gli investimenti, nei prossimi trimestri, dovrebbero continuare a beneficiare di condizioni di credito favorevoli, nonostante i recenti rialzi dei tassi di policy, grazie a rendimenti a lungo termine su livelli ancora bassi. La buona performance del mercato del lavoro e un tasso di inflazione ancora stabile, dovrebbero determinare un aumento del reddito disponibile reale e per questa via stimolare i consumi. La riforma dell’IVA in Germania, pur incidendo negativamente, avrà probabilmente un impatto inferiore sulla dinamica dei consumi rispetto a quanto ipotizzato in precedenza. Ci si attende, inoltre, che la domanda internazionale seppur meno dinamica dell’anno precedente, continui a sostenere le esportazioni nette dell’area. In base a questo profilo, il PIL, nella media del 2007, si attesterebbe al 2,3%, in ripiegamento di cinque decimi di punto rispetto al 2006. Nel 2008, il perdurare di un favorevole contesto internazionale e il venir meno di alcuni degli effetti temporanei di rallentamento, sono gli elementi che permetterebbero la prosecuzione della fase ciclica positiva, con un profilo trimestrale in leggera accelerazione; il tasso di crescita medio annuo si confermerebbe sostanzialmente sui livelli del 2007 (2,2%). - 17 - Previsione Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 POLITICA MONETARIA E MERCATI FINANZIARI NELL’AREA DELL’EURO Sono proseguiti i rialzi dei tassi di interesse ufficiali Dall’inizio della fase restrittiva, a dicembre 2005, le autorità monetarie dell’area dell’euro hanno attuato complessivamente 7 rialzi da ¼ di punto ciascuno, l’ultimo dei quali nel mese di marzo 20071. Il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali è stato così portato al 3,75%, il tasso di rifinanziamento marginale al 4,75% ed il tasso sui depositi overnight presso il SEBC al 2,75 per cento. Graf. 10 - TASSI DI INTERESSE (valori percentuali, dati giornalieri) 5 4,5 4 3,5 3 2,5 2 1,5 1 0,5 2005 2006 2007 Operaz ioni di rif inanz iamento princ ipali EONIA Operaz ioni di rif inanz iamento marginali Depos iti ov ernight pres s o il SEBC Tas s o a 10 anni Fonte: Datastream e BCE. Condizioni monetarie più restrittive In presenza di un rafforzamento del cambio della valuta europea e di un tasso di inflazione che è sceso rapidamente al di sotto del 2% nella seconda metà dell’anno, l’aumento dei rendimenti a breve termine, seppure traslatosi solo in parte su quelli a lunga scadenza, ha determinato un sensibile inasprimento delle condizioni monetarie. L’indice MCI, misurato sul cambio effettivo reale e sui rendimenti reali a sei mesi, segnala un aumento della restrizione monetaria del 2,5% da dicembre 2005 a dicembre 2006, quando ha raggiunto il massimo dall’avvio dell’Unione Monetaria. Gli effetti restrittivi sulle condizioni 1 Nel 2006 gli interventi sono stati attuati in marzo, giugno, agosto, ottobre e dicembre. - 18 - Economia internazionale e area euro: ... di finanziamento delle imprese sono stati comunque in parte mitigati dal buon andamento dei mercati azionari e dai rialzi contenuti dei rendimenti a medio-lunga scadenza. I rendimenti a dieci anni a fine 2006 si sono collocati, infatti, poco al di sopra del 4%, ed il differenziale rispetto ai tassi a tre mesi si è ridotto nella seconda metà del 2006 di quasi un punto percentuale, a meno di 50 punti base. Graf. 11 - CONDIZIONI MONETARIE E VARIAZIONI DEL PIL 5 109 4,5 4 107 3,5 105 3 103 2,5 2 101 1,5 99 1 97 0,5 95 0 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 Condizioni monetarie, numero indice 2000=100 (sc.sin) Pil, var.% tendenziale (sc.dx) Fonte: elaborazioni ISAE su dati OCSE e Datastream. Dal 2007 previsioni ISAE. Sulle decisioni della Banca Centrale Europea di aumentare di 1,75 punti i tassi di interesse nei passati quindici mesi, ha influito il significativo miglioramento delle prospettive di crescita economica dell’area. In presenza di un rafforzamento della ripresa, infatti, alcuni elementi di rischio inflazionistico presenti nel sistema possono cominciare ad esplicare i loro effetti. Tra questi, il possibile pass-through dei passati aumenti dei prezzi energetici, l’adeguamento dei prezzi amministrati e delle imposte indirette, i rinnovi dei contratti in scadenza. Le proiezioni di crescita del PIL effettuate dallo staff della BCE sono state significativamente aumentate nel corso dell’anno: la dinamica del PIL nel 2006 è stata rivista al rialzo di ben 8 decimi di punto da dicembre 2005 a dicembre 2006 (dall’1,9 al 2,7%) e quella del 2007 è stata innalzata, da dicembre 2005 a marzo 2007, di 6 decimi di punto (dall’1,9 al 2,5%). Il sensibile miglioramento delle prospettive intervenuto nel corso dell’ultimo anno è ancora più evidente se si considera che le previ- - 19 - Prospettive di crescita notevolmente migliorate Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 sioni più recenti sono state formulate sulla base di tassi di interesse notevolmente più elevati (di 0,8 punti percentuali nel 2006 e di 1,9 nel 2007) e di un cambio dell’euro più apprezzato di oltre il 9% (1,30 anziché 1,19 nei confronti del dollaro statunitense). Tab. 5 PROIEZIONI MACROECONOMICHE DELLA BCE PIL dicembre 2005 2006 2007 1,9 1,9 Euribor 3m 2008 2006 2,28 2007 Tassi a lunga 2008 2,28 2006 2007 3,6 3,7 marzo 2006 2,1 2,0 2,55 2,55 3,6 3,7 giugno 2006 2,1 1,8 3,10 3,90 4,0 4,3 settembre 2006 2,5 2,1 2,3 3,10 3,90 dicembre 2006 2,7 2,2 2,3 3,10 4,00 3,8 2,5 2,4 4,20 4,3 marzo 2007 IACP 2006 2007 3,9 4,1 3,8 3,8 3,8 4,2 4,2 Cambio euro/$ 2008 2006 2007 2008 2008 Petrolio 2006 2007 2008 dicembre 2005 2,1 2,0 1,19 1,19 60,0 59,5 marzo 2006 2,2 2,2 1,21 1,21 66,1 67,5 giugno 2006 2,3 2,2 1,27 1,27 70,3 73,9 settembre 2006 2,4 2,4 1,28 1,28 71,0 77,6 dicembre 2006 2,2 1,28 1,28 1,28 65,5 64,6 67,2 1,30 1,30 59,9 63,4 marzo 2007 2,0 1,9 1,8 2,0 Fonte: Banca Centrale Europea. Inflazione sotto controllo L’inflazione continua a mantenersi al di sotto degli obiettivi (l’indice armonizzato dei prezzi al consumo è sceso nella seconda metà del 2006 sotto il 2% ed a gennaio 2007 è stato pari all’1,8%) e le indicazioni provenienti dai mercati finanziari segnalano che gli operatori si attendono un andamento moderato anche nei prossimi anni. In una fase di miglioramento delle prospettive di crescita, la contenuta dinamica dei tassi di interesse sulle scadenze medio-lunghe dovrebbe infatti essere attribuibile a basse attese inflazionistiche. Anche l’indicatore relativo alle aspettative inflazionistiche usualmente considerato dalla BCE, la break even inflation, segnala che le attese dei mercati relative all’andamento dell’inflazione nei prossimi dieci anni si mantengono basse; tale indicatore, dopo aver oscillato intorno al 2,2% nella prima metà del 2006, è sceso verso il 2,1% nella parte finale dell’anno, evidenzia che gli operatori si aspettano che la dinamica dei prezzi si manterrà sotto gli obiettivi. - 20 - Economia internazionale e area euro: ... Se non ci sono per ora segnali di pressioni inflazionistiche, dati anche la riduzione dei prezzi del petrolio nella seconda metà del 2006 ed il rafforzamento dell’euro, l’attenzione delle autorità monetarie è principalmente rivolta ai rischi derivanti dagli andamenti degli aggregati monetari e dei mercati azionari. Gli aggregati monetari continuano infatti ad espandersi a tassi elevati in un contesto già di ampia liquidità. Quest’ultima potrebbe stimolare, nel contesto delineato di ripresa economica, una domanda eccessiva e/o alimentare una crescita nei mercati finanziari e immobiliari superiore a quella compatibile con l’andamento dei fondamentali, con conseguenti rischi di brusche correzioni. L’aggregato monetario di riferimento M3 è infatti aumentato a tassi elevati per tutto il 2006 (8,5% in media), manifestando una tendenza all’accelerazione nei mesi finali dell’anno ed ad inizio 2007, quando il tasso di crescita ha raggiunto il 9,8%. Tuttavia, analizzando le componenti dell’aggregato, si evidenzia come l’espansione si sia accompagnata ad una ricomposizione verso le più lunghe scadenze, soprattutto nella seconda parte dell’anno. La dinamica delle componenti più liquide comprese in M1 ha infatti registrato un forte rallentamento: da un tasso medio di quasi il 10,5% del 2005 si è scesi all’8,5% nel 2006 (al 7% nella parte finale del 2006). In particolare, una significativa accelerazione hanno registrato i titoli fino a due anni ed i depositi di durata superiore ai 3 mesi, mentre i depositi a brevissima scadenza hanno subito una brusca deceGraf. 12 - AGGREGATI MONETARI NELL'AREA DELL'EURO (variazioni percentuali annue) 13 11 9 7 5 3 2005 2006 M3 M 3 media mo bile centr. trim. Valo re di riferimento M 3 M1 Fonte: BCE. - 21 - Rischi di instabilità finanziaria preoccupano la BCE Espansione degli aggregati monetari Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Crescita dei mercati azionari lerazione. Una componente in forte espansione continua ad essere il circolante: il suo tasso di crescita, seppure gradualmente in riduzione, si mantiene sopra il 10%. Lo stock di monete e banconote in circolazione ha raggiunto livelli molto superiori alle tendenze pre-euro, probabilmente a causa dell’espansione del ruolo della moneta europea come valuta di riserva internazionale. Segnali rassicuranti per l’evoluzione dei rischi inflazionistici e finanziari derivano anche dall’andamento delle contropartite di M3. I prestiti al settore privato infatti, dopo l’accelerazione dell’ultimo biennio, si sono stabilizzati a partire da aprile su tassi intorno all’11%, con segnali recenti di decelerazione. Tali dinamiche hanno riflesso soprattutto l’andamento dei prestiti alle famiglie, in particolare il rallentamento nell’erogazione di mutui per l’acquisto di abitazioni. I prestiti alle imprese hanno continuato ad accelerare, soprattutto quelli di durata superiore a 1 anno. Una seconda fonte di preoccupazione per la BCE è rappresentata dalla crescita delle quotazioni azionarie. L’indice Dow Jones relativo al mercato azionario dell’area dell’euro ha proseguito, dopo l’interruzione registrata nel bimestre maggio-giugno, la crescita iniziata alla metà del 2003. Dal mese di giugno al mese di dicembre, l’indice europeo è aumentato del 17% e di quasi il 20% rispetto al dicembre dell’anno precedente. L’indice Standard & Poor relativo al mercato azionario americano negli stessi periodi è cresciuto di circa il 13%. Tale andaGraf. 13 - INDICI AZIONARI NELL'AREA DELL'EURO E NEGLI STATI UNITI (1 gennaio 2003=100; dati giornalieri) 220 210 200 190 180 170 160 150 140 130 120 2005 2006 Standard & P o o r 500 (Stati Uniti) DJ Euro Sto xx (area euro ) Fonte: elaborazioni ISAE su dati Datastream. - 22 - 2007 Economia internazionale e area euro: ... mento, se da un lato può riflettere attese di aumento dei profitti e risultare fisiologico all’avvio della fase di espansione economica, dall’altro può essere in parte il risultato di una sottovalutazione dei rischi da parte degli operatori e dei bassi tassi di interesse. Alla fine di febbraio 2007, i mercati azionari europei, seguendo le borse asiatiche, hanno registrato una brusca flessione e l’indice Dow Jones ha perso circa il 5% in due settimane. Essa non ha preoccupato le autorità monetarie europee, che l’hanno anzi salutata favorevolmente, definendola una rapida, ma ordinata, correzione, ed hanno proceduto comunque ad un ulteriore rialzo dei tassi di interesse lo scorso 8 marzo. Nell’ultima conferenza stampa dell’8 marzo scorso, il Governatore della Banca Centrale Europea ha lasciato intendere che ci saranno ulteriori aumenti dei tassi di interesse. Dalle parole di Trichet si deduce che la prossima restrizione monetaria è resa necessaria soprattutto dall’esigenza di prevenire, in un contesto di robusta crescita economica, fenomeni di instabilità finanziaria, controllando l’espansione della moneta e del credito e favorendo una ordinata e moderata correzione della valutazione del rischio da parte degli investitori nei mercati azionari. I rendimenti impliciti nei contratti futures sui tassi a tre mesi indicano attese di un prossimo aumento dei tassi ufficiali e di un ritorno ai livelli attuali già a inizio 2008. Indicazioni analoghe provengono dall’analisi dei tassi di interesse a media e lunga scadenza, rimasti praticamente invariati, su livelli intorno al 4,1%, in seguito alla conferenza stampa del Governatore della Banca Centrale. A metà marzo, la curva dei rendimenti mostra una gobba sulle scadenze più brevi, con il rendimento ad 1 anno che raggiunge quasi il 4,2% ed un andamento lievissimamente ad U su quelle successive, con un minimo sulla durata quinquennale a circa il 4 per cento. Secondo le nostre valutazioni, lo scenario di crescita economica e di inflazione che si delinea per i prossimi mesi non giustificherebbe ulteriori manovre restrittive per tutto il 2007. Nelle nostre stima, infatti, la dinamica del Pil subisce un rallentamento nel 2007 (2,3%) rispetto all’anno precedente (2,8%), ed un lieve e graduale miglioramento nel corso 2008 (per una crescita annua del 2,2%). Valutiamo inoltre che non vi siano rischi inflazionistici di rilievo, dato anche l’andamento del cambio, che stimiamo stabile o in leggero apprezzamento, ed il prezzo del petrolio che prevediamo in calo. - 23 - Per la BCE necessari altri aumenti dei tassi ufficiali Scontato dai mercati un rialzo di 25 punti base nei prossimi mesi. Attese di successiva riduzione Le nostre previsioni Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 BCE particolarmente fiduciosa sulla crescita economica La consistente espansione della massa monetaria e la prolungata crescita dei mercati azionari ed immobiliari possono tuttavia essere fonti di rischi di instabilità finanziaria e pertanto richiedere ulteriori rialzi dei tassi di interesse. Nelle nostre previsioni la BCE, ottimista sulle prospettive di crescita e preoccupata degli andamenti monetari e finanziari, attuerà un altro aumento di ¼ di punto, al 4%, alla fine del secondo trimestre dell’anno corrente. La fase di rialzi subirà quindi un arresto fino alla seconda metà del 2008, quando, la crescita economica si rafforzerà. Fino ad allora, non riteniamo opportune altre manovre sulla base di diverse considerazioni. Innanzitutto, un tasso di interesse a breve termine del 4%, si traduce, nel contesto attuale di bassa inflazione, in un tasso reale di oltre 2 punti percentuali, superiore alla dinamica del PIL potenziale, indicato dalla BCE all’1,9%, e comunque praticamente uguale a quella che noi prevediamo sarà la crescita economica nell’area dell’euro. Gli eventi più recenti inoltre, come i dati macroeconomici statunitensi peggiori del previsto e la correzione intervenuta nei mercati azionari mondiali, evidenziano la possibilità di un certo indebolimento della congiuntura europea che giustificherebbe una certa cautela da parte della BCE. In terzo luogo la Fed ha concluso la fase dei rialzi e riteniamo procederà invece a più ribassi. Il differenziale di rendimento a breve termine (3 mesi) tra gli Stati Uniti ed area dell’euro, che si è già ridotto dal 2,5% dello scorso giugno all’1,5% attuale, scenderebbe a mezzo punto percentuale. Riduzioni più forti risulterebbero eccessive sia alla luce del differenziale di crescita tra le due aree sia per le conseguenze sui tassi di cambio. Inoltre, nel nostro scenario di crescita moderata ed in rallentamento nel corso del 2007, non agirebbero forze tali da alimentare rischi di instabilità finanziaria, ed i fenomeni che risultano preoccupare attualmente la BCE verrebbero riassorbiti senza bisogno di manovre aggiuntive, le quali potrebbero, anzi, rivelarsi pregiudizievoli per la ripresa. Scenari di crescita diversi implicherebbero ovviamente tassi di interesse diversi. Al riguardo, sembra che la BCE sia particolarmente ottimista, non temendo una recessione negli Stati Uniti e confidando in una fase di robusta ed autonoma espansione economica nei paesi dell’area dell’euro. - 24 - Economia internazionale e area euro: ... Abbiamo allora condotto un ulteriore esercizio, simulando il comportamento dell’autorità monetaria nell’ipotesi di una crescita economica nell’area dell’euro pari al massimo del range previsto dagli esperti della BCE.(2,9% sia nel 2007 sia nel 2008). La simulazione è stata effettuata con l’ausilio della Taylor Rule stimata dall’ISAE nell’ipotesi comunque di assenza di pressioni inflazionistiche di medio-lungo termine e di shock di altra natura e di un tasso di crescita potenziale invariato all’1,9%. Il risultato, puramente indicativo di un massimo ipoteticamente raggiungibile nel biennio se si verificassero le più ottimistiche previsioni, suggerirebbe, dopo il rialzo, al 4%, nel secondo trimestre dell’anno in corso, altri rialzi per un totale di 1 punto percentuale, al 5%, fino alla fine del 2008. - 25 - Economia italiana: evoluzione recente OFFERTA Dopo un quinquennio di crescita insoddisfacente, contrassegnata da saltuari episodi di ripresa a bassa intensità e durata (tali da aver dato luogo al fenomeno delle cosiddette “false partenze”), nel 2006 l’economia italiana ha messo in luce ritmi di sviluppo particolarmente sostenuti, analoghi a quelli sperimentati nei trimestri a cavallo del 2000, il periodo dell’ultima fase espansiva. Nel corso del 2006, tali dinamiche hanno avuto carattere continuativo e i segnali di ripresa si sono gradualmente diffusi alla gran parte dei settori produttivi. Questa favorevole performance si è accompagnata all’ulteriore contenimento dell’incertezza delle imprese e, soprattutto, delle famiglie, che era risultata invece in accentuato ripiegamento negli anni precedenti. L’inversione di rotta, i cui primi deboli segnali erano emersi a partire dai mesi iniziali del 2005, sembra aver posto fine a un periodo particolarmente complesso per l’economia italiana, dove fattori di natura istituzionale si sono sovrapposti a fatti di carattere macroeconomico. Da un lato, l’intensificarsi del processo di globalizzazione ha visto la crescita eccezionale delle economie asiatiche dirette concorrenti dell’Italia in alcuni settori merceologici di tradizionale specializzazione del nostro paese. Da pericolo per le nostre produzioni, l’eccezionale sviluppo di queste aree sta gradualmente lasciando il posto alle pur molteplici opportunità che sono connaturate al realizzarsi di fenomeni di così forte trasformazione. Dall’altro, l’inizio del decennio ha coinciso con l’effettiva partenza dell’area a moneta unica. Si è trattato di un evento che ha coinvolto in ugual misura tutte le economie partecipanti ma, che ha inciso in misura differenziata per effetto delle specificità nazionali. È possibile, in particolare, che l’abbandono del cambio flessibile abbia comportato un ritardo di adeguamento delle imprese e un rallentamento, quindi, del loro processo di ristrutturazione risultato ec- - 27 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Si consolida la crescita nei settori produttivi cezionalmente lungo, superiore per durata a quello già molto esteso che aveva interessato la nostra manifattura nei primi anni ’80. Nel 2006, la ripresa proGraf. 1 - PRODOTTO INTERNO LORDO (milioni di euro 2000; dati destagionalizzati e duttiva è stata contrassegnata corretti per il diverso numero di giornate lavorative) da ritmi particolarmente soste320000 1,40 nuti nel primo e nel secondo 1,20 318000 1,00 trimestre, grazie a una cresci316000 0,80 ta che ha interessato pressoché 314000 0,60 312000 tutti i comparti. Al rallenta0,40 310000 mento del terzo è poi seguita 0,20 308000 una marcata accelerazione nel 0,00 306000 -0,20 trimestre finale dell’anno. Al 304000 -0,40 netto dei fattori stagionali e 302000 -0,60 aggiustando per il numero di 2003 2004 2005 2006 giorni lavorativi, l’incremento Variazioni congiunturali (scala a destra) del prodotto interno lordo nei Livelli primi due trimestri è risultato Fonte: ISTAT. pari, rispettivamente, allo 0,8% e allo 0,6% e tale da portare il PIL a un livello pari a oltre il 70% di quello medio dell’intero 2006. Alla decelerazione del terzo (+0,3%) è seguito un forte, quanto inatteso, impulso nel quarto (pari a circa tre volte quello dei precedenti tre mesi). Nella media del 2006, la crescita dell’economia italiana è risultata pari all’1,9%, un risultato favorevole rispetto all’andamento dei primi anni duemila. Il miglioramento ha, però, provveduto soltanto marginalmente a ridurre il divario di crescita nei riguardi delle maggiori economie dell’area euro (passato a 0,9 punti percentuali nei confronti dell’UEM, da 1,3 nel 2005). Nello stesso periodo, la crescita del PIL è stata del 3,9% in Spagna e del 2,9% in Germania; la Francia ha invece evidenziato dinamiche confrontabili con quelle dell’Italia (+2%). L’esame della disaggregazione settoriale offre ulteriori spunti di analisi della più recente fase ciclica (per considerazioni sulla datazione del ciclo economico industriale si veda il Rapporto Trimestrale dell’ISAE di febbraio 2006 e la Nota Mensile dell’ISAE di novembre 2006). Nei trimestri centrali del 2005 era emersa una favorevole, seppur moderata, evoluzione dell’attività produttiva, risultata ancora contrassegnata da sostanziali eterogeneità nelle dinamiche di crescita dei singoli comparti. La lieve flessione del quarto trimestre di quell’anno - 28 - Economia italiana: evoluzione recente era infatti dovuta a una battuta d’arresto soprattutto delle costruzioni, in presenza di una tenuta delle attività dei servizi (ad eccezione di quelle del credito, delle attività immobiliari e dei servizi professionali). In questa chiave, il netto incremento dei primi tre mesi del 2006 sarebbe dovuto a una ritrovata condivisione della direzione di marcia nei maggiori comparti dell’economia, anche in quelli che avevano accusato le maggiori difficoltà nel conseguire un cambio di ritmo e avviare, così, il recupero delle posizioni perdute. Graf. 2 - VALORE AGGIUNTO NEI PRINCIPALI SETTORI PRODUTTIVI (variazioni congiunturali) 2,5 20,0 2,0 15 ,0 1,5 10 ,0 1,0 5,0 0,5 0,0 0,0 -5 ,0 -0,5 -1,0 -10,0 -1,5 -15,0 -2 0,0 -2,0 200 3 C o s t ruzio ni 200 4 IS S 200 5 S erv izi 200 6 A gric o lt ura (s c a la a de s t ra ) Fonte:ISTAT. Misurato sulla base dei dati di contabilità nazionale, all’aumento del primo trimestre 2006 hanno concorso, pressoché in ugual misura, i comparti dell’industria e dei servizi il cui valore aggiunto (corretto per il numero di giornate lavorative) è cresciuto, rispettivamente, dell’1,5% e dello 0,6%. A ciò ha contributo il netto miglioramento del settore manifatturiero (+1,6%, tornato in terreno positivo dopo due trimestri consecutivi di lievi decrementi) e, tra i comparti del terziario, il commercio, trasporti e pubblici esercizi (+1,2%) e le altre attività dei servizi (+0,6%). L’avanzamento del secondo trimestre è ascrivibile, in larga parte, alle attività del credito, a quelle immobiliari e a servizi professionali (+1,6%), il cui apporto all’incremento complessivo è stato pari a circa 0,4 punti percentuali. In questo periodo, il comparto industriale ha messo in luce un visibile rallentamento, condiviso poi dalla generalità dei comparti produttivi nel terzo trimestre. La netta spinta del periodo ottobre-dicembre è, di nuovo, stata alimentata da migliora- - 29 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Ritorno a un ciclo manifatturiero espansivo menti diffusi in tutti i comparti: nell’industria in senso stretto, la crescita è stata pari al 2,1% (un risultato “straordinario” per tale comparto, non più toccato dal primo trimestre del 1994), superiore all’1% nelle maggiori attività dei servizi. Lungo tutto il corso del 2006, le costruzioni hanno mostrato una evoluzione in linea con la dinamica aggregata, con una consistente accelerazione negli ultimi tre mesi. In contrazione è apparsa, invece, l’agricoltura che solo nei mesi finali dell’anno ha evidenziato un ritorno a ritmi di sviluppo favorevoli. Nel 2006, l’attività industriale ha seguito ritmi di crescita nuovamente soddisfacenti. Pur ancora contrassegnata da una certa erraticità della dinamica su base mensile (nel 2006, le contrazioni sono risultate in numero analogo a quelle del 2005), l’evoluzione del settore ha consolidato, sia pure in misura molto graduale, la correzione di rotta emersa nella prima metà del 2005. In quell’anno, nonostante la negativa performance di crescita media, si era registrata un’inversione nella tendenza dello sviluppo di lungo temine della nostra industria. Quest’ultima, infatti, è risultata in costante deterioramento a partire dal 2001, anno della breve ma intensa “vera” recessione industriale che, insieme all’indebolimento della fase ciclica, aveva comportato anche un marcato deterioramento della componente di trend (si veda il capitolo Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione: specificità dell’economia e dell’industria italiana in questo Rapporto). Con riferimento alle dinamiche più tipicamente cicliche, il 2006 ha soprattutto beneficiato degli andamenti positivi registrati nei trimestri iniziali e finali dell’anno. Nel primo, la dinamica molto positiva ha usufruito dei significativi effetti di trascinamento dovuti al balzo che si era osservato nel mese di dicembre 2005. Ciò ha consentito di compensare, almeno parzialmente, la caduta del periodo marzo-aprile, in parte dovuta a una particolare distribuzione delle festività pasquali (cosiddetto “effetto ponte”, probabilmente non adeguatamente contemplato nella procedura di aggiustamento per i giorni di lavoro), che è alla base della evoluzione stazionaria registrata nel secondo trimestre del 2006. Nella seconda metà dell’anno si è realizzata una robusta accelerazione dei ritmi industriali (più che raddoppiati tra il terzo e il quarto trimestre) sospinti nel periodo luglio-settembre dalla crescita particolarmente favorevole osservata in agosto e, negli ultimi tre mesi, dagli intensi incrementi (i più elevati dell’intero 2006) registrati in ottobre e dicembre. - 30 - Economia italiana: evoluzione recente Sulla base dell’indice generale destagionalizzato e corretto per il diverso numero di giornate lavorative, nel terzo trimestre la produzione industriale si è incrementata dello 0,6% e, a un ritmo di crescita più che doppio, nel quarto (+1,3%). Nella media del 2006, l’incremento dell’indice grezzo è stato pari all’1,8% (+2,3% sulla base dell’indicatore corretto per i giorni di lavoro), il risultato più favorevole del decennio in corso (se si esclude il 2000, quando il rialzo fu del 2,2%). A fronte di tale evoluzione, l’attività industriale non avrebbe ancora interamente recuperato le perdite accusate nel periodo compreso tra gennaio 2001 e marzo 2005: a fine 2006, l’indice della produzione industriale si è riportato sui livelli della metà del 2001. Tali dinamiche hanno troGraf. 3 - PRODUZIONE INDUSTRIALE E CLIMA DI FIDUCIA DELLE IMPRESE vato riscontro negli indici qua(saldi destagionalizzati; variazioni annue) litativi del ciclo industriale. Il 100 5 clima di fiducia delle imprese, 4 elaborato dall’ISAE come sin- 95 3 tesi delle risposte degli intervi2 stati sull’evoluzione del 90 1 portafoglio ordini, delle gia0 85 cenze di magazzino e sulle at-1 tese a brevissimo termine 80 -2 -3 dell’attività produttiva, ha -4 messo in luce un rialzo costan- 75 2003 2004 2005 2006 2007 te nei primi sei mesi dello Clma di fiducia Produzione industriale (scala a destra) scorso anno (proseguendo la dinamica favorevole che era Fonte: ISTAT e ISAE. cominciata durante il 2005). A giugno 2006, l’indice destagionalizzato ha toccato quota 98,2 riportandosi sui valori massimi che erano stati registrati nella seconda metà del 2000. Questo risultato ha riflesso il significativo miglioramento dei giudizi sulle condizioni di domanda (sul mercato interno ed estero) e delle prospettive produttive a breve termine, in presenza di una stazionarietà delle giacenze di prodotti finiti. Nella seconda metà del 2006, al contrario, la fiducia delle imprese ha mostrato, dapprima, una sostanziale stazionarietà e, successivamente, un lieve ripiegamento. Hanno, in particolare, mostrato segni di indebolimento le aspettative circa gli andamenti a breve della produzione e il giudizio sul portafoglio ordini che, si è in particolare deteriorato nei primi mesi del 2007. - 31 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 La moderazione nei ritmi di crescita, anticipata dall’an(indici destagionalizzati 2000=100, damento più recente dell’indicomponenti di ciclo-trend) ce di fiducia, ha trovato 104 dati destagio nalizzati riscontro nella consistente 102 ciclo -trend flessione della produzione in100 dustriale nel mese di gennaio 2007: questa ha sostanzial98 mente compensato il picco (ri96 visto, peraltro, al ribasso) del mese precedente. Su tale anda94 mento irregolare ha probabil92 mente influito anche qualche 2003 2004 2005 2006 2007 fattore erratico, legato al miFonte: ISTAT ed elaborazioni ISAE su dati ISTAT. * L'area ombreggiata rappresenta il periodo di nor numero di giorni lavorativi previsione. del mese di dicembre. Per i tre mesi successivi, l’ISAE prevede (sulla base dei segnali provenienti dagli indicatori congiunturali) uno sviluppo complessivamente positivo della dinamica produttiva, pur su un profilo alquanto irregolare, che permane, tuttavia, orientata in senso favorevole. In particolare, l’attività industriale aumenterebbe dello 0,7% a febbraio, per poi ridursi dello 0,4% a marzo. Complessivamente, la produzione manifatturiera subirebbe una lieve flessione (-0,1%) nel primo trimestre del 2007 rispetto al quarto del 2006. Per il mese di aprile, invece, si prevede una crescita dello 0,3%. A livello settoriale si registra un aumento dei settori che mostrano un miglioramento della posizione ciclica. Rispetto ai mesi iniziali del 2006, i maggiori progressi sono stati registrati in alcuni comparti di produzione di beni intermedi, in particolare, quelli relativi alla fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche, alla produzione di articoli in gomma e materie plastiche, alla produzione di metallo e prodotti in metallo, tutti connotatisi per il fatto di aver realizzato una transizione, nel volgere di un anno, da uno stato di contrazione a uno di espansione. Analoghe dinamiche hanno, nello stesso tempo, interessato due settori di tradizionale specializzazione della manifattura italiana, l’industria tessile e dell’abbigliamento (ora in crescita mentre era risultata in recessione a inizio 2006) e l’industria della produzione di macchine e apparecchi meccanici (che ha consolidato la fase di crescita moderata Graf. 4 - INDICE GENERALE DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE Posizione ciclica dei settori industriali - 32 - Economia italiana: evoluzione recente transitando a una fase espansiva). Si tratta di comparti che, complessivamente, rappresentano oltre il 45% del valore aggiunto industriale (secondo la struttura di ponderazione dell’attuale indice della produzione industriale), una indicazione che fornisce una stima della diffusione dell’espansione produttiva tra i settori industriali. Passaggi temporanei a un più favorevole regime di crescita, seguiti da un successivo ritorno alla precedente situazione di stabilità, sono stati registrati per le industrie della lavorazione di minerali non metalliferi, quelle della produzione di apparecchi elettrici e di precisione e per le altre industrie manifatturiere (compresi i mobili). Una sostanziale stazionarietà della dinamica positiva ha contrassegnato il settore alimentare mentre, una persistenza in un regime di stabilità è stata riscontrata per le industrie delle pelli e delle calzature, della produzione di mezzi di trasporto e per quella del legno e dei prodotti semilavorati in legno. Un indebolimento ciclico ha, inoltre, interessato il comparto delle raffinerie di petrolio (passato da una fase espansiva a una di stabilità), mentre un più sensibile deterioramento della posizione ciclica (che ha comportato il passaggio a una fase recessiva) è stato riscontrato per l’industria della carta, stampa ed editoria e per il comparto di produzione di energia elettrica, acqua e gas. Tab. 1 SITUAZIONE CICLICA DEI PRINCIPALI SETTORI INDUSTRIALI Posizione ciclica (gennaio 2007) Settore Estrazione di minerali espansione Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco espansione Industrie tessili e dell’abbigliamento espansione Industrie delle pelli e delle calzature stabile Industria del legno e dei prodotti in legno (escl. mobili) stabile Industria della carta, stampa ed editoria contrazione Raffinerie di petrolio stabile Fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche espansione Produzione di articoli in gomma e materie plastiche espansione Lavorazione di minerali non metalliferi stabile Produzione di metallo e prodotti in metallo espansione Produzione di macchine e apparecchi meccanici espansione Produzione di apparecchi elettrici e di precisione stabile Produzione di mezzi di trasporto stabile Altre industrie manifatturiere (compresi i mobili) stabile Produzione di energia elettrica, gas e acqua contrazione Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT. - 33 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Evidenze più disaggregate, desunte dall’indice di diffusione dell’attività industriale, elaborato dall’ISAE a partire dagli indici di produzione relativi a 185 settori produttivi (in accordo con la classificazione ATECO 2002), fornirebbero una lettura lievemente differente sull’evoluzione dell’attività manifatturiera. Se, da un lato, il sostanziale recupero di livelli produttivi (verificatosi nei primi sei mesi del 2006) trova conferma nell’andamento dell’indicatore, dall’altro si evidenzia, nella seconda metà dell’anno, una relativa stazionarietà, seguita negli ultimi mesi da un certo ridimensionamento della quota di settori in espansione (passati dal 70% al 65% nel periodo luglio-dicembre 2006). Tale evoluzione indurrebbe a ritenere che la marcata accelerazione che ha caratterizzato il secondo semestre della dinamica industriale sia stata meno diffusa e si sia concentrata su un numero relativamente ristretto di comparti produttivi. Tale ridimensionamento Graf. 5 - INDICE DI DIFFUSIONE 0,8 0,7 0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 2000 2001 2002 interno 2003 2004 estero 2005 2006 2007 totale Fonte : elaborazione ISAE su dati ISTAT. del grado di diffusione (in termini aggregati) non configura, tuttavia, un indebolimento della crescita industriale: con la quota toccata a gennaio 2007 (65%), l’indicatore si colloca comunque a un livello storicamente elevato, confrontabile con i valori acquisti nella metà del 2000, in corrispondenza del picco di accelerazione industriale. La flessione dell’indicatore di diffusione sembrerebbe avere anticipato la correzione che ha contrassegnato la dinamica aggregata dell’attività produttiva a inizio 2007. A fronte di tale dinamica aggregata, nei comparti in prevalenza orientati al mercato interno si è riscontrata una sostanziale stabilità della quota di settori in espansione (67% la percentuale rimasta - 34 - Economia italiana: evoluzione recente costante a partire dal mese di ottobre 2006). La riduzione dell’indice complessivo è, pertanto, pressoché interamente ascrivibile ai comparti industriali orientati all’estero, le cui dinamiche espansive (nel secondo semestre dell’anno) avrebbero interessato un numero di industrie relativamente ristretto; tra queste figurano le produzioni di pelli e calzature, della chimica e della gomma. Alla riduzione della diffusione ha contribuito, inoltre, l’effetto della revisione statistica degli indici (intervenuta con ilrilascio dei dati relativi a gennaio 2007) che ha portato a un marcato ridimensionamento della dinamica di alcuni comparti dell’industria tessile (tessitura e fabbricazione di articoli di calzetteria), dei minerali non metalliferi (fabbricazione di prodotti ceramici refrattari, di piastrelle in ceramica per pavimenti e rivestimenti), delle macchine e apparecchi meccanici (fabbricazione di pompe, compressori e sistemi idraulici, di rubinetti e valvole, di fornaci e bruciatori, di trattori agricoli) e dell’industria delle macchine elettriche (fabbricazione di fili e cavi isolati, di pile e accumulatori elettrici). La dinamica favorevole, Graf. 6 - INDICI DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE pur concentrata su un numero (componenti di ciclo-trend) più limitato di settori, si è ri105 flessa nell’andamento dell’in- 103 dice aggregato che ha posto in 101 99 luce una maggiore concordan97 za dell’attività dei settori volti 95 all’esportazione con quella dei 93 comparti operanti sul mercato 91 interno. Come discusso nei 89 87 precedenti Rapporti, fino ai 85 mesi finali del 2005, i settori 2003 2004 2005 2006 2007 esportatori avevano accusato M ercato estero M ercato interno una persistente debolezza della dinamica di trend, anche nel Fonte:elaborazione ISAE su dati ISTAT. periodo in cui i comparti aventi come destinazione prevalente il mercato interno avevano segnato una inversione di tendenza e si erano posizionati su un sentiero di sviluppo favorevole. Per le industrie orientate all’export, tale correzione si sarebbe verificata con un ritardo di circa un anno rispetto a quelle operanti sul mercato interno; essa si sarebbe manifestata nei mesi iniziali del 2006 e, poi proseguita nel corso dell’anno secondo ritmi di svilup- - 35 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Gli indicatori qualitativi segnalano il consolidarsi della crescita Beni di investimento, di consumo, intermedi po nettamente più intensi di quelli osservati per il comparto industriale in aggregato (più che dimezzando, così, la differenza in livello dei volumi prodotti). Le indicazioni di una stabiGraf. 7 - CLIMA DI FIDUCIA DELLE IMPRESE MANIFATTURIERE lizzazione dell’attività produt(inchieste ISAE, 2000=100) tiva su livelli soddisfacenti 105 emergono anche dalle più re100 centi inchieste dell’ISAE condotte presso i settori 95 manifatturieri. Il clima di fidu90 cia degli imprenditori ha mes85 so in luce un sostanziale 80 consolidamento su livelli elevati, a seguito di una leggera 75 2003 2004 2005 2006 2007 flessione del portafoglio ordini Totale Beni di investimento complessivo (che ha interrotto Beni di consumo Beni intermedi la brillante performance di crescita) e di una prolungata stazionarietà delle giacenze di prodotti finiti intorno a valori di poco superiori a condizioni giudicate “normali”. Un lieve ripiegamento è stato registrato dalle aspettative di produzione a brevissimo termine, che si sono gradualmente ridimensionate a metà 2006, dopo aver raggiunto livelli corrispondenti a quelli di metà 2001. Nel complesso, i segnali tratti dalle business survey, hanno confermato il recupero, da parte della nostra manifattura, di buona parte del terreno perduto nel periodo 2001-2004 e suggeriscono, tra fine 2006 e inizio 2007, una pausa di assestamento, dopo i rialzi che hanno contrassegnato i due anni precedenti. La probabile decelerazione che ha caratterizzato i primi mesi del 2007 sembrerebbe scontare minori impulsi dai maggiori comparti industriali. Nel settore dei beni di investimento, l’attenuazione delle aspettative sugli andamenti a breve potrebbe avere frenato i livelli di attività, riflettendosi in un accumulo di giacenze (in misura più accentuata che negli altri raggruppamenti di industrie); le indicazioni di una evoluzione ancora particolarmente favorevole degli ordinativi sembrerebbero prefigurare una ripresa dell’attività industriale, seppur a velocità ridotta. Nei beni di consumo, la flessione degli ordinativi è attribuibile al calo della componente dei beni non-durevoli (sia per la - 36 - Economia italiana: evoluzione recente domanda dall’estero che dall’interno), in presenza di una stazionarietà della domanda di prodotti durevoli. Il leggero contenimento dei ritmi produttivi non è risultato sufficiente a consentire una “normale” gestione del magazzino, il cui decumulo si è interrotto a metà 2006 e le giacenze sono poi rimaste sostanzialmente stazionarie. Le aspettative a breve, sia di domanda che di produzione, pur ancora favorevoli, hanno messo in luce un contenimento che tenderebbe a posticipare l’ulteriore recupero dei livelli persi nel corso dell’ultima fase recessiva. Indicazioni più favorevoli si desumono per i beni intermedi. Il comparto ha sperimentato elevati livelli di domanda e, per la componente di provenienza estera, ha toccato valori nettamente superiori a quelli massimi registrati nel corso della fase espansiva di inizio 2000. Il rallentamento dei livelli produttivi sarebbe quindi temporaneo, non contrastando un pur leggero decremento del magazzino. Nel breve periodo, l’attività produttiva è attesa in lieve recupero, sospinta dal perdurare di condizioni di domanda favorevoli. Un ulteriore segnale di Graf. 8 - GRADO DI UTILIZZAZIONE DEGLI IMPIANTI E CONDIZIONI DI DOMANDA miglioramento (proveniente (inchieste ISAE) dalle inchieste congiunturali) 30 79,0 sull’evoluzione a breve del’at28 78,5 26 tività manifatturiera, è costitu78,0 24 ito dalla progressiva diminu22 zione, nel corso del 2006 e 77,5 20 fino al primo trimestre 2007, 77,0 18 16 76,5 della percentuale di imprese 14 che hanno dichiarato ostacoli 76,0 12 alla produzione (risultata pari 75,5 10 2003 2004 2005 2006 2007 al 31% delle imprese del camGrado di utilizzo degli impianti pione nei primi tre mesi del Ostacoli - Insufficienza domanda (scala a destra) 2007, con una riduzione di 5 punti percentuali rispetto a un anno prima). Si è ridotta l’incidenza degli ostacoli connessi a una insufficienza di domanda sui mercati di sbocco (di circa 3 punti percentuali, la flessione su base annua). Al contempo, l’indicatore del grado di utilizzo degli impianti ha toccato quota 78%, un livello eccezionalmente elevato, analogo a quello registrato nel quarto trimestre del 2000. Evidenze a conferma del fatto che nel periodo luglio-dicembre 2006 si è realizzata una fase di ripresa industriale particolarmente so- - 37 - Ostacoli alla produzione Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 stenuta si desumano dall’insorgere di qualche segnale di tensione dal lato dei processi produttivi. L’indice che segnala una insufficienza di impianti e/o materiali è, infatti, più che raddoppiato nel secondo semestre del 2006 rispetto alla prima metà dell’anno, portandosi a quota 4%, un livello ben superiore anche a quello registrato nel quarto trimestre del 2000. Anche i vincoli all’attività industriale direttamente connessi al reperimento di manodopera hanno evidenziato un marcato rialzo (oltre 2 punti percentuali a fine 2006 rispetto al trimestre iniziale dell’anno). Una leggera diminuzione del valore di tali indicatori è, poi, intervenuta nei primi tre mesi dell’anno in corso. Graf. 9 - VALORE AGGUINTO NEI SERVIZI (variazioni annue) 5,0 4,0 3,0 2,0 1,0 0,0 -1,0 -2,0 2003 2004 2005 2006 To tale co m m. alb., trasp. e co munic. credito , att. imm o b. e serv. pro f. altre attività dei servizi Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT. Forte crescita dei servizi Nel 2006, il settore dei servizi ha messo in luce una evoluzione particolarmente positiva. Essa ha corrisposto a un dinamica in accelerazione che può essere suddivisa in due distinte fasi: la prima, più intensa, ha interessato i due trimestri iniziali del 2006, con incrementi consecutivi risultati pari, rispettivamente, allo 0,6% e a un più forte impulso nei successivi tre mesi (+0,9%). Analogamente a quanto si è verificato nel comparto industriale, un sensibile rallentamento ha interessato i settori del terziario tra luglio e settembre (+0,3%). La successiva fase in accelerazione della seconda metà del 2006 è stata contrassegnata da un ulteriore forte balzo nel trimestre finale dell’anno (+0,9%), periodo in cui il valore aggiunto dell’intero comparto è risultato del 2,6% più elevato rispetto a quello di un anno prima (una variazione particolarmente elevata, inferiore, negli anni duemila, soltanto a - 38 - Economia italiana: evoluzione recente quella registrata nei trimestri iniziali del 2001). Nella media del 2006, il valore aggiunto a prezzi costanti, corretto per il numero di giorni lavorativi, è aumentato dell’1,9% rispetto a un anno prima. Si tratta del risultato migliore messo a segno nell’ultimo quinquennio, inferiore di circa 0,6 punti percentuali a quello conseguito nel 2001. Tali dinamiche hanno, soprattutto, risentito del positivo andamento delle attività connesse al commercio, ai trasporti e alle comunicazioni: lo sviluppo di tale comparto è risultato particolarmente sostenuto nei trimestri esterni del 2006 (quando ha contribuito, in ciascun trimestre, per 0,4 punti percentuali alla crescita complessiva dei servizi). Nel periodo centrale dell’anno, il concorso alla crescita aggregata è risultato solo marginalmente positivo (+0,1 punti percentuali). Un notevole impulso al rialzo del secondo trimestre è venuto dai servizi connessi al credito, alle attività immobiliari e ai servizi professionali, quando il loro apporto si è commisurato a circa due terzi della crescita complessiva osservata nel trimestre. Anche nel periodo ottobre-dicembre, il notevole incremento di tali attività (+1,3%) ha concorso per oltre 0,5 punti percentuali allo sviluppo complessivo del settore terziario. Graf. 10 - GIUDIZI SUL FATTURATO DELLE IMPRESE DI SERVIZI (inchieste ISAE) 80 60 40 20 0 -20 -40 -60 2003 2004 SERVIZI A LLE FA M IGLIE 2005 2006 SERVIZI FINA NZIA RI 2007 SERVIZI A LLE IM P RESE Nei primi due mesi del 2007, le inchieste mensili condotte dall’ISAE presso un campione di imprese dei servizi hanno evidenziato un sensibile miglioramento dei giudizi sul fatturato. Dopo la netta flessione di ottobre dello scorso anno, quando l’indicatore si è più che dimezzato, si è delineata una evoluzione in graduale miglioramento che ha portato l’indice, in media, su livelli superiori a quelli del quarto - 39 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Costruzioni attese in moderato sviluppo trimestre 2006. Tale avanzamento è stato interamente sostenuto dall’andamento dei servizi alle imprese, di nuovo in progresso dai mesi finali dello scorso anno: a febbraio 2007, l’aumento del saldo (5 punti rispetto a gennaio, oltre 10 rispetto alla media del 2006) è stato dovuto a una riduzione delle valutazioni negative, in presenza di una stabilità dei giudizi favorevoli. Miglioramenti più lievi hanno riguardato i giudizi sul fatturato per i servizi alle famiglie. Flessioni hanno, invece, caratterizzato le valutazioni per il comparto dei servizi finanziari, che si sono inoltre contraddistinte per l’elevata erraticità. Il significativo deterioramento del saldo è interamente attribuibile a una revisione in negativo delle opinioni di una parte consistente di operatori che, precedentemente, avevano espresso giudizi di stazionarietà. Nel complesso, tali indicazioni porterebbero a prefigurare, dopo gli sviluppi particolarmente favorevoli della fine del 2006, il proseguire di una evoluzione ancora positiva, secondo ritmi più contenuti, nei mesi iniziali dell’anno in corso. In linea con gli altri comGraf. 11 - VALORE AGGIUNTO DEL SETTORE DELLE COSTRUZIONI parti produttivi, il settore delle (milioni di euro 2000; dati destagionalizzati e costruzioni ha fatto registrare corretti per il diverso numero di giornate lavorative) performance positive in tutti i 2 16600 trimestri del 2006, con spinte 16400 1,5 particolarmente intense nel 16200 1 primo (+0,8%) e nel quarto tri16000 mestre (+1,4%) dello scorso 0,5 15800 anno. Nello stesso periodo, la 0 15600 dinamica tendenziale ha mo-0,5 strato un sensibile rialzo ritor15400 nando, così, attorno agli -1 15200 elevati livelli che avevano 15000 -1,5 2003 2004 2005 2006 contrassegnato l’andamento Variazioni congiunturali (scala a destra) del settore nel corso del 2003. Indice Nella media del 2006, il valore Fonte: ISTAT. aggiunto in termini concatenati, aggiustato per gli effetti di calendario, si è incrementato dell’1,8% su base annua, un risultato positivo, pari a circa due volte la crescita media dell’ultimo biennio. A gennaio 2007, la fiducia delle imprese di costruzione, desunta dalle inchieste dell’ISAE, ha continuato a mostrare un andamento alta- - 40 - Economia italiana: evoluzione recente lenante, a conferma della fase di incertezza vissuta dal settore: l’indice, considerato al netto dei fattori stagionali, è sceso a febbraio da 92,3 a 91,2 continuando ad oscillare attorno ai valori medi del 2006. Tra le variabili componenti l’indicatore, hanno mostrato un leggero recupero i giudizi sui piani di costruzione, ma si sono ridimensionate le prospettive dell’occupazione, dopo il forte balzo in avanti registrato lo scorso mese. Indicazioni sfavorevoli sono emerse anche dalle previsioni circa l’andamento delle principali variabili di impresa. Sono diminuite, infatti, le aspettative sui piani di costruzione che, in termini di saldo, sono passate da 12 a -0,4, sui minimi dal settembre del 2005. Più lieve è stato il deterioramento delle attese di occupazione, con il saldo che in questo caso è passato da 9 a 6, assestandosi comunque su valori elevati dopo il forte miglioramento di dicembre 2006. - 41 - Economia italiana: evoluzione recente Trasformazioni dell’industria italiana A partire dai primi mesi del 2005, l’industria manifatturiera italiana ha sperimentato una ripresa dell’attività produttiva. Il miglioramento fa seguito a un periodo molto lungo di stasi/ flessione – senza precedenti per durata (quasi 50 mesi, secondo la datazione ciclica dell’ISAE) – su cui hanno inciso una crisi competitiva particolarmente intensa e il lento processo di adattamento che ne è conseguito. L’avanzata della Cina nei mercati internazionali e l’adesione all’UEM hanno costituito i principali fattori di cambiamento. Il gigante asiatico ha sottoposto le produzioni tradizionali italiane a una fortissima pressione allo spiazzamento dai mercati internazionali; l’adozione della moneta unica ha comportato, oltre alla perdita di uno strumento di aggiustamento ripetutamente usato dall’Italia nel passato, l’esposizione del nostro apparato produttivo ai sommovimenti nella geografia economica europea indotti dalla fase di più spinta integrazione dell’area. Il recupero industriale italiano ha evidentemente risentito del rafforzamento del ciclo mondiale e, in particolare, di quello della Germania. Tuttavia, esso non si sarebbe verificato con un’intensità apprezzabile se non si fosse fondato sul processo di ristrutturazione operato negli anni della crisi, in risposta alle spinte alla trasformazione emerse nel periodo. A metà del decennio, il sistema manifatturiero italiano appare dunque parzialmente modificato rispetto a cinque anni prima. Esso risulta relativamente più piccolo, anche se le dimensioni sono ancora consistenti se confrontate con gli standard dei paesi avanzati, dove (con la rilevante eccezione tedesca) l’industria rappresenta tra il 14 e il 18% dell’intera economia: il peso dell’industria in senso stretto nel 2006 si attesta in Italia, in termini di valore aggiunto a prezzi (del produttore) concatenati (base 2000), al 23,8% del PIL, avendo registrato una discesa di circa due punti percentuali rispetto al 2000 (accelerando la tendenza alla contrazione che caratterizzava il periodo precedente; cfr. tab. R1); in termini di occupazione, la quota dell’industria si situa nel 2006 al 20,2%, con una diminuzione di 1,5 punti rispetto al 2000 (anche in questo caso con un’accentuazione della flessione rispetto ai cinque anni precedenti). Tab. R1 IL PESO DELL'INDUSTRIA ITALIANA (quote percentuali) 1990 1995 2000 2006 Valore aggiunto 27,2 27,5 25,9 23,8 Unità di lavoro totali 24,3 22,9 21,7 20,2 Fonte: elaborazioni su dati ISTAT. Ma al di là della riduzione di peso – su cui hanno influito tanto perdita di competitività quanto tendenze naturali alla deindustrializzazione – è interessante indagare su alcune delle trasformazioni intervenute nell’industria durante il lungo periodo di adattamento sperimentato in questi anni. Come si noterà si intravedono nel processo di ristrutturazione del passato quinquennio sia aspetti di novità rispetto alle esperienze di riassetto sperimentate in precedenti occasioni, sia conferme di caratteri peculiari e piuttosto radicati della nostra industria. Andamento occupazionale. Il primo punto da porre in luce riguarda l’aggiustamento sul fronte dell’occupazione. Al contrario degli episodi di ristrutturazione dei primi anni ottanta e dei primi anni novanta, la riorganizzazione degli anni duemila non sembra essere stata di tipo labour - 42 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 shedding: l’occupazione nell’industria in senso stretto (misurata in unità standard di lavoro, ULA) è scesa dello 0,6% all’anno tra il 2000 e il 2005, in corrispondenza di una contrazione media annua dell’attività produttiva dell’1% (tab. R2); in occasione delle recessioni del 1980-83 e del 1990-93, a fronte di contrazioni dell’industria di entità analoga (-1% all’anno), la riduzione di manodopera è stata quattro volte superiore rispetto a quella dei primi anni duemila, nell’ordine del 2,7% all’anno (per un periodo di quattro-cinque anni). Una differenza che risalta ancor più quando si consideri il numero di unità di lavoro “tagliate” nelle varie esperienze: tra il 1980 e il 1985, l’occupazione industriale si contrasse di otre 800.000 unità (circa 165.000 all’anno); tra il 1990 e il 1994, la flessione delle ULA fu di oltre 580.000 (circa 145.000 all’anno); tra il 2000 e il 2005, il calo è risultato intorno a 155.000 unità (poco più di 30.000 all’anno). Tab. R2 RECESSIONI INDUSTRIALI A CONFRONTO (variazioni percentuali medie annue). 1980-83 Valore aggiunto industriale Occupazione industriale (ULA) 1990-93 2000-05 -0,9 -1,0 -1,0 -2,7 (1980-85) -2,7 (1990-94) -0,6 Fonte: elaborazioni su dati ISTAT. Queste differenze appaiono vieppiù sorprendenti se si tiene conto delle caratteristiche del mercato del lavoro con cui hanno interagito, nei vari periodi, le imprese. Le (probabilmente) maggiori condizioni di flessibilità che contrassegnavano il mercato nei primi anni duemila, rispetto ai decenni ottanta e novanta, avrebbero dovuto costituire un fattore di amplificazione della contrazione occupazionale in risposta al ciclo debole, in misura forse più intensa, certamente più fluida, di quanto si verificò nelle altre due esperienze. Ciò invece non si è, come visto, verificato. Una risposta a questa apparente contraddizione sta, probabilmente, nel fatto che gli obiettivi di risparmio di costo da parte delle imprese hanno implicato, nei vari episodi di ristrutturazione, la necessità di far leva su aspetti diversi del processo produttivo: all’inizio dei decenni ottanta e novanta il recupero di condizioni di efficienza e l’abbattimento dei costi operativi spingevano al risparmio del fattore lavoro, divenuto, dopo anni di difficili relazioni industriali, “caro” e “rigido”. All’inizio del decennio duemila, il lavoro, grazie alla moderazione salariale e alla maggiore convenienza di impiego indotta dalle riforme di flessibilità, non sembra configurarsi più come il fattore da risparmiare nei processi produttivi. La ristrutturazione ha invece comportato sforzi, forse più difficili della mera riduzione del personale, di riorganizzazione interna (con importanti investimenti organizzativi) per l’efficace, ancorché ritardata, adozione delle nuove tecnologie e di riposizionamento delle linee di produzione su fasce qualitative più elevate (con importanti investimenti in attività immateriali, quali ricerca e sviluppo, design, marchio, marketing, ecc.), soprattutto nei settori apparentemente più maturi e tradizionali della nostra industria, aggrediti dalla competizione delle economie a basso costo del lavoro. Il modesto calo dell’occupazione industriale nel periodo 2000-2005 sottende, naturalmente, andamenti molto differenziati nei vari settori. Nella tabella R3 si riporta il ranking delle industrie in funzione crescente della dinamica dell’occupazione (dalla variazione negativa più forte a quella positiva più elevata)1. Come si vede, diminuzioni consistenti dell’occupazione hanno caratterizzato diversi comparti, tra cui quelli investiti da crisi competitive più acute come l’industria conciaria (con una diminuzione delle unità di lavoro del 17%), il tessile (-16,4%), gli autoveicoli (-14,3%). - 43 - Economia italiana: evoluzione recente Tab. R3 OCCUPAZIONE E PRODUZIONE INDUSTRIALE NELLA RECESSIONE 2001-05 (variazione percentuale) Variazione ula totali Variazione valore aggiunto Fibre sintetiche artificiali -47,1 -40,5 -11,1 Bevande e del tabacco -17,3 1,3 -18,3 Industrie conciarie,cuoio, pelle e simili. -17,0 -22,5 7,1 Coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei combustibili nucleari -16,4 -36,4 31,4 Settori Variazione intensità di lavoro Industrie tessili -14,7 -24,1 12,3 Autoveicoli, rimorchi e semirimorchi -14,3 -23,8 12,4 Energia elettrica, gas e acqua -10,4 7,9 -17,0 Altri mezzi di trasporto -8,5 -20,7 15,4 Prodotti chimici di base, per agricoltura, edilizia, stampa ecc. -8,5 -12,8 4,9 Abbigliamento -7,9 -26,1 24,5 Macchine. per ufficio, elaboratori. e sistemi informatici -6,8 -47,1 76,1 Legno e dei prodotti in legno -5,9 -10,5 5,2 Articoli in gomma e materie plast. -5,7 -3,5 -2,3 Gioiell., orefic., giochi, altre industrie manif. -5,1 1,2 -6,3 Estrazione di minerali non energetici -3,8 -6,1 2,4 Prodotti della lavor. di minerali non metalliferi -3,0 5,5 -8,1 Totale industria -2,7 -4,7 2,1 Pasta-carta, della carta e in carta -2,3 2,2 -4,4 Apparecchi elettr., radiotel. e comunic. -0,6 -0,4 -0,2 Industrie alimentari -0,3 -8,2 8,6 Editoria, stampa, riproduz. supporti registrati 0,3 -4,6 5,2 Mobili e strumenti musicali 1,5 -5,2 7,1 Prod. farmac., chimici e botan., per cosm. pulizia ambienti 2,0 7,1 -4,7 Metallurgia 4,0 -8,7 13,9 Fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo 4,6 11,8 -6,5 Apparecchi medicali, precisione., strumenti. ottici e orologi 6,0 -5,1 11,6 Macchine ed apparecchi meccanici Estrazione di minerali energetici 6,4 -0,3 6,6 26,6 -15,9 50,4 Fonte: elaborazioni su dati ISTAT. *In corsivo i settori dove la variazione dell’occupazione è inferiore a quella della produzione. Tuttavia, se si tiene conto del ridimensionamento subito dai volumi produttivi (seconda colonna della tabella), i cali occupazionali dei settori in crisi risultano proporzionalmente inferiori alle perdite di attività. 1 Le elaborazioni nella tabella R3 sono basate sui dati della vecchia Contabilità nazionale, non essendo ancora disponibile il dettaglio settoriale secondo i nuovi conti diffusi il primo marzo scorso. - 44 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Nella terza colonna della tabella R3 viene riportato il cambiamento nell’intensità del fattore lavoro (variazione del rapporto occupazione/valore aggiunto) o, all’opposto, della produttività (misurata) degli occupati tra il 2000 e il 2005. Come si può osservare, solo in un numero limitato di settori (quelli in corsivo, vale a dire 10 su 27) l’occupazione è caduta più della produzione (o è aumentata meno), suggerendo un effettivo fenomeno di labour shedding. In alcuni casi (meccanica, metallurgia, apparecchi di precisione, mobili, editoria), stasi o flessioni produttive si sono addirittura accompagnate a un’espansione dell’unità di lavoro. Cambiamento inter-settoriale. La ristrutturazione degli anni duemila ha comportato un certa ricomposizione settoriale dell’industria manifatturiera italiana. Tra il 2000 e il 2006, si è ridimensionato il peso dei comparti del sistema-moda (la quota nella manifattura delle industrie tessili, dell’abbigliamento, e dei prodotti in cuoio è scesa tra mezzo e un punto percentuale; cfr. tab. Tab. R4 COMPOSIZIONE DELLA PRODUZIONE MANIFATTURIERA (quote percentuali e variazioni in punti percentuali) Totale manifattura Alimentari 2000 2006 var. 2000-06 100,0 100,0 0,0 10,7 12,0 1,4 Tessile 4,9 4,1 -0,8 Abbigliamento 3,6 3,1 -0,5 Prodotti in cuoio 3,3 2,4 -1,0 Prodotti in legno 2,0 2,2 0,2 Prodotti in carta 2,3 2,7 0,4 Prodotti dell'editoria 3,2 3,3 0,2 Prodotti energetici 7,4 8,2 0,8 Chimica 7,8 8,4 0,6 Gomma, plastica 4,0 3,9 -0,1 Minerali non metalliferi 4,3 4,4 0,1 Metalli di base 4,8 5,4 0,6 Prodotti in metallo 9,1 10,0 1,0 Macchine e attrezzature 11,6 12,3 0,7 Macchine per ufficio ed elaboratori 0,5 0,1 -0,5 Macchinario elettrico 3,8 3,2 -0,6 Radio, televisione e strumenti di comunicazione 2,9 2,0 -0,9 Strumenti medici, ottici, di precisione 1,8 1,7 -0,1 Autoveicoli 5,4 4,5 -0,8 Altri mezzi di trasporto 1,9 1,8 -0,1 Mobili 3,0 3,0 -0,1 Riciclaggio 0,2 0,3 0,0 Fonte: elaborazioni su dati Eurostat. - 45 - Economia italiana: evoluzione recente R4), degli autoveicoli (otto decimi di punto in meno) e di alcuni settori a più alta tecnologia (macchine per ufficio, macchinario elettrico, strumenti di comunicazione, scesi tra cinque decimi e un punto percentuale). Si sono, invece, relativamente espanse l’industria alimentare (con un balzo di quasi 1,5 punti), quella energetica (di otto decimi di punto), la chimica (di sei decimi), le macchine e attrezzature (di sette decimi) e alcune produzioni intermedie per la meccanica (prodotti in metallo e metalli di base, in crescita di sei decimi e un punto percentuale). Una certa ricomposizione settoriale ha interessato anche le altre economie europee, a loro volta sottoposte, in questi anni, a stimoli al cambiamento. Tuttavia, le modifiche strutturali sembrano essere state in Italia relativamente più intense che nei partner. Nella tabella R5 si riporta un indice di somiglianza tra la struttura dell’industria manifatturiera nel 2006 e quella del 2000, per l’Italia, i principali paesi europei e un aggregato Europa (comprendente oltre alle economie Tab R5 INDICE SOMIGLIANZA TRA LA STRUTTURA DELL'INDUSTRIA NEL 2006 E QUELLA DEL 2000 (0=massima dissomiglianza; 1=perfetta somiglianza) Italia 0,94 Germania 0,96 Francia 0,95 Spagna 0,95 Regno Unito 0,93 Europa (10 paesi) 0,97 Fonte: elaborazioni su dati ISTAT. considerate in tabella, Austria, Belgio, Finlandia, Irlanda e Portogallo). L’indicatore può variare tra un valore zero (massima dissomiglianza) e uno (perfetta somiglianza). Come si vede, l’indice di somiglianza della struttura del 2006 con quella di sei anni prima è in Italia più basso di Germania, Francia e Spagna, oltre che dell’aggregato Europa evidenziando una diversificazione maggiore della struttura italiana tra il 2000 e il 2005 rispetto a quanto sperimentato dalle altre economie; solo il Regno Unito mostra un mutamento strutturale più intenso dell’Italia. Se la ricomposizione nel mix manifatturiero sembra essere stata relativamente più intensa in Italia che nei paesi europei (in particolare, quelli dell’area euro), una questione strettamente connessa è verificare se la modifica che ha interessato il sistema italiano è andata nella direzione di avvicinare o meno la nostra industria a quella dei paesi partner. Ciò viene analizzato nella tab. R6, dove l’esame della somiglianza è condotto in modo bilaterale tra i vari sistemi industriali. L’aggregazione dei paesi europei (UE-9) è effettuata, per rendere il confronto significativo, escludendo da essa, di volta in volta, l’economia considerata nel raffronto. La tabella porta a evidenziare che il cambiamento strutturale dell’Italia è andato nel senso di accentuare la dissomiglianza (l’indice si abbassa tra il 2000 e il 2006) del nostro apparato manifatturiero da quello delle principali economie dell’area euro (ma non nei confronti del Regno Unito). L’altro paese “divergente” risulta essere la Spagna, anche se non nell’intensità che caratterizza l’Italia (gli indici spagnoli di somiglianza bilaterale sono nel 2006 più elevati di quelli italiani). - 46 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Tab. R6 INDICE DI SOMIGLIANZA TRA LE STRUTTURE DELLE INDUSTRIE DEI PRINCIPALI PAESI EUROPEI Italia Italia Germania Spagna Francia Regno Unito UE-9 Spagna Francia 2000 1 Germania 0,812 0,815 0,766 Regno Unito 0,780 UE-9 0,824 2006 1 0,762 0,762 0,732 0,808 0,797 2000 0,812 1 0,814 0,846 0,846 0,797 2006 0,762 1 0,768 0,849 0,849 0,804 2000 0,815 0,814 1 0,818 0,820 0,870 2006 0,762 0,768 1 0,785 0,840 0,850 2000 0,766 0,846 0,818 1 0,871 0,857 2006 0,732 0,849 0,785 1 0,815 0,844 2000 0,780 0,846 0,820 0,871 1 0,860 2006 0,808 0,849 0,840 0,815 1 0,870 2000 0,824 0,797 0,870 0,857 0,860 1 2006 0,797 0,804 0,850 0,844 0,870 1 Fonte: elaborazioni su dati Eurostat. Cambiamento intra-settoriale. Oltre a modifiche inter-settoriali si sono verificati nell’arco di tempo considerato anche rilevanti cambiamenti di tipo intra-settoriale, soprattutto nelle industrie tradizionali del Made-in-Italy, nella direzione del miglioramento qualitativo delle produzioni. Come in altre occasioni nel passato, l’acutizzarsi delle pressioni competitive, da parte dei paesi emergenti a basso costo del lavoro, non ha comportato il drastico ridimensionamento (e men che meno la completa marginalizzazione) dei settori italiani del sistema moda-casa: la più intensa concorrenza internazionale non è stata, in altri termini, occasione di rivoluzionamento della composizione dell’output industriale. Le attività tradizionali sono risultate bensì scremate, con la perdita delle produzioni meno pregiate a favore dei competitori e la delocalizzazione di fasi lavorative più intensive di lavoro. Tuttavia, l’aumento della pressione concorrenziale ha agito soprattutto nel senso di accentuare ulteriormente la specializzazione within sector, favorendo lo spostamento verso fasce di prodotto a più elevata qualità, maggiormente al riparo dalla competitività di costo dei produttori delle aree emergenti e dove, quindi, le imprese italiane possono godere di un certo grado di potere di mercato (e di fissazione del prezzo). Nelle tabelle R1, R2 e R3, si riportano gli andamenti dei valori medi unitari all’esportazione (VMU) e dei prezzi alla produzione per l’industria manifatturiera nel complesso e per due settori tradizionali, il tessile-abbigliamento e il cuoio-pelli-calzature. Il divario crescente tra i due indicatori di prezzo, che emerge molto nettamente nei comparti del Made-in-Italy (e meno per l’aggregato manifatturiero), sembra da attribuire fondamentalmente alla modifica del mix qualitativo: gli aumenti dei VMU, in presenza di andamenti molto più contenuti (e, per gran parte degli anni, stagnanti) dei prezzi alla produzione praticati sul mercato interno, risentono dei mutamenti di composizione nel paniere delle esportazioni italiane di beni tradizionali, conseguenti alla fuoriuscita dei prodotti a più basso valore unitario e alla sopravvivenza/successo di quelli di gamma più elevata (a più alto valore unitario). Si sarebbe quindi confermata, anche nella recente fase in cui l’avanzata massiccia dei prodotti cinesi sembrava poter costituire la spinta decisiva al cambiamento strutturale della specializzazione italiana, la modalità di aggiustamento che ha - 47 - Economia italiana: evoluzione recente contrassegnato altri periodi di difficoltà competitive: il riposizionamento delle imprese all’interno dei settori già presidiati, spostando ulteriormente la “barriera” protettiva, costituita dalla differenziazione qualitativa, nei confronti dei concorrenti; un’indicazione di radicamento delle vocazioni produttive di tali industrie, non facilmente scalfibili neppure sotto l’azione di competitori estremamente agguerriti quali quelli venuti alla ribalta dei mercati internazionali negli anni duemila. Graf R1 - AGGREGATO MANIFATTURA 130 Prez z i alla produz ione V alori medi unitari 120 110 100 90 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2005 2006 2005 2006 Graf. R2 - TESSILE ABBIGLIAMENTO 140 Prez z i alla produz ione V alori medi unitari 130 120 110 100 90 2000 2001 2002 2003 2004 Graf. R3 - CUOIO E CALZATURE 150 P rezzi alla pro duzio ne 140 Valo ri medi unitari 130 120 110 100 90 2000 2001 2002 2003 2004 Fonte: elaborazioni su dati ISTAT. Ciclo-trend estratto con il filtro Band-Pass su dati destagionalizzati. Indici 2000=100. - 48 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Tendenze della specializzazione. Dalle considerazioni precedenti discende che, nonostante un pur importante cambiamento settoriale, la specializzazione italiana è uscita dal lungo periodo di crisi competitiva in apparenza scarsamente modificata. Nella figura R4 è rappresentata la distribuzione degli indici di specializzazione per circa 20 settori dell’industria manifatturiera italiana nel 2000 e 2006. Gli indici sono ordinati in senso decrescente, da sinistra a destra, sulla base dei valori dell’anno iniziale, vale a dire il 2000. Come si può osservare, nonostante i ridimensionamenti subiti nell’arco di tempo considerato dalle industrie tradizionali, la specializzazione italiana continua a mostrare, nel 2006, valori molto elevati in tali comparti. Anzi, si sono addirittura verificati, tra il 2000 e il 2006, incrementi di specializzazione, rispetto al benchmark europeo, nell’industria conciaria, nell’abbigliamento, nel tessile e (in misura meno marcata) nei mobili. Sostanzialmente stabile è rimasta la specializzazione nelle macchine e attrezzature, mentre posizioni di maggior forza competitiva sono state acquisite, rispetto al 2000, nei prodotti in legno, nei metalli di base, nell’industria energetica, negli alimentari e nei prodotti in carta. All’opposto si sono accentuati i punti di debolezza nei comparti a tecnologia più elevata (macchine per ufficio ed elaboratori, elettronica di consumo) e negli autoveicoli. Graf. R4 - ITALIA: SPECIALIZZAZIONE MANIFATTURIERA IN RAPPORTO ALL’UE 8 7 2000 6 2006 5 4 3 2 1 dl30 dm34 de22 dm35 dg dl32 dl33 dl31 dn37 da de21 dh dj27 df dd di dk dj28 db17 dn361 dc db18 0 d c Pr o d o t ti in c u o io d b 1 8 A b b ig lia m e n to d b 1 7 T e s s ile d n 3 6 1 M o b ili d j2 8 Pr o d o tt i in m e ta llo d k M a c c h in e e a ttr e z z a t u r e d i M in e r a li n o n m e ta llif e r i d f Pr o d o tt i e n e r g e tic i d d Pr o d o tt i in le g n o d j2 7 M e ta lli d i b a s e d h G o m m a , p la s tic a d a A lim e n ta r i d e 2 1 Pr o d o t ti in c a r ta d l3 1 M a c c h in a r io e le t tr ic o d n 3 7 R ic ic la g g io d l3 3 S t r u m e n ti m e d ic i, o tt ic i, d i p r e c is io n e d g C h im ic a d l3 2 R a d io , te le v is io n e e s tr u m e n t i d i c o m u n ic a z io n e d e 2 Pr o d o tti d e ll'e d ito r ia d m 3 5 A ltr i m e z z i d i tr a s p o r t o d m 3 4 A u to v e ic o li d l3 0 M a c c h in e p e r u f f ic io e d e la b o r a to r i Fonte: elaborazioni su dati Eurostat. La struttura della specializzazione italiana risulta, quindi, apparentemente poco mutata, in rapporto ai partner europei, dopo un quinquennio di grandi difficoltà e regressi, in termini di quote in volume, nei mercati mondiali. Anzi la peculiarità italiana sembra addirittura rafforzata successivamente a questo periodo. In realtà, come sopra argomentato, i settori storici di vantaggio comparato si sono sensibilmente modificati al loro interno, a seguito di un severo processo di selezione che ha portato alla scomparsa dei produttori meno efficienti e alla sopravvivenza di quelli più competitivi; il mix produttivo è quindi mutato in tali industrie. Inoltre, tra le due code - 49 - Economia italiana: evoluzione recente estreme (molto accentuate in Italia) delle specializzazioni e despecalizzazioni settoriali si sono rafforzate diverse attività a media tecnologia che hanno contribuito ad arricchire la matrice dell’offerta italiana. Infine, nel commentare questi indicatori occorre sempre ricordare che il concetto di specializzazione misura un fenomeno relativo. In altri termini, valori molto elevati degli indici di vantaggio comparato nelle industrie tradizionali stanno unicamente a segnalare che questi settori sono proporzionalmente (molto) più “rappresentati” in Italia che nei paesi partner: il peso di queste industrie, però, si situa tra il 2,5 e il 4,5% della produzione manifatturiera, che è triplo o quadruplo rispetto a quanto si riscontra nelle altre economie europee, ma è pur sempre inferiore al peso rivestito nel nostro sistema da comparti come la meccanica, la metallurgia, la chimica e l’industria energetica. Cambiamenti nella popolazione delle imprese esportatrici. La prolungata fase di ristrutturazione industriale ha comportato che vi fossero, tra il 2000 e il 2006, attori “perdenti” e “vincenti” nella popolazione delle imprese italiane operanti sui mercati internazionali e, in generale, un processo di ricomposizione della platea degli esportatori. Per cercare di valutare questi fenomeni un utile punto di osservazione è costituito dal campione delle imprese manifatturiere dell’inchiesta ISAE. La procedura che qui si segue, per eliminare le influenze spurie dovute ad “attrito” statistico nelle rilevazioni, è quella di considerare un panel chiuso di imprese costituito dagli