ISSN 2038-2839 Editor in chief Giorgio Lambertenghi Deliliers Anno 7 Numero 3 2010 Seminari di Ematologia Oncologica NEL PROSSIMO NUMERO LINFOMI AGGRESSIVI Meccanismi patogenetici • LNH a grandi cellule • LNH mantellare • LNH linfoblastico • LNH T periferici • Leucemia linfatica cronica EDIZIONI INTERNAZIONALI srl Edizioni Medico Scientifiche - Pavia Leucemia linfatica cronica Eziopatogenesi, diagnosi e clinica 5 Vol. 7 - n. 3 - 2010 Editor in Chief Giorgio Lambertenghi Deliliers ANTONIO CUNEO, GIAN MATTEO RIGOLIN, SARA MARTINELLI, LUCA FORMIGARO, GIANLUIGI CASTOLDI Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano Editorial Board Sergio Amadori Università degli Studi Tor Vergata, Roma Fattori prognostici 21 Mario Boccadoro Università degli Studi, Torino Alberto Bosi ACHILLE AMBROSETTI, ILARIA NICHELE, GIOVANNI PIZZOLO Università degli Studi, Firenze Federico Caligaris Cappio Università Vita e Salute, Istituto San Raffaele, Milano Antonio Cuneo Università degli Studi, Ferrara Linfocitosi B monoclonale 39 Marco Gobbi Università degli Studi, Genova Mario Petrini Università degli Studi, Pisa LYDIA SCARFÒ, PAOLO GHIA Giovanni Pizzolo Università degli Studi, Verona Giorgina Specchia Università degli Studi, Bari Sindrome di Richter 59 Registrazione Trib. di Milano n. 532 del 6 settembre 2007 MARCO FANGAZIO, DAVIDE ROSSI, GIANLUCA GAIDANO Terapie innovative ROBIN FOÀ, ILARIA DEL GIUDICE, FRANCESCA R. MAURO Direttore Responsabile Paolo E. Zoncada 73 Edizioni Internazionali srl Divisione EDIMES Edizioni Medico-Scientifiche - Pavia Via Riviera, 39 - 27100 Pavia Tel. +39 0382 526253 r.a. - Fax +39 0382 423120 E-mail: [email protected] Seminari 2 Periodicità Quadrimestrale Scopi Seminari di Ematologia Oncologica è un periodico di aggiornamento che nasce come servizio per i medici con l’intenzione di rendere più facilmente e rapidamente disponibili informazioni su argomenti pertinenti l’ematologia oncologica. Lo scopo della rivista è quello di assistere il lettore fornendogli in maniera esaustiva: a) opinioni di esperti qualificati sui più recenti progressi in forma chiara, aggiornata e concisa; b) revisioni critiche di argomenti di grande rilevanza pertinenti gli interessi culturali degli specialisti interessati; NORME REDAZIONALI 1) Il testo dell’articolo deve essere editato utilizzando il programma Microsoft Word per Windows o Macintosh. Agli AA. è riservata la correzione ed il rinvio (entro e non oltre 5 gg. dal ricevimento) delle sole prime bozze del lavoro. 2) L’Autore è tenuto ad ottenere l’autorizzazione di «Copyright» qualora riproduca nel testo tabelle, figure, microfotografie od altro materiale iconografico già pubblicato altrove. Tale materiale illustrativo dovrà essere riprodotto con la dicitura «per concessione di …» seguito dalla citazione della fonte di provenienza. 3) Il manoscritto dovrebbe seguire nelle linee generali la seguente traccia: Titolo Conciso, ma informativo ed esauriente. Nome, Cognome degli AA., Istituzione di appartenenza senza abbreviazioni. Nome, Cognome, Foto a colori, Indirizzo, Telefono, Fax, E-mail del 1° Autore cui andrà indirizzata la corrispondenza. Introduzione Concisa ed essenziale, comunque tale da rendere in maniera chiara ed esaustiva lo scopo dell’articolo. Parole chiave Si richiedono 3/5 parole. Corpo dell’articolo Il contenuto non deve essere inferiore alle 30 cartelle dattiloscritte (2.000 battute cad.) compresa la bibliografia e dovrà rendere lo stato dell’arte aggiornato dell’argomento trattato. L’articolo deve essere corredato di illustrazioni/fotografie, possibilmente a colori, in file ad alta risoluzione (salvati in formato .tif, .eps, .jpg). Le citazioni bibliografiche nel testo devono essere essenziali, ma aggiornate (non con i nomi degli AA. ma con la numerazione corrispondente alle voci della bibliografia), dovranno essere numerate con il numero arabo (1) secondo l’ordine di comparsa nel testo e comunque in numero non superiore a 100÷120. di Ematologia Oncologica Periodico di aggiornamento sulla clinica e terapia delle emopatie neoplastiche Bibliografia Per lo stile nella stesura seguire le seguenti indicazioni o consultare il sito “International Committee of Medical Journal Editors Uniform Requirements for Manuscripts Submitted to Biomedical Journals: Sample References”. Es. 1 - Articolo standard 1. Bianchi AG, Rossi EV. Immunologic effect of donor lymphocytes in bone marrow transplantation. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7. Es. 2 - Articolo con più di 6 autori (dopo il 6° autore et al.) 1. Bianchi AG, Rossi EV, Rose ME, Huerbin MB, Melick J, Marion DW, et al. Immunologic effect of donor lymphocytes in bone marrow transplantation. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7. Es. 3 - Letter 1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes [Letter]. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7. Es. 4 - Capitoli di libri 1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes. In: Caplan RS, Vigna AB, editors. Immunology. Milano: MacGraw-Hill; 2002; p. 93-113. Es. 5 - Abstract congressi (non più di 6 autori) 1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes in bone marrow transplantation [Abstract]. Haematologica. 2002; 19: (Suppl. 1): S178. Ringraziamenti Riguarda persone e/o gruppi che, pur non avendo dignità di AA., meritano comunque di essere citati per il loro apporto alla realizzazione dell’articolo. Edizioni Internazionali Srl Divisione EDIMES EDIZIONI MEDICO SCIENTIFICHE - PAVIA Via Riviera, 39 • 27100 Pavia Tel. 0382526253 r.a. • Fax 0382423120 E-mail: [email protected] 3 Editoriale GIORGIO LAMBERTENGHI DELILIERS Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano Seminari di Ematologia Oncologica dedica questo ultimo numero dell’annata 2010 alla leucemia linfatica cronica, ritenuta la neoplasia emopoietica più comunemente osservata nel mondo occidentale, con un’incidenza che tende ad incrementarsi per l’aumento dell’aspettativa mediana di vita della popolazione. Le conoscenze patogenetiche moderne hanno modificato il concetto di disordine indolente da accumulo dei piccoli linfociti, e riconosciuto nella storia naturale della malattia la cosiddetta linfocitosi B monoclonale, condizione preleucemica o in alternativa espressione di una stimolazione cronica oligoclonale legata all’invecchiamento. La leucemia linfatica cronica viene oggi ritenuta una malattia dinamica, legata ad una complessa serie di eventi che si esprimono con modificazioni del profilo antigenico, citogenetico e molecolare, facilmente identificabili con le tecnologie in uso nei laboratori ematologici. Questa variabilità biologica si correla al decorso eterogeneo tipico della malattia, con pazienti che non richiedono per decenni alcun trattamento, mentre altri hanno una breve spettanza di vita. Da qui l’esigenza di formulare alla diagnosi una previsione sul futuro, basandosi sul rilievo di marcatori biologici, alcuni dei quali sono già entrati nell’uso clinico comune, mentre altri più numerosi aspettano conferme da studi in corso. La conoscenza di questi predittori è oggi un utile complemento alla tradizionale stadiazione clinicoematologica che rimane ancora fondamentale, al fine di riconoscere precocemente i pazienti che sono a rischio di rapida progressione o di trasformazione in sindrome di Richter. I recenti progressi nella comprensione dei meccanismi che governano la storia naturale della leucemia linfatica cronica si sono tradotti nello sviluppo di nuovi agenti biologici, di più potenti anticorpi monoclonali e di strategie immunoterapiche o vaccinali. Gli studi in corso dovranno valutarne il profilo tossicologico e il reale potenziale curativo su una malattia, come la leucemia linfatica cronica, non eradicabile con la terapia convenzionale e frequentemente caratterizzata dall’insorgenza di una condizione di refrattarietà. 5 Eziopatogenesi, diagnosi e clinica ANTONIO CUNEO, GIAN MATTEO RIGOLIN, SARA MARTINELLI, LUCA FORMIGARO, GIANLUIGI CASTOLDI Antonio Cuneo Sezione di Ematologia, Dipartimento di Scienze Biomediche e Terapie Avanzate, Università degli Studi di Ferrara n INTRODUZIONE La leucemia linfatica cronica (LLC) è un disordine linfoproliferativo cronico che coinvolge i linfociti B CD5-positivi e che rientra tra le neoplasie a cellule B-mature della classificazione WHO (1). È più frequente nei maschi che nelle femmine (1,52,0/1), ed ha un’incidenza nei paesi occidentali, riferita a 100.000 abitanti, compresa tra 2-6 casi/anno, mentre è rara in Giappone e nei paesi orientali, ove l’incidenza è <1 caso/100.000 abitanti (2) (Figura 1a). L’età media alla diagnosi è attorno ai 70 anni, e l’incidenza aumenta da 1 caso/anno/100.000 abitanti nella fascia 40-50 anni a 20 casi nella fascia 70-80 anni. Oltre il 40% delle LLC è diagnosticata ad un’età >75 anni, mentre meno del 10% è diagnosticata prima dei 50 anni (3) (Figura 1b). n EZIOLOGIA L’eziologia della LLC non è nota. Non può essere escluso un ruolo per le radiazioni ionizzanti (4), Parole chiave: leucemia linfatica cronica, patogenesi, lesioni citogenetico-molecolari, diagnosi, evoluzione Indirizzo per la corrispondenza Prof. Antonio