operatori presenti tanto nell’indagine del 2000 quanto in quella del 20062 e di studiare, quindi, i loro movimenti nell’arco di tempo considerato con riferimento all’attività di esportazione (presenza o meno sui mercati esteri). Si individuano in questo modo quattro tipologie di imprese: le “scomparse” (quelle che esportavano nel 2000 e non lo fanno più nel 2006), le “sopravvissute” (quelle che esportavano nel 2000 e lo fanno ancora nel 2006), le “nuove” (quelle che non esportavano nel 2000, ma lo fanno nel 2006), le “inattive” (quelle che non esportavano nel 2000 e non esportano nel 2006). Si può pervenire così ad alcune misure sintetiche di rinnovamento del “parco” degli esportatori. I risultati sono riportati nella tabella R7 dove i vari comparti sono ordinati in funzione decrescente di un indicatore di ricambio intra-settoriale (tasso di turnover lordo). In primo luogo, si può osservare che a livello dell’intera industria manifatturiera (riga del totale complessivo, in tabella) il tasso di turnover lordo (dato dalla somma tra “imprese nuove” e “imprese scomparse” in rapporto al totale delle imprese del panel) si è attestato, tra il 2000 e il 2006, al 12,5%, mentre quello netto (dato dalla differenza tra “imprese nuove” e “imprese scomparse” in rapporto al totale delle imprese del panel) è stato prossimo a zero, indicando un bilanciamento tra i flussi in uscita con quelli in entrata. Per quanto riguarda i rapporti “inerziali” nel panel (quelli che indicano fenomeni di persistenza tra i due anni), il tasso di sopravvivenza (imprese che esportavano nel 2000 e che esportano anche nel 2006 in rapporto al totale delle imprese del panel) e di inattività (imprese che non esportavano nel 2000 e continuano a non esportare nel 2006 in rapporto alla popolazione totale del panel) si sono collocati, rispettivamente, al 43 e al 44 per cento. In rapporto al totale delle imprese manifatturiere il reshuffling di esportatori più intenso, misurato da tassi di turnover lordo superiori alla media, si è avuto in sette settori: due di relativa despecializzazione della nostra industria e che hanno attraversato un intenso periodo di crisi e 2 Le imprese compresenti nei due periodi – rilevate, cioè, tanto nell’inchiesta ISAE di fine 2000, quanto in quella di fine 2006 – sono circa 2.200. - 50 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 ristrutturazione (autoveicoli e mezzi di strasporto, caratterizzati da ampi indotti di produttori di componenti), due comparti del Made-in-Italy tradizionale investiti anch’essi da forti pressioni competitive (abbigliamento e cuoio-pelli), un settore di accentuata vocazione produttiva (macchine e attrezzature) e due attività di media tecnologia in cui è andato emergendo, nel periodo considerato, un buon vantaggio competitivo (metallurgia e prodotti in metallo). Tassi di turnover lordo delle imprese appena inferiori alla media della manifattura caratterizzano la gomma e plastica, gli alimentari, il tessile, le macchine elettriche e la chimica. Tornando ai settori con un ricambio lordo di esportatori maggiore del valore medio riferito all’intera industria, emergono alcune differenze per quanto riguarda il bilanciamento tra flussi di imprese esportatrici in uscita e in entrata. Il tasso di turnover netto segnala, infatti, che per gli autoveicoli e gli altri mezzi di trasporto si sono avute, tra il 2000 e il 2006, uscite (imprese scomparse come attività di esportazione) superiori alle entrate (nuove imprese esportatrici); al contrario i nuovi esportatori hanno superato gli “scomparsi” nelle macchine e attrezzature, nel cuoio-pelli, nella metallurgia e nei prodotti in metallo; per l’abbigliamento, il dato è lievemente negativo. Tab. R7 MUTAMENTI NELLA COMPOSIZIONE SETTORIALE DELLE IMPRESE ESPORTATRICI NELL’INCHIESTA ISAE TRA IL 2000 E IL 2006 (valori percentuali) turnover lordo (1) turnover netto (2) tasso di sopravvivenza (3) tasso di inattività (4) 34 Autoveicoli e componenti 34,4 -15,6 46,9 18,8 35 Altri mezzi di trasporto 30,3 -6,1 48,5 21,2 18 Abbigliamento 16,5 -1,0 32,5 51,0 29 Macchine e apparecchi meccanici 16,0 0,5 56,7 27,3 19 Cuoio, pelli e simili 15,2 3,0 54,5 30,3 27 Metallurgia 13,8 2,3 47,1 39,1 28 Prodotti in metallo 13,0 6,3 40,2 46,9 12,5 -0,1 43,3 44,2 12,2 0,0 63,3 24,5 Totale complessivo 25 Gomma e plastica 15 Alimentari e bevande 11,8 -3,2 43,5 44,6 17 Tessile 11,7 -6,3 54,1 34,2 31 Macchine e apparecchi elettrici 10,7 -5,3 38,7 50,7 24 Chimici e fibre sintetiche 10,1 2,5 50,6 39,2 33 Apparecchi medicali, di precisione, ecc. 9,8 4,9 56,1 34,1 32 Apparecchi radiotelevisivi e di comunicazione 9,4 3,1 53,1 37,5 36 Mobili e altre industrie manifatturiere 9,1 0,6 56,7 34,1 20 Prodotti in legno 8,5 3,4 26,5 65,0 22 Editoria 8,5 2,8 12,7 78,9 23 Coke, raffinerie, combustibili nucleari 7,7 -7,7 15,4 76,9 26 Prodotti dai minerali non metalliferi 6,0 -2,0 27,5 66,5 21 Prodotti in carta 5,1 1,7 35,6 59,3 Fonte: elaborazioni su dati ISAE. (1) Imprese esportatrici nuove + imprese esportatrici scomparse/totale imprese del panel (imprese esistenti tanto nel 2000 quanto nel 2006). (2) Imprese esportatrici nuove – imprese esportatrici scomparse / totale imprese dl panel (imprese esistenti tanto nel 2000 quanto nel 2006). (3) Imprese esportatrici esistenti nel 2000 e nel 2006/ totale imprese del panel (imprese esistenti tanto nel 2000 quanto nel 2006). (4) Imprese non esportatrici nel 2000 e nel 2006/totale imprese del panel (imprese esistenti tanto nel 2000 quanto nel 2006). - 51 - Economia italiana: evoluzione recente E’, peraltro, di interesse osservare che nei settori ad alto ricambio delle imprese esportatrici (quelli cioè con valori superiori alla media), l’intenso turnover si accompagna anche a tassi di sopravvivenza, tra il 2000 e il 2006, relativamente elevati (sempre in confronto con il dato medio) e, simmetricamente, a tassi di inattività comparativamente bassi. Fa eccezione, in questo quadro, il tessile, che si caratterizza per un tasso di sopravvivenza relativamente modesto (circa 30%) e, al contempo, per un grado di inattività (imprese che non effettuano attività di esportazione tanto nel 2000 quanto nel 2006) elevato (circa 50%). Ulteriori informazioni utili si possono ricavare osservando i movimenti degli esportatori per classi dimensionali di impresa (tabella R8). Tassi di ricambio comparativamente più elevati hanno contraddistinto, tra il 2000 e il 2006, le imprese più grandi, con più di 250 addetti (il cui turnover lordo è stato di quasi il 17%). Tuttavia, se si esamina il turnover netto si vede che il gruppo delle grandi imprese è stato anche l’unico a essere interessato, nel panel selezionato dall’inchiesta ISAE, da deflussi di esportatori maggiori degli afflussi (gli esportatori scomparsi hanno superato i nuovi di circa il 5% in rapporto alla popolazione di imprese con più di 250 addetti). Entrate nette positive hanno, invece, caratterizzato solo la classe delle imprese di dimensione medio-piccola (tra i 50 e i 100 addetti), mentre un sostanziale bilanciamento si è verificato per le imprese piccole (sotto i 50 addetti) e per quelle medio-grandi (tra i 100 e i 250 addetti). Per quanto riguarda gli indicatori di persistenza, le imprese piccole sono quelle che hanno presentato un tasso di sopravvivenza piuttosto basso (circa il 30%) e, simultaneamente, un tasso di perdurante inattività come esportatori relativamente elevato (oltre il 55%). Come era da attendersi, inoltre, le imprese mediograndi e quelle grandi si sono contraddistinte per una notevole persistenza nell’attività di esportazione tra il 2000 e il 2006 e, all’opposto, per un livello di inattività (come esportatori) molto più basso che negli altri due gruppi dimensionali. Tab. R8 MUTAMENTI NELLA COMPOSIZIONE DIMENSIONALE DELLE IMPRESE ESPORTATRICI NELL’INCHIESTA ISAE TRA IL 2000 E IL 2006 (valori percentuali) Numero addetti turnover lordo (1) turnover netto (2) tasso di sopravvivenza (3) tasso di inattività (4) 1- 49 imprese piccole 12,2 0,0 31,3 56,5 50-100 imprese medio-piccole 12,5 1,7 64,0 23,6 100-250 imprese medio-grandi 11,4 0,4 74,0 14,6 250 e oltre imprese grandi 16,7 -4,7 76,0 7,3 Totale complessivo 12,5 -0,1 43,3 44,2 Fonte: elaborazioni su dati ISAE. (1) Imprese esportatrici nuove + imprese esportatrici scomparse/totale imprese del panel (imprese esistenti tanto nel 2000 quanto nel 2006). (2) Imprese esportatrici nuove – imprese esportatrici scomparse / totale imprese dl panel (imprese esistenti tanto nel 2000 quanto nel 2006). (3) Imprese esportatrici esistenti nel 2000 e nel 2006/ totale imprese del panel (imprese esistenti tanto nel 2000 quanto nel 2006). (4) Imprese non esportatrici nel 2000 e nel 2006/totale imprese del panel (imprese esistenti tanto nel 2000 quanto nel 2006). In definitiva, sembrano evidenziarsi da questa analisi, basata su un panel di imprese estratto dal campione dell’inchiesta ISAE, indicazioni di significative ricomposizioni nella struttura degli esportatori italiani nell’arco di tempo considerato; una fenomeno che è da connettere, probabilmente, con i movimenti indotti dalle pressioni concorrenziali internazionali e con i - 52 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 conseguenti processi di ristrutturazione. Il ricambio è stato relativamente intenso (superiore alla media) in alcuni dei settori che hanno sofferto maggiormente nei primi anni duemila (dall’indotto degli autoveicoli, al cuoio-calzature, all’abbigliamento); esso ha, però, riguardato anche comparti contrassegnati da una migliore tenuta o che si sono addirittura rafforzati (come, ad esempio, la meccanica strumentale, i prodotti in metallo e la metallurgia). Sul piano dimensionale, il rinnovamento più forte nella composizione degli esportatori sembra avere riguardato le grandi imprese; ciò ha, però, essenzialmente riflesso un flusso in uscita di imprese esportatrici. Entrate nette positive (esportatori nuovi in eccesso rispetto a quelli scomparsi) hanno, invece, interessato, tra il 2000 e il 2006, soprattutto il gruppo di imprese di dimensioni medio-piccole. - 53 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 DOMANDA NAZIONALE Consumi privati Nel 2006 il contributo alla crescita del PIL della domanda nazionale, al netto delle scorte e a prezzi dell’anno precedente, è stato dell’1,3%. La spesa delle famiglie residenti ha fornito l’apporto più cospicuo, 0,9%, mentre lo stimolo proveniente dagli investimenti è risultato più contenuto (0,5%). I dati, concatenati e corretti per i giorni lavorativi, segnalano che la crescita annuale della spesa dei residenti è stata dell’1,5%, realizzando la migliore performance degli ultimi cinque anni. Merita di essere sottolineata, anche alla luce della rivalutazione dell’euro verificatasi durante il 2006, l’inversione di segno che ha caratterizzato l’andamento dei consumi all’estero dei residenti e degli acquisti degli stranieri sul territorio. I primi hanno decelerato dal +5,1 del 2005 al -1,1% dell’anno scorso, mentre i secondi, nello stesso periodo, sono passati da -2,3% a +5,8%. Lo sviluppo degli investimenti fissi lordi si è attestato sul 2,4%, con un picco del 7% per il comparto degli immateriali che interrompe un triennio di contrazioni. Il contributo delle scorte è tornato, dopo un biennio, positivo per tre decimi di punto. Nel 2006 l’aumento dei consumi privati interni è stato pari all’1,6% (valori concatenati e corretti per i giorni lavorativi), mostrando una ritrovata vivacità dopo un lustro di crescita moderata, pur se, nel profilo trimestrale, l’evoluzione è andata indebolendosi nell’ultima parte dell’anno. L’accelerazione degli acquisti è in parte spiegabile con l’aumentata propensione al consumo dopo le contrazioni registrate nel periodo 2001-2005. Secondo le nostre stime, il reddito disponibile delle famiglie è cresciuto, in termini reali, di circa l’1% (non considerando l’influenza della ricchezza finanziaria), dando luogo a un rialzo della propensione alla spesa di circa mezzo punto percentuale. Il diverso atteggiamento delle famiglie ha influito in modo difforme sulle varie tipologie di beni, concentrandosi soprattutto sugli acquisti per beni durevoli e servizi. A questi due comparti è imputabile più dell’80% dell’incremento dei consumi interni complessivi. Con riferimento alle altre tipologie di spesa, quella in beni non durevoli ha continuato a mostrare un andamento altalenante e, come consuetudine, oscillazioni congiunturali poco marcate. Anche per questo, relativo tasso di sviluppo tendenziale, nel quarto trimestre dell’anno scorso, è risultato il più modesto (1,4%). Gli acquisti di beni semidurevoli hanno evidenziato una notevole accelerazione nel secondo semestre del 2006. - 54 - Economia italiana: evoluzione recente Graf. 12 - SPESA DELLE FAMIGLIE (valori concatenati, milioni di euro, anno di riferimento 2000, dati destagionalizzati e corretti per il numero di giorni lavorativi) BENI DUREVOLI (variazioni congiunturali %scala sinistra) 4,5 3,0 BENI NON DUREVOLI (variazioni congiunturali %scala sinistra) 22500 1,0 22000 0,8 21500 1,5 21000 0,0 -1,5 -3,0 -4,5 2003 2004 2005 0,4 0,0 20000 -0,2 1,5 0,5 -0,8 18500 -1,0 0,0 22000 0,8 21800 0,6 21000 -1,5 -2,0 -2,5 2003 2004 2005 2006 56000 2004 2005 2006 SERVIZI (variazioni congiunturali %scala sinistra) 21200 -1,0 56500 2003 21400 -0,5 57000 -0,6 19000 21600 1,0 57500 -0,4 BENI SEMIDUREVOLI (variazioni congiunturali %scala sinistra) 2,0 58000 0,2 2006 2,5 58500 0,6 20500 19500 59000 89000 88000 0,4 87000 0,2 0,0 86000 -0,2 85000 -0,4 20800 -0,6 20600 -0,8 84000 83000 2003 2004 2005 2006 Fonte: ISTAT. Dopo tre anni di riduzioni, ciò ha consentito di registrare un consuntivo annuo positivo e una variazione tendenziale del 2,7% nel trimestre appena concluso. Le differenti dinamiche dei consumi sono in parte collegabili all’andamento dei prezzi relativi. Nel confronto tra il dicembre scorso e quello del 2005, variazioni tendenziali negative nei capitoli “comunicazioni” e “servizi sanitari”, si contrappongono a incrementi dell’ordine del 5% per le bevande, i tabacchi e i combustibili. I prezzi del comparto “abbigliamento e calzature”, classificati come semidurevoli nella Contabilità Nazionale, sono aumentati dell’1,4%, molto meno dell’indice generale armonizzato (2,1%). Il rallentamento sperimentato dai consumi durevoli nella parte finale del 2006 potrebbe essere spiegato dal rinvio degli acquisti connesso agli incentivi governativi, in vigore dal gennaio del corrente anno. - 55 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Fiducia Le scelte dei consumatori si sono realizzate nel contesto di (inchieste ISAE; indice base 1980=100) un clima di opinione delle famiglie in graduale, pur se irreCLIM A COM PLESSIVO golare, miglioramento. In 130 febbraio la fiducia dei consuDati destagionalizzati e depurati Dati destagionalizzati 120 matori, al netto dei fattori erratici e stagionali, è salita a 110 111,7, un valore superiore a quello medio registrato lo 100 scorso anno (104). Va notato 90 che le interviste del mese scor2003 2004 2005 2006 2007 so sono state antecedenti la Clima economico Clima personale 140 crisi di Governo. In una proDati destagionalizzati 130 spettiva di meno breve perio120 do, si rileva che il suo livello è 110 ancora inferiore alla media del 100 2002 (116), ma la tendenza al 90 rialzo dura dall’inizio 2004 80 (quando l’indice stazionava 70 2003 2004 2005 2006 2007 intorno a valori pari a 100). Clima corrente Clima futuro L’analisi delle componenti del 130 clima evidenzia che, nel corso Dati destagionalizzati 120 del 2006, sono progredite soprattutto le opinioni sul quadro 110 economico generale e quelle sulla situazione corrente. 100 Maggiormente riflessive sono 90 risultate le risposte inerenti la 2003 2004 2005 2006 2007 sfera personale e l’evoluzione economica futura. Durante il 2006 la crescita degli investimenti è stata pari al 2,4%. Questo dato è la sintesi di andamenti positivi degli investimenti in costruzioni (2,2%), mezzi di trasporto (3,9%) e beni strumentali (2,4%). L’ultimo trimestre dello scorso anno ha registrato valori congiunturali positivi per tutte le poste, riprendendo il sentiero di sviluppo interrotto durante l’estate del 2006. Ciò vale in particolar modo per l’edilizia che, forse beneficiando di un autunno particolarmente favorevole, ha fatto Graf. 13 - CLIMA DI FIDUCIA DEI CONSUMATORI ITALIANI Investimenti - 56 - Economia italiana: evoluzione recente segnare i maggiori progressi sia congiunturali (2,3%) che tendenziali (4,2%). Il ritrovato slancio degli altri investimenti potrebbe essere legato alla necessità di ampliare la capacità produttiva. Secondo le indaGraf. 14 - INVESTIMENTI FISSI LORDI (valori concatenati, milioni di euro, anno di riferimento 2000, dati destagionalizzati e corretti per il numero di giorni lavorativi) MACCHINARI, ATTREZZATURE E PRODOTTI VARI (variazioni congiunturali %scala sinistra) 4,0 MEZZI DI TRASPORTO (variazioni congiunturali %scala sinistra) 30500 7,5 30000 5,0 2,5 29500 1,0 -0,5 -2,0 7000 6800 2,5 6600 0,0 29000 -2,5 6400 28500 -5,0 6200 28000 -7,5 6000 -10,0 -3,5 27500 -5,0 27000 2003 2004 2005 5800 -12,5 5600 -15,0 2006 2003 2004 2005 2006 COSTRUZIONI (variazioni congiunturali %scala sinistra) 3,0 30500 2,0 30000 29500 1,0 29000 0,0 28500 -1,0 28000 -2,0 27500 27000 -3,0 2003 2004 2005 2006 Fonte: ISTAT. gini condotte dall’ISAE, la percentuale di utilizzo degli impianti delle imprese manifatturiere è da nove mesi su valori superiori al 78%, soglia storicamente elevata. Nel corso di tutto il 2006, inoltre, le inchieste presso gli operatori mostrano un miglioramento anche delle risposte inerenti il livello degli ordini, sia di provenienza interna che estera. Infine, è risultato particolarmente positivo il clima di opinione delle imprese produttrici di beni di investimento. - 57 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 SCAMBI CON L’ESTERO Esportazioni Nel 2006 il valore delle esportazioni di beni e servizi dell’Italia si è accresciuto notevolmente rispetto all’anno precedente. Secondo le stime di contabilità nazionale dell’ISTAT, a prezzi correnti l’aumento annuo è stato del +10,8%, mentre nel 2005 è stato poco meno della metà (+5,1%). A prezzi costanti la variazione è stata del +5,3%, in forte miglioramento rispetto al risultato negativo registrato del 2005 (-0,5%) ed alla performance degli anni precedenti. Graf. 15 - ESPORTAZIONI DI BENI E SERVIZI DELL'ITALIA (valori a prezzi costanti; anno di riferimento 2000=100) 10 10 5 5 0 0 -5 -5 -10 -10 2002 2003 2004 V A R IA ZIONI TENDENZIA LI 2005 2006 V A RIA ZIONI CONGIUNTURA LI Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT. Le esportazioni, a prezzi correnti, secondo i dati di contabilità trimestrale dell’ISTAT, hanno mostrato un netto recupero a partire dal periodo aprile-giugno del 2005, nel quale, la variazione congiunturale è stata del +3,5%. Nei due successivi trimestri le variazioni sono state pari al +2,5% e del +2,7%. Nel 2006 la variazione è stata molto elevata e positiva nei primi tre mesi, pari al +3,3%; in lieve rallentamento nel secondo trimestre, pari a +2,6%; negativa, anche se piccola nel terzo (-0,5%) e positiva e molto elevata nel quarto (+5,7%). Tale dinamica si è riflessa sull’andamento tendenziale, che, dopo un risultato non trascurabile realizzato nel quarto trimestre del 2005 (+8,4%), nel primo del 2006 ha raggiunto il +12,5%, seguito dall’+11,6% nel secondo, dal +8,4% nel terzo e da +11,5% nel quarto. A prezzi costanti le variazioni - 58 - Economia italiana: evoluzione recente congiunturali, nei quattro trimestri del 2006, sono state rispettivamente del +2,2%, del +1,4%, del -1,8% e del +4,5%; quelle tendenziali sono state del +6,8%, del +5,7% del +3,1% e del +6,3 per cento. Nel 2006 le esportazioni di beni e servizi dei principali paesi industriali, sia in termini di valori correnti sia in termini reali, dopo una notevole accelerazione avvenuta nel 2005, hanno mantenuto una crescita molto sostenuta. In valori correnti, esse sono aumentate in Germania del +13,9%; in Francia del +7,5%%; in Spagna del +10,4%, negli Stati Uniti (+12,5%) e nel Giappone (+13,7%). A prezzi costanti, gli aumenti sono stati del +12,9% in Germania; del +6,2% in Francia; del +6,2% in Spagna; del +8,9% negli Stati Uniti e del +9,7% in Giappone. La dinamica delle nostre esportazioni rispetto a quella dei principali paesi industriali, europei ed extraeuropei, appare soddisfacente se calcolata sulla base dei valori correnti: essa risulta addirittura superiore a quella della Francia e della Spagna, mentre é inferiore di 2,1 punti percentuali a quella della Germania, di 1,7 punti a quella degli Stati Uniti e di 2,9 punti rispetto al Giappone. Se calcolata, invece, sulla base delle valutazioni a prezzi costanti essa appare insoddisfacente. Il gap negativo, tuttavia, potrebbe essere ampiamente sopravvalutato se si tiene conto dell’incerto significato in termini di prezzi delle stime relative ai valori medi unitari dell’Italia, che sono alla base delle valutazioni a prezzi costanti delle esportazioni, notevolmente fuori linea rispetto sia ai prezzi interni sia ai valori medi unitari degli altri paesi. Nel 2006 le due componenti delle esportazioni totali, quella dei beni e quella dei servizi, mostrano dinamiche differenti. Quella dei servizi registra un incremento molto elevato, sia in termini di valori correnti (+10,9%) sia in termini reali (+9,1%), quella dei beni registra variazioni nei valori correnti analoghe a quelle servizi (+11%), mentre le variazioni sono molto più contenute in termini reali (+4,6%). Le esportazioni di servizi, in valori correnti, presentano un recupero notevole, in termini congiunturali, a partire dal secondo trimestre del 2005 (+3,8%) ed una variazione positiva e molto elevata nell’ultimo trimestre dello stesso anno (+11,6%), mentre nel 2006 le variazioni trimestrali sono modeste e di segno alterno tranne che nel periodo ottobredicembre, la cui variazione è salita al +9,6%. A prezzi costanti, esse hanno registrato incrementi congiunturali di qualche decimo di punto percentuale inferiori a quelli dei valori. Nel 2006, pertanto, la quota dei servizi sulle esportazioni complessive è risultata, in termini annui, pari - 59 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 al 19,5%, la stessa dell’anno precedente; in termini reali è passata dal 20,4% nel 2005 al 21 % nel 2006. L’aggregato relativo ai beni, espresso in valori correnti, ha mostrato nel 2006 incrementi congiunturali molto sostenuti: + 4,5% nel primo trimestre, +3% nel secondo e +4,5% nell’ultimo. Nel terzo trimestre esso ha registrato pressoché lo stesso valore del trimestre precedente. Nello stesso anno le variazioni congiunturali dell’aggregato, a prezzi costanti, sono state significativamente più basse di quelle dell’aggregato a prezzi correnti (+3,3% nel primo trimestre; +1,5% nel secondo, 1,1% nel terzo e +3,3% nel quarto). La dinamica tendenziale, riferita ai valori a prezzi correnti, è stata molto sostenuta in tutti e quattro i trimestri del 2006 (+11,3% nel primo;+10,9% nel secondo; +8,7% nel terzo e +13,1% nel quarto); la variazioni tendenziali trimestrali dell’aggregato a prezzi costanti sono state pari al +4,7% nel primo trimestre; +4% nel secondo; +2,6% nel terzo e +7,1 % nel quarto. Graf. 16 - ESPORTAZIONI DI MANUFATTI DELL'ITALIA PER AREA DI DESTINAZIONE (indici dei valori, destagionalizzati, 2000=100) 130 110 90 2001 2002 2003 UE 2004 2005 2006 Extra UE Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT. La componente principale delle esportazioni di beni dell’Italia è quella relativa ai manufatti. Il loro valore, secondo le statistiche doganali del commercio con l’estero dell’ISTAT, aggiustato nell’ipotesi che i ritardi di consegna delle bollette doganali sia proporzionale a quello dell’anno precedente, è aumentato nei primi undici mesi del 2006 del +10,7%. Nei primi due trimestri del 2006 la dinamica trimestrale dei valori, calcolata su dati destagionalizzati, ha mantenuto il trend positivo iniziato l’anno precedente, (+2,6% nel primo e +4,4% nel secondo), rallentando nel terzo (+ 1,1%). - 60 - Economia italiana: evoluzione recente I valori esportati sono stati in forte aumento per entrambe le grandi aree di destinazione; in netto recupero quelli destinati all’area dell’UE (25 paesi) che hanno ridotto in tal modo il differenziale negativo conseguito nel 2005. Nei primi undici mesi del 2006, rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, il valore delle esportazioni verso l’area UE è aumentato del +10%, mentre quello verso l’area extra UE è stato del +11,6%. Nei primi tre trimestri del 2006 gli incrementi congiunturali delle esportazioni verso l’UE sono stati molto sostenuti (+2,7% nel primo, +4,3% nel secondo e +2,3% nel terzo); quelli verso l’area extra UE sono stati molto positivi ma in netta decelerazione (+4,3% nel primo trimestre, +2,3% nel secondo e nel terzo vi è stata un calo del +2%). Graf. 17 - ESPORTAZIONI DELL'ITALIA PER AREE E PAESI (indici destagionalizzati dei valori correnti; 2000=100) 18 0 14 0 10 0 60 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Fr a n c ia G e r ma n ia Re g n o Un ito Spagna UE1 5 : A ltr i Eu r o p a - UE1 5 18 0 14 0 10 0 60 2001 2002 Eu r o p a 2003 S ta ti Un iti 2004 2005 G ia p p o n e Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT. - 61 - 2006 Mo n d o :A ltr i Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Nel 2006 (11 mesi) il valore delle esportazioni italiane di beni verso alcuni dei grandi paesi industrializzati, aggiustato come indicato sopra per tenere conto dei ritardi delle bollette doganali ed espresso in Graf. 18 - ESPORTAZIONI PER SETTORI MERCEOLOGICI (indici destagionalizzati dei valori correnti; 2000=100) 160 140 120 100 80 2001 2002 2003 A LIM ENT. CA RTA … 2004 TESSILI M A NUF. 2005 2006 CUOIO LEGNO 160 140 120 100 80 2001 2002 CHIM ICA 2003 GOM M A 2004 NO M ETA LL 2005 2006 M ETA LLIF. M A NUF. 160 140 120 100 80 2001 2002 2003 2004 M ECCAN. M ACC.ELETTR. M ANUF.DIV. M ANUF. Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT. - 62 - 2005 2006 M EZZI TRASP. Economia italiana: evoluzione recente valori correnti, ha mostrato una dinamica notevolmente più accentuata di quella dell’anno precedente: in particolare, si è notevolmente accresciuto il flusso di beni verso la Germania, che, dal +2,2% nel 2005 è salito al +10,3%; quello verso il Regno Unito, in diminuzione del -2,4% nel 2005, è aumentato del +3,5% nel 2006; mentre quello diretto in Spagna è passato da un aumento del +9,2% nel 2005 ad uno del +7,1% nel 2006. Il flusso verso il Giappone, incrementatosi del +5,8% nel 2005, è stato in diminuzione, pari al -1,9%, nel 2006. Quello verso gli Stati Uniti ha mostrato una decelerazione dal +6% del 2005 al +5,4% nel 2006. Un notevolissimo incremento vi è stato nel flusso delle esportazioni verso gli altri paesi dell’Europa, sia di quelli appartenenti all’UE a 15, esclusi i tre grandi paesi europei considerati sopra (dal +6% nel 2005 al +11,9% nel 2006), sia di quelli non appartenenti all’UE a 15 (dal +8% al +17,1%). I contributi diretti dei paesi e delle aree considerate alla crescita del valore delle vendite all’estero di merci dell’Italia, senza tenere conto, quindi, degli effetti indiretti trasmessi attraverso gli impulsi alla domanda dei paesi considerati, sono stati di 1,4 punti percentuali quello della Germania; di 0,7 punti quello della Francia; di 0,5 punti quello della Spagna; di 1,7 punti quello dell’area UE 15 (esclusi i quattro grandi paesi); di 3,2 punti quello dell’area Europa esclusi i 15 paesi dell’UE; di 0,4 punti quello degli Stati Uniti. Nei primi undici mesi del 2006 rispetto al corrispondente periodo del 2005 vi è stato un notevole incremento dei valori esportati in tutti i settori di attività economica. Se si escludono il settore dei derivati del petrolio e quello dei prodotti in metallo, i cui elevati incrementi riflettono tensioni sui mercati internazionali delle materie prime, e tre settori, quello del tessile, quello della carta e quello relativo ai manufatti diversi, il cui incremento dei valori esportati è risultato tra il +4,4 ed il +5,2%, tutti gli altri hanno registrato incrementi superiori al +8%, particolarmente elevato è stato l’incremento realizzato dal settore delle macchine ed apparecchi meccanici, pari al +12,1% (+3,2 nei primi undici mesi del 2005). Le esportazioni mondiali di merci dei paesi industriali, espresse in valori correnti ed in dollari USA, stimate sulla base degli indici del Central Plan Bureau, nel 2006 sono aumentate del +11,9%, incremento superiore a quello stimato nell’anno precedente, pari al +8,3%. Nel 2006 esse presentano un profilo congiunturale in notevole accelerazione con tassi trimestrali compresi tra il +3,5% ed il +5%, - 63 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Graf. 19 - ESPORTAZIONI DI BENI: ITALIA, PAESI INDUSTRIALIZZATI (indici a prezzi costanti, destagionalizzati; 2000=100; variazioni percentuali) 8 4 0 -4 -8 2001 2002 2003 2004 Italia 2005 2006 P aesi industriali Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT. Graf. 20 - ESPORTAZIONI ITALIANE DI MERCI: ITALIA, PAESI INDUSTRIALI (indici a prezzi costanti, 2000=100) 170 130 90 50 1991 1995 1999 P aesi industriali 2003 Italia/P aesi industriali Italia Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT. Graf. 21 - ESPORTAZIONI ITALIANE DI MERCI: ITALIA, PAESI INDUSTRIALI (indici a prezzi correnti, 2000=100) 170 130 90 50 1991 1995 1999 P aesi industri (USD) Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT. - 64 - Italia (USD) 2003 Italia/P aesi industr. Economia italiana: evoluzione recente mentre nel 2005 le variazioni positive sono state inferiori al +1,2%. La quota di mercato dell’Italia, calcolata a prezzi correnti sulla base degli indici del Central Plan e dell’ISTAT, si è ridotta del -2,5% nel 2005 e si è mantenuta pressoché stabile nel 2006 (+0,2%). La quota è stata pari al 5,1% nel 2006, pressoché lo stesso livello del 2005. Le esportazioni di merci dei paesi industriali, espresse in valori costanti, hanno registrato, secondo le statistiche del Central Plan Bureau, un aumento del +4,8% nel 2005 e del +8,2% nel 2006. La quota delle esportazioni di merci dell’Italia rispetto ai paesi industriali, calcolata utilizzando le stime dei beni esportati a prezzi costanti dell’ISTAT, risulta essere diminuita del -5,3% nel 2005 e del -3,3% nel 2006. La differenza tra gli andamenti della quota espressa in valori costanti e quella in valori correnti è molto significativa soprattutto a partire dal 2002. Essa sembra essere dovuta alle stime dei deflatori delle esportazioni, basate su quelle dei VMU dell’Italia, che presentano problemi di affidabilità. Tali stime rispetto a quelle degli altri paesi mostrano una dinamica molto più accentuata. Il giudizio sulla competitività delle esportazioni dell’Italia sulla base degli indicatori disponibili, pertanto, deve essere formulato con grande cautela. Gli indicatori di competitività di prezzo considerati sono due. Entrambi misurano in modo molto imperfetto l’andamento della competitività, non solo per problemi di affidabilità e di metodo statistico, ma anche perché colgono specifici aspetti del fenomeno concorrenziale. Il primo è costruito sulla base degli indici dei valori medi unitari delle esportazioni di merci, espressi in moneta comune, dell’Italia rapportati a quelli dei paesi industriali; il secondo utilizza gli indici dei prezzi dell’output di manufatti in moneta comune dell’Italia rapportato a quello dei paesi industriali. Nel 2006 l’indice di competitività dell’Italia in termini di valori medi unitari ha registrato un peggioramento (variazione in aumento) del +3,6%. Nel 2005 il deterioramento è stato del +3%. Pertanto il trend dell’indice, positivo e molto elevato dal 2001 al 2004 a tassi superiori al +5% (peggioramento di competitività) tende a ridursi negli ultimi due anni pur mantenendosi ancora considerevole. Le sue determinanti sono diverse, importanti risultano quelle relative all’andamento dei tassi di cambio rispetto al dollaro e allo yen. Nel 2006 l’andamento trimestrale dell’indice mostra un peggioramento (aumento dell’indice) compreso tra il +1% ed il +2%. In termini tendenziali il - 65 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Competitività di prezzo dell’Italia per settori e per paesi I prezzi relativi dell’output dell’aggregato “manufatti” dell’Italia rispetto a 17 paesi (15 paesi Europa, Stati Uniti e Giappone), dal 1996 al 2006 hanno mostrato, secondo l’indice elaborato dall’ISAE, un trend stabile attorno al quale vi sono state contenute oscillazioni.1 In particolare, come mostra l’evidenza grafica, essi sono rimasti pressoché stabili dal 1996 al 1998, sono migliorati (si sono ridotti) dal 1999 al 2000, quindi hanno perso qualche punto dal 2000 al 2003, e sono rimasti pressoché stabili negli anni seguenti fino alla fine del 2006. In particolare, nel periodo 1996-2000 essi sono migliorati ad un tasso medio annuale pari a -2,3%; nel periodo 20002003 sono deteriorati ad un tasso del 2,5%, riportandosi sui valori del 1996, e sono saliti lievemente tra il 2003 ed il 2006 (0,7%). L’indice riferito solo ai paesi europei (15 paesi, incluso il Regno Unito) ha mostrato variazioni molto più contenute nei tre periodi considerati: un miglioramento dei prezzi relativi, pari ad un tasso medio annuo del -0,8% nel primo, un peggioramento dello 0,9% nel secondo (2000-2003) ed una relativa stabilità nel terzo (-0,1% tra il 2000-2003. Nel 2005 l’indice ha registrato un miglioramento di -0,1% e nel 2006 è peggiorato dello 0,3%. Quello relativo alla Germania ha registrato un lieve ma continuo peggioramento (il tasso medio annuo è aumentato del +0,5% nel primo periodo; +0,3% nel secondo; +0,7% nel terzo).Quello relativo alla Francia ha mostrato pressoché lo stesso andamento di quello della Germania (+0,5% nel primo periodo e nel secondo periodo; +0,6% nel terzo). La competitività dell’Italia, invece, è migliorata relativamente alla Spagna in tutti e tre i periodi considerati 1 Nota metodologica sulla costruzione degli indici. L’indicatore di competitività relativa di prezzo elaborato sulla base dei prezzi alla produzione interni del paesi considerati consente di misurare in modo molto sintetico (vengono trascurati solo aspetti limitati) l’andamento del fenomeno competitivo con un soddisfacente grado di affidabilità. Altri indicatori presentano caratteri di minore robustezza. Gli indici elaborati sulla base dei valori medi unitari delle esportazioni sono sempre meno affidabili come proxy dei prezzi quando sono riferiti a prodotti che hanno un crescente grado di complessità e sono continuamente soggetti a miglioramenti ed innovazioni. Essi, inoltre, sono influenzati dalle condizioni specifiche relative di ciascun mercato considerato. Gli indicatori formulati in termini di costi del lavoro per unità di prodotto trascurano il ruolo degli altri fattori produttivi e sono influenzati pesantemente dalle particolari condizioni congiunturali dei paesi competitori. Gli indici di competitività relativa sono stati calcolati come rapporto tra l’indice dei prezzi dell’output relativo a un settore, ad una classe o ad una sottoclasse di attività economica dell’Italia e l’indice dei prezzi dello stesso aggregato del paese o di un insieme di paesi in competizione sui mercati internazionali con il nostro. Pertanto l’aumento dell’indice (diminuzione) assume il significato dei perdita di competitività (guadagno). Gli indici dei prezzi che si confrontano vengono espressi nella stessa moneta, utilizzando i tassi di cambio. Il periodo considerato inizia dal 1996 e termina nel 2006. La fonte statistica utilizzata per quanto riguarda gli indici dei prezzi ed i tassi di cambio è l’Eurostat. I pesi con cui si ponderano gli indici dei singoli competitori per ottenere un indice relativo ad un insieme di paesi sono stati calcolati secondo un sistema a doppia ponderazione in cui si tiene conto sia del peso dei diversi mercati all’esportazione dell’ l’Italia, calcolato sulla base del valore delle esportazioni italiane per paese o area geografica, sia del peso che i competitori considerati hanno in ciascuno di tali paesi o aree geografiche. I paesi considerati nella costruzione degli indici di competitività di manufatti sono diciotto: Stati Uniti, Giappone, Belgio, Cecoslovacchia, Danimarca, Germania, Irlanda, Grecia, Spagna, Francia, Lussemburgo, Olanda, Austria, Portogallo, Finlandia, Svezia, Regno Unito, Norvegia; per gli indici relativi alle classi ed alle sottoclassi di attività economia i paesi sono, generalmente, sedici. Gli indici di qualche classe o sottoclasse di attività in alcuni limitati casi mancano per qualche paese. I mercati considerati sono circa cinquanta. La fonte dei dati del commercio internazionale bilaterale è l’OCSE. - 66 - Economia italiana: evoluzione recente (l’indice si è ridotto, rispettivamente nei tre periodi esaminati di -0,4%; -0,1% e -0,8%). Nei confronti del Regno Unito l’indice di competitività ha registrato un forte miglioramento nel primo periodo (il tasso medio annuo si è ridotto di -5,4%), al quale è seguito un deterioramento nel secondo (-3,9%), ed un lieve miglioramento nel terzo, pari al -0,6%. Nel complesso dei quattro grandi paesi europei, l’indice ha registrato nei tre periodi una perdita di competitività di qualche decimo di punto all’anno. L’andamento dell’indice riferito a 17 paesi, sia in termini di ampiezza delle oscillazioni, sia in termini di tendenze rispetto a quello riferito a 15 paesi europei è influenzato dalla dinamica dei tassi di cambio rispetto all’euro della moneta degli Stati Uniti e da quella del Giappone. Gli indici di prezzi relativi sono stati calcolati solo in riferimento ai paesi europei, anche per classi e sottoclassi di attività (gli indici per classi e sottoclassi degli Stati Uniti e del Giappone non sono disponibili). Il loro andamento presenta andamenti differenziati sia nelle tendenze sia nelle oscillazioni attorno ad esso. L’indice relativo alla classe di attività economica “macchine ed apparecchi meccanici” (che rappresenta circa il 30% delle esportazioni di manufatti dell’Italia) ha mostrato un andamento molto stabile nella competitività: un aumento del tasso medio annuo dello 0,5% nel periodo 20002003 ed una riduzione pari al -0,2% negli anni 2003-2006. Solo lievissime differenze sono state evidenziate nell’andamento dell’indice per la sottoclasse “macchine ed attrezzature”, mentre una dinamica più favorevole dei prezzi relativi si è riscontrata per il settore relativo alla sottoclasse “strumenti medici, ottici e di precisione” (-1,4% nel periodo 1996-2000; 0,1% nel periodo 20002003 e -0,3% nel periodo 2003-2006). La competitività di prezzo della classe “attrezzature di trasporto” mostra una lieve perdita di competitività di prezzo (lievi aumenti), in tassi medi annui, sia nel periodo 2000-2003 (0,7%), sia nel periodo 2003-2006 (0,4%). L’indice riferito alla Germania, alla Francia ed alla Spagna risulta pressoché stabile. Tali tendenze derivano dal contributo della sottoclasse “veicoli a motore e rimorchi”. Anch’esse riflettono molto strettamente quelle degli indici relativi alla Germania ed alla Francia, mentre l’indice relativo alla sottoclasse “altri mezzi di trasporto” ha una dinamica più favorevole sia se riferito al complesso dei paesi europei (-2,7% nel periodo 1996-2000; 0,2% nel periodo 2000-2003 e -1,6% negli anni 2003-2006), sia se riferito, specificatamente, alla Germania, alla Spagna ed al Regno Unito. Le classi di attività “alimentari”, “tessile e cuoio”, “legno” e “carta” hanno subito limitate variazioni nella competitività di prezzo. In lieve miglioramento nel periodo 2003-2006 i prezzi relativi della “chimica” (-1,2%) e quelli della classe “minerali non metalliferi” (-0,3%); un lieve deterioramento è registrato per gli articoli in gomma ed in plastica (+0,2). - 67 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 COMPETITIVITÀ DI PREZZO RELATIVA: ITALIA RISPETTO A PAESI O GRUPPI DI PAESI Numeri indici trimestrali dei prezzi alla prdouzione relativi in moneta comune, 2000=100 180 140 130 Manufatti Manufatti 160 140 120 120 110 100 100 80 80 1996 60 1998 2000 Regno Unito 17 paesi 2002 Europa 2004 2006 Giappone 90 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Germania US 130 130 Spagna EU 4 Tessili e cuoio Alimentari 110 Francia 110 90 1996 1998 Ger 2000 Fra 2002 Spa GB 2004 90 1996 2006 Europa EU 4 130 Ger 130 2000 Fra 2002 Spa GB 2004 2006 Europa EU 4 Carta Legno 110 1998 110 90 1996 1998 Ger 2000 Fra 2002 Spa GB 2004 90 1996 2006 Europa EU 3 170 1998 2000 Ger Spa 2002 GB 2004 Europa 2006 UE 3 130 Chimica Prodotti petroliferi 130 90 1996 110 1998 Ger 2000 Fra 2002 Spa 2004 Europa 2006 90 1996 Ger UE 3 - 68 - 1998 Fra 2000 Spa 2002 2004 GB Europa 2006 4 Big C EU Economia italiana: evoluzione recente COMPETITIVITÀ DI PREZZO RELATIVA: ITALIA RISPETTO A PAESI O GRUPPI DI PAESI Numeri indici trimestrali dei prezzi alla prdouzione relativi in moneta comune, 2000=100 130 130 Minerali (non metallifer) Gomma 110 110 90 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Ger Fra Spa GB Europa 90 1996 UE 4 1998 Ger 2000 Fra 2002 Spa GB 2004 2006 Europa UE 3 130 130 Prodotti in metallo Metalli di base 110 110 90 1996 1998 Ger 2000 Fra 2002 Spa GB 2004 90 1996 2006 Europa 130 1998 Ger UE 4 Fra 2000 2002 Spa GB 2004 Europa 2006 UE 4 130 Macchianri ed attrezzarure Meccanica (in senso stretto) 110 110 90 1996 1998 Ger 2000 Fra 2002 Spa GB 2004 90 1996 2006 Europa 150 Attrezzature elettriche ed ottiche 1998 Ger UE 4 250 Fra 2000 2002 Spa GB 2004 Europa 2006 UE 4 Attrezzature per ufficio, per calcolo 130 150 110 90 1996 1998 Ger 2000 2002 Spa GB 2004 Europa 2006 50 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 UE 3 Ger - 69 - Spa GB Europa UE 3 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 COMPETITIVITÀ DI PREZZO RELATIVA: ITALIA RISPETTO A PAESI O GRUPPI DI PAESI Numeri indici trimestrali dei prezzi alla prdouzione relativi in moneta comune, 2000=100 Macchine ed attrezzature elettriche Attrezzature per comunicazioni, radio, televisione 130 110 110 90 1996 1998 Ger 130 2000 Fra 2002 Spa 2004 GB 90 1996 2006 Europa UE 4 1998 Ger 2000 Fra 2002 Spa GB 2004 2006 Europa UE 4 130 Strumenti di prexisione, ottici e medici Mezzi di trasporto 110 110 90 1996 1998 Ger 2000 Spa 2002 GB 2004 Europa 90 1996 2006 UE 3 1998 Ger 2000 Fra 2002 Spa GB 2004 2006 Europa UE 4 130 140 Veicoli a motore Altri mezzi di trasporto 120 110 100 90 1996 1998 Ger Fra 2000 Spa 2002 GB 2004 Europa 80 1996 2006 UE 4 130 2002 GB 2004 2006 Europa Ger = Germania Fra = Francia Spa= Spagna GB = Regno Unito 17 paesi= Europa con il Giappone egli Stati Uniti Europa= 16 paesi europei UE 4= Germania Francia Spegna e Regno Unito UE 3= UE 4 escl indicatore del paese non disponibile. 110 Ger 2000 Spa Legenda: Manufatti diversi (incl.mobili) 90 1996 1998 Ger 1998 Fra 2000 Spa 2002 GB 2004 Europa 2006 UE 4 - 70 - UE 3 Economia italiana: evoluzione recente deterioramento di competitività è stato progressivamente crescente (dallo +0,3% nel primo trimestre al +6,1% nell’ultimo). Graf. 22 - COMPETITIVITA' DI PREZZO: MERCI (indici dei valori medi unitari in euro, 2000=100) 14 0 12 0 10 0 80 2001 2002 Italia 2003 2004 2005 Pae s i ind us tr . eur o 2006 Italia / Paes i ind eur o Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT, EUROSTAT, OCSE, Central Plan Bureau, Netherland. Graf. 23 - COMPETIVITA' DI PREZZO DELL'ITALIA: MANUFATTI (indici dei prezzi alla produzione in euro, 2000=100) 14 0 12 0 10 0 80 2001 2003 Italia 2005 Paes i indus tr . Italia/Paes i indus tr . Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT, EUROSTAT, OCSE, Central Plan Bureau, Netherland. Nel 2006 l’indicatore di competitività dell’Italia in termini di prezzi alla produzione è aumentato (peggiorato) del +1%, mentre nell’anno precedente è rimasto pressoché stabile (-0,1%). Esso, pertanto, segnala un lieve deterioramento della competitività di prezzo dell’Italia negli ultimi due anni. Nel periodo tra il 2001 ed il 2004 esso sarebbe aumentato ad un tasso medio annuo del +3%, più che compensando il vantaggio acquisito nel 2000, pari al -5,5%. L’andamento di tale indicatore, pur subendo anch’esso gli effetti delle variazioni del cambio, in particolare di quello dell’euro rispetto al dollaro ed allo - 71 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Graf. 24 - ESPORTAZIONI ITALIANE DI MERCI IN GERMANIA (numeri indici dei VMU e dei volumi,destagionalizzati, 2000=100) 140 120 100 80 60 1996 1997 1998 1999 2000 2001 VMU 2002 2003 2004 2005 2006 Ind.quantità Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Eurostat, OCSE. Graf. 25 - ESPORTAZIONI ITALIANE DI MERCI IN FRANCIA (numeri indici dei VMU e dei volumi,destagionalizzati, 2000=100) 140 120 100 80 60 1996 1997 1998 1999 2000 2001 VMU 2002 2003 2004 2005 2006 Ind.quantità Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Eurostat, OCSE. Graf. 26 - ESPORTAZIONI ITALIANE DI MERCI IN SPAGNA (numeri indici dei VMU e dei volumi,destagionalizzati, 2000=100) 140 120 100 80 60 1996 1997 1998 1999 2000 2001 VMU Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Eurostat, OCSE. - 72 - 2002 2003 Ind.quantità 2004 2005 2006 Economia italiana: evoluzione recente Graf. 27 - COMPETITIVITÀ: PREZZI DELL'OUTPUT DELL'ITALIA RISPETTO ALLA GERMANIA (numeri indici destagionalizzati, 2000=100) 120 110 100 90 1996 1997 1998 1999 2000 Germania 2001 2002 Italia 2003 2004 2005 2006 Italia/Germania Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Eurostat, OCSE. Graf. 28 - COMPETITIVITÀ: PREZZI DELL'OUTPUT DELL'ITALIA RISPETTO ALLA FRANCIA (numeri indici destagionalizzati, 2000=100) 120 110 100 90 1996 1997 1998 1999 2000 2001 Francia 2002 Italia 2003 2004 2005 2006 Italia/Francia Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Eurostat, OCSE. Graf. 29 - COMPETITIVITÀ: PREZZI DELL'OUTPUT DELL'ITALIA RISPETTO ALLA SPAGNA (numeri indici destagionalizzati, 2000=100) 120 110 100 90 1996 1997 1998 1999 2000 Spagna 2001 Italia 2002 2003 2004 Italia/Spagna Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Eurostat, OCSE. - 73 - 2005 2006 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Importazioni Beni e servizi yen, mostra un deterioramento di competitività di prezzo molto meno grave di quello valutato dal primo indicatore. Un’ultima considerazione riguarda l’andamento degli indici di competitività e delle loro componenti, in termini di prezzi dell’output e di valori medi unitari dell’Italia rispetto a sei grandi paesi, tre appartenenti all’area dell’euro e tre con propria moneta nazionale. Nei confronti dei paesi europei, Germania Francia e Spagna, non si evidenzierebbero negli ultimi tre anni, in termini di prezzi dell’output relativi, deterioramenti di competitività così elevati come quelli impliciti nei valori medi unitari delle esportazioni verso il paese considerato, che negli ultimi sei anni crescerebbero di circa 10 punti percentuali in più dei prezzi dell’output del paese considerato, e di circa 5 punti in più dei prezzi dell’output dell’Italia, pur in condizioni di lieve perdita di competitività di prezzo. Ciò potrebbe implicare una sopravvalutazione considerevole dei valori medi unitari che si rifletterebbe sull’andamento piuttosto sfavorevole degli indici di quantità delle esportazioni. La perdita di competitività è più consistente con i tre grandi paesi non appartenenti all’area dell’euro. La sopravvalutazione in questo caso è più difficile da stimare in quanto il deterioramento di competitività determinato dai tassi di cambio si è accompagnato ad un aumento più contenuto dei valori medi unitari degli esportatori italiani, superiore a quello dei prezzi dell’output del paese considerato e inferiore a quello dell’Italia. Dopo l’indebolimento del 2005, lo scorso anno le importazioni complessive dell’Italia hanno mostrato una sensibile accelerazione. Tra gennaio e marzo, l’aumento dei volumi di import sembra avere risentito della ripresa delle esportazioni. Nel secondo trimestre, invece, un’attenuazione nella dinamica delle componenti interne di domanda e delle vendite all’estero ha contribuito a moderare la crescita delle importazioni. Gli acquisti di beni e servizi dall’estero si sono poi notevolmente rafforzati nella seconda metà del 2006, incrementandosi a prezzi costanti (al netto della stagionalità) del 2,2% e del 2%, rispettivamente, negli ultimi due trimestri dell’anno. Tale dinamica ha portato i volumi dell’import su un livello a fine 2006 superiore del 5,6% rispetto a un anno prima, il rialzo tendenziale più elevato dalla fine del 2002. Le dinamica delle importazioni complessive nel 2006 ha fondamentalmente riflesso quella degli acquisti di beni all’estero. Sul forte - 74 - Economia italiana: evoluzione recente incremento di tale componente (con tassi di variazione tendenziale leggermente inferiori a quelli relativi al dato aggregato) avrebbe inciso l’accelerazione delle componenti di domanda a maggior contenuto diretto e indiretto di beni di origine estera. Inoltre, il miglioramento del tono congiunturale che ha contraddistinto l’attività produttiva nella maggior parte dei settori della manifattura industriale ha portato al notevole incremento delle scorte di prodotti finiti e semilavorati, stimolando gli acquisti dall’estero. Una dinamica ancor più sostenuta ha caratterizzato le importazioni di servizi, proseguendo la tendenza in atto dalla seconda metà del 2004. A fronte di un incremento tendenziale del 7,1% e del 5,9% nei primi due trimestri del 2006, nel terzo trimestre il tasso di crescita tendenziale è balzato al 12,1%, per poi attestarsi al 7,8% negli ultimi tre mesi. Graf. 30 - IMPORTAZIONI DI BENI E SERVIZI (valori a prezzi 2000, variazioni tendenziali) 15 10 5 0 -5 -10 2002 2003 2004 Importazioni di beni 2005 2006 Importazioni di servizi Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT Sulla base delle più recenti rilevazioni del commercio con l’estero, il rialzo del volume delle importazioni di beni (+2,1%) registrato nel periodo gennaio-novembre rispetto allo stesso periodo del 2005 è apparso il risultato di dinamiche settoriali eterogenee. A fronte di una sostanziale stasi degli acquisti dall’estero di prodotti dell’agricoltura, silvicoltura e pesca e di minerali energetici e non energetici, si è registrato un forte incremento delle importazioni di beni intermedi, soprattutto nel comparto dei metalli e prodotti in metallo (+12,1%), - 75 - Dinamiche per settore Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 probabilmente in conseguenza del processo di ricostituzione delle scorte e del rafforzamento della ripresa industriale. Gli acquisti di beni di consumo e di investimento hanno evidenziato un’evoluzione in parte in controtendenza rispetto alle importazioni complessive. Nel comparto dei beni di consumo, le importazioni sono state trainate, in misura più sostenuta, dall’accelerazione della componente del tessile-abbigliamento (+4,2%), del cuoio e dei prodotti in cuoio (6,9%); a ciò ha corrisposto un marcato rallentamento del volume degli acquisti all’estero di prodotti della carta (-3,2%) e di energia elettrica, acqua e gas (-23,8 per cento). Graf. 31 - INDICI DI QUANTITA' DEI BENI IMPORTATI PER PRINCIPALI RAGGRUPPAMENTI DI INDUSTRIE. (numeri indice 2000 = 100, variazioni tendenziali) 18 12 6 0 -6 -12 2002 2003 2004 Beni di consumo Beni intermedi 2005 2006 Beni di investimento Energia Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT ... e per area geografica Le importazioni di prodotti dai paesi dell’Unione Europea hanno continuato a crescere anche nello scorso anno, prolungando la tendenza in atto dalla fine del 2004. Il tasso di incremento tendenziale dei volumi nel periodo gennaio-novembre 2006 è risultato pari allo 0,9%, per effetto degli aumenti degli acquisti dalla Germania (+2,9%) e dalla Spagna (+2,1%), parzialmente controbilanciati dal forte calo di quelle dal Regno Unito (-12,1%). In riferimento allo stesso periodo, le importazioni dai paesi esterni all’Unione sono cresciute in media ad un tasso tendenziale maggiore (+3,1%), trainate dal forte balzo degli acquisti di prodotti provenienti dalla Cina (+15,2%), nonché quelle dal Giappone - 76 - Economia italiana: evoluzione recente (+8,3%) cui ha corrisposto una brusca caduta del volume dei flussi di beni provenienti dalla Russia e dagli Stati Uniti (-12,8 e –8,5%, rispettivamente). Graf. 32 - INDICI DI QUANTITA' DEI BENI IMPORTATI PER AREA GEOGRAFICA (numeri indice 2000 = 100, variazioni tendenziali) 12 8 4 0 -4 -8 2002 2003 2004 UE(25) 2005 Extra-UE(25) 2006 Mondo Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT Sulla base del deflatore di contabilità nazionale, dopo il sostenuto rialzo (+4,1%) nei primi tre mesi del 2006, i prezzi delle importazioni Graf. 33 - INDICI DI PREZZO DEI BENI IMPORTATI PER PRINCIPALI RAGGRUPPAMENTI DI INDUSTRIE (numeri indice 2000 = 100, dati destagionalizzati) 190 170 150 130 110 90 70 2002 2003 Beni di consumo 2004 Beni intermedi 2005 2006 Beni di investimento Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT - 77 - Energia Deflatore delle importazioni Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 complessive hanno evidenziato incrementi congiunturali più moderati nel secondo e nel terzo (+1,5 e +1,3%, rispettivamente), per poi registrare un arretramento dell’1,1% nell’ultimo trimestre. Su base annua, l’aumento è risultato pari al 9,1%, sostenuto dalla componente dei beni (+10,5%), a fronte di una più moderata evoluzione di quella dei servizi (+3,6%). Gli indici dei valori medi unitari, nel periodo gennaio-novembre hanno segnato un incremento tendenziale del 10,8%, in particolare per effetto degli aumenti consistenti registrati per l’energia elettrica, gas e acqua e per i metalli e prodotti in metallo (+33,2% e +30,3%, rispettivamente). Graf. 34 - INDICI DI PREZZO DEI BENI IMPORTATI PER AREA GEOGRAFICA (numeri indice 2000 = 100, dati destagionalizzati) 150 140 130 120 110 100 90 2002 2003 2004 UE(25) 2005 Extra-UE(25) 2006 Mondo Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT Con riferimento all’area geografica di provenienza, i valori medi unitari da paesi esterni all’Unione Europea, sono aumentati del 16,4% su base tendenziale. Rialzi eccezionali hanno interessato i prezzi delle importazioni dalla Russia, cui hanno essenzialmente contribuito le marcate risalite dei corsi dei prodotti energetici. L’incremento degli indici dei valori medi unitari delle nostre importazioni dai mercati dell’Unione è risultato più limitato (+6,7%); gli acquisti da Francia, Spagna e Germania hanno mostrato aumenti compresi tra il 5 e il 7 per cento, mentre quelli provenienti dal Regno Unito hanno sperimentato rialzi più robusti (+12,9 per cento). - 78 - Economia italiana: evoluzione recente MERCATO DEL LAVORO I dati della rilevazione ISTAT delle Forze di Lavoro evidenziano, nella media del 2006, una crescita sostenuta dell’occupazione (+1,9% pari a 425 mila unità in più) in sostanziale accelerazione rispetto all’anno scorso a quella già favorevole (ma influenzata dalle regolarizzazioni dei cittadini immigrati) dello scorso anno (+0,7%). Il dato si affianca ad una consistente diminuzione del tasso di disoccupazione che scende sotto la quota del 7% (6,8% nella media del 2006, contro il 7,7% della media del 2005). A differenza dei due anni precedenti, l’incremento occupazionale si è riflesso in un aumento sensibile del tasso di occupazione, che riflette anche il positivo esaurirsi degli effetti delle regolarizzazioni; queste ultime hanno inciso infatti in modo significativo nel 2005, tanto sull’occupazione quanto sulla popolazione residente in età di lavoro, comportando che, al rialzo del numero di occupati, non si accompagnasse anche un aumento del tasso di occupazione. A livello aggregato, anche i dati di Contabilità Nazionale, confermano una buona performance occupazionale complessiva mostrando, in termini di occupazione interna, una crescita pari all’1,7% e, in termini di unità di lavoro, una dinamica altrettanto favorevole (+1,6%). La performance del mercato del lavoro è il riflesso di una crescita congiunturale sostenuta soprattutto nei primi due trimestri dell’anno (rispettivamente +0,8% e +0,6% occupati in più nei dati Forze di lavoro al netto di influenze stagionali), e con una dinamica in decelerazione nel secondo trimestre (rispettivamente una stasi nel terzo, +0,2% negli ultimi tre mesi). Il tasso di occupazione relativo alla popolazione dai 15 ai 64 anni (rapporto tra occupati e popolazione relativo a questa fascia d’età) è aumentato di 1,3 punti percentuali rispetto al 2005, attestandosi a quota 58,4%. La variazione positiva ha coinvolto entrambi i sessi: per i maschi esso si è attestato al 70,5% (nove decimi di punto in più rispetto al 2005), per le femmine al 46,3% (un punto percentuale in più). Esso è inoltre cresciuto in tutte le ripartizioni territoriali con l’eccezione del Mezzogiorno per la componente maschile. Nel 2006 si è innalzato anche il tasso di attività (di quattro decimi di punto, fino a toccare quota 62,7%). Nel Mezzogiorno l’indicatore mostra, anche in questo caso, una contrazione. In questa fascia di popolazione è, di converso aumentata l’area dell’inattività. - 79 - Occupazione e disoccupazione I principali indicatori: tassi di occupazione, di attività e di disoccupazione Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Occupazione per settore e territorio Dipendenti ed autonomi e diffusione delle flessibilità Nella media del 2006, inoltre, il tasso di disoccupazione è sceso al 6,8%, nove decimi di punto in meno rispetto al 2005. Tale andamento ha avuto luogo per entrambi i sessi e in tutte le ripartizioni geografiche ed è il riflesso del pronunciato calo delle persone in cerca di occupazione (-11,4%) la cui contrazione è stata particolarmente rilevante nel Mezzogiorno (dove il tasso è stato pari al 12,2%, 1,2 decimi di punto percentuale in meno). Notevole è da considerarsi la discesa del tasso di disoccupazione giovanile (-2,4 punti percentuali in meno rispetto al 2005) fino a toccare quota 21,6 per cento. La domanda di lavoro presenta andamenti alquanto disomogenei per settore: nel 2006, la crescita occupazionale coinvolge soprattutto i servizi (+2,8% rispetto alla media del 2005. L’agricoltura ha registrato anch’essa una significativa espansione (+3,6% in termini di teste occupato mentre si registra una moderata crescita per l’industria in senso stretto (+0,4%) a fronte di una contrazione nelle costruzioni (-0,6%). Diversamente da quanto accade a livello aggregato, i dati di Contabilità Nazionale riferiti ai singoli settori evidenziano, in termini di unità di lavoro, un quadro in parte diverso dalle stime della Rilevazione delle Forze di Lavoro. Nel 2006, la crescita occupazionale delle Unità Standard nel settore dei servizi (+1,6%) e in quello dell’agricoltura (+0,6%) appaiono, in termini percentuali, meno sostenute rispetto a quanto si riscontra a livello di occupazione residente. Più rilevanti appaiono le differenze nel settore delle costruzioni e nell’industria in senso stretto: nel primo caso si osserva, per il 2006, una dinamica favorevole (+0,6%) presumibilmente in relazione a nuovi flussi di lavoratori stranieri non ancora censiti nelle Forze di lavoro; nel secondo, l’espansione in termini di unità di lavoro è più rilevante che in termini di occupati residenti, pari all’1,3%, coerentemente peraltro con l’evoluzione congiunturale in ripresa del settore. La disaggregazione territoriale indica che la crescita dell’occupazione pur presentando, nel 2006, una dinamica leggermente più favorevole nel Nord Est ha interessato tutte le aree del paese (+2,2% nel Nord Est, +1,8% nel Nord Ovest, +2,1% nel Centro e +1,6% nel Sud). Nella media del 2006, la crescita occupazionale ha coinvolto sia la componente dipendente (+2,3%), sia quella indipendente (+0,7%). La diffusione delle flessibilità continua a rappresentare una componente significativa dell’espansione della domanda di lavoro. L’incremento dell’occupazione temporanea (+9,7%, pari a 196 mila unità in più ri- - 80 - Economia italiana: evoluzione recente spetto ad un anno prima) si è riflesso in un aumento di otto decimi di punto percentuale dell’incidenza del lavoro a termine (13,1% dell’occupazione dipendente). Si osserva anche una crescita sostenuta dell’occupazione a tempo parziale (+6,4%, +137 mila unità). Le donne impiegate a part-time sono ormai più di un quarto delle occupate dipendenti (26,4%, la quota relativa). Nel corso del 2006, dopo che nei primi mesi erano entrati in vigore i contratti di importanti settori sia privati (metalmeccanico, telecomunicazioni, carta, imprese conciarie, energia e petroli, chimica, grafici, nonché, relativamente al secondo biennio, edilizia, tessile e gomma-plastica) che pubblici (ministeri, scuola, vigili del fuoco, Università e enti di ricerca nonché, per il secondo biennio economico, regioni, enti locali e enti pubblici non economici), l’attività negoziale ha portato a concludere, a giugno, i contratti delle autostrade, della sanità e delle agenzie fiscali e, a luglio, quelli delle industrie estrattive; a settembre, sono entrati in vigore i contratti, siglati anch’essi a luglio, del settore elettrico, nonché delle autorimesse e autonoleggi; a novembre, quelli dei servizi aeroportuali e, in anticipo rispetto alla scadenza, delle industrie della concia; infine, a dicembre, quello per il secondo biennio economico degli autoferrotranvieri. Per effetto dei rinnovi contrattuali intervenuti, gli accordi vigenti a dicembre 2006 regolavano il trattamento economico e normativo di 7,7 milioni di dipendenti (in calo rispetto agli 8,4 che risultavano coperti a dicembre dell’anno precedente), corrispondenti al 62,5% degli occupati dei comparti oggetto di rilevazione (68,3% a dicembre 2005) e al 59,1% del monte retributivo (69,6% un anno prima), laddove all’inizio dell’anno, per effetto dei contratti andati in scadenza a fine 2005, la quota di occupati dipendenti coperti da accordi in vigore era scesa al 40,1% (38,7% del monte retributivo). L’attesa media per il totale dei dipendenti, che si era portata a 5 mesi nel dicembre 2005 per calare a 3,5 mesi nel gennaio 2006 e si attestava su valori ancora inferiori a metà anno (nel giugno 2006 era di 2,9 mesi per l’insieme dei dipendenti), torna a 4,8 mesi a fine anno, facendo segnare una media di 12,8 mesi se computata sui soli dipendenti in attesa di rinnovo (da 8,5 mesi a dicembre 2005). A quella data il tasso di copertura era totale nei soli settori dell’edilizia e dell’agricoltura, sfiorando nell’industria in senso stretto in ogni caso il 95%, mentre risultava inferiore in altri settori dei servizi (tra il 60% e il 77%) per scendere al 2,9% nel credito-assicura- - 81 - Attività contrattuale e relazioni industriali Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Dinamica delle retribuzioni nel settore privato e pubblico zioni. Di nuovo in ritardo, con una copertura nulla per tutti i comparti, appariva infine il settore delle attività della pubblica amministrazione. Dopo essere cresciute del 3,1% nel 2005, le retribuzioni contrattuali hanno mostrato un rallentamento, attestandosi su un aumento medio del 2,8% rispetto all’anno precedente, che si colloca 0,9 punti al di sopra del tasso di inflazione registrato per il medesimo periodo. Si deve peraltro notare come la dinamica tendenziale si dimostri in ascesa, toccando nel mese di dicembre il 3,3% sul corrispondente mese dell’anno precedente. Secondo le stime dell’ISTAT la proiezione sul primo semestre del 2007, basata sull’andamento effettivo fino a fine 2006 e, per i mesi successivi, sugli effetti dei contratti attualmente in vigore, si posiziona sul 2,4%, con una ulteriore decelerazione delle dinamiche retributive, connesse a rinnovi contrattuali, nella seconda metà del 2007 per un incremento medio sull’intero anno stimato all’1,6%. Tab. 2 RETRIBUZIONI ORARIE CONTRATTUALI PER SETTORE DI ATTIVITA’ ECONOMICA (variazioni percentuali tendenziali) SETTORI DI ATTIVITA’ ECONOMICA Variazioni % tendenziali dicembre 2006 Media I° semestre 2007 su contratti vigenti a dicembre 2006 (1) Agricoltura 2,7 4,5 Industria 3,7 3,0 Industria in senso stretto 3,7 2,8 Edilizia 3,7 4,6 Servizi destinabili alla vendita 1,8 1,5 - Commercio, pubbl. esercizi, alberghi 2,0 2,0 - Trasporti, comunicazioni e attività connesse 3,0 1,8 - Credito e assicurazioni 0,2 0,1 - Servizi privati 1,4 1,4 Attività della Pubblica Amministrazione 5,0 2,5 TOTALE ECONOMIA 3,3 2,4 Fonte: ISTAT. (1) Variazioni costruite con riferimento ai valori degli indici delle retribuzioni così come acquisiti fino a dicembre 2006 e alle proiezioni per il primo semestre del 2007 sulla base degli aumenti programmati dai contratti in vigore a dicembre 2006. Variazioni tendenziali delle retribuzioni orarie superiori alla media si sono verificate nel corso del 2006 nell’industria (+3,7% a dicembre 2006, sia per l’edilizia che per l’industria in senso stretto) e soprattutto in quello della Pubblica Amministrazione che, grazie ai rinnovi intervenuti, fa segnare a dicembre 2006 un +5% tendenziale. Al di sotto della media in quello stesso mese risulta la variazione tendenziale negli altri settori, con un ritardo particolarmente consistente nel credito - 82 - Economia italiana: evoluzione recente e assicurazioni che fa segnare una variazione tendenziale dello 0,2 per cento. La dinamica delle retribuzioni lorde per unità di lavoro equivalente a tempo pieno, secondo le informazioni di contabilità nazionale, risulta in decelerazione nel 2006, facendo registrare un aumento del 2,8% in termini di media annua, mezzo punto al di sotto di quella che era stata la crescita registrata nel 2005 sull’anno precedente (+3,3%). Si tratta di un andamento che è la risultante di un incremento alquanto superiore nell’industria (+3,1%, con una punta del +5% nel ramo estrattivo) e inferiore nei servizi (+2,7%), con la sola eccezione dei trasporti, logistica e comunicazioni (+4%). Graf. 35 - RETRIBUZIONI CONTRATTUALI PRO-CAPITE (variazioni % tendenziali) 5 4,5 4 3,5 3 2,5 2 1,5 1 0,5 Totale economia Industria in senso stretto nov-06 set-06 lug-06 mag-06 mar-06 gen-06 nov-05 set-05 lug-05 mag-05 mar-05 gen-05 nov-04 set-04 lug-04 mag-04 mar-04 gen-04 0 Servizi destinabili alla vendita Fonte: ISTAT Il costo del lavoro per unità di lavoro dipendente, equivalente a tempo pieno (ULA), nel corso del 2006 è aumentato del 2,5% rispetto alla media dell’anno precedente, in virtù di una dinamica degli oneri sociali che si mantiene al di sotto di quella rilevata per le retribuzioni, (+1,8%). Prendendo in esame la variazione tendenziale, si può rilevare come nell’ultimo trimestre, rispetto al corrispondente periodo del 2005, questa subisca un deciso raffreddamento, essendo calcolata in diminuzione di circa un punto (-0,8%). Quanto all’andamento per settori dei redditi da lavoro dipendente pro-capite, l’aumento che si è registrato in generale nel 2006 rispetto al - 83 - Costo del lavoro Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 2005, calcolato al 2,5% in base ai dati di contabilità nazionale, trova riscontro in un risultato omogeneo sia dell’industria che dei servizi, mentre il settore agricolo si caratterizza per una dinamica più contenuta (+1%) che nel resto dell’economia. In termini di andamento tendenziale, l’ultimo trimestre dell’anno presenta una diminuzione sul corrispondente trimestre del 2005 a causa di un calo nei servizi del -2,3%. Quanto al valore aggiunto (a prezzi concatenati) per unità lavorativa equivalente a tempo pieno, nel 2006 si è registrato un aumento di +0,3% sull’anno precedente, risultante da un aumento dell’1,5% nell’industria (in accelerazione rispetto all’anno precedente) e da una stabilità dei servizi, mentre l’agricoltura fa segnare un calo del -3,8%. Emerge tuttavia un’accelerazione della dinamica tendenziale nell’ultimo trimestre del 2006 (+1,3% sull’ultimo trimestre del 2005), che trova riscontro sia nell’industria (+2,9%) che nei servizi (+0,9%), laddove in agricoltura si accentua ulteriormente il calo tendenziale (-4,8%). Tab. 3 COSTO DEL LAVORO PER UNITÀ DI PRODOTTO * (variazioni % trimestrali) ATTIVITA' ECONOMICHE Variazione % su trimestre corrispondente anno precedente Variazione % congiunturale su trimestre precedente II 2006 / II 2005 III 2006 / III 2005 IV 2006 / IV 2005 II 2006 / I 2006 III 2006 / II 2006 IV 2006 / III 2006 Agricoltura, silvicoltura e pesca 3,4 10,3 7,5 4,5 0,9 -1,7 Industria 1,8 1,5 -0,6 0,2 -0,5 -1,1 - industria in senso stretto 3,0 1,5 -1,4 0,4 -0,1 -2,2 - costruzioni -2,1 2,1 3,0 -0,5 -1,9 2,7 Servizi 6,0 4,2 -3,1 2,6 -1,7 -2,1 Totale 4,7 3,5 -2,1 2,0 -1,3 -1,8 Fonte: elaborazioni su dati ISTAT. * Calcolato come rapporto tra redditi da lavoro dipendente per unità di lavoro dipendente e valore aggiunto a prezzi concatenati per unità di lavoro totale. Il costo del lavoro per unità di prodotto1 per l’intera economia fa registrare nel 2006 un aumento del 2,2% rispetto al 2005, nonostante la dinamica contenuta delle retribuzioni pro-capite, per effetto della sostanziale stagnazione del valore aggiunto pro capite. L’andamento tendenziale nell’ultimo trimestre del 2006 rispetto allo stesso periodo dell’anno prima fa segnare tuttavia una significativa decelerazione in 1 Il costo del lavoro per unità di prodotto è calcolato sui dati ISTAT di contabilità nazionale come rapporto fra redditi da lavoro dipendente pro capite e valore aggiunto per unità lavorativa a prezzi base costanti - 84 - Economia italiana: evoluzione recente cui si coglie l’effetto della ripresa di un trend crescente del valore aggiunto pro-capite (+1,3% sull’ultimo trimestre 2005) che si manifesta in concomitanza con un calo tendenziale delle retribuzioni pro-capite. Rispetto a questo fenomeno si deve tuttavia notare come possa risalire alla circostanza specifica che nel trimestre di riferimento (l’ultimo del 2005) si era verificata l’erogazione di benefici contrattuali in settori nei quali si era accumulato un forte ritardo nei tempi dei rinnovi (in particolare nella pubblica amministrazione). - 85 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Un confronto preliminare sull’andamento della produttività settoriale nell’area euro e in Italia nel periodo 1970-2004 Il 15 marzo scorso è stata diffusa la banca dati del progetto, finanziato dalla Commisione Europea, EU KLEMS Growth and Productivity Accounts. L’obiettivo perseguito dal consorzio di 18 istituti di ricerca, tra cui l’ISAE1, è stato quello di costruire un dataset su base omogenea per analizzare crescita e produttività dei paesi dell’Unione Europea, Stati Uniti e Giappone. La banca dati si caratterizza per un elevato dettaglio settoriale e per un’attenta ricostruzione degli input di produzione, in primo luogo, capitale2 e lavoro3; essa rappresenta quindi un importante passo avanti per le analisi comparate delle performance di sviluppo dei differenti paesi nei diversi settori. In questo riquadro, si fornisce una prima descrizione degli andamenti che emergono dai nuovi dati disponibili. L’attenzione viene focalizzata sull’evoluzione della produttività del lavoro, intesa come rapporto tra valore aggiunto per ora lavorata, per i quattro maggiori paesi europei, per l’insieme dei paesi che adottano l’euro, e per gli Stati Uniti. Oltre alla dinamica dell’intera economia, vengono mostrati alcuni dettagli settoriali. Per quanto riguarda il complesso dell’economia i dati EU KLEMS confermano, in generale, quanto già conosciuto4: tra il 1970 e il 1995 la dinamica della produttività dei maggiori paesi europei e quella dell’area euro nel suo complesso è risultata maggiore di quella degli Stati Uniti: in tale periodo, il valore aggiunto per occupato nell’intera economia è passato dal 75 a poco meno del 100% di quello statunitense. In questo stesso arco di tempo, la crescita della produttività del lavoro italiana è stata sostanzialmente in linea con la media degli altri paesi dell’area. Dal 1995 queste evoluzioni subiscono un cambiamento. In concomitanza con la diffusione su larga scala delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), si assiste a una accelerazione del valore aggiunto per addetto negli Stati Uniti e, contemporaneamente, a una decelerazione in Europa. Sebbene in tale periodo tutti i paesi europei abbiano sperimentato una crescita inferiore a quella degli Stati Uniti, emerge tra di essi una chiara dicotomia: mentre Francia e Germania continuano a registrare, pur decelerando, tassi di variazione superiori all’1%, Italia e Spagna scendono al di sotto di tale soglia e fanno registrare variazioni nulle o prossime a zero, la prima nel periodo 2000-2004 e la seconda nel periodo 1995-2000. Tali andamenti si accompagnano a incrementi considerevoli di ore lavorate in Spagna e Italia, e molto contenuti o addirittura negativi in Francia e Germania, unitamente a una dinamica della Produttività Totale dei Fattori (PTF) che mostra variazioni opposte a quelle delle ore lavorate: negativa in Italia e, soprattutto, in Spagna, in decelerazione, ma comunque positiva in Francia e Germania. 1 Maggiori informazioni sul progetto, sui partecipanti, e sulla banca dati possono essere reperite all’indirizzo www.euklems.net. 2 Il capitale viene distinto tra capitale la cui natura è relativa alle tecnologie dell’informazione e comunicazione (TIC), e capitale che non lo è (non-TIC). 3 Il lavoro viene distinto per i diversi gradi di qualifica. 4 Per una precedente analisi comparata sulle performance economiche dei paesi considerati, basata sui dati del Total Economy Database del Groningen Growth and Development Centre si veda “Crescita e struttura produttiva dell’Italia: un confronto con i principali paesi industriali”, Rapporto ISAE febbraio 2005. - 86 - Economia italiana: evoluzione recente TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO (percentuale) TOTALE ECONOMIA 1970-1980 1980-1990 1990-1995 1995-2000 2000-2004 Italia 3,0 2,0 2,4 1,0 0,0 Germania 3,6 2,3 2,6 2,0 1,4 Francia 4,0 3,1 1,9 2,0 1,4 Spagna 3,5 2,6 2,4 0,1 0,4 Area euro 2,7 2,2 2,2 1,5 1,0 Stati Uniti SIC 1,5 1,2 1,2 2,1 2,8 Passando all’esame della produttività del lavoro per i singoli settori, in generale si conferma il divario tra Italia e Spagna, da un lato, e Francia e Germania, dall’altro, con qualche eccezione. Per il settore manifatturiero, che per l’Italia, nei dati EU KLEMS, conta ancora per circa il 20% del valore aggiunto totale, per la Germania più del 22%, mentre per i restanti paesi qui considerati e l’area euro intorno al 15%, emerge immediatamente come il deterioramento della produttività italiana sia stato progressivo facendo registrare una crescita media negativa nel periodo 200020004 dello 0,8%. La Spagna, dopo la caduta avuta nella seconda metà degli anni ’90, ha recuperato nei primi anni del 2000, collocandosi poco al di sotto della media dell’Area euro. Positive invece sono apparse le performance per Francia e Germania. Quest’ultima in particolare ha messo a segno incrementi di produttività manifatturiera che non sono stati molto lontani da quelli statunitensi, in particolare nell’ultimo quadriennio considerato. TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO (percentuale) MANIFATTURA 1970-1980 1980-1990 1990-1995 1995-2000 2000-2004 Italia 4,9 3,2 3,8 0,5 -0,8 Germania 4,1 2,8 3,0 2,9 2,4 Francia 4,8 3,4 4,8 4,7 3,1 Spagna 4,2 3,9 3,0 -0,4 1,6 Area euro 4,2 3,2 3,6 2,7 1,9 Stati Uniti SIC 2,5 3,2 3,3 6,6 3,6 Al contrario di quanto accaduto negli altri settori, in quello delle Public Utilities la dinamica della produttività europea è stata, secondo i dati EU KLEMS, superiore a quella degli Stati Uniti per tutto il periodo osservato, con incrementi per l’Italia addirittura superiori a quelli degli altri paesi considerati nel corso degli ultimi quattro anni. Da una prima analisi sembra possibile sostenere che, tale performance nel quadriennio 2000-04 si è realizzata grazie, da un lato, all’aumento del valore aggiunto e alla contemporanea riduzione delle ore lavorate, dall’altro ad una positiva dinamica della PTF. E’ da precisare che questa favorevole evidenza non implica, di per sé, che i guadagni di efficienza che si è riusciti a conseguire siano stati, sempre e in ogni caso, trasferiti sui consumatori. Infatti, utilizzando sempre la banca dati EU-KLEMS, è possibile vedere che a fronte di un aumento di produttività del lavoro e riduzione della retribuzione complessiva, in tale periodo il deflatore del valore aggiunto di questo settore mostra per l’Italia variazioni più accentuate che per i restanti paesi. - 87 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO (percentuale) PUBLIC UTILITIES 1970-1980 1980-1990 1990-1995 1995-2000 2000-2004 Italia 0,5 0,9 3,1 1,7 6,7 Germania 3,9 2,0 4,0 8,6 2,5 Francia 5,7 5,2 2,7 5,2 6,3 Spagna 6,2 6,6 0,6 7,0 5,9 Area euro 4,0 3,1 3,2 5,7 4,7 Stati Uniti SIC 0,5 0,9 3,1 1,7 6,7 Nel commercio, sia al dettaglio sia all’ingrosso, il divario tra gli Stati Uniti e i maggiori paesi europei torna a essere evidente e non limitato agli ultimi due sottoperiodi. Tra il 1970 e il 2004 solo la Francia nei periodi 1980-’90 e 1990-’95 e l’Italia nel periodo 1990-’95 hanno avuto una crescita della produttività del lavoro in tali settori superiore agli Stati Uniti. La differenza così evidente, soprattutto nel periodo 2000-’04 può essere motivata sia dalla maggiore capacità di utilizzo delle nuove tecnologie, sia dalle differenze normative e culturali (ampia diffusione negli Stati Uniti dei Big Box retailers che possono contare su un uso molto flessibile della manodopera) che hanno reso più produttivi tali settori oltre oceano5. TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO (percentuale) COMMERCIO AL DETTAGLIO E ALL’INGROSSO 1970-1980 1980-1990 1990-1995 1995-2000 2000-2004 Italia 2,5 1,1 3,1 1,0 -1,1 Germania 3,4 2,3 1,7 2,4 1,6 Francia 3,3 4,9 3,2 2,3 0,2 Spagna 1,2 0,5 2,8 1,0 -1,3 Area euro 2,8 2,2 1,7 1,9 0,4 Stati Uniti SIC 3,4 2,8 2,8 3,7 6,8 Nei trasporti e comunicazioni la performance superiore degli Stati Uniti è evidente solo nell’ultimo periodo, mentre tra il 1980 e il 2000 i maggiori paesi europei e l’area euro nel suo complesso hanno realizzato incrementi di produttività sistematicamente superiori. Tab. 5 TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO (percentuale) TRASPORTI E COMUNICAZIONI 1970-1980 1980-1990 1990-1995 1995-2000 2000-2004 Italia 2.8 2.3 4.6 3.5 2.0 Germania 3.2 2.8 6.4 4.7 4.9 Francia 5.5 4.0 1.7 4.5 2.7 Spagna 6.2 4.4 3.0 2.3 1.1 Area euro 3.6 3.3 3.9 4.0 2.9 Stati Uniti SIC 4.0 1.5 1.4 0.6 6.0 5 Cfr. nota 4. - 88 - Economia italiana: evoluzione recente Nell’intermediazione finanziaria il primato degli Stati Uniti è evidente in tutto il periodo osservato con rare eccezioni: la Germania nei primi dieci anni osservati e la Spagna tra il 1980 e il 1990. In questo settore la Spagna non è più, insieme all’Italia, tra i peggiori quattro paesi dell’area euro, ma tra i migliori due nell’arco di tempo 1995-’04, e addirittura il migliore assoluto negli ultimi quattro anni. TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO (percentuale) INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 1970-1980 1980-1990 1990-1995 1995-2000 2000-2004 Italia -3.9 -1.3 1.2 1.6 0.5 Germania 3.5 1.6 1.7 1.5 -0.6 Francia 1.2 2.4 -0.3 3.9 1.0 Spagna 0.4 3.7 -4.0 1.7 3.4 Area euro 1.1 1.6 0.7 2.6 1.3 Stati Uniti SIC 2.3 2.3 3.6 4.6 5.5 L’ultimo settore analizzato è quello della pubblica amministrazione. In realtà sono note, in questo caso, le difficoltà di computo del valore aggiunto della PA: esso è calcolato sulle base delle retribuzioni, talché aumenti di produttività potrebbero riflettere aumenti retributivi più che effettivi guadagni di efficienza. Inoltre tra paesi esistono differenze nel metodo di calcolo del valore aggiunto che non rendono direttamente comparabili i risultati. Tali differenze non sono presenti tra i paesi europei, ma lo sono tra questi e gli Stati Uniti6. La dinamica della produttività italiana che è sistematicamente migliore di quella statunitense dal 1980 in poi, e di quella della media dell’area euro dal 1990, e, infine, di tutti i singoli paesi considerati dal 1995 in poi, fa sorgere il sospetto che ciò sia dovuto, appunto, ad una dinamica delle retribuzioni italiane più elevata rispetto agli altri paesi. È altresì da notare che parte dell’avanzamento della produttività del lavoro è da attribuirsi alla riduzione, a partire dal periodo 1990-’95 del totale delle ore lavorate nella pubblica amministrazione, ma questo fenomeno ha interessato anche la Germania, a partire dal 1980, e la Francia nel periodo più recente. TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO (percentuale) PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 1970-1980 1980-1990 1990-1995 1995-2000 2000-2004 Italia -0.7 1.0 1.9 2.1 3.2 Germania 3.8 2.6 3.2 1.6 1.1 Francia 1.9 1.3 1.0 1.6 2.1 Spagna -1.6 -1.2 0.4 1.1 1.2 Area euro 1.6 1.3 1.7 1.5 1.5 Stati Uniti SIC 1.7 0.7 0.9 1.0 1.0 6 Si veda il documento metodologico del progetto EU KLEMS disponibile sul sito del progetto. - 89 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 PREZZI Confronto con i paesi dell’area dell’euro Lo scorso anno il positivo andamento della crescita reale si è associato ad una dinamica dell’inflazione nel complesso moderata e rimasta sotto controllo nonostante lo scenario di forti tensioni sui prezzi internazionali dei prodotti energetici. Nella media del 2006 l’indice Graf. 36 - INFLAZIONE AL CONSUMO (indice nazionale per l'intera collettività; nazionale dei prezzi al consuvariazioni percentuali) mo per l’intera collettività è 3,5 su tre mesi annualizzate; dati aumentato del 2,1%, solo due destagionalizzati decimi in più rispetto al risul3,0 su dodici mesi tato del 2005. La crescita su base annua ha oscillato nei pri2,5 mi tre trimestri su ritmi appena superiori al 2%; dalla fine 2,0 dell’estate, grazie soprattutto alla significativa correzione al 1,5 ribasso delle quotazioni del petrolio, ma anche per alcuni 1,0 fattori interni di natura contin2003 2004 2005 2006 2007 gente, le pressioni sui prezzi si Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT. sono allentate e il tasso tendenziale si è portato al di sotto di tale valore (1,8% nel quarto trimestre). Per il secondo anno consecutivo, inoltre, l’inflazione italiana si è perfettamente allineata a quella dell’area dell’euro (2,2% la crescita annua in base all’indice armonizzato, come per la media dei paesi aderenti all’UEM). Da settembre, tuttavia, in corrispondenza del riassorbimento dello shock petrolifero, il differenziale inflazionistico è tornato marginalmente a nostro sfavore, principalmente a causa dei più lunghi tempi di risposta del nostro sistema alle variazioni dei costi energetici internazionali. Le spinte sui prezzi generate all’interno hanno continuato nel complesso ad essere contenute e l’indicatore delle tendenze di fondo non ha segnato modifiche sostanziali, oscillando intorno all’1,7% anche nel secondo semestre dell’anno. Il favorevole andamento della core inflation è stato supportato da una ancora scarsa traslazione, nel passaggio dalle fasi della produzione alla prima distribuzione, degli alti costi energetici gravanti sulla strut- - 90 - Economia italiana: evoluzione recente tura produttiva. Procedendo lungo la catena dell’offerta, i segni della trasmissione dei rincari, sia quelli più recenti sia quelli passati, sono stati ancora, nell’ultimo scorcio del 2006, relativamente contenuti. E’ vero che nella media Graf. 37 - DIFFERENZIALE D'INFLAZIONE ITALIA - AREA EURO (*) dell’anno i prezzi dei prodotti (punti percentuali) industriali hanno registrato 1,5 una crescita del 5,6%, più elevata di oltre un punto e mezzo 1,0 rispetto al risultato del 2005, ma gran parte di essa è impu- 0,5 tabile alle voci legate all’energia. L’inflazione alla 0,0 produzione ha, infatti, scontato principalmente l’appesanti- -0,5 mento delle condizioni di totale core inflation approvvigionamento degli -1,0 input intermedi esteri. La di2003 2004 2005 2006 2007 namica complessiva dei listini Fonte:elaborazioni ISAE su dati EUROSTAT. industriali, in forte accelera- (*) Italia esclusa. zione nel primo semestre dell’anno quando era salita di oltre due punti percentuali (7% in luglio la crescita annua), ha segnato una frenata repentina nell’ultimo trimestre del 2006 (attestandosi intorno al 5%) proprio per effetto dell’allentamento nei corsi internazionali del petrolio e delle altre materie prime. Le pressioni esercitate dalla componente energetica, dirette ed evidenti sui prezzi dei prodotti intermedi, si sono smorzate di intensità avanzando lungo le fasi del processo di commercializzazione. Nel settore dei beni destinati al consumo finale, dopo l’accelerazione della prima parte dell’anno (dall’1% di gennaio al 2% di luglio), l’inflazione ha oscillato intorno al 2%, chiudendo il 2006 con una crescita media dell’1,7% (0,6% nel 2005). Più in dettaglio, se per il raggruppamento dei beni non durevoli l’incremento dei prezzi si è fermato a ridosso del 2%, per quelli durevoli i ritmi di crescita sono risultati ben più sostenuti (+2,5% a fine anno), evidenziando anche una accelerazione più intensa rispetto a quanto sperimentato in occasione della precedente fase di rialzo dei costi energetici. All’inizio del 2007, gli aggiornamenti dei listini di gran parte dei prodotti destinati al consumo, durevoli e non, sono risultati più consistenti rispetto al consueto profilo stagionale, fa- - 91 - Prezzi alla produzione Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Costi e margini Inflazione al consumo cendo registrare una risalita della inflazione nel settore nel suo insieme al 2,3%. A fronte dell’ulteriore decelerazione per i prezzi dei prodotti energetici e intermedi, tale tendenza potrebbe riflettere una intensificazione della traslazione dei precedenti rincari sopportati dalle imprese industriali. Nel 2006, infatti, i produttori Graf. 38 - PREZZI ALLA PRODUZIONE (variazioni percentuali annue) non sembrano aver trasferito 25 3 sui prezzi dell’output gli au20 menti dei costi non salariali 15 degli ultimi due anni, prefe2 rendo parzialmente assor-birli 10 attraverso più bassi margini di 5 1 profitto, in attesa di un irrobu0 stimento più solido della do-5 manda. I dati di Contabilità 0 -10 Nazionale, relativi all’indu2003 2004 2005 2006 2007 stria in senso stretto, docubeni intermedi (scala destra) energia (scala destra) mentano che lo scorso anno i beni di consumo non durevoli rincari degli input intermedi beni di consumo durevoli Fonte: ISTAT. sono stati solo in parte frenati da un andamento ancora relativamente moderato del costo del lavoro per unità di prodotto, ma anch’esso in ripresa nell’intera economia come effetto di una dinamica salariale più elevata rispetto a quella della produttività. L’aumento dei costi totali è così risultato per gran parte dell’anno superiore alla crescita dei prezzi dell’output del settore, delineando una situazione di contenimento dei margini di profitto unitari. Solo verso la fine del 2006, l’allentamento della pressione sui costi degli input acquistati all’estero ha consentito di arrestarne l’erosione. L’argine costituito dalla prudente politica di fissazione dei listini alla produzione ha permesso che a livello di distribuzione finale l’inflazione non abbia subito forti accelerazioni nonostante le pressioni inflazionistiche di origine esterna, con un profilo sostanzialmente piatto per gran parte del 2006, ed abbia segnato un rallentamento nell’ultimo scorcio dell’anno. Il cambiamento della tendenza è stato determinato essenzialmente dalla discesa delle quotazioni del petrolio, e dei corrispondenti prezzi alla produzione, che hanno portato ad un rapido rientro dei listini dei prodotti energetici non regolamentati e a un - 92 - Economia italiana: evoluzione recente rallentamento della dinamica per quelli controllati. Il contributo dell’intero raggruppamento alla crescita complessiva dell’inflazione si è fortemente ridotto nell’ultimo trimestre dello scorso anno, risultando limitato a due decimi di punto (7 decimi in media nei precedenti nove mesi). L’altro elemento che ha permesso la discesa dell’inflazione è individuabile nella netta decelerazione della dinamica di crescita dei prezzi dei beni non alimentari e non energetici, scesa allo 0,3% nell’ultimo trimestre del 2006. Tale risultato è stato peraltro principalmente determinato dalla riduzione del prezzo dei farmaci decisa dall’Agenzia del Farmaco, in ottemperanza a disposizioni legislative relative al contenimento della spesa farmaceutica. Al netto di questa voce, la crescita del raggruppamento dei beni è infatti rimasta su ritmi di poco superiori all’1%, come nei trimestri precedenti. E’ bene ricordare che un ruolo fondamentale nel mantenere una inflazione così contenuta nei beni non alimentari e non energetici è svolto dai prodotti relativi all’elettronica di consumo, i cui prezzi, in riduzione da ormai dieci anni, sono diminuiti nel 2006 del 10% circa. Qualche spunto di ripresa hanno cominciato a segnalare i prezzi dei beni di largo consumo e quelli relativi all’abbigliamento e calzature. I beni alimentari e i serviGraf. 39 - INFLAZIONE AL CONSUMO E PRINCIPALI COMPONENTI DI FONDO zi hanno concorso a sostenere (variazioni percentuali annue) l’inflazione, anche se le spinte 4 provenienti dai secondi sono risultate più moderate rispetto 3 al passato. L’accelerazione dei prezzi degli alimentari è stata significativa per tutto il 2006 e 2 il loro contributo alla crescita complessiva dell’indice è rad- 1 doppiato tra inizio e fine anno (da 0,3 a 0,6 punti percentua- 0 2003 2004 2005 2006 2007 li). Per quanto riguarda i prezservizi zi dei servizi privati, nel beni non alimentari escl. energetici totale secondo semestre si sono alternati episodi di rallentamen- Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT. to a fasi di accelerazione, in relazione soprattutto alla maggiore dinamicità nei comparti del tempo libero e del turismo; per la componente sottoposta a controllo pubblico, - 93 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 accanto alla moderazione di quelle nazionali, si è osservata una attenuazione dell’inflazione relativa alle tariffe locali, con un tasso sceso dal 4% dei primi mesi dell’anno al 3% circa dell’ultimo trimestre. Tab. 4 PREZZI AL CONSUMO PER L'INTERA COLLETTIVITÀ (variazioni percentuali annue) 2005 Componenti Pesi (1) Beni e servizi a prezzo controllato (2) 16,08 3,0 4,92 2,6 IV Anno 2006 Anno I II III IV 2,1 3,1 3,1 3,0 1,8 2,7 0,7 2,0 1,7 0,5 -2,5 0,4 di cui: Beni di cui: Tariffe Energia 2,56 9,9 6,3 9,5 10,8 12,7 10,1 10,7 Comunicazioni 2,57 -0,5 -0,2 -0,6 -0,5 -0,1 0,1 -0,3 Trasporti 1,63 2,5 2,1 3,1 3,2 2,7 2,9 3,0 83,92 2,0 1,9 2,0 2,0 1,9 1,8 2,0 Affitti 2,63 2,1 2,3 2,4 2,3 2,4 2,7 2,5 Assicurazioni 1,18 2,5 1,7 2,6 2,4 2,1 2,0 2,3 Servizi bancari 0,67 8,7 8,3 4,1 1,5 1,1 0,9 1,9 100,00 2,2 1,9 2,1 2,2 2,2 1,8 2,1 Beni e servizi liberi di cui: Indice generale Fonte: elaborazioni ISAE su dati ISTAT. (1) peso percentuale riferito al dicembre 2005. (2) per i medicinali si considera l'intero aggregato ISTAT che comprende anche i prodotti della fascia "C" a prezzo libero - 94 - Economia italiana: evoluzione recente FINANZA PUBBLICA Il 2006 si è chiuso con conti pubblici sensibilmente più favorevoli di quanto atteso in corso d’anno. L’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche si è attestato al 4,4% del PIL ma, escludendo alcune poste di uscita di natura straordinaria, il deficit si è ridotto notevolmente, collocandosi al 2,4% del prodotto dopo il 4,1% registrato nel 2005. In presenza di una stabilizzazione della spesa in percentuale del PIL, il miglioramento è scaturito da un andamento molto favorevole delle entrate, la cui stima è stata più volte rivista al rialzo. L’assai rilevante espansione delle entrate è ascrivibile a fattori di natura congiunturale, temporanea e strutturale. I conti, infatti, hanno beneficiato, in particolare, della ripresa economica in atto, di realizzazioni di gettito superiori alle attese per alcune imposte una tantum previste dalla legge finanziaria per il 2006, di una attività incisiva di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale, degli interventi di incremento permanente di incassi disposti con la manovra di bilancio. Così come importante è risultata l’azione di controllo e contenimento delle spese. Gli oneri di carattere straordinario (pari a 29.666 milioni di euro, registrati nel conto della P.A. tra le altre uscite in conto capitale) che hanno appesantito di due punti percentuali il disavanzo riguardano: per circa 16 miliardi, i rimborsi dell’IVA sulle auto aziendali dovuti in seguito alla sentenza del 14 settembre 2006 della Corte di giustizia europea, che ha dichiarato incompatibili con l’ordinamento dell’Unione Europea le disposizioni sui limiti della detraibilità dell’IVA; per circa 13 miliardi, la cancellazione dei crediti dello Stato nei confronti della società TAV per il finanziamento dell’Alta Velocità, in conseguenza dell’accollo diretto del debito di Infrastrutture Spa; per oltre 700 milioni, operazioni relative ai crediti di contributi sociali del settore agricolo. Il rapporto debito/PIL si è attestato al 106,8%, risultando ancora in crescita rispetto al 106,2% del 2005. Considerando la scomposizione per sottosettori, è da evidenziare che l’incidenza sul PIL del debito delle Ammnistrazioni Centrali è diminuita dal 99,9% al 99,4% mentre quella relativa alle Amministrazioni Locali è aumentata dal 6,3% al 7,3%. Oltre al fabbisogno delle Amministrazioni Pubbliche (attestatosi a 54,7 miliardi di euro), vari fattori hanno determinato la variazione del - 95 - Deficit e debito nel 2006 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Evoluzione del fabbisogno del Settore Statale e delle A.P. nel 2006 Obiettivi programmatici per il 2006 debito: l’emissione di titoli sotto la pari con un aggravio di circa 2,3 miliardi, l’apprezzamento dell’euro che ha ridotto il valore delle passività denominate in valuta estera di oltre 800 milioni e, soprattutto, l’aumento delle attività detenute dal Tesoro presso la Banca d’Italia per 8,2 miliardi euro. Quest’ultimo deriva dalla volontà dal Governo di costituire una scorta di liquidità con cui poter fronteggiare nel 2007 i rimborsi IVA dovuti alla sentenza della Corte di giustizia europea. Il fabbisogno del Settore Statale nel 2006 è risultato pari a 34,6 miliardi di euro, il 2,3% del PIL, a fronte dei 60 miliardi registrati l’anno precedente (4,2% del PIL), evidenziando peraltro un livello ben inferiore alla stima di 47,7 miliardi indicata nella Relazione previsionale e programmatica del settembre scorso. Il notevole avanzo realizzato a dicembre (21,3 miliardi, due in meno rispetto all’ultimo mese del 2005), nonostante il verificarsi di vari elementi peggiorativi (il venir meno degli introiti di fine 2005 derivanti dall’operazione di cartolarizzazione dei crediti dell’INPS e dalla vendita di Patrimonio1, l’erogazione di risorse arretrate alle Regioni per il finanziamento della spesa sanitaria), ha consentito di mantenere il divario rispetto al 2005 sui valori molto elevati manifestatisi a partire dal settembre scorso. Il fabbisogno cumulato delle Amministrazioni Pubbliche - rilevante per il calcolo del rapporto debito/PIL - ha mostrato dallo scorso giugno valori inferiori rispetto all’anno precedente e si è poi attestato, come ricordato, a 54,7 miliardi, pari al 3,7% del PIL (contro i 74,6 miliardi del 2005, il 5,2% del PIL). E’ dunque aumentato il divario tra fabbisogno e indebitamento, passato da 1,1 a 1,3 punti percentuali di PIL. Gli obiettivi di finanza pubblica per il 2006 sono stati indicati, con modifiche, nei vari documenti ufficiali. I cambiamenti sono derivati, essenzialmente, da revisioni delle previsioni di crescita del PIL e di alcune entrate, dalla considerazione degli effetti della sentenza della Corte di Giustizia europea emessa il 14 settembre 2006 e relativa alla detraibilità dell’IVA riguardante le spese per gli autoveicoli aziendali, nonché dalla disposizione di assunzione a carico del bilancio dello Stato del debito per l’Alta Velocità. Nel luglio del 2005, il Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) per gli anni 2006-2009, scontando una crescita reale del PIL dell’1,5%, poneva un obiettivo per l’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche pari al 3,8% del prodotto. Nel settem- - 96 - Economia italiana: evoluzione recente bre successivo, la Relazione previsionale e programmatica (RPP) e la Nota di aggiornamento del DPEF confermavano tali obiettivi. A dicembre del 2005, al fine di raggiungere quanto concordato a livello europeo, veniva approvata una correzione netta dei conti pubblici di oltre 20 miliardi, pari all’1,4% del PIL, che a misure di contenimento del deficit di circa 27,9 miliardi affiancava provvedimenti per favorire lo sviluppo di 7,6 miliardi. Tale intervento rispondeva a due necessità. In primo luogo, quella di rispettare quanto richiesto in sede Ecofin nel luglio precedente, cioè una correzione del disavanzo - al netto della componente ciclica e delle misure una tantum - non inferiore all’1,6% del PIL nel biennio 2006-07. In secondo luogo, si prospettava la necessità di compensare i minori incassi rispetto a quanto atteso in precedenza derivanti dall’attività di dismissione immobiliare. L’obiettivo di indebitamento era quindi posto al 3,5% nell’Aggiornamento del Programma di stabilità. Tab. 5 DOCUMENTI UFFICIALI: STIME E OBIETTIVI PER LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE E PIL DEL 2006 AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE 2006 (miliardi di euro) Stime tendenziali Indebit. netto Avanzo Primario Obiettivi Indebit. netto Avanzo Primario DPEF 2006-2009 (luglio 2005) - - - - (in % del PIL) - - 3,8 0,9 RPP 2006 e Nota agg. DPEF 2006-2009 (settembre 2005) - - 54,7 13,1 (in % del PIL) - - 3,8 0,9 Agg. Programma stabilità (dicembre 2005) (in % del PIL) - - - - - 3,5 1,3 RTC (aprile 2006) 56,4 9,4 - - (in % del PIL) 3,8 0,6 - - DPEF 2007-2011 (luglio 2006) 59,3 7,8 - - (in % del PIL) 4,0 0,5 - - RPP 2007 e Nota agg. DPEF 2007-2011 (settembre 2006) - - 71,1 -4,0 (in % del PIL) - - 4,8 -0,3 Agg. Programma stabilità (dicembre 2006) - - - - (in % del PIL) - - 4,8 0,0 - 97 - PIL 2006 Crescita reale Prezzi correnti (miliardi di euro) 1,5 1.409,0 1,5 1.435,4 1,5 - 1,3 1.464,0 1,5 1.466,8 1,5 1.468,6 1,6 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Nell’aprile del 2006, in occasione della presentazione della Relazione trimestrale di cassa, in seguito all’acquisizione dei dati di consuntivo dell’anno precedente, alla presa d’atto delle revisioni e riclassifcazioni operate dall’ISTAT e alla modifica al ribasso - all’1,3% - della crescita, la stima del disavanzo veniva ricollocata al 3,8% del PIL. Nel mese successivo, la Commissione incaricata dal nuovo Governo di valutare la situazione dei conti pubblici indicava un deficit in risalita al 4,1% con possibilità di raggiungere il 4,6%. Tali indicazioni inducevno il Governo a varare dei provvedimenti aggiuntivi che implicavano una correzione netta di un decimo di punto percentuale di PIL. Con le maggiori entrate attese dagli interventi antielusivi e antievasivi disposti si intendevano coprire le maggiori spese dovute al finanziamento inderogabile di opere pubbliche, stradali e ferroviarie, ed anche compensare la mancanza di gettito derivante dalla contestuale abrogazione delle norme sulla programmazione fiscale emanate dal precedente Governo. Così, nel luglio 2006, il DPEF per il periodo 2007-11 riportava la crescita economica all’1,5% e prospettava un indebitamento netto al 4% del PIL. Nel settembre successivo, inoltre, nella nuova RPP e nella Nota di aggiornamento del DPEF, il disavanzo veniva ampiamente rivisto al rialzo - al 4,8% del PIL - a causa della contabilizzazione degli effetti della citata sentenza della Corte di giustizia europea in materia di IVA. Tuttavia, al netto di tale impatto (stimato nell’1,2% del PIL) e scontando la notevole espansione delle entrate fiscali oltre a una crescita del PIL portata all’1,6%, si riteneva che il deficit potesse scendere al 3,6% del PIL. L’Aggiornamento del Programma di stabilità indirizzato alla Commissione Europea nel dicembre scorso cofermava quanto evidenziato nei documenti ufficiali del settembre precedente. Infine, le disposizioni della legge finanziaria per il 2007 - riguardanti l’assunzione a carico del bilancio dello Stato degli oneri per capitale e interessi dei debiti contratti da Infrastrutture Spa ai fini del finanziamento degli investimenti per la realizzazione del sistema dell’Alta Velocità - comportavano un aggravio dell’indebitamento netto del 2006 di 12.950 milioni (pari allo 0,9% del PIL). Ciò, secondo la documentaione ufficiale, avrebbe implicato un rialzo della stima del disavanzo al 5,7% del prodotto. Né il debito né il fabbisogno avrebbero invece risentito della operazione, essendo già stato incorporato tale effetto nel biennio 2004-05, come conseguenza di quanto disposto dall’Eurostat nella decisione del 23 maggio 2005, in cui aveva ritenuto che il debito - 98 - Economia italiana: evoluzione recente contratto da Infrastrutture Spa per il finanziamento dell’Alta Velocità dovesse essere riclassificato come debito della P.A.. Graf. 40 - SALDI E INTERESSI PASSIVI DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE (milioni di euro) 100000 75000 50000 25000 0 -25000 -50000 2004 2005 Indebitamento netto 2006 2007* Disavanzo primario 2008* Interessi passivi Fonte: ISTAT. *Previsioni ISAE, 2008 tendenziale. L’avanzo primario della P.A., al netto degli oneri straordinari di uscita, è tornato sui livelli di cinque anni fa: è infatti notevolmente cresciuto, portandosi al 2,2% del PIL (0,2% comprese le poste straordinarie) dal precedente 0,4%. Il miglioramento di 1,8 punti percentuali di PIL rispetto al 2005 ha riflesso in massima parte l’incremento della quota del complesso delle entrate (+1,7 punti), cui si è affiancata una riduzione di un decimo di punto delle spese primarie. L’onere per il servizio del debito, dopo un triennio di riduzioni, è tornato a crescere sia in valore assoluto (+5,2%) che in percentuale del PIL, con un rialzo dal 4,5% al 4,6% del prodotto. Sull’aumento degli interessi passivi hanno influito le minori operazioni di swap effettuate, il cui importo è stato pari a 563 milioni nel 2006, a fronte di un ammontare di 2.387 milioni nel 2005. Il saldo di natura corrente - negativo dal 2003 - è tornato in consistente attivo, all’1,3% del PIL dopo il precedente -0,5%. Il disavanzo in conto capitale è aumentato dal 3,6% al 5,7% essenzialmente a causa dei più volte ricordati oneri straordinari; al netto di questi ultimi, l’incremento si è limitato a un decimo di punto percentuale di PIL ed è derivato sostanzialmente dalla riduzione delle entrate in conto capitale. - 99 - Avanzo primario e spesa per interessi nel 2006 Saldi corrente e in conto capitale nel 2006 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Uscite primarie nel 2006 Le spese primarie (al netto delle poste straordinarie) hanno registrato una certa decelerazione rispetto all’anno precedente (con un incremento del 3,4% a fronte del +4,1% del 2005), sia quelle di natura corrente (con un +3,6% dopo un +4%) sia, soprattutto, quelle in conto capitale (che si sono espanse del 2,3% dopo il +5,3% precedente). L’incidenza sul PIL delle uscite al netto degli interessi è scesa appena, dal 44% al 43,9%, riflettendo riduzioni marginali in entrambe le componenti. Con riferimento alle principali voci della spesa corrente primaria, i redditi da lavoro dipendente e le prestazioni sociali in denaro hanno mostrato incrementi superiori all’espansione del PIL nominale. I primi, con un incremento del 4,1%, hanno confermato la loro incidenza sul PIL all’11%, riflettendo gli effetti dei rinnovi contrattuali del biennio economico 2004-05 stipulati nelle Amministrazioni Locali e, a livello centrale, negli Enti di ricerca e nelle Università, con la contestuale corresponsione di arretrati. Quanto alle seconde, la crescita del 4,4% ha elevato di un decimo la loro percentuale sul PIL al 17,1% e ha sostanzialmente rispecchiato, per la componente pensionistica, l’aumento del numero dei trattamenti e una perequazione automatica degli stessi pari all’1,9%, e relativamente alle altre voci, una espansione molto forte delle liquidazioni di fine rapporto nonché la contabilizzazione delle erogazioni una tantum a sostegno della natalità disposte con la legge finanziaria per il 2006. In decelerazione è risultata l’evoluzione delle prestazioni sociali in natura (+3,4% in precedenza +5,6%), dopo che il 2005 era stato caratterizzato dal rilevante impatto del rinnovo delle convenzioni per i medici generici. Al loro interno, inoltre, la spesa farmaceutica è tornata a crescere (+4,1% dopo un -1,2%), seppure in maniera non molto forte essendo stata interessata da ripetuti interventi dell’AIFA. I consumi intermedi - oggetto di consistenti misure di correzione disposte sia con la finanziaria che con il decreto del luglio 2006 - hanno mostrato una riduzione (pari allo 0,8%), sintetizzando in particolare un incremento modesto di quelli della Amministrazioni Locali e una forte contrazione a livello centrale, connessa anche alla diminuzione verificatasi nella spesa per servizi di intermediazione finanziaria indirettamente misurati. Per quanto riguarda le uscite in conto capitale, interessate da numerosi interventi correttivi, il modesto incremento riscontrato (+2,3% al netto degli oneri straordinari, +54,2% al lordo) è derivato sostanzial- - 100 - Economia italiana: evoluzione recente mente da un leggero calo dei contributi agli investimenti (-0,2%) e da una crescita moderata degli investimenti (+1,8%), su cui hanno inciso vendite immobiliari di natura ordinaria. Il complesso delle entrate ha registrato una crescita molto sostenuta (+7,7%), che ha sintetizzato una riduzione di quelle in conto capitale (-23,5%) e una forte espansione di quelle correnti (+8%). In termini di PIL, le entrate totali sono passate dal 44,4% al 46,1%. Graf. 41 - GRADO DI COPERTURA DELLE SPESE E PRESSIONE FISCALE (valori percentuali) 96 43 95 42,5 94 42 93 41,5 92 41 91 40,5 90 40 2004 2005 2006 Grado di co pertura (scala a sinistra) 2007* 2008* P ressio ne fiscale (scala a destra) Fonte: ISTAT. *Previsioni ISAE, 2008 tendenziale. Nell’ambito delle entrate correnti, le imposte dirette hanno evidenziato un incremento molto consistente (+12,4%). Oltre al favorevole andamento dell’attività economica, molti fattori hanno contribuito a tale espansione. L’IRE, alimentata dall’aumento nelle retribuzioni anche a causa dei rinnovi contrattuali pubblici, è cresciuta - in termini di cassa del bilancio dello Stato - del 6,4%. L’IRES ha mostrato un incremento notevolissimo (+16,3%) in conseguenza sia del buon andamento dei profitti sia dell’ingente manovra correttiva operata. Le varie imposte sostitutive hanno beneficiato di più elementi: la favorevole evoluzione dei corsi azionari nel 2005 e il ridimensionarsi dei crediti di imposta che avevano quasi annullato per talune voci il gettito nel recente passato, la concentrazione di rimborsi di buoni postali nel 2005 con conseguenti versamenti nell’anno successivo, il rialzo dei tassi di interesse. Inoltre, le valutazioni originarie di alcune entrate una tantum sono state largamente superate, - 101 - Entrate e pressione fiscale nel 2006 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 come nel caso dell’imposta sulla rivalutazione dei beni aziendali, e si è verificato anche l’impatto del versamento dell’imposta sulle riserve matematiche delle assicurazioni che non era stato eseguito nel 2005 in quanto anticipato all’anno precedente. Le imposte indirette sono aumentate notevolmente (+7,8%) grazie alla buona evoluzione di molte componenti: imposte di bollo, ipotecaria, sui tabacchi, sulle apparecchiature di gioco e, soprattutto, IRAP e IVA. Quest’ultima ha mostrato un rialzo del 10,3%, connesso in particolare all’aumento del prezzo del petrolio, per quanto riguarda il prelievo sulle importazioni provenienti dai paesi extra-UE, e ad una evoluzione del gettito di origine interna superiore rispetto a quello ascrivibile all’andamento della base imponibile. I contributi sociali hanno sperimentato una accelerazione (+4,7%) nonostante i provvedimenti di sgravio predisposti nella manovra correttiva impostata a fine 2005. La loro evoluzione ha riflesso, tuttavia, l’impatto dei rinnovi dei contratti di alcuni comparti pubblici e privati. Le entrate in conto capitale proseguono nella loro riduzione, dopo che nel 2005 gli incassi derivanti dal condono edilizio erano stati ancora abbastanza elevati. Dati questi andamenti, la pressione fiscale - calcolata come incidenza sul prodotto di imposte dirette, indirette, in conto capitale e contributi sociali, effettivi e figurativi - è cresciuta di 1,7 punti percentuali di PIL collocandosi al 42,3%, il livello più elevato degli ultimi sette anni. - 102 - Economia italiana: evoluzione recente MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2006 (milioni di euro) (1) Descrizione dei provvedimenti 1) IMPOSTE DIRETTE Entrate (aumento +) Spese (aumento +) Effetto sull’indebitamento netto (aumento +) +12.197 -- -12.197 Previste disposizioni volte a favorire il servizio nazionale della riscossione (legge n. 248/2005).. +300 -- -300 E' elevato da 10 a 20 anni il periodo di ammortamento dell'avviamento (legge n. 248/2005). +1.680 -- -1.680 E' prevista l’introduzione di una imposta sostitutiva sul reddito, in caso di cessioni a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni (legge Finanziaria 2006, già citata). +500 -- -500 Prevista la rivalutazione di beni di impresa e di aree edificabili da esse possedute (legge n. 342/00 e legge Finanziaria 2006). +4.126 -- -4.126 Prevista la deducibilità IRES delle quote di ammortamento dei beni materiali strumentali per l’esercizio delle attività di distribuzione e trasporto di gas naturale e di distribuzione di energia elettrica e gestione della rete di trasmissione nazionale dell’energia elettrica (legge Finanziaria 2006, già citata). +790 -- -790 Disposta la riduzione al 60% della misura di deducibilità (a fini IRES) della riserva sinistri relativa ai contratti di assicurazione dei rami danni, per la parte riferibile alla componente di lungo periodo (legge n. 248/2005). +214 -- -214 E' stata modificata (dallo 0,60% al 0,40%) la deducibilità delle svalutazioni dei crediti per le banche (enti creditizi e finanziari), ai fini della determinazione della base imponibile IRES (legge n. 248/2005). +1.339 -- -1.339 Prevista la deducibilità degli ammortamenti dei beni strumentali per l'esercizio di distribuzione e trasporto di gas naturale e di distribuzione di energia elettrica e gestione della rete di trasmissione nazionale dell'energia elettrica (legge n. 248/2005). +68 -- -68 Apportate limitazioni alla deducibilità fiscale delle perdite realizzate dalla Banca d’Italia in occasione di operazioni di concambio (legge n. 248/2005). +300 Norme varie su indeducibilità minusvalenze da partecipazioni, su leasing, su ammortamenti (legge Finanziaria 2006, già citata; legge n. 248/2005). +246 -- -246 Disposte misure per rafforzamento e di funzionamento dell'Agenzia delle entrate, della Agenzia delle dogane e della Guardia di finanza in funzioni di lotta all'evasione (legge n. 248/2005) +335 -- -335 Disposta l'indeducibilità delle minusvalenze su dividendi non tassati (dividendi washing) e previsti accertamenti su operazioni 2004 e 2005 (legge n. 248/2005). +535 -- -535 E' stata limitata la deducibilità dal canone delle spese di manutenzione ordinaria in caso di locazione di immobili non strumentali di proprietà delle imprese (legge n. 248/2005). +98 -- -98 Disposta una detrazione dall’imposta lorda nella misura del 19 per cento per le spese documentate sostenute dai genitori per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido per un importo complessivamente non superiore a 632 euro annui per ogni figlio ospitato negli stessi (legge Finanziaria 2006, già citata). -30 -- +30 Disposta l'esclusione della detraibilità IVA per ciclomotori e auto non adibiti ad uso (legge Finanziaria 2006, già citata). -217 -- +217 Limitatamente al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2005, è ampliata la gamma delle spese non documentate dell'impresa per cui è consentita la deduzione forfetaria e altre misure minori (legge Finanziaria 2006, già citata; legge 248/2005). -180 -- +180 (1) Valutazioni ufficiali. - 103 - -300 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2006 (milioni di euro) (1) Entrate (aumento +) Descrizione dei provvedimenti Disposta la proroga al 2006 delle agevolazioni tributarie in materia di recupero edilizio (detrazione pari al 41% e aliquota IVA pari al 10%) e previste detrazioni per ristrutturazioni ad imprese di costruzione (legge Finanziaria 2006, già citata). Spese (aumento +) Effetto sull’indebitamento netto (aumento +) -39 -- +39 Disposte misure per modificare le condizioni di ammortamento di autovetture aziendali, per i beni immateriali e per i terreni (D.L. 4/7/ 2006, n. 223). +418 -- -418 Previsto il rafforzamento delle attività di accertamento su dichiarazioni “non congrue” relative agli studi di (D.L. 4/7/2006, n. 223). +305 -- -305 Approvata l’abrogazione dell’aliquota IRPEF agevolata per la tassazione degli importi del trattamento di fine rapporti nei casi di incentivo all’esodo per i lavoratori; altre disposizioni per redditi diversi; altri provvedimenti minori (D.L. 4/7/2006, n. 223). +228 -- -228 Previste misure più stringenti per l’individuazione delle società non operative con riflessi sulle percentuali di ricalcolo del reddito presunto a fini IRES (D.L. 4/7/2006, n. 223). +86 -- -86 E’ prevista l’inclusione delle stock options tra i redditi che concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente, lasciando invariate le normative dell’azionariato diffuso (D.L. 4/7/2006, n. 223). +55 -- -55 2) IMPOSTE INDIRETTE +2.755 -- -2.755 Prevista la revisione del regime fiscale per la cessione di immobili effettuate da alcune categorie di soggetti. Altre disposizioni per gli immobili (D.L. 4/7/2006, n. 223). +1.573 -- -1.573 Approvata la modifica delle aliquote IVA di alcuni prodotti (innalzamento dal 10% al 20%); disposizioni varie su IVA e IRAP (D.L. 4/7/ 2006, n. 223). +639 -- -639 Stabilite misure per contrastare il gioco illegale (D.L. 4/7/2006, n. 223). +367 -- -367 Modifica della disciplina di esenzione dall’ICI (D.L. 4/7/2006, n. 223). +100 -- -100 Prorogata al 2006 la riduzione del 40% dell'aliquota d'accisa per il gas metano per usi industriali oltre un certo consumo (legge Finanziaria 2006, già citata). -89 -- +89 Disposta la proroga per il 2006 per le zone montane del prezzo al litro del gasolio e gpl per riscaldamento (legge Finanziaria 2006, già citata). -52 -- +52 Confermate per il 2006 le particolari aliquote d'accisa gas metano per combustione ad uso individuale e altri usi civili nei comuni di Aosta, Belluno, Bolzano e Trento e esenzioni per riscaldamento gasolio e gpl per riscaldamento impiegate nelle frazioni parzialmente non metanizzate (zona climatica E), oltre ad esenzioni per uso del gasolio nelle province di Trieste e Udine. Altre norma minori (legge Finanziaria 2006, già citata; legge n. 248/2005). -184 -- +184 Prevista l'esenzione d'accise per il gasolio da riscaldamento serra (Legge 350/2003; Legge Finanziaria 2006, già citata). -23 -- +23 Disposte modifiche alla disciplina dell'imposta regionale sulle attività produttive per il settore agricolo (legge Finanziaria 2006, già citata). -389 -- +389 Disposta la proroga delle agevolazioni fiscali per la pesca e la proprietà contadina (legge Finanziaria 2006, già citata). -117 -- +117 (1) Valutazioni ufficiali. - 104 - Economia italiana: evoluzione recente MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2006 (milioni di euro) (1) Entrate (aumento +) Descrizione dei provvedimenti Spese (aumento +) Effetto sull’indebitamento netto (aumento +) Sono previste misure fiscali, amministrative e finanziarie per i distretti industriali con l’obiettivo di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori di riferimento, di migliorare l’efficienza nell’organizzazione e nella produzione, secondo princìpi di sussidiarietà verticale ed orizzontale (Legge finanziaria 2006, già citata). -50 -- +50 E' prevista la soppressione delle tariffe delle Concessioni Governative per i brevetti definiti dal DPR 641/72 e l'esenzione dall'imposta di bollo per istanze, atti e provvedimenti relativi al riconoscimento in Italia di brevetti per invenzioni industriali, di brevetti per modelli di utilità e di brevetti per modelli e disegni ornamentali (legge Finanziaria 2006, già citata). -40 -- +40 Prevista la deducibilità IRAP delle quote di ammortamento dei beni materiali strumentali per l’esercizio delle attività di distribuzione e trasporto di gas naturale e di distribuzione di energia elettrica e gestione della rete di trasmissione nazionale dell’energia elettrica (Legge finanziaria 2006, già citata). +102 -- -102 Previste misure a sostegno del gioco legale con apparecchi di intrattenimento e misure volte a contrastare il gioco illegale (Legge finanziaria 2006, già citata). +440 -- -440 Previste modifiche nel criterio di calcolo trimestrale per la determinazione della classe di prezzo della sigaretta più venduta con previsioni di maggiori entrate fiscali indotte (Legge finanziaria 2006, già citata). +90 -- -90 E' disposto un rialzo, a decorrere dal 1º gennaio 2006, dell’aliquota dell’imposta di consumo sugli oli lubrificanti (legge Finanziaria 2006, già citata). +90 -- -90 Previste misure per contrastare il gioco illegale e valorizzare quello legale (legge n. 248/2005). +80 -- -80 Sono disposte misure per la regolamentazione della raccolta a distanza delle scommesse, del bingo e delle lotterie attraverso Internet, televisione digitale, terrestre e satellitare, nonché attraverso la telefonia fissa e mobile; altre misure sui giochi (legge n. 248/2005). +218 -- -218 3) CONTRIBUTI SOCIALI EFFETTIVI -2.241 -- +2.241 Previsto a decorrere dal 1 gennaio 2006 un esonero dal versamento dei contributi sociali alla gestione delle prestazioni temporanee presso l'INSP nel limite massimo complessivo di un punto percentuale (legge Finanziaria 2006, già citata). -1.996 -- +1.996 E' riconosciuto per i lavoratori dipendenti con qualifica di autisti di livello 3º e 3º super, l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti all’INPS, per la quota a carico dei datori di lavoro, nel limite di ore mensili individuali di orario ordinario, comunque non superiori a 20 (legge Finanziaria 2006, già citata). -120 -- +120 E' previsto che le somme versate nel periodo d’imposta 2005 a titolo di contributo al Servizio sanitario nazionale sui premi di assicurazione per la responsabilità civile per i danni derivanti dalla circolazione di veicoli a motore adibiti a trasporto merci, di massa complessiva a pieno carico non inferiore a 11,5 tonnellate, possano essere utilizzate in compensazione dei versamenti effettuati dal 1º gennaio al 31 dicembre 2006 nel limite di spesa di 75 milioni di euro (legge Finanziaria 2006, già citata). -75 -- +75 Previste riduzioni dei premi INAIL del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, alla gestione esercenti attività commerciali e alla gestione artigiani (legge Finanziaria 2006, già citata). 4) ALTRE ENTRATE Previsto un canone aggiuntivo unico ai titolari di concessioni idroelettriche e altre disposizioni in materia di elettricità (legge Finanziaria 2003, già citata). (1) Valutazioni ufficiali. - 105 - -50 -- +50 +149 -- -149 +95 -- -95 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2006 (milioni di euro) (1) Entrate (aumento +) Descrizione dei provvedimenti Spese (aumento +) Effetto sull’indebitamento netto (aumento +) Prevista (dal 2007) la soppressione degli stanziamenti previsti per il finanziamento della Consob, dell'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Per il 2006 si prevede un sistema di finanziamento transitorio (legge Finanziaria 2006, già citata). +44 -- -44 Sono aggiornati gli importi fissi delle sanzioni pecuniarie, anche penali, da attuare con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottare entro il 28 febbraio 2006 (legge Finanziaria 2006, già citata). +100 -- -100 -90 -- Altre minori entrate (legge Finanziaria 2006, già citata). +90 5) REDDITI DA LAVORO DIPENDENTE -- -294 -294 Previsto che le pubbliche amministrazioni a decorrere dall’anno 2006 possano avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 60 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2003 (legge Finanziaria 2006, già citata). -- -237 -237 E' disposto che a decorrere dall’anno 2006 l’ammontare complessivo dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni dello Stato e delle Università, determinato ai sensi delle rispettive normative contrattuali, non possa eccedere quello previsto per l’anno 2004 (legge Finanziaria 2006, già citata). -- -108 -108 E' previsto che le regioni e gli enti locali concorrano alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’IRAP, non superino per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell’anno 2004 diminuito dell’1 per cento. A tal fine si considerano anche le spese per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni (legge Finanziaria 2006, già citata). -- -465 -465 Altre misure minori di riduzione della spesa (legge Finanziaria 2006, già citata). -- -76 -76 Disposto l'adeguamento delle risorse per la contrattazione collettiva nazionale previste per il biennio 2004-2005 (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +280 +280 E' disposto a carico del bilancio dello Stato l'onere derivante dall'adeguamento delle risorse contrattuali per il personale delle amministrazioni diverse da quella statale (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +113 +113 Previsto l'incremento del concorso dello Stato al finanziamento della spesa sanitaria per contratti a decorrere dal 2006 (Legge 30 dicembre 2004, n. 311; Legge Finanziaria 2006, già citata) -- +109 +109 Altre misure minori di aumento della spesa (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +90 +90 6) CONSUMI INTERMEDI E PRESTAZIONI SOCIALI IN NATURA -- -5.758 -5.758 Disposti risparmi di spesa per consumi intermedi, sia per le Amministrazioni Centrali e per quelle Locali (Patto di Stabilità Interno) (legge Finanziaria 2006, già citata). -- -5.343 -5.343 Previsti stanziamenti al fine di consentire alle istituzioni scolastiche l'affidamento dei servizi di pulizia e dei servizi amministrativi (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +50 +50 (1) Valutazioni ufficiali. - 106 - Economia italiana: evoluzione recente MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2006 (milioni di euro) (1) Entrate (aumento +) Descrizione dei provvedimenti Spese (aumento +) Effetto sull’indebitamento netto (aumento +) Attesi risparmi di spesa conseguenti all’accantonamento di quote delle risorse di bilancio al fine di renderle indisponibili (consumi intermedi a carattere discrezionale, e analoghe spese nel comparto della sicurezza e del soccorso) (D.L. 4/7/2006, n. 223). -- -665 -665 Disposte riduzioni per l’anno 2006 per le autorizzazioni di spesa per la Protezione civile, modifiche del pagamento delle spese della giustizia e contrazioni delle spese di funzionamento degli enti e organismi pubblici non territoriali (10% per il 2006) (D.L. 4/7/2006, n. 223). -- -180 -180 Integrate alcune autorizzazioni di spesa per il Fondo nazionale dei servizio civile, il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali e il Fondo Unico per lo Spettacolo (D.L. 4/7/2006, n. 223). -- +380 +380 7) PRESTAZIONI SOCIALI IN DENARO -- +696 +696 E' previsto per ogni figlio nato ovvero adottato nell’anno 2005 un assegno pari ad euro 1.000 (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +467 +467 E' previsto per ogni figlio nato nell’anno 2006, secondo o ulteriore per ordine di nascita, ovvero adottato un assegno pari a 1.000 euro (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +229 +229 8) TRASFERIMENTI CORRENTI AD IMPRESE -- -956 -956 E' prevista una razionalizzazione delle risorse stanziate in bilancio per trasferimenti correnti alle imprese pubbliche e alle camere di commercio (legge Finanziaria 2006, già citata). --960 -960 Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Poste Italiane Spa determinano con apposita convenzione i parametri di mercato e le modalità di calcolo del tasso da corrispondere a decorrere dal 1º gennaio 2005 sulle giacenze dei conti correnti in essere presso la tesoreria dello Stato sui quali affluisce la raccolta effettuata tramite conto corrente postale, in modo da consentire una riduzione di almeno 150 milioni di euro rispetto agli interessi a tale titolo dovuti a Poste Italiane Spa dall’anno 2005 (legge Finanziaria 2006, già citata). -- -150 -150 E' istituito un Fondo di garanzia per agevolare l'accesso al credito delle imprese che conferiscono il trattamento di fine rapporto (TFR) a forme pensionistiche complementari. Il predetto Fondo e' alimentato da un contributo dello Stato (Legge n. 248/2005). -- +154 +154 9) SPESE IN CONTO CAPITALE -- -840 -840 Previsti riduzioni apporto di capitale a FS (Legge n. 248/2005). -- -124 -124 E' disposto, a decorrere dal 2006, un contenimento degli incrementi di spesa per investimenti fissi lordi discrezionali, con esclusione di quelle concernenti il comparto delle sicurezza pubblica (legge Finanziaria 2006, già citata). -- -360 -360 E' disposto un contenimento degli incrementi di spesa in conto capitale per l'Anas Spa per l’anno 2006 (Legge finanziaria 2006,già citata). -- -300 -300 E' disposto che per l'anno 2006 le erogazioni del Fondo speciale rotativo per l’innovazione tecnologica non possano superare l’importo complessivo di 1.900 milioni di euro (legge Finanziaria 2006, già citata). -- -1.200 -1.200 Previsto per l’anno 2006, con riferimento a ciascun Ministero, che i pagamenti per spese relative a investimenti fissi lordi non possano superare il 95 per cento del corrispondente importo pagato nell’anno 2004 (legge Finanziaria 2006, già citata). -- -336 -336 (1) Valutazioni ufficiali. - 107 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2006 (milioni di euro) (1) Entrate (aumento +) Descrizione dei provvedimenti Spese (aumento +) Effetto sull’indebitamento netto (aumento +) Sono previsti per i soggetti titolari di contabilità speciali aperte presso le sezioni di tesoreria statale limiti nei pagamenti per un importo complessivo superiore all’80 per cento di quello rilevato nell’esercizio 2005 (legge Finanziaria 2006, già citata). -- -400 -400 Sono previsti limiti agli importi destinati al Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all’articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge Finanziaria 2006, già citata). -- -153 -153 Disposizioni su Fondo di garanzia e previdenza complementare (legge Finanziaria 2006, già citata). -- -154 -154 Sono previsti stanziamenti per la realizzazione del programma straordinario a carattere nazionale a sostegno della ricerca oncologica autorizzata da assegnare ai soggetti individuati ai sensi del decreto del Ministro della Salute, previa stipula di apposite convenzioni con il Ministero della salute (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +50 +50 Disposti per il 2006 stanziamenti per le esigenze infrastrutturali e di investimento delle Forze dell’ordine. Sono inoltre previsti indicennali per consentire la prosecuzione del programma di sviluppo e di acquisizione delle unità navali della classe FREMM (fregata europea multimissione) e delle relative dotazioni operative, nonché per l’avvio di programmi dichiarati di massima urgenza (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +50 +50 Previsti stanziamenti per il Dipartimento della protezione civile per il finanziamento degli interventi e delle opere di ricostruzione nei territori colpiti da calamità naturali (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +26 +26 Previsto per le Regioni a Statuto Ordinario e per gli Enti Locali il concorso al rispetto del Patto di stabilità interno, prevedendo limiti di spesa in conto capitale (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +180 +180 Disposti contributi pluriennali alle imprese nazionali nel settore della difesa al fine di consentire la prosecuzione dei principali programmi internazionali ed interforze, anche a valenza internazionale, e specialmente europea (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +55 +55 Altri interventi di risparmi di spesa in conto capitale (legge Finanziaria 2006, già citata). -- -1.010 -1.010 Disposta l’attribuzione di un contributo in conto impianti a favore di Ferrovie dello Stato SpA o a società del gruppo per la prosecuzione degli interventi relativi al sistema “Alta velocità/alta capacità” (D.L. 4/ 7/2006, n. 223). -- +1.800 +1.800 E’ innalzato il limite posto a carico dell’Anas per l’effettuazione di pagamenti relativi a spese di investimento (D.L. 4/7/2006, n. 223). -- +1.000 +1.000 Disposta l’esclusione dalle regole dal patto di stabilità interno delle spese in conto capitale effettuate dal Comune di Roma, relative agli interventi per il trasporto su ferro; altre disposizioni (D.L. 4/7/2006, n. 223). -- +36 +36 10) ALTRE SPESE CORRENTI E IN CONTO CAPITALE -- -3.713 -3.713 Interventi di risparmio di spesa contenuti nelle tabelle allegate alla legge Finanziaria (legge Finanziaria 2006, già citata). -- -2.536 -2.536 Prevista la riduzione per il 2006 delle risorse finanziarie per il Servizio sanitario nazionale (legge Finanziaria 2006, già citata). -- -2.500 -2.500 E' istituito nello stato di previsione del Ministero della difesa un Fondo da ripartire per le esigenze di funzionamento dell’Arma dei carabinieri (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +50 +50 (1) Valutazioni ufficiali. - 108 - Economia italiana: evoluzione recente MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2006 (milioni di euro) (1) Entrate (aumento +) Descrizione dei provvedimenti Spese (aumento +) Effetto sull’indebitamento netto (aumento +) E' prevista l'istituzione di un Fondo nello stato di previsione del Ministero dell'Economia e delle Finanze in cui confluirà un sesto delle risorse giacenti sulle contabilità speciali e sui conti correnti di Tesoreria Centrale non movimentati da oltre un anno. Al Fondo potranno ricorrere le Amministrazioni interessate (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +50 +50 E' disposta l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell'Economia e delle Finanze, di un Fondo al fine di provvedere all'estinzione dei debiti pregressi contratti dalle Amministrazioni centrali dello Stato nei confronti delle società, enti, persone fisiche, istituzioni e organismi vari (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +170 +170 Previsto stanziamento per l'attuazione del piano programmatico concernente la riforma degli ordinamenti scolastici (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +44 +44 E' istituito nello stato di previsione della spesa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un fondo denominato «Fondo per misure di accompagnamento della riforma dell’autotrasporto di merci e per lo sviluppo della logistica» al fine di favorire il processo di riforma del settore dell’autotrasporto di merci (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +80 +80 Prevista l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, di due Fondi da ripartire nella parte corrente (per l'acquisizione di beni e servizi da parte della P.A) e in conto capitale (per fare fronte alle esigenze infrastrutturali e di investimento delle Forze dell'ordine). (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +180 +180 Totalizzazione dei periodi assicurativi ed integrazione tabella C della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Legge n. 248/2005). -- +160 +160 Eccedenze di spesa di natura corrente (legge Finanziaria 2006, già citata). -- +589 +589 -11.561 -24.421 TOTALE +12.860 (1) Valutazioni ufficiali. - 109 - Previsioni per l’Italia 2007-2008 Sulle prospettive dell’economia italiana per l’anno in corso incidono gli effetti del trascinamento proveniente dal 2006, la dinamica del ciclo globale e l’evoluzione dei fattori che influiscono sulle componenti interne della domanda (redditi, profitti, aspettative, propensioni alla spesa). Gli impulsi dovrebbero risultare, su tutti e tre fronti, sostanzialmente postivi, sebbene la pausa congiunturale sperimentata nei primi mesi del 2007 potrebbe condizionare parzialmente il risultato medio conseguibile quest’anno. Il primo elemento “certo” per gli sviluppi dell’anno corrente è costituito dall’eredità molto favorevole, in termini di dinamica dell’attività economica, che il 2006 consegna al 2007: la forte accelerazione della fine dello scorso anno comporta una crescita acquisita per il 2007 dell’1,2%; se, quindi, il PIL rimanesse quest’anno stagnante ai livelli dell’ultimo trimestre del 2006, si avrebbe comunque un incremento, nella media del 2007, prossimo a quello che era previsto dalla generalità degli analisti lo scorso autunno (le stime di settembre-ottobre per il 2007 si attestavano all’1,2-1,4%, corrette per le giornate di lavoro). All’intensificazione dello sviluppo a fine 2006 sembra avere fatto seguito un periodo di contenimento della dinamica produttiva. La moderazione nei ritmi di crescita è stata in effetti anticipata dapprima dall’arresto, in autunno, della fase di rialzi dell’indice di fiducia delle imprese e poi, nei primi tre mesi dell’anno, da un suo leggero ripiegamento. Hanno, in particolare, mostrato segni di indebolimento le aspettative circa gli andamenti a breve della produzione e il giudizio sul portafoglio ordini che ha subito un qualche deterioramento all’inizio dell’anno. La pausa produttiva è stata poi confermata, in gennaio, dalla consistente flessione dell’indice della produzione industriale che ha praticamente compensato il picco (rivisto peraltro, nei dati definitivi, al ribasso) del mese precedente. Su tali sbalzi hanno probabilmente inciso anche fattori erratici, amplificati dal minore numero di giorni di lavoro - 111 - Senza crescita nel 2007… si realizzerebbe la crescita stimata nelle previsioni di autunno Segnali di rallentamento a inizio 2007 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Le prospettive rimangono favorevoli che caratterizza normalmente l’ultimo mese dell’anno: considerando la media del bimestre dicembre-gennaio, l’attività produttiva si è riportata sul trend positivo, ma più moderato, che ha caratterizzato la seconda metà del 2006. Nelle stime dell’ISAE, la produzione manifatturiera dovrebbe tornare a incrementarsi in febbraio, mantenendosi, però, su un profilo alquanto irregolare (nuova parziale diminuzione in marzo e leggero rialzo in aprile). La caduta di inizio anno comporta, comunque, che nel primo trimestre l’indice della produzione industriale possa risultare fermo o situarsi marginalmente sotto al livello medio dei precedenti tre mesi. I segnali di moderazione sul fronte manifatturiero, compensati in parte da indicazioni di maggiore tenuta nei servizi, portano a stimare una dinamica del PIL all’inizio del 2007 in frenata rispetto ai ritmi elevati della fine dell’anno precedente, con un’evoluzione comunque in territorio ancora marginalmente positivo. Quella che appare una freGraf. 1 - INDICATORE ANTICIPATORE ISAE (1995=100) nata nei primi mesi non indica, 2,0 135 però, un esaurimento della ripresa italiana, ma sembra piut1,5 130 tosto da interpretare come uno 1,0 125 “scalare di marcia” dopo l’accelerazione dei mesi preceden0,5 120 ti. Ciò sia perché la congiuntura internazionale, 0,0 115 sebbene meno dinamica, si -0,5 110 mantiene nella nostra previsio2004 2005 2006 2007 ne su un sentiero complessivavariazioni percentuali sul mese precedente mente positivo (specie in indicatore anticipatore (scala destra) Europa), sia perché gli stessi Fonte: elaborazioni ISAE. indicatori delle inchieste presso le imprese industriali, seppure non più in significativo aumento come nei due anni precedenti, si attestano su livelli storicamente elevati, segnalando un consolidamento dei buoni livelli produttivi conseguiti. Accanto a ciò si aggiunge un clima di opinione dei consumatori che, pur tra alti e bassi, continua da diversi mesi a orientarsi in senso positivo, proseguendo il lento processo di recupero avviato nel 2004 dopo le marcate flessioni dei primi anni duemila. - 112 - Previsioni per l’Italia 2007-2008 Il permanere per la nostra economia di una prospettiva di crescita, pur se più moderata rispetto al 2006, è confermato dall’indicatore anticipatore elaborato dall’ISAE che, dopo una lieve riduzione in settembre-ottobre (presumibilmente anticipatrice della decelerazione di inizio 2007), ha preso nuovamente, tra la fine dello scorso anno e l’inizio di quello corrente, a puntare verso l’alto. La persistente positività del ciclo si sovrappone, inoltre, a una situazione strutturale del Paese rivelatasi migliore rispetto a quanto molti osservatori temevano fino a pochi mesi or sono per quanto riguarda sia le potenzialità di sviluppo del sistema economico, sia gli squilibri di fondo della finanza pubblica; un mutamento nel “tono di fondo” dello scenario nazionale che non può non incidere sulle valutazioni dei previsori. Nel complesso, quindi, si Graf. 2 - PRODOTTO INTERNO LORDO (milioni di euro, valori concatenati, anno di stima che la dinamica dell’attiriferimento 2000; dati destagionalizzati e corretti per diverso numero di giornare lavorative) vità produttiva possa riprendere ad incrementarsi, dopo una 333.500 prima metà del 2007 relativa- 329.000 1,7 mente contenuta, a ritmi tri- 324.500 1,8 mestrali più vivaci, pur se 320.000 inferiori a quelli che hanno 1,9 contrassegnato mediamente il 315.500 0,2 1,0 2006, dando luogo a un secon- 311.000 0,1 0,3 do semestre in lieve rafforza- 306.500 mento sui precedenti sei mesi. 302.000 2002 2003 2004 2005 2006 2007* 2008* Tale andamento risentirebbe ancora del sostegno della doFonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale. manda interna e della conferma del sentiero più solido, ritrovato nell’ultimo anno, dalle esportazioni. Nella media del 2007 la crescita del PIL potrebbe così attestarsi all’1,8%, nei dati al netto dell’effetto delle giornate lavorative, con una riduzione del divario di sviluppo rispetto all’area euro (attesa espandersi del 2,3%) da nove a cinque decimi di punto. Non correggendo per il calendario (il 2007 si caratterizza per tre giorni di lavoro in più rispetto al 2006), l’incremento del PIL italiano quest’anno sarebbe dell’1,9%, in linea con quello avuto nel 2006. L’evoluzione dell’attività economica stimata per l’anno in corso consegnerebbe al 2008 un trascinamento nell’ordine di cinque-sei decimi di punto, pari a quindi alla metà di quello su cui può “contare” il - 113 - Previsione 2007-2008 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 2007. Sulla base di un simile acquisito congiunturale, in un contesto internazionale ancora complessivamente favorevole e con un quadro interno di tipo tendenziale con riferimento agli andamenti della finanza pubblica, la crescita del PIL potrebbe attestarsi all’1,7% (tanto al netto che al lordo dell’effetto calendario, avendo il prossimo anno lo stesso numero di giorni lavorativi del 2007); la distanza nei confronti della dinamica produttiva dei partner dell’area euro si manterrebbe nell’ordine dei cinque decimi di punto. La lieve decelerazione del 2007 rispetto al 2006 rifletterebbe, fondamentalmente, la diversa incidenza dei trascinamenti congiunturali che caratterizzano i due anni. Nell’insieme, il triennio 2006-08 segnerebbe un tasso medio di sviluppo dell’economia italiana dell’1,8%, in sensibile accelerazione rispetto a quello che ha contraddistinto il quadriennio precedente (+0,4% tra il 2001 e il 2005); la maggiore crescita per un periodo di più anni consentirebbe il graduale rafforzamento del potenziale produttivo dell’economia. Tab. 1 RISORSE E IMPIEGHI (variazioni percentuali) 2006 Prodotto interno lordo 2007* 2008 q p v q p v q p v 4,1 1,9 1,8 3,7 1,8 2,3 4,0 1,7 2,4 Importazioni di beni e servizi 4,5 9,1 13,9 4,0 1,2 5,2 4,4 2,9 7,4 Esportazioni di beni e servizi 5,5 5,3 11,0 4,5 2,2 6,8 4,4 3,1 7,6 Spesa per consumi delle famiglie residenti 1,5 2,7 4,2 1,6 2,1 3,8 1,4 2,3 3,8 Spesa per consumi della AA.PP. e delle ISP -0,3 3,4 3,1 0,1 1,8 1,9 0,6 3,0 3,6 Investimenti fissi lordi 2,4 2,4 4,9 3,0 2,0 5,1 2,8 2,0 4,9 - costruzioni 2,2 3,1 5,3 2,5 2,6 5,1 1,3 2,3 3,6 - macchinari, attrezzature, mezzi di trasporto e beni immateriali 2,7 1,8 4,5 3,4 1,5 5,0 4,2 1,8 6,0 Variazioni delle scorte ed oggetti di valore (1) 0,4 0,0 0,1 Fonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale. (1) Contributo alla variazione del PIL. Contributo delle componenti di spesa alla crescita del PIL L’evoluzione dell’economia nel 2007 si avvale soprattutto del contributo positivo della domanda interna. La spesa finale nazionale fornirebbe alla dinamica del PIL un apporto di 1,6 punti percentuali (1,3 punti nel 2006), grazie all’ancora favorevole stimolo proveniente dai consumi delle famiglie (per un punto percentuale) e dagli investimenti (per sei decimi di punto). Il contributo della domanda estera net- - 114 - Previsioni per l’Italia 2007-2008 ta si confermerebbe, nel 2007, ancora positivo (per un decimo di punto), risultando in lieve riduzione rispetto all’anno precedente (quando fu di due decimi di punto). Nel 2008, la crescita italiana continuerebbe a basarsi sull’impulso proveniente dalla domanda finale interna (che apporterebbe ancora 1,6 punti percentuali alla dinamica dell’economia), risentendo principalmente dello stimolo fornito da investimenti (intorno ai sei decimi) e consumi privati (circa nove decimi). Il contributo delle esportazioni nette risulterebbe, invece, sostanzialmente neutrale. Tab. 2 CONTRIBUTI ALLA CRESCITA DEL PIL IN TERMINI REALI (punti percentuali) 2006 2007* 2008* Prodotto interno lordo (var. %) 1,9 1,8 1,7 Saldo estero merci e servizi 0,2 0,1 0,0 Domanda interna 1,7 1,6 1,7 Investimenti fissi lordi 0,5 0,6 0,6 - costruzioni Spesa per consumi nazionali - delle famiglie residenti Variazioni delle scorte ed oggetti di valore 0,2 0,2 0,1 0,8 1,0 1,0 0,9 1,0 0,9 0,4 0,0 0,1 Fonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale. Consumi La spesa privata per conGraf. 3 - SPESA DELLE FAMIGLIE (milioni di euro, valori concatenati, anno di sumi dovrebbe crescere riferimento 2000; dati destagionalizzati e corretti per diverso numero di giornare lavorative) quest’anno dell’1,6%, venendo stimolata dalla favorevole 195.500 evoluzione del potere d’acqui- 193.000 1,4 1,6 sto delle famiglie connessa al 190.500 buon andamento del mercato 1,5 188.000 del lavoro e al ripiegamento 0,6 dell’inflazione. In particolare, 185.500 0,7 1,0 la dinamica del reddito dispo- 183.000 nibile si avvantaggerebbe del- 180.500 0,1 la crescita dell’occupazione e, 178.000 2002 2003 2004 2005 2006* 2007* 2008* anche se in misura meno inFonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale. tensa rispetto all’anno precedente, dell’aumento delle retribuzioni pro-capite; il miglioramento della ragione di scambio, determinato dalla diminuzione dei prezzi petroliferi e dall’apprezzamento - 115 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Investimenti dell’euro, contribuirebbe all’aumento delle possibilità di acquisto dei consumatori. Il recupero del clima di opinione delle famiglie osservato nell’ultimo biennio potrebbe, inoltre, consentire la prosecuzione dell’andamento leggermente più favorevole nella propensione media alla spesa per consumi che ha cominciato a evidenziarsi nel 2006. La capacità di consumo Graf. 4 - REDDITI E CONSUMI DELLE FAMIGLIE delle famiglie si incremente(variazioni percentuali in termini nominali) rebbe anche nel 2008, persi6,0 stendo i fattori di spinta che 5,0 caratterizzano l’anno corrente. In particolare, la dinamica 4,0 occupazionale rimarrebbe fa3,0 vorevole, mentre quella retri2,0 butiva verrebbe alimentata dai rinnovi dei contratti in scaden1,0 za. La spesa per consumi pri0,0 vati aumenterebbe dell’1,4%, 2005 2006 2007* 2008* sostanzialmente in linea con Reddito lordo disponibile Spesa delle f amiglie l’andamento del reddito dispoFonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale. nibile. Per quanto riguarda gli investimenti, dopo l’accelerazione alla fine dello scorso anno la dinamica dovrebbe mantenersi su ritmi positivi, risentendo delle persistenti esigenze di ristrutturazione delle imprese volte al recupero di competitività, del clima congiunturale che rimane globalmente favorevole e del recupero delle condizioni di profittabilità aziendale su cui incidono anche le misure prese in sede di Legge finanziaria per il 2007 (in particolare, la riduzione dell’imponibile IRAP). Le segnalazioni provenienti dalle inchieste ISAE circa il grado di utilizzo degli impianti, su livelli storicamente elevati a inizio 2007, e i minori ostacoli all’espansione della produzione dovuti a insufficienza di domanda, evidenziati nelle stesse indagini, potrebbero indurre, oltre che il consolidamento delle spese per la razionalizzazione e per l’aumento dell’efficienza dei processi di produzione, anche l’attivazione degli investimenti volti all’ampliamento della capacità produttiva del Paese. Nella previsione ISAE, la spesa per gli acquisti di macchine e attrezzature e beni immateriali aumenterebbe del 3,8% quest’anno e del 4,2% nel 2008, quella per mezzi di trasporto dell’1,4 e del 3,9% rispet- - 116 - Previsioni per l’Italia 2007-2008 tivamente nei due anni. Gli investimenti in costruzione in sensibile rafforzamento alla fine del 2006, beneficerebbero degli effetti di trascinamento derivanti dalla dinamica dello scorso anno; essi aumenterebbero a ritmi moderati nel corso del 2007, pur con un incremento, in media d’anno, del 2,5%; nel 2008, la crescita di questa componente di spesa potrebbe attenuarsi, attestandosi all’1,3 per cento. Nell’insieme, gli investimenti fissi lordi aumenterebbero del 3% nel 2007 e del 2,8% l’anno prossimo. Graf. 5 - INVESTIMENTI FISSI LORDI (milioni di euro, valori concatenati, anno di riferimento 2000; dati destagionalizzati e corretti per diverso numero di giornare lavorative) 71.500 40.600 TOTALE 2,8 70.000 39.000 3,0 68.500 4,2 MACCHINE, ATTREZZATURE, MEZZI DI TRASPORTO E BENI IMMATERIALI 39.800 38.200 67.000 65.500 37.400 4,0 1,3 -0,2 2,4 3,4 3,4 -1,4 36.600 2,7 -3,9 35.800 -1,5 -0,9 64.000 35.000 62.500 2002 2003 2004 2005 2006* 2007* 34.200 2002 2008* 2003 2004 2005 2006* 2007* 2008* 31.650 1,3 COSTRUZIONI 31.050 2,5 30.450 2,2 29.850 28.650 0,6 1,1 29.250 4,8 1,5 28.050 27.450 26.850 2002 2003 2004 2005 2006* 2007* 2008* Fonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale. Per quel che concerne la domanda estera, le esportazioni hanno chiuso il 2006 con una forte accelerazione diffusa alla generalità dei settori, dando luogo a un trascinamento molto positivo (pari a 2,7 punti percentuali) per il 2007. Le indicazioni congiunturali disponibili se- - 117 - Esportazioni e importazioni Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 gnalano, tuttavia, un minor dinamismo dell’export nei primi mesi dell’anno, i cui riflessi si sono avvertiti sul rallentamento dell’attività manifatturiera; gli elementi di erraticità ricordati nel caso della produzione industriale potrebbero, comunque, avere influito anche sull’andamento delle vendite all’estero. Nelle stime ISAE, superata la pausa di inizio 2007, le esportazioni dovrebbero confermare la capacità di migliore tenuta sui mercati internazionali evidenziata lo scorso anno; l’apprezzamento dell’euro, previsto per l’anno in corso, potrebbe esercitare un qualche effetto di freno all’inizio del 2008. Nell’insieme, le esportazioni Graf. 6 - ESPORTAZIONI E MERCATI DI SBOCCO DELL'ITALIA di beni e servizi aumentereb(variazioni percentuali) bero del 4,5% nel 2007. La di10 namica delle vendite all’estero 8 di sole merci si attesterebbe a 6 quasi il 4%; tenuto conto dell’allargamento dei mercati 4 italiani (che si stima del 6,5%, 2 leggermente inferiore all’aumento della domanda mondia0 le), l’erosione della quota di -2 mercato in volume, negli -4 sbocchi in cui si dirigono le 2003 2004 2005 2006 2007* 2008* merci dell’Italia, sarebbe di Espo rtazio ni in vo lume M ercato di espo rtazio ne soli 2,5 punti percentuali, con Fonte: ISTAT. un netto miglioramento, quin* Elaborazioni e previsioni ISAE; 2008 tendenziale. di, rispetto al 2006 (quando la flessione è stata di 5 punti) e, ancor più, rispetto al periodo di più grave crisi competitiva degli anni precedenti (quando la caduta della quota nei mercati italiani risultava di 7-8 punti percentuali all’anno). Nel 2008, le esportazioni di beni e servizi si incrementerebbero del 4,4%; a un ritmo simile aumenterebbero le vendite di sole merci. La riduzione della quota in volume, in rapporto all’ampliamento del mercato per i prodotti italiani (stimato in crescita di circa il 7%), sarebbe di circa tre punti, confermando la performance meno negativa dell’ultimo periodo, ma risentendo anche, nella prima metà del 2008, di qualche effetto ritardato dell’apprezzamento della moneta unica dell’anno precedente. Anche per le importazioni di beni e sevizi, la seconda metà dello scorso anno è stata contraddistinta da una intensa accelerazione che ha - 118 - Previsioni per l’Italia 2007-2008 comportato un sostanziale effetto di trascinamento sul 2007 (pure in questo caso di 2,7 punti percentuali). Rafforzamento della congiuntura interna e ripresa delle esportazioni (componente della domanda a elevato fabbisogno di input importati) hanno favorito una simile dinamica. Tali fattori dovrebbero continuare a influire sull’andamento degli acquisti italiani dall’estero nel periodo di previsione; nella stima ISAE, le importazioni aumenterebbero del 4% quest’anno e del 4,4% nel 2008. Il mantenimento di una dinamica inferiore a quella delle esportazione assicurerebbe, nel 2007, un apporto ancora positivo della domanda estera netta alla variazione del PIL; l’anno prossimo, il contributo tenderebbe, invece, ad annullarsi, in conseguenza del sostanziale allineamento dei tassi di crescita delle due correnti di scambio. Graf. 7 - ESPORTAZIONI E IMPORTAZIONI DI BENI E SERVIZI (milioni di euro, valori concatenati, anno di riferimento 2000; dati destagionalizzati e corretti per diverso numero di giornare lavorative) ESPORTAZIONI IMPORTAZIONI 95.000 96.000 92.000 4,4 4,4 92.500 89.000 89.000 4,0 4,5 86.000 85.500 4,5 5,5 83.000 82.000 80.000 2,7 -4,0 77.000 0,0 78.500 -2,2 2,0 -0,5 1,0 1,0 75.000 74.000 2002 2003 2004 2005 2006 2007* 2008* 2002 2003 2004 2005 2006 2007* 2008* Fonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale. In sintonia con l’accelerazione del ciclo economico, l’evoluzione del mercato del lavoro si è sensibilmente rinvigorita nel 2006, confermando il sostanziale innalzamento del contenuto di occupazione della crescita del PIL emerso nei primi anni duemila. Tanto nel 2007 che nel 2008, dovrebbe proseguire la dinamica favorevole; in termini di unità di lavoro standard (ULA), l’occupazione complessiva aumenterebbe dell’1% quest’anno e marginalmente meno (+0,9%) in quello successivo. Tenuto conto dell’andamento dell’attività produttiva, l’elasticità (apparente) dell’occupazione al PIL si attesterebbe su un valore (0,53 circa) inferiore a quello del 2006, ma pur sempre storicamente elevato. - 119 - Mercato del lavoro Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Tab. 3 UNITÀ DI LAVORO (variazioni percentuali) IN COMPLESSO DIPENDENTI 2006 2007* 2008* 2006 2007* 2008* Agricoltura 0,6 0,4 0,2 3,0 -0,6 0,6 Industria 1,1 0,9 0,4 1,5 0,9 0,6 -in senso stretto 1,3 0,3 0,5 1,4 0,4 0,6 -costruzioni 0,6 2,6 0,4 2,0 2,8 0,7 Servizi 1,9 1,1 1,2 2,2 1,2 1,1 -Privati(1) 1,9 1,4 1,4 2,4 1,6 1,5 -Pubblici(2) 1,9 0,5 0,8 2,0 0,8 0,8 1,6 1,0 0,9 2,0 1,1 1,0 TOTALE Fonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale. (1) Comprendono commercio, alberghi, trasporti, intermediazione creditizia, servizi vari ad imprese e famiglie. (2) Comprendono Amministrazioni Pubbliche, istruzione, sanità e altri servizi pubblici, servizi domestici presso le famiglie. Il tasso di disoccupazione proseguirebbe nel percorso (unità di lavoro standard dati destagionalizzati) 25.500 di ridimensionamento in atto da oltre un decennio, portan0,9 25.250 dosi al 6% nel 2008. Tale ridu1,0 zione si verificherebbe, come 25.000 1,6 di seguito illustrato, in presen24.750 za di qualche pressione salariale in un anno di rinnovi 24.500 -0,4 -0,2 contrattuali, senza che, però, 0,6 24.250 ciò si traduca in un surriscal1,3 damento del sistema produtti24.000 vo. In altri termini, l’economia 2002 2003 2004 2005 2006 2007* 2008* italiana sembrerebbe in grado Fonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale. di continuare a mantenere una condizione di sostanziale moderazione retributiva pur con un tasso di disoccupazione che si dirige verso una soglia quasi da anni sessanta. Il motivo è fondamentalmente da ricercare nel significativo abbattimento del tasso di disoccupazione di equilibrio, conseguente all’aumento di flessibilità che ha caratterizzato il mercato del lavoro italiano tanto dal lato dell’offerta che della domanda (si veda per evidenze sull’argomento il capitolo Modifiche istituzionali e cambiamenti strutturali nel mercato del lavoro italiano nella seconda parte di questo Rapporto). La Graf. 8 - OCCUPAZIONE TOTALE - 120 - Previsioni per l’Italia 2007-2008 diminuzione della disoccupazione strutturale, fenomeno non osservato e difficile da quantificare, è da tempo andata, probabilmente, ben al di là di quanto dicono le misure statistiche basate su tecniche di filtro (che la collocano ultimamente tra il 7 e l’8%). Questa considerazione ha, evidentemente, implicazioni anche per la stima del prodotto potenziale, altro fenomeno non osservato e di (molto) imperfetta misurazione. Una disoccupazione di equilibrio che in effetti si fosse (da tempo) collocata alcuni punti percentuali sotto il valore che è normalmente incorporato nelle stime dell’output potenziale italiano (dando luogo, quindi, a una stima dell’occupazione “teorica” di pieno impiego superiore a quella ipotizzata) comporterebbe, di per sé, un livello del prodotto di equilibrio di lungo periodo del nostro Paese più elevato di quello indicato nelle valutazioni correntemente utilizzate. Tab. 4 RETRIBUZIONE E COSTO DEL LAVORO PRO CAPITE (variazioni percentuali) Retribuzione 2006 2007* Costo del lavoro 2008* 2006 2007* 2008* Agricoltura 1,4 2,0 1,6 1,0 1,4 1,5 Industria 3,1 2,9 2,8 2,6 2,6 2,7 3,2 3,0 3,0 2,7 2,7 2,9 -in senso stretto -costruzioni Servizi 2,9 2,9 2,0 2,3 2,6 2,0 2,7 1,8 2,7 2,5 1,7 2,7 -Privati(1) 2,6 2,4 2,8 2,3 2,0 2,8 -Pubblici(2) 2,8 1,1 2,5 2,8 1,3 2,6 2,8 2,1 2,7 2,5 2,0 2,7 TOTALE Fonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale. (1) Comprendono commercio, alberghi, trasporti, intermediazione creditizia, servizi vari ad imprese e famiglie. (2) Comprendono Amministrazioni Pubbliche, istruzione, sanità e altri servizi pubblici, servizi domestici presso le famiglie. Per quanto concerne le retribuzioni, le ipotesi di dinamica salariale per il biennio 2007-08 si basano sulle erogazioni contemplate negli accordi in essere e sulle nuove tornate contrattuali che interesseranno soprattutto il prossimo anno. Nel quadro ISAE, le retribuzioni pro-capite aumenterebbero nell’intera economia del 2,1% nel 2007 e del 2,7% nel 2008. Il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP), riflettendo anche il relativo rafforzamento della produttività (il cui incremento, misurato sul valore aggiunto per addetto, sarebbe pari a poco meno l’1% nel 2007 e 2008, contro un rialzo marginale registrato lo - 121 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Inflazione scorso anno), rallenterebbe quest’anno, attestandosi su un aumento dell’1,3%. Nel 2008, le dinamiche retributive un pò più sostenute porterebbero a un rialzo del costo unitario del lavoro dell’1,9%. Gli andamenti del CLUP nell’industria in senso stretto si collocherebbero al di sotto di questi incrementi (+1,2% e +1,7%, rispettivamente nei due anni), risentendo di un più consistente rafforzamento della produttività (+1,5% e +1,2% nel 2007 e 2008) che consentirebbe di compensare dinamiche salariali più elevate di quelle medie dell’economia. A inizio d’anno le tendenze dei prezzi a livello di distribuzione finale non sono risultate univoche. Dopo un deciso rallentamento in gennaio, con un tasso sceso all’1,7% (valore più basso dall’agosto del 1999), a febbraio l’inflazione è infatti risultata in leggero aumento (1,8%). La risalita dell’ultimo mese è riconducibile principalmente ad una dinamica più vivace nel settore dei servizi privati, in presenza di alcune tendenze che si sono viceversa consolidate per altre voci. In particolare, si è accentuata la decelerazione dei prezzi delle voci energetiche, con nuove flessioni per la componente libera e ulteriori rallentamenti in quella regolamentata. Nel quadro previsivo dell’ISAE, la discesa dei prezzi dei beni energetici, in linea con la prevista normalizzazione delle condizioni sui mercati petroliferi, rappresenta uno degli elementi più importanti nel mantenere moderati gli sviluppi futuri dell’inflazione. Al rientro delle spinte provenienti da questo raggruppamento, che potrebbe confermare tassi di variazione tendenziali negativi dal secondo trimestre di quest’anno, si accompagnerebbe infatti una ripresa della dinamica dei prezzi per le principali componenti di fondo come effetto di una più intensa traslazione dei passati maggiori costi intermedi: con ritmi più moderati nei beni e più sostenuti per i servizi. La crescita su base annua dei prezzi al consumo (misurati in base all’indice nazionale per l’intera collettività) dovrebbe oscillare nell’immediato intorno ai tassi attuali, decelerando appena all’inizio dell’estate; successivamente, la dinamica tendenziale dovrebbe gradualmente accelerare, portandosi a fine anno su tassi superiori al 2%. Grazie anche ad un acquisito congiunturale ereditato dal 2006 estremamente contenuto (0,5 punti percentuali), nella media del 2007 l’inflazione metterebbe comunque in evidenza una riduzione, risultando pari all’1,8%, tre decimi in meno rispetto all’anno precedente. In termini di indice armonizzato, la variazione dei prezzi sarebbe leggermente più elevata, ma sempre in riduzione rispetto al 2006 (1,9% a fronte del - 122 - Previsioni per l’Italia 2007-2008 2,2%), con un divario inflazionistico rispetto all’area dell’euro che dovrebbe tornare, anche se marginalmente, a nostro sfavore (è stato nullo nel 2005 e nel 2006). Nel 2008, l’inflazione doGraf. 9 - PREZZI AL CONSUMO vrebbe risultare un po’ più so(indice nazionale intera collettività, variazioni %) 3,0 stenuta rispetto a quella dell’anno in corso. In base alle 2,7 2,8 ipotesi precedentemente espo2,6 ste circa lo scenario esogeno 2,2 2,4 di riferimento, accanto a spin2,1 te relativamente contenute sui 2,2 costi intermedi di origine 1,9 2,0 2,0 esterna acquisteranno intensità 1,8 1,8 maggiore le pressioni inflazionistiche endogene. In partico1,6 2003 2004 2005 2006 2007* 2008* lare, la dinamica dei prezzi sconterà una accelerazione del Fonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale. costo del lavoro per unità di prodotto, con tensioni più pronunciate nel settore dei servizi privati. In un quadro in cui il contributo dei prezzi del raggruppamento degli energetici nel corso dell’anno tornerà ad essere marginalmente positivo, l’inflazione continuerà ad essere sostenuta principalmente dalle spinte provenienti dalle componenti di fondo. Il tasso di incremento tendenziale dovrebbe scendere nei primi mesi su valori appena inferioTab. 5 PREZZI INTERNI (variazioni percentuali) 2006 Indice generale prezzi al consumo 2007* 2008* 2,1 1,8 2,0 alimentari 2,2 2,7 2,0 energetici 8,1 -1,7 0,2 non alimentari e non energetici 1,5 1,9 2,2 - beni 0,8 1,0 1,4 - servizi 2,1 2,6 2,8 Indice armonizzato prezzi al consumo 2,2 1,9 2,0 Indice generale prezzi alla produzione 5,6 1,9 1,4 alimentari 2,2 2,9 1,7 energetici 16,1 -1,5 0,1 non alimentari e non energetici 3,4 2,7 1,6 p.m. Fonte: elaborazione ISAE su dati ISTAT. * Previsioni ISAE; 2008 tendenziale. - 123 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Deficit e debito nel biennio 2007-2008 ri a quelli toccati alla fine del 2007 e oscillare intorno ad essi per gran parte dell’anno. Nella media del 2008, l’inflazione si riporterebbe così al 2%, due decimi in più rispetto all’anno precedente. Anche in termini di indice armonizzato, l’incremento dei prezzi potrebbe risultare pari al 2%, con un differenziale rispetto alla media dell’area euro che tornerebbe ad annullarsi Nel biennio 2007-08 continuano a manifestarsi, secondo le previsioni dell’ISAE, andamenti favorevoli per i conti pubblici, dopo il miglioramento registrato nel 2006 al netto degli oneri straordinari, grazie anche alla consistente manovra predisposta per il 2007. Il disavanzo delle Amministrazioni Pubbliche, infatti, dovrebbe rimanere sostanzialmente sui livelli acquisiti lo scorso anno, scendendo appena al 2,3% del PIL nel 2007 per poi posizionarsi nuovamente al 2,4% nel 2008. La condizione positiva dei conti pubblici appare, tuttavia, connessa a livelli della pressione fiscale molto elevati, mai riscontrati e superati solo nel 1997, anno di valutazione ai fini dell’ammissione all’area della moneta unica. Livelli sorretti anche dagli 8-10 miliardi di risorse aggiuntive, ufficialmente valutate come strutturali, di cui, secondo le indicazioni del Ministro dell’Economia e delle Finanze, 7,5 miliardi dovrebero assicurare la correzione strutturale per il 2008 e 2,5 miliardi potrebbero invece essere utilizzati per riduzioni di entrate o incrementi di spesa. Eventuali ulteriori disponibilità dovrebbero derivare da risparmi di spesa. Per l’anno in corso, le previsioni del nostro Istituto prudenzialmente scontano alcuni fattori di cautela, con un impatto della manovra rivisto alla luce dei risultati dello scorso anno. In primo luogo, non vengono contabilizzate le entrate che dovrebbero scaturire dalla riforma dell’imposizione sui redditi delle attività finanziare, i cui tempi di approvazione sono incerti. In secondo luogo, si ipotizzano incassi dovuti al complesso delle misure volte a contrastare l’evasione e l’elusione fiscale inferiori alle quantificazioni ufficiali indicate nelle relazioni tecniche. Ciò per evitare duplicazioni di gettito già incorporato negli andamenti tendenziali se, come appare plausibile, parte della favorevole evoluzione delle entrate del 2006 è collegabile a un miglioramento della tax compliance indotta anche dagli interventi predisposti. In terzo luogo - dato l’andamento contenuto di talune uscite nel 2006, con forti riduzioni fatte registrare dallo Stato - si valutano comportamenti di - 124 - Previsioni per l’Italia 2007-2008 spesa più dinamici nell’anno in corso, specie con riferimento agli investimenti sia statali che delle Amministrazioni Locali. Queste ultime, in particolare, hanno mostrato nel 2006 un incremento della costituzione di capitali fissi limitato e inferiore a quanto concesso dalle regole del Patto di stabilità interno, dopo aver subito nel 2005 una forte riduzione (-5,5%) a causa dell’inserimento per la prima volta di tale voce nelle norme pattizie. Così come si ritiene che l’implementazione di talune misure di razionalizzazione e riorganizzazione della P.A. possa richiedere tempi più lunghi. Per il 2008, data l’evoluzione congiunturale con il conseguente andamento delle entrate e grazie alla mancanza di una tantum e alla natura permanente degli strumenti di correzione adottati nell’ultima legge finanziaria, le Amministrazioni Pubbliche potrebbero mostrare, come indicato, un disavanzo tendenziale appena superiore a quello dell’anno precedente. Graf. 10 - DISAVANZI DEL CONTO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE (milioni di euro) 90000 60000 30000 0 -30000 2004 2005 Disavanzo co rrente 2006 2007* Disavanzo in co nto capitale 2008* Indebitamemto netto Fonte:ISTAT. * Previsioni ISAE, 2008 tendenziale. Il rapporto debito/PIL torna a calare: si riduce nei due anni, grazie a un ridimensionamento del fabbisogno della P.A.. Dal 106,8% del PIL registrato nel 2006, il debito potrebbe scendere al 105,6% nell’anno in corso e al 104,6% nel 2008. Nelle valutazioni non sono, peraltro, incorporati eventuali incassi derivanti da dismissioni mobiliari mentre - dati i tempi necessari all’operazione - viene formulata una ipotesi di rimborsi dell’IVA sulle auto pari a quattro miliardi di euro in ognuno dei - 125 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Tab. 6 CONTO ECONOMICO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE (milioni di euro) 2006 2007* 2008* 2006 2007 2008 Redditi da lavoro dipendente 162.999 165.400 171.000 4,1 1,5 Consumi intermedi e prestazioni sociali in natura 119.600 122.200 126.900 0,6 2,2 3,8 16.913 17.700 18.500 11,7 4,7 4,5 299.512 305.300 316.400 3,1 1,9 3,6 USCITE Altre poste consumi finali Spesa per consumi finali Contributi alla produzione Prestazioni sociali in denaro Altre spese correnti Spese correnti al netto interessi Interessi passivi 3,4 13.539 15.000 14.400 4,4 10,8 -4,0 252.993 264.400 275.700 4,4 4,5 4,3 22.981 25.000 26.500 0,9 8,8 6,0 589.025 609.700 633.000 3,6 3,5 3,8 67.552 73.500 75.600 5,2 8,8 2,9 656.577 683.200 708.600 3,7 4,1 3,7 33.850 36.100 37.200 1,7 6,6 3,0 Contributi agli investimenti 22.067 23.700 23.700 -0,2 7,4 0,0 Altre spese in c/capitale 32.303 4.600 5.500 1.668,1 -85,8 19,6 TOTALE SPESE CORRENTI Investimenti TOTALE SPESE IN CONTO CAPITALE 88.220 64.400 66.400 54,2 -27,0 3,1 TOTALE SPESE AL NETTO INTERESSI 677.245 674.100 699.400 8,2 -0,5 3,8 TOTALE SPESE 744.797 747.600 775.000 7,9 0,4 3,7 Imposte dirette 213.664 225.200 233.300 12,4 5,4 3,6 Imposte indirette 218.250 222.300 228.100 7,8 1,9 2,6 Contributi sociali 192.038 207.600 216.400 4,7 8,1 4,2 51.630 52.600 53.900 4,0 1,9 2,5 675.582 707.700 731.700 8,0 4,8 3,4 4.472 4.500 4.700 -23,5 0,6 4,4 680.054 712.200 736.400 7,7 4,7 3,4 ENTRATE Altre entrate correnti TOTALE ENTRATE CORRENTI ENTRATE IN CONTO CAPITALE TOTALE ENTRATE SALDO CORRENTE 19.005 24.500 23.100 SALDO IN CONTO CAPITALE -83.748 -59.900 -61.700 INDEBITAMENTO NETTO -64.743 -35.400 -38.600 2.809 38.100 37.000 INDEBITAMENTO NETTO AL NETTO INTERESSI Fonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; anno 2008 tendenziale. - 126 - Previsioni per l’Italia 2007-2008 Tab. 7 CONTO ECONOMICO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE (in percentuale del PIL) 2006 2007* 2008* USCITE Redditi da lavoro dipendente 11,0 10,8 10,7 Consumi intermedi e prestazioni sociali in natura 8,1 8,0 7,9 Altre poste consumi finali 1,1 1,2 1,2 20,3 19,9 19,8 Spesa per consumi finali Contributi alla produzione Prestazioni sociali in denaro Altre spese correnti Spese correnti al netto interessi Interessi passivi 0,9 1,0 0,9 17,1 17,2 17,2 1,6 1,6 1,7 39,9 39,7 39,6 4,6 4,8 4,7 44,5 44,5 44,3 Investimenti 2,3 2,3 2,3 Contributi agli investimenti 1,5 1,5 1,5 Altre spese in c/capitale 2,2 0,3 0,3 TOTALE SPESE CORRENTI TOTALE SPESE IN CONTO CAPITALE 6,0 4,2 4,2 TOTALE SPESE AL NETTO INTERESSI 45,9 43,9 43,7 TOTALE SPESE 50,5 48,6 48,4 Imposte dirette 14,5 14,7 14,6 Imposte indirette 14,8 14,5 14,3 Contributi sociali 13,0 13,5 13,5 3,5 3,4 3,4 45,8 46,0 45,7 0,3 0,3 0,3 46,1 46,3 46,0 ENTRATE Altre entrate correnti TOTALE ENTRATE CORRENTI ENTRATE IN CONTO CAPITALE TOTALE ENTRATE SALDO CORRENTE 1,3 1,6 1,4 SALDO IN CONTO CAPITALE -5,7 -3,9 -3,9 INDEBITAMENTO NETTO -4,4 -2,3 -2,4 0,2 2,5 2,3 42,3 42,6 42,4 106,8 105,6 104,6 INDEB. NETTO AL NETTO INTERESSI (1) PRESSIONE FISCALE INTERNA (2) DEBITO PUBBLICO Fonte: ISTAT. * Previsioni ISAE; anno 2008 tendenziale. (1) Eventuali mancate quadrature sono dovute all'arrotondamento delle cifre decimali. (2) (Imposte dirette, imposte indirette, contributi sociali, imposte in conto capitale)/PIL. Al netto della quota delle risorse proprie IVA di pertinenza dell'Unione Europea. - 127 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Manovra per il 2007 due anni. Per tali restituzioni sono previste analoghe riduzioni delle attività del Tesoro detenute presso la Banca d’Italia. Come già ricordato, determinante ai fini del consolidamento fiscale è la manovra finanziaria per l’anno in corso che ha disposto, secondo le valutazioni ufficiali, una correzione netta dei conti tendenziali di oltre 15 miliardi di euro, pari all’1% del PIL. Alle misure di contenimento per circa 39,1 miliardi sono state affiancate risorse destinate a specifiche funzioni dello Stato, al sostegno dell’economia e all’equità sociale per 24 miliardi. Con riferimento alle risorse complessive da reperire per il miglioramento del disavanzo e guardando ai principali strumenti identificati, sul versante delle entrate, gran parte del gettito (prudenzialmente ridotto nelle previsioni) deriva da misure relative al contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale (4,8 mld.), al recupero di base imponibile (2,1 mld.) e in materia di riscossione (1,2 mld.). Introiti per circa 6 miliardi sono connessi all’istituzione di un Fondo per l’erogazione dei trattamenti di fine rapporto (TFR) gestito dall’INPS per conto dello Stato, alimentato dai datori di lavoro delle imprese con più di 50 addetti, sulla base del 50% dei flussi inoptati; incassi per 4,8 miliardi sono dovuti agli aumenti delle aliquote contributive per artigiani, commercianti, parasubordinati, lavoratori dipendenti, apprendisti e immigrati; 510 milioni discendono da misure di razionalizzazione e valorizzazione del patrimonio pubblico, 538 milioni sono connessi a norme sul bollo auto, 778 milioni affluiscono dagli interventi sul catasto e 741 da quelli sui giochi. Ulteriori 1,1 miliardi (prudenzialmente non considerati nelle previsioni) potrebbero scaturire da quanto disposto in base alla delega sul riordino della tassazione delle rendite finanziare. Sul versante delle uscite, i risparmi più consistenti derivano dal Patto di stabilità interno per 3,3 miliardi, da misure di razionalizzazione della Pubblica Amministrazione, riguardanti sia la spesa corrente che quella in conto capitale in particolare del bilancio dello Stato, per un importo complessivo di 3,5 miliardi, nonché da interventi sulla sanità (tra cui ticket sulle prestazioni specialistiche, contenimento spese e spesa farmaceutica) per 2,9 miliardi. Per quanto riguarda, invece, le norme a sostegno dell’economia, la misura più importante, tra quelle che implicano un minor gettito, è riferita alla riduzione del cuneo fiscale (2,5 mld.); inoltre persistono rilevanti proroghe di agevolazioni fiscali (per 1,1 mld.). Le maggiori - 128 - Previsioni per l’Italia 2007-2008 erogazioni di natura corrente (9,8 mld.) riguardano - principalmente la rideterminazione degli importi dell’assegno al nucleo familiare (1 mld.), il pubblico impiego in relazione ai rinnovi contrattuali del biennio economico 2006-07 (1,1 mld.), il fondo per le missioni di pace e le spese per il funzionamento delle forze armate (rispettivamente 1 mld. e 350 mln.), maggiori trasferimenti alle imprese pubbliche (465 mln.) e interventi a sostegno dell’autotrasporto merci (238 mln.), le prestazioni TFR da erogare (497 mln.), gli interventi di disoccupazione ordinaria e mobilità (320 mln.), i fondi per le politiche della famiglia, per le non autosufficienze e per quelle giovanili (77, 60 e 52 mln.). Le maggiori spese in conto capitale (6,6 mld.) concernono sostanzialmente - investimenti e apporti di capitale alle Ferrovie (2,4 mld.), l’esclusione dalla regola del limite del 2% alla crescita per talune spese (cofinanziate dalla UE e relative alle attività portuali, per 550 e 100 mln.) e altre misure per lo sviluppo e la ricerca (FIRST, fondo competitività e sviluppo, fondo veicoli mobilità pendolari, per 350 mln.). Secondo le previsioni dell’ISAE, l’avanzo primario del conto delle Amministrazioni Pubbliche dovrebbe aumentare ancora al 2,5% del PIL nell’anno in corso (dal precedente 2,2% al netto degli esborsi straordinari) per poi ridursi al 2,3% nelle tendenze del 2008. Il maggior surplus del 2007 riflette una stabilizzazione della incidenza sul PIL delle spese primarie (al 43,9%) - dovuta a una diminuzione sul PIL di Graf. 11 - RAPPORTO DEBITO/PIL (Amministrazioni Pubbliche - definizione UE) 5 110,0 4 108,0 3 106,0 2 104,0 1 102,0 0 100,0 2004 2005 2006 2007* Variazio ni percentuali del debito pubblico (scala a sinistra) Variazio ni percentuali del P IL (scala a sinistra) Rappo rto debito pubblico /P IL (scala a destra) Fonte: Banca d'Italia e ISTAT. *Previsioni ISAE, 2008 tendenziale. - 129 - 2008* Avanzo primario e spesa per interessi nel biennio 2007-2008 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Uscite primarie nel biennio 2007-2008 quelle correnti, dato il rialzo delle uscite in conto capitale - e un incremento di due decimi del complesso delle entrate (al 46,3%). Nel prossimo anno, queste ultime dovrebbero invece calare in termini di prodotto più di quanto atteso per le spese primarie. L’onere per il servizio del debito cresce notevolmente nel 2007, portandosi al 4,8% del PIL dopo il 4,6% dell’anno prima, per ridursi appena nel 2008. Tale andamento sconta anche l’evoluzione attesa dei tassi di interesse, con l’ipotesi di un saggio medio sui BOT a dodici mesi che, dopo essere aumentato al 3,3% lo scorso anno dal precedente 2,2%, continua nella sua espansione nei due anni della previsione, portandosi al 4,1% nel 2007 per poi salire ancora al 4,4% nella media del 2008. Escludendo le componenti straordinarie del 2006, le uscite primarie mostrano un incremento superiore a quello del PIL nell’anno in corso ma inferiore nel prossimo. In termini di PIL, a delle spese correnti primarie in riduzione nel biennio, si affiancano erogazioni in conto capitale in crescita nell’anno in corso e stabili nel prossimo a causa dei differenti impatti della manovra nei due anni. All’interno della spesa corrente primaria, i redditi da lavoro dipendente, dopo le forti crescite registrate negli ultimi due anni a causa dei rinnovi contrattuali, nel periodo in esame incorporano le risorse stabilite nella legge finanziaria per il rinnovo del biennio economico 2006-07 - con un aumento complessivo del 4,46% -, che impattano maggiormente sul 2008 (al +4,1% registrato nel 2006 fanno seguito un +1,5% e poi un +3,4%). L’insieme dei consumi intermedi e delle prestazioni sociali in natura mostra una dinamica ancora abbastanza contenuta nell’anno in corso (+2,2%) ma con una accelerazione successiva (+3,8%). In particolare, i consumi intermedi tornano a crescere dopo la riduzione sperimentata nel 2006, legata soprattutto al forte decremento riscontrato a livello centrale. Mentre le prestazioni in natura segnerebbero un incremento molto modesto nell’anno in corso per poi tornare ad espandersi a ritmi abbastanza sostenuti. Sul 2007 dovrebbero, infatti, agire i notevoli interventi di correzione, riguardanti sia la spesa farmaceutica sia i ticket sulle prestazioni specialistiche, anche se le Regioni sperano di poter adottare misure diverse da tali compartecipazioni. Con riferimento, infine, alle prestazioni sociali in denaro, la loro evoluzione permane su ritmi superiori a quelli del PIL, risentendo tra l’altro della rideterminazione degli importi dell’assegno al nucleo fa- - 130 - Previsioni per l’Italia 2007-2008 miliare, dell’avvio delle erogazioni del TFR e dell’aumento - sia di importo che di durata - dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori non agricoli. Quanto alle uscite in conto capitale, particolarmente rilevanti risulteranno gli interventi di aumento di spesa per il 2007; tra questi notevoli sono le risorse destinate alle Ferrovie dello Stato sia per investimenti sulla rete tradizionale che per il rifinanziamento del sistema dell’Alta Velocità. L’incidenza sul PIL delle spese in conto capitale raggiunge il 4,2% in entrambi gli anni, in aumento rispetto al 4% del periodo precedente (sempre al netto degli oneri straordinari). Dopo la notevolissima crescita registrata nel 2006 (+7,7%), nell’anno in corso le entrate complessive dovrebbero mostrare una dinamica ancora sostenuta (+4,7%), determinata dalla componente di parte corrente (+4,8%). Gli introiti in conto capitale, infatti, sono previsti solo in leggero aumento (+0,6), a causa dell’andamento dei contributi agli investimenti. All’interno delle entrate, tuttavia, gli incrementi appaiono differenziati. In rilevante espansione saranno sia le imposte dirette sia, soprattutto i contributi sociali, mentre ben più modesti dovrebbero essere gli aumenti riguardanti le imposte indirette, le altre entrate correnti nonché - come appena ricordato - quelle in conto capitale. Nell’ambito delle entrate tributarie correnti, le imposte dirette mostrano ancora un buon incremento (+5,4% dopo il +12,4% del 2006), sorretto dai provvedimenti della manovra e, in particolare, da quelli riguardanti il contrasto all’evasione ed elusione fiscale (seppure valutati prudenzialmente nell’insieme delle entrate) e dalle norme di compensazione del minor gettito stimato come conseguenza della sentenza della Corte di giustizia europea. Quest’ultimo evento ha, infatti, implicato un contenimento delle imposte indirette (+1,9%) collegato, tuttavia, anche agli interventi di riduzione del cuneo fiscale, praticati sull’IRAP. Quanto ai contributi sociali, nell’anno in corso si registrerà un aumento molto rilevante (+8,1%) connesso sia agli incrementi delle aliquote contributive disposti sia alla contabilizzazione delle risorse per il fondo di erogazione del TFR. La crescita delle altre entrate correnti dovrebbe decelerare (+1,9% fronte del +4% del 2006), dopo i notevoli introiti per dividendi registrati lo scorso anno. Nel 2008, l’incremento del complesso delle entrate dovrebbe risultare più contenuto (+3,4%), rispecchiando il più consistente effetto - 131 - Entrate e pressione fiscale nel biennio 2007-2008 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 di riduzione del cuneo fiscale e un impatto più limitato rispetto al 2007 delle misure correttive disposte in precedenza, in particolare nel decreto del luglio 2006. Secondo le stime dell’ISAE, gli andamenti sopra descritti condurranno nel 2007 a un ulteriore aumento delle pressione fiscale al 42,6% (dopo quello, si ricorda, notevolissimo registrato nel 2006 dal 40,6% al 42,3%), connesso peraltro sostanzialmente alla contabilizzazione del fondo per il TFR. Il prossimo anno, secondo gli sviluppi tendenziali, la pressione fiscale dovrebbe scendere al 42,4% in conseguenza degli impatti delle manovre sopra citate. Al netto degli incassi dovuti per il TFR, la pressione fiscale nel 2007 rimarrebbe sullo stesso livello dell’anno precedente e nel 2008 si posizionerebbe al 42 per cento. - 132 - Previsioni per l’Italia 2007-2008 MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007 (milioni di euro) (1) Effetto sull’indebitamento netto (aumento +) Descrizione dei provvedimenti Entrate (aumento +) Spese (aumento +) 1) IMPOSTE DIRETTE + 14.512,51 -- -14.512,51 Disposta la revisione delle aliquote IRPEF. Gli scaglioni sono modificati come segue: Fino a 15.000, aliquota del 23 %; da 15.001 a 28.000 27%; da 28.001 a 55.000 38%; da 55.001 a 75.000 41%; oltre 75.000 43%. Le deduzioni da lavoro dipendente, pensione, lavoro autonomo e altri redditi introdotte nei due moduli vengono sostituite da un nuovo sistema di detrazioni (Legge finanziaria 2007, 27 dicembre 2006, n. 296) +303 -- -303 E’ disposto che la dichiarazione dei redditi deve contenere tutte le indicazioni utili ai fini del trattamento dell’Imposta Comunale sugli Immobili (Legge finanziaria 2007, già citata). +360 -- -360 E’ modificato il versamento dell’addizionale comunale per l’IRPEF: lo stesso deve essere effettuato in acconto e a saldo unitamente a quello dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (Legge finanziaria 2007, già citata). +500 -- -500 Prevista l’equiparazione a fini Ires-Ire delle spese per la telefonia fissa e mobile Altre disposizioni su fringe benefits auto aziendali (Legge finanziaria 2007, già citata). +273,7 -- -273,7 E’ prorogato per gli anni d’imposta successivi al 2006 il meccanismo di incremento automatico delle aliquote di addizionale IRPEF e delle maggiorazioni IRAP che scatta nel caso di disavanzo sanitario regionale non coperto (Legge finanziaria 2007, già citata). + 1.401 -- -1.401 Previste misure in materia di accertamento, riscossione e contrasto dell'evasione ed elusione fiscale dell’Irpef/Ires e altre imposte dirette nonche' interventi di potenziamento dell'amministrazione economicofinanziaria (Decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262). +218,7 -- -218,7 Previste misure in materia di accertamento, riscossione e contrasto dell'evasione ed elusione fiscale dell’IVA e dell’Irap nonché 2interventi di potenziamento dell'amministrazione economico-finanziaria (Decreto-Legge 3 ottobre 2006, n. 262). +745 -- -745 Disposti interventi per il recupero della base imponibile Ires (in particolare, relativamente all’ammortamento di beni immobili in leasing) (Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262). +1.292 -- -1.292 Decisi interventi sulle imposte dirette, in particolare in materia di detraibilità auto ai fini Ires/Irpef (Decreto -legge 3 ottobre 2006, n. 262). +4.700 -- -4.700 Previsti interventi sulle imposte dirette, in particolare in materia di detraibilità auto ai fini Irap (Decreto -legge 3 ottobre 2006, n. 262). +762 -- -762 Decise misure varie in materia di riscossione Decreto-Legge 3 ottobre 2006, n. 262). +1.200 -- -1.200 Previste misure per il recupero della base imponibile Irap (Decretolegge 3 ottobre 2006, n. 262). +237 -- -237 Disposto l’obbligo per condomini di operare, in qualità di sostituto di imposta, una ritenuta a titolo di acconto sui corrispettivi per prestazioni relative a contratti di appalto di opere o servizi effettuate nell’esercizio di impresa (Legge finanziaria 2007, già citata). +110 -- -110 Decisi interventi per l’ accertamento e il contrasto all’evasione ed elusione fiscale per l’IVA (Legge finanziaria 2007, già citata). +964 -- -964 Disposte misure in materia di accertamento e di contrasto all’evasione ed elusione fiscale per l’Irpef/Ires (Legge finanziaria 2007, già citata). +1.917 -- -1.917 Previste misure per l’aggiornamento del catasto terreni (Decretolegge 3 ottobre 2006, n. 262). +570,8 -- -570,8 (1) Valutazioni ufficiali. - 133 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007 (milioni di euro) (1) Entrate (aumento +) Descrizione dei provvedimenti Spese (aumento +) Effetto sull’indebitamento netto (aumento +) Previsti sgravi fiscali (Legge finanziaria 2007, già citata). -482 -- +482 Sono previste estensioni ed incremento franchigia nel caso di successioni per portatori di handicap, fratelli e sorelle (Legge finanziaria 2007, già citata). -40,5 -- +40,5 Abolita la sostitutiva plusvalenza per i terreni (Legge finanziaria 2007, già citata). -51,6 -- +51,6 Disposta la proroga per il 2007 delle agevolazioni tributarie in materia di recupero edilizio (Legge finanziaria 2007, già citata). -154,5 -- +154,5 Previste detrazioni per i redditi da lavoro dipendente a tempo determinato. Altre disposizioni per detrazione delle spese per la frequenza degli asili nido (Legge finanziaria 2007, già citata). -70,09 -- +70,09 E’ confermato il divieto di dedurre ai fini Irpef i costi per le auto aziendali (Legge finanziaria 2007, già citata). -243 -- +243 -5.725,45 -- +5.725,45 Previste limitazioni alla possibilità di effettuare “compensazioni”. E’ disposta la comunicazione in via telematica all’Agenzia delle Entrate, entro il quinto giorno precedente quello in cui hanno intenzione di effettuare l’operazione di versamento con compensazione, l’importo e la tipologia di crediti oggetto della successiva compensazione; entro il terzo giorno successivo alla comunicazione, l’Agenzia delle Entrate dovrà comunicare l’esito dei suoi controlli al contribuente e in caso di mancata comunicazione varrà il silenzio-assenso che consentirà quindi che l’operazione di compensazione possa essere effettuata (Legge finanziaria 2007, già citata). +370 -- -370 Prevista la riduzione dei trasferimenti erariali in favore delle province autonome di Trento e Bolzano per il pagamento del bollo auto (Legge finanziaria 2007, già citata). +538 -- -538 Prevista la riassegnazione al Ministero dell’ambiente delle somme versate allo Stato a titolo di risarcimento del danno ambientale a seguito della sottoscrizione degli accordi transattivi negli anni 2005 e 2006 (Legge finanziaria 2007, già citata). +185 -- -185 Disposizioni in materia di immobili e altre varie (Legge finanziaria 2007, già citata). +509,7 -- -509,1 Disposto aumento delle tariffe della motorizzazione; previsto incremento canoni autostrade e pedaggi ANAS (Legge finanziaria 2007, già citata). +106 -- -106 Disposte misure in materia di accertamento e di contrasto all’evasione ed elusione fiscale per l’Irap (Legge finanziaria 2007, già citata). +407 -- -407 Abrogata la disposizione che prevedeva una modifica alla detraibilità dell’IVA sugli acquisti relativi a esercizio, prestazioni di mandato, mediazione ed intermediazione su lotto, lotterie, concorsi pronostici e scommesse. Altre misure varie in materia di giochi (Legge finanziaria 2007, già citata). +801,35 -- -801,35 Deciso un incremento, rispetto all’anno 2004, dell’aliquota di base (per accisa ed IVA) per i tabacchi lavorati (Legge finanziaria 2007, già citata). +100 -- -100 Disposizioni in materia di IVA per rottamazione veicoli e bonus acquisto autoveicoli (Legge finanziaria 2007, già citata). +435 -- -435 Altre disposizioni in materia di Iva veicoli (Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262). +500 -- -500 Previste misure di accertmaneto e controllo per imposta di registro (Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262). +25 -- -25 2) IMPOSTE INDIRETTE (1) Valutazioni ufficiali. - 134 - Previsioni per l’Italia 2007-2008 MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007 (milioni di euro) (1) Entrate (aumento +) Descrizione dei provvedimenti Spese (aumento +) Effetto sull’indebitamento netto (aumento +) Stabilito l’incremento dell’imposta sostitutiva per le cessioni a titolo oneroso di immobili e terreni (Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262) +77 -- -77 Disposizioni in materia di razionalizzazione dell’accatastamento degli immobili nella categoria E ai fini ICI, e adeguamento dei moltiplicatori degli immobili di categoria B. Altre disposizioni in materia di imposte ipotecaria e catastale e di registro in caso di successioni e donazioni (Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262). +240 --- -240 Nuove previsioni in materia di tasse automobilistiche per cambio di destinazione veicoli. Previsti altri interventi su tassa motocicli (Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262). +152,2 --- -152,2 Interventi su accisa GPL e gasolio carburanti; altri intervanti su fondo promozione GPL e rimborso autotrasporto (Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262) +111,5 --- -111,5 Decisi interventi sul fondo finanziamento comuni per funzioni catastali; altre previsioni su tasse ipotecarie e diritti catastali (Decretolegge 3 ottobre 2006, n. 262) +92 --- -92 Introdotte modifiche nella disciplina delle società non operative o "di comodo". In particolare, rilevanza, ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive, del reddito minimo, e la riproposizione della agevolazioni riconosciute in caso di scioglimento o trasformazione in società semplice (Legge finanziaria 2007, già citata). -62,6 --- +62,6 Disposte agevolazioni IRAP per l’agricoltura (Legge finanziaria 2007, già citata). -348,1 --- +348,1 Misure volte a ridurre l’incidenza del costo del lavoro ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive, introducendo nuove forme di deduzione dalla base imponibile del tributo regionale aventi ad oggetto il costo del personale dipendente. Disposizioni rientranti nella più ampia manovra concernente la riduzione del c. d. cuneo fiscale e contributivo (Legge finanziaria 2007, già citata). -2.450 --- +2.450 Sono previsti trasferimenti a favore delle regioni in disavanzo a garanzia del gettito Irap (Legge finanziaria 2007, già citata). -89,8 --- +89,8 Effetti della sentenza della Corte di giustizia europea sull’Imposta sul valore aggiunto (Decreto -legge 3 ottobre 2006, n. 262). -5.280 --- +5.280 Minori interventi correttivi in sanità (Legge finanziaria 2007, già citata). -1.290 --- +1.290 Disposizioni su accisa gas metano per usi industriali (Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262) -128,4 --- +128,4 Proroga a tutto il 2007 delle agevolazioni tributarie per formazione e arrotondamento della proprietà contadina (Legge finanziaria 2007, già citata). -112,5 --- +112,5 Prevista la proroga per l’anno 2007 della riduzione del 40% dell’aliquota d’accisa per il gas metano per combustione per uso industriale, laddove si verifichino consumi superiori a 1,2 milioni di mc per anno. Altre disposizioni per emulsioni stabilizzanti e energia geotermica (Legge finanziaria 2007, già citata). -96 --- +96 Prorogata fino al 31 dicembre 2007, per particolari zone geografiche del Paese (zone montane), la riduzione di prezzo per litro di gasolio e per kg di gpl utilizzati come combustibile per riscaldamento (Legge finanziaria 2007, già citata). -51,9 --- +51,9 (1) Valutazioni ufficiali. - 135 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007 (milioni di euro) (1) Entrate (aumento +) Descrizione dei provvedimenti Spese (aumento +) Effetto sull’indebitamento netto (aumento +) Confermate, per l’anno 2007, le particolari aliquote d’accisa gas metano per combustione ad uso individuale a tariffa T2 fino a 250 metri cubi annui, nonché per altri usi civili, nelle province con il 70% dei comuni nella zona climatica F (Aosta, Belluno, Bolzano e Trento). Inoltre, proroga della agevolazione sul prezzo del gasolio uso riscaldamento e gpl uso combustione impiegati nelle frazioni parzialmente non metanizzate di comuni ricadenti nella zona climatica E di cui all’art. 13, comma 2, legge 448/2001. Prevista l’esenzione accisa per il gasolio autotrazione utilizzato nelle province di Trieste ed Udine e per il gasolio utilizzato nelle coltivazioni sotto serra, per l’anno 2007 (Legge finanziaria 2007, già citata). -80 --- +80 Previste compensazioni ai contributi al SSN versati dagli autotrasportatori (Legge finanziaria 2007, già citata). -70,5 --- +70,5 Incremento delle deduzioni forfetarie art. 66 nuovo TUIR e estensione anche ai trasporti all’interno del comune per le imprese di autotrasporto merci conto terzi (Legge finanziaria 2007, già citata). -120 --- +120 Disposta l’esenzione dalle tasse automobilistiche per due annualità per i veicoli promiscui (Legge finanziaria 2007, già citata). -65,7 --- +65,7 Prevista l’esenzione dal bollo per i veicoli ad alimentazione alternativa. Altre disposizioni in materia di tasse automobilistiche per i veicoli M1 e N1 (Legge finanziaria 2007, già citata). - 70,7 --- +70,7 Disposte aliquote agevolate per i trasferimenti aree edilizie ((Legge finanziaria 2007, già citata). -59 --- +59 3) CONTRIBUTI SOCIALI EFFETTIVI +9.855 --- -9.855 Disposta la creazione di un Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto che viene gestito, per conto dello Stato, dall’INPS su un apposito conto corrente aperto presso la Tesoreria statale. Al medesimo Fondo affluisce un contributo pari al 50% della quota di cui all’articolo 2120 del codice civile, al netto del contributo di cui all’articolo 3, ultimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297, maturata a decorrere dalla predetta data, e non destinata alle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252. (Legge finanziaria 2007, già citata). +5.938 --- -5.938 Previsto l’innalzamento delle aliquote contributive pensionistiche per il finanziamento delle gestioni dei lavoratori artigiani e commercianti presso l’INPS (Legge finanziaria 2007, già citata). +1.355 --- -1.355 Previsto l’innalzamento di 0,3 punti percentuali dell’aliquota contributiva di finanziamento per gli iscritti all'assicurazione generale obbligatoria ed alle forme sostitutive ed esclusive della medesima per la quota a carico del lavoratore. In ogni caso, in conseguenza del predetto incremento, le aliquote pensionistiche di finanziamento, nella somma delle quote dovute dal lavoratore e dal datore di lavoro, non possono superare il 33 per cento (Legge finanziaria 2007, già citata). +991 --- -991 E’ disposto l’incremento, con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2007, della contribuzione dovuta ai fini previdenziali dai datori di lavoro per gli apprendisti artigiani e non artigiani. (Legge finanziaria 2007, già citata). +747 --- -747 E’ disposto che l’aliquota contributiva pensionistica per gli iscritti alla gestione separata sia pari al 23%, se non assicurati ad altre forme obbligatorie, e del 16% per i rimanenti iscritti (Legge finanziaria 2007, già citata). +1.287 --- -1.287 Previsto un aumento dei contributi sociali in seguito ai maggiori flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari non stagionali (Dpcm 25 ottobre, 2006). +765 --- -765 (1) Valutazioni ufficiali. - 136 - Previsioni per l’Italia 2007-2008 MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007 (milioni di euro) (1) Entrate (aumento +) Descrizione dei provvedimenti Spese (aumento +) Effetto sull’indebitamento netto (aumento +) Disciplinate le modalità di regolazione di debito e credito delle imprese nei confronti dell’INPS relativamente agli sgravi contributivi previsti dai Decreti del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 5 agosto 1994 e 24 dicembre 1997. Previste minori entrate Enpals (Legge finanziaria 2007, già citata). - 55 --- +55 Istituito fondo erogazione TFR e prevista l’estensione sospensione quota TFR versata a fondo (Legge finanziaria 2007, già citata). -60 --- +60 Previste deduzioni per una quota dell’ammontare del TFR annualmente destinato a forme pensionistiche complementari e al Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato del trattamento di fine rapporto. Altre misure sul Fondo erogazione TFR (Legge finanziaria 2007, già citata). -497 --- +497 Disposto che i contributi previdenziali e assicurativi degli assistenti domiciliari all’infanzia accreditati presso la provincia autonoma di Bolzano, siano dovuti secondo le misure previste dall’art. 5 del Presidente delle Repubblica del 31 dicembre del 1971, n. 1403 e successive modifiche (Legge finanziaria 2007, già citata). -95 --- +95 Decisa la riduzione dei premi Inail per l’anno 2007. Altra riduzione premi Inail per lavoratori settore autotrasporto (Legge finanziaria 2007, già citata). -154 --- +154 Altre misure in materia di previdenza (Legge finanziaria 2007, già citata). -367 --- +367 4) ALTRE ENTRATE -250,99 --- +250,99 Altre minori entrate (Legge finanziaria 2007, già citata e Decretolegge 3 ottobre 2006, n. 262). -397,01 --- +397,01 Altre maggiori entrate (Legge finanziaria 2007, già citata e Decretolegge 3 ottobre 2006, n. 262). +146,02 --- -146,02 5) REDDITI DA LAVORO DIPENDENTE --- +1.904 +1.904 Previsiti incrementi retributivi al personale statale, contrattualizzato e non, per il biennio economico 2006-2007. Disposte altre misure per il pubblico impiego (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +1.188,6 +1.188,6 E’ istituito un fondo con particolare riguardo alla tenuta in efficienza dello strumento militare, anche in funzione delle operazioni internazionali di pace (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +1.000 +1.000 Decisa l’istituzione di un fondo nello stato di previsione del Ministero della giustizia per le esigenze correnti per l’acquisizione di beni e servizi. Altri stanziamenti per la Guardia di Finanza, l’Arma dei carabinieri, il Fondo capitanerie di porto e il Fondo funzionamento sicurezza (LF) --- +286 +286 E’ autorizzata la spesa per garantire il cofinanziamento dello Stato a carico delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano per il rinnovo del contratto collettivo relativo al settore del trasporto pubblico locale (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +190 +190 E’ stabilito che nel caso in cui le amministrazioni realizzino accantonamenti aggiuntivi, una quota delle predette economie non superiore al 30 per cento affluisca, attraverso la contrattazione integrativa, ad appositi fondi da destinare all’incentivazione del personale dirigente e non dirigente che abbia contribuito al conseguimento degli obiettivi di efficienza e di razionalizzazione dei processi di spesa (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -30,0 -30,0 Prevista la riduzione dal 60% al 40% del tetto di spesa consentito per il ricorso al personale a tempo determinato, con convenzione o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -38,5 -38,5 (1) Valutazioni ufficiali. - 137 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007 (milioni di euro) (1) Entrate (aumento +) Descrizione dei provvedimenti Spese (aumento +) Effetto sull’indebitamento netto (aumento +) Disposte misure di contenimento delle spese di professionalizzazione delle forze armate (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -62,6 -62,6 Sono previsti interventi per il contenimento della spesa nel pubblico impiego quali soppressione del fondo mobilità, riduzione automatismi stipendiali per il personale in regime di diritto pubblico (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -25,2 -25,2 --- -136,8 -136,8 Disposte varie misure per il personale del comparto scuola quali monitoraggio e verifica delle assenze del personale, riduzione docenti di lingua inglese, diminuzione dei carichi orari settimanali delle lezioni, mobilità del personale docente in soprannumero verso altre amministrazioni (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -94,9 -94,9 Previste misure per la revisione dell’assetto organizzativo dei ministeri, la riorganizzazione degli uffici periferici ed il riordino, trasformazione e soppressione degli enti pubblici (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -212 -212 Disposti migliori modelli organizzativi per l’Amministrazione e le Istituzioni scolastiche in relazione ai criteri e ai parametri alla base della formazione delle classi (in particolare aumento del rapporto alunni/ classi da 20,6 a 21,0) (Legge finanziaria 2007, già citata). Previste misure sul personale degli enti territoriali che concorrono al rispetto dei vincoli del patto di stabilità interno (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -160,6 -160,6 6) CONSUMI INTERMEDI E PRESTAZIONI SOCIALI IN NATURA --- -8.122,6 -8.122,6 Prevista l’istituzione di un fondo in conto spese per il funzionamento, ripristino e manutenzione ordinaria e straordinaria delle Forse armate (Legge finanziaria 2007, già citata) --- +350 +350 Disposti stanziamenti per l’istruzione (in particolare, per strumentazione tecnologica a supporto dell’attività didattica) (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +220 +220 Sono incrementati gli stanziamenti a favore della scuola paritaria, in particolare alle scuole d’infanzia (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +100 +100 Sono previste riduzioni di spese a fronte del riordino, trasformazione e soppressione degli enti pubblici (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -105 -105 Sono ridotte le dotazioni relative alle autorizzazioni di spesa relative alla tabella C (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -102,7 -102,7 E’ disposto il concorso del sistema universitario e degli enti di ricerca agli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2007-2009 (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -102 -102 Sono disposti la razionalizzazione e il contenimento della spesa, attraverso l’accantonamento e la conseguente sterilizzazione di una quota delle dotazioni delle unità previsionali di base del bilancio dello Stato relative ai consumi intermedi, ai trasferimenti correnti, alle altre uscite correnti e alle spese in conto capitale. La norma prevede anche l’esclusione dall’accantonamento di talune tipologie di spesa (i trasferimenti agli enti territoriali e previdenziali, pensioni di guerra, le rate di ammortamento, i limiti di impegno già attivati etc) (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -2.370 -2.370 Previste misure sui consumi intermedi che concorrono al rispetto dei vincoli del Patto di stabilità interno degli enti territoriali; altri interventi (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -3.100 -3.100 Disposte misure strutturali per il contenimento dello spesa del Servizio Sanitario Nazionale (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -944 -944 (1) Valutazioni ufficiali. - 138 - Previsioni per l’Italia 2007-2008 MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007 (milioni di euro) (1) Entrate (aumento +) Descrizione dei provvedimenti Spese (aumento +) Effetto sull’indebitamento netto (aumento +) E’ introdotto un abbattimento del 50% delle tariffe per le prestazioni di diagnostica laboratorio eseguibili con metodiche automatiche (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -279 -279 Disposto il ticket sulle prestazioni di specialistica ambulatoriale e sul pronto soccorso (codici bianchi e verdi) (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -859 -859 Disposto l’abbattimento dei prezzi per l’acquisizione di dispositivi medici specifici. E’ previsto che entro il 30 aprile 2007 siano stabiliti, per le tipologie di dispositivi individuate, i prezzi minimi da assumere, con decorrenza dal 1° maggio 2007, come base d’asta per le forniture del SSN, tenendo conto dei più bassi prezzi unitari di acquisto da parte del SSN. Sono previste misure per il contenimento dell’uso dei farmaci off label (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -64 -64 Sono confermate per il 2007 e seguenti tutte le misure di contenimento della spesa farmaceutica deliberate dal Consiglio d’Amministrazione dell’Agenzia italiana per il farmaco (AIFA) a partire dal 22 dicembre 2005 e fino al 27 settembre 2006. In sintesi trattasi di una riduzione del 10% dei prezzi dei farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale rispetto a quelli praticati nel dicembre 2005, di uno sconto a carico del produttore pari allo 0,6% del prezzo al pubblico e di una rimodulazione del prontuario che prevede una riduzione dei prezzi dei farmaci che hanno evidenziato un rilevante incremento dei consumi nei primi mesi del 2006 (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -800 -800 E’ ridotta l’autorizzazione di spesa correlata alla costituzione della Fondazione per la promozione dello sviluppo della ricerca avanzata nel campo delle biotecnologie e alla Fondazione responsabilità sociale. Altri interventi in sanità (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -66,9 -66,9 7) PRESTAZIONI SOCIALI IN DENARO --- +1.987,05 +1.987,05 Sono rideterminati gli importi complessivi dell'assegno al nucleo familiare indicati nelle relative tabelle, con riferimento ai nuclei familiari con figli, a cominciare dai nuclei familiari fino a tre figli. Altre disposizioni per nuclei famigliari con più di tre figli (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +966 +966 Prevista la costituzione in Tesoreria di un Fondo a ripartizione per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato del trattamento di fine rapporto di cui all’articolo 2120 del codice civile (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +424 +424 Prevista l’estensione ai contratti di apprendistato delle disposizioni in materia di indennità di malattia secondo la disciplina generale prevista per i lavoratori subordinati. E’ inoltre stabilita l’estensione dell’indennità giornaliera di malattia ai lavoratori a progetto e a categorie assimilare; altri interventi per previdenza e assistenza (Legge finanziaria 2007, già citata) --- +137,8 +137,8 Sono estesi gli incrementi di misura e di durata dell’indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti normali per i lavoratori non agricoli (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +320 +320 Previsti stanziamenti per il Fondo non autosufficienti, fondo immigrati, fondo politiche sociali, fondo politiche giovanili, fondo per le comunità giovanili (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +139,25 +139,25 8) TRASFERIMENTI CORRENTI --- +2.117,9 +2.117,9 Previsti stanziamenti per il fondo trasferimento correnti alle imprese pubbliche; altri interventi a favore di sviluppo e ricerca (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +572,7 +572,7 (1) Valutazioni ufficiali. - 139 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007 (milioni di euro) (1) Entrate (aumento +) Descrizione dei provvedimenti Spese (aumento +) Effetto sull’indebitamento netto (aumento +) E’ disposta la spesa da riconoscere a Trenitalia Spa a titolo di contributo per gli obblighi di servizio pubblico forniti; altri interventi per Trenitalia (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +428 +428 Disposta la soppressione del sovrapprezzo delle tariffe autostradali e modifica dei canoni di pedaggio; altri interventi per Anas Spa (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +301 +301 Disposta la revisione dell’attuale meccanismo di finanziamento delle Agenzie fiscali (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +200 +200 Previsti incrementi per il Fondo per le politiche per la famiglia; attuazione del piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi; altri interventi per l’equità (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +125 +125 Disposti contributi per l’acquisto di autoveicoli non inquinanti; altri contributi per veicoli gas metano, glp elettrici, rinnovo parco autocarri e fondo sostegno iniziative autotrasporto (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +621,2 +621,2 E’ disposto che SACE riduca il capitale sociale in misura adeguata alla sua attività (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -130 -130 9) SPESE IN CONTO CAPITALE --- +2.073,8 +2.073,8 Disposte misure per la razionalizzazione e l’efficientamento della spesa pubblica; Altre misure taglio Tabella C (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -851,7 -851,7 Prevista la costituzione di un Fondo destinato a neutralizzare gli effetti sui saldi di finanza pubblica, derivanti dalla eventuale “attualizzazione” dei contributi pluriennali, in relazione all’effettivo stato di avanzamento delle opere da realizzare (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +520 +520 Istituito il Fondo per la competitività e lo sviluppo e un Fondo per la finanza d’impresa (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +110 +110 Prevista l’istituzione nello stato di previsione del Ministero dell’Università e della Ricerca, del Fondo per gli Investimenti nella Ricerca Scientifica e Tecnologica (FIRST) (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +150 +150 Disposti stanziamenti per il Fondo ricerca bioenergia, per la ricerca scientifica e teconologica e per il fondo commercio e turismo. Altri interventi per promuovere ricerca e sviluppo (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +75 +75 E’ disposta esclusione per le spese per progetti cofinanziati dall’U.E. dall’applicazione del limite alla crescita del 2 per cento (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +550 +550 Decisa la prosecuzione degli interventi relativi al «Sistema alta velocità/alta capacità» (asse Torino- Milano- Napoli e Milano- Verona, compreso il nodo di Verona), per i quali è autorizzato un rifinanziamento; altri interventi per la rete tradizionale (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +2.000 +2.000 Disposto potenziamento e adeguamento delle infrastrutture delle capitanerie di porto; altri provvedimenti per le autorità portuali (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +130 +130 E’ istituito un apposito fondo al fine di realizzare una migliore mobilità dei pendolari; altri interventi per sicurezza e antinfortunistica stradale e ferroviaria (Legge finanziaria 2007, già citata). --- +133 +133 (1) Valutazioni ufficiali. - 140 - Previsioni per l’Italia 2007-2008 MANOVRA DI FINANZA PUBBLICA PER il 2007 (milioni di euro) (1) Entrate (aumento +) Descrizione dei provvedimenti Spese (aumento +) Effetto sull’indebitamento netto (aumento +) Disposta la riduzione dei trasferimenti alle autorità portuali al fine del completamento del processo di autonomia finanziaria; riduzione dello stanziamento per il Fondo progetti ricerca (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -130 -130 E’ disposta la vendita di immobili delle gestioni liquidatorie di cui alla legge n. 1404 del 1956 (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -180 -180 Prevista la riduzione del premio concentrazione imprese (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -92,5 -92,5 Sono ridotte le risorse per Sviluppo Italia-imprenditorialità giovanile (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -225 -225 Disposta la riduzione delle dotazioni delle unità previsionali di base dello stato di previsione del Ministero della Difesa concernenti gli investimenti fissi lordi (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -50 -50 Prevista la riduzione del FAS per i piccoli comuni (Legge finanziaria 2007, già citata). --- -65 -65 10) ALTRE SPESE CORRENTI E IN CONTO CAPITALE --- +1.860,5 +1.860,5 Altre minori spese (Legge finanziaria 2007, già citata e Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262). --- -22 -22 Altre maggiori spese correnti e in conto capitale, Tabelle (Legge finanziaria 2007, già citata e Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262). --- +3.082,5 +1.882,5 +3.020,35 -15.370,72 TOTALE +18.391,07 (1) Valutazioni ufficiali. - 141 - L’Italia nell’integrazione europea 1 Cambiamenti nella geografia economica europea dopo il mercato unico e la creazione dell’Unione monetaria: la collocazione delle industrie italiane 1.1 INTRODUZIONE Da alcuni anni si assiste ad un rinnovato interesse per il territorio come unità di analisi economica e destinatario di specifiche politiche di sviluppo. La distribuzione asimmetrica dell’attività produttiva nello spazio e la crescente integrazione dei mercati, soprattutto in seguito alla creazione del Mercato unico in Europa (1992) e, più recentemente, all’introduzione della moneta unica (1999), hanno portato allo sviluppo di nuove teorie e nuovi modelli economici mirati ad analizzare le forze che governano la dispersione e la concentrazione spaziale dell’attività economica (New Economic Geography, NEG). Questi modelli forniscono, tra l’altro, alcune predizioni sui possibili esiti del processo di integrazione economica, in termini di distribuzione dell’industria sul territorio. A loro volta, le predizioni teoriche dei modelli della NEG hanno stimolato la letteratura empirica sul tema, interessata a produrre nuove evidenze sulle caratteristiche (forma e dinamica) della localizzazione delle attività economiche. In particolare, partendo dal fatto che il grado di concentrazione regionale è maggiore negli Stati Uniti rispetto all’Europa, ci si è chiesti se la crescente integrazione europea avrebbe portato ad un incremento del livello di concentrazione territoriale delle attività economiche, ampliando il “core” a spese di una svantaggiata “periphery”, e della specializzazione regionale, aumentando la probabilità che le regioni stesse fossero esposte a shock esogeni di tipo asimmetrico (Krugman, 1993). Tali predizioni hanno, tra l’altro, contribuito a fornire una più forte razionalizzazione della politica regionale europea, volta a favorire uno sviluppo eguale dei territori incentivando - attraverso l’uso dei Fondi Strutturali e di Coesione destinati proprio alle regioni cosiddette “sottoutilizzate” - la dispersione delle attività economiche nello spazio dell’Unione Europea. La letteratura empirica esistente si è occupata della localizzazione delle attività economiche seguendo due principali approcci: 1) un’analisi sostanzialmente descrittiva, condotta attraverso il calcolo di indici sintetici di concentrazione (tra gli altri, Aiginger e Leitner, 2002; Aiginger e Davies, 2004; Brülhart e Traeger, 2005), integrati - 145 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 recentemente da indici di autocorrelazione spaziale (Ertur e Le Gallo, 2003; Arbia et al., 2006; Guillain e Le Gallo, 2006); 2) un approccio orientato alla ricerca delle possibili determinanti della concentrazione (Brülhart e Torstensson, 1996; Amiti, 1999; Haaland et al., 1999; Aiginger e Pfaffermayr, 2004), facendo riferimento sostanzialmente alle teorie del commercio internazionale (intensità fattoriali ed economie di scala), nonché alla NEG (linkages tra imprese/settori industriali). Sebbene le conclusioni fornite da questi contributi alla letteratura empirica non siano univoche - sostanzialmente per la mancanza di una rigida definizione del concetto stesso di concentrazione e per la disponibilità di un cospicuo ventaglio di opzioni metodologiche per misurare il fenomeno1 -, sono emersi nel tempo alcuni fatti stilizzati inerenti alla distribuzione spaziale delle attività economiche sul territorio europeo. Come rilevano Combes e Overman (2004), si evidenzia una generale tendenza alla riduzione del grado di concentrazione dell’aggregato manifatturiero nel corso degli anni ’90. Si può osservare, inoltre, che il livello di concentrazione industriale varia ampiamente da settore a settore; sarebbero, in particolare, i settori high-tech ed a rendimenti di scala crescenti quelli più concentrati spazialmente. In questo capitolo si analizzano i cambiamenti intervenuti nella geografia economica europea in seguito al processo di integrazione e si cerca di verificare per alcuni settori se le predizioni di una crescente specializzazione regionale trovano un riscontro empirico. Ciò verrà fatto attraverso l’uso di una metodologia di analisi statistico - spaziale, l’“Augmented Exploratory Spatial Data Analysis” (A-ESDA), volta ad integrare misure sintetiche di concentrazione e dipendenza spaziale con tecniche di analisi non-parametrica per la stima di densità. Da un parte, infatti, gli indici di concentrazione tradizionalmente usati (Gini, Theil, Herfindhal o Ellison e Glaeser) rappresentano indicatori di concentrazione a-spaziale, nel senso che non tengono conto della posizione geografica delle unità di analisi e dell’interazione tra le stesse. Per tale motivo, alcuni recenti lavori sulla distribuzione territoriale dell’attività economica hanno integrato l’analisi attraverso l’uso di indici di autocorrelazione spaziale che forniscono informazione sul grado di dipendenza spaziale tra le unità territoriali oggetto di analisi (Arbia, 2001; Arbia et al., 2006; Ertur e Le Gallo, 2003; Guillain e Le Gallo, 2006). Dall’altra, è importante sottolineare che indicatori di concentrazione e indici di dipendenza spaziale costituiscono ambedue misure sintetiche di fenomeni complessi. In quanto tali, essi possono mascherare l’esistenza di differenti bacini di attrazione. Come si chiarirà nel seguito, diventa quindi opportuno integrare l’analisi della distribuzione spaziale dell’attività economica con 1 Le opzioni riguardano la variabile utilizzata come proxy dell’attività economica (occupazione, valore aggiunto, produzione), l’indicatore attraverso cui misurare il fenomeno (indici di Gini, Theil, Herfindahl, Coefficiente di Variazione (CV), Krugman, Ellison e Glaeser, ed altri ancora), l’articolazione settoriale considerata, nonché le fonti statistiche utilizzate, diverse per copertura territoriale ed estensione temporale. - 146 - Cambiamenti nella geografia economica europea ... strumenti di analisi non-parametrica della densità univariata e condizionata. L’approccio combina, inoltre, indicatori sintetici globali con evidenze locali: da una parte, l’analisi locale si rende necessaria poiché capace di rivelare cambiamenti (ad esempio, lo spostamento della concentrazione settoriale da una regione ad un’altra) che lasciano inalterati gli indicatori globali; d’altro canto, le misure sintetiche globali forniscono una rappresentazione più “oggettiva” del fenomeno, essendo sottratte ai criteri - arbitrari - che condizionano gli indicatori locali. Il capitolo è strutturato come segue. Nel paragrafo 2 si riportano alcuni cenni di richiamo ai modelli della NEG in considerazione delle predizioni che essi forniscono sulla distribuzione spaziale dell’attività economica a partire dalla relazione che lega quest’ultima al processo di integrazione in atto in Europa. Il paragrafo 3 è dedicato alla descrizione della metodologia statistico-spaziale utilizzata. Nel paragrafo 4 si descrive il legame tra alcune distribuzioni teoriche coerenti con le predizioni dei modelli della NEG e l’AESDA. Il quinto paragrafo analizza per grandi linee i cambiamenti intervenuti, dal 1980 al 2002, in 15 paesi dell’Unione Europea con una particolare attenzione alla posizione dell’Italia, sia dal punto di vista del contributo del paese alla formazione del valore aggiunto totale europeo (UE15), sia per quanto riguarda l’importanza relativa rivestita dai vari settori. Nel paragrafo 6 si presentano i risultati ottenuti applicando l’A-ESDA ai dati su 162 regioni europee. L’ultimo paragrafo è dedicato alle conclusioni. 1.2 LE IPOTESI TEORICHE SULLA DISTRIBUZIONE SPAZIALE DELL’ATTIVITÀ ECONOMICA 1.2.1 Breve richiamo ai modelli della Nuova Geografia Economica La distribuzione territoriale dell’attività economica è tradizionalmente spiegata dalla letteratura empirica facendo riferimento alle teorie del commercio internazionale ed alla NEG (tra gli altri, Brülhart e Torstensson, 1996; Brülhart, 1998; Amiti, 1999; Haaland et al., 1999; Paulize et al., 2001). La teoria tradizionale del commercio internazionale (NCT) fa riferimento sostanzialmente alla specializzazione delle varie aree economiche, con una scarsa attenzione all’aspetto territoriale dello sviluppo. Le nuove teorie del commercio internazionale (NTT), enfatizzando il ruolo dei rendimenti crescenti a livello di impresa, fanno un passo avanti in questa direzione, inserendo all’interno dei modelli alcuni elementi relativi alla localizzazione, quali l’importanza della dimensione del mercato e l’esistenza di costi di trasporto, in un contesto di concorrenza monopolistica (Krugman e Venables, 1990). I modelli della NEG rappresentano un’evoluzione di quelli della NTT. Caratterizzati da mercati che operano - 147 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 in situazioni di concorrenza monopolistica, dalla presenza di economie di scala interne alle imprese, dall’esistenza di legami input-output con le altre unità produttive, dalla mobilità dei lavoratori, dalla presenza di costi di trasporto fondamentali ai fini delle scelte localizzative delle imprese, tali modelli inseriscono alcuni elementi-chiave dell’economia regionale ed urbana nel contesto analitico dell’equilibrio economico generale. L’obiettivo è, sostanzialmente, quello di fornire alcune possibili spiegazioni della localizzazione geografica delle imprese e, conseguentemente, della tendenza dell’industria a concentrarsi in alcune aree piuttosto che a disperdersi sul territorio. Il modello che ha segnato la nascita della NEG è il cosiddetto schema core-periphery (CP) di Krugman (1991), a partire dal quale è stata elaborata una serie di altri sviluppi teorici nel corso degli anni, che ne hanno modificato le assunzioni ed, in alcuni casi, il meccanismo di funzionamento. L’equilibrio di lungo periodo nei modelli della NEG è determinato dal bilanciamento delle forze di agglomerazione e di dispersione, a fronte del ruolo chiave svolto dal livello dei costi di trasporto. In particolare, all’avanzare del processo di integrazione, dunque al diminuire dei costi di trasporto, sarebbe più conveniente per le imprese concentrarsi in poche aree, per usufruire dei vantaggi dell’agglomerazione, e da lì servire l’intero mercato. Tuttavia, come evidenziato tra gli altri da Puga (1999), la relazione tra integrazione e concentrazione non è necessariamente lineare, ma può assumere una configurazione cosiddetta U-Shaped: un’ulteriore successiva riduzione dei costi di trasporto e l’innalzamento del costo dei fattori produttivi dovuto al proliferare delle imprese nella stessa area spingerebbero alla de-localizzazione verso aree non “congestionate” (le forze centrifughe prevarrebbero su quelle centripete), favorendo così la dispersione. Facendo leva sull’esistenza di questa relazione non lineare tra integrazione e agglomerazione e sulla base delle predizioni teoriche della NEG, Vayà e Suriñach (2003) hanno individuato cinque diverse distribuzioni teoriche delle attività economiche nello spazio. In base al grado di integrazione economica ed al livello dei costi di trasporto, si può, dunque, incorrere in diverse configurazioni spaziali dello sviluppo; più precisamente, la distribuzione può essere di tipo omogeneo, centro-periferia, monocentrica, policentrica o, infine, gerarchica. Vediamole più in dettaglio: - Distribuzione omogenea. Una distribuzione uniforme dell’attività sul territorio si può verificare sia all’inizio del processo di integrazione, quando i costi di trasporto sono elevati, per cui è preferibile per le imprese localizzarsi vicino al mercato da servire, sia nell’ultimo stadio del processo di integrazione, quando la presenza di costi di congestione rafforza la tendenza alla dispersione, nonostante i più bassi livelli di costi di trasporto. Come sottolineato da Vayà e Suriñach (2003), la distribuzione omogenea delle attività è tipica anche di situazioni di autarchia. - Distribuzione centro-periferia. Rappresenta uno dei possibili equilibri nello stadio in- - 148 - Cambiamenti nella geografia economica europea ... termedio del processo di integrazione. I costi di trasporto sono sufficientemente (ma non eccessivamente) bassi da spingere le imprese a localizzarsi l’una in prossimità dell’altra, in modo da poter usufruire dei vantaggi derivanti dalle economie di agglomerazione. Si formano, in tal modo, un “centro”, area sviluppata ed economicamente ricca, nella quale sono localizzate le imprese, ed una “periferia”, costituita da regioni povere (quasi esclusivamente mercati di consumo, con poca o nulla produzione). - Distribuzione monocentrica. Anche questo è un equilibrio che può caratterizzare lo stadio intermedio del processo di integrazione. A differenza della distribuzione centroperiferia, il monocentro è un’area di dimensioni più contenute, così come la periferia ad esso collegata: la relazione di dipendenza spaziale, positiva fra i territori più vicini e negativa fra quelli più lontani, si esaurisce in un raggio meno esteso di quanto non accada tra un Centro e una Periferia “tradizionali”. Il resto delle attività è distribuito casualmente sul territorio rimanente. - Distribuzione policentrica. Terzo equilibrio per stadi intermedi del processo di integrazione. Anche in questo caso si determinano alte concentrazioni di attività economica; al contrario delle distribuzioni centro-periferia e monocentrica, in questo caso le attività economiche sono concentrate in una pluralità di aree circoscritte (i policentri), distribuite casualmente sull’intero territorio. A causa della forte attrazione esercitata sulle imprese da questi policentri, il livello di attività delle regioni confinanti risulta sensibilmente inferiore. - Distribuzione gerarchica. Stadio avanzato del processo di integrazione. Si parte dall’esistenza di un monocentro e si considera l’esistenza di un processo di progressiva diffusione delle attività verso le regioni più vicine al monocentro e, in misura sempre più attenuata, verso quelle più lontane, quasi a formare una gerarchia dell’intensità dello sviluppo. Ciò avverrebbe in conseguenza di diseconomie di scala nelle regioni centrali (costi di congestione, esternalità negative), cosa che favorirebbe lo spostamento verso aree diverse dal monocentro (al termine di questo processo, si riproporrebbe una distribuzione omogenea). 1.3 L’AUGMENTED EXPLORATORY SPATIAL DATA ANALYSIS (A-ESDA) Le analisi della concentrazione delle attività economiche fanno tradizionalmente riferimento a misure statistiche che non prendono in considerazione la dimensione spaziale del fenomeno. Misure quali il coefficiente di localizzazione di Gini, il coefficiente di variazione, l’indice di Herfindhal, l’indice di Ellison e Glaeser o gli indici di entropia, per ricordare solo i più utilizzati nella letteratura empirica, sono “a-spaziali” nel senso - 149 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 che non consentono di distinguere fra ineguaglianza della distribuzione e polarizzazione geografica (Arbia, 2001). Esse non tengono, cioè, conto dell’esistenza di autocorrelazione spaziale tra le unità territoriali di analisi, caratteristiche che contribuiscono a delimitare geograficamente i processi di agglomerazione. Negli ultimi anni le analisi empiriche dei processi di agglomerazione hanno cercato di superare il suddetto limite informativo, ricorrendo all’utilizzo dei metodi della cosiddetta Exploratory Spatial Data Analysis (ESDA) (Guillain e Le Gallo, 2006; Arbia et al. 2006). L’ESDA è un insieme di tecniche costruite al fine di descrivere e visualizzare distribuzioni spaziali, identificare localizzazioni atipiche (spatial outlier) e rilevare l’esistenza di cluster. In quanto segue, accanto alle statistiche sintetiche di concentrazione a-spaziale e alle misure di autocorrelazione spaziale, si propone l’utilizzo di metodi non parametrici che consentono di visualizzare l’intera distribuzione della variabile in esame e di metterne in luce la dinamica (stime di densità univariata e condizionata e mappe geografiche di vario tipo). Inoltre, seguendo la tassonomia recentemente proposta da Bickenbach e Bode (2006), si tenterà di sintetizzare le informazioni relative alla concentrazione e alla dipendenza spaziale in un unico indice di “concentrazione spaziale”. Denominiamo tale insieme di tecniche “Augmented Exploratory Spatial Data Analysis” (A-ESDA). 1.3.1 Indici di entropia e quozienti di localizzazione “spazialmente corretti” Due sono le misure di concentrazione utilizzate nel presente lavoro, una di tipo “a-spaziale” e l’altra di tipo “spaziale”. L’analisi della concentrazione consente di stabilire se in una data area l’importanza relativa di un particolare settore è maggiore rispetto a quella che ha in media nell’intero territorio. Il no-concentration benchmark si ha nel momento in cui la distribuzione della variabile sul territorio per un dato settore industriale è esattamente uguale alla distribuzione del totale delle attività. Al fine di analizzare le dinamiche della concentrazione si utilizza l’indice di entropia (o indice di Theil): R Ts = ∑ λr r =1 Yrs / Yr Yrs / Yr log ∑ λr (Yrs / Yr ) ∑ λr (Yrs / Yr ) r r dove s indica il settore, r la regione e Y il valore aggiunto; λr è la quota regionale (rispetto al campione) del valore aggiunto totale. La variabile in esame è il quoziente di localizzazione (LQ), cioè il rapporto tra la quota di valore aggiunto di un dato settore rispetto al valore aggiunto totale in una data - 150 - Cambiamenti nella geografia economica europea ... regione e la stessa quota settoriale relativa all’intero campione esaminato. Più elevato è il valore dell’indice di Theil, maggiore sarà il grado di concentrazione delle attività economiche. Seguendo Bickenbach e Bode (2006) nella misura “spaziale” la formula viene modificata inserendo una matrice di pesi spaziali calcolata tenendo conto della prossimità geografica tra le regioni: R T S s = ∑ λr r =1 ∑q φqrYqs / ∑q φqrYq ∑ q φqrYqs / ∑ q φqrYq log ∑ λr (∑ q φqrYqs / ∑ q φqrYq ) ∑ λr (∑q φqrYqs / ∑q φqrYq ) r r dove q ed r sono le regioni ( q ≠ r ) ; φqr è l’elemento della matrice dei pesi spaziali che riflette l’interazione tra la regione q e la regione r. I quozienti di localizzazione così modificati sono detti LQ “spazialmente corretti” (spatially rate smoothing, SRS). Tale correzione consente di calcolare l’indice di concentrazione dando un peso maggiore a quelle regioni (osservazioni) che hanno un alto valore di LQ e che interagiscono spazialmente con regioni anch’esse specializzate in un determinato settore; al contrario, un peso minore sarà dato alle regioni specializzate che rappresentano dei punti isolati nello spazio. Il valore dell’indice di concentrazione spaziale calcolato per un dato settore sarà quindi necessariamente inferiore a quello a-spaziale, a meno che il settore in questione non risulti concentrato in regioni geograficamente prossime, che danno vita ad un unico cluster. 1.3.2 Indici di autocorrelazione spaziale globale e locale Sebbene l’indice di concentrazione spaziale racchiuda un’indicazione dell’interazione tra regioni geograficamente prossime, esso non tiene conto della significatività statistica di tale dipendenza. Per tale ragione è opportuno calcolare un indice di autocorrelazione spaziale che consenta di rilevare l’eventuale tendenza di regioni simili (ovvero con LQ simili) ad essere localizzate l’una in prossimità dell’altra. L’indice di gran lunga più utilizzato a tale scopo è l’I-Moran; esso dà un’indicazione del grado di associazione lineare tra il vettore dei valori osservati della variabile in esame ed il vettore dei valori spazialmente ritardati. Un valore positivo e significativo di tale statistica indica che valori simili della variabile analizzata tendono a caratterizzare aree localizzate contiguamente nello spazio. Al contrario, un valore negativo e significativo dell’I-Moran denota la presenza di valori dissimili della variabile in aree contigue. La non significatività dell’indice implica assenza di autocorrelazione, cioè la presenza di una distribuzione casuale della variabile nello spazio. - 151 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 L’indice di Moran, al pari di quello di entropia, è, tuttavia, una statistica sintetica, che non consente di vedere se la dipendenza spaziale positiva generi cluster di regioni con livelli alti o bassi di specializzazione, né di individuare i confini geografici degli stessi. E’ possibile, inoltre, che il grado di dipendenza spaziale vari tra differenti gruppi all’interno del campione e che ci si trovi, quindi, di fronte a situazioni caratterizzate dall’esistenza di pochi cluster, localizzati in specifiche parti dell’area in esame, informazione che non emergerebbe da un’analisi di carattere globale. In considerazione di questi limiti, alcuni lavori sono andati oltre l’analisi globale, proponendo misure di autocorrelazione locale (LISA, local indicators of spatial association) in grado di evidenziare la tipologia di concentrazione spaziale delle attività economiche (in un unico cluster, distribuite su più aree e così via) (Guillain e Le Gallo, 2006). In sostanza, i LISA sono in grado di misurare per ciascuna regione l’interdipendenza con le altre regioni e di indicarne la tipologia (positiva o negativa) e la sua significatività. Una rappresentazione visiva di tali processi è fornita dalla cosiddetta “LISA cluster map”. 1.3.3 Stime di densità univariata e condizionata Così come l’I-Moran globale, anche l’indice di entropia ha i suoi limiti. Esso è, infatti, un indicatore sintetico della localizzazione (a-spaziale o spaziale), che non esaurisce il complesso delle informazioni contenute nei dati. Queste limitazioni impongono la necessità di passare da indicatori sintetici di concentrazione a strumenti che descrivano l’intera distribuzione della variabile in oggetto (ad esempio, dei quozienti di localizzazione). Una distribuzione prossima a quella normale indicherebbe una situazione di equità. Una forte asimmetria a destra della distribuzione segnalerebbe, invece, la presenza di concentrazione territoriale. L’analisi di densità ha inoltre il vantaggio di evidenziare l’eventuale presenza di bi-modalità nella distribuzione dei quozienti di localizzazione, segno dell’esistenza di differenti “bacini di attrazione”. La stima di densità ƒt (x) può essere realizzata per ciascun anno disponibile. Noi ci limitiamo a t = 1980 e 2002 e adottiamo un approccio non-parametrico di stima di verosimiglianza locale della densità univariata con bandwidth variabile e funzione kernel tricubica (Loader, 1996). Questo stimatore di densità è particolarmente adatto nei casi, come quello in oggetto, in cui lo spazio campionario è caratterizzato dalla presenza di valori estremi, ovvero di regioni molto più specializzate delle altre in un determinato settore. La dinamica del processo di agglomerazione spaziale dell’attività economica può essere, infine, studiata ricorrendo ad uno strumento di analisi proposto da Quah (1997) per esaminare i processi di convergenza economica: la cosiddetta “analisi della dinamica di transizione”. In breve, questo metodo consiste (nel nostro caso) nello studio della dinamica dell’intera distribuzione dei quozienti di localizzazione delle unità territoriali og- - 152 - Cambiamenti nella geografia economica europea ... getto di analisi. Esso consente di rappresentare la probabilità che una data regione con un certo livello, x, di LQ nel periodo iniziale si sposti verso un altro livello, y, di LQ nel periodo finale. Coerentemente con l’analisi univariata di densità, per l’analisi condizionata si utilizzano stimatori molto robusti ai valori estremi: a) lo stimatore local parametric conditional density con bandwidth variabile (Hyndman e Yao, 2002) e b) lo stimatore kernel con mean-bias correction e bandwidth variabile (Hyndman, Bashtannyk e Grunwald, 1996). In altre parole, attraverso il calcolo della densità condizionata si descrive la probabilità che una data regione si muova nel periodo finale verso un certo stadio di industrializzazione/specializzazione, dato che essa si trovava in un determinato stadio nel periodo iniziale. La dinamica della distribuzione spaziale dell’attività economica può quindi essere studiata visualizzando ed interpretando la forma della distribuzione dei valori di LQ nell’anno 2002 lungo il range di valori di LQ osservati nell’anno 1980. Per visualizzare la densità condizionata della distribuzione utilizziamo un metodo grafico proposto da Hyndman (1996): l’“highest conditional density region” (HDR) plot. In esso, ogni banda verticale rappresenta la proiezione sul piano xy della densità condizionata di y su x; in ogni banda, inoltre, sono riportate le HDR al 25% di probabilità (regioni grigio scuro), nonché al 50%, 75% e 90% (regioni grigio chiaro). Una regione a più alta densità è la più piccola regione dello spazio campionario che contiene una data probabilità. Le HDR offrono una sintesi grafica delle caratteristiche di una funzione di densità: nel caso di distribuzioni uni-modali, esse rappresentano esattamente le probabilità attorno al valore medio; nel caso di distribuzioni multi-modali, le HDR mostrano, invece, differenti subregioni disgiunte. Ovviamente, le tecniche di stima della densità univariata e condizionata sono a-spaziali: non sappiamo se le regioni incluse in una moda sono vicine o lontane nello spazio. Pertanto, ai fini della descrizione della distribuzione spaziale dell’attività economica l’analisi di densità deve necessariamente essere integrata dalle tecniche di analisi spaziale sopra descritte. 1.4 LEGAME TRA DISTRIBUZIONI TEORICHE E GLI ELEMENTI DELL’A-ESDA In questo paragrafo si fornirà una chiave di lettura degli indicatori proposti, sulla base delle caratteristiche riscontrate da Vayà e Suriñach (2003) per ciascuna delle distribuzioni teoriche proposte. La distribuzione omogenea, come si è già accennato, è tipica degli stadi iniziali del processo di integrazione, quando i costi di trasporto sono così elevati da spingere le imprese a localizzarsi in prossimità dei mercati da servire. Una simile - 153 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 distribuzione è rinvenibile anche nello stadio finale dell’integrazione, durante il quale i costi di congestione contrastano le forze centripete, favorendo la dispersione. E’ chiaro che una distribuzione di tipo omogeneo sarà caratterizzata da valori bassi dell’indice di concentrazione e da una funzione di densità univariata dei LQ prossima alla normale (unimodale e simmetrica), sintomo della presenza di valori simili del quoziente di localizzazione e, dunque, di una ripartizione equa delle attività economiche sul territorio. Una distribuzione perfettamente omogenea dovrebbe essere anche scevra da particolari legami di prossimità territoriale, sicché si riscontrano valori non significativi dell’indice di Moran, per diversi ordini di contiguità considerati, a denotare assenza di autocorrelazione spaziale e, quindi, una distribuzione casuale delle attività nello spazio. La cluster map evidenzierà la presenza di aree per le quali la statistica considerata è non significativa (almeno in prevalenza). E’ evidente che nella realtà dei paesi industrializzati sia altamente improbabile riscontrare una simile distribuzione per qualsiasi settore di attività economica. La distribuzione centro-periferia, al contrario, è caratterizzata dall’esistenza di due aree distinte: speculari l’una all’altra, entrambe hanno ragione di esistere in funzione della presenza dell’altra, sintomo di un’elevata autocorrelazione spaziale negativa fra le stesse. Un valore elevato dell’indice di Theil indica l’esistenza di un’elevata concentrazione che caratterizza tale distribuzione. La funzione di densità sarà chiaramente bimodale, ad indicare la presenza di due distinti bacini di attrazione, uno per valori bassi di LQ - la Periferia - e l’altro per valori elevati dello stesso - il Centro. L’autocorrelazione sarà positiva per i primi ordini di contiguità (dunque per le regioni più prossime), ad indicare la presenza di regioni con valori significativamente simili - positivi o negativi dei LQ; all’aumentare della distanza, per ordini di contiguità più elevati, l’autocorrelazione spaziale diventerà negativa. Ne deriva che valori elevati (bassi) dei LQ interagiscono significativamente con valori bassi (elevati): è il Centro che si forma a spese della Periferia. Le cluster map ripartiranno l’intera area in due sub-regioni, caratterizzate al loro interno da autocorrelazione spaziale positiva. Lo stadio intermedio del processo di integrazione identifica altre due possibili distribuzioni, oltre quella centro-periferia: monocentrica e policentrica. In entrambi i casi l’indice di concentrazione assume valori intermedi a quelli riscontrati nelle precedenti distribuzioni. La densità univariata è sempre asimmetrica. Nel caso della distribuzione monocentrica, si osserverà la presenza di una moda significativa, dunque una maggiore presenza di regioni, per valori bassi di LQ e la formazione di un picco (una moda più bassa non necessariamente significativa) per valori elevati di LQ, a denotare la presenza di un centro relativamente contenuto (il monocentro). Sulla base delle simulazioni effettuate da Vaya e Suriñach (2003), il correlogramma spaziale dovrebbe essere simile a quello del centro-periferia, sebbene con alcune importanti differenze: l’autocorrelazione - 154 - Cambiamenti nella geografia economica europea ... dovrebbe essere inizialmente positiva, diventare negativa per ordini più bassi di contiguità e successivamente annullarsi. La cluster map evidenzierà un gruppo più contenuto rispetto alla distribuzione CP di regioni caratterizzate da dipendenza spaziale positiva, circondate da altre per le quali la statistica di autocorrelazione è negativa. Nelle restanti aree le attività si distribuiscono in maniera casuale. L’analisi di densità nella distribuzione policentrica rivelerà la presenza di una moda principale e significativa in prossimità del valore medio della variabile e di una o più mode sia a destra che a sinistra del valore medio. Il grado di asimmetria dovrebbe comunque essere inferiore a quello della distribuzione monocentrica. In un’analisi dinamica, quindi, il passaggio da una distribuzione monocentrica ad una policentrica dovrebbe essere indicato anche da una riduzione del grado di asimmetria della distribuzione (e, quindi, un aumento dell’asimmetria potrebbe indicare un rafforzamento del monocentro). La presenza di policentri è evidenziata anche da un’autocorrelazione spaziale negativa tra regioni contigue (dei piccoli sistemi centro-periferia), che si annulla per ordini di contiguità superiori. La distribuzione gerarchica rappresenta un’evoluzione della monocentrica: a partire dal monocentro, in seguito all’ulteriore diminuzione dei costi di trasporto, si sviluppa un processo di diffusione che porta al graduale spostamento delle attività prima verso le regioni confinanti e poi, a mano a mano, verso quelle più lontane, fino a formare una gerarchia nella quale permane un Centro con valori più elevati di LQ. Nello stadio finale tale processo porta alla completa dispersione delle attività e, dunque, ad una distribuzione di tipo omogeneo. La densità univariata, in questo caso, è molto simile a quella della distribuzione monocentrica, ma la concentrazione di probabilità in corrispondenza della moda significativa si riduce mentre si amplia la coda a destra. La somiglianza tra regioni sarà più forte per i primi ordini di contiguità (autocorrelazione positiva, più elevata rispetto al caso monocentrico, generata dal processo di diffusione) e si invertirà all’allontanarsi dal monocentro (la dipendenza spaziale diventa negativa), fino ad annullarsi. 1.5 IL RUOLO DELL’ITALIA NELLA GEOGRAFIA ECONOMICA EUROPEA: UN’ANALISI GENERALE Prima di procedere all’applicazione dell’A-ESDA ai dati regionali per analizzare la distribuzione geografica delle attività economiche, è utile fornire un quadro generale del contributo dei vari paesi dell’UE15 alla formazione del valore aggiunto totale dell’area, nonché delle modifiche della composizione a livello settoriale. Il grafico 1 riporta le quote dei paesi (gruppi di paesi) rispetto al valore aggiunto totale dell’area, negli anni 1980, 1992 e 2002. Questa prima informazione molto generale, - 155 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 segnala solo qualche marginale modifica nella geografia economica dell’UE-15: più dei due terzi del valore aggiunto totale continua a formarsi in Germania, Italia, Francia e Regno Unito, sebbene la quota si riduca dal 71,6% del 1980 al 69,7% nel 2002, con la variazione maggiore nel periodo post-Mercato unico. La quota attribuibile all’attività economica dell’Italia decresce di 1,1 punti percentuali; simile andamento si ha per la Francia e la Germania, al contrario di quel che accade al Regno Unito che incrementa (+1,1%) la sua importanza relativa nella produzione di ricchezza in Europa. Tra i paesi “minori” che aumentano la propria quota, l’Irlanda, la Finlandia, la Grecia e la Svezia accrescono in misura più sostanziale il loro peso nel decennio 1992-2002, rispetto al periodo precedente. Graf. 1 - VALORE AGGIUNTO TOTALE ECONOMIA: QUOTE PERCENTUALI DEI PAESI 80 71,6 71,4 69,7 70 60 50 40 28,4 30 20 16,9 16,5 28,6 30,3 15,8 10 0 Italia UE-4* 1980 1992 A ltri** 2002 * Italia, Francia, Germania, Regno Unito ** Spagna, Portogallo, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Austria, Finlandia, Svezia, Irlanda, Grecia. Per meglio comprendere le variazioni intervenute nel corso del tempo, è utile analizzare la composizione del valore aggiunto da un punto di vista settoriale, in riferimento sia alla manifattura, sia ai servizi. Emerge il processo di de-industrializzazione che ha interessato l’Europa negli anni esaminati (tabella 1): la quota dei servizi (di mercato e non) del nostro campione rappresenta oltre i due terzi del valore aggiunto totale. Tale peso è, inoltre, crescente nel tempo: nell'arco del periodo considerato aumenta di ben 5,5 punti percentuali (interamente ascrivibili ai servizi di mercato), mentre si riduce l'importanza relativa dell'industria manifatturiera (dal 22,7 al 20,4%). All'interno del settore manifatturiero è da segnalare l'aumento della quota dei settori dell'Elettronica (di - 156 - Cambiamenti nella geografia economica europea ... oltre tre punti percentuali, anche se la crescita maggiore si è avuta nel periodo 1980-‘92) e dei Prodotti petroliferi, chimici e della gomma-plastica (di tre punti), mentre si riduce il peso dei settori tradizionali quali il Tessile e l'abbigliamento (di 3,3 punti) e degli Altri settori manifatturieri (di 3,2 punti percentuali)2. Tab. 1 QUOTE SETTORIALI SUL VALORE AGGIUNTO TOTALE E VARIAZIONI Energia e Minerali Manifattura Alimentari, bevande e tabacco Tessile, abbigliamento e calzature 1980 1992 2002 1980-1992 1992-2002 1980-2002 2,8 2,9 2,5 0,1 -0,4 -0,3 22,7 21,3 20,4 -1,4 -0,9 -2,3 13,7 13,5 13,6 -0,1 0,0 -0,1 9,8 7,8 6,6 -2,0 -1,2 -3,3 14,5 15,9 17,5 1,4 1,6 3,0 Elettronica 9,5 12,0 12,7 2,5 0,7 3,2 Mezzi di trasporto 9,7 10,4 10,1 0,6 -0,3 0,3 Altri manifatturieri 42,8 40,4 39,5 -2,4 -0,8 -3,2 7,2 6,0 5,1 -1,2 -0,9 -2,1 63,9 66,8 69,4 2,9 2,6 5,5 64,0 66,8 69,6 2,8 2,8 5,6 17,7 17,3 16,3 -0,5 -0,9 -1,4 Hotel e ristoranti 4,8 4,4 4,4 -0,4 0,0 -0,4 Servizi finanziari 10,6 8,6 7,1 -2,0 -1,5 -3,4 Trasporti e comunicazioni 10,6 9,9 10,4 -0,7 0,5 -0,2 Altri servizi di mercato 20,3 26,6 31,4 6,3 4,7 11,0 36,0 33,2 30,4 -2,8 -2,8 -5,6 Prodotti petrol., Chimica, Gomma, Plas. Costruzioni Totale Servizi Servizi di mercato Commercio all’ingrosso e al dettaglio Servizi non di mercato Fonte: elaborazioni su dati Cambridge Econometrics. Qualche cambiamento sembra, dunque, essere intervenuto nell’UE-15: più modesto per quel che riguarda la distribuzione geografica dell’attività economica complessiva, più intenso dal punto di vista della composizione settoriale della stessa. In questo quadro, l’Italia si differenzia dal resto dell’Europa per quanto riguarda l’andamento delle quote del valore aggiunto settoriale (grafici 2 e 3): decresce, infatti, tra il 1980 e il 2002 il peso italiano nel valore aggiunto dei servizi dell’area europea, ad eccezione di quelli finanziari e non di mercato (che, però, segnano una riduzione nel decennio 1992-2002). Relativamente ai settori manifatturieri, come risulta dal grafico 3, mentre in Europa si riduce la produzione di beni di consumo tradizionali, anche a causa dei processi di delocalizzazione verso alcuni paesi dell’Est europeo, nonché dell’intensificarsi della concorrenza nel settore da parte delle imprese asiatiche, l’Italia incrementa di ben 8,5 punti 2 La sottosezione “Altri beni manifatturieri” è abbastanza eterogenea, essendo costituita da sei diversi settori industriali: “Legno e prodotti in legno”, “Carta, stampa ed editoria”, “Minerali non metalliferi”, “Settori non diversamente classificati”, “Metalli e prodotti in metallo” e “ Macchine ed attrezzature meccaniche”. Gli ultimi due settori rappresentano, nel 2002, oltre il 50% del raggruppamento. - 157 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 percentuali (di cui 4,5 nel periodo 1992-2002) la quota del valore aggiunto europeo nel settore Tessile, Abbigliamento e Calzature, passando dal 30,5 al 39 per cento. Graf. 2 - SERVIZI. QUOTE DELL’ITALIA SUL CAMPIONE CONSIDERATO (UE-15) 25 22,2 20 20,9 18,2 17,8 17,5 18,7 18,4 15,2 15 15,014,8 14,0 14,5 A ltri Non Mkt 10 5 0 Hotel Comm Fin Tr&Co 1980 2002 Legenda: Hotel= Hotel e ristoranti; Comm= Commercio all’ingrosso e al dettaglio; Fin= Servizi finanziari; Tr&Co= Trasporti e comunicazioni; Altri= altri servizi di mercato; Non Mkt= Servizi non di mercato. Graf. 3 - SETTORI MANIFATTURIERI ED ENERGETICI. QUOTE DELL’ITALIA SUL CAMPIONE CONSIDERATO (UE-15) 45 39,0 40 35 30,5 30 25 21,1 17,9 20 15 10,6 19,1 18,5 13,6 11,5 11,0 13,6 14,3 15,2 9,6 10 5 0 Min A li Tessile 1980 Pet Ele Tra A ltri 2002 Legenda: Min= Prodotti minerari ed energetici; Ali= Alimentari, bevande e tabacco; Tessile= Tessile, abbigliamento e calzature; Pet= Prodotti petroliferi, Chimica, Gomma e Plastica; Ele= Elettronica, Tra= Mezzi di trasporto; Altri= Altri manifatturieri. - 158 - Cambiamenti nella geografia economica europea ... Un rafforzamento significativo per l’Italia si ha anche nella estrazione di Prodotti minerari e produzione e fornitura di quelli energetici (da 10,6 a 17,9%, con un incremento di 7,3 punti percentuali, 4,5 dei quali, però, negli anni ’80), mentre una sensibile perdita di quota riguarda la produzione di Mezzi di trasporto (con una caduta di quasi cinque punti, due terzi dei quali nel periodo 1980-’92). Ciò è verosimilmente il risultato del prolungato ridimensionamento attraversato dall’industria dell’auto, a fronte di una tendenza opposta in Paesi come la Francia e la Spagna. Stagnante l’apporto nazionale nella produzione europea del settore Elettronico che aumenta, invece, significativamente - e soprattutto nel periodo post-Mercato unico - in Irlanda e nei paesi scandinavi. 1.6 L’APPLICAZIONE DELL’A-ESDA ALL’ANALISI DELLA DINAMICA DELLA DISTRIBUZIONE SPAZIALE DELL’INDUSTRIA NELL’UE15 DAL 1980 AL 2002: DATI E RISULTATI Alla luce del quadro generale tracciato nel paragrafo precedente, l’analisi che segue ha come principale obiettivo l’identificazione del tipo di distribuzione dell’attività economica in Europa nel 2002 e la verifica della sua evoluzione dal 1980. La variabile in esame è il valore aggiunto settoriale di 162 regioni (NUTS-2) appartenenti a 15 paesi dell’Unione Europea. Più precisamente, il campione include le regioni di Italia, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Grecia, Regno Unito, Irlanda, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Danimarca nonché Austria, Finlandia e Svezia, entrate nell’Unione solo nel 19953. I dati utilizzati sono di fonte Cambridge Econometrics’ European Regional Databank, basati sulle serie storiche Eurostat. Le informazioni sono disponibili per 12 settori (6 manifatturieri e 6 di servizi), oltre agli aggregati, al settore dei Prodotti minerari ed energetici e alle Costruzioni. In particolare, si analizzerà la sola dinamica di localizzazione per il totale della Manifattura e dei Servizi di mercato. Verrà, invece, mantenuto il riferimento al quadro teorico nell’analisi settoriale limitata, per ragioni di spazio, a due settori per il manifatturiero, per i quali l’evidenza empirica è più chiara (il settore tradizionale Tessile, abbigliamento e calzature, e il settore ad alta tecnologia dell’Elettronica), e ad un settore per i servizi (Servizi finanziari). Qualche nota finale sarà riservata agli altri settori manifatturieri esaminati nonché al particolare andamento del settore delle Costruzioni. 3 Per il Regno Unito è stata utilizzata la ripartizione territoriale al livello NUTS-1, mentre la Danimarca, l’Irlanda e il Lussemburgo sono state considerate come paesi ad unica regione (NUTS-0). Inoltre, al fine di evitare distorsioni nei risultati, sono state escluse dal campione la Germania Est, i Dipartimenti e Territori d’oltre mare della Francia, le isole della Spagna (Ceuta e Melilla, le Baleari e le Canarie) e del Portogallo (Azzore e Madeira), nonché le regioni di Groningen e Flevoland (Olanda) e Vastsverige (Svezia) a causa di missing values e andamenti ritenuti poco verosimili. - 159 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 E’ il caso di ribadire che le distribuzioni teoriche richiamate nel paragrafo 2 rappresentano solo alcune tra le infinite forme che la localizzazione geografica delle attività economiche può assumere. Alcune di esse sono tra l’altro difficilmente osservabili nella realtà, soprattutto per quanto riguarda la produzione manifatturiera. Ciò è particolarmente vero per le configurazioni più “estreme”, quali centro-periferia ed omogenea: è, infatti, altamente improbabile che le attività economiche siano localizzate interamente in un Centro ben delimitato e che non vi sia alcuna attività industriale nel resto del territorio; allo stesso modo non si osserva nella realtà una ripartizione perfettamente equa dell’industria nello spazio. Le cinque tipologie rappresentano, tuttavia, le forme stilizzate a cui le distribuzioni effettive possono tendere con qualche approssimazione. Esse definiscono quindi delle ipotesi teoriche a cui rapportarsi nell’interpretazione delle statistiche spaziali. Particolarmente utile ai fini del presente lavoro è il confronto intertemporale: osservare il passaggio - per un determinato settore - da una distribuzione all’altra, il consolidarsi di una data forma di localizzazione o il verificarsi di modifiche all’interno di questa, può contribuire a rafforzare o, al contrario, attenuare le predizioni sulla relazione che lega il processo di integrazione economica alle dinamiche di concentrazione settoriale/specializzazione regionale. 1.6.1 Il settore Manifatturiero Il grafico A1.a, posto in appendice, riporta i valori degli indici di Theil4 a-spaziale e spaziale5, nonché il rapporto tra gli stessi per l’intero periodo 1980-2002. L’indice di Theil a-spaziale diminuisce fino a metà degli anni ’90, segno di una riduzione del grado di concentrazione delle attività manifatturiere. La contestuale dinamica decrescente dell’indicatore spaziale indica che il processo di dispersione interessa regioni geograficamente distanti tra loro. Ciò è ben evidenziato anche dal rapporto tra le due misure: il valore dello spatial Theil tende a ridursi più velocemente dell’indice a-spaziale, soprattutto nel corso degli anni ’90 (periodo della costituzione del Mercato unico). Per contro, a partire dal 1997 sembra esserci una inversione di tendenza, con un innalzamento del grado di concentrazione. Lo stesso grafico riporta l’indice di Moran: l’andamento nel tempo della dipendenza spaziale, sostanzialmente decrescente, sebbene con periodiche inversioni di rotta (anni 1989-’92), conferma quanto già rilevato dall’indice di concentrazione spaziale. 4 Al fine di rendere possibile un confronto tra le due misure, gli indici di Theil (spaziale e a-spaziale) sono normalizzati, cioè divisi per il relativo upper-bound. 5 La matrice dei pesi spaziali utilizzata è del tipo k-nearest neighbors (k-nn), con k pari a 10. E’ stato applicato, cioè, un criterio di prossimità in base al quale a ciascuna regione vengono “attribuite” esattamente 10 altre regioni con le quali si sviluppa il sistema di interazioni. La matrice è, inoltre, standardizzata per righe. - 160 - Cambiamenti nella geografia economica europea ... L’autocorrelazione resta, comunque, positiva: ciò significa che le regioni nelle quali il peso relativo della produzione manifatturiera è elevato (basso) continuano ad essere localizzate l’una in prossimità dell’altra, sebbene non formino più un cluster unitario. Ulteriore evidenza è fornita dal correlogramma spaziale, che riporta l’indice di Moran per 10 diversi ordini di contiguità. Ciò consente di verificare la presenza e la tipologia di autocorrelazione all’estendersi del raggio territoriale di riferimento. Come evidenziato nel grafico A1.b, nel 2002 si riduce il grado di interdipendenza rispetto al 1980: ciò è deducibile oltre che dalla già rilevata diminuzione del valore dell’indice (da 0,3 a 0,2 circa), dall’allontanarsi delle regioni periferiche da quelle centrali (l’autocorrelazione negativa raggiunge solo all’8° ritardo spaziale un valore simile a quello che nel 1980 caratterizzava i ritardi spaziali compresi tra il 4° ed il 5°). Le mappe LISA cluster consentono di distinguere le aree centrali da quelle periferiche. Nel grafico A1.c l’area in grigio scuro indica la presenza di cluster di regioni ad alta specializzazione (regioni con valori elevati dei LQ circondate, in maniera statisticamente significativa, da regioni anch’esse con valori elevati dei LQ); viceversa, l’area in grigio identifica i cluster di bassa specializzazione (bassi valori dei LQ circondati da bassi valori dei LQ). La dipendenza spaziale è, invece, negativa nelle aree con le righe e con i punti: le prime individuano regioni con bassi valori dei LQ significativamente correlate con regioni ad alto valore dei LQ; il contrario accade nelle aree con i punti, cosiddette “isolated pole”. Nel 1980 le aree ad elevata concentrazione relativa delle attività manifatturiere sono localizzate prevalentemente in Regno Unito, Germania e Nord Italia (Lombardia), mentre gli estremi Sud (Italia meridionale e Grecia) e Nord (Finlandia e Svezia) rappresentano le periferie. I pochi isolated pole sono localizzati in Grecia, Belgio e Svezia. Nel 2002 si assiste al parziale spostamento delle aree con autocorrelazione positiva (relazione altoalto) verso le regioni scandinave, sebbene il “Centro” continui ad essere localizzato nel territorio tedesco. Si riduce, per contro, l’estensione delle aree periferiche (che continuano ad interessare le regioni del Sud Italia e della Grecia), mentre per una superficie più ampia del territorio europeo l’interazione spaziale diventa non significativa. La stima di densità univariata (grafico A1.d) dei LQ mette in luce il cambiamento intervenuto nella distribuzione e la tendenza all’attenuazione della relazione dicotomica “centro-periferia”: da asimmetrica a destra nel 1980, la distribuzione assume una forma sempre unimodale ma asimmetrica a sinistra nel 2002 (l’indice di asimmetria è pari a 0.033 nel 1980 e -0.242 nel 2002); ciò è dovuto alla riduzione della densità in corrispondenza dei livelli di despecializzazione (LQ inferiori ad 1) e al contestuale aumento della stessa per valori del quoziente di specializzazione superiori all’unità. L’analisi della dinamica intra-distribuzionale rafforza le conclusioni tratte in precedenza. Il grafico A1.d riporta, a destra, l’HDR plot della stima di densità condizionata - 161 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 dei valori LQ osservati negli anni 1980 e 2002. In esso sono riportate, inoltre, la bisettrice a 45 gradi e due linee, una orizzontale ed l’altra verticale, in corrispondenza del valore 1 che caratterizza l’ipotesi di una specializzazione regionale pari esattamente a quella media europea. Per una corretta interpretazione di questo grafico è opportuno chiarire alcuni punti. L’intersezione tra le regioni a più alta densità al 25% o al 50% e la diagonale a 45 gradi indicherebbe che la maggior parte degli elementi della distribuzione restano nella situazione di partenza (nel nostro caso, le regioni manterrebbero nel tempo lo stesso livello di specializzazione); si avrebbe quindi “forte” persistenza. La persistenza sarebbe, invece, “debole” nel caso in cui la bisettrice intersecasse solo le regioni a più alta densità al 75% o 90%. Similmente, qualora la linea orizzontale tracciata in corrispondenza del valore unitario intersecasse tutte le regioni a più alta densità al 25-50% (75-90%), si tenderebbe a concludere a favore di un processo di forte (debole) convergenza globale nei livelli di LQ. Si parlerebbe, invece, di divergenza nel caso in cui tale evidenza si rilevasse in corrispondenza della linea verticale. Infine, se solo alcune regioni a più alta densità fossero intersecate da una retta orizzontale tracciata in corrispondenza di un qualsiasi valore dell’asse verticale, la convergenza (forte o debole) si verificherebbe solo localmente o per club. I risultati evidenziano come siano le regioni con LQ compresi fra 0,7 e 1,2 nel 1980 a migliorare in misura consistente la loro posizione relativa nella produzione dell’aggregato manifatturiero, passando da una situazione di de-specializzazione ad una di specializzazione manifatturiera: si tratta prevalentemente dell’Irlanda, di alcune regioni svedesi e finlandesi. Per valori di LQ inferiori a 0,7 e superiori a 1,2 si rileva una convergenza di tipo locale: le regioni con livelli relativi di produzione manifatturiera inizialmente molto bassi sembrerebbero convergere su valori di specializzazione ancora molto ridotti, ad indicare una sorta di “trappola di de-specializzazione”. Le regioni con un’iniziale forte presenza relativa di attività manifatturiera mostrano una convergenza locale verso livelli di specializzazione prossimi a 1,5: si tratta in prevalenza di regioni tedesche e del Regno Unito. La distribuzione ergodica indica, infine, la tendenza di lungo periodo del processo di transizione stocastica. Il grafico 8 mostra chiaramente che il processo tende verso una distribuzione unimodale, con la moda posizionata a destra del valore medio europeo, suggerendo una tendenza verso una forte riduzione dei differenziali regionali di LQ nella manifattura industriale nel lungo periodo. - 162 - Cambiamenti nella geografia economica europea ... 1.6.1.1 L’analisi settoriale Sembra, dunque, che le regioni cosiddette centrali perdano parzialmente l’importanza relativa nella produzione manifatturiera europea e che tale attività si diffonda gradualmente in quelle periferiche. Sebbene l’analisi del dato aggregato metta in luce risvolti interessanti, risulta di rilievo indagare sulle dinamiche di concentrazione settoriale e, conseguentemente, di specializzazione regionale, al fine di porle in relazione alle predizioni dei teorici della NEG. In quanto segue, pertanto, saranno analizzati due settori manifatturieri: il Tessile, abbigliamento e calzature e il settore dell’Elettronica. Il settore del Tessile, abbigliamento e calzature è il settore manifatturiero più concentrato e con una tendenza al rafforzamento della clusterizzazione: gli indici di Theil aspaziale e spaziale raggiungono i valori più elevati e sono entrambi crescenti per l’intero periodo considerato (grafico A2.a). L’aumento della concentrazione spaziale è, inoltre, più sostenuto tanto che il rapporto tra i due indicatori (spaziale e non) è sempre crescente e, negli ultimi anni, supera l’unità: ciò indica non solo che l’attività settoriale si concentra in aree sempre più circoscritte, ma anche che tali aree sono sempre più prossime geograficamente ed interdipendenti tra loro. Tale andamento è confermato dall’I-Moran, sempre positivo e crescente ad indicare il rafforzamento della dipendenza spaziale tra regioni “simili” dal punto di vista dell’importanza relativa che il settore rivestite all’interno della loro struttura industriale. Il fatto che per l’intero periodo considerato l’autocorrelazione si estenda ai livelli di prossimità successivi al primo (grafico A2.b) lascia supporre l’esistenza di aree centrali e/o periferiche abbastanza estese, caratterizzate dalla presenza di un monocentro che tende a rafforzarsi nel tempo (la dipendenza spaziale diventa più forte nel 2002, ad indicare una maggiore omogeneità delle regioni che ricadono all’interno dei cluster). La lettura delle mappe (grafico A2.c) può fornire una rappresentazione più dettagliata di quanto avvenuto. Nel 1980 la LISA cluster map evidenzia la presenza di autocorrelazione positiva per le regioni specializzate (con valori alti di LQ) nel Centro-Nord Est dell’Italia, nonché in Grecia; le regioni periferiche sono situate in prevalenza nel Nord Europa. Nel 2002 la produzione del Tessile, abbigliamento e calzature si circoscrive ancor di più all’Italia - che intensifica la sua specializzazione nel settore - estendendosi ad altre regioni della penisola. Contestualmente, l’importanza relativa del settore si riduce in Grecia, anche se sembra aumentare in alcune regioni portoghesi. L’analisi di densità, univariata e condizionata, evidenzia il consolidarsi di un blocco ristretto di regioni “centrali” e l’ampliarsi della relativa periferia (grafico A2.d). Aumenta, infatti, la densità in corrispondenza di valori molto bassi dei quozienti di localizzazione. L’aumento dell’asimmetria della distribuzione testimonia l’intensificarsi del divario di specializzazione conseguente al rafforzarsi del monocentro, rappresentato da alcune regioni italiane e portoghesi. Al di fuori di questo gruppo ristretto di regioni, nel resto - 163 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 d’Europa emerge una chiara tendenza verso una minore presenza relativa del settore, con qualche evidenza di convergenza: sono le regioni con valori più alti di LQ a ridurlo in misura più consistente nel tempo. In particolare, nel 2002 un folto gruppo di regioni francesi e greche si colloca su livelli di bassa specializzazione o di de-specializzazione. A parità di condizioni, l’iterazione del processo stocastico descritto dalla stima di densità condizionata porterebbe nel lungo periodo alla formazione di un monocentro “puro” nel settore tessile-abbigliamento. La distribuzione ergodica è, infatti, unimodale con il picco situato in prossimità dello zero: la maggior parte delle regioni tenderebbe cioè ad abbandonare questo tipo di produzione. Appare inoltre un piccolo addensamento a destra del valore unitario, a rappresentare il bacino estremamente ridotto di regioni in cui tenderebbe a concentrarsi tutta l’attività produttiva. Un particolare andamento si rileva anche per il settore dell’Elettronica, che rimane geograficamente concentrato: l’indice di Theil, dopo la riduzione intervenuta fino ai primi anni ’90, nel 2002 ritorna ai livelli del 1980 (grafico A3.a). Fino ai primi anni ’90, inoltre, la concentrazione spaziale - tra le più elevate settorialmente - è leggermente più alta di quella a-spaziale, segno che le regioni nelle quali si localizza la produzione del settore sono geograficamente vicine. E’ opportuno notare che la concentrazione spaziale nei settori ad alta tecnologia, come l’elettronica, è ritenuta tradizionalmente funzionale allo sfruttamento di esternalità tecnologiche positive e spillover di conoscenza. L’inversione di tendenza che caratterizza gli anni successivi segnala una riduzione della polarizzazione geografica del settore. Le motivazioni dietro questo processo stanno nell’emergere di alcuni importanti produttori di elettronica in alcune regioni del Nord Europa. Occorre inoltre osservare che la diffusione di internet avvenuta proprio nel corso degli anni ’90 ha allentato il vincolo della prossimità spaziale prima necessaria per un appropriato sfruttamento delle esternalità di conoscenza tecnologica. L’autocorrelazione spaziale, sempre positiva, si riduce infatti a partire dal 1992; sia nel 1980 che nel 2002, comunque, la dipendenza resta positiva per i primi tre ordini di contiguità, diventa negativa per ordini di contiguità superiori e tende, successivamente, ad annullarsi (grafici A3.a e A3.b). Anche in questo caso la distribuzione sembra assumere una forma di tipo monocentrico, anche se in misura meno intensa nel 2002. Ciò può essere attribuito ad una variazione della composizione regionale del Centro, visibile dalle LISA cluster map (grafico A3.c): mentre nel 1980 le regioni specializzate nella produzione settoriale occupano il territorio della Germania e il confinante territorio del Sud-Est francese, nel 2002 le regioni scandinave di Svezia e Finlandia si sostituiscono a quelle tedesche settentrionali. L’analisi di densità (grafico A3.d) mette in luce il cambiamento intervenuto: la moda della distribuzione si sposta da valori di LQ inferiori a 0,5 su valori intorno a 1,2; si riduce, inoltre, la densità sia in corrispondenza di livelli di de-specializzazione, sia per li- - 164 - Cambiamenti nella geografia economica europea ... velli più elevati di specializzazione (la coda a destra della distribuzione). La gobba - ben chiara nel quadrante in alto a sinistra della stima di densità condizionata - segnala proprio la consistente modifica della posizione relativa di alcune regioni che acquisiscono nel tempo una specializzazione nel settore dell’Elettronica: sono le regioni svedesi e finlandesi. Persistono, invece, nella loro condizione la maggior parte delle altre regioni che sono de-specializzate nel 1980. Una tendenza di lungo periodo verso la convergenza su valori superiori all’unità è messa chiaramente in evidenza dalla distribuzione ergodica. 1.6.1.2 Gli altri settori Riportiamo, infine, alcuni tratti di sintesi sugli altri settori manifatturieri analizzati, cioè Alimentari, bevande e tabacco, Mezzi di trasporto, Prodotti petroliferi, chimica, gomma e plastica e Altri settori manifatturieri. Tale esercizio è utile al fine di fornire una visione più completa dei movimenti nelle specializzazioni settoriali nel corso del processo di integrazione, sebbene l’evidenza per questi settori fornisca indicazioni meno chiare rispetto a quelle già discusse per il Tessile, abbigliamento e calzature e per l’Elettronica. Il settore tradizionale degli Alimentari, bevande e tabacco è caratterizzato da un crescente grado di concentrazione a-spaziale a cui corrisponde, però, un ridotto livello di concentrazione spaziale. Ciononostante, nel tempo la produzione di tali manufatti tende a circoscriversi ad alcune regioni della Spagna e del Sud Ovest della Francia, le quali intensificano la propria specializzazione nel settore. A fronte di tale evidenza, si tende ad interpretare il risultato in favore dell’esistenza di una distribuzione di tipo monocentrico che tenderebbe a rafforzarsi nel tempo. Si può parlare, invece, di persistenza di una distribuzione monocentrica nel caso dei settori Mezzi di trasporto e Prodotti petroliferi, chimica, gomma e plastica. Per quanto riguarda quest’ultimo settore, le regioni più specializzate - nell’intero periodo considerato - sono localizzate nel Nord Est della Francia e in Belgio. Nel caso dei Mezzi di trasporto, la concentrazione (spaziale e non) è tra le più elevate all’interno della categoria manifatturiera; ciò è da ricondurre sicuramente alla struttura industriale del settore, caratterizzato dalla presenza di imprese medio-grandi e da rilevanti economie di scala. E’ vero che in termini dinamici, il lieve incremento del grado di concentrazione a-spaziale non ha trovato corrispondenza in termini spaziali: tale evidenza, tuttavia, può essere ricondotta ad eventi isolati legati alle strategie di de-localizzazione di alcune (grandi) imprese operanti nel settore. Infine, il raggruppamento degli Altri settori manifatturieri ha la caratteristica di essere troppo eterogeneo, essendo costituito da sei diversi settori. Ciò sicuramente costituisce un limite per l’analisi, poiché una simile aggregazione non consente di rilevare i pattern di distribuzione specifici dei singoli settori. Si può osservare, comunque, come l’andamento del raggruppamento sia simile a quello descritto per il totale manifatturiero, di cui lo stesso rappresenta circa il 40% nel 2002. - 165 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 1.6.2 Servizi di mercato Per quanto riguarda i Servizi di mercato, il livello di concentrazione è molto più basso rispetto a quello rilevato per la manifattura (grafico A4.a). Questo risultato non sorprende dato che la produzione della maggior parte dei servizi è molto meno mobile della manifattura e deve avvenire in prossimità della domanda, ovvero dappertutto. Lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione può aver allentato il vincolo della prossimità geografica per lo sfruttamento delle esternalità di conoscenza in quei settori più mobili come i servizi finanziari. Anche l’autocorrelazione spaziale, positiva nel 1980, sebbene solo per i primi ordini di contiguità (grafici A4.a e A4.b), tende ad annullarsi negli anni più recenti: tale risultato, unito al basso valore dell’indice di Theil denota una distribuzione relativamente omogenea delle attività di Servizi. Le LISA cluster map (grafico A4.c) sono caratterizzate dalla presenza di ampie aree nelle quali la dipendenza spaziale è non significativa; ciò si osserva per la maggior parte del territorio dell’Europa continentale sia nel 1980 che nel 2002. L’asimmetria nella distribuzione si riduce nel tempo e aumenta la densità in corrispondenza dell’unica moda, collocata su valori di LQ pari a 0,9 in entrambi gli anni considerati. La stima di densità condizionata (grafico A4.d) mette in luce l’esistenza di un processo di convergenza locale tra le regioni non specializzate (cioè con valori di LQ inferiori all’unità) e un altro più debole processo di convergenza locale tra le altre regioni. In particolare, alcune regioni scandinave passano da specializzate nel 1980 a de-specializzate nel 2002. Interessante è il cambiamento osservabile nella distribuzione delle attività relative ai Servizi finanziari. Il grado di concentrazione, sia a-spaziale che spaziale, non appare particolarmente elevato, così come in generale si rileva per le categorie di servizi; è, inoltre, decrescente fino a metà degli anni ’90 (grafico A5.a). Particolarmente sostenuta è la riduzione nello stesso periodo del rapporto fra i due indici di Theil, spaziale e non: ciò indica che non solo le attività finanziarie si disperdono nello spazio geografico, ma anche che tale dispersione avviene in modo piuttosto casuale. L’autocorrelazione spaziale, infatti, si annulla nel tempo: l’indice di Moran da un iniziale valore positivo e significativo si riduce notevolmente fino a raggiungere lo zero (o porsi leggermente al di sotto di questo) a partire dagli anni l994-’95 e seguenti. La distribuzione delle attività finanziarie nel 1980 sembra approssimare la tipologia monocentrica: l’analisi di densità univariata (grafico A5.d) della distribuzione evidenzia la presenza di un secondo picco per i valori più alti del quoziente di localizzazione, a conferma dell’esistenza di un certo grado di concentrazione; la dipendenza spaziale, come si può notare dal grafico A5.b è positiva per i primi ordini di contiguità, ad indicare dei cluster di regioni omogenee (centro e/o periferia), diventa negativa per poi tendere verso lo zero. Esiste, dunque, una relazione di dipendenza tra gruppi eterogenei tra loro, omogenei al loro interno, che si annulla nel - 166 - Cambiamenti nella geografia economica europea ... lungo raggio. I gruppi omogenei (grafico A5.c, LISA cluster map) sono costituiti da buona parte delle regioni austriache, tedesche e del Sud della Svezia, per quanto riguarda il “Centro”, da Irlanda, Regno Unito, Grecia e alcune regioni della penisola iberica, per quanto riguarda la “Periferia”. Il processo di integrazione dei mercati europei non sembra aver prodotto in questo caso gli effetti predetti di aumento della concentrazione e della specializzazione delle aree già individuate. Nel 2002, infatti, gli indicatori sembrano segnalare una distribuzione piuttosto omogenea delle attività del settore: il livello di concentrazione si riduce (sebbene sia in aumento dal 1996), l’autocorrelazione spaziale si annulla, per tutti gli ordini di contiguità considerati e la mappa degli I-Moran locali segnala una localizzazione quasi interamente casuale dei Servizi finanziari; uniche eccezioni sono rappresentate dalla regione francese di Parigi (Ile-de-France), dal Lussemburgo, e dalla regione svedese di Stoccolma. La tendenza della distribuzione ad assumere una forma piuttosto omogenea si evince anche dall’analisi della densità. La densità condizionata (grafico A5.d) ben evidenzia la tendenza alla convergenza globale. Permangono, tuttavia, alcune regioni di “eccellenza” (il Lussemburgo, in particolare). La moda della distribuzione non si modifica nel tempo, mentre aumenta in probabilità il numero di regioni che migliorano la propria posizione relativa nel settore6. 1.6.3 Costruzioni Qualche nota, infine, sul settore delle Costruzioni. In questo caso, l’evidenza empirica va interpretata alla luce di due considerazioni. La prima è relativa alla natura del settore, che tende a concentrarsi laddove si attivano progetti di edilizia e di infrastrutturazione territoriale e, per ciò stesso, ad essere meno influenzato dalle logiche di agglomerazione che operano nei modelli della NEG; la seconda - collegata in qualche modo alla prima - è che l’andamento del settore potrebbe essere fortemente condizionato (più di altri settori) dalle politiche regionali europee di ampliamento, ammodernamento e ristrutturazione della rete infrastrutturale, messe in atto a partire dagli anni ’90. Se si fa riferimento al grafico A6.a proprio dai primi anni ’90 l’indice di concentrazione (sia a-spaziale che spaziale) recupera una dinamica crescente fino a raggiungere nel 2002 un valore superiore a quello del 1980. Forte è la dipendenza spaziale: il rapporto tra i due indicatori di Theil è crescente (si intensifica la prossimità geografica delle aree in cui si sviluppa l’attività settoriale), così come l’indice di Moran. Le mappe (grafi- 6 Una precisazione si rende necessaria per la regione di Londra, che diventa specializzata nel 2002 (non lo era nel 1980). Insieme al Lussemburgo è la regione nella quale il valore aggiunto settoriale ha registrato la maggiore crescita (è triplicato dal 1980 al 2002); tuttavia, il grado di eterogeneità del tessuto economico locale la pone, al contrario proprio del Lussemburgo, su livelli di specializzazione nettamente più contenuti. - 167 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 co A6.c). evidenziano come il processo di intensificazione delle attività legate al settore delle costruzioni sia stato segnato dall’intervento pubblico: ha, infatti, interessato prevalentemente tre dei quattro paesi destinatari delle Fondo di Coesione, le cui risorse sono state destinate in larga parte al rinnovamento e all’ampliamento della dotazione infrastrutturale. Le regioni della Spagna, del Portogallo e della Grecia sono, infatti, caratterizzate da dipendenza spaziale positiva per valori alti dei quozienti di localizzazione7. La stima univariata (grafico A6.d) mostra un consistente aumento della densità per valori di LQ prossimi all’unità, unitamente ad un leggero incremento della coda a destra della distribuzione. L’analisi della dinamica intradistribuzionale mette bene in luce la formazione di due cluster di convergenza, uno per valori di LQ inferiori e prossimi all’unità, uno per valori superiori a 1,5. La presenza di una gobba per valori di LQ compresi tra 1 e 1,5 segnala, infine, l’intensificarsi del processo di specializzazione regionale/concentrazione settoriale in alcune aree. 1.7 CONCLUSIONI I risvolti di un processo di integrazione economica come quello europeo sono evidentemente molteplici. Differenti sono, anche, le chiavi di lettura che si possono adottare per un’interpretazione: in positivo, se si fa riferimento all’incremento del mercato potenziale determinato dalla riduzione dei costi di transazione che caratterizza la crescente integrazione, nonché alla maggiore e, almeno teoricamente, più agevole disponibilità di fattori produttivi, legata all’incremento della mobilità del lavoro e dei capitali; in negativo, se si guarda alla rinuncia, in un’area a valuta comune, alla gestione della politica monetaria come strumento di aggiustamento a disturbi nazionali specifici. Alcuni analisti, soprattutto sulla sponda americana, hanno cercato di prevedere, nei primi anni novanta, gli sviluppi dell’integrazione europea, sulla base sia delle indicazioni degli schemi teorici della Nuova Geografia Economica, sia dell’esperienza di quella plurisecolare unione monetaria rappresentata dagli Stati Uniti d’America (Krugman, 1993). Quelle argomentazioni ponevano in luce la possibilità di un’accentuazione, in Europa, delle eterogeneità territoriali e la conseguente maggiore difficoltà a gestire in modo adeguato la risposta a shock asimmetrici in presenza di una politica monetaria unica. Tale prospettiva veniva collegata all’intensificazione delle specializzazioni regionali, causata dall’abbattimento dei costi di transazione e dalla più elevata mobilità di alcuni fattori produttivi (capitale e lavoro altamente qualificato) che si accompagnano al processo di 7 La mancanza di una simile evidenza per l’Irlanda, quarto paese della Coesione, potrebbe essere dovuta alla matrice dei pesi spaziali utilizzata, che impone un’interazione con regioni nelle quali l’attività settoriale è più bassa. - 168 - Cambiamenti nella geografia economica europea ... integrazione. In assenza di opportuni meccanismi di compensazione, ciò avrebbe reso le singole aree più vulnerabili a cadute della domanda (dovute al mutamento dei gusti dei consumatori, anche per l’eventuale apparire di nuovi competitori) che colpiscono in modo specifico le industrie di specializzazione. A corollario di ciò, si evidenziava anche il rischio che shock transitori di domanda, per l’assenza di strumenti di rapido aggiustamento, avessero effetti permanenti di ampliamento dei divari di crescita per lo spostamento dei fattori dalle regioni in contrazione a quelle in espansione. Alla luce di queste predizioni, nel presente lavoro si è cercato di verificare com’è cambiata la geografia economica europea nel periodo di maggiore integrazione (19802002) che ha visto la nascita del Mercato Unico e l’introduzione dell’euro, riservando una maggiore attenzione al ruolo rivestito dall’Italia. In particolare, facendo riferimento ad alcune modalità teoriche di distribuzione geografica delle attività economiche, derivate a partire dalle predizioni della NEG, e con l’ausilio di una serie di indicatori statistici di analisi globale e locale (A-ESDA), si è analizzata la distribuzione territoriale di alcuni settori industriali, manifatturieri e dei servizi, nonché i cambiamenti intervenuti nel corso del tempo. Una prima conclusione è relativa alle modifiche osservabili in Europa, in generale, per quanto riguarda la localizzazione territoriale dell’attività economica e la sua composizione settoriale. Relativamente al primo punto, l’evidenza pone in luce un seppur contenuto processo di diffusione della produzione del valore aggiunto, dalle regioni “centrali” verso quelle “periferiche”, processo che si è orientato soprattutto in direzione Nord, coinvolgendo principalmente le regioni della Svezia, della Finlandia, dell’Irlanda, e Ovest, riguardando Spagna e Portogallo; la direzione Sud (Mezzogiorno italiano, Grecia) non sembra invece essere stata interessata da significativi processi di diffusione. Per quanto riguarda la composizione settoriale del valore aggiunto manifatturiero, dal 1980 al 2002 si è osservata una riduzione del contributo del settore tradizionale del Tessile, abbigliamento e calzature a cui è corrisposto un aumento della quota dei settori più innovativi, come quello dell’Elettronica. In tale contesto, l’Italia sembra aver seguito poco l’Europa, mostrando una tendenza a rafforzare la sua specializzazione proprio nel Tessile, abbigliamento e calzature e a ridurre la produzione di Mezzi di trasporto, mentre del tutto trascurabile è la variazione della propria quota nei settori ad alta tecnologia. Quanto questi cambiamenti sono riconducibili al processo di integrazione economica dell’Europa e, soprattutto, quali sono stati i risvolti di tale processo in termini di incremento della specializzazione regionale? L’analisi settoriale consente di fornire una prima risposta alla domanda. Si è visto come il settore degli Alimentari, bevande e tabacco possa ritenersi caratterizzato dalla presenza di un monocentro che si consolida nel tempo, circoscrivendosi ad alcune regioni della Spagna e della Francia che rafforzano la loro specializzazione settoriale. Anche nel caso dei settori manifatturieri analizzati più in det- - 169 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 taglio, cioè Tessile, abbigliamento e calzature ed Elettronica, l’evidenza ha portato a concludere il mantenimento nel tempo di una distribuzione di tipo “monocentrico”. Nonostante la similitudine, questo risultato sottende due comportamenti differenziati. Infatti, mentre per quanto riguarda il settore tradizionale del Tessile e abbigliamento la crescente concentrazione è stata accompagnata da una progressiva polarizzazione che ha interessato principalmente le regioni che già risultavano specializzate nel settore (quelle italiane, soprattutto, ma anche alcune regioni portoghesi), ciò non si è verificato per il settore innovativo dell’Elettronica. In quest’ultimo caso si è osservato un parziale spostamento della concentrazione settoriale verso regioni (scandinave) in precedenza de-specializzate nella produzione settoriale. Non sembra, invece, che si siano prodotte variazioni significative nella geografia economica per i settori dei Mezzi di trasporto e dei Prodotti petroliferi, chimica, gomma e plastica. Si può concludere, dunque, che indicazioni di un rafforzamento della specializzazione regionale in seguito al processo di integrazione sembrano essere rispettate nel caso dei settori tradizionali del Tessile, abbigliamento e calzature e Alimentari, bevande e tabacco. Nel caso del settore a più elevata tecnologia dell’Elettronica, si è confermata una tendenza alla concentrazione che, però, si è spostata in aree diverse da quelle iniziali e che in precedenza apparivano come periferiche. Nei settori dei Mezzi di trasporto e dei Prodotti petroliferi, chimica, gomma e plastica si ha evidenza di una persistenza della situazione iniziale. Una possibile spiegazione del diverso andamento dei settori può venire dalla differente natura della conoscenza tecnologica che li caratterizza: è possibile che nel settore a più alta intensità tecnologica (Elettronica) una parte crescente dell’informazione che costituisce i cosiddetti spillovers sia divenuta codificabile e, pertanto, più facilmente trasferibile nello spazio, grazie anche alla crescente diffusione delle tecnologie dell’informazione; al contrario, i settori tradizionali sarebbero maggiormente legati alla conoscenza derivante dal “sapere locale”, più radicata territorialmente. Non pare rispettata la predizione teorica nel caso dei Servizi finanziari, la cui distribuzione geografica da sostanzialmente “monocentrica”, qual era nel 1980, appare pressoché “omogenea” nel 2002, anche se con qualche eccezione (come il Lussemburgo). Infine, il settore delle Costruzioni appare segnato dall’integrazione europea, anche se attraverso meccanismi che si sottraggono alle regole del mercato. Il consistente incremento del valore aggiunto settoriale che si osserva nel 2002 in paesi quali la Spagna, la Grecia e il Portogallo è verosimilmente determinato dalla spesa per la dotazione e l’ammodernamento della rete infrastrutturale, sostenuta in tali paesi dalla politica regionale europea attraverso il Fondo di Coesione. - 170 - Cambiamenti nella geografia economica europea ... 1980 1990 0.0025 0.0040 Spatial Theil 0.0055 Theil 0.0065 A1 - MANIFATTURA Grafico A1.a - Indici di Theil e indice di Moran 2000 1980 1990 1990 0.26 0.22 0.55 0.40 1980 0.30 Relative Moran index year 0.70 Ratio between spatial and a−spatial Theil year 2000 2000 1980 1990 year 2000 year Grafico A1.b - Correlogramma spaziale, anni 1980 e 2002 1980 0.0 0.1 Moran’s I 0.1 −0.1 0.0 −0.1 Moran’s I 0.2 0.2 0.3 0.3 0.4 2002 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 lags 2 3 4 5 6 lags - 171 - 7 8 9 10 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Grafico A1.c - LISA cluster maps 1980 2002 Legenda: Grigio scuro= autocorrelazione positiva, relazione alto-alto; Grigio= autocorrelazione positiva, relazione basso-basso; Punti= autocorrelazione negativa, relazione alto-basso; Righe= autocorrelazione negativa, relazione basso-alto 1.5 1.5 2.0 2.0 Grafico A1.d - Densità univariata e condizionata 0.5 1.0 2002 1.0 0.0 0.0 0.5 density 1980 2002 Ergodic 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 −0.5 0.0 0.5 1.0 1980 Skewness: 1980= 0.0332019; 2002= -0.2418163 - 172 - 1.5 2.0 Cambiamenti nella geografia economica europea ... A2 -TESSILE, ABBIGLIAMENTO E CALZATURE 0.055 0.025 0.040 Spatial Theil 0.045 0.035 Theil 0.055 Grafico A2.a - Indici di Theil e indice di Moran 1980 1990 2000 1980 1990 year 1980 1990 0.26 0.28 0.30 Relative Moran index 0.75 0.85 0.95 1.05 Ratio between spatial and a−spatial Theil year 2000 2000 1980 1990 year 2000 year Grafico A2.b - Correlogramma spaziale, anni 1980 e 2002 2002 0.2 0.1 Moran's I 0.0 0.1 -0.1 0.0 -0.2 -0.1 -0.2 Moran's I 0.2 0.3 0.3 1980 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 lags 2 3 4 5 6 lags - 173 - 7 8 9 10 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Grafico A2.c - LISA cluster maps 1980 2002 Legenda: Grigio scuro= autocorrelazione positiva, relazione alto-alto; Grigio= autocorrelazione positiva, relazione basso-basso; Punti= autocorrelazione negativa, relazione alto-basso; Righe= autocorrelazione negativa, relazione basso-alto 2002 0.0 0 1 0.5 2 1.0 density 1980 2002 Ergodic 3 4 1.5 5 2.0 6 Grafico A2.d - Densità univariata e condizionata −1 0 1 2 3 4 5 6 −1 0 1 2 3 1980 Skewness: 1980= 1.640187; 2002= 2.966916 - 174 - 4 5 6 Cambiamenti nella geografia economica europea ... A3 -ELETTRONICA 1980 1990 0.010 0.014 Spatial Theil 0.015 0.013 Theil Grafico A3.a - Indici di Theil e indice di Moran 2000 1980 1990 1980 1990 0.55 0.45 0.35 0.8 1.0 Relative Moran index year 0.6 Ratio between spatial and a−spatial Theil year 2000 2000 1980 1990 year 2000 year Grafico A3.b - Correlogramma spaziale, anni 1980 e 2002 2002 0.1 Moran's I 0.0 0.2 -0.1 0.0 -0.2 -0.2 Moran's I 0.2 0.4 0.3 0.4 0.6 1980 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 lags 2 3 4 5 6 lags - 175 - 7 8 9 10 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Grafico A3.c - LISA cluster maps 1980 2002 Legenda: Grigio scuro= autocorrelazione positiva, relazione alto-alto; Grigio= autocorrelazione positiva, relazione basso-basso; Punti= autocorrelazione negativa, relazione alto-basso; Righe= autocorrelazione negativa, relazione basso-alto 1.0 1.5 0.0 −0.5 0.0 0.2 0.5 2002 0.6 1980 2002 Ergodic 0.4 density 0.8 2.0 2.5 1.0 Grafico A3.d - Densità univariata e condizionata 0 1 2 3 0.0 0.5 1.0 1.5 1980 Skewness: 1980= 0.569; 2002= 1.125 - 176 - 2.0 2.5 Cambiamenti nella geografia economica europea ... A4 - SERVIZI DI MERCATO 1980 1990 3e−04 6e−04 Spatial Theil 0.0015 0.0013 Theil 0.0017 9e−04 Grafico A4.a - Indici di Theil e indice di Moran 2000 1980 1990 1980 1990 0.00 0.06 Relative Moran index 0.12 year 0.20 0.30 0.40 0.50 Ratio between spatial and a−spatial Theil year 2000 2000 1980 1990 year 2000 year Grafico A4.b - Correlogramma spaziale, anni 1980 e 2002 2002 0.00 Moran's I -0.05 0.05 -0.10 0.00 -0.15 -0.05 -0.10 Moran's I 0.10 0.05 0.15 0.10 0.20 1980 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 lags 2 3 4 5 6 lags - 177 - 7 8 9 10 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Grafico A4.c - LISA cluster maps 1980 2002 Legenda: Grigio scuro= autocorrelazione positiva, relazione alto-alto; Grigio= autocorrelazione positiva, relazione basso-basso; Punti= autocorrelazione negativa, relazione alto-basso; Righe= autocorrelazione negativa, relazione basso-alto 1.2 1.0 0.0 0.6 0.5 0.8 2002 1.5 1980 2002 Ergodic 1.0 density 2.0 1.4 2.5 1.6 3.0 Grafico A4.d - Densità univariata e condizionata 0.5 1.0 1.5 0.5 1.0 1.5 1980 Skewness: 1980= 0.885; 2002= 0.488 - 178 - 2.0 Cambiamenti nella geografia economica europea ... A5 - SERVIZI FINANZIARI 0.010 0.002 0.006 Spatial Theil 0.010 0.008 Theil Grafico A5.a - Indici di Theil e indice di Moran 1980 1990 2000 1980 1990 1980 1990 0.0 0.2 0.4 Relative Moran index year 0.4 0.6 0.8 1.0 Ratio between spatial and a−spatial Theil year 2000 2000 1980 1990 year 2000 year Grafico A5.b - Correlogramma spaziale, anni 1980 e 2002 2002 0.05 0.00 Moran's I 0.2 -0.05 0.0 -0.2 Moran's I 0.4 1980 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 lags 2 3 4 5 6 lags - 179 - 7 8 9 10 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Grafico A5.c - LISA cluster maps 1980 2002 Legenda: Grigio scuro= autocorrelazione positiva, relazione alto-alto; Grigio= autocorrelazione positiva, relazione basso-basso; Punti= autocorrelazione negativa, relazione alto-basso; Righe= autocorrelazione negativa, relazione basso-alto 1.5 3.0 Grafico A5.d - Densità univariata e condizionata 1.5 0.0 0.0 0.5 1.0 0.5 2002 density 2.0 1.0 2.5 1980 2002 Ergodic 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 3.0 0.0 0.5 1.0 1.5 1980 Skewness: 1980= 1.151; 2002= 4.90 - 180 - 2.0 2.5 3.0 Cambiamenti nella geografia economica europea ... 1980 1990 0.0015 0.0035 Spatial Theil 0.0040 0.0025 Theil A6 - COSTRUZIONI Grafico A6.a - Indici di Theil e indice di Moran 2000 1980 1990 1980 1990 0.25 0.10 0.7 0.9 Relative Moran index 0.40 year 0.5 Ratio between spatial and a−spatial Theil year 2000 2000 1980 1990 year 2000 year Grafico A6.b - Correlogramma spaziale, anni 1980 e 2002 2002 0.3 0.2 Moran's I 0.1 0.0 -0.1 0.0 -0.1 -0.2 Moran's I 0.1 0.4 0.2 0.5 1980 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 lags 2 3 4 5 6 lags - 181 - 7 8 9 10 Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Grafico A6.c - LISA cluster maps 1980 2002 Legenda: Grigio scuro= autocorrelazione positiva, relazione alto-alto; Grigio= autocorrelazione positiva, relazione basso-basso; Punti= autocorrelazione negativa, relazione alto-basso; Righe= autocorrelazione negativa, relazione basso-alto 1.5 0.0 0.5 1.0 0.5 density 1980 2002 Ergodic 2002 1.0 2.0 2.5 1.5 Grafico A6.d - Densità univariata e condizionata 0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 0.0 0.5 1.0 1.5 1980 Skewness: 1980= 0.212; 2002= 1.210 - 182 - 2.0 2.5 Cambiamenti nella geografia economica europea ... 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Nell’ambito del dibattito che ne è scaturito, recentemente alcuni lavori hanno analizzato il caso specifico dell’UEM. La letteratura empirica post-Rose, relativa al caso dell’UEM, ha mostrato, con poche eccezioni, che a livello aggregato l’adozione dell’euro ha avuto un impatto positivo, ma non di grande entità, sul commercio bilaterale dei paesi europei2. Questo risultato, nel periodo più recente, ha orientato il campo di studio verso un livello più disaggregato di analisi, per verificare come gli effetti della moneta unica si siano distribuiti tra i diversi settori industriali. In tale contesto si inserisce questo capitolo, il cui scopo è quello di studiare attraverso alcune verifiche empiriche se e come l’adozione dell’euro abbia influenzato, nel breve termine, il commercio degli Stati membri, e in particolare dell’Italia. L’analisi è stata condotta a livello sia aggregato sia settoriale. Il capitolo è organizzato come segue: nel secondo paragrafo sono richiamati brevemente gli aspetti teorici relativi ai costi e benefici derivanti dall’adozione di una valuta comune; nel terzo paragrafo si effettua una breve rassegna della letteratura empirica più recente limitata agli effetti commerciali dell’adozione dell’euro. Nel quarto, quinto e sesto paragrafo si mostrano i risultati dell’analisi econometrica svolta a livello aggregato, settoriale e per settore/paese. Infine, vengono riportate alcune conclusioni. 1 Si veda Rose (2000). 2 Per una rassegna sulla letteratura empirica relativa agli effetti commerciali di una unione valutaria, si veda Rose e Stanley (2005). - 185 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 2.2 I COSTI E I BENEFICI DELLA VALUTA UNICA Gli effetti attesi sulle economie nazionali e su quella europea nel suo insieme della realizzazione dell’UME sono di natura sia micro sia macro-economica. A scopo espositivo, possono essere classificati in effetti diretti e indiretti; entrambe le tipologie precedenti possono a loro volta essere differenziate in effetti statici e dinamici. Gli effetti diretti sono quelli immediatamente dipendenti dalla Moneta unica (vale a dire la riduzione dei costi di transazione), quelli indiretti sono determinati dalla conduzione dalla politica monetaria comune3. Gli effetti statici si realizzano una tantum all’inizio del processo di integrazione monetaria, quelli dinamici si manifestano gradualmente nel medio-lungo termine e si dovrebbero tradurre in un maggiore potenziale di crescita economica. Una schematizzazione dei costi e benefici è contenuta nella tabella 1. Tra i vantaggi diretti, uno dei più rilevanti a fini della nostra analisi è rappresentato dalla scomparsa della variabilità del cambio: attraverso l’eliminazione dei costi di copertura del rischio valutario si favorirebbero i flussi commerciali e gli investimenti diretti esteri. L’eliminazione dell’incertezza sul cambio dovrebbe anche ridurre il tasso di interesse, attraverso l’abbattimento del premio per il rischio, favorendo maggiori investimenti da parte delle imprese. In aggiunta all’effetto volatilità, è possibile ipotizzare che l’adozione di una valuta comune venga percepita come un impegno assai più vincolante rispetto all’istituzione di un regime a cambi fissi e sia in grado, quindi di determinare cambiamenti strutturali nelle aspettative di mercato. Tab.1 COSTI E BENEFICI DELL’EURO Benefici dell’euro Maggiore efficienza nell’allocazione delle risorse (attraverso maggiore comparabilità dei prezzi e un aumento del grado di concorrenza). Maggiore stabilità macroeconomica (vincoli europei di stabilità macroeconomica e di finanza pubblica). Eliminazione rischio di cambio, abbattimento costi transazione. Benefici “esterni” (l’euro come moneta di scambio nei rapporti commerciali extra-UE, come divisa di portafoglio per gli investimenti internazionali e come valuta di riserva per le banche centrali). Costi dell’euro Perdita della sovranità nazionale sulla politica monetaria. I costi associati all’euro sono rappresentati dalla perdita di una politica monetaria nazionale e, di conseguenza, anche dello strumento del tasso di cambio. In particolare, gli effetti negativi sono commisurati per ciascuna economia all’importanza che veniva 3 Ad esempio, la riduzione dei tassi di interesse derivante dalla stabilità valutaria. - 186 - Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ... attribuita, prima dell’adesione all’area valutaria, all’indipendenza della politica monetaria e, quindi, al grado di integrazione con gli altri paesi appartenenti all’area valutaria4. 2.3 MONETA UNICA E COMMERCIO: UNA BREVE SINTESI DELLA LETTERATURA La letteratura più recente che si è occupata degli effetti dell’euro sul commercio internazionale può essere, a scopo espositivo, classificata sulla base dell’utilizzo di modelli statici o dinamici. Un’ulteriore distinzione va fatta tra i lavori che utilizzano dati di commercio aggregati e quelli che invece hanno condotto analisi a livello settoriale. Nella tabella 2 viene riportata una selezione dei lavori più significativi sull’argomento. Dall’esame dei principali lavori emerge che la maggior parte della letteratura empirica è accomunata da tre elementi. Tab.2 MODELLI DI ANALISI STATICI E DINAMICI Dati aggregati Modelli Statici Modelli dinamici De Souza (2002) de Nardis Vicarelli (2003) Barr et al. (2003) Bun and Klaassen (2002a) Micco et al (2003) Micco et al (2003) Bun and Klaasen (2006) de Nardis, de Santis Vicarelli (2007) Faruquee (2004) Berger and Nitsch (2005) Flam and Nordstrom (2003) Dati settoriali Fernandes (2006) Baldwin et al. (2005) Flam and Nordstrom (2006) i) Utilizzo di modelli gravitazionali e di tecniche di stima econometriche panel. E’ interessante notare che a partire dall’articolo di Glick and Rose (2002), la maggioranza dei lavori empirici sul commercio internazionale ha utilizzato tecniche di analisi di tipo panel anziché di tipo cross section, allo scopo di tenere conto anche della dimensione temporale del commercio. Gli studi, con pochissime eccezioni, adottano un modello gravitazionale che include, accanto alle variabili standard (massa e distanza geografica), variabili dummy in grado di cogliere aspetti istituzionali (UEM, UE, accordi preferenziali); in alcuni lavori, vengono introdotte varie misure del tasso di cambio e di volatilità 5. 4 Si veda De Grauwe (2004). 5 Si veda de Nardis and Vicarelli (2003), Baldwin et alii (2005), Fernandes (2006), Micco et al.(2003), Flam e Nordstrom (2003). - 187 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Per ciò che concerne la specificazione dell’equazione gravitazionale, così come suggerito da Baltagi, Egger e Pfaffermayr (2003), alcuni studi hanno introdotto in stima variabili di controllo per l’eterogeneità (dummy temporali, dummy per il paese importatore ed esportatore e dummy di interazione tra le precedenti tre dummy). In questo stesso contesto, Bun e Klaassen (2006), hanno inserito nel loro modello anche trend temporali bilaterali specifici per ciascuna coppia paese. La maggioranza delle stime è stata effettuata su dati relativi a gruppi di paesi industrializzati (OCSE), ma in molti casi la verifica empirica è stata ripetuta per insiemi più ristretti di nazioni (UE, UEM). Il sample temporale delle stime è piuttosto eterogeneo; in alcuni casi è ristretto a un periodo di tempo molto contenuto, generalmente 1992-2002, per confrontare i risultati con quelli ottenuti da uno dei primi lavori condotto sull’argomento6. Dall’esame della letteratura emerge, inoltre, come i risultati delle stime non siano neutrali rispetto alle variazioni del periodo di analisi. In particolare, l’analisi effettuata su un periodo di tempo molto lungo (1948-2003), mostra come l’incremento di commercio tra i paesi UE sia stato graduale sin dal dopoguerra e che, una volta depurata l’analisi da questa tendenza, l’effetto specifico dell’euro tende a scomparire7. ii) L’introduzione di una specificazione dinamica nel modello panel. I risultati della letteratura più recente mostrano con poche eccezioni, un coefficiente della dummy euro positivo e significativo. Tuttavia, vi è una certa eterogeneità nella grandezza del coefficiente (l’effetto sul commercio varia tra lo 0 e il 112%). Il valore del parametro si riduce drasticamente (tra 3 e 9%) qualora la stima venga effettuata con una specificazione dinamica dell’equazione gravitazionale. Questo risultato conferma recenti conclusioni della letteratura teorica ed empirica, che mostrano come il commercio sia un processo dinamico: l’utilizzo di modelli statici può condurre a risultati distorti nelle stime dei parametri. La ratio che giustifica la dinamicità del commercio risiede nella presenza di costi fissi che l’esportatore deve sostenere per porre in essere una rete di distribuzione del proprio prodotto sui mercati esteri. Questa persistenza è particolarmente importante nel caso dell’UEM, dove le relazioni commerciali tra paesi sono influenzate, non solo dagli investimenti in infrastrutture orientate all’export, ma anche da un processo di accumulazione di asset invisibili come i fattori politici, culturali e geografici. iii) La microfondazione dell’equazione gravitazionale. Il terzo elemento comune alla letteratura relativa agli effetti commerciali delle aree valutarie, e quindi anche alla 6 Micco et alii (2003). 7 Si veda Berger e Nitsch (2005). - 188 - Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ... sua applicazione al caso specifico dell’euro, è il tentativo di microfondare il modello gravitazionale attribuendogli, oltre alla valenza empirica, anche un fondamento teorico. A tal fine, molti lavori cercano di introdurre nelle stime, come suggerito da Anderson e van Wincoop (2003), una qualche misura del “multilateral trade resistance index”, un indice basato sull’idea che il commercio tra una coppia di paesi dipenda non solo dalle barriere bilaterali al commercio, ma anche da quelle relative nei confronti di tutti gli altri partner commerciali8. 2.4 GLI EFFETTI DELLA MONETA UNICA SUL COMMERCIO AGGREGATO DEGLI STATI MEMBRI: UNA VALUTAZIONE EMPIRICA In linea con la letteratura empirica, il modello di riferimento per la verifica quantitativa presentata in questo capitolo è quello gravitazionale. La sua semplice formulazione è stata recentemente arricchita, in modo da cogliere aspetti “istituzionali”, quali appunto l’introduzione di una valuta unica, economici e geografici9 (si veda il riquadro Un’analisi panel dinamica dell’equazione gravitazionale: lo stimatore “System GMM”). La variabile dipendente è costituita dal flusso di esportazioni complessivo di beni, espresso in volume, di 13 paesi UE (sono esclusi Lussemburgo e Irlanda per mancanza di dati omogenei) verso 23 paesi importatori (i 13 Stati UE più Australia, Canada, Giappone, Messico, Corea del Sud, Svizzera Nuova Zelanda, Stati Uniti, Norvegia, Repubblica Ceca). I risultati della stima su dati aggregati, per il periodo 1988-2004, sono presentati nella tabella 3. L’adozione di una valuta comune ha avuto un impatto positivo ma di entità ridotta sul commercio bilaterale dei paesi dell’area dell’euro: i volumi di esportazione intra-area sono aumentati in media del 4,1 per cento . Tale risultato, in linea con quelli della letteratura più recente10, può essere spiegato dalla presenza di legami commerciali già stretti tra gli Stati partecipanti all’area valutaria. Al di là di vincoli culturali, storici e geografici, le relazioni commerciali all’interno dell’UE si sono infatti intensificate nel corso degli ultimi trent’anni grazie anche alla realizzazione di un processo di integrazione economica determinato dalla creazione dello 8 Rose e van Wincoop (2001) approssimano l’indice di resistenza multilaterale usando effetti fissi per coppie paese, mentre altri autori (Ritschl e Wolf (2003)) e Estevadeordal et al. (2003) propongono l’uso di dummy “coppia paese”. 9 Quest’ultimo rappresenta gli scambi internazionali bilaterali attraverso una forma funzionale che ricorda la legge di gravità fisica: il commercio tra due paesi è positivamente correlato alla “massa” (approssimata dal PIL dei due paesi), e negativamente alla distanza che intercorre tra loro, (intesa come una proxy dei costi di trasporto). 10 Si veda Fernandes (2006), Berger e Nitsch (2005), De Souza (2002), de Nardis e Vicarelli (2003). - 189 - Rapporto ISAE: e previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Un’analisi panel dinamica dell’equazione gravitazionale: lo stimatore “System GMM” Strategia empirica. Le stime presentate nel capitolo incorporano alcune delle principali innovazioni tecniche suggerite dalla recente letteratura econometrica relativa all’analisi panel applicata a modelli gravitazionali. In primo luogo, è stata stimata una specificazione dinamica dell’equazione gravitazionale. Si deve sottolineare che introdurre la dinamica in un modello di analisi panel comporta alcuni problemi econometrici. Per processi statici, infatti, lo stimatore a effetti fissi è consistente per una dimensione temporale T finita e per un numero infinito di coppie paese N. Ma se il commercio viene modellato come un processo dinamico, si genera una correlazione tra la variabile dipendente ritardata e il termine di errore trasformato. A causa di tale correlazione lo stimatore OLS diviene distorto e inconsistente. Per evitare il problema dell’inconsistenza, Arellano e Bond (1991), hanno suggerito di trasformare il modello in differenze prime e di stimarlo utilizzando lo stimatore “GMM” a due stadi di Hansen. Arellano e Bover (1995), migliorano questa tecnica di analisi, dimostrando come se si aggiunge l’equazione originaria in livelli al sistema di equazioni in differenza si può aumentare l’efficienza dello stimatore. (“System GMM”). Questo stimatore è stato in seguito perfezionato da Blundell e Bond (1998). Lo stimatore System GMM presenta una serie di vantaggi rispetto a quello proposto da Arellano e Bond. Utilizzare un’equazione in differenze prime, infatti, elimina la possibilità di mantenere in stima tutti i regressori invarianti nel tempo, con una perdita di informazioni. Nell’approccio gravitazionale, dove la distanza (variabile tipicamente invariante al tempo) è parte integrante del modello, tale perdita di informazioni risulta rilevante. Lo stimatore GMM alle differenze prime, inoltre, presenta una scarsa performance in termini di precisione, soprattutto se applicato in contesti in cui la dimensione temporale T non è particolarmente ampia e dove i fenomeni analizzati presentano caratteristiche di elevata persistenza, come nel caso delle serie storiche del commercio bilaterale. Per queste ragioni l’utilizzo di uno stimatore “System GMM” sembra una scelta appropriata e abbastanza innovativa rispetto alla recente letteratura sui modelli gravitazionali.1 L’equazione gravitazionale. Abbiamo introdotto nella specificazione dinamica dell’equazione gravitazionale tre gruppi di regressori: i) variabili gravitazionali standard, ii) variabili di controllo per l’eterogeneità, iii) altre variabili di controllo specifiche per il caso dell’UME. i) Variabili gravitazionali standard: distanza geografica bilaterale come proxy dei costi di trasporto, e il prodotto del valore aggiunto del paese esportatore e di quello importatore come proxy della massa. ii) Variabili di controllo per l’eterogeneità. Sono state introdotte in stima una dummy per il paese importatore, una per quello esportatore e singole dummy annuali2. In questo modo approssimiamo l’indice di resistenza multilaterale di Anderson e van Wincoop (2003), ottenendo una specificazione dell’equazione gravitazionale che può essere interpretata come la forma ridotta di un modello micro fondato. 1 2 De Benedictis e Vicarelli (2005), De Benedictis et al. (2005), Fernandes (2006). Si veda Baltagi, Egger e Pfaffermayr (2003). - 190 - Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ... iii) Controlli per altri fattori specifici dell’UME. Nel caso dell’UME ci sono specifici fattori di natura economica, politica e istituzionale che influenzano il commercio bilaterale. Dopo il 1992, grazie allo SME e al processo di convergenza verso la moneta unica, la volatilità del cambio tra i paesi interessati è diminuita sostanzialmente. Noi controlliamo per questo fenomeno introducendo una misura della volatilità del tasso di cambio nell’equazione. Sembra importante distinguere l’effetto volatilità dall’effetto “puro” dell’ unione valutaria che dovrebbe soprattutto cogliere cambiamenti strutturali nelle aspettative di mercato. Essendo l’euro l’ultimo passo di un processo di integrazione più lungo, abbiamo isolato l’effetto UE membership introducendo una specifica dummy UE. La prima equazione stimata è la seguente : Ln Extotijt = b1 ln( Exptotijt-n) + b2 ln( Massatotijt ) + b3 lnDistij + b4 volijt + b5 dueuroijt + b6 duUEijt + b7 Trend + b8 aj + b9Bi + b10 τ (1) dove: ln = logaritmo naturale, i è il paese esportatore, j il paese importatore e t l’anno (dal 1988 al 2004), n è la struttura dei ritardi della variabile dipendente Exptotijt = esportazioni aggregate bilaterali in volume dal paese i al paese j; Massatotijt = prodotto del valore aggiunto totale in termini costanti del paese esportatore e importatore Distij = distanza geografica tra le capitali degli Stati espresso in chilometri. Dueuroijt = dummy euro che assume valore 1, a partire dal 1999, per il commercio tra nazioni appartenenti all’UME e 0 nel caso degli altri paesi; duUEijt = dummy UE membership che assume valore 1 per il commercio tra nazioni appartenenti all’UE e 0 nel caso degli altri paesi volijt = volatilità del tasso di cambio nominale bilaterale; Trend = trend lineare; αi = dummy paese esportatore; βj = dummy paese importatore; τ = dummy temporale annuale. Per disaggregare l’”effetto euro” per ciascun paese esportatore dell’UEM, l’equazione (1) è stata inoltre nuovamente stimata sostituendo la dummy Dueuroijt con i dummy nazionali, una per ciascun paese UEM esportatore. In altri termini, la dummy euro, ad esempio, per l’Italia, assume valore 1 per le sole esportazioni bilaterali italiane verso ciascuno degli altri membri UEM, 0 in tutti gli altri casi. L’analisi settoriale è stata condotta stimando la seguente equazione: Ln Expsetijt = b1 ln( Expsetijt-n) + b2 ln( SumVAsetijt ) + b3 lnDistij + b4 volijt + b5 dueuroijt + b6 duUEijt + b7 Trend + b8 aj + b9Bi + b10 τ (2) dove la specificazione è identica alla precedente ma le stime vengono effettuate a livello settoriale per 25 settori ISIC a 2 digit rev.3. La variabile dipendente Expsetijt è regredita sulle stesse variabili - 191 - Rapporto ISAE: e previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 precedentemente descritte con l’unica differenza che la “massa” è definita sulla base del prodotto dei valori aggiunti per ciascun settore. Infine, l’equazione 2 è stata stimata per ciascuno dei 10 Stati Membri dell’UEM; in quest modo l’analisi è stata condotta a livello settore/paese. (equazione 3). I dati Le esportazioni bilaterali in dollari, aggregate e settoriali, sono di fonte OCSE STAN-BTD. I valori aggiunti, aggregati e settoriali, sono di fonte STAN-Industry data base; entrambe le variabili sono state deflazionate con i deflatori impliciti del valore aggiunto, di fonte STANIndustry data base. La volatilità del tasso di cambio è stata calcolata come la deviazione standard delle differenze prime del tasso di cambio nominale bilaterale, espresso in logaritmi e come media annuale di dati a frequenza mensile. - 192 - Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ... SME negli anni settanta e, soprattutto, dal completamento del Mercato Unico negli anni novanta. Da questo punto di vista, la moneta unica ha quindi rappresentato l’ultimo passo di un processo già ampiamente avviato. Tab 3 RISULTATI DELLE STIMA DELLE ESPORTAZIONI BILATERALI DI UE 15 Numero di osservazioni 1988-2004 1993-2004 3771 2854 I II ln(Expij(t-1)) 0.75*** (19.41) 0.72*** (18.6) ln(Massit) 0.44*** (4.96) 0.50 *** (4.15) Ln(DISTij) -0.26*** (6.32) -0.31 *** (7.04) ERvol -0.26 ** (2.87) -0.24** (2.75) Euro 0.04* (3.13) 0.05** (3.05) UE 0.06** (3.13) 0.09*** (3.64) Trend Si Si αi Si Si βj Si Si τij Si Si Hansen test χ2(239) =270.12 p> c2= 0.08 χ2(238) =269.49 p> χ2= 0.079 Arellano Bond test AR (1) z=-4.63 P>z=0.000 z=-4.97 P>z=0.000 Arellano Bond test AR (2) z=-0.86 P>z=0.389 z=−0.45 P>z=0.650 t values in parentesi *p<0,05; **p<0,01, *** p<0,001. Per quanto riguarda la stima delle altre determinanti, viene confermata la validità del modello gravitazionale. In particolare, le esportazioni bilaterali dei 13 paesi UE sono correlate positivamente con la massa e negativamente con la distanza geografica. Viene, inoltre, avvalorata l’ipotesi che il commercio sia un fenomeno persistente: dall’analisi emerge una correlazione positiva e significativa tra il volume di esportazioni e quello del periodo precedente. La stima conferma inoltre come la riduzione della volatilità del cambio favorisca il commercio bilaterale. Per controllare la robustezza delle stime, si è ripetuta l’analisi anche per un intervallo di tempo più ristretto (1993-2004)11. I risultati sono riportati nella tabella 3. Anche per il periodo meno ampio si confermano sostanzialmente i risultati precedenti: l’impatto dell’euro sul commercio intra-area risulta solo marginalmente più elevato e pari al 5%. E’ interessante notare che, in linea con la letteratura empirica, così come anticipato nel 11 Baldwin (2006) mostra che limitare il periodo di osservazione a partire dal 1993 è appropriato poichè l’Eurostat nel 1992 ha modificato le tecniche di raccolta dei dati del commercio: e questo cambiamento nell’elaborazione delle statistiche potrebbe distorcere i risultati delle stime. - 193 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 paragrafo 3, i coefficienti delle dummy euro ed EU mostrano una maggiore significatività e grandezza al restringersi del periodo di osservazione. Sulla base della medesima equazione, è stata effettuata una seconda stima con lo scopo di disaggregare “l’effetto euro” relativamente a ciascun paese dell’area. A tal fine, si è ripetuta la stima aggregata per ciascun paese esportatore appartenente all’area dell’euro. I risultati, riportati nella tabella 4, mostrano come, a livello nazionale, sia osservabile un effetto di stimolo al commercio statisticamente significativo e positivo in soli 3 paesi dell’area (Belgio, Olanda e Spagna). Torneremo a commentare questo risultato nel paragrafo 2.6, alla luce dei risultati settoriali. Tab. 4 UNA STIMA DELL’EFFETTO EURO PER PAESE Nazione Coefficiente della dummy euro t values Austria -0,02 0,40 Belgio 0,28 3,04 Finlandia -0,09 3,41 Francia 0,04 1,02 Germania -0,06 1,43 Grecia 0,06 1,07 Italia -0,03 0,82 Paesi Bassi 0,05 1,80 Portogallo 0,08 1,41 Spagna 0,11 2,70 2.5 L’ANALISI SETTORIALE Nel presente paragrafo e in quello successivo, si intende verificare l’impatto dell’introduzione della moneta unica sulle esportazioni settoriali. L’effetto aggregato evidenziato in precedenza potrebbe infatti risultare più o meno diffuso, e di entità differenziata, tra paesi e comparti merceologici. Inizialmente viene considerato, per ciascun settore, l’effetto dell’introduzione della moneta unica relativamente all’insieme dei paesi esportatori appartenenti all’area euro, quantificando (l’eventuale) vantaggio nei confronti degli altri partner europei. Nel successivo paragrafo, si fa un incrocio tra i dati settoriali e quelli nazionali, tentando di individuare per quali paesi questo effetto di stimolo (o di contrazione) dell’export risulti significativo. A questo scopo, viene replicata la medesima specificazione utilizzata per l’analisi aggregata per ciascuno dei settori merceologici della classificazione ISIC a due cifre. La - 194 - Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ... variabile dipendente è quindi rappresentata dal volume di esportazioni settoriali dei 13 paesi UE nei confronti dei 23 mercati di sbocco (per la specificazione, si veda equazione 2 nel riquadro: Un’analisi panel dinamica dell’equazione gravitazionale: lo stimatore “System GMM”). Nella tabella 5 vengono riportati i coefficienti stimati relativi alla dummy euro (e relativi test di significatività statistica), per ciascuno dei settori merceologici analizzati. Tab.5 STIME SETTORIALI Settori ISIC Descrizione Totale Dummy euro t p 01_05 agricoltura, caccia, foreste, ittica -0.009 -0.2 0.839 10_14 minerario-estrattivo -0.12 -1.62 0.106 15_16 alimentari, bevande e tabacco 17_19 tessile, prod. Tessili, cuoio, calzature 20 21_22 23_25 1.83 0.069 -1.49 0.138 legno, prodotti in legno 0.05 0.77 0.441 polpa, carta, prodotti incarta, stampa, editoria 0.09 2.65 0.009 0.339 chimica, gomma, plastica e pr. energetici 0.029 0.96 23 carbone, pr. Petrol. Raffinati, energia nucleare 0.12 0.86 0.393 24 chimica e prodotti chimici 0 0.34 0.734 25 prodotti in gomma e plastica -0.01 -0.48 0.632 altri prod. Minerali non metallici 0.842 26 -0.005 -0.2 metalli e prodotti in metallo 0.1 4.07 0 27 metalli 0.09 2.99 0.003 28 prodotti in metallo, eccetto macchinari 0.01 0.3 0.764 27_28 29_33 macchinari e attrezzature 0.06 2.75 0.009 macchinari e attrezzature, altro 0.064 2.91 0.004 apparecchi ottici e elettrici 0.056 1.78 0.076 macchine per ufficio e computer 0.05 0.64 0.525 31 macchinari elettrici 0.01 0.05 0.963 32 radio, tv e apparati di comunicazione 0.13 2.21 0.028 33 strumenti medici, ottici e di precisione 0.107 3.12 0.002 mezzi di trasporto 0.145 2.41 0.017 34 veicoli a motore 0.097 2.26 0.025 35 altri mezzi trasporto 0.03 0.3 0.761 manifatttura, altro -0.02 -0.85 0.394 29 30_33 30 34_35 36_37 0.04 -0.038 I risultati delle stime evidenziano come ”effetto Euro” non sia diffuso uniformemente tra tutti i settori. Tra i 25 comparti analizzati, sia singolarmente sia in forma aggregata, a seconda della disponibilità dei dati, solo per 11 di questi è stato rilevato un impatto positivo e statisticamente significativo. Sulla base di una classificazione “a la Pavitt”, troviamo, tra questi, quattro comparti caratterizzati da economie di scala (mezzi trasporto, apparati di telecomunicazione, carta ed editoria, prodotti in metallo), un settore a elevata tecnologia (strumenti medici, ottici e - 195 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 di precisione), uno di specializzazione (macchinari e attrezzature) e uno tradizionale (alimentari e metalli). In generale, per quanto una classificazione a due cifre sia ancora abbastanza aggregata (dovuta a mancanza di dati disponibili), si può affermare che buona parte dei settori per i quali ‘‘effetto euro” risulta positivo e statisticamente significativo è composta da comparti caratterizzati da economie di scala, e/o in grado di produrre beni altamente differenziati dal punto di vista della varietà e della qualità. Questi risultati appaiono in linea con quelli evidenziati nei pochi studi empirici a carattere settoriale presenti a oggi in letteratura. In particolare, Baldwin et al. (2003), Flam e Nordstrom (2003) e Baldwin e Taglioni (2005) hanno evidenziato una presenza positiva e significativa dell’effetto euro all’incirca negli stessi settori. Diversa risulta invece la stima dell’impatto quantitativo: nei nostri risultati, quest’ultimo appare assai più omogeneo tra settori di quanto non sia nei lavori citati, oltre che di dimensioni assai più contenute. L’introduzione dell’euro avrebbe infatti determinato un incremento medio di commercio intra-area compreso tra il 4% nel comparto alimentare e il 15% nei mezzi di trasporto12.. Le motivazioni per le quali appare ragionevole ipotizzare un impatto di tale entità sono state esposte in precedenza, commentando l’analisi aggregata. Qui si vuole sottolineare come la nostra analisi si differenzi dalle precedenti per diversi aspetti, tra cui, in particolare, l’utilizzo di un modello dinamico, in grado di controllare per l’ “effetto persistenza”. Una possibile spiegazione del perchè l’adozione dell’euro avrebbe favorito le esportazioni solo in questi settori viene fornita da Baldwin (2006), richiamando due elementi propri della nuova teoria del commercio internazionale: i costi fissi di ingresso in un nuovo mercato e le differenze esistenti tra imprese nei costi marginali di produzione. Le imprese massimizzano il profitto sulla base di un mark-up rispetto a un costo marginale di produzione. Quelle che producono per il mercato interno potrebbero non essere in grado di esportare a causa dell’esistenza di costi fissi legati all’attività di esportazione (costi di trasporto, di affermazione del marchio, di costituzione di reti di distribuzione, di gestione del rischio di cambio quando si ha a che fare con una molteplicità di valute). Ne consegue che sono le imprese di più grandi dimensioni, nella misura in cui mostrino una maggiore efficienza, organizzazione e capacità di sfruttare economie di scala, quelle con maggiore facilità a esportare. Queste, presentando costi marginali più bassi, possono affrontare anche quelli legati alla vendita sui mercati esteri, mantenendo un margine di profitto. Una volta però che tali 12 Per poter interpretare come elasticità i coefficienti delle dummy euro nelle nostre stime, è necessario considerare l’esponenziale del valore del coefficiente stesso. - 196 - Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ... costi si riducono, come potrebbe essere il caso, in seguito all’adozione dell’euro, dei costi fissi di transazione, anche imprese di più piccole dimensioni potrebbero trovare profittevole esportare. Questa interpretazione potrebbe giustificare una dicotomia riscontrabile nei dati: l’adozione dell’euro sembra aver avuto un impatto sul volume di esportazioni già a partire dall’anno successivo alla sua introduzione, ma la stessa repentinità non si è osservata per quanto riguarda una convergenza nei prezzi relativi13. L’effetto positivo sul volume delle esportazioni settoriali potrebbe quindi essere stato determinato dall’ingresso, grazie all’abbattimento di un costo fisso di esportazione, di nuove varietà di beni, precedentemente prodotte per il solo mercato interno. Alla luce di tale interpretazione, potrebbero essere letti anche i nostri risultati. L’introduzione della moneta unica sembra aver determinato gli effetti di commercio più rilevanti tra i comparti caratterizzati da economie di scala e da elevata varietà di prodotti. Naturalmente, anche tra queste tipologie settoriali, le differenze nella dimensione media d’impresa a livello internazionale può incidere sulla risposta delle imprese a variazione nei costi fissi di produzione. In questo senso, nella misura in cui si ipotizzino marcate differenze tra paesi e settori nella dimensione d’impresa, tale linea interpretativa può considerare anche forti disuguaglianze geografiche nell’impatto settoriale dell’introduzione dell’euro. Allo studio di tali differenze è dedicata l’analisi empirica presentata nel prossimo paragrafo. 2.6 L’ANALISI SETTORE/PAESE “L’effetto euro”, che nelle stime settoriali precedenti era colto relativamente all’intero insieme di paesi che hanno adottato la moneta unica, in questo paragrafo viene scomposto per ciascun singolo esportatore dell’area (per la specificazione, si veda il riquadro: Un’analisi panel dinamica dell’equazione gravitazionale: lo stimatore “System GMM” equazione 3). La tabella 6 mostra i risultati relativi al coefficiente della dummy “euro” per ciascun settore e paese. La prima evidenza è relativa al fatto che “l’effetto euro” sui volumi di esportazioni appare diffuso in maniera non omogenea tra paesi e settori. Anche in quei comparti che, per l’insieme dell’area, hanno mostrato una creazione di commercio derivante dall’ado13 Sulla base di una specificazione CES di una funzione di domanda, il volume di export della nazione di origine verso un mercato di destinazione dipende dal numero di varietà di prodotti esportati, dal loro prezzo relativo, dalla elasticità della domanda di importazioni del mercato di destinazione e dal suo livello di domanda. Baldwin (2006) afferma che l’incremento in volume osservato in coincidenza con l’introduzione dell’euro possa essere imputato principalmente al variare del primo di questi elementi. Tale effetto non sembra imputabile al canale dei prezzi, in ciascuna delle sue componenti (mark-up bilaterale, costi di trasporto bilaterali, costi di produzione marginali, costi di transazione): la maggior trasparenza avrebbe dovuto determinare una rapida convergenza nei livelli nei prezzi all’interno dell’area euro, un evento che non è osservabile, almeno nei primi anni successivi all’introduzione dell’euro. - 197 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 zione della moneta unica, l’effetto è riscontrabile solo in un numero limitato di paesi. Il comparto dove l’incremento di commercio appare maggiormente diffuso è quello dei veicoli a motore (positivo per Francia, Grecia, Italia e Spagna, negativo per la Finlandia), seguito da macchinari e attrezzature (positivo per Austria, Olanda e Spagna, negativo per Finlandia e Francia). Per quanto riguarda l’entità “dell’effetto euro”, il quadro appare molto eterogeneo. Le esportazioni di alcuni settori sembrano avere beneficiato maggiormente di altri dell’introduzione della moneta unica. All’interno dei singoli comparti, inoltre, in alcuni casi la distribuzione di tali benefici tra singoli paesi rileva differenze più marcate, in altri casi risulta invece sostanzialmente omogenea; tutto ciò appare in linea con l’esistenza di specificità settoriali e nazionali in grado di influenzare l’ampiezza dello stimolo all’export. Sostanzialmente omogeneo ad esempio, risulta “l’effetto euro” nel comparto alimentare, nei metalli e prodotti in metallo, macchinari e attrezzature, apparecchi ottici ed elettrici. Maggiori differenze nazionali vengono invece osservate nei veicoli a motore e negli strumenti ottici e di precisione. Anche all’interno dei comparti per i quali, per l’insieme dell’area euro, non si era rilevato un effetto positivo e statisticamente significativo, l’analisi effettuata per i singoli paesi evidenzia un incremento o un decremento di commercio per almeno uno dei mercati esportatori considerati14. In alcuni casi, tali eccezioni appaiono rilevanti, data l’importanza relativa che questi settori ricoprono nella struttura del commercio estero di quei paesi (si veda, ad esempio, il tessile e abbigliamento per l’Italia, il comparto chimico per Francia e Germania, macchine per ufficio in Germania). Dalla lettura dei risultati settoriali per ciascun paese emergono inoltre, ulteriori considerazioni. L’effetto aggregato sulle esportazioni, esaminato nel paragrafo 2.4, può essere qui interpretato alla luce dell’impatto che l’adozione dell’euro ha avuto nei singoli settori a livello nazionale. Specializzazione commerciale, dimensione media d’impresa, numero di imprese concorrenti presenti nel comparto sono gli elementi in grado di determinare il vantaggio competitivo di un paese relativamente all’introduzione dell’euro. Per Olanda, Spagna e Belgio, come visto, l’effetto combinato di questi fattori avrebbe determinato un saldo netto positivo in termini di stimolo alle esportazioni. In altri paesi si sarebbero invece contrapposti effetti settoriali di segno opposto, anche in comparti manifatturieri rilevanti. 14 La significatività statistica di segno opposto rilevata per i singoli paesi all’interno dello stesso comparto può determinare una non significatività a livello di Area dell’euro. - 198 - - 199 - 36_37 34_35 30_33 29_33 27_28 23_25 21_22 17_19 15_16 10_14 01_05 Settori ISIC Tab. 6 34 35 33 32 31 30 29 28 27 26 25 24 23 20 agricoltura, caccia, foreste, ittica minerario-estrattivo alimentari, bevande e tabacco tessile, prod. Tessili, cuoio, calzature legno, prodotti in legno polpa, carta, prodotti incarta, stampa, editoria chimica, gomma, plastica e pr. energetici carbone, pr. Petrol. Raffinati, energia nucleare chimica e prodotti chimici prodotti in gomma e plastica altri prod. Minerali non metallici metalli e prodotti in metallo metalli prodotti in metallo, eccetto macchinari macchinari e attrezzature macchinari e attrezzature, altro apparecchi ottici e elettrici macchine per ufficio e computer macchinari elettrici radio, tv e apparati di comunicazione strumenti medici, ottici e di precisione mezzi di trasporto veicoli a motore altri mezzi trasporto manifatttura, altro Descrizione 0.6 -0.19 0.99 0.98 0.3 0.02 0.07 -0.015 0.17 0.07 2 0.8 4.33 1.2 1.26 1.85 0.19 1.54 0.42 0.05 0.39 0.27 0.04 0.48 0.06 0.06 0.08 0.01 0.11 0.02 0 -0.01 0.1 3.81 1.03 0 0.82 1.41 -0.04 0.13 0.26 0.69 -0.03 0.04 0.75 0.42 1.01 t 0.06 -0.07 0.13 Austria Coeff. -0.28 - - -0.07 - -0.09 - 0.19 0.24 0.04 -0.09 -0.05 -0.04 0.06 -0.1 0.06 0.34 0.19 0.02 0 0.01 0.05 -0.04 -0.08 Coeff. Belgio -1.64 - - -1.4 - -1.7 - 3.65 3.72 1.4 -1.83 -1.26 0.82 1.23 -2.18 2.06 1.27 1.39 0.37 0.06 0.25 0.94 0.21 0.66 t -0.23 -0.3 -0.33 -0.03 -0.01 0.19 -0.3 -0.02 -0.13 -0.09 -0.07 -0.03 0.06 -0.01 0.12 0.06 -0.07 -0.2 -0.09 0 0.04 -0.11 -0.15 0.02 -0.35 t -1.31 -2.87 -0.94 -0.4 -0.26 1.55 -5.1 -1.1 -3.45 -1.65 -1.84 -0.5 0.07 0.19 1.54 1.16 1.41 0.35 0.95 0.09 0.25 2.03 1.76 0.14 -2.65 Finlandia Coeff. STIME SETTORE/PAESE -0.25 0.15 0.2 0.14 -0.09 0.03 0 -0.32 -0.13 -0.04 -0.09 -0.03 0.04 0.01 -0.03 -0.11 -0.04 -0.23 -0.11 -0.06 -0.1 -0.01 -0.03 0.16 1.08 0.88 1.55 0.88 1.87 t 1.5 2.76 0.72 -1.1 0.7 0.2 -2.8 -3.21 -3.14 -0.98 -2.64 -0.45 0.7 0.16 0.7 -2.86 -1.73 0.97 -1.89 Francia Coeff. 0.05 -0.03 0.02 0.07 0.01 0.23 0.04 0.3 0.04 -0.05 0.02 0 -0.04 -0.04 -0.04 -0.05 0 -0.21 -0.15 0.1 0.02 0 0.11 -0.1 -0.16 t 0.43 -0.05 0.1 1.25 0.23 0.6 3.08 0.8 -1.24 0.5 0 -0.75 0.83 0.88 1.35 0.1 0.69 -1.92 1.61 0.24 0.11 2.31 0.68 -1.88 Germania Coeff. 2.9 0.21 0.46 -0.42 -0.11 0.39 -0.37 0.26 -0.02 -0.08 0.12 0.1 0.04 0.2 0.24 -0.23 0.11 -0.9 -1.29 -0.12 0.08 -0.13 0.13 -0.04 -0.07 0.08 Grecia Coeff. 1.1 3.02 -1 -0.95 2.22 -1.28 1.96 -0.6 -0.5 0.9 1 0.3 1.74 2.37 1.67 0.97 0.87 1.46 1.16 0.49 0.34 1.69 0.57 0.68 0.58 t Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ... alimentari, bevande e tabacco tessile, prod. Tessili, cuoio, calzature 10_14 15_16 17_19 - 200 0.06 macchinari e attrezzature, altro 36_37 altri mezzi trasporto manifatttura, altro 35 mezzi di trasporto 34_35 veicoli a motore 0.037 strumenti medici, ottici e di precisione 33 34 - radio, tv e apparati di comunicazione 32 -0.11 0.23 0.11 0.29 - macchinari elettrici 31 -0.01 macchine x ufficio e computer -0.07 0.001 macchinari e attrezzature apparecchi ottici e elettrici 0.06 prodotti in metallo, eccetto macchinari 28 29 0.1 0.08 metalli 27 metalli e prodotti in metallo -0.04 altri prod. Minerali non metallici 26 30 30_33 29_33 27_28 0.02 25 0.06 chimica e prodotti chimici prodotti in gomma e plastica 24 -1.95 1.93 1.94 3.17 0.4 - - -0.6 -1.3 0.9 0.2 1.1 1.65 1.57 0.87 0.1 1.69 0.23 -0.1 carbone, pr. Petrol. Raffinati, energia nucleare 23 - - - -0.01 - - - - 0.12 0 0.13 -0.1 0.09 0.03 0.05 0.02 0.02 0.4 0 0.06 chimica, gomma, plastica e pr. energetici 23_25 0.93 0.12 0.06 0.1 0.08 -0.19 Coeff. 21_22 2.76 0.11 1.25 0.87 t 0.24 Italia polpa, carta, prodotti incarta, stampa, editoria -0.14 0 -0.19 0.06 Coeff. Olanda - - - -0.2 - - - - 3.76 0 3.2 -1.76 1.93 0.67 0.94 0.61 0.88 1.95 0.13 1.92 2.41 1.71 2.47 0.47 2.57 t STIME SETTORE/PAESE legno, prodotti in legno 20 minerario-estrattivo 01_05 Descrizione agricoltura, caccia, foreste, ittica Settori ISIC Segue: Tab.6. - - - - - - - - -0.01 0.035 0.05 -0.09 -0.05 0.27 0 0.19 0.03 0.09 0.06 Coeff. Portogallo - - - - - - - - -0.13 1.04 0.6 -1.83 -1.26 2.68 0.04 2.01 0.4 1.26 0.39 t 0.05 0.29 0.19 0.31 0.18 0.42 0.12 0.03 0.15 0.07 0.14 0.05 0.08 0.09 0.02 0.05 0.08 0.33 0.16 0.07 0.01 -0.01 0.06 -0.3 0.3 Coeff. Spagna 0.7 1.54 1.82 1.9 1.56 3.5 1.4 1.2 2.73 1 2.95 0.55 1.14 1.62 0.3 1.07 2.03 1.28 2.62 0.5 0.12 0.34 1.55 2.37 2.76 t Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ... Qualche ulteriore riflessione, infine, sul caso italiano. Dalle stime emerge che l’introduzione dell’euro sembra aver determinato un effetto negativo di commercio in due importanti settori: il tessile e il comparto “altra manifattura”, comprendente tra l’altro la produzione di mobili. Si sarebbe invece determinato un incremento di commercio nella chimica, nei metalli e nei mezzi di trasporto, in quest’ultimo caso sia nei veicoli a motore sia negli altri mezzi di trasporto. Si tratta quindi di settori rilevanti nell’ambito del modello di specializzazione commerciale del nostro paese. Colpisce l’effetto negativo rilevato nel tessile-abbigliamento e nei mobili. Sulla base delle considerazioni espresse nel paragrafo precedente, ci si poteva attendere un effetto nullo (o statisticamente non significativo) in settori tradizionali quali appunto quelli in oggetto, anche in considerazione della peculiare dimensione mediopiccola che caratterizza le imprese italiane in questi comparti. L’adozione della moneta unica sembra invece essere stato un fattore che ha contribuito alle difficoltà del settore osservate negli anni recenti, determinando un decremento delle esportazioni all’interno del mercato dell’area euro rispetto a quelle dirette verso il resto del mondo. Ciononostante, non si è assistito a un cambiamento rilevante nel modello di specializzazione italiano: come noto, il tessile-abbigliamento figura ancora tra i settori di punta dell’export nazionale. E’ possibile che le difficoltà nel mercato europeo abbiamo spinto vieppiù verso un processo di ristrutturazione che sembra cominciare a produrre finalmente i suoi frutti, considerando la ripresa delle vendite in volume e la stabilizzazione delle quote di esportazioni osservate nel corso del 2006. Per i settori nei quali l’Italia ha beneficiato di un incremento di export legato all’adozione dell’euro, il comparto dei veicoli a motore è sicuramente il più rilevante. Date le peculiarità che lo caratterizzano (economie di scala, ampiezza dimensionale elevata e varietà qualitativa), è risultato essere quello dove più diffusi sono stati i vantaggi a livello nazionale. Ciò può aver consentito di attenuare gli effetti del processo di ristrutturazione operato in questi anni dall’industria italiana in tale settore. L’effetto quantitativo risulta però, nel caso italiano, inferiore a quello osservabile nei due principali partner europei (Francia e Spagna). Sicuramente meno rilevanti sono i settori della chimica e dei metalli, caratterizzati in Italia da un processo di de-industrializzazione già nei decenni scorsi. La sostanziale assenza nella produzione di beni negli altri comparti che hanno beneficiato, nella media europea, di incrementi di commercio a seguito dell’adozione dell’euro ha sicuramente indebolito, a parità di altre condizioni, la posizione competitiva italiana nei confronti dei partner europei. - 201 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 2.7 CONCLUSIONI Per l’insieme dei paesi UEM, l’introduzione della moneta unica sembra aver avuto un effetto positivo sulle esportazioni aggregate, ma di entità assai limitata, in particolare se confrontato con i risultati evidenziati in letteratura relativamente ai casi più generali di unioni valutarie. Sulla base delle nostre stime, l’incremento di commercio intra-area derivante dall’introduzione dell’euro sarebbe stato, in media, tra il 4-5 per cento. Considerando la particolarità dell’UEM, tuttavia, tale risultato non sorprende; la moneta unica europea si configura come l’ultimo passo di un lungo e intenso processo di integrazione economica e commerciale, realizzato nell’arco di 50 anni. La disaggregazione settoriale ha rivelato come tale incremento abbia riguardato solo alcune tipologie di prodotto. In particolare, l‘introduzione della moneta unica sembra aver determinato gli effetti di commercio più rilevanti tra i comparti caratterizzati da economie di scala e da elevata differenziazione di prodotto. La sensibilità commerciale di un paese all’introduzione dell’euro, e più in generale il vantaggio competitivo che ne può trarre, appare quindi legato alla combinazione di diversi fattori: specializzazione commerciale, dimensione media d’impresa, forma di mercato del comparto. Nella misura in cui i paesi membri dell’UEM sono caratterizzati da differenze in questi elementi, è quindi possibile spiegare le forti disuguaglianze geografiche nell’impatto settoriale (e nazionale) dell’introduzione dell’euro riscontrate nelle stime. Per alcune tipologie di beni e/o in alcuni dei paesi membri dell’UEM, sembrerebbe essersi determinata una diminuzione di commercio intra-area legata all’introduzione della moneta unica. Tale effetto può essere riscontrato sia in alcuni dei settori “vincenti”, che hanno cioè beneficiato in media di un incremento positivo di commercio, sia in quelli dove tale effetto è risultato statisticamente non significativo. In altri termini, all’introduzione dell’euro potrebbe anche essere legato, in alcuni casi, un riorientamento geografico dei flussi di esportazione, dal mercato intra-area a quello esterno. Tra questi casi, quello rappresentato dal comparto del tessile-abbigliamento in Italia appare il più rilevante, per l’importanza che lo stesso ricopre nel modello di specializzazione commerciale del nostro paese. Se l’adozione dell’euro ha avuto un ruolo nella “redistribuzione” geografica dei flussi di esportazione settoriale intra-area, l’incremento di cui alcuni comparti hanno beneficiato potrebbe essere avvenuto a scapito di altri. In questo contesto, è possibile che le difficoltà incontrate nel mercato europeo abbiano ulteriormente spinto verso un processo di ristrutturazione nel tessile-abbigliamento, processo in gran parte guidato da fattori di competitività esterni, che però sembra aver cominciato a produrre i suoi frutti. - 202 - Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri ... Nel complesso, pur avendo riscontrato un incremento di export in alcuni settori importanti, tra i quali quello dei veicoli a motore è senza dubbio il più rappresentativo, l’Italia non sembra essere tra i paesi che hanno tratto significativi benefici commerciali dall’adozione della moneta unica. Più in generale, la scarsa rilevanza nel modello di specializzazione italiano di alcuni dei comparti che hanno beneficiato, nella media europea, di incrementi di commercio a seguito dell’adozione dell’euro e la tipologia dimensionale delle imprese hanno presumibilmente ridotto, a parità di altre condizioni, la possibilità dell’Italia di trarre beneficio dai (peraltro limitati) effetti di incremento degli scambi indotti dalla moneta unica. - 203 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Anderson J., van Wincoop E. (2003), ‘Gravity with Gravitas: a Solution to Border Puzzle’, American Economic Review, 93, 170-192. 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Le indicazioni disponibili concordano nel fissare solo all’inizio del 2005 l’avvio di una ripresa produttiva particolarmente sostenuta, cui l’economia italiana è arrivata dopo un lunghissimo periodo sfavorevole, che, tra false partenze e ricadute, è durato 48 mesi. Secondo la datazione ISAE dei cicli economici dell’economia italiana non ci sono precedenti per un periodo negativo così lungo (la durata media di un ciclo recessivo è in Italia di 18 mesi). Solo tra la primavera del 1980 e quella del 1983 si ebbe un’altra fase negativa anormalmente lunga di 39 mesi. Poiché questo lungo periodo negativo per l’economia italiana si è manifestato in coincidenza con l’adozione della moneta unica e, quindi, con una fase di più intensa integrazione con le economie europee, è interessante investigare se tali andamenti abbiano implicato modifiche nei processi di convergenza tra i cicli nazionali. In particolare, è opinione condivisa che la sincronia e la convergenza alle frequenze cicliche di un ristretto insieme di indicatori economici svolgano un ruolo cruciale ai fini del successo di una integrazione monetaria. L’ipotesi di riferimento è che quanto più è elevata la similarità tra componenti cicliche, tanto minore risulterà il costo connesso all’adozione di politiche economiche volte ad attenuare l’ampiezza e la durata di performance cicliche negative. Tale investigazione si pone anche nella prospettiva della cosiddetta endogeneità delle aree valutarie ottimali, secondo cui l’omogeneità nei comportamenti ciclici (fondamentale requisito per la condotta della politica monetaria unica) può essere una 1 Si vedano i Rapporti Trimestrali dell’ISAE di febbraio 2006, luglio 2006 e la Nota Mensile dell’ISAE di novembre 2006. - 207 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 conseguenza dello stesso accordo monetario. Risultati empirici a sostegno di tale tesi sono in Frankel e Rose (1998), che verificano l’esistenza di un legame positivo tra integrazione commerciale e correlazione alle frequenze cicliche, e in Rose (2000), secondo cui la creazione di un’area monetaria si riflette in un significativo impulso degli scambi commerciali all’interno dell’area medesima. La gran parte delle evidenze empiriche (si veda il capitolo Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri. La posizione competitiva dell’Italia in questo Rapporto) ha però ridimensionato nettamente tale impatto positivo sul volume degli scambi commerciali, limitando, quindi, la possibilità che il canale commerciale possa essere veicolo di una maggiore omogeneità2. L’interesse, in particolare, è rivolto a quanto si è verificato nei settori industriali (al netto delle costruzioni) dei paesi membri dell’area euro. Nell’Europa continentale, come noto, il settore industriale contribuisce alla formazione del prodotto interno lordo per una quota compresa tra il 18% e il 30%, un fatto che rappresenta una specificità, se non una anomalia, rispetto alle altre principali economie post-industrializzate. A fronte di un peso largamente inferiore rispetto a quella del comparto dei servizi (in cui una quota rilevante è rappresentata dal settore pubblico), l’industria è il comparto che maggiormente determina il ciclo aggregato. Appare dunque rilevante fornire evidenze che indichino come la costituzione dell’area a moneta unica abbia contribuito alla convergenza tra le performance cicliche dei settori industriali. L’obiettivo del capitolo è pertanto quello di dare conto di tali fatti attraverso due distinte analisi empiriche: la prima riguardante il ciclo europeo in aggregato e la seconda attinente, in modo più specifico, alle cause che hanno contribuito a determinare le fluttuazioni cicliche dell’industria italiana in tale contesto. Per quanto concerne il primo aspetto, nel paragrafo 3.2 e 3.3 si forniscono evidenze sulle attuali caratteristiche del ciclo economico, aggregato e industriale, con riferimento ai paesi membri dell’area euro a 12. L’interesse, inoltre, è volto alla stima di indicatori in grado di segnalare come si è modificata la convergenza tra le componenti cicliche nel corso degli ultimi 25 anni. Tale approccio, ha consentito di trarre indicazioni significative sull’effetto che il processo di unificazione ha esercitato sui co-movimenti alle frequenze cicliche tra i partecipati all’integrazione, confermando parte dei risultati emersi nella letteratura recente (paragrafo 3.4). Tra i molteplici indicatori di convergenza utilizzati in letteratura, l’analisi empirica viene qui incentrata sulla stima degli indici di correlazione dinamica (Croux, Forni, Riechlin, 2001). In particolare, si studiano i comportamenti alle frequenze 2 Sempre dalla prospettiva degli effetti prodotti dall’ingresso in un’area monetaria ottimale, l’analisi della sincronia ciclica è rilevante anche dal lato delle componenti di domanda del prodotto interno lordo, in particolare di quelle che hanno maggior impatto sulla dinamica dei prezzi. - 208 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... cicliche dei principali settori industriali (Divisioni, secondo la classificazione ATECO2002) in cui il benchmark è rappresentato dagli analoghi settori dell’area euro. Riguardo al secondo aspetto (l’evoluzione del nostro paese), nei paragrafi 3.5 e seguenti di questo capitolo si effettua un approfondimento relativo alle dinamiche cicliche del settore industriale italiano. Nell’ambito del processo europeo e mondiale di integrazione economica, l’industria italiana si è infatti contraddistinta per peculiarità sia nella struttura produttiva (che differisce da quella degli altri paesi europei per il fatto di caratterizzarsi per la maggiore presenza di processi produttivi inerenti settori tradizionali) sia per quanto riguarda le caratteristiche macroeconomiche (mercato del lavoro, dinamiche di offerta nei comparti dell’industria). Per tali ragioni, al fine di valutare come le specificità dell’industria italiana possano aver contributo a determinarne una differente dinamica ciclica nel periodo dell’integrazione, rispetto a quanto è avvenuto per le altre economie europee, si effettua una analisi delle cause delle fluttuazioni del settore industriale italiano (in aggregato, al netto delle costruzioni). A tal riguardo, si quantificano le risposte della crescita della produzione industriale italiana a diversi disturbi di origine sia nazionale che internazionale che si sono registrati tanto nel corso degli anni ‘70 e ‘80 che durante gli anni ‘90 e nel periodo più recente. I disturbi interni consentono, infatti, di tenere conto delle condizioni macroeconomiche proprie dell’Italia riguardanti sia le condizioni di domanda nel mercato del lavoro, sia le dinamiche di offerta nell’industria; la seconda tipologia di disturbi (shock internazionali) permette invece di valutare gli effetti dell’integrazione economica e dello scenario economico mondiale sulla performance del comparto industriale italiano. 3.2 COMPORTAMENTI DEI SINGOLI PAESI Il ciclo economico dell’area euro è ampiamente documentato attraverso le analisi e gli indicatori congiunturali elaborati dalle Istituzioni europee e dalle principali organizzazioni internazionali. Le inchieste congiunturali (business survey), condotte presso tutti gli stati dell’Unione Europea secondo procedure armonizzate (e in una buona parte dei paesi che prendono parte alla politica di allargamento), costituiscono uno dei principali strumenti per monitorare l’evoluzione delle dinamiche cicliche dei principali settori produttivi dell’area euro. La Commissione Europea, ad esempio, diffonde indicatori sintetici settoriali (climi di fiducia) e indici aggregati per ciascun paese (economic sentiment indicator, ESI), ottenuti come media ponderata degli indici settoriali e del clima di fiducia dei consumatori. Indicatori compositi, anticipatori del ciclo economico (Composite Leading Index), sono elaborati e resi disponibili dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), sulla base - 209 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 dei quali si definisce una datazione delle fasi cicliche che caratterizzano le evoluzioni di medio termine delle maggiori economie industrializzate3. In questo lavoro, tali fonti informative sono integrate con l’evidenza sui principali fatti stilizzati del ciclo economico dei paesi dell’area euro, desunta con riferimento alle serie storiche del prodotto interno lordo (a valori concatenati e a parità dei poteri di acquisto) relativo all’intervallo temporale compreso tra il primo trimestre 1970 e il terzo trimestre 20064. In una prima fase, l’analisi delle fluttuazioni cicliche è stata effettuata applicando la tradizionale metodologia del ciclo classico5. Attraverso l’algoritmo di calcolo dovuto a Bry-Boschan (1971), nella versione modificata per le serie trimestrali secondo HardingPagan (2002), sono state calcolate le usuali statistiche sul numero e sulla durata media di ciascun ciclo completo (massimo-massimo, minimo-minimo) e delle singole fasi congiunturali (espansione, recessione). E’ opportuno rilevare che tali evidenze, in particolare per alcuni paesi, sono risultate sensibilmente differenti rispetto a quelle che si desumono attraverso gli indicatori coincidenti e anticipatori citati in precedenza. Si tratta di un risultato noto in letteratura, attribuibile alla maggiore sensibilità dell’approccio dei cicli di crescita alla definizione delle fasi cicliche6. Tale metodologia, tuttavia, non farebbe venire meno l’interesse verso un insieme di fatti stilizzati rilevanti per la politica economica e che fanno riferimento al livello della serie storica di interesse. Dall’identificazione dei punti di svolta rispetto ai livelli delle serie storiche si sono desunte indicazioni sulle potenziali non-linerarità che contraddistinguono i movimenti del ciclo aggregato di ciascuna economia nazionale. A questo fine, nella tabella 1 si presentano indici relativi all’ampiezza (Ai) e durata (Di) delle fasi congiunturali e, una ulteriore misura di ampiezza, standardizzata rispetto alla durata della singola fase (steepness). Nell’area euro, la durata media delle espansioni (nel periodo 1970-2006) è risultata pari a 21 trimestri. Francia, Finlandia e Portogallo hanno rappresentato i paesi con le durate nettamente superiori, l’Italia (14 trimestri) e soprattutto la Grecia (10 trimestri) quelli con le estensioni più contenute. La durata media delle recessioni è risultata sostanzialmente analoga tra le maggiori economie dell’area (circa 3 trimestri); parziali eccezioni, con contrazioni leggermente più ampie, sono rappresentate dalla Finlandia e 3 Altre istituzioni di riferimento a questo fine sono rappresentate dal CEPR, che produce un indicatore coincidente del ciclo economico dell’area euro (EuroCoin), dall’ECRI, che produce datazioni del ciclo secondo la metodologia NBER. 4 Le serie storiche sono state ricostruite, per gli anni ’70, sulla base di statistiche di fonte OCSE. Il Lussemburgo è stato considerato insieme al Belgio. Per l’eccessiva irregolarità della serie del PIL e, a causa della carenza di informazioni relative gli anni ’70 e ’80, l’Irlanda è stata esclusa dall’analisi. 5 Burns, A.F. - Mitchel, W. C., (1946). 6 Su questo punto, si veda Harding-Pagan (2001). - 210 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... della Grecia. L’ampiezza media delle fasi di crescita è risultata particolarmente elevata in Francia (nettamente al di sopra della media dell’area, pari al 15%), in Finlandia e in Portogallo. L’Italia e la Grecia, per contro, hanno presentato le ampiezze più contenute (circa il 10% nel caso italiano, il 9% per quello greco). Le differenze più accentuate tra fasi espansive e recessive (tali che le prime sono risultate nettamente più ampie delle seconde) si sono riscontrate per l’Olanda e l’Austria. Le asimmetrie nelle oscillazioni cicliche, valutate in termini degli indici di steepness, sono risultate di grado pressoché analogo nella gran parte dei paesi dell’area e hanno riflesso una ampiezza relativa delle espansioni superiore a quella delle contrazioni. Tali divergenze sono risultate particolarmente marcate per l’Olanda e l’Austria. Al contrario, sono apparse pressoché assenti nel ciclo aggregato del Portogallo che, insieme alla Finlandia, hanno costituito i paesi con la più elevata ampiezza di fase ciclica. Tab.1 FATTI STILIZZATI Euro DE FR IT ES NL BE AT FI PT GR Numero di cicli (MM) 4 7 3 8 4 6 6 6 3 5 Numero di cicli (mm) 3 6 2 7 3 5 5 5 2 4 6 5 Durata media (MM) 23,3 20,0 41,5 17,1 23,0 22,6 22,4 21,2 30,0 28,3 14,8 Durata media (mm) 23,6 19,5 41,5 17,0 24,0 22,8 22,2 21,0 35,0 27,5 15,0 Durata media delle espansioni (mM) 21 16,8 38,5 13,9 20,6 18,6 19,2 18,4 27,5 24,3 10,6 Durata media delle recessioni (Mm) 2,8 3,0 2,7 3,1 3,0 3,8 3,0 2,7 6,0 3,6 4,3 Ampiezza media delle espansioni (mM) % 15,0 11,7 22,9 10,3 14,6 16,1 13,9 14,0 25,3 24,4 8,8 Ampiezza media delle recessioni (Mm) % -1,1 -1,3 -1,0 -1,3 -1,1 -1,8 -1,7 -1,0 -6,4 -3,7 -2,5 Steepness (mM) 0,714 0,694 0,595 0,744 0,709 0,868 0,723 0,761 0,918 1,007 0,830 Steepness (Mm) -0,400 -0,441 -0,376 -0,426 -0,367 -0,470 -0,553 -0,376 -1,067 -1,014 -0,581 98,231 441,016 71,328 150,483 150,102 133,344 128,800 347,188 295,971 46,640 -5,375 Triangle approximation (mM) 157,500 Triangle approximation (Mm) -1,513 -1,984 -1,330 -2,078 -1,650 -3,450 -2,490 -1,330 -19,200 Excess (mM) - HP -0,123 -0,124 0,204 0,251 -0,007 0,372 -0,296 -0,058 -0,479 -6,570 0,054 0,197 Excess (Mm) - HP -0,030 0,199 -0,074 -0,056 -0,060 0,019 -0,018 -0,003 -0,267 -0,141 0,153 Fonte: elaborazioni ISAE su dati OCSE e Eurostat. Nota: “m” indica il punto di minimo locale, “M” il punto di massimo locale. I paesi considerati sono i seguenti: Area euro a 12 (Euro), Italia (IT), Germania (DE), Francia (FR), Spagna (ES), Grecia (GR), Portogallo (PT), Austria (AT), Finlandia (FI), Olanda (NL), Belgio (BE). Una ulteriore misura di asimmetria delle oscillazioni di medio periodo è rappresentata dalla cosiddetta “approssimazione triangolare” (Harding e Pagan, 2002), che fornisce una stima della perdita cumulata (guadagno cumulato) associata a una recessione (espansione) ed è approssimata dall’area di un triangolo avente per base la durata della fase ciclica e per altezza la sua ampiezza7. Associata a tale misurazione vi è 7 Formalmente, CTi = 0,5 · Ai · Di. - 211 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 quella nota come excess of cumulated movements8 (Ei) che indica scostamenti da tale approssimazione triangolare, ovvero da un’evoluzione dell’economia (in espansione, in recessione) secondo un tasso di crescita costante. Un valore di tale indice prossimo allo zero, quindi, segnala un andamento che non si discosta da dinamiche lineari: l’attività economica si sviluppa senza accelerazioni o decelerazioni lungo le diverse fasi cicliche. Il segno positivo dell’indicatore suggerisce, in media, un guadagno (in espansione) o minori perdite (in recessione), in entrambi i casi rispetto al benchmark lineare. Valori negativi corrispondono a performance insoddisfacenti, dovute a un intensificarsi delle contrazioni ovvero a un certo di contenimento di dinamica delle espansioni, sempre valutate rispetto all’ipotesi di evoluzione con tasso di crescita costante. Tale indicatore consente di dare conto di una ulteriore importante dimensione dei cicli economici aggregati dell’area euro, associata alla cosiddetta shape delle fasi cicliche. L’indice Ei può essere considerato, infatti, come una misura della concavità o convessità del ciclo economico: fasi cicliche convesse (concave) sono caratterizzate da misure di slope positive (negative) e (secondo la definizione adottata in questo lavoro) da valori dell’indice excess negativi (positivi). Il segno dell’indice, in altri termini, segnalerebbe l’intensità in dinamica del fenomeno di interesse, sia all’inizio che alla fine della fase ciclica. Nelle fasi espansive, valori negativi corrispondono ad andamenti graduali dell’attività economica nella parte iniziale della fase di crescita e, al contrario, a una accentuazione della velocità in prossimità del punto di svolta superiore (espansioni convesse). Valori positivi di Ei (espansioni concave) indicherebbero una attenuazione della dinamica nella parte finale delle fasi di crescita, su ritmi nettamente inferiori a quelli registrati nei periodi immediatamente successivi alla fine delle fasi recessive. Nel caso di recessione, valori positivi segnalerebbero una generale tendenza a contenere le perdite produttive (recessioni convesse): le fasi cicliche sarebbero contrassegnate da tassi di sviluppo più accentuati nei periodi iniziali e da dinamiche particolarmente contenute in prossimità del temine dalla fase ciclica. Quelle “concave” (Ei>0), infine, si connotano per l’intensificarsi delle cadute produttive nei periodi finali della fase stessa. Valori medi di questi indici, relativi al periodo 1970-2006, sono presentati nella tabella 1. Secondo tali indicazioni, l’area euro nel suo complesso e, in particolare, la Germania, il Belgio e la Finlandia si caratterizzano per dinamiche in uscita dalle fasi 8 In media, per ciascuna fase ciclica, il risultato effettivo cumulato (guadagno in espansione, perdita in recessione) è stato calcolato come D C i = ∑ ( yi − y 0 ) − i =1 A 2 ; lo scostamento da tale dinamica lineare è dato da E i = (C i − CTi ) / Di . Si veda, ad esempio, Camacho, Perez-Quiros e Saiz (2006) e Clements e Krolzig (2003) per definizioni alternative di questi indicatori. - 212 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... recessive particolarmente graduali, destinate ad intensificarsi nei periodi finali dei cicli espansivi. Si tratta di una caratteristica opposta a quella che contraddistingue le riprese produttive dell’economia statunitense, in cui i ritmi di sviluppo sono risultati particolarmente marcati negli stadi iniziali delle fasi di crescita. Tale fatto stilizzato trova riscontro per la Francia, l’Italia, l’Olanda e, anche per il Portogallo e la Grecia: in questi paesi, i sostenuti ritmi di crescita che connotano l’uscita dalle contrazioni tenderebbero ad attenuarsi nel corso della stessa fase espansiva9. Una maggiore omogeneità ha, invece, contrassegnato i comportamenti dei paesi dell’area euro durante i periodi di contrazione dell’attività economica. Recessioni particolarmente intense, ma tendenti ad attenuarsi dopo i momenti iniziali (contrazioni convesse) avrebbero contraddistinto la larga maggioranza dei paesi membri (Austria e Belgio in misura minore) e l’area euro nel suo complesso. Eccezioni a questo comportamento sono state rappresentate da Germania, Olanda e Grecia che, avrebbero evidenziato una tendenza ad accentuare le cadute produttive negli stadi finali delle fasi recessive. 3.3 CICLO “COMUNE” E CICLI SPECIFICI Nel complesso, i fatti stilizzati corrispondenti all’area euro indurrebbero a descriverne il ciclo come contraddistinto da una moderata asimmetria, dovuta essenzialmente all’ampiezza estremamente contenuta delle fasi recessive. In questa sede, tuttavia, si ritiene di notevole interesse valutare sia l’entità degli scostamenti, sia la reattività di ciascun paese membro rispetto alle oscillazioni di medio periodo dell’area nel suo complesso. A questo fine, si adotta una metodologia che si caratterizza per l’estrema accuratezza nella stima delle componenti di trend e di ciclo. Nel modello di riferimento adottato in questo lavoro10, il ciclo dell’area euro è specificato nella forma di common cycle rispetto alle componenti cicliche dei singoli stati membri, y k ,t = µ k ,t + δ kψ t + ε k ,t dove y k ,t indica le serie del prodotto interno lordo per i singoli paesi considerati nel lavoro (k=1,2,…,K), µ k ,t è la corrispondente componente di trend stocastico,ψ t è la 9 Tali evidenze sono in linea a quanto riportato in Harding e Pagan (2001) e in Artis, Krolzig e Toro (1999). Con riferimento all’Italia, in quest’ultimo lavoro è stato stimato che il tasso di crescita del PIL, registrato dopo il primo anno di uscita da un minimo ciclico risulterebbe, in media, di circa il 7% più basso rispetto a quanto osservato nei momenti iniziali della fase espansiva. 10 Il modello e la procedura di stima adottata nel lavoro sono descritti in Pelagatti, M., (2004). - 213 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 componente ciclica comune a tutte le economie considerate, che contribuisce alle fluttuazioni cicliche di ciascun paese sulla base dal parametro incognito δ k (loading), ε k ,t è un termine di errore con le usuali proprietà stocastiche. Adottando la specificazione suggerita in Harvey e Trimbur (2003), il filtro ottimale per l’estrazione simultanea delle componenti di ciclo e di trend del modello è noto come Generalized Butterworth Filter di ordine (m,n) 11. Specificato nella forma di un modello multivariato a componenti nonosservabili, le componenti di interesse sono state estratte applicando il filtro di Kalman sulle informazioni disponibili relative al periodo 1972:1-2006:2 e i parametri di loading sono stimati con metodo di massima verosimiglianza. Fissando a 1 il peso della componente ciclica del PIL dell’area euro, tali parametri sono stati normalizzati attraverso il rapporto tra le deviazioni standard corrispondenti alle serie differenziate del σ ( ∆y Euro ,t ) ~ PIL, rispettivamente, dell’area euro e di ciascun stato membro ( δ k = σ , σ ( ∆y k ,t ) colonne 2 e 3 della tabella 2). Tab. 2 INCIDENZA DEL COMMON CYCLE DELL’AREA EURO NELLE ECONOMIE DEI PAESI MEMBRI Paesi Parametro di loading Area euro Deviazione standard 0,0059 Italia 1,30 (0,145) 0,0078 Francia 0,84 (0,044) 0,0053 Germania 1,04 (0,103) 0,0095 Spagna 0,61 (0,129) 0,0080 Belgio-Lussemburgo 1,37 (0,127) 0,0074 Olanda 0,95 (0,107) 0,0121 Finlandia 0,22 (0,199) 0,0140 Austria 0,95 (0,131) 0,0093 Portogallo 1,09 (0,140) 0,0125 Grecia 0,98 (0,315) 0,0296 Nota: errori standard in parentesi. 11 Il modello è stato stimato con riferimento all’intervallo di frequenze [0,2-1,05] corrispondenti, nel caso di serie storiche trimestrali, alle fluttuazioni cicliche relative all’intervallo temporale compreso tra 1,5 e 8 anni. Il modello è stato stimato con parametri m=2, n=4 (rispettivamente, ordine della componente di trend e di ciclo stocastico), ρ = 0 . 7 (dumping factor), λ = 0,5 (frequency cycle). - 214 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... Questi ultimi sono fortemente informativi sull’importanza che la componente di common cycle riveste nell’influenzare le dinamiche cicliche complessive di ciascun paese dell’area e, quindi, la tendenza ad accentuare o meno l’intensità delle oscillazioni di medio periodo provenienti dall’area monetaria nel suo complesso. Sulla basi di tali evidenze, l’Italia, il Belgio-Lussemburgo e, in minor misura il Portogallo, sono risultate le economie europee più sensibili alle oscillazioni cicliche provenienti dell’area euro, ovvero quelle in cui i segnali di tipo common cycle verrebbero amplificati nell’ambito delle dinamiche cicliche nazionali. Confermando le attese a priori, il parametro di common cycle per la Germania è stato stimato con valore unitario, fornendo supporto all’ipotesi secondo cui l’economia tedesca determinerebbe in larga misura le evoluzioni di breve-medio periodo dell’economia continentale (analoga evidenza si riscontra con riferimento alle dinamiche cicliche dei settori industriali nell’area euro, si veda il paragrafo 3.5 di questo capitolo). La Francia e, in particolare, la Spagna sono risultate le economie europee in cui le dinamiche cicliche nazionali hanno mostrato la relazione più debole nei confronti della componente di common cycle, con il risultato di attenuare l’importanza di tali fluttuazioni aggregate nell’ambito delle dinamiche di medio termine. Tale risultato è, probabilmente, dovuto a motivazioni sostanzialmente differenti. La relativa “autonomia” dell’economia francese rispetto agli andamenti ciclici predominanti nell’area euro potrebbe essere maggiormente attribuibile ad alcune caratteristiche specifiche della struttura produttiva di questo paese, come il ruolo svolto dal settore pubblico, i cui livelli di intervento (e di efficienza) nel sistema economico sono probabilmente superiori rispetto a quanto si riscontra nelle altre maggiori economie continentali. Motivazioni diverse sono individuabili per l’economia spagnola, che è stata attraversata da un profondo processo di trasformazione, particolarmente intenso nell’ultimo decennio, che ha probabilmente segnato un cambio strutturale di tale sistema economico. Il caso della Spagna potrebbe delinearsi come un vero e proprio processo di convergenza verso le dinamiche delle maggiori economie continentali. Evidenze a sostegno di ciò sono rintracciabili anche nell’analisi delle convergenze cicliche tra i paesi dell’area euro (si veda il paragrafo 3.4 di questo capitolo). Nel complesso, i parametri stimati (risultati staticamente significativi, con l’unica eccezione della Finlandia) hanno evidenziato una azione particolarmente rilevante della componente di common cycle nelle oscillazioni di medio termine dei paesi membri dell’area euro, nel senso di una loro amplificazione per alcune economie, tra cui l’Italia, e di una attenuazione per altre (Francia e Spagna). In funzione di “boa” per l’intero sistema economico europeo risulta la Germania. Una volta definita l’influenza del ciclo europeo sulle singole economie, è opportuno interrogarsi su quali siano le caratteristiche dei cicli “specifici” nazionali al netto, cioè, - 215 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 della componente comune relativa all’area euro. Ciò può fornire un importante strumento interpretativo sulla natura delle oscillazioni cicliche nazionali una volta depurate degli effetti di quello che può essere considerato come il principale “attrattore” delle frequenze cicliche all’interno dell’area. E’ tuttavia rilevante considerare che le componenti nazionali sono sì al netto del ciclo comune “euro”, ma continuano a essere comprensive di tutti quegli effetti derivanti dalle interazioni attraverso link commerciali e di integrazione produttiva con le singole economie dell’area. I country-specific cycle corrispondono alla componente ciclica relativa alle serie del prodotto interno lordo, una volta depurata della corrispondente quota di common cycle, ~ y k ,t = y k ,t − δˆkψ t 12. In questo lavoro, le componenti country specific sono state estratte dalle serie storiche ~ y k ,t attraverso l’applicazione di tre distinte metodologie: il filtro di ChristianoFitzgerald (1999), il filtro di Hodrick e Prescott (1997), l’usuale operatore differenza stagionale. L’analisi che segue si pone l’obiettivo di valutare come si è modificata nel tempo l’eterogeneità tra le componenti cicliche dei paesi membri e, in particolare, se si è eventualmente manifestata una crescita di tale fenomeno nel corso degli anni 2000. In questo lavoro, l’omogeneità tra componenti è stata misurata attraverso la stima (per ciascun trimestre dell’intervallo 1972:1-2006:2) di indici di deviazione standard tra le componenti cicliche nazionali. In particolare, accanto a quelle stimate al netto del common cycle, in questo ambito sono state considerate anche le componenti cosiddette “complete”, ovvero quelle usualmente ottenute applicando le metodologie citate in precedenza alle serie storiche del prodotto interno lordo di ciascun paese. L’evidenza proveniente dagli indici di variabilità calcolati sulle due tipologie di componenti (net e gross of common cycle) appare concorde nell’indicare una attenuazione della variabilità tra gli andamenti ciclici dei paesi membri dell’area euro a partire dal terzo/quarto trimestre del 1994 (grafico 1). La differenza tra i valori di deviazione standard relativi, rispettivamente, ai periodi 1972-1994 e 1995-2006 è risultata significativamente diversa da zero. Ciò indicherebbe che, sul finire della prima metà degli anni ’90, si era realizzato un sensibile contenimento del grado di eterogeneità tra le componenti cicliche aggregate di quei paesi che, a distanza di pochi anni, sarebbero confluiti nell’area valutaria a moneta unica. 12 y k ,t indica le serie del prodotto interno lordo per il paese k, componente ciclica comune. - 216 - δˆk è il corrispondente parametro di loading,ψ t è la Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... Nel corso degli anni 2000, si è, invece, registrato un lieve incremento degli indici di variabilità, prevalentemente in corrispondenza dell’inversione ciclica che ha caratterizzato l’inizio di questo decennio. Secondo le indicazioni riportate nel grafico 2, il ciclo dell’area euro ha raggiunto un massimo nel quarto trimestre del 2000, un andamento seguito strettamente dall’Italia e dalla Francia (che hanno fatto registrare un massimo nello stesso periodo) e con un trimestre di anticipo dalla Germania. Graf. 1 - ETEROGENEITÀ TRA LE COMPONENTI CICLICHE DELL’AREA EURO 0,07 0,01 0,06 0,00 0,05 0,00 0,04 0,03 0,00 0,02 0,00 0,01 0,00 0 71 73 75 77 79 81 83 85 87 89 CF 91 93 D 95 97 99 01 03 05 97 99 01 03 05 HP 4 3 2 1 0 -1 -2 -3 71 73 75 77 79 81 83 85 87 89 CF 91 HP 93 95 D Nota: CF: Christiano-Fitzgerald; HP: Hodrick-Prescott; D:differenza stagionale. Il grafico in basso riporta le deviazioni standard riscalate rispetto alla media delle componenti cicliche. La Spagna, al contrario, ha messo in luce una marcata asincronia rispetto a tali dinamiche, avendo anticipato l’inizio della fase recessiva ai primi mesi del 2000. Lo stesso paese, tuttavia, ha nettamente anticipato l’uscita dalla contrazione (datata nel terzo trimestre del 2002) mentre, nell’area euro la stessa fase recessiva è, invece, terminata soltanto a distanza di un anno. Anche in questo caso, un andamento fortemente - 217 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 simmetrico all’andamento ciclico dell’area è stato riscontrato per la Francia; la Germania e l’Italia (quest’ultima, tra tentativi di ripresa e “false partenze”) hanno rappresentato i paesi che hanno attraversato la recessione più lunga, durata fino al primo trimestre del 2005. Per alcune delle altre economie “minori” dell’area euro si sono riscontrate asimmetrie anche più accentuate. Graf. 2 - DINAMICHE CICLICHE NEGLI ANNI DELL’EURO 0,02 0,02 0,01 0,01 0,00 -0,01 -0,01 -0,02 -0,02 -0,03 1999 2000 Common cycle 2001 2002 2003 Germania Spagna 2004 2005 Francia 2006 Italia Tali dinamiche hanno portato a un aumento della eterogeneità ciclica dell’area, come si rileva dalle deviazioni standard costruite sulle due tipologie di componenti cicliche. Questa, tuttavia, non è stata caratterizzata da una elevata persistenza. Con l’eccezione di un più lieve balzo a cavallo del 2002, gli indici di variabilità hanno poi mostrato un ridimensionamento (a partire dall’ultimo trimestre del 2003), riportandosi su valori analoghi a quelli registrati tra il 1997 e il 1998. Queste evidenze risultano di particolare interesse se interpretate anche alla luce del fatto che nel 2001 è diventata operativa l’area europea a moneta unica. L’avvio dell’unione monetaria è, dunque, avvenuto in un periodo di generale difficoltà per l’economia europea. I segnali che lasciavano presumere l’avvio di una fase recessiva si erano consolidati già nel corso del 1999; questi, tuttavia, non lasciavano presumere l’inizio di una fase congiunturale così complessa. In particolare, l’evidenza fornita dagli indici di variabilità relativi a tale periodo (sempre calcolati su cicli “completi”) sembrerebbe confermare il fatto che all’introduzione della moneta unica non si è accompagnata una ulteriore riduzione dell’eterogeneità tra componenti cicliche. L’unificazione monetaria, in altri termini, sembrerebbe non avere avuto significativi riflessi sulle caratteristiche dei co-movimenti di medio termine tra i paesi dell’area. Se, tuttavia, l’analisi di variabilità è effettuata considerando gli specific cycles gli indici di - 218 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... correlazione cominciano a registrare un lieve aumento dall’inizio del 2005. L’interpretazione di questo risultato richiede cautela: in particolare, potrebbe incorporare una distorsione dovuta alle maggiori revisioni che caratterizzano le estrazioni delle componenti cicliche agli estremi dell’intervallo temporale di riferimento. Una analisi, con metodologie differenti, degli effetti che il processo di unificazione avrebbe prodotto sui cicli gross e net of common cycle, è condotta nel paragrafo che segue. 3.4 UNA ANALISI DELLA CONVERGENZA CICLICA I risultati presentati nel paragrafo precedente potrebbero essere considerati come evidenze preliminari in una analisi volta alla verifica dell’ipotesi di endogeneità dell’unione monetaria. Da un lato, le stime riportate nella tabella 2 hanno mostrato la marcata sensibilità delle economie europee al ciclo aggregato dell’area. In secondo luogo, una significativa attenuazione della eterogeneità tra le dinamiche cicliche dei paesi europei si è realizzata proprio in un periodo in cui poteva considerarsi, al più, appena cominciato il percorso che avrebbe portato all’unificazione monetaria. Piuttosto, la costituzione dell’area euro sembrerebbe poter essere considerata come il più importante, e anche il più recente, punto di arrivo della lunga esperienza di accordi e scambi commerciali che ha visto le economie europee cooperare sin dal secondo dopoguerra. Tale esperienza, incoraggiata dalla vicinanza geografica, avrebbe favorito il processo di integrazione commerciale e produttiva tra le principali economie continentali, contribuendo a un significativo impulso degli scambi commerciali all’interno dell’area medesima (si veda il capitolo Gli effetti della moneta unica sul commercio degli Stati Membri. La posizione competitiva dell’Italia sugli effetti di trade creation dell’euro). In altri termini, pur da queste evidenze preliminari, la ricerca di un effetto del tipo endogeneity of the OCA properties, incentrato sul fatto che la partecipazione a un’area monetaria ottimale dovrebbe produrre, come effetto endogeno, il conseguimento di una più elevata sincronia tra i cicli economici dei paesi membri, non sembra trovare supporto nei dati. Tale tema costituisce l’oggetto di questo paragrafo. L’approccio seguito per la verifica empirica di potenziali effetti derivanti dall’unificazione monetaria trae spunto dall’ipotesi di lavoro espressa in Frankel and Rose (1998), secondo cui la presenza di effetti di endogeneità corrisponde alla verifica di una relazione positiva tra integrazione commerciale e correlazione alle frequenze cicliche. In quanto segue, la misura della correlazione alle frequenze cicliche è stata condotta attraverso la stima di indici di correlazione dinamica, proposti in Croux, Forni e Riechlin - 219 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 (2001), elaborati in un contesto time-varying. Le componenti cicliche (“complete” e country specific), ottenute dall’esercizio di stima descritto nel paragrafo precedente, sono state utilizzate per la stima di modelli VAR (a due o più equazioni, dove ogni equazione rappresenta un paese) e per la successiva costruzione delle matrici di densità spettrale13 F (ω ) = 1 2π A(ω ) −1 ∑ A(ω ) −* . Il focus dell’analisi è riferito all’esperienza italiana. Tale approccio ha consentito di evidenziare, da un lato, in quali periodi si sarebbe intensificato il processo di convergenza dell’Italia rispetto alle principali economie europee; dall’altro, come tale fenomeno si è evoluto nel corso dell’ultimo decennio, un periodo che include la costituzione formale dell’area a moneta unica e in cui, allo stesso tempo, le performance cicliche dell’economia italiana sono risultate particolarmente complesse. In entrambi i casi, l’evidenza è stata costruita rispetto sia alle componenti cicliche “complete” sia a quelle di tipo country-specific. Per la componente di ciclo comune, si assume che rifletta, in larga parte, sia i fattori connessi all’integrazione commerciale e produttiva delle economie continentali, sia quelli dovuti alle riforme istituzionali realizzate dagli organismi dell’Unione Europea che hanno, quindi, interessato tutti i sistemi economici facenti parte dell’area. L’analisi condotta rispetto alle componenti cicliche country specific si propone, in particolare, di verificare se e, in che misura, le specificità cicliche dell’economia italiana abbiano beneficiato del processo di integrazione commerciale ed istituzionale. In altri 13 ∑ è la matrice di varianze e covarianze stimata, A(ω ) la trasformata di Fourier di una matrice polinomiale nei ritardi del modello VAR. Usualmente, i comportamenti lead e/o lag tra due o più fenomeni sono analizzati in termini degli indici di explained variance o di squared coherency. Tali indicatori consentono di valutare le relazioni di anticipo/ritardo tra due fenomeni in corrispondenza di ogni singola frequenza (frequenza per frequenza), ma non consentono di inferire tali elementi rispetto alle componenti cicliche rappresentative di due o più fenomeni. Una soluzione a tale problema è stata proposta in Croux et al. attraverso una misura alternativa della correlazione alle frequenze cicliche (indice di correlazione dinamica), ρ (ω ) = dove c xy (ω ) f x (ω ) f y (ω ) − 1 ≤ ρ (ω ) ≤ 1 , c xy (ω ) è il cospettro, f x (ω ) e f y (ω ) sono gli autospettri desunti dalla matrice di densità spettrale, per ogni coppia di matrici, rispettivamente, di parametri e di varianza-covarianza. La stima VAR condotta in un contesto time-varying ha consentito di pervenire alla stima di matrici di densità spettrale time-dependent e, di conseguenza, degli stessi indici di correlazione dinamica. Tale indicatore presenta il vantaggio di misurare la correlazione contemporanea (in-phase) tra le componenti di due o più serie storiche per un determinato intervallo di frequenze. - 220 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... termini, se si è effettivamente verificata un’accelerazione della convergenza alle frequenze cicliche dell’Italia rispetto agli altri paesi dell’area a moneta unica. La prima significativa evidenza è relativa agli indici di correlazione dinamica calcolati prendendo a riferimento le componenti cicliche complete per quattro maggiori economie dell’area euro (Francia, Germania, Italia e Spagna)14. I risultati della stima time-varying, relativi al periodo 1996:1-2006:2, riportati nel grafico 3, segnalano indici di correlazione dinamica tra componenti cicliche sempre particolarmente elevati. Con riferimento all’Italia, il valore della correlazione nella media del periodo (calcolato rispetto a ciascuno degli altri paesi europei) si è attestato intorno allo 0,6, con picchi che hanno raggiunto lo 0,8 in corrispondenza dei periodi di più forte espansione del ciclo economico. Le flessioni, al contrario, sarebbero essenzialmente imputabili alla maggiore incidenza, soprattutto nei periodi di deterioramento del ciclo, delle componenti a più alta frequenza. Le contrazioni più significative si sono registrate, nei confronti della Germania e della Spagna, nei trimestri iniziali degli anni ’90 (quando la correlazione è risultata marcatamente negativa), e anche verso la Francia (nei primi due trimestri del 1998) pur se con diminuzioni più contenute. In quest’ultimo caso, infatti, l’indice di correlazione si è mantenuto positivo. Si tratta, in ogni caso, di periodi ben noti del recente ciclo economico di queste tre economie, caratterizzati da deterioramenti, anche particolarmente intensi, della dinamica ciclica. Di particolare interesse appaiono le evidenze relative alla convergenza ciclica della Spagna rispetto alle altre tre economie europee. Come si è accennato nel paragrafo precedente, tale evidenza fornirebbe un più robusto supporto analitico per l’interpretazione delle peculiari dinamiche cicliche di tale economia. Il netto aumento degli indici di correlazione dinamica osservato tra il 1986 e il 1988 dovrebbe corrispondere alla fase in cui si sarebbe definitivamente realizzato gran parte del processo di convergenza dell’economia spagnola rispetto alle maggiori economie dell’area euro. L’aumento della correlazione tra componenti cicliche è apparso particolarmente intenso nei confronti della Germania; è, invece, risultato più graduale rispetto all’Italia e alla Francia. Questi due paesi, nel periodo più recente, avrebbero sperimentato un divario nei confronti del più sostenuto ciclo che ha caratterizzato la ripresa economica della Spagna, più strettamente accostato dall’inizio del 2000 al ciclo economico tedesco. 14 L’analisi è stata condotta rispetto all’intervallo di frequenze [0,2-1,05], corrispondente alle dinamiche (cicliche) delle serie trimestrali comprese tra 1,5 e 8 anni). - 221 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Graf. 3 - CORRELAZIONI DINAMICHE TRA COMPONENTI CICLICHE DEL PIL Italia-Germania Italia-Francia 1 Italia-Spagna 1,2 0,8 0,8 1 0,6 0,8 0,4 0,6 0,2 0,4 0 0,2 -0,2 0 -0,4 -0,2 -0,6 -0,4 -0,8 -0,6 ciclo completo 0,6 0,4 0,2 0 -0,2 -0,4 ciclo specifico ciclo completo Italia-Belgio Italia-Olanda 0,9 0,4 0,87 0,3 0,2 0,84 0,1 0,78 0,9 0,8 0,8 0,7 0,7 0,6 0,6 0,5 0,4 0,5 0,3 0,4 -0,1 0,2 0,3 0,1 0,75 -0,2 0,72 -0,3 0,2 0 0,1 -0,1 0 -0,2 cic lo co m pleto c ic lo c o m pleto cic lo specifico (sc ala a destra) Germania-Francia ciclo specifico ciclo specifico Italia-Finlandia 0,9 0 0,81 ciclo completo ciclo completo ciclo specifico ciclo co m pleto c ic lo s pec ific o Germania-Spagna ciclo completo 1 ciclo specifico ciclo specifico Francia-Spagna 1 ciclo completo ciclo specifico 1 0,75 0,75 0,5 0,5 0,25 0,25 0 0 -0,25 -0,25 -0,25 -0,5 -0,5 -0,5 -0,75 -0,75 -0,75 0,75 0,5 0,25 0 -1 -1 -1 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 Fonte: elaborazione ISAE su dati OCSE e Eurostat. Negli anni dell’euro, l’evoluzione di medio periodo dell’Italia è risultata sostanzialmente in linea con quella delle maggiori economie dell’area. Con riferimento alla Germania, l’indice di correlazione contemporanea si era attestato su livelli particolarmente elevati già nel biennio 1998-1999. L’indice ha poi mostrato un rialzo - 222 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... all’inizio degli anni 2000, non tuttavia particolarmente significativo e tale da poter configurarsi come un “effetto unificazione”. Si è, invece, osservato, un progressivo calo della correlazione negli anni immediatamente successivi al 2000: nel quarto trimestre del 2002, l’indice è risultato pari a 0,5 (accusando una perdita di oltre il 30%), il valore più basso toccato dall’inizio del decennio in corso. A partire dal 2003, si è invece registrata una lieve evoluzione al rialzo. La correlazione tra componenti cicliche della Francia e dell’Italia si è mantenuta invariata, su livelli elevati (0,9), tra il 1999 e il 2001, per poi ridiscendere (a quota 0,55) tra il secondo e il terzo trimestre del 2002. Dinamiche analoghe della correlazione tra cicli sono state osservate tra Italia e Germania e tra quest’ultima e la Francia. Nello stesso periodo, l’evoluzione della correlazione tra i cicli di Italia e Spagna ha seguito dinamiche nettamente differenti. Il sostanziale calo, emerso nel periodo che ha preceduto la costituzione dell’area a moneta unica, è poi proseguito ininterrotto negli anni dell’euro. Col minimo toccato nel quarto trimestre del 2003, la perdita di correlazione (valutata rispetto al primo trimestre 1995, quando ha raggiunto il suo valore più elevato) è risultata pari circa a 0,6 punti. Nel biennio 2004-2005, il valore si è mantenuto positivo ma su livelli insoddisfacenti. Una analoga perdita di livelli di “convergenza”, avvenuta a ritmi più accentuati, si è registrata anche tra Francia e Spagna. Nel complesso, dall’evidenza ottenuta rispetto alle componenti cicliche comprensive di common cycle non sono emerse significative discontinuità nella dinamica della correlazione. A partire dal 2001, tuttavia, si sono registrate flessioni generalizzate, seppur contenute, degli indici di correlazione dinamica dell’Italia nei confronti delle maggiori economie dell’area euro. Ciò sembrerebbe portare a due principali conclusioni: da un lato, i risultati dell’esercizio di stima sembrerebbero confermare la tesi secondo cui, nell’intervallo di tempo considerato, larga parte della convergenza tra i cicli delle economie europee più sviluppate si era già realizzata prima degli anni dell’euro; dall’altro, l’attenuazione degli indici di correlazione dinamica osservata nel corso degli anni 2000 porterebbe a diagnosticare una riduzione, per quanto contenuta, del grado di sincronia dell’economia italiana nei primi anni di vita della moneta unica. E’ probabile che tale diminuzione sia stata attenuata dal fatto che le componenti cicliche “complete” dei paesi dell’area avrebbero incorporato, pressoché integralmente, il “fattore comune” connesso alla partecipazione al processo di integrazione monetaria, un fatto che ha contribuito a mantenere particolarmente elevato il grado di sincronia tra gli andamenti ciclici complessivi. Se, dunque, le riforme istituzionali e le politiche di integrazione monetaria e finanziaria attuate nel corso degli ultimi 15 anni hanno interessato sistemi economici già fortemente integrati, si potrebbe presumere che gli effetti prodotti da tali politiche - 223 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 possano aver maggiormente interessato, dopo la creazione dell’UEM, il processo di convergenza tra le componenti cicliche country-specific. L’evidenza al riguardo non ha trovato un riscontro favorevole per l’Italia. La correlazione dinamica tra i cicli specifici di Italia e Germania è risultata in progressiva diminuzione, fino ad azzerarsi (tra metà 2002 e la fine del 2003) per poi toccare valori negativi nel periodo successivo. Verso la Spagna, l’indice di correlazione ha mostrato una forte erraticità dall’inizio del 2000 ed è risultato decrescente lungo tutto il decennio in corso, pur mantenendosi sempre lievemente positivo. I risultati rispetto agli altri paesi dell’area euro hanno messo in luce una perdita di convergenza tra le componenti cicliche, con valori negativi degli indici di correlazione dinamica, nei confronti dell’Austria e, sia pure in minor misura (e sempre a partire dal 2002), nei confronti dell’Olanda. Risultati marginalmente più favorevoli per l’Italia sono stati registrati nei confronti della Francia, in particolare tra il 2003 e il 2005, periodo in cui l’indicatore di correlazione dinamica ha toccato livelli particolarmente elevati, di poco inferiori a quelli ottenuti con riferimento alle componenti cicliche comprensive del common cycle. Nei trimestri successivi, tuttavia, la perdita di correlazione tra cicli specifici è risultata molto netta: l’indicatore è tornato fortemente negativo, sui livelli non più toccati dal 1996. Si è invece consolidata quella nei confronti della Finlandia, pur se intorno a livelli moderati. 3.5 L’INDUSTRIA NEGLI ANNI DELL’EURO Tra la fine dello scorso decennio e l’inizio degli anni 2000, il settore industriale italiano ha registrato una profonda crisi strutturale. Gli effetti dell’ultima recessione che ha interessato la maggior parte delle economie dell’area euro, attesa già a fine ’99, sono risultati particolarmente acuti per i settori industriali del nostro paese. Al termine di tale fase, conclusasi nei primi mesi del 2005, il semplice confronto degli indici generali della produzione industriale relativi alle principali economie europee ha messo in luce non solo un peggioramento delle performance cicliche quanto, soprattutto, la riduzione del ritmo di sviluppo di lungo termine. All’eccessiva durata del periodo di recessione/ stagnazione, si sarebbe aggiunta la maggiore inerzia delle pur spontanee correzioni settoriali, connaturate al nostro sistema produttivo. A tali elementi, si sono sovrapposti gli effetti derivanti dall’eccezionale sviluppo dei mercati asiatici ed altri di carattere istituzionale, dovuti al processo di riforme che ha accompagnato la costituzione dell’area europea a moneta unica. Nel complesso, tra il 2001 e la fine del 2004, pur venendo meno una efficace leva a sostegno della competitività dei prodotti nazionali sui mercati esteri, l’industria italiana ha messo in luce una sostanziale tenuta del processo di specializzazione (si veda il - 224 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... riquadro Trasformazioni dell’industria italiana in questo rapporto), rafforzando, in termini relativi, le proprie posizioni nei confronti dei principali partner commerciali. A ciò ha probabilmente concorso il marcato processo di improvement qualitativo delle produzioni nazionali (si veda, tra gli altri, Basile, de Nardis e Girardi, 2006). Un ulteriore aspetto peculiare della contrazione dell’industria italiana negli anni 2000 è rappresentata dal sostanziale mantenimento dei livelli occupazionali, in misura non confrontabile a quanto osservato nel corso dell’ultima forte recessione verificatasi all’inizio degli anni ’90. Le varie riforme del mercato del lavoro succedutesi a partire dal 1996 avrebbero aumentato la convenienza del fattore produttivo “lavoro”: in una fase di contrazione dei livelli produttivi, ciò si è riflesso in una brusca caduta della produttività aggregata dell’industria italiana (si veda in questo Rapporto il riquadro Trasformazioni dell’industria italiana e il capitolo Modifiche istituzionali e cambiamenti strutturali nel mercato del lavoro italiano). A fronte di tali fenomeni, qual è stata la performance del sistema industriale italiano nei confronti dei paesi membri dell’area a moneta unica? In quanto segue si presentano alcune evidenze sulla natura delle dinamiche industriali intercorse tra i paesi dell’area euro negli ultimi quindici anni. L’attenzione, in particolare, si è soffermata dapprima sulla valutazione delle dinamiche cicliche dei settori industriali dei paesi membri (in aggregato al netto delle costruzioni). Indicazioni di natura descrittiva sono state ottenute dagli indicatori del ciclo economico tratti dalla datazione secondo l’approccio del ciclo classico. Successivamente, l’interesse si è soffermato su una più accurata valutazione delle oscillazioni di medio periodo e delle dinamiche di lungo termine dei settori industriali nei singoli paesi. Entrambe le applicazioni sono state condotte sugli indici generali della produzione industriale di fonte OCSE e Eurostat, destagionalizzati e corretti per i giorni lavorativi, disponibili su base mensile per il periodo 1975:1-2006:12. Secondo la datazione del ciclo industriale sui livelli (tabella 3), la durata media delle espansioni del settore industriale nell’area euro è risultata particolarmente elevata (circa 12,8 trimestri), un valore cui si avvicinano le durate dei cicli espansivi registrati in Germania, Spagna e Irlanda. L’Italia è risultata contrassegnata dalle più brevi fasi espansive del settore industriale. Se si tiene conto della durata delle fasi cicliche (indicatore di steepness), l’ampiezza dei cicli espansivi dell’industria italiana è risultata superiore rispetto all’evidenza in media riscontrata per le principali economie dell’area, in particolare più che doppia rispetto alla Francia e nettamente maggiore anche rispetto alla Germania. Cicli tendenzialmente simmetrici (in cui la rilevanza delle fasi espansive è risultata analoga a quella dei periodi di contrazione) sono stati rilevati per Olanda, Finlandia, Belgio e Lussemburgo; una maggiore incidenza delle recessioni rispetto alle espansioni è stata invece registra per la Germania. Al contempo, i settori industriali caratterizzati da - 225 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 più forti accelerazioni negli stadi finali delle fasi di crescita (in eccesso a quanto previsto dall’approssimazione triangolare) sono quelli di Spagna, Irlanda, Austria e Portogallo. L’Italia risulterebbe una delle economie dell’area euro maggiormente esposta a perdite di volumi produttivi durante le fasi recessive. Tab. 3 FATTI STILIZZATI DEL CICLO INDUSTRIALE NEI PAESI UEM Euro12 DE FR IT ES NL BE IE AT FI PT GR LU Numero di cicli (MM) 5 7 8 11 5 8 8 6 8 5 8 8 9 Numero di cicli (mm) 6 8 8 12 5 8 8 6 8 5 8 8 10 Durata media (MM) 19,400 14,857 14,625 9,818 17,000 13,000 14,125 16,167 11,750 23,600 14,125 14,500 11,222 Durata media (mm) 17,500 14,000 14,875 9,833 15,800 15,000 13,500 16,000 11,625 22,200 14,375 14,500 12,300 Durata media delle espansioni (mM) 12,833 10,875 9,667 5,417 12,000 9,667 10,375 13,500 7,750 16,667 9,875 9,875 9,100 Durata media delle recessioni (Mm) 4,667 3,125 4,500 4,417 4,833 4,375 3,556 2,857 3,667 4,600 4,222 4,333 3,200 Ampiezza media delle espansioni (mM) 0,126 0,099 0,080 0,091 0,117 0,092 0,092 0,382 0,126 0,303 0,155 0,102 0,130 Ampiezza media delle recessioni (Mm) Steepness (mM) Steepness (Mm) -0,037 -0,039 0,010 -0,028 -0,048 -0,039 -0,038 -0,035 -0,047 -0,039 -0,087 -0,049 -0,045 -0,046 0,009 0,008 -0,008 -0,013 -0,006 0,017 0,010 0,009 0,009 0,028 0,016 0,537 0,387 0,248 0,699 0,443 0,476 Excess (mM) - HP 0,052 0,031 0,269 0,083 -0,050 0,093 0,306 -1,225 -0,018 Excess (Mm) - HP 0,116 0,025 0,010 0,014 0,487 0,809 -0,086 -0,061 0,016 -0,011 -0,019 -0,012 -0,010 -0,014 Triangle approximation (mM) Triangle approximation (Mm) 0,018 -0,011 -0,008 -0,009 -0,010 -0,017 2,579 2,521 0,768 0,501 0,591 1,459 -0,198 0,217 0,192 -0,063 -0,107 -0,095 -0,084 -0,062 -0,068 -0,072 -0,199 -0,103 -0,098 -0,073 0,018 -0,086 0,244 0,059 -0,037 -0,011 -0,099 0,418 0,014 -0,171 -0,110 Fonte: elaborazioni ISAE su dati OCSE e Eurostat. Nota: “m” indica il punto di minimo locale, “M” il punto di massimo locale. I paesi considerati sono i seguenti: Area euro a 12 (Euro), Italia (IT), Germania (DE), Francia (FR), Spagna (ES), Irlanda (IE), Grecia (GR), Portogallo (PT), Austria (AT), Finlandia (FI), Olanda (NL), Lussemburgo (LU), Belgio (BE). Tale analisi segnalerebbe due principali punti sfavorevoli dell’industria italiana. Da un lato, la modesta durata delle fasi di crescita produttiva (in rapporto alle caratteristiche cicliche degli altri paesi dell’area), cui si accompagnano periodi di fiacca evoluzione se non di stagnazione dell’attività economica; dall’altro, l’estrema debolezza cui il sistema industriale sarebbe esposto nel corso delle fasi recessive. Tenendo conto di ciò, appare rilevante valutare come si è evoluta la posizione ciclica del sistema industriale italiano, nei confronti delle economie dell’area euro, nel corso dell’ultimo decennio. A questo fine, lo studio ha riguardato, da un lato, gli andamenti aggregati delle componenti di trend e di ciclo dell’industria italiana nei confronti di quelle dell’area a moneta unica. Dall’altro, con riferimento ai settori industriali, l’analisi si è proposta di verificare il grado di sincronia, e l’evoluzione nel tempo di tale sincronia, tra le componenti cicliche dei settori italiani e quelle di un benchmark di riferimento rappresentato, in questo lavoro, dai corrispondenti comparti produttivi dell’area euro. - 226 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... Con riferimento al primi elemento di analisi, la valutazione della posizione dell’Italia nei confronti del ciclo economico dell’unione monetaria è stata effettuata considerando le caratteristiche di ciclo e di trend dei comparti dell’industria in senso stretto dei singoli paesi dell’area15. Sulla base di questa elaborazione, la prima metà degli anni 2000 è stata caratterizzata da marcate asimmetrie tra le dinamiche cicliche delle industrie nazionali, tali da far venir meno l’ipotesi di un ciclo industriale unico dell’UEM (grafico 4). Soltanto un ristretto numero di paesi, infatti, ha mostrato andamenti di medio Graf. 4 - COMPONENTI CICLICHE NELLA FASE RECESSIVA 2001-2003 0,06 0,04 0,03 0,04 0,02 0,02 0,01 0 0 -0,01 -0,02 -0,02 -0,04 -0,03 -0,04 -0,06 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 1999 2006 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Germania Austria Francia Olanda Finlandia Common cycle Belgio Common cycle 0,05 0,05 0,04 0,04 0,03 0,03 0,02 0,02 0,01 0,01 0 0 -0,01 -0,01 -0,02 -0,02 -0,03 -0,03 -0,04 -0,04 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 1999 2006 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Irlanda Portogallo Italia Spagna Lussemburgo Common cycle Grecia Commoncycle termine strettamente accostati a quello della componente di common cycle (corrispondente al ciclo industriale dell’area a moneta unica). Prendendo a riferimento gli ultimi due punti di svolta di tale componente (corrispondenti al massimo del quarto 15 Tali componenti sono state specificate nella forma di un filtro di Butterworth Generalizzato. La componente ciclica dell’industria in senso stretto nell’area euro è stata specificata nella forma di un common cycle, che entra, attraverso opportuni parametri (loading), nelle componenti cicliche dei singoli Stati Membri. - 227 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 trimestre del 2000 e al minimo del terzo trimestre del 2003), i co-movimenti più sincronici sono stati osservati per la Germania, l’Austria e la Finlandia. Un secondo gruppo di paesi, inoltre, ha condiviso l’evoluzione del “ciclo comune” fino al minimo del 2003 e soltanto per una parte della successiva fase di ripresa. Nei trimestri successivi, tuttavia, tali industrie hanno messo in luce una maggiore erraticità delle fasi cicliche, che ha portato, per alcuni paesi, a recessioni vere e proprie (è questo il caso del Belgio e dell’Olanda); per la Francia, si è trattato di un sostanziale indebolimento della ripresa produttiva che, tuttavia, nel corso dell’ultimo biennio, ha evidenziato una crescente divergenza nei confronti della sostenuta dinamica espansiva del common cycle. Un insieme particolarmente numeroso, infine, è risultato costituito dalle industrie nazionali con significative asincronie rispetto alla fase recessiva del ciclo industriale dell’area euro. Queste hanno registrato un miglioramento del ciclo industriale, risultato più o meno prolungato, che ha interessato il periodo compreso tra il quarto trimestre del 2001 e il primo del 2004. Le dinamiche più marcatamente anticicliche sono state rinvenute in Irlanda, Portogallo e in Lussemburgo, paesi in cui si sarebbe registrato un massimo ciclico compreso tra il quarto trimestre del 2003 e il primo del 2004. Per la Spagna e la Grecia, la ripresa ciclica cominciata a fine 2001 è risultata più moderata. Si è trattato (pur con qualche differenza) di un andamento condiviso anche dall’industria italiana. Dopo la brusca discesa che ha caratterizzato tutto il corso del 2001, le industrie di questi tre paesi hanno messo in luce moderati segnali di recupero. La perdita di livelli produttivi, tuttavia, è stata particolarmente netta per la Spagna e la Grecia, più contenuta per l’Italia. Ciò ha fatto in modo che il periodo di crescita moderata compreso tra il 2002 e il 2004 abbia rappresentato una “vera” fase espansiva per l’industria spagnola, una lunga stagnazione per quella italiana. La successiva perdita di livelli produttivi del 2004, terminata nei primi mesi del 2005, ha portato a delineare una fase ciclica completa per la Spagna (2002-2005), il termine di una fase recessiva eccezionalmente lunga, contrassegnata da una lunga fase di stagnazione, per l’Italia (si veda al riguardo, il Rapporto Trimestrale dell’ISAE di febbraio 2006 e la Nota mensile dell’ISAE di novembre 2006). Per la Grecia, la flessione del periodo 2004-2005 non è risultata particolarmente forte e tale fase potrebbe essere anche interpretata come un temporaneo indebolimento di una moderata espansione in atto dal terzo trimestre del 2001. Tali diffuse eterogeneità potrebbero riflettere la differente sensibilità delle singole industrie nazionali alle fluttuazioni cicliche del sistema industriale dell’area euro. A questo proposito, i coefficienti di loading, stimati attraverso l’applicazione del filtro multivariato, hanno nuovamente confermato una estrema reattività del ciclo industriale italiano che, con un fattore di ponderazione superiore all’unità, tenderebbe ad amplificare le oscillazioni osservate a livello dell’intera area (tabella 4). L’evidenza - 228 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... relativa alla Germania (peso unitario), sembrerebbe confermare le indicazioni emerse in precedenza relative al fatto che tale nazione è tra le principali determinati delle fluttuazioni aggregate. Tab. 4 INDUSTRIA: INCIDENZA DEL COMMON CYCLE DELL’AREA EURO NEI SISTEMI INDUSTRIALI DEI PAESI MEMBRI Paesi Parametro di loading Area euro Deviazione standard 0,0289 Italia 1,32 (0,145) 0,0431 Francia 0,82 (0,075) 0,0267 Germania 1,08 (0,076) 0,0331 Spagna 0,44 (0,140) 0,0336 Belgio 1,06 (0,115) 0,0350 Lussemburgo 1,54 (0,170) 0,0512 Olanda 0,86 (0,106) 0,0287 Finlandia 0,97 (0,368) 0,0456 Austria 1,17 (0,114) 0,0329 Portogallo 0,64 (0,186) 0,0410 Grecia 0,66 (0,115) 0,0366 Irlanda 0,90 (0,204) 0,0592 Nota: errori standard in parentesi. Negli anni 2000, anche gli andamenti delle componenti di trend sono risultati significativamente diversificati. Alcune industrie nazionali hanno messo in luce un deterioramento, con divari progressivamente in aumento rispetto alle tendenze di lungo periodo dell’area. Tali dinamiche hanno, in particolare, riguardato le tendenze dell’Italia. Tra il primo trimestre del 2003 e il quarto del 2006, la perdita cumulata del livello del trend dell’industria risulterebbe pari allo 0,7%. Flessioni meno accentuate hanno interessato le dinamiche di lungo termine del settore industriale in Francia, Olanda e Grecia. Una lieve attenuazione del trend, risultato comunque in crescita, ha invece caratterizzato il Portogallo, il Lussemburgo e la Spagna. Sulla base di tali evidenze, è possibile concludere che le difficoltà sperimentate dal settore industriale tedesco nel corso dei primi anni 2000 sarebbero da attribuirsi interamente a oscillazioni di medio periodo, a carattere generalizzato e ricorrente, che non hanno coinvolto fattori strutturali del sistema produttivo. La componente tendenziale dell’industria tedesca non ha, infatti, mostrato un ripiegamento in seguito a tale periodo - 229 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 di crisi ma, al contrario, si è attestata lungo un sentiero di crescita di lungo termine ancora favorevole. Dall’inizio del 2000, una tenuta dei ritmi di sviluppo di lungo termine ha contraddistinto anche la Spagna e il Belgio mentre, un miglioramento ha riguardato la Finlandia e l’Austria. In Italia, al contrario, si è registrata una netta perdita del ritmo di crescita di lungo periodo. Il grafico 5 mette in luce la notevole flessione accusata dal trend dell’industria italiana a partire dal 2003 e l’ampio divario che si è determinato rispetto all’UEM e alle dinamiche, pur in deterioramento, della Francia e dell’Olanda. Graf. 5 - COMPONENTI DI TREND 4,9 4,68 4,85 4,66 4,8 4,64 4,75 4,62 4,7 4,6 4,65 4,6 4,58 4,55 4,56 4,5 4,54 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Euro DE ES BE Euro IT FR FI AT LU IE NL PT GR Legenda: Area euro (Euro); Germania (DE); Spagna (ES); Belgio (BE); Finlandia (FI); Austria (AT); Lussemburgo (LU); Irlanda (IE); Italia (IT); Francia (FR); Olanda (NL); Portogallo (PT); Grecia (GR). Gli andamenti fortemente differenziati delle oscillazioni di medio termine nei settori industriali dell’area euro hanno portato a un lieve aumento della eterogeneità tra tali componenti cicliche tra il 2002 e il 2004 (grafico 6). Rispetto alla seconda metà degli anni ’90, tuttavia, il grado di eterogeneità tra i cicli industriali ha evidenziato un significativo contenimento negli anni dell’euro. Tale indicazione trova conferma negli indici di variabilità calcolati sulle componenti cicliche industriali sia gross che net of common cycle. A differenza di quanto osservato considerando le serie del prodotto interno lordo, l’unificazione monetaria sembrerebbe aver portato a un maggiore sincronismo tra le dinamiche di medio periodo nei settori industriali dell’UEM. Occorre, tuttavia, considerare che tale elemento, per quanto rilevante, costituisce una condizione necessaria, ma non sufficiente per poter affermare che il processo di unificazione abbia aumentato il grado di similarità tra le dinamiche cicliche dei settori industriali. - 230 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... Graf. 6 - ETEROGENEITÀ TRA LE COMPONENTI CICLICHE DEI SETTORI INDUSTRIALI NELL’AREA EURO 0,07 0,02 0,06 0,02 0,05 0,04 0,01 0,03 0,01 0,02 0,00 0,01 0 0,00 76 78 80 82 84 86 88 90 92 CF 94 D 96 98 00 02 04 06 98 00 02 04 06 HP 0,016 0,014 0,012 0,01 0,008 0,006 0,004 0,002 0 76 78 80 82 84 86 88 90 92 CF 94 96 HP D Nota: CF: Christiano-Fitzgerald; HP: Hodrick-Prescott; D:differenza stagionale. Il grafico in basso riporta la variabilità calcolata su cicli specifici. Ulteriori evidenze a questo proposito sono ottenute dal cosiddetto Concordance Index (CI, Harding e Pagan, 1999)16, una statistica non-parametrica che misura la proporzione di tempo in cui due cicli economici si trovano nello stesso stato. Tali indicatori sono stati elaborati a partire dalle datazioni di ciclo classico delle industrie di ciascun paese dell’area euro con riferimento a due sottoperiodi. Nella parte inferiore della tabella 5 si presentano gli indici relativi all’intervallo 1975:1-1990:4, in quella sopra la diagonale principale si riportano le statistiche relative al periodo 1991:1-2006:4. I principali risultati possono essere così sintetizzati: il grado di co-movimento tra l’industria tedesca e quella dell’UEM è, seppur lievemente, aumentato nel corso degli 16 T Cij = T −1 ∑ ( Si ,t S j ,t ) + (1 − Si ,t )(1 − S j ,t ) , t =1 dove S i ,t è la variabile indicatrice degli stati del ciclo economico (0=recessione, 1=espansione) per il settore j, T la dimensione dell’intervallo temporale. - 231 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 ultimi 15 anni rispetto al periodo precedente; più rilevanti incrementi si sono registrati per la Spagna, la Grecia, l’Austria e la Finlandia. Una stazionarietà, al contrario, ha caratterizzato la Francia, una lieve diminuzione l’Italia e l’Olanda. Nel complesso, il valore medio dell’indice nel secondo sotto-periodo è risultato pari a 69, un valore soltanto di poco superiore a quello osservato nel primo (risultato pari a 65), una evidenza che indurrebbe a sostenere l’ipotesi di un modesto aumento della sincronia ciclica dei sistemi industriali dell’area euro. Tab. 5 CONCORDANCE INDEX AE IT DE FR ES IE GR PT AT FI NL LU BE AE 1,00 0,66 0,91 0,72 0,84 0,70 0,72 0,63 0,86 0,75 0,77 0,73 0,75 IT 0,70 1,00 0,63 0,56 0,53 0,58 0,56 0,59 0,52 0,53 0,64 0,55 0,59 DE 0,86 0,69 1,00 0,75 0,84 0,70 0,69 0,59 0,86 0,75 0,70 0,67 0,78 FR 0,72 0,77 0,77 1,00 0,72 0,58 0,63 0,69 0,73 0,72 0,64 0,55 0,66 ES 0,69 0,61 0,64 0,56 1,00 0,73 0,81 0,56 0,89 0,75 0,64 0,73 0,84 IE 0,69 0,67 0,64 0,69 0,81 1,00 0,73 0,67 0,72 0,80 0,53 0,69 0,83 GR 0,56 0,58 0,64 0,69 0,56 0,63 1,00 0,63 0,77 0,75 0,55 0,73 0,75 PT 0,61 0,53 0,63 0,70 0,64 0,77 0,55 1,00 0,67 0,69 0,48 0,48 0,53 AT 0,67 0,50 0,72 0,61 0,64 0,64 0,61 0,59 1,00 0,80 0,69 0,72 0,77 FI 0,63 0,67 0,67 0,81 0,66 0,72 0,69 0,77 0,58 1,00 0,61 0,70 0,81 NL 0,80 0,69 0,78 0,70 0,64 0,70 0,55 0,63 0,63 0,64 1,00 0,69 0,58 LU 0,64 0,63 0,78 0,70 0,64 0,61 0,73 0,63 0,59 0,73 0,69 1,00 0,73 BE 0,61 0,59 0,59 0,64 0,64 0,70 0,67 0,75 0,53 0,61 0,59 0,63 1,00 Fonte: elaborazioni ISAE su dati OCSE e Eurostat. Legenda: Area euro a 12 (AE), Italia (IT), Germania (DE), Francia (FR), Spagna (ES), Irlanda (IE), Grecia (GR), Portogallo (PT), Austria (AT), Finlandia (FI), Olanda (NL), Lussemburgo (LU), Belgio (BE). Nel periodo 1991-2006, l’industria italiana ha subito cali generalizzati della sincronia ciclica (nel confronto con le statistiche del periodo 1975-1990) nei riguardi dei settori industriali degli altri paesi dell’area. Per la Francia, riduzioni dell’indice hanno trovato riscontro soltanto verso la Grecia e l’Olanda; in Germania analoghe flessioni si sono riscontrate soltanto nei confronti del Portogallo e Lussemburgo, più lievemente verso l’Olanda. A questo fine, risulta di particolare interesse valutare come i principali comparti industriali italiani abbiano contribuito a tali dinamiche fornendo una misura del grado di co-movimento tra i principali settori dell’industria italiana e i corrispondenti comparti dell’area euro. L’obiettivo è valutare come la perdita di sincronia che ha caratterizzato l’intero comparto industriale abbia connotato i singoli ambiti produttivi mettendo in luce, quindi, quali di questi comparti hanno contribuito a significativi rialzi del grado di sincronia ovvero, a temporanei periodi di a-sincronia. - 232 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... In quanto segue, si adotta la tecnica di analisi di cui in Selover, Jensen e Kroll (2003) e Sussmuth e Woitek (2005). In particolare, dalla stima VAR a parametri variabili si perviene al calcolo di una serie di indicatori di sincronizzazione: i) la varianza corrispondente alle fluttuazioni cicliche della serie storica che, fornisce una indicazione della importanza relativa delle componenti cicliche nella serie di riferimento e, ii) l’indice di explained variance, che rappresenta una statistica sul grado della sincronia tra cicli economici, costruito come una misura della dipendenza lineare tra la varianza di due serie storiche in corrispondenza di un opportuno intervallo di frequenze. Questi indicatori sono elaborati in termini di quote percentuali rispetto alla varianza complessiva della serie storica di riferimento (rappresentata, nel caso in esame, dagli indici di produzione industriale settoriali per l’Italia). L’indice di explained variance, inoltre, può essere ulteriormente suddiviso nella proporzione di varianza in-phase, attribuibile alle oscillazioni che risultano sincrone tra le serie storiche settoriali e, nella componente out-of-phase, che esprime la parte dell’indice di explained variance dovuta a dinamiche non sincrone17. In generale, maggiore è la varianza in-phase, più elevato è il grado di co-movimento tra le due serie storiche nell’intervallo di riferimento. Nella tabella 6 si riportano le misure di explained variance e della sua decomposizione in-phase e out-of-phase con riferimento all’intervallo temporale 1990:1-2006:4. Il comparto industriale italiano più strettamente accostato all’analogo settore dell’area euro è costituito dalle produzioni di apparecchiature meccaniche e di precisione. Anche le produzioni di articoli in gomma e materie plastiche hanno evidenziato un elevato co-movimento con le dinamiche cicliche delle analoghe produzioni dell’area a moneta unica. Livelli di poco inferiori si sono registrati per le produzioni di metallo e prodotti in metallo (il principale settore italiano di produzione di materiali intermedi), per l’industria del legno e prodotti in legno e per la produzione di macchine e apparecchi meccanici. Le industrie alimentari, quelle tessili e dell’abbigliamento e quelle della fabbricazione di prodotti chimici, pur con un elevato valore di explained variance, si sono caratterizzate per valori degli indici di sincronia lievemente più contenuti e per misure della varianza out-of-phase più elevate. I comparti con il minor grado di co-movimento rispetto agli analoghi settori dell’UEM sono rappresentati dalle produzioni di mezzi di trasporto, dall’industria della carta, stampa ed editoria. I comparti in cui tale asincronia è risultata particolarmente elevata sono rappresentati dalle lavorazioni di non metalliferi (che, tra tutti i comparti, hanno evidenziato il più basso indice di sincronia in-phase) e dall’industria delle pelli e calzature, due settori di tradizionale specializzazione della manifattura italiana. In media, 17 Tali misure sono ottenute dalla decomposizione dell’indice di squared coherency attraverso l’indice di correlazione dinamica di cui al lavoro di Croux, Forni e Riechlin (2001). - 233 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 i valori di explained variance relativi al comparto dell’industria in senso stretto e a quello della manifattura industriale sono caratterizzati da bassi livelli della varianza inphase e da una misura di quella out-of-phase relativamente elevata. Tab. 6 INDICI DI SINCRONIA DEL CICLO INDUSTRIALE Explained variance in-phase out-of-phase Industria in senso stretto 0,217 0,189 0,028 Attività manifatturiere 0,218 0,187 0,030 Alimentari, bevande, tabacco 0,269 0,263 0,006 Tessile e abbigliamento 0,273 0,261 0,012 Cuoio, pelli e calzature 0,280 0,223 0,057 Carta ed editoria 0,271 0,268 0,003 Legno e prodotti in legno 0,233 0,209 0,024 Derivati del petrolio 0,248 0,245 0,003 Chimica e fibre sintetiche 0,269 0,262 0,007 Gomma e materie plastiche 0,276 0,275 0,001 Trasformazione di minerali non metalliferi 0,203 0,151 0,052 Metallurgia e prodotti in metallo 0,274 0,271 0,003 Macchine e apparecchi meccanici 0,273 0,270 0,003 Macchine elettriche ed elettroniche 0,280 0,279 0,001 Mezzi di trasporto 0,252 0,234 0,018 Energia elettrica, gas e acqua 0,259 0,253 0,006 Fonte: elaborazioni ISAE su dati OCSE e Eurostat. (*) I settori dell’estrazione di minerali (C) e delle Altre industrie manifatturiere (DN) non sono stati considerati a causa dell’eccessiva eterogeneità dei dati disponibili. L’esercizio in un contesto time-varying ha riguardato esclusivamente le misure di sincronia in-phase nel periodo compreso tra il 1996 e il 2006 con l’obiettivo di valutare eventuali modifiche, in ogni trimestre dell’intervallo temporale, della relazione lineare che intercorre tra la varianza dei settori industriali (italiani, dell’area euro) alle frequenze cicliche (1,5-8 anni). I risultati sono presentati nel grafico 7. La sincronia ha mostrato andamenti oscillanti nei comparti dell’industria tessile e dell’abbigliamento e del legno e prodotti in legno, dove è risultata in diminuzione dall’inizio del 2000 e per buona parte del quinquennio. Alcuni settori di produzione di prodotti intermedi (carta, prodotti chimici) hanno messo in luce una marcata perdita di co-movimento (fino alla fine del 2004) e, nel periodo successivo, un recupero del grado di sincronia, risultato più graduale per le produzioni di prodotti chimici. Anche le industrie del metallo e di prodotti in metallo hanno accusato una progressiva perdita di varianza in-phase: a un recupero nel 2003 è seguita una nuova flessione. Una eccessiva erraticità del grado di sincronia ha riguardato le produzioni di articoli in gomma e materie plastiche e le industrie degli - 234 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... Graf. 7 - INDICE DI SINCRONIA: QUOTA DI EXPLAINED VARIANCE CDE D 0 ,3 0 ,3 0 ,2 5 0 ,2 5 0 ,2 0 ,2 0 ,15 0 ,15 0 ,1 0 ,1 0 ,0 5 0 ,0 5 0 0 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 96 97 98 99 00 DA 01 02 03 04 05 06 03 04 05 06 03 04 05 06 03 04 05 06 DB 0 ,3 0 ,2 9 0 ,2 8 0 ,2 8 0 ,2 6 0 ,2 7 0 ,2 4 0 ,2 6 0 ,2 2 0 ,2 5 0 ,2 0 ,2 4 0 ,18 0 ,2 3 0 ,16 0 ,14 0 ,2 2 0 ,12 0 ,2 1 0 ,1 0 ,2 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 96 97 98 99 00 01 DC 02 DD 0 ,2 5 5 0 ,2 9 0 ,2 5 0 ,2 8 0 ,2 4 5 0 ,2 7 0 ,2 4 0 ,2 3 5 0 ,2 6 0 ,2 3 0 ,2 2 5 0 ,2 5 0 ,2 2 0 ,2 4 0 ,2 15 0 ,2 3 0 ,2 1 0 ,2 0 5 0 ,2 2 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 96 97 98 99 00 01 DE 02 DF 0 ,3 0 ,3 0 ,2 5 0 ,2 0 ,2 5 0 ,15 0 ,1 0 ,2 0 ,0 5 0 0 ,15 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 96 97 98 99 00 01 02 Nota: I settori considerati sono i seguenti: Industria in senso stretto (CDE), Industrie manifatturiere (D), Alimentari, bevande, tabacco (DA), Tessile e abbigliamento (DB), Cuio, pelli e calzature (DC), Carta ed editoria (DD), Legno e prodotti in legno (DE), Derivati del petrolio (DF), Chimica e fibre sintetiche (DG), Gomma e materie plastiche (DH), Trasformazione di minerali non metalliferi (DI), Metallurgia e prodotti in metallo (DJ), Macchine e apparecchi meccanici (DK), Macchine elettriche ed elettroniche (DL), Mezzi di trasporto (DM), Energia elettrica, gas e acqua (E). - 235 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 segue Graf. 7 - INDICE DI SINCRONIA: QUOTA DI EXPLAINED VARIANCE DG DH 0 ,3 0 ,3 0 0 ,2 9 0 ,2 5 0 ,2 8 0 ,2 7 0 ,2 0 ,2 6 0 ,2 5 0 ,15 0 ,2 4 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 96 97 98 99 00 DI 01 02 03 04 05 06 03 04 05 06 03 04 05 06 03 04 05 06 DJ 0 ,18 0 ,3 0 0 ,17 0 ,2 9 0 ,16 0 ,2 8 0 ,15 0 ,2 7 0 ,14 0 ,2 6 0 ,13 0 ,12 0 ,2 5 0 ,11 0 ,2 4 0 ,1 0 ,2 3 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 96 97 98 99 00 01 DK 02 DL 0 ,2 9 0 ,3 0 0 ,2 8 0 ,3 0 0 ,2 7 0 ,2 9 0 ,2 6 0 ,2 9 0 ,2 5 0 ,2 8 0 ,2 4 0 ,2 8 0 ,2 3 0 ,2 7 0 ,2 2 0 ,2 7 0 ,2 1 0 ,2 6 0 ,2 0 ,2 6 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 96 97 98 99 00 01 DM 02 E 0 ,2 9 0 ,2 9 0 ,2 8 0 ,2 8 0 ,2 7 0 ,2 7 0 ,2 6 0 ,2 6 0 ,2 5 0 ,2 5 0 ,2 4 0 ,2 4 0 ,2 3 0 ,2 3 0 ,2 2 0 ,2 2 0 ,2 1 0 ,2 1 0 ,2 0 ,2 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 96 97 98 99 00 01 02 Nota: I settori considerati sono i seguenti: Industria in senso stretto (CDE), Industrie manifatturiere (D), Alimentari, bevande, tabacco (DA), Tessile e abbigliamento (DB), Cuio, pelli e calzature (DC), Carta ed editoria (DD), Legno e prodotti in legno (DE), Derivati del petrolio (DF), Chimica e fibre sintetiche (DG), Gomma e materie plastiche (DH), Trasformazione di minerali non metalliferi (DI), Metallurgia e prodotti in metallo (DJ), Macchine e apparecchi meccanici (DK), Macchine elettriche ed elettroniche (DL), Mezzi di trasporto (DM), Energia elettrica, gas e acqua (E). - 236 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... apparecchi elettrici e di precisione. Le produzioni di mezzi di trasporto e quelle di minerali non metalliferi sono state caratterizzate da una sostanziale stabilità dei comovimenti ciclici; una tendenza a comportamenti marginalmente più asincroni è stata rintracciata nelle produzioni di macchine e apparecchi meccanici e in quelle per la produzione e distribuzione di energia elettrica acqua e gas. 3.6 SPECIFICITÀ DELL’INDUSTRIA ITALIANA La analisi sviluppata precedentemente ha evidenziato come la recente una fase ciclica (anomala sia per intensità che per durata) registrata negli ultimi anni dal nostro paese, sia risultata in contrasto sia rispetto alle altre fasi cicliche verificatesi durante gli anni ‘80 e ‘90, sia rispetto a quanto ultimamente sperimentato dai principali partner europei. Come si è detto, nel precedente paragrafo, l’industria italiana ha attraversato, a partire dal 2001, una fase di stagnazione/recessione, peraltro, inserita, come già ribadito, in uno scenario di aumento dell’occupazione e di approfondimento del processo di integrazione nel contesto europeo. Alla luce di tali evidenze, nel seguito ci si interroga sulle cause che hanno contribuito alle recente dinamica ciclica dell’industria italiana e sugli effetti dei possibili cambiamenti intervenuti nella sua performance a seguito del percorso di integrazione che è divenuto sempre più approfondito rispetto al passato. Nel paragrafo viene in particolare effettuata un’analisi della reazione dell’industria italiana a diversi tipi di disturbi sia interni che internazionali, quantificandone il contributo relativo alle fluttuazioni cicliche del comparto industriale. Per verificare la presenza di eventuali cambiamenti nella risposta del settore manifatturiero italiano a tali shock nel corso degli anni, si comparano i risultati relativi a due distinti sottoperiodi. Il primo è compreso tra il 1976 ed il 1990 e comprende una fase in cui il processo di integrazione, non risultava ancora in uno stadio avanzato. Il secondo periodo che va dal 1991 al 2006 racchiude diversi avvenimenti quali l’introduzione del mercato unico, la crisi valutaria del 1992, l’adozione della moneta unica nel 1999 da parte degli undici paesi membri, il rallentamento dell’economia mondiale del 2001 e rappresenta il momento in cui, il processo di integrazione dei diversi paesi dell’area euro, ha raggiunto un maggior grado di approfondimento. - 237 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 3.7 IL MODELLO DI ECONOMIA APERTA PER L’ITALIA Poiché l’economia italiana appare fortemente interdipendente con l’estero sia per quanto riguarda l’acquisizione di beni intermedi sia per lo sbocco della propria produzione, nell’analisi si è considerato un piccolo modello di economia aperta nel quale i fenomeni internazionali (commercio/integrazione, cambio reale/competitività, prezzo del petrolio), si affiancano, come importanza, a quelli legati alle condizioni interne di domanda e di offerta. Il modello stimato include pertanto sia variabili interne (indice di produzione industriale, ore lavorate) che internazionali (il tasso di cambio reale, il prezzo del petrolio ed il commercio mondiale). Gli shock associati alle prime due variabili, consentono di tenere conto di dinamiche proprie della struttura economica dell’Italia in grado di incidere sulla performance dell’industria. Gli shock alle restanti tre variabili, permettono di considerare gli effetti legati a cambiamenti nello scenario internazionale in grado di influire anch’essi sulle fluttuazioni cicliche della produzione del comparto industriale italiano. Al fine di analizzare il contributo relativo alle fluttuazioni dell’industria manifatturiera italiana di tutti gli shock associati alle variabili incluse nel nostro schema, si utilizza un modello autoregressivo vettoriale. Esso può essere visto come un sistema di equazioni in forma ridotta in cui ogni variabile endogena è regredita sui suoi valori passati e su quelli passati delle altre variabili del sistema. Per poter dare un’interpretazione economica ai disturbi, dalle innovazioni stimate della forma ridotta occorre risalire a quelle della forma strutturale18 che rappresenta il sistema economico di riferimento. Per ricavare le innovazioni relative al modello teorico per l’intera economia, si utilizza a tal fine un modello VAR strutturale che permette, di identificare i disturbi (strutturali) utilizzando restrizioni provenienti dalla teoria economica19. Tutte le variabili menzionate inserite nel modello, sono state inoltre trasformate in modo da risultare stazionarie20. La forma ridotta del modello VAR utilizzato nella nostra analisi è data da: xt = Φ 0 + Φ1 (L )xt −1 + ε t dove xt = [hw, tcreal , ∆y, ∆wt , ∆oil ] rappresenta il vettore delle variabili endogene rappresentate dalle ore lavorate (hw), dal tasso di cambio reale (tcreal), dall’indice di 18 Per approfondimenti vedere Amisano Giannini (1992) “Topics in structural VAR econometrics”. 19 Tale tecnica si contrappone a quelle classiche basate ad esempio sulla scomposizione di Choleski. 20 Test di cointegrazione effettuati sulle variabili non evidenziano l’esistenza di legami di equilibrio di lungo periodo tra tali variabili. - 238 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... produzione industriale in differenze ( ∆y ), dall commercio mondiale in differenze ( ∆wt ) e dal prezzo del petrolio in differenze ( ∆ oil ). Φ 0 e Φ 1 indicano le matrici dei parametri del modello ed ε t rappresenta il vettore dei residui. Per ottenere le funzioni di risposta ad impulso dalla forma ridotta del modello VAR si passa alla sua rappresentazione a media mobile21: xt = K + C (L )ε t dove C(L) rappresenta una matrice polinomiale nell’operatore di ritardo L22. Dato che i residui della forma ridotta ε t non sono potenzialmente correlati, per poter dare un’interpretazione di tipo economico agli shock, dalle innovazioni correlate della forma ridotta, occorre risalire alle innovazioni incorrelate della forma strutturale. Le innovazioni della forma ridotta sono legate a quelle della forma strutturale tramite la seguente relazione: S (0)vt = ε t dove xt = [hw, tcreal , ∆y, ∆wt , ∆oil ] sostituisce il vettore degli shock strutturali con matrice di varianze e covarianze E[vt v't]=In ed S(0) è la matrice degli effetti contemporanei dei disturbi strutturali sulle variabili macroeconomiche. Più in dettaglio, v d rappresenta un disturbo alle ore lavorate (shock di domanda interna), v comp indica uno shock alla competitività, v AS rappresenta un disturbo di offerta interno (shock di tipo tecnologico), v INT indica lo shock al processo di integrazione mondiale e v OIL rappresenta uno shock di offerta petrolifero internazionale. Ciascuno di tali disturbi sono considerati rilevanti per spiegare le fluttuazioni dell’industria e per tale motivo vengono utilizzati per effettuare un’analisi delle funzioni di risposta ad impulso riguardante il tasso di crescita del comparto industriale. Dato il modello considerato, i residui della forma strutturale vengono nel seguito identificati applicando restrizioni sulla matrice dei moltiplicatori di impatto di lungo periodo S(1) associata alla matrice della rappresentazione a media mobile della forma strutturale S(L). Applicare tale tipologia di restrizioni equivale a imporre che tutti gli shock esaminati possano generare effetti di carattere temporaneo sulle variabili K = ( I − Φ1 ) Φ 0 21 Dove 22 L(Xt)=Xt-1. −1 e C (L ) = (I − Φ1 (L )L ) −1 - 239 - . Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 analizzate, e che soltanto alcuni di essi, siano in grado di produrre su tali variabili, anche effetti di carattere permanente. A tal riguardo sono state effettuate le seguenti ipotesi di seguito descritte: 1) Sulla variabile ore lavorate non vengono applicate restrizioni di nessun tipo e si assume che tutti gli shock, interni ed internazionali, possano produrre su di essa sia effetti transitori che di lungo periodo. 2) Per il tasso di cambio effettivo reale si assume che tutti i disturbi, eccetto quello sulle ore lavorate (impulso di domanda nel mercato del lavoro) possano determinare su di esso un impatto nel lungo periodo. 3) Per quanto attiene alla produzione industriale, si segue l’ipotesi del tasso naturale dell’output assumendo che il livello della produzione di lungo periodo sia determinato da fattori dal lato dell’offerta quali ad esempio, shock aggregati di offerta (tecnologici) e sul prezzo del petrolio. Dato il modello di economia aperta considerato si assume inoltre che nel lungo periodo la dinamica della produzione industriale italiana, possa anche essere influenzata da shock al commercio mondiale ipotizzando che, la fonte principale delle fluttuazioni per tale variabile, sia rappresentata da shock politici ed istituzionali legati al processo di integrazione tra le economie. Essi dovrebbero pertanto potenzialmente produrre effetti di lungo periodo sulla produzione industriale. Per contro si assume che né il tasso di cambio, né le ore lavorate siano in grado di determinare effetti di lungo periodo sulla produzione industriale. 4) Per il commercio mondiale si ipotizza che soltanto lo shock di offerta sul prezzo del petrolio e i disturbi di carattere istituzionale al processo di integrazione ( v INT ) siano in grado di influenzarne nel lungo periodo il percorso, mentre ore lavorate, produzione industriale e tasso di cambio reale determinano su di esso solo effetti di carattere temporaneo. 5) Infine, per la variabile prezzo del petrolio, si ipotizza che il solo disturbo in grado di produrre su di esso un effetto nel lungo periodo sia quello petrolifero (shock di offerta di fonte internazionale). Le restrizioni 1-5 sopradescritte sono inserite nell’espressione di lungo periodo S(1) della rappresentazione a media mobile del modello VAR all’interno del seguente sistema matriciale: hw S11 (1) S12 (1) S13 (1) tcreal 0 S 22 (1) S 23 (1) ∆y = 0 S 33 (1) 0 0 0 ∆ wt 0 ∆ oil 0 0 0 S14 (1) S15 (1) v d S 24 (1) S 25 (1) v dcomp S 34 (1) S 35 (1) v AS S 44 (1) S 45 (1) v INT S 55 (1) v oil 0 dove gli zeri rappresentano le restrizioni di lungo periodo sopra descritte. - 240 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... 3.8 RISULTATI EMPIRICI Al fine di verificare eventuali cambiamenti intervenuti nella risposta dell’industria ai disturbi considerati nel corso del tempo, l’analisi dell’impatto dei diversi disturbi interni ed internazionali al settore industriale italiano, viene nel seguito presentata comparandone gli effetti in due sottocampioni. I periodi considerati sono il 1975-90 ed il 1991-06. La scelta dell’anno 1991 per suddividere il campione è legata sia alla necessità di usufruire per le stime di un numero di osservazioni sufficientemente ampio in entrambi i sottoperiodi, sia all’esigenza di ottenere un campione bilanciato. Per l’analisi sono state selezionate quali variabili l’indice di produzione industriale destagionalizzato di fonte ISTAT, le ore lavorate di fonte ISAE, il commercio mondiale ed il prezzo del petrolio in dollari di fonte OCSE ed i numeri indici del tasso di cambio effettivo reale di fonte Banca d’Italia. Tutte le serie presentano frequenza trimestrale. Sia nel primo sottoperiodo (1975-90) che nel secondo (1991-06), sulla base del criterio di selezione dei ritardi di Schwartz, è stato adottato un modello autoregressivo vettoriale con un ritardo. In entrambi i sottoperiodi i modelli stimati superano le diagnostiche. In particolare, l’analisi dei residui condotta attraverso gli usuali test, mostra assenza di autocorrelazione ed omoschedasticità. Lo studio delle funzioni di risposta ad impulso permette di comprendere il modo in cui l’economia e, nel nostro specifico caso il comparto industriale italiano, ha risposto ad un particolare tipo di disturbo. A tal riguardo nel seguito vengono riportati i grafici delle funzioni di risposta ad impulso del modello VAR strutturale stimato nei due sottoperiodi analizzati. Nel grafico 8 vengono riportate le risposte dei diversi tipi di shock considerati sul tasso di crescita della produzione industriale nel periodo 1975-90. In particolare si esaminano nell’ordine: i disturbi alle ore lavorate (domanda interna), alla competitività (cambio effettivo reale), alla tecnologia (offerta interna), di tipo istituzionale (processo di integrazione), e petrolifero (shock sull’offerta di fonte internazionale). Osservando i grafici emerge che l’impatto dello shock di domanda interna (aumento delle ore lavorate) sulla crescita della produzione industriale, non appare statisticamente significativo nel 1975-90. Tuttavia, il suo effetto iniziale, è quello di produrre un aumento istantaneo della crescita della produzione che viene gradualmente riassorbito nell’arco di due anni. Lo shock di competitività (perdita di competitività) determina una riduzione della crescita della produzione industriale nel sottoperiodo considerato. Tuttavia, come nel caso precedente, tale effetto inizialmente non appare statisticamente significativo. Uno shock positivo di offerta interna, risulta statisticamente significativo e determina da subito, come ci si attendeva, un effetto favorevole sulla crescita dell’indice di produzione industriale che si riassorbe dopo circa 2 anni e mezzo. - 241 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Graf. 8 - RISPOSTA AD IMPULSO DELL'INDICE DI PRODUZIONE INDUSTRIALE. PERIODO 1975-90 Shock di domanda Shock di competitività 0,0020 0,0025 0,0020 0,0010 0,0015 0,0000 0,0010 -0,0010 0,0005 -0,0020 0,0000 -0,0030 -0,0005 -0,0040 -0,0010 -0,0050 -0,0060 -0,0015 1 3 5 7 9 11 13 15 17 1 19 3 5 Shock di offerta 7 9 11 13 15 17 19 17 19 Shock di Integrazione 0,0070 0,0070 0,0060 0,0060 0,0050 0,0050 0,0040 0,0040 0,0030 0,0030 0,0020 0,0020 0,0010 0,0010 0,0000 0,0000 -0,0010 1 3 5 7 9 11 13 15 17 1 19 3 5 7 9 11 13 15 Shock Petrolifero 0,0016 0,0012 0,0008 0,0004 0,0000 -0,0004 -0,0008 1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 Lo shock positivo al commercio mondiale, che come già detto riflette cambiamenti istituzionali nel processo di integrazione, sembra aver determinato un effetto favorevole e statisticamente significativo sulla crescita della produzione industriale italiana anche tra gli anni ‘70 ed ‘80. Tale risultato conferma l’importanza rivestita dal contesto internazionale sulla performance industriale italiana anche in anni in cui il grado di apertura e di integrazione delle economie non appariva ancora così elevato. - 242 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... Lo shock petrolifero (aumento del prezzo del petrolio) non sembra invece aver prodotto né dal punto di vista economico né statistico un effetto significativo sulla crescita della produzione industriale italiana nel primo sottocampione. Tale risultato può essere in parte legato al fatto che tale disturbo, potrebbe non aver generato un impatto diretto sulle fluttuazioni del comparto industriale anche a seguito di possibili incrementi di efficienza nell’utilizzo di input energetici nei processi produttivi attuati a seguito degli shock petroliferi dei primi anni ‘70 (che sono fuori dal nostro campione di stima). Per fornire una quantificazione del contributo relativo dei diversi tipi di shock alle fluttuazioni della produzione industriale, la tabella 9 riporta la scomposizione della varianza del tasso di crescita della produzione industriale nel periodo 1975-90. In particolare vengono riportati i contributi in percentuale degli shock considerati alla varianza totale della crescita della produzione industriale nei primi 10 trimestri corrispondenti ad un orizzonte temporale di circa due anni e mezzo. Tab. 9 SCOMPOSIZIONE DELLA VARIANZA – TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE Std error Ore lavorate Tasso di cambio reale Offerta Integrazione Shock petrolifero 1 0.008962 5.833609 30.27658 45.25723 18.25087 0.381715 2 0.011852 3.698769 25.05101 29.73835 40.85099 0.660881 3 0.013138 3.502867 22.62613 26.07109 46.49181 1.308103 4 0.013601 3.613694 21.328 24.93005 48.22106 1.907199 5 0.013762 3.696418 20.85132 24.62239 48.56152 2.268351 6 0.013832 3.71374 20.8557 24.51198 48.46888 2.449697 7 0.013878 3.704642 21.08027 24.43417 48.24986 2.531059 8 0.013915 3.688551 21.37119 24.35924 48.01547 2.565545 9 0.013947 3.672703 21.6545 24.28911 47.80406 2.579628 10 0.013973 3.659087 21.90213 24.22764 47.62604 2.585106 Periodo La analisi della scomposizione della varianza conferma all’incirca i risultati già forniti nei grafici delle funzioni di risposta ad impulso. Lo shock interno di offerta (alla tecnologia) è quello che sembra aver contribuito in modo maggiore a spiegare la varianza complessiva associata alle fluttuazioni della produzione industriale italiana. Anche gli shock di competitività e al processo di integrazione appaiono molto importanti, mentre quelli alle ore lavorate (domanda aggregata) e al prezzo petrolio (shock esterno di offerta) presentano nel primo sottoperiodo contributi trascurabili. Per analizzare eventuali cambiamenti intervenuti nell’importanza dei diversi tipi di shock sulle fluttuazioni nel settore industriale nel periodo più recente, nel seguito vengono presentati i risultati degli effetti degli stessi disturbi alla crescita della produzione industriale nel sottoperiodo più recente (1991-06). - 243 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Graf. 9 - RISPOSTA AD IMPULSO DELL'INDICE DI PRODUZIONE INDUSTRIALE. PERIODO 1991-06 Shock di domanda Shock di competitività 0,0040 0,0040 0,0030 0,0030 0,0020 0,0020 0,0010 0,0010 0,0000 0,0000 -0,0010 -0,0010 -0,0020 -0,0020 1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 Shock di Integrazione Shock di offerta 0 ,00 50 0,0040 0 ,00 40 0,0030 0 ,00 30 0,0020 0 ,00 20 0 ,0 010 0,0010 0 ,00 00 0,0000 -0 ,0 010 -0,00 20 -0,0010 1 3 5 7 9 11 13 15 17 1 19 3 5 7 9 11 13 15 17 19 Shock Petrolifero 0,0 00 6 0,0 00 5 0,0 00 4 0,0 00 3 0,0 00 2 0 ,00 01 0,0 00 0 -0,00 01 1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 Osservando le risposte ad impulso riportate nel grafico 9, si evince che lo shock positivo di domanda (un aumento delle ore lavorate) determina dapprima un immediato aumento della crescita della produzione industriale. Successivamente tale crescita si sarebbe progressivamente ridotta fino a divenire negativa per poi aumentare di nuovo e riassorbirsi dopo circa 4 anni e mezzo. Tale risultato evidenzia che un rialzo delle ore lavorate, sebbene generi nell’immediato un aumento della produttività oraria nel manifatturiero, produce successivamente un deterioramento della crescita di tale produttività. Lo shock al mercato del lavoro sembra dunque aver rivestito un ruolo significativo nello spiegare la performance del comparto industriale nel periodo più - 244 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... recente al contrario di quanto si evince dall’analisi relativa al periodo comprendente gli anni ‘80 e ‘90. Lo shock di perdita di competitività, determina invece, contrariamente a quanto ci si attendeva, un immediato aumento del tasso di crescita del produzione che man mano si riduce divenendo negativo dopo circa sei mesi ed riassorbendosi dopo due anni e mezzo. Ciò può essere legato al fatto che a seguito della perdita di competitività, l’output industriale non reagisce immediatamente, ma ne risente negativamente con ritardo dopo due trimestri. Nel valutare la dinamica della produzione industriale a seguito del disturbo al cambio effettivo reale, occorre comunque tener conto anche degli importanti cambiamenti a seguito dell’entrata nella parte finale del periodo, nella scena internazionale di paesi emergenti e di competitori quali la Cina che hanno determinato riposizionamenti strategici all’interno dei comparti dell’industria. Il disturbo positivo di offerta nazionale (shock tecnologico) produce un balzo immediato verso l’alto della produzione che si riassorbe gradualmente nell’arco di circa tre anni. Lo shock al commercio mondiale, che in tale contesto si suppone determinato, da cambiamenti al processo di integrazione globale, appare statisticamente significativo e genera, un aumento della crescita della produzione industriale, analogamente a quanto riscontrato nell’analisi sul primo sottoperiodo. Infine, lo shock internazionale di offerta (al prezzo del petrolio) non risulta statisticamente significativo e produce, un lieve aumento della crescita della produzione industriale analogamente a quanto riscontrato nell’analisi sul primo sottoperiodo, confermando la maggiore impermeabilità dell’attività industriale alle fluttuazioni del prezzo del petrolio. La tabella 10 riporta la scomposizione della varianza del tasso di crescita della produzione industriale nel periodo 1991-2006. Tab. 10 SCOMPOSIZIONE DELLA VARIANZA – TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE Std error Ore lavorate Tasso di cambio reale Offerta Integrazione Shock petrolifero 1 0,005886 32,11895 31,35782 24,55137 11,96132 0,010533 2 0,007914 20,70499 19,32481 28,98636 30,97802 0,00583 3 0,008875 16,60951 15,38299 30,29514 37,36242 0,349942 4 0,009313 17,01953 14,27267 30,08897 37,93344 0,685386 5 0,009527 18,84704 14,38344 29,22707 36,69121 0,851236 Periodo 6 0,009657 20,10229 14,78126 28,44844 35,77411 0,893899 7 0,009746 20,42414 15,03504 28,019 35,63351 0,88832 8 0,009801 20,3035 15,1049 27,84644 35,86678 0,878384 9 0,009829 20,18944 15,08989 27,77487 36,07108 0,874724 10 0,009841 20,20391 15,06407 27,72778 36,13014 0,874101 - 245 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Contrariamente a quanto evidenziato nel primo sottoperiodo, nel periodo più recente, più dell’80% della varianza totale, risulterebbe spiegata da uno shock interno di domanda sulle ore lavorate, da uno nazionale di offerta e da quello di competitività. Il contributo dello shock all’integrazione appare sempre molto importante sebbene lievemente più contenuto rispetto al passato. Il disturbo petrolifero, analogamente a quanto riscontrato nel periodo 1975-90, sembra aver contribuito viceversa in modo trascurabile alla dinamica ciclica dell’industria. 3.9 CONCLUSIONI Nel capitolo si sono presentati i principali risultati di un insieme di analisi su alcuni rilevanti aspetti del ciclo economico italiano, sia aggregato che relativo al settore industriale. Si tratta, in particolare, di alcuni temi divenuti di volta in volta più stringenti a partire dal periodo che ha preceduto l’unificazione monetaria. In più di un caso, le evidenze emerse per l’Italia non sono risultate in linea con quelle della maggioranza dei paesi dell’area euro. In primo luogo, il confronto tra le caratteristiche dei cicli che caratterizzano le economie dell’area euro ha posto in luce una sostanziale eterogeneità: le oscillazioni cicliche sono in larga parte caratterizzate da una maggiore durata e ampiezza delle fasi di crescita rispetto alle recessioni. Sono emerse, tuttavia, diversità con riferimento alla capacità di “durata” nelle accelerazioni e, differenze in quella di contenere la rapidità della discesa durante le fasi recessive. In entrambi i casi, l’Italia ha mostrato performance poco soddisfacenti. Mediamente, a un anno dall’inizio della fase espansiva, la crescita del PIL italiano si è ridotta di circa il 7% rispetto a quanto registrato nei trimestri appena successivi al minimo ciclico. Nell’analisi condotta attraverso la stima di un modello multivariato a componenti non-osservabili, inoltre, l’economia italiana (con Belgio e Lussemburgo) è risultata la più sensibile alle oscillazioni cicliche provenienti dell’area euro, con la conseguenza di amplificare i segnali di tipo common cycle nelle dinamiche cicliche nazionali. L’estrema erraticità del ciclo aggregato (gross of common cycle) non rappresenta, di per sé, un risultato negativo. Al contempo, ciò fornisce una ulteriore indicazione, pur indiretta, a favore di un elevato grado di integrazione commerciale e produttiva raggiunta dall’Italia rispetto alle restanti economie dell’area euro. Nello studio sul processo di convergenza tra le componenti di ciclo economico relative ai paesi dell’area euro si è pervenuti alla stima di indici di correlazione dinamica (in un contesto time-varying) particolarmente elevati (0,8) e raramente al di sotto della - 246 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... quota pari a 0,6, anche nel corso delle più drastiche cadute del ciclo economico (come accaduto nella generalità dei paesi dell’area nella prima metà dello scorso decennio). E’ il caso di osservare che non necessariamente cadute del ciclo aggregato si riflettono in “salti” (verso il basso) degli indici di correlazione dinamica. Un esempio è rappresentato dalla relazione tra Italia e Francia, in cui la più forte riduzione della correlazione tra componenti di ciclo si è registrata nei trimestri a cavallo il 1998. Ciò mette in chiaro un ulteriore importante “fatto”, quello secondo cui le fasi di recessione possono essere interamente ascrivibili a pur consistenti, ma temporanee, perdite dei livelli produttivi (come accaduto in Germania negli anni successivi al 2001), oppure a cambiamenti delle prospettive di crescita tendenziale, che usualmente si riflettono in (o sono segnalate da) una attenuazione (o inversione) della componente di trend (come accaduto in Italia nello stesso periodo). L’analisi condotta attraverso la tecnica delle correlazioni dinamiche, ottenute con riferimento alle componenti cicliche “complete”, non ha inoltre messo in luce significative discontinuità nell’intorno di tempo che include gli anni immediatamente pre e post unificazione monetaria. A partire dal 2001, tuttavia, si sono registrate flessioni generalizzate, seppur contenute, degli indici di correlazione dinamica dell’Italia nei confronti delle maggiori economie dell’area euro. Ciò sembrerebbe portare a due principali conclusioni: da un lato, i risultati dell’esercizio di stima sembrerebbero confermare la tesi secondo cui, nell’intervallo di tempo considerato, larga parte della convergenza tra i cicli delle economie europee più sviluppate si era già realizzata prima degli anni dell’euro; dall’altro, l’attenuazione degli indici di correlazione dinamica osservata nel corso degli anni duemila porterebbe a diagnosticare una riduzione, per quanto contenuta, del grado di sincronia dell’economia italiana rispetto ai cicli economici prevalenti nelle economie dell’area euro. Anche l’analisi condotta sulla base degli specific cycles non ha trovato un riscontro favorevole per l’Italia. La correlazione dinamica tra i cicli specifici di Italia e Germania è risultata in progressiva diminuzione; verso la Spagna, l’indice di correlazione ha mostrato una forte erraticità dall’inizio del 2000 ed è risultato decrescente lungo tutto il decennio in corso. In generale, i risultati rispetto agli altri paesi dell’area euro hanno messo in luce una perdita di convergenza tra le componenti cicliche, con valori negativi degli indici di correlazione dinamica, nei confronti dell’Austria e dell’Olanda. Verso la Francia, in particolare tra il 2003 e il 2005, l’indicatore di correlazione dinamica ha toccato livelli particolarmente elevati, di poco inferiori a quelli ottenuti con riferimento alle componenti cicliche comprensive del common cycle. Nei trimestri successivi, tuttavia, l’indicatore è tornato fortemente negativo. Anche la sezione dedicata agli andamenti ciclici del comparto industriale italiano si apre con una descrizione dei caratteri delle fasi congiunturali italiane a confronto con - 247 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 quelli riscontrati negli analoghi settori dei paesi dell’area a moneta unica. Il focus sull’ultimo decennio ha evidenziato come l’insoddisfacente fase ciclica attraversata dal settore industriale italiano tra il 2001 e il 2005 possa essere interpretata in una chiave di maggiore ottimismo (debole crescita produttiva) se confrontata con gli andamenti di importanti settori industriali dell’eurozona (su tutti, quello tedesco), risultati, nello stesso periodo, nettamente più negativi. Ben più consistente e, nettamente sfavorevole, è risultato il divario dell’industria italiana rispetto ai paesi dell’area euro se valutato rispetto alle componenti di trend. Tra il primo trimestre del 2003 e il quarto del 2006, la perdita cumulata sarebbe stata di poco inferiore all’0,7%. Flessioni meno accentuate hanno interessato, nel corso degli anni 2000, le dinamiche di lungo termine del settore industriale in Francia, Olanda e Grecia. Nel capitolo, con riferimento ai settori industriali, si presentano stime sul grado di sincronia tra cicli economici misurata attraverso la dipendenza lineare tra la varianza degli indici di produzione settoriali relativi, rispettivamente, all’Italia e dell’area euro. Nel complesso, la varianza delle produzioni industriali italiane spiegata dalla relazione lineare con le corrispondenti componenti dell’area euro è risultata compresa tra il 20% e il 30%. In generale, la varianza in-phase ha spiegato la gran parte della varianza complessiva. Il comparto industriale italiano più strettamente accostato all’analogo settore dell’area euro è costituito dalle produzioni di apparecchiature meccaniche e di precisione. Queste produzioni hanno evidenziato anche il più elevato grado di sincronia con le corrispondenti dinamiche del settore UEM. Anche le produzioni di articoli in gomma e materie plastiche hanno evidenziato un elevato co-movimento con le dinamiche cicliche delle analoghe produzioni dell’area a moneta unica. Livelli di poco inferiori si sono registrati per il comparto del metallo e prodotti in metallo. I comparti con il minor grado di co-movimento rispetto agli analoghi settori dell’UEM sono rappresentati dalle produzioni di mezzi di trasporto, dall’industria della carta, stampa ed editoria e, soprattutto, dalle lavorazioni di metalli non metalliferi (un settore di tradizionale specializzazione della manifattura italiana); tra tutti i comparti considerati, quest’ultimo ha evidenziato il più basso indice di sincronia in-phase; l’industria delle pelli e delle calzature, inoltre, ha mostrato la più elevata misura della varianza out-ofphase. In media, i valori di explained variance relativi al comparto dell’industria in senso stretto e a quello della manifattura industriale sono caratterizzati da bassi livelli della varianza in-phase e da una misura di quella out-of-phase particolarmente elevata. Nella parte finale del capitolo ci si è posti nell’ottica di interpretare il ruolo giocato da diversi tipi di disturbi sulle fluttuazioni cicliche del comparto industriale italiano. In particolare l’obiettivo è stato quello di focalizzare le cause che hanno determinato le dinamiche del comparto industriale italiano in diversi periodi e di valutare eventuali cambiamenti intervenuti nella risposta dell’industria ai vari tipi di shock nel corso del - 248 - Il ciclo europeo negli anni dell’integrazione ... tempo. A tal fine nell’analisi svolta è stato valutato il contributo fornito, alla performance dell’industria italiana, sia di disturbi legati alle condizioni macroeconomiche prettamente interne proprie dell’Italia (shock di tipo tecnologico alla produzione industriale e al mercato del lavoro) sia di disturbi internazionali in grado di tener conto dell’interdipendenza dell’economia italiana dal resto del mondo (shock petroliferi, di competitività sul tasso di cambio reale e al commercio mondiale). L’analisi delle funzioni di risposta ad impulso nei sottocampioni 1975-90 e 1991-06, ha evidenziato l’importante ruolo svolto in entrambi i sottoperiodi considerati dagli shock al processo di integrazione (disturbi istituzionali che hanno contribuito all’approfondimento del processo di integrazione e globalizzazione delle economie), sulle dinamiche cicliche dell’industria. L’analisi della scomposizione della varianza ha mostrato inoltre che, mentre in passato le fluttuazioni risultavano causate prevalentemente da disturbi di offerta interni, negli anni recenti esse sembrerebbero determinate piuttosto da shock di domanda nazionali (nel mercato del lavoro). In entrambi i sottoperiodi, il processo di integrazione (e dunque lo scenario internazionale) sembra aver giocato un ruolo rilevante nella dinamiche della crescita della produzione industriale italiana. Tuttavia, il contributo dei disturbi al processo di integrazione in termini percentuali appare grosso modo uniforme in entrambi i sottoperiodi considerati. - 249 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Amisano, G. e C. Giannini, (1997), Topics in structural VAR econometrics; pp. xiii, 181, Second edition, Heidelberg and New York: Springer Artis, M., Krolzig, H.-M. e J. 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Questa forte e persistente concentrazione è sintomo di sclerosi del mercato del lavoro, di mancato funzionamento dei suoi meccanismi elementari, di segmentazione del mondo del lavoro tra chi ha un’occupazione altamente tutelata e chi è escluso da ogni prospettiva occupazionale, a volte in forma permanente…”1. Questa descrizione è ancora valida, negli stessi termini, a dieci anni di distanza? Le statistiche segnalano che, superata la boa della metà del decennio duemila, l’Italia è ancora in ritardo rispetto a gran parte dei partner europei in molti degli indicatori di partecipazione della popolazione alle forze di lavoro e di utilizzo della manodopera, continuando a evidenziare ampi squilibri di genere, età, territorio. Purtuttavia, i progressi compiuti nel volgere di un arco di tempo relativamente breve, a partire dalla metà del decennio novanta, sono stati rimarchevoli e, in una certa misura, inattesi: la percentuale dei disoccupati sulle forze di lavoro si è praticamente dimezzata (attestandosi da alcuni anni sotto la media europea), il tasso di occupazione è aumentato di circa sette punti percentuali, quello femminile di oltre nove, la quota di attivi sulla popolazione in età di lavoro si è incrementata di cinque punti. Anche la differenziazione geografica, per quanto ancora eccessiva per un mercato “nazionale”, ha mostrato segni di ridimensionamento: la distanza tra il tasso di disoccupazione del Mezzogiorno e quello dell’Italia pari a oltre nove punti percentuali dieci anni fa, oggi si attesta tra i cinque e i sei punti. 1 Il brano è tratto da un volume del Centro Studi Confindustria sulla disoccupazione italiana, curato da de Nardis e Galli (1997); valutazioni non molto dissimili circa le rigidità e le segmentazioni del mercato si ritrovano in gran parte della letteratura di quel periodo, si veda ad esempio l’importante studio di Ichino (1996). Per una panoramica ad ampio raggio sugli squilibri del lavoro nell’ Italia della metà degli anni novanta, cfr. Rossi (1997). - 251 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Alla base di questi risultati, su cui pochi scommettevano dieci-quindici anni fa, sono le modifiche apportate, a partire dai primi anni ottanta, nelle istituzioni del mercato del lavoro e, più in generale, nelle relazioni industriali che hanno giocato una parte importante nell’evoluzione della nostra economia. Tali cambiamenti hanno probabilmente contribuito a spostare la segmentazione “tra chi ha un’occupazione altamente tutelata e chi è escluso da ogni prospettiva occupazionale”, che veniva notata a metà degli anni novanta, verso un’altra forma di dualismo tra chi è occupato con un alto grado di tutela e chi, pur trovandosi ad accedere con maggiore facilità rispetto a prima a un’occupazione, affronta condizioni di insicurezza molto più acute dei lavoratori tutelati. Nondimeno, le modificazioni sono state rilevanti e piuttosto radicali, soprattutto tenuto conto del contesto di partenza caratterizzato da lavoro relativamente “caro” e “rigido”; le risultanze statistiche in termini di disoccupazione e dinamiche salariali suggeriscono la possibilità di cambiamenti di regime2. In questo capitolo si indaga, quindi, su tale questione. In particolare, si intende esaminare, seguendo un approccio macroeconomico, se - e, nel caso, quando - i mutamenti istituzionali si sono tradotti in episodi di rottura significativi delle relazioni fondamentali che legano salari/costi (reali) e occupazione, tanto dal lato di coloro (lavoratori) che “offrono” quanto di quello dei soggetti (imprese) che “domandano” lavoro. Nel paragrafo 4.2 vengono illustrate le innovazioni normative e contrattuali intervenute, a partire dai primi anni ottanta, negli schemi di determinazione delle retribuzioni e nelle modalità di impiego. Nel paragrafo 4.3 si verifica la possibilità che le modifiche istituzionali si siano accompagnate a discontinuità strutturali (vale a dire, a salti di regime) nei comportamenti degli operatori nel mercato del lavoro, facendo uso di una metodologia volta a individuare in modo endogeno gli episodi di cambiamento. Il paragrafo 4.4 è dedicato ad alcune considerazioni conclusive. 2 Sul possibile mutamento di regime occorso con le misure dirette a realizzare maggiore flessibilità e con la sopravvenuta moderazione salariale (nonché con specifici interventi di sussidio dell’occupazione nei primi anni duemila) si vedano le considerazioni contenute in Bertola e Garibaldi (2003). - 252 - Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano 4.2 CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI NEL MERCATO DEL LAVORO: IL MECCANISMO DI CONTRATTAZIONE COLLETTIVA E L’INTRODUZIONE DELLA FLESSIBILITÀ 4.2.1 Il sistema di contrattazione salariale Agli inizi degli anni 80, la situazione economica italiana si caratterizzava per la presenza di un’accentuata dinamica dei prezzi e per un tasso di disoccupazione in costante aumento. A ciò contribuiva un meccanismo di formazione delle retribuzioni che, da una lato, tendeva a mantenere in circolo e ad amplificare le tensioni inflazionistiche e, dall’altro, scoraggiava l’uso del fattore lavoro nei processi produttivi. Il sistema di determinazione dei salari si caratterizzava per due elementi principali. - L’esistenza di due livelli di contrattazione sovrapposti tra loro: i contratti nazionali settoriali (a frequenza triennale), la cui competenza si estendeva alla maggior parte degli ambiti della prestazione lavorativa; i contratti aziendali (a cadenza irregolare) presenti nelle imprese di maggiori dimensioni. La durata dei contratti collettivi era, sia per la parte normativa, sia per quella retributiva, pari a tre anni. - Un meccanismo di indicizzazione automatica dei salari ai prezzi: l’incremento delle retribuzioni dipendeva da quello del costo della vita dei tre mesi precedenti, tramite la corresponsione della cosiddetta indennità di contingenza. Dalla metà degli anni ‘70, tale meccanismo veniva modificato con la definizione tra le parti sociali del punto unico di contingenza (uguale per tutti i lavoratori); in tal modo si tutelavano maggiormente dall’inflazione i redditi più bassi3, per i quali si introduceva una copertura più che proporzionale rispetto all’inflazione, con una conseguente riduzione dei differenziali salariali. A partire già dai primi anni ottanta, il meccanismo della contingenza subisce un progressivo depotenziamento che avrebbe portato, dieci anni dopo alla sua completa cancellazione4. Il primo cambiamento si verifica il 22 gennaio 1983, nell’ambito del Protocollo d’Intesa sul Costo del Lavoro (noto anche come Accordo Scotti), che costituisce, fra l’altro, anche il primo rilevante esperimento di politica dei redditi; con esso, il sindacato accettava un taglio del grado di indicizzazione pari a circa quindici punti percentuali5. 3 Prima di allora, il meccanismo di adeguamento dei salari variava infatti secondo la qualifica. Erano state abolite tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ’70 le differenziazioni in base alla collocazione geografica, all’età e al sesso. 4 La discussione circa gli effetti di tali accordi nell’influire sulla riduzione dell’inflazione (effettiva e attesa) verificatasi a metà anni ottanta è controversa, essendo una parte del merito attribuibile anche alla forte stretta monetaria operata in quegli anni dalla Banca d’Italia; cfr. Brandolini et al. (2006) e Acocella (2005). - 253 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Un secondo intervento di politica dei redditi che ha significativamente inciso sul meccanismo di indicizzazione dato dal noto accordo di San Valentino (D L. del 14/2/ 1984 e la successiva legge del 12 Giugno 1984 n 219). Nell’ambito di un più ampio insieme di provvedimenti diretti al controllo dei prezzi e delle tariffe, il meccanismo della scala mobile veniva in quell’occasione sostanzialmente rallentato, attraverso la predeterminazione del numero degli scatti di contingenza6. Un’ulteriore modifica si concretizza nel 1986, a seguito della riforma che prevedeva una differenziazione degli importi delle indennità con un collegamento dei contratti collettivi, una diminuzione della frequenza di interventi e una conseguente, ulteriore discesa del grado di copertura medio. All’inizio degli anni novanta, in una fase particolarmente negativa per l’economia italiana, la struttura della contrattazione viene messa ulteriormente alla prova dall’accelerazione che investe il processo di integrazione europeo (il Consiglio Europeo di Maastricht era stato tenuto nel 1991, mentre la versione definitiva del Trattato che sanciva l’Unione monetaria avveniva nel 1992). Nella prospettiva della moneta unica, si evidenziava vieppiù l’inadeguatezza del sistema di contrattazione riguardo alla capacità far fronte agli shock macroeconomici (per via della rigidità delle retribuzioni reali) e alla possibilità di legare la dinamica salariale più strettamente all’andamento della produttività. Già nel 1991 un accordo tra Governo e parti sociali (cosidddetto tripartito) aveva sospeso l’operare della scala mobile, poi definitivamente abbandonata nel luglio 1992, quando un nuovo accordo “triangolare” abolisce del tutto il meccanismo di indicizzazione. Il nuovo sistema di contrattazione prende avvio con il Protocollo del 23 luglio del 1993. La nuova struttura della contrattazione che emerge dagli accordi mantiene i due livelli, istituendo però una maggiore specializzazione per ciascuno di essi (le rispettive competenze vanno a coprire istituti diversi). La durata diviene quadriennale per la parte normativa, biennale per quella economica. Il primo livello contrattuale si indirizza alla difesa del potere d’acquisto dei salari e al contenimento dell’inflazione. Il secondo - la contrattazione decentrata - è dedicato alla distribuzione, a livello di impresa, dei guadagni di produttività. L’obiettivo della salvaguardia del potere d’acquisto dei salari viene perseguito tramite un meccanismo di adeguamento ex post alla dinamica dei prezzi: la crescita delle retribuzioni viene collegata al tasso d’inflazione programmata dal Governo, con la 5 Brandolini et. al. (2006) pag 6. 6 Di fatto si sono fissati a due gli scatti di contingenza per i primi due trimestri dell’anno, quando l’andamento effettivo avrebbe portato a scatti di quattro punti. Per la descrizione delle vicende degloi anni 70 e 80 si veda Brunetta R. (1999) p. 421-p. 432. - 254 - Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano possibilità di recupero dei minimi contrattuali nel caso, sempre verificatosi, di un’inflazione effettiva superiore a quella prevista (salvo che lo sforamento fosse imputabile a perdite di ragioni di scambio)7. Con tale accordo, pertanto, oltre ad accrescere il livello di coordinamento tra i soggetti del mercato del lavoro e a contenere le aspettative di inflazione8, si volevano legare maggiormente i salari alla produttività, aumentare il grado di flessibilità delle retribuzioni e modificare la tendenza all’appiattimento dei differenziali salariali che aveva caratterizzato il precedente decennio. Per quel che riguarda gli effetti del cambiamento nella contrattazione sulla reattività del salario alla situazione del mercato del lavoro ci si attendeva, fra l’altro, un maggior coordinamento tra le richieste salariali delle parti9 e, di conseguenza, qualche ripercussione favorevole sul tasso di disoccupazione strutturale, allora stimato su livelli molto elevati10. Gli accordi del 1992/1993 avrebbero iniziato ad espletare i propri effetti sulla dinamica delle retribuzioni con i primi rinnovi contrattuali basati sul nuovo sistema; ciò avveniva con i round salariali del 199511. 4.2.2 La flessibilità del rapporto di lavoro in Italia: la regolazione normativa e quella contrattuale Alla riduzione delle pressioni salariali e dei costi di aggiustamento ha contribuito anche il modificato assetto istituzionale che, tra gli anni ottanta e novanta, ha introdotto elementi di flessibilità del rapporto di lavoro, agendo soprattutto in entrata e al margine della dinamica occupazionale (vale a dire, incidendo non sullo stock, mai sui flussi di nuova occupazione). In generale, non è stato cambiato (almeno sino al 2001, con il recepimento della direttiva sui contratti a termine) l’impianto generale delle regole basate sul contratto a tempo pieno e determinato. Si è agito, piuttosto, nel senso di estendere progressivamente le possibilità di deroga a tali fattispecie contrattuali12; un ruolo rilevante nell’introduzione di elementi di flessibilità è stato svolto, almeno dopo il 1993, anche dalla contrattazione. Nel periodo preso in esame, le prime modificazioni al quadro normativo sono intervenute nel biennio 1983/84. Con il già citato “Accordo Scotti” si decideva di 7 Tronti (2005). 8 Oltre a modifiche al meccanismo di indicizzazione dei salari ai prezzi il governo si impegnava a mantenere una politica tariffaria coerente con il Tasso d’Inflazione Programmata. 9 Si veda ad esempio Fabiani et al. (1998). 10 Esso veniva collocato, secondo diverse stime, tra l’11 e il 12%; cfr. ad esempio Malgarini e Paternò (1997). 11 Casadio et al. (2005) p. 192. 12 Sestito (2001) p. 201. - 255 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 regolare esplicitamente l’istituto del part-time, allo scopo di ampliare il ricorso a forme di occupazione allora poco diffuse. Tale Protocollo, assieme al patto di San Valentino, costituiva la base del testo normativo sul lavoro a tempo parziale (contenuto nel Decreto Legge 30.10.1984 n. 726 e convertito dalla Legge n. 863 del 1984), la cui disciplina, modificata poi più volte, riguarda attualmente una parte rilevante (circa un quarto) dell’occupazione dipendente femminile. Con la stessa legge, si introduceva nell’ordinamento il contratto di formazione lavoro caratterizzato sia dalla possibilità di rapporto di lavoro a termine, sia da sgravi contributivi, sia dall’opzione del sottoinquadramento13. La possibilità di apporre un termine al contratto di lavoro costituiva un’eccezione alla regola generale di divieto di utilizzazione di tale forma contrattuale. Nel 1991 si è sostanzialmente modificata la disciplina della cosiddetta flessibilità in uscita con la regolazione dei licenziamenti collettivi: la legge 223, colmando un vuoto legislativo in materia di riduzione della manodopera per motivi economici, introduceva l’istituto della mobilità che prevedeva, diversamente dalla Cassa Integrazione, l’interruzione del rapporto di lavoro e, in linea di principio cercava di confinare l’utilizzazione dell’istituto della “Cassa” ai casi in cui il rapporto di lavoro può effettivamente essere ristabilito14. Tale normativa, grazie alla possibilità di agganciare l’istituto della “mobilità lunga” ai pensionamenti, ha consentito, da un lato, di governare il mercato del lavoro nella pesante fase recessiva del 1992-94 e, dall’altro, di fare fronte, al di là delle esigenze connesse al ciclo economico, ai problemi cronici di esubero e di mismatch che contrassegnavano le aziende medio-grandi; essa è stata quindi ampiamente utilizzata nella profonda ristrutturazione industriale di quel periodo, facilitando una consistente riduzione di manodopera prolungatasi fino al 1995; contropartita del ridimensionamento occupazionale fu un peggioramento delle condizioni della finanza pubblica15. A partire dalla seconda metà degli anni ’90, il compito di introdurre elementi di flessibilità nel rapporto di lavoro, è toccato alla contrattazione (soprattutto aziendale) che avrebbe agito, secondo alcuni, “meglio e prima della normativa”16. Le maggiori novità 13 Sestito (2001) op. cit. p. 202. 14 Sestito (2001) op cit. p. 203. 15 Alla questione del ruolo dello stato nel favorire la ristrutturazione delle imprese (soprattutto medio grandi) nella prima metà degli anni novanta è stata dedicata un’intensa discussione in quel periodo. Alcuni osservatori sottolinenavano, all’epoca, come la regolazione del licenziamento collettivo, consentito dalla legge 223, rappresentasse un passo importante, ancorché parziale, verso la flessibilizzazione dei vincoli di licenziamnto (Bertola e Ichino, 1995). Secondo un altro punto di vista, quella modalità di intervento - in particolare, l’istituto della mobilità lunga finalizzato al raggiungimento dei requisti pensionistici da parte del lavoratore - costituiva un ulteriore esempio di “legislazione di emergenza”, diretta ad affrontare una difficile, ma specifica, fase di riorganizzazione con il consenso del sindacato (Ganoulis, 1997) - 256 - Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano hanno riguardato soprattutto la possibilità di apposizione di un termine al contratto e una maggiore flessibilità riguardo all’orario di lavoro. La legge 56 del 1987 infatti aveva stabilito che tali eccezioni potessero essere individuate anche in ambito contrattuale17 (prima erano prerogativa della sola normativa). I maggiori effetti sulla struttura dell’occupazione possono essersi verificati proprio a partire dal 1995 in quanto nella fase di ripresa successiva alla ristrutturazione industriale, la contrattazione del periodo ha consentito alle imprese di utilizzare forme di flessibilità del rapporto e di orario. Dalla metà del decennio novanta, si intensifica inoltre il ricorso da parte di imprese e, successivamente, Amministrazioni pubbliche alle cosiddette collaborazioni coordinate e continuative (altrimenti dette lavori para-subordinati): una figura contrattuale già esistente dagli anni settanta, che riceve, però, una rinnovata attenzione proprio nel 1995, in occasione dell’imposizione di un contributo previdenziale (del 10%) nell’ambito della riforma del sistema pensionistico adottata quell’anno; la diffusione di questa forma di impiego subisce poi un’ulteriore accelerazione tra la fine degli anni novanta e l’inizio di questo decennio in corrispondenza dell’innalzamento del peso, nei processi produttivi, delle varie modalità di impiego a termine. Un intervento normativo molto rilevante avviene con la legge Treu (96/1997) con il quale le istituzioni del mercato del lavoro vengono modificate sotto una pluralità di aspetti: si introduce la possibilità per le imprese di usufruire di lavoro temporaneo tramite agenzia (interinale), mentre vengono incentivati e rafforzati i rapporti di lavoro a finalità formative (apprendistato, tirocinio, borse di lavoro e Piani di Inserimento Professionale). Si conferma la destinazione dei contratti di lavoro flessibile verso i segmenti marginali della forza lavoro mentre la disciplina relativa ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato non viene modificata in modo sostanziale. La legge Treu, intervenendo sul piano sanzionatorio, modifica nel senso della riduzione dei vincoli anche il contratto a termine, la cui disciplina viene tuttavia completamente riformata con il cosidetto decreto dei 100 giorni (268/2001) che recepisce la direttiva europea del lavoro a termine: il contratto a termine non si configura più come un’eccezione ad un divieto di carattere generale; si può ricorrere ad esso qualora esistano “ragioni di carattere tecnico, produttivo e organizzativo”. In un mercato del lavoro dall’assetto istituzionale ormai profondamente modificato, nel 2003 prende corpo una nuova riforma, la legge Biagi, che interviene anch’essa in una pluralità di campi. Sotto l’aspetto dei rapporti di lavoro atipici, da un lato cerca di delimitare il ricorso alle collaborazioni coordinate all’effettivo svolgimento di un 16 Casadio et. al (2005). 17 In Casadio et al. “(2005) si afferma che “I contratti nazionali del periodo consentirono 1) di ampliare i tetti quantitativi del lavoro a termine; 2) Di estendere le motivazioni ammissibili ricorso a tali contratti (che includere di fatti anche i picchi produttivi) ; 3) di rimandare esplicitamente ai contratti aziendali. - 257 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 progetto e introduce il contratto di inserimento riformulando il CFL18 e destinandolo a un insieme di fasce definite deboli; dall’altro introduce una serie di figure contrattuali quali, il job on call o lavoro a chiamata (possibilità per l’impresa di stipulare con il lavoratore un contratto di lavoro che prevede che l’impresa paghi al lavoratore una indennità di disponibilità in cambio dell’impegno a rispondere in qualsiasi momento alla chiamata e a prestare la propria attività), lo staff leasing (possibilità, per apposite agenzie di fornire alle imprese interi reparti aziendali da impiegare a tempo indeterminato, piuttosto che singoli lavoratori), il lavoro ripartito (job sharing, per cui una singola prestazione di lavoro presso l’impresa può essere ripartita tra due o più lavoratori). Si tratta peraltro di tipologie che, nella fase iniziale di applicazione della normativa appaiono poco conosciute e scarsamente utilizzate dalla imprese19. 4.3 MODIFICHE STRUTTURALI NELLE RELAZIONI TRA SALARI E DISOCCUPAZIONE 4.3.1 Schema teorico di riferimento In che misura e con quali tempi le modificazioni sopra descritte nel sistema di formazione dei salari e nelle modalità d’impiego della manodopera hanno influito sul funzionamento del mercato del lavoro italiano? Per cercare di rispondere a questa domanda si deve disporre di un schema teorico che si presti alla verifica dell’esistenza di eventuali break strutturali nelle relazioni (di lungo periodo) che legano retribuzioni e disoccupazione. Si fa, in particolare, riferimento a un framework di concorrenza imperfetta tanto nel mercato dei fattori (del lavoro, in particolare), quanto in quello dei prodotti. La presenza, in entrambi i mercati, di vischiosità nominali e soprattutto di attori (imprese e lavoratori) dotati di un potere, più o meno forte, di fissazione delle remunerazioni e dei prezzi a livelli diversi da quelli che sarebbero necessari per eliminare gli squilibri, spinge ad allontanarsi da ipotesi (poco realistiche) che presuppongono meccanismi perfettamente competitivi. Ciò comporta che nel modello di riferimento non si considerino vere e proprie funzioni di offerta e di domanda di lavoro che implicherebbero flessibilità completa dei prezzi nei mercati dei fattori e del prodotto e un equilibrio pressoché continuo in entrambi. Seguendo la letteratura consolidatasi 18 La Commmissione europea aveva rilevato per alcuni aspetti una lesione dei principi di concorrenza (cfr. decisione dell’11.05.99 della Commissione europea (pubblicata in Gazzetta Ufficiale della Comunità europea del 15.02.2000) in merito alle agevolazioni contributive. 19 Si veda ad esempio ISAE (2006). - 258 - Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano nella seconda metà degli anni ‘8020, le relazioni fondamentali che descrivono le interazioni tra i soggetti che si incontrano e contrattano nel mercato del lavoro sono, invece, rappresentate rispettivamente un’equazione del salario (wage equation) e da una dei prezzi (price equation). La wage equation esprime il salario reale desiderato, per ogni livello di occupazione/disoccupazione e di altre variabili rilevanti, dai lavoratori (o wage setters); la price equation descrive il margine dei prezzi sul costo del lavoro - e, quindi, in modo simmetrico il costo reale del lavoro (o margine del costo sul prezzo dell’output) - fattibile per l’impresa, per ogni dato livello di occupazione/disoccupazione e di altre variabili rilevanti, coerentemente con il processo di massimizzazione del profitto in condizioni imperfettamente concorrenziali. Com’è noto, l’equazione del salario è l’analogo, in concorrenza imperfetta, di un’equazione di offerta di lavoro in un mercato perfettamente competitivo, così come l’equazione del prezzo corrisponde alla domanda di lavoro (si veda ad esempio Blanchard, 1997). Sulla base delle indicazioni della letteratura teorica ed empirica sull’argomento (oltre al lavoro di Layard, Nickell e Jackman citato, Nickell 1997, Hecq e Mahy 1997), le equazioni del salario e del prezzo qui considerate risultano descritte, rispettivamente, come segue: lwpt = µ + β1lut + β 2lprt + β 3limpt +ν t , (1) lcrt = µ + α1lut + α 2lprt + ε t , (2) Nella wage equation (eq. (1)), il logaritmo del salario reale, lwpt dipende negativamente dal logaritmo del tasso di disoccupazione lut (all’aumentare di quest’ultimo, si intensifica la concorrenza tra i wage setters e si riduce il loro potere di contrattazione), positivamente dal logaritmo della produttività del lavoro lprt (al crescere della produttività i lavoratori possono puntare su maggiori salari reali) e negativamente dalla ragione di scambio, qui approssimata dal logaritmo del deflatore delle importazioni di beni e servizi (al deteriorarsi della ragione di scambio col resto del mondo si riduce la possibilità di strappare incrementi salariali in termini reali). Nella price equation (eq. (2)), il logaritmo del costo del lavoro reale, lcrt, dipende positivamente tanto dal logaritmo del tasso di disoccupazione lut (all’aumentare di quest’ultimo, si riducono la domanda aggregata e il prodotto, diminuisce il mark up praticabile sui salari e quindi, simmetricamente, aumenta il margine del costo del lavoro sul prezzo dell’output dell’impresa), quanto dal logaritmo della produttività lprt (al crescere di quest’ultima, 20 Layard e Nickell (1996), Blanchard (1986). - 259 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 aumenta il costo reale che l’impresa è disposta a pagare)21. Nell’insieme, questo framework, per quanto semplificato, contiene le caratteristiche essenziali che consentono di indagare sull’esistenza di eventuali episodi di rottura (come diverrà più chiaro in seguito, veri e propri cambiamenti di regime) nelle relazioni fondamentali che hanno contraddistinto il funzionamento del mercato del lavoro italiano negli ultimi anni, considerando tanto il lato della cosiddetta pseudo-offerta di lavoro (salario desiderato dai lavoratori), quanto quello della pseudo-domanda di lavoro (costo del lavoro fattibile per l’impresa). 4.3.2 Verifica di cambiamenti strutturali nelle relazioni tra salari e disoccupazione in Italia Come discusso nel paragrafo 4.2, il mercato del lavoro italiano ha subito negli ultimi anni importanti modifiche negli assetti istituzionali che hanno investito le relazioni tra i principali attori che in esso operano. Alcuni studi hanno cercato di investigare su tali cambiamenti strutturali, concentrando l’attenzione principalmente su relazioni di tipo wage equation. Tra la letteratura che descrive, a livello macroeconomico, gli effetti dei grandi mutamenti istituzionali sul mercato del lavoro nel nostro paese si prende in esame in particolare quella relativa agli effetti del protocollo del 1992-9322. Quanto ai periodi precedenti, esiste un ampio di numero di lavori riguardanti la rigidità del salario reale nella seconda metà degli anni ‘7023. Un importante contributo alla definizione degli effetti dell’accordo del 1992-93 nella dinamica salariale è evidenziato in Casadio (2002) che ne enfatizza il ruolo nell’attenuazione della spirale salari prezzi per via della riduzione delle aspettative inflazionistiche e il conseguente determinarsi della moderazione salariale. In ambito di verifiche econometriche, Fabiani et. al (1998), stimano sulla base di dati trimestrali, una curva dei salari (più precisamente una curva di Phillips), effettuando un’analisi della stabilità dei parametri attraverso un test LM (nell’ipotesi nulla di costanza di parametri). Il test effettuato (Hansen, 1994) si limita a verificare la stabilità della relazione considerata, senza peraltro poter identificare la collocazione temporale 21 Nelle equazioni del salario e del prezzo - la 1) e la 2) - dovrebbero cartterizzarsi per la presenza nel lato sinistro dei valori attesi, rispettivamente, dei prezzi e del costo del lavoro, poiché i comportamenti dei wage setters (nel perseguire un salario reale desiderato) e dei price setters (nel determinare un mark-up “fattibile”) si basano su aspettative circa le variabili che non rientrano nella loro diretta capacità di influenza. Le due relazioni riportate nel testo implicano l’ipotesi di una coincidenza tra valori effettivi e attesi del prezzo dei beni e del costo del lavoro. 22 Data la natura del nostro lavoro, in questa sede non indagheremo sulla letteratura, a base microeconomica, di valutazione dei singoli provvedimenti normativi. 23 Per la quale si rimanda a Destefanis (2004). - 260 - Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano dell’eventuale break24; gli autori quindi impongono esogenamente sullo stesso modello la possibilità di una diversa modalità di aggiustamento dei salari ai prezzi per il periodo successivo al 1993 (coefficiente di aggiustamento dei salari all’inflazione), ponendo in evidenza il maggior ruolo svolto dall’inflazione programmata nella determinazione della dinamica salariale rispetto a quella corrente. L’elemento di valutazione di impatto degli accordi 1992-93 risulta da simulazioni controfattuali effettuate dagli stessi autori sul modello della Banca d’Italia (sul periodo 1993-97) secondo le quali l’inflazione sarebbe stata, in assenza di accordi, nel 1996 circa di 2-3 punti percentuali più elevata; sulla base di questa evidenza, dunque, i maggiori effetti sulla dinamica dei prezzi si sarebbero riscontrati qualche anno dopo la stipula dell’accordo di luglio. Un analogo test di stabilità di Hansen è stato eseguito da Destefanis et. al. (2004), i quali stimano un set di quindici equazioni dei salari su dati di contabilità nazionale per il periodo 1975-2002; salvo alcune eccezioni il test di stabilità non presenta, anche in questo caso, rilevanti break nell’equazione dei salari nel periodo considerato. Venendo alla stima della relazioni di lungo periodo, in particolare, Marcellino and Mizon (2001) studiano un modello di salari reali, inflazione, disoccupazione e PIL per l’Italia per il periodo 1970-1994 usando un metodo VAR cointegrato. Da un esame preliminare delle variabili considerate, emerge che il tasso di disoccupazione e la produttività del lavoro in Italia avrebbero subito un cambiamento strutturale intorno ai primi anni ottanta25. Sulla base di tale osservazione, i due autori “suddividono” l’arco di tempo analizzato in due periodi (1970-1979; 1980-1994) e stimano un VAR cointegrato per il mercato del lavoro. Rispetto a tale approccio, seguito tra l’altro anche da Binotti e Ghiani (2004) in uno studio su flessibilità salariale e curva di Phillips, il presente contributo si propone di identificare in modo endogeno (vale a dire non sulla base di valutazioni a priori) gli eventuali cambiamenti strutturali intervenuti nel mercato del lavoro italiano e di stimare le relazioni di lungo e di breve periodo delle equazioni di wage/price setting, tenendo conto di tali mutamenti. L’analisi si basa su una metodologia di singole equazioni proposta da Gregory e Hansen (1996) diretta a verificare, endogenamente, i cambiamenti nel livello (cioè, spostamenti “paralleli” a se stessi delle “curve”, senza che si modifichino le elasticità che le contraddistinguono) e nell’inclinazione (cioè, nel grado di influenza delle variabili “di destra” su quelle “di sinistra”) delle equazioni di lungo periodo di determinazione del salario e di formazione del prezzo26. E’ da notare che dei due tipi di modifica (nel livello e/o nella pendenza 24 Fabiani et. al. (1998). 25 Marcellino e Mizon (2001) usano le funzioni di autocorrelazione per stabilire cambiamenti strutturali nelle variabili del tasso di disoccupazione e del tasso di inflazione. L’andamento di tali funzioni è interpretato nel senso che i cambiamenti strutturali sembrano emergere agli inizi degli anni ottanta. - 261 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 delle relazioni), quello relativo all’inclinazione viene a caratterizzare un effettivo cambio di regime (o regime shift), comportando una modifica permanente, oltre che nel livello, nell’intensità di risposta delle variabili dipendenti (nel caso in esame, il salario e il costo reale del lavoro) a mutamenti di quelle indipendenti (cioè al tasso di disoccupazione e alla produttività nel caso della price equation, a questi stessi fenomeni e alla ragione di scambio nel caso della wage equation). L’analisi che segue si articola in quattro passi. Nel primo si applicano i test di radice unitaria, senza e con break, per verificare la non-stazionarietà delle singole variabili considerate; si investiga, poi, sulla presenza di cointegrazione, senza e con break, nelle equazioni dei salari e dei prezzi, utilizzando l’approccio Gregory-Hansen; successivamente, si stimano le relazioni di lungo periodo descritte da tali equazioni, tenendo conto delle eventuali discontinuità individuate in modo endogeno; in ultimo, si stimano le dinamiche di breve periodo, al fine di verificare se la presenza dei break nelle relazioni di lungo ha inciso sulla velocità di convergenza verso l’equilibrio (di lungo periodo) del modello. 4.3.3 Primo passo: test di radici unitarie, senza e con break Nel campione da noi considerato si utilizzano dati trimestrali per il periodo 1981(1)2005(4). Si sceglie di lavorare con dati grezzi, poiché le procedure di destagionalizzazione possono portare a espellere dal campione dati che hanno, invece, natura di break (Ghysels e Perron, 1996). Per quanto riguarda le variabili utilizzate, il salario reale è dato dal rapporto tra retribuzioni lorde per unità di lavoro dipendente e il deflatore dei consumi delle famiglie residenti (fonte: ISTAT, Contabilità Nazionale); il costo reale del lavoro è ottenuto come rapporto tra redditi da lavoro (che comprendono gli oneri sociali a carico dell’impresa) per unità di lavoro dipendente e il deflatore del valore aggiunto ai prezzi base (fonte: ISTAT, Contabilità Nazionale); la produttività è ottenuta dividendo il valore aggiunto ai prezzi base (nei valori concatenati con il 2000 come anno di riferimento), per le unità di lavoro totali (fonte: ISTAT). Il deflatore delle importazioni di beni e servizi e il tasso di disoccupazione, sono rispettivamente di fonte ISTAT e ISTAT-OCSE; per il tasso di disoccupazione ci si è avvalsi della ricostruzione operata dall’OCSE per gli anni antecedenti al 1993, per i quali non è ancora disponibile una elaborazione ufficiale ISTAT coerente con la nuova Indagine Trimestrale delle Forze di Lavoro. 26 Un’applicazione di questa metodologia per analizzare le modificazioni intercorse in alcune economie in transizione è stata effettuata da Golinelli e Orsi (2000). Al momento non sembra che nella letteratura siano ancora stati proposti modelli multivariati di cointegrazione che permettano di identificare endogenamente i cambiamenti strutturali sia nel livello sia nell’inclinazione. - 262 - Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano Nella tabella 1 sono riportati i valori delle statistiche utilizzate per verificare la presenza di stazionarietà nelle variabili. Il test Augmented Dickey-Fuller (ADF) indica che tutte le serie considerate sono nonstazionarie27. Il passo successivo consiste nel chiedersi se le variabili (espresse nei livelli), che appaiono nelle equazioni di wage/price setting, siano legate tra loro da relazioni di equilibrio lungo periodo. Tab. 1 AUGMENTED DICKEY-FULLER TEST Variabili Valori della statistica K lcr -1.371(0.593) 4 lwp -1.352(0.602) 4 lu -1.546(0.543) 4 lpr -1.667(0.439) 4 limp -2.135(0.312) 1 Nota: I valori della statistica test sono non significativi. K indica i ritardi nella regressione aumentata. In parentesi sono riportati i p-values. 4.3.4 Secondo passo: test di cointegrazione, senza e con break Per aversi cointegrazione è necessario che le variabili siano integrate dello stesso ordine (Engle e Granger, 1987)28. Una volta verificata la presenza di radici unitarie nelle singole variabili (non-stazionarietà), si può quindi procedere a investigare sull’esistenza di cointegrazione tra di essi, ovvero di una relazione di equilibrio nelle equazioni dei salari e dei prezzi. Come nella procedura di Engle-Granger (1987, EG), si stimano le equazioni (1) - (2) con il metodo dei minimi quadrati. Sui residui della stima vengono poi condotti dei test di radici unitarie per verificarne la stazionarietà. Nelle tabelle 2-3 si riportano i risultati del test ADF. Per entrambe le equazioni di wage e price setting, il test ADF indica non-stazionarietà dei residui e quindi assenza di cointegrazione. Tra le variabili considerate non sembra quindi esistere un legame stabile. Tuttavia, ciò non esclude la presenza di relazioni tra di esse una volta che si sia considerata l’eventualità di break nelle relazioni stesse. Poiché il mercato del lavoro italiano è stato, negli anni esaminati, caratterizzato da cambiamenti istituzionali, l’eventualità che l’assenza di cointegrazione sia dovuta a mutamenti strutturali deve essere ulteriormente indagata. A questo scopo, seguendo la metodologia Gregory-Hansen si stimano nuovamente le equazioni (1) - (2), modificandole con l’introduzione di un level e di un regime shift, e si 27 Risultati simili si ottengono anche con i test di Phillips e Perron (1988) e Elliott, Rothenberg e Stock (1996). Qui i risultati non vengono riportati per ragioni di spazio. Allo stesso modo si ottengono risultati di radici unitarie per le serie considerate con il test di Zivot e Andrews (1992). Anche in questo caso, i risultati non vegnono riportati per ragioni di spazio. 28 Nel nostro caso le variabili risultato integrate del primo ordine. - 263 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 procede a verificare la presenza di stazionarietà nei residui in tale specificazione. Per modellare i cambiamenti di livello e di regime, si definisce la seguente variabile dummy: 0 se t ≤ [nτ ] DU t = 1 se t > [nτ ] dove il parametro τ ∈(0,1) denota il momento nel tempo a partire dal quale si registra il cambiamento, mentre [] denota la parte intera. Per l’equazione del salario (la relazione (1)), si ha dunque: lwpt = µ1 + µ 2 DU t + α1lut + α 2lprt + α 3limpt + ν t , lwpt = µ1 + µ2 DU t + α1lut + γ 1lut DU t + α 2lprt + γ 2lprt DU t + α3limpt + γ 3limpt DU t +ν t , (3) (4) dove µ1 e µ2 indicano rispettivamente l’intercetta prima dello shift e il cambiamento dell’intercetta al tempo dello shift; α1 α 2 e α 3 sono i coefficienti della cointegrazione del salario reale con, rispettivamente, il tasso di disoccupazione, la produttività e il deflatore delle importazioni prima del cambiamento di regime; γ 1 γ 2 , e γ 3 costituiscono i coefficienti di queste stesse variabili modificate per tenere conto del mutamento di regime. Per l’equazione del prezzi (la relazione (2)) si ha: lcrt = µ1 + µ2 DU t + α1lut + α 2lprt + ε t , (5) lcrt = µ1 + µ2 DU t + α1lut + γ 1lut DU t + α 2lprt + γ 2lprt DU t + ε t , (6) dove i coefficienti sono interpretabili in modo analogo al caso precedente. Sempre nelle tabelle 2-3, si riportano i risultati del test ADF riferiti alle equazioni (3) - (6). Per il cambiamento sia di livello, sia di regime, il test ADF pone in luce, in effetti, la presenza di cointegrazione29, a indicare l’emergere di relazioni di lungo periodo nella wage e nella price equation, una volta che si controlla per i cambiamenti strutturali30. In particolare, l’evidenza empirica mostra che gli shift (di livello e di regime) nell’equazione del salario precedono cronologicamente quelli nell’equazione del 29 Simili risultati sono ottenuti anche con il test di Phillips ae Perron (1998). 30 La procedura di Gregory e Hansen (1996) considera anche i casi con time trend. Tuttavia,come evidenziato da Hall (1986), vi è almeno una ragione importante per escludere l’uso del trend nell’equazioni di prezzo e salario: l’esistenza di un incremento del salario reale è ampiamente associato con una crescita di lungo periodo nella produttività. - 264 - Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano prezzo, suggerendo che le modifiche strutturali nei comportamenti dei wage setters (descritti nella relazione che si è definita anche come una pseudo-offerta di lavoro) si sono manifestate prima di quelle attribuibili ai price setters (identificati nella pseudo domanda di lavoro). Le date dei break identificate dal test di Gregory-Hansen appaiono, dal punto di vista economico, significative se si tiene conto dei mutamenti di tipo istituzionale intervenuti nel periodo considerato e descritti nel paragrafo 4.2. La prima discontinuità si manifesta in occasione degli iniziali esperimenti di concertazione (politica dei redditi con inflazione programmata) e delle misure di depotenziamento dell’indicizzazione salariale (accordi Scotti e di San Valentino), nonché dell’introduzione di elementi di flessibilità del rapporto di lavoro “al margine”, nei primi anni ottanta e coinvolge l’equazione del salario (mutamento di regime nel IV trimestre del 1984). Successivamente, sembra che siano le riforme nei meccanismi di determinazione delle retribuzioni dei primi anni novanta (abolizione della scala mobile nel luglio del 1992 e Protocollo del luglio 1993) e l’introduzione di elementi di flessibilità a incidere tanto sulla relazione del salario (mutamento di livello a partire dal II trimestre del 1992), quanto (e soprattutto) su quella del prezzo (cambio di regime dal IV trimestre del 1994 e di livello dal II trimestre del 1996). Nello specifico, il “salto” indotto dalle modificazioni verificatesi all’inizio del decennio novanta - con il passaggio da un sistema di adeguamento dei salari di tipo backward looking (indotto dall’operare della scala mobile) a uno di tipo forward looking (basato sul tasso di inflazione programmato) e con una certa diffusione della contrattazione a livello aziendale delle forme di lavoro a tempo determinato e dell’uso flessibile dell’orario - potrebbe avere influito sul mutamento di regime dell’equazione del prezzo individuato alla fine del 1995, in occasione dei primi rinnovi contrattuali, realizzati in quell’anno, secondo il nuovo assetto di relazioni industriali. Nell’insieme sembrerebbe che gli episodi di rottura, che si individuano con la metodologia Gregory-Hansen, siano essenzialmente legati ai mutamenti introdotti nel lasso di tempo considerato nei meccanismi di formazione delle retribuzioni e nel grado di flessibilità consentito alle imprese per quanto riguarda rapporto e orario di lavoro. Tali modifiche hanno avuto un passaggio essenziale nella fine delle indicizzazioni. Tuttavia, in un contesto di concorrenza imperfetta, un ruolo rilevante dovrebbe essere stato svolto anche dal miglioramento del grado di coordinamento consentito dall’introduzione del tasso di inflazione programmata, che ha rappresentato, nel periodo antecedente l’adozione della moneta unica, un’importante ancora di riferimento nelle dinamiche tra le parti sociali. Accanto a ciò, la distinzione effettuata negli ambiti e nelle materie negoziali, a livello nazionale e aziendale, può avere ulteriormente contribuito alla diminuzione delle pressioni salariali (anche se gli effetti, in questo caso, potrebbero essere stati maggiormente distribuiti nel tempo). - 265 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 Tab. 2 TEST DI COINTEGRAZIONE. EQUAZIONE DEI SALARI Tb Test Valori della statistica EG -2.564 EG/T -2.747 C -5.652** 1993:2 C/S -6.427** 1984:4 Nota : EG e EG/T indicano il test di Engel e Granger rispettivamente con la costante e con la costante e trend. C e C/S indicano il test di Gregory e Hansen con level e regime shift. Tab. 3 Tb indica il “timing” del break. TEST DI COINTEGRAZIONE. EQUAZIONE DEL PREZZO Tb Variabili Valori della statistica EG -2.553 EG/T -2.728 C -5.642** 1996:2 C/S -6.456** 1995:4 Nota : EG e EG/T indicano il test di Engel e Granger rispettivamente con la costante e con la costante e trend. C e C/S indicano il test di Gregory e Hansen con level e regime shift. Tb indica il “timing” del break. 4.3.5 Terzo passo: stima delle relazioni di lungo periodo Una volta verificata la presenza di cointegrazione con cambiamenti strutturali, si procede alla stima delle relazioni di lungo periodo includendo i cambiamenti stessi (break). In un secondo momento, si stimano le dinamiche di breve periodo con un modello a correzione dell’errore. Nella stima di lungo periodo si deve, evidentemente, operare una scelta sul tipo di shift (di regime oppure “unicamente” di livello) da prendere in considerazione, non potendo incorporare nella stessa relazione due cambiamenti di intercetta (quello individuato dalla discontinuità del solo livello e quello che si accompagna al mutamento di regime). L’opzione va al modello più generale e flessibile, quello del regime shift - rappresentato dalle equazioni (4) e (6) -, perché esso consente di inglobare nelle relazioni da stimare tanto la variazione nell’interazione tra le variabili (cioè il mutamento di elasticità), quanto quella nell’intercetta31. Nelle tabelle 4-5 si riportano i risultati della stima per le equazioni di wage e price setting. 31 Le dummy di livello e di interazione si riferiscono in questo caso allo stesso punto nel tempo. - 266 - Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano Tab. 4 Variabile STIMA DI LUNGO PERIODO. EQUAZIONE DEI SALARI. VARIABILE DIPENDENTE: lwp Coefficienti Std. Error t-statistics Prob Costante 0.793 0.249 3.174 0.000 lu -0.108 0.106 -6.600 0.000 lpr 0.635 0.084 7.510 0.000 limp -0.737 0.159 -2.351 0.021 DU -6.303 2.524 2.249 0.014 luDU -0.217 0.061 -4.256 0.000 lprDU 0.704 0.861 -3.026 0.003 limpDU -0.338 0.167 -2.019 0.034 R2 0.938 R 2 ADJ 0.914 DW 2.022 Nota: la variabile DU indica la dummy di livello e le variabili luDU e lprDU indicano le dummy di interazione. Le dummy sono fissate al 1984:4. Tab. 5 Variabile STIMA DI LUNGO PERIODO. EQUAZIONE DEL PREZZO. VARIABILE DIPENDENTE: lcr Coefficienti Std. Error t-statistics Prob Costante 7.342 0.282 26.023 0.000 lu 0.105 0.009 11.006 0.000 lpr 0.737 0.137 5.391 0.000 DU -5.464 2.039 -2.679 0.009 luDU 0.333 0.142 2.348 0.021 lprDU 1.830 0.753 2.431 0.017 R2 R 2 ADJ DW 0.931 0.913 2.064 Nota: la variabile DU indica la dummy di livello e le variabili luDU e lprDU indicano le dummy di interazione. Le dummy sono fissate al 1995:4. Per entrambe le equazioni i modelli stimati mostrano la significatività statistica di tutte le variabili considerate che influenzano, rispettivamente, salario reale e costo (reale) del lavoro secondo la direzione attesa. Di notevole rilievo sono, evidentemente, i mutamenti di regime che si riscontano nelle due relazioni. Per quel che concerne la wage equation la stima dell’intensità di risposta dei salari reali alla disoccupazione praticamente raddoppia tra il periodo che precede e quello che segue il IV trimestre del 1984, epoca in cui è stato individuato il salto di regime: l’elasticità stimata tra le due variabili, misurata lungo la curva della pseudo-offerta di lavoro, passa infatti da un valore di -0,108 - sostanzialmente in linea con le valutazioni di altri studi condotti su - 267 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 diversi paesi industriali32 - a uno di -0,217 (cfr. i coefficienti associati rispettivamente alle variabili lu e luDU). Il mutamento di regime è, invece, quantitativamente meno rilevante (ma pur sempre statisticamente significativo) per quanto riguarda l’influenza della produttività sul salario desiderato (il coefficiente che moltiplica la variabile lprDU è solo marginalmente superiore a quello associato alla variabile lpr), mentre opera nel senso di una riduzione (del valore assoluto) dell’elasticità con riferimento all’incidenza delle variazioni delle ragioni di scambio (cfr. i coefficienti di limp e limpDU). Anche dal lato dell’equazione del prezzo si evidenziano modificazioni di rilievo. Come sopra ricordato, questa relazione è interessata da un regime shift in un periodo successivo a quanto osservato per la wage equation; esso si verifica nel IV trimestre del 1995 presumibilmente a seguito della completa cancellazione della scala mobile e della riforma del sistema di contrattazione avvenute tra l’estate del 1992 e quella del 1993. Nel caso della price equation, l’elasticità del costo reale del lavoro alla disoccupazione, lungo la curva della cosiddetta pseudo-domanda di lavoro, tende a triplicare tra il periodo precedente e quello susseguente l’ultimo trimestre del 1995 (la stima passa da un valore 0,105 a uno di 0,333). Accanto a ciò, è interessante notare che il mutamento di regime coinvolge pure un aumento della “sensibilità” del costo del lavoro a variazioni della produttività; un effetto da interpretare con cautela che potrebbe essere in parte connesso anche con la “specializzazione” del secondo livello di contrattazione introdotta dalle riforme delle relazioni industriali dei primi anni novanta. Nell’insieme, queste stime sembrerebbero indicare che i break di regime, individuati nell’analisi di cointegrazione, hanno comportato un effettivo innalzamento della elasticità complessiva del mercato del lavoro italiano, con un conseguente ridimensionamento dello squilibrio strutturale che ne caratterizzava il funzionamento negli anni in cui il lavoro risultava “caro” e “rigido”. In particolare, gli incrementi, verificatisi in fasi temporali diverse, del grado di reattività alle variazioni dell’occupazione da parte tanto del salario reale (perseguito dai lavoratori), quanto del costo reale del lavoro (fattibile per le imprese) suggeriscono l’avverarsi, tra la metà degli anni ottanta e la metà degli anni novanta, di un sostanziale abbattimento del tasso di disoccupazione di equilibrio della nostra economia. Di questo ridimensionamento non “ci si rende conto” nel momento in cui avviene33, poiché le conseguenze cominciano emergere solo nella successiva fase di accelerazione dell’attività economica a partire dalla metà degli anni novanta, quando il tasso di disoccupazione “osservato” prende a 32 La stima è prossima a quelle proposte da Blanchflower e Oswald (1994) per diverse economie industriali e da Estevao e Nigar (2002), sulla base di micro-dati, per la Francia. 33 Si vedano le valutazioni pessimistiche, ricordate nell’introduzione al capitolo, circa le rigidità del mercato del lavoro e la disoccupazione strutturale italiana avanzate a metà degli anni novanta. - 268 - Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano scendere in modo graduale, ma pressoché continuo, verso valori storicamente bassi per gli standard italiani, senza che si innestino processi di rafforzamento delle dinamiche retributive: un fenomeno che “rivelerebbe” indirettamente l’avvenuto abbassamento della disoccupazione strutturale. 4.3.6 Quarto passo: stima delle dinamiche di breve periodo Nella precedente sezione sono stati discussi i risultati della stima di lungo periodo una volta considerata la presenza di cambiamenti strutturali. Un’analisi di breve periodo implica la specificazione di un modello a correzione dell’errore per le variabili di interesse. Le equazioni 1-2 vengono riparametrizzate, considerando il termine a correzione dell’errore (ECM): ∆lwpt = µ1 + Σ φ1 ∆lwpt −i + Σ φ2 ∆lut −i + Σ φ3 ∆lprt −i + Σ φ4 ∆ lim pt −i + δνˆt (7) ∆lcrt = µ1 + Σ φ1' ∆lcrt −i + Σ φ2' ∆lut −i + Σ φ3' ∆lprt −i + θεˆt (8) i i i i i i i dove νˆt e εˆ indicano i termini a correzione dell’errore derivanti dalla stima delle equazioni di lungo periodo. Nelle tabelle 6-7 sono riportati i risultati delle stime. E’ importate notare come i termini a correzione dell’errore risultino statisticamente Tab. 6 STIMA DELLA DINAMICA DI BREVE PERIODO. EQUAZIONE DEI SALARI VARIABILE DIPENDENTE: ∆ lwp Variabile Coefficienti Std. Error t-statistics Prob Costante 0.001 0.001 1.000 0.257 ∆ lwp t −1 0.635 0.081 7.816 0.000 ∆ lu t − 4 -0.087 0.013 -6.919 0.000 ∆ lp rt − 4 -5.585 0.007 -8.863 0.000 ∆ lim pt −1 -0.266 0.013 -2.059 0.042 νˆt − 4 0.025 0.012 2.111 0.033 R 0.691 R 2ADJ 0.662 DW 2.002 - 269 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 significativi in entrambi i casi. L’evidenza di lungo periodo ha mostrato che le relazioni di wage e price equation si sono mosse in un regime che implica una disoccupazione di equilibrio più bassa, a seguito dell’aumento delle elasticità di salario e costo reale alla disoccupazione. Però, ciò non implica un aumento delle velocità di aggiustamento delle relazioni al nuovo regime. Anzi, le relazioni di lungo periodo, incorporando i cambiamenti strutturali, sembrano necessitare di un tempo considerevole per riportarsi al nuovo equilibrio, come si evince dal basso valore del coefficiente a correzione dell’errore. Tab. 7 STIMA DELLA DINAMICA DI BREVE PERIODO. EQUAZIONE DEL PREZZO VARIABILE DIPENDENTE: ∆ lcr Variabile Coefficienti Std. Error t-statistics Prob Costante 0.150 0.001 10.267 0.00 ∆ lc rt − 1 0.760 0.068 11.026 0.000 ∆lcrt − 4 -0.238 0.073 3.276 0.001 ∆lut −1 0.031 0.014 2.161 0.010 ∆ l prt −3 -0.279 0.105 -2.644 0.009 ∆ l prt − 4 0.365 0.101 3.593 0.000 εˆt − 4 -0.066 0.011 6.000 0.000 R2 0.691 R 2ADJ 0.662 DW 2.002 - 270 - Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano 4.4 CONCLUSIONI L’analisi presentata in questo capitolo indica che il mercato del lavoro italiano è stato interessato, a partire dagli anni ottanta, da rilevanti discontinuità di comportamento tanto dal lato dell’offerta quanto da quello della domanda. Tali mutamenti si sono sostanziati in un apprezzabile innalzamento delle elasticità del salario e del costo reale del lavoro a variazioni del tasso di disoccupazione, rispettivamente nelle equazioni di wage e price setting: l’aumento nel grado di reattività dei soggetti del mercato del lavoro a squilibri occupazionali va nella direzione di una diminuzione della disoccupazione strutturale italiana. Quando si sarebbero verificati questi mutamenti? L’evidenza proposta li colloca relativamente indietro nel tempo, a metà degli anni ottanta per quanto riguarda la wage equation, a metà anni novanta per quel che concerne la price equation. Le conseguenze dell’abbassamento del tasso di disoccupazione di equilibrio hanno, però, potuto emergere solo successivamente, quando, in connessione con l’accelerazione dell’attività economica a partire dalla metà degli anni novanta, la disoccupazione ha preso a scendere in modo pressoché continuo - fino ad attestarsi, secondo i dati più recenti, sotto la soglia del 7%, da circa il 12% di dieci anni prima -, senza che ciò comportasse un surriscaldamento della dinamica retributiva: un’indicazione indiretta, ma alquanto esplicativa, del ridimensionamento intervenuto nella disoccupazione strutturale della nostra economia. Quali innovazioni istituzionali avrebbero prodotto una simile modifica? In un mercato del lavoro altamente regolamentato e irrigidito come quello che caratterizzava l’Italia alla fine del decennio settanta e nei primi anni ottanta, anche cambiamenti inizialmente limitati e “al margine” hanno probabilmente indotto rilevanti ripercussioni strutturali. Osservando le date dei salti di regime individuati con i test econometrici (la fine del 1984 per l’equazione del salario e la fine del 1995 per quella dei prezzi) e le riforme negli assetti normativi e di contrattazione intervenute in tali periodi sembrerebbe di poter dire che le relazioni fondamentali del mercato del lavoro siano state investite da due principali ondate di “deregolamentazione”34, aventi per oggetto tanto i meccanismi di formazione del salario, quanto gli aspetti di regolazione del rapporto e dell’orario di lavoro. La prima si esplicita, all’inizio degli anni ottanta, con l’avvio di un significativo depotenziamento del meccanismo di indicizzazione delle retribuzioni e con l’inaugurazione di esperimenti di concertazione (politica dei redditi e tasso di inflazione programmata); essa modifica, secondo l’evidenza empirica, l’elasticità del salario reale alla disoccupazione sul lato dell’offerta del lavoro (equazione di wage setting). La 34 Per una simile linea interpretativa, si veda anche Rodriguez e Russo (2006). - 271 - Rapporto ISAE: Le previsioni per l’economia italiana - marzo 2007 seconda ondata si concretizza con gli accordi intervenuti tra l’estate del 1992 (abolizione della scala mobile) e quella del 1993 (Protocollo di luglio) e comporta un “perfezionamento” dell’esperienza di coordinamento delle richieste salariali di imprese e lavoratori (grazie all’ancora efficace, prima che intervenisse l’euro e la BCE, dell’inflazione programmata), nonché l’introduzione di importanti elementi di flessibilità attraverso la strada della contrattazione; essa sembra riguardare soprattutto l’elasticità del costo (reale) del lavoro alla disoccupazione sul lato della domanda (equazione di price setting). La discussione delle evidenze empiriche di questo capitolo richiede, infine, due ulteriori qualificazioni. La prima riguarda il fatto che la metodologia che si è impiegata mira a individuare cambiamenti discreti (vale a dire, non graduali) nei modi di operare dei soggetti del mercato del lavoro; essa, inoltre, non può (ovviamente) identificare break multipli di regime in ciascuna relazione esaminata. Ciò significa che i risultati ottenuti non implicano una “svalutazione” delle misure di riforma del mercato del lavoro realizzate negli anni successivi ai regime shift qui rilevati: esse sono andate, con ogni probabilità, nella stessa direzione degli interventi che, all’inizio dei decenni ottanta e novanta, sembrano avere comportato, sulla base delle verifiche empiriche, “salti” permanenti nei comportamenti adottati degli operatori rispetto alla storia precedente. La seconda qualificazione concerne l’anomala (e sorprendente) esperienza dell’Italia degli anni recenti di aumento occupazionale in un contesto di crescita economica molto modesta. L’analisi presentata nel capitolo segnala un aumento di flessibilità (indicata dall’innalzamento delle elasticità) e un conseguente abbassamento della disoccupazione strutturale. Questi elementi non aiutano, di per se, a spiegare il fenomeno di growthless job creation degli anni duemila; un’evoluzione che rimanda, piuttosto, a un’apparente modifica dell’economia italiana da un sistema ad alta intensità di capitale (quale quella che si osservava fino agli anni ottanta) in uno che fa un uso più intensivo di manodopera (con ripercussioni avverse sulla produttività). La crescita della flessibilità, in senso lato, può contribuire a dare conto di questo cambiamento nella misura in cui ha significato anche un abbattimento dei costi impliciti connessi alla legislazione di protezioene del lavoro35, modificando per un certo periodo, unitamente ai minori costi espliciti derivanti dalla moderazione salariale, la convenienza relativa del fattore lavoro rispetto agli altri input produttivi. 35 Per una stima della riduzione dei costi impliciti nel settore meccanico indotti dai lavori di natura temporanea si vedano le valutazioni, realizzate sulla base delle informazioni fornite dall’utilizzo dei sussidi all’assunzione di lavoratori a tempo indeterminato vigenti all’inizio degli anni duemila, condotte da Cipollone e Guelfi (2006). - 272 - Modifiche istituzionali e trasformazioni strutturali nel mercato del lavoro italiano RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Acocella N. (2006). “Fondamenti di Politica Economica” Carocci editore. Bertola, G. e Ichino, A. 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