Cuneo Istituto di Ematologia Azienda Ospedale, Università S. Anna C.so GIovecca, 203 - 44121 Ferrara E-mail: [email protected] anche se lo studio della popolazione sopravvissuta all’incidente nucleare di Chernobyl ha mostrato un aumento di incidenza di molte forme di leucemia, ma non di LLC (5). Alcune attività agricole, con particolare riguardo all’impiego di pesticidi, si possono associare ad un aumento dei casi (6). Vi è evidenza di una possibile associazione con i fattori genetici. La LLC ha un’incidenza bassa nelle popolazioni orientali rispetto agli occidentali e i gruppi etnici che migrano in altri paesi mantengono l’incidenza di questa malattia al livello di quella del paese di provenienza. Nei parenti di primo grado di soggetti affetti da LLC il rischio di sviluppo della malattia o di altre sindromi linfoproliferative (linfoma di Hodgkin e non-Hodgkin) è superiore rispetto a quello della popolazione generale di pari età e sesso (7, 8) e si possono rinvenire espansioni di piccoli cloni B linfocitari con il fenotipo classico della LLC e negatività per CD38, con una frequenza francamente maggiore rispetto alla popolazione generale (9). In un’analisi di 24 famiglie con più di due membri affetti si è potuto documentare, accanto alle classiche anomalie citogenetiche, una elevata frequenza di delezioni o guadagno di materiale genetico a livello delle bande Xp11.1-p21, Xq21-qter, 2p12-14 e 4q11-21 (10). È possibile che, diversamente dal cancro mammario, ove un gene (BRCA1) ha un importantissimo effetto, il substrato genetico della LLC consista nell’intervento di più geni con basso potenziale predisponente (11). Seminari di Ematologia Oncologica a) incidenza nei diversi paesi Uomini Donne Tasso di incidenza per 100.000 6 5 4 3 2 1 Au str ali a IrlaUSA nd Sv Ital a iz ia Ca zera n Fr ada an Au cia s DaR. C tria nim ec a Re Sp arca gn ag o Ge Unna rm ito Po ani l a Pa S onia es vez i B ia Co Br assi sta asi Gi R le ap ic po a ne Ec Cin ua a do r 0 b) incidenza per età 35 31 Tasso di incidenza per 100.000 30 25,6 25 21,9 20 18,4 14,3 15 9 10 6,3 3,7 5 0 0 0 0 0 0 0,7 0 0,3 1,8 0 04 510 9 15 14 20 19 -2 25 4 -2 30 9 35 34 -3 40 9 -4 45 4 50 49 55 54 -5 60 9 65 64 -6 70 9 75 74 -7 80 9 -8 4 85 + 6 Classi di età (anni) FIGURA 1 - Incidenza della LLC. (a) Tassi standardizzati per età. (b) Tassi età-specifici (2, 3). n PATOGENESI La patogenesi della LLC riconosce numerosi momenti (Tabella 1), incentrati sulle particolarità della cellula d’origine, sulle sue interazioni con ipotetici antigeni e con il microambiente e sullo sviluppo di una vasta gamma di lesioni genetiche. Cellule d’origine Si ritiene che la LLC derivi dalla trasformazione di un linfocito B, esprimente l’antigene CD5, corrispondente alla popolazione B-1, presente nella cavità peritoneale del topo, che mostra la capacità di produrre anticorpi naturali, mediante una reazione T-indipendente (12). L’analogo umano di questa sottopopolazione non è stato identificato con certezza. È stata proposta l’origine da un linfocito B CD5+ della zona mantellare (13), o da un linfocito della zona marginale che esprime il CD5, normalmente assente in questa sede, in seguito allo stato di attivazione del linfocito leucemico. I linfociti della LLC esprimono un BCR che presenta analogie strutturali con gli anticorpi che reagiscono contro autoantigeni ed antigeni polisaccaridici batterici, al pari dei linfociti della zona marginale (14). In una parte dei casi (50-80% nelle varie casistiche) la cellula d’origine presenta >2% di mutazioni somatiche nella sequenza del gene codificante per la porzione variabile delle catene pesanti delle Ig (IGHV), un processo che fisiologicamente avviene all’interno del centro germinativo, grazie all’intervento di enzimi quali l’activation-induced cytidine deaminase (AID), in risposta ad antigeni T-dipendenti. La restante parte delle LLC presenta una configurazione germline della porzione variabile del gene Ig (i.e. <2% di mutazioni). I linfociti delle LLC “mutate” e “non-mutate” hanno molte somiglianze: a) presentano un profilo globale di espressione genica vicino a quello di una cellula Bmemoria; b) esprimono un profilo immunofenotipico CD23+; CD25+; CD27+, tipico dei linfociti attivati che hanno incontrato l’antigene, con bassa espressione di molecole normalmente down-regolate in seguito ad attivazione cellulare (CD22; CD79b; IgD). In alcuni casi le LLC non-mutate presentano un pattern di espressione degli antigeni CD69 e CD71 coerente con una vicinanza temporale allo stimolo antigenico induttivo più marcata rispetto alle LLC “mutate” (15). Si può pertanto ritenere che il linfocito da cui origina la LLC sia una cellula B-memoria che: 1) ha incontrato l’antigene in una reazione Tdipendente all’interno del centro germinativo nel caso delle LLC “mutate”; 2) è stata stimolata al di fuori del centro germinativo da uno stimolo incapace di attivare il processo di ipermutazione somatica del gene Ig (autoantigene, antigene polisaccaridici o Eziopatogenesi, diagnosi e clinica Aspetti patogenetici Cellula d’origine • Linfocito B di probabile origine dalla zona marginale che esprime il CD5 come marker di attivazione cellulare Caratteristiche della cellula d’origine • Ha incontrato l’antigene in una reazione T-dipendente all’interno del centro germinativo (LLC con IGHV “mutate”) o al di fuori del centro germinativo (LLC con IGHV “non mutate”) Stimolazione antigenica • Autoantigeni (ad es. catena pesante della miosina non-muscolare, fattore reumatoide, DNA, cardiolipina, antigeni espressi sulle cellule apoptotiche) • Antigeni polisaccaridici • Attivazione del BCR signaling (LLC “non mutate”) • Stato di anergia a seguito della cronica stimolazione antigenica (LLC “mutate”) Divisione cellulare • Ripetuti cicli di replicazione • Accorciamento dei telomeri (> nelle LLC “non mutate”) e conseguente instabilità genetica • 0,1-1% di rinnovo del clone cellulare ogni giorno, più spiccato nella frazione CD38+ Lesioni genetiche e citogenetiche • Delezione miR-15 e miR-16 • Delezione DLEU2 • Delezione DLEU7 • 17p-/TP53 mutato, 11q-/ATM, 14q32/IGH, +12, 6q-, 13qTABELLA 1 - Momenti patogenetici nella LLC. superantigene) nelle forme “non-mutate”. Ruolo della stimolazione antigenica È noto che il clone trasformato nella LLC presenta un utilizzo preferenziale di alcune famiglie V, D e J (ad esempio VH1-69; VH4-34), che non riflette la frequenza di questi riarrangiamenti nella popolazione B-linfocitaria CD5 normale. Poiché queste sequenze, assemblate durante la maturazione B-linfocitaria intramidollare, formano la porzione variabile del gene Ig espressa in superficie come B-cell receptor (BCR), si può dedurre che alcuni antigeni sono in grado di ingaggiare i cloni esprimenti questi BCR favorendone l’espansione e la successiva trasformazione. Questo concetto è stato rafforzato dalla dimo- strazione di BCR stereotipati, che presentano una strettissima analogia della porzione del BCR che lega l’antigene nota come complementarity determining region (CDR) (16-18). La probabilità che due linfociti B normali possano avere un BCR stereotipato è dell’ordine di 10-9-10-12, mentre è stato osservato che fino al 25 % dei casi di LLC può mostrare questo fenomeno (19). Tra gli antigeni in grado di ingaggiare il BCR nella LLC si annoverano gli elementi polisaccaridici batterici, il fattore reumatoide, il DNA, la cardiolipina, antigeni espressi sulle cellule apoptotiche (16). Si è così affermato in questi ultimi anni il concetto di una relazione patogenetica tra stimolazione antigenica, spesso sostenuta da autoantigeni, e LLC (17). In effetti è stata fornita una recente elegante dimostrazione di come una proteina, nota come catena pesante della miosina non-muscolare (non muscle myosin heavy chain), avente un ruolo nel movimento cellulare, possa essere esposta sulla superficie delle cellule apoptotiche e di come la maggior parte della LLC non-mutate possa riconoscere tramite i suoi anticorpi questo antigene (20). Esiste inoltre dimostrazione che il linfocito della LLC può mantenere la capacità di rispondere all’antigene: a) andando incontro in vivo a switch di classe Ig (21); b) sviluppando nuove mutazioni del gene IGHV (22); c) esprimendo l’enzima AID (23), importante nel processo di ipermutazione somatica; d) modificando il profilo di espressione genica e attivando il ciclo cellulare (24). È interessante notare che queste caratteristiche sono più spiccate nei casi di LLC “non-mutate” CD38+ e ZAP-70+, rispetto alle altre LLC (25, 26). In effetti, nelle LLC “non-mutate”, il BCR-signaling è attivo, mentre nelle forme “mutate” è inattivo in seguito ad uno stato di anergia funzionale legato ad una protratta stimolazione antigenica, con conseguente desensibilizzazione del BCR stesso (27). Questa condizione di anergia si associa ad uno specifico profilo di espressione di geni coinvolti nel signaling BCR-mediato (28). Turn-over cellulare Contrariamente a quanto ritenuto nel recente passato, la LLC non può essere oggi considerata una 7 8 Seminari di Ematologia Oncologica patologia da accumulo di linfociti che non vanno incontro ad apoptosi. I linfociti patologici mantengono la sensibilità ad alcuni stimoli pro-apoptotici mediati da Fas e dal legame di anticorpi anti IgM che ingaggiano il BCR (29, 30) e proliferano in vivo ad un ritmo pari allo 0,1-1% dell’intero clone ogni giorno (31). Il ritmo di divisione cellulare e di rinnovo è più elevato nella frazione cellulare CD38+ (32). Interazioni con il microambiente Nel linfonodo esiste un comparto di accumulo costituito da piccoli linfociti ed un comparto, quello dei centri di proliferazione, ricco in paraimmunoblasti e prolinfociti, ove le cellule mostrano i caratteri dell’attivazione e vanno incontro a divisione cellulare. Queste strutture istologiche, che conferiscono un quadro pseudofollicolare al linfonodo della LLC, si rinvengono anche nei tessuti infiammati dei soggetti affetti da patologia autoimmune (33) e richiamano il concetto del ruolo della stimolazione da parte di autoantigeni nella genesi della LLC. Nei centri di proliferazione i prolinfociti e i paraimmunoblasti sono a stretto contatto con linfociti CD4 e cellule follicolari dendritiche. Nel comparto di accumulo i piccoli linfociti interagiscono con le cellule stromali, in un contesto di interazioni cellula-cellula che ne favoriscono la sopravvivenza. In effetti, la stimolazione da parte del CD40 ha un ruolo nel mantenimento in vita del clone B-linfocitario, al pari dell’ interazione con i linfociti CD4, in grado di determinare la produzione di citochine anti-apoptotiche (IL4, IFN) (34). Nella distribuzione e sopravvivenza delle cellule patologiche (27) giocano un ruolo importante: a) alcune chemochine e loro recettori, espressi dal linfocito leucemico (CXCR3 e CXCR5); b) cellule del sangue periferico in grado di differenziarsi in cellule nutrici (nurselike), che favoriscono la sopravvivenza e la migrazione del linfocito all’interno degli spazi midollari attraverso lo stromal-derived growth factor (35); c) le cellule dendritiche, attraverso il CD44 e grazie all’induzione dell’espressione di una proteina BCL2 correlata (Mcl-1) (36). L’angiogenesi può giocare un ruolo nelle fasi di accelerazione della malattia o nei sottogruppi più aggressivi, ove si riscontrano livelli sierici più elevati di VEGF (37, 38). Lesioni citogenetico-molecolari - Geni micro Rna e TCL1 Nella LLC non è ad oggi nota la lesione genetica primaria in grado di innescare il processo di trasformazione, ma sono disponibili numerose informazioni su una serie di lesioni che governano il processo di trasformazione (Figura 2). Sono stati localizzati due geni codificanti per microRNA (i.e miR-15 e miR-16) nella regione 13q14, deleta in un 40-50% delle LLC (39). Questi geni mostrano ridotta espressione in seguito a delezione (39) e, in queste condizioni, può risultare alterata l’espressione di geni che controllano la progressione del ciclo cellulare nei linfociti B (40). In effetti, la delezione di miR-15 e miR-16 nel topo determina l’insorgenza di un’espansione clonale di linfociti B che presenta le caratteristiche biologiche della LLC. La proliferazione linfoide è più marcata e aggressiva se la delezione coinvolge, oltre ai suddetti geni a micro Rna, il gene DLEU2 che mappa nella stessa regione (40). La concomitante delezione di DLEU7, posizionato all’interno della regione di minima delezione, può contribuire alla patogenesi per la perdita/riduzione della sua fisiologica funzione di inibizione di NF-kB (41). Nella LLC, inoltre, vi è una consistente overespressione del gene TCL1 che mappa a livello della banda 14q32.1, determinato da un meccanismo di demetilazione del promotore (42) e/o da due geni a micro-Rna, miR-29 and miR-181 (43). Esiste la documentazione che il topo transgenico per un costrutto che contiene l’enhancer del gene Ig ed il gene TCL1 sviluppa un’espansione clonale BCD5+, che con il passare del tempo assume le caratteristiche della LLC (44). Analogamente, il topo transgenico che iperesprime miR-29 nei linfociti B, può sviluppare la LLC (45). - Telomeri I telomeri sono costituiti da sequenze ripetute di DNA che conferiscono stabilità alla struttura dei cromosomi. Con l’invecchiamento della cellula ed in seguito ai cicli replicativi a cui questa va incontro si assiste ad un accorciamento dei telomeri, che viene normalmente limitato dall’attività delle telomerasi. Nella LLC i telomeri dei linfociti patologici sono più corti rispetto ai linfociti B normali di sogget- Eziopatogenesi, diagnosi e clinica Stimolazione antigenica di linfociti B CD5+ con particolari BCR Autoanti geni Ripetute divisioni cellulari Accorciamento dei telomeri Delezione DLEU7/DLEU2 Delezione miR-15a/16-1 ¯ inibizione NF-kB - ciclo cellulare - fosforilazione di Rb ¯ miR-29 and miR-181 Instabilità genetica - TCL1 expression 13q-; +12, 6q-, 14q32, 11q-, 17pTraslocazioni cromosomiche FIGURA 2 - Momenti patogenetici e lesioni citogenetico-molecolari nella LLC. ti di pari età e sesso. Inoltre l’accorciamento dei telomeri è più spiccato nelle LLC “non-mutate”, nelle quali si rinviene anche una maggiore attività telomerasica (46, 47), e si associa ad una prognosi sfavorevole e ad un’aumentata probabilità di sviluppare la sindrome di Richter (48). Queste osservazioni indicano come la storia replicativa delle LLC sia differente a seconda dello stato mutazionale dei geni Ig e come nei casi più aggressivi vi sia stato uno stimolo proliferativo nelle fasi di emergenza del clone neoplasti- 13q- isolata + 12 11q17pIGHV “non mutato” co in grado di indurre numerosi cicli di attivazione e replicazione con accorciamento, disfunzione e fusione dei telomeri e conseguente insorgenza di esteso danno del genoma (49). - Profilo citogenetico-molecolare L’introduzione della FISH ha permesso l’individuazione di aberrazioni cromosomiche in circa l’80% dei casi e ogni paziente viene oggi incluso in uno specifico gruppo in base a una classificazione citogenetica gerarchica che attribuisce importanza decrescente alle seguenti lesioni: 17p- >11q>+12 >13q-. I risultanti gruppi citogenetici hanno una frequenza diversa a seconda dello stadio di malattia, come riportato in Tabella 2. Recentemente, l’introduzione di una stimolazione efficace delle mitosi mediante oligonucleotidi e IL2 ha mostrato che approssimativamente il 30% delle LLC senza difetti cromosomici mediante analisi FISH in interfase può presentare una lesione cromosomica nel cariotipo. Inoltre, è stato dimostrato con questa tecnica che cariotipi complessi potevano essere documentati in una significativa frazione dei casi in associazione con fattori prognostici e quadro clinico sfavorevole (50). Un quadro riassuntivo del significato delle principali lesioni citogenetiche è presentato in Tabella 3. Nuove sottili aberrazioni sono state identificate mediante sensibilissime tecniche di scansione dell’intero genoma, grazie alla quale sono state documentate lesioni genetiche in virtualmente tutti i casi di LLC (51). 13qLa delezione 13q14 è la più frequente anomalia citogenetica nella LLC e si presenta in più del 50% dei casi. Questa delezione è stata descrit- Non indicazioni al trattamento Indicazioni al trattamento Resistenti 48 12 7 3 34 36 14 21 5 64 22 12 25 31 78 (*) Dati pubblicati da Zenz et al., Best Practice Clin Haematol 2007, aggiornati da S. Stilgenbauer, comunicazione personale (ASH meeting, S. Francisco, 2008). TABELLA 2 - Frequenza (% di casi) di aberrazioni cromosomiche alla FISH e stato mutazionale IGHV in >4000 casi di LLC arruolati nei protocolli del GCLLSG (*). 9 10 Seminari di Ematologia Oncologica Anomalie Gene coinvolto Citomorfologia 17p- TP53 CLL/PL 11q- ATM CLL tipica CD38+++/Sviluppo di adenopatie marcate. ZAP-70++/-Prognosi sfavorevole, migliorata con Ig non mutati +++/- l’introduzione della terapia con fludarabina, ciclofosfamide e rituximab. +12 12q13-15 CLL atipica CD38++/Prognosi intermedia (sopravvivenza mediana ZAP-70+++/-10-15 anni). Ig non mutati ++/-- 6q- 6q21 CLL atipica CD38+++/-Elevata conta di globuli bianchi. ZAP70++/-Prognosi intermedia (sopravvivenza mediana Ig non mutati ++/-- 10-15 anni). IgH + partners vari CLL tipica CD38++/--Prognosi intermedia, richiede un trattamento ZAP70++/--precoce. Ig non mutati ++/--- miR-15a miR-16 DLEU2 CLL tipica CD38- ZAP-70+/--- Prognosi buona se presente come anomalia Ig non mutati +/--- isolata (sopravvivenza mediana >15 anni). sconosciuto NA 14q32 13q- Traslocazioni e cariotipo complesso Immunofenotipo/ Stato dei geni Ig Caratteristiche cliniche e biologiche CD38+++/Prognosi severa, in particolare negli stadi ZAP-70+++/intermedio-avanzati e se associata a IGHV non Ig non mutati +++/- mutato (sopravvivenza mediana <5 anni). Resistente agli analoghi delle purine. Risposte alla chemioimmunoterapia di breve durata. Responsiva ad alemtuzumab. CD38+++/Prognosi sfavorevole. Ig non mutati +++/- +++/-: 60-80% positivo; ++/-- 30-59% positivo; +/--- <30% positivo. NA: non applicabile. TABELLA 3 - Significato clinicobiologico dei difetti cromosomici ricorrenti nella LLC. ta come eterozigote in approssimativamente il 7580% dei casi e omozigote nel restante 20-25%. I pazienti con delezione omozigote del cromosoma 13q14 presentano una maggiore cinetica di crescita linfocitaria rispetto ai pazienti con delezioni eterozigoti. Studi molecolari hanno dimostrato che la regione comunemente deleta comprende 790 kb fra i marcatori D13S1150 e D13S25, tuttavia nessun gene in questa regione, incluso il succitato LEU2, mostra mutazioni inattivanti nel restante allele. Nel 2002 Calin et al. (39) hanno identificato una piccola regione deleta di 29 kb su 13q14, fra gli esoni 2 e 5 del gene LEU2, contenente due geni codificanti per micro-RNA, miR-15A e miR-161, l’espressione dei quali è significativamente deregolata in una frazione di LLC. La delezione di questi geni per miRNA è stata recentemente confermata da altri ricercatori che hanno utilizzato CGH array ad alta risoluzione in 58 casi di LLC 21 (51). +12 La trisomia del cromosoma 12 è la più frequente acquisizione di materiale cromosomico nella LLC, ove è rinvenuta in un 15% circa dei pazienti. Sono stati riportati alcuni casi di LLC con trisomia parziale del cromosoma 12 con segmento duplicato compreso tra le bande cromosomiche 12q13 e 12q21.2. Questo dato suggerisce che questa regione potrebbe contenere geni importanti nella patogenesi della LLC ed è inte- Eziopatogenesi, diagnosi e clinica ressante notare che il gene CLLU1, upregolato nella LLC con decorso clinico aggressivo, è localizzato sulla banda 12q22 (52). Il gene MDM2, che mappa in 12q14.3-q15 potrebbe essere upregolato nelle LLC con trisomia 12. MDM2 è un gene il cui prodotto è un importante regolatore del gene oncosoppressore TP53 e la sua overespressione comporta una inattivazione funzionale del prodotto di TP53. 11qQuesta anomalia può essere individuata nel 725% dei casi a seconda dello stadio della malattia (Tabella 1). Il segmento comunemente deleto include il gene dell’atassia teleangectasia (ATM) che è coinvolto nel processo di trasduzione del segnale attivato in risposta a rotture del DNA. Il rimanente allele ATM è mutato in circa il 30% delle LLC con 11q- e i pazienti con difetti omozigoti di ATM presentano una malattia più aggressiva rispetto ai pazienti con solo 11q- (53). L’instabilità genetica si associa alla delezione 11q, come dimostrato dallo sviluppo di alterazioni cromosomiche aggiuntive mediante analisi del cariotipo (54). I pazienti con 11q- mostrano in genere una malattia contrassegnata da adenopatie estese e un intervallo libero da trattamento e una sopravvivenza più brevi rispetto ad altre LLC (55). In diversi trials clinici la presenza di 11q- si associava a percentuali di risposta completa più bassa e a una breve sopravvivenza libera da progressione (56-58). Tuttavia, l’aggiunta di rituximab alla tradizionale chemioterapia con fludarabina e ciclofosfamide nei pazienti giovani ha migliorato la percentuale di risposta completa e la sopravvivenza libera da progressione (59, 60) e vi è evidenza non ancora consolidata che il trapianto di midollo osseo allogenico con condizionamento a ridotta intensità potrebbe superare l’impatto prognostico sfavorevole dell’11q- (61). 17p-/mutazioni di TP53 L’anomalia 17p- è frequentemente accompagnata da aberrazioni cromosomiche aggiuntive e cariotipo complesso e si associa, virtualmente in tutti i casi, a perdita di un allele dell’oncosoppressore TP53. In più del 70% delle LLC con delezione 17p, è presente mutazione del rimanente allele TP53 e mutazioni inattivanti del gene TP53, rilevabili mediante metodiche molecolari, sono presenti in un 2-5% di pazienti che non mostrano delezione 17p- e si associano, analogamente alla delezione, a prognosi severa (62). È stata documentata l’espansione del clone 17p-deleto o TP53-mutato in seguito alla chemioterapia (62). È stato sviluppato un semplice test citofluorimetrico per indagare disfunzioni del pathway di p53 (64). Il decorso clinico nei pazienti con 17p-/TP53 mutato è sfavorevole (5, 63), soprattutto nei pazienti che presentano stadio intermedio-avanzato e stato IGHV “non mutato” (65) in quanto le percentuali di risposta alla chemioimmunoterapia, la sopravvivenza libera da progressione e la sopravvivenza di questi pazienti sono inferiori rispetto alle altre classi citogenetiche. L’anticorpo monoclonale alemtuzumab può superare la farmacoresistenza in una parte significativa dei casi ed il trapianto allogenico non mieloablativo può avere un ruolo in questa forma di LLC (66). Altri difetti cromosomici La delezione 6q- si presenta con un’incidenza del 3-7% e si associa a un numero più elevato di globuli bianchi all’esordio, morfologia atipica, CD38+, geni IGHV non mutati nel 60% dei casi, più breve intervallo libero da trattamento e ridotta sopravvivenza rispetto alle LLC con aberrazioni citogenetiche favorevoli (13q-, normale) (67). La porzione deleta si trova attorno alla regione 6q21 ed è interessante il fatto che la perdita allelica in 6q sia stata individuata mediante tipizzazione allelica ad alta risoluzione in più del 15% dei casi (68). Traslocazioni del cromosoma 14q32 che coinvolgono il gene IGH si presentano con un’incidenza del 4-9%. Partner cromosomici ricorrenti includono 18q21/BCL2 e 19q13/BCL3; altri partners identificati occasionalmente sono 2p12/BCL11A, 2p13, 4p16, 4p31, 5q31, 6p21/ CCND3, 7q21/CDK6, 8q11, 9q34 e 17p11. La classica t(11;14)(q13;q32), indistinguibile dalla traslocazione associata al linfoma mantellare, è stata documentata nella LLC da diversi gruppi. Questi casi rappresentano una forma atipica di LLC, che condivide alcune caratteristiche con il 11 12 Seminari di Ematologia Oncologica linfoma mantellare leucemizzato (69). La t(14;19) è associata ad una forma aggressiva di LLC atipica; è spesso associata ad anomalie cromosomiche aggiuntive, specialmente trisomia 12 e con IGHV non mutati. I casi con t(14;19) e cariotipo complesso includente anomalie quali 7q- e/o 6q-, 17p, riarrangiamenti di 1q, frequentemente possono rappresentare casi di linfomi non Hodgkin leucemizzati (70). È stata fornita evidenza che il decorso clinico della LLC con traslocazioni 14q32 potrebbe essere peggiore rispetto alla LLC con cariotipo favorevole (71, 72). Evoluzione clonale Una frazione di LLC acquisisce anomalie cromosomiche durante la storia naturale della malattia. In uno studio prospettico (73), 11 pazienti su 64 (17%) seguiti per una mediana di 42 mesi hanno mostrato evoluzione clonale con una del(17)(p13) in 4 casi, del(6)(q21) in 3 casi, del(11)(q23) in 2 casi, +(8)(q24) in 1 caso ed evoluzione da 13q- eterozigote a omozigote in tre casi. La comparsa tar- FIGURA 3 diva di 11q- nella LLC è stata associata con l’evoluzione della malattia (74). n DIAGNOSI La LLC viene oggi diagnosticata nella maggior parte dei casi in occasione di esami del sangue routinari che dimostrano la presenza di >5 x 109 linfociti nel sangue periferico. Una minoranza dei casi mostra già alla diagnosi un quadro clinico conclamato con adenopatie e/o splenomegalia, Infezioni acute Infezioni croniche Pertosse Mononucleosi Epatite Citomegalovirus Toxoplasmosi Tubercolosi Brucellosi Sifilide Rickettsia TABELLA 4 - Condizioni associate a linfocitosi reattiva. Eziopatogenesi, diagnosi e clinica Morfologia Immunofenotipo FISH & Altri aspetti† Piccoli linfociti con <10% linfociti di grandi dimensioni o prolinfociti. Piccoli linfociti con una quota di grandi linfociti e prolinfociti fino al 55%. *CD5+, CD19+, CD23+, CD22+debole, CD79b+debole; sIg+debole, FMC7-. Del(17p13.1), del(11q22.3), trisomia 12q13; del(6q21), traslocazioni 14q32/IgH, del(13q14) o cariotipo normale. Piccoli linfociti. Come per CLL. Linfocitosi assoluta B-clonale <5X109/L Cariotipo normale, 13q-, +12, raramente 11qor 17p-. Infiltrazione linfocitaria midollare <30%, obiettività clinica nei limiti di norma. MCL Cellule linfoidi di medie dimensioni con nucleo leucemizzato irregolare, tipicamente non monomorfe. CD5+, CD20+intenso, sIg+intenso, CD23-, ciclina D1+. t(11;14)(q13;q32). B-PLL Prolinfociti >55%: cellule di medie dimensioni con nucleo regolare, cromatina condensata, un nucleolo centrale prominente. CD5+/-, FMC7+, sIg+intenso. Talora t(11;14)(q13;q32), del(17p13.1) Importante linfocitosi periferica. Decorso aggressivo. HCL Cellule di medie dimensioni con nucleo ovale eccentrico, cromatina piuttosto lassa e citoplasma con fini proiezioni uniformemente distribuite. Citochimica: TRAP+. CD5-, CD11c+intenso, CD25+, CD103+, HML-1+,B-ly7+. Annessina V+ (biopsia ossea). Non anomalie citogenetiche costanti. Conta leucocitaria periferica in genere ridotta con monocitopenia assoluta. HCL-V Caratteristiche ibride tra B-PLL e HCL classica: cellule analoghe alle cellule capellute tipiche ma con nucleoli prominenti e TRAP-. Come nella HCL eccetto per CD25-. Non anomalie citogenetiche costanti. Linfocitosi periferica; le cellule linfocitarie hanno proiezioni citoplasmatiche; può mancare la monocitopenia. SLVL Piccoli linfociti con nucleo regolare, cromatina condensata e corte proiezioni citoplasmatiche a disposizione polare. CD5-/+, CD11c+ (50% dei casi), CD25+ (25% dei casi); i casi CD25+ sono in genere negativi per CD11c/103. del (7q), + 3q, t(1q), 6q-, +12, t(8q), 14q32 translocations, 17p- mediante FISH. Frequente la splenomegalia. FL Piccoli linfociti con scarso citoplasma, leucemizzato cromatina condensata e nucleo clivato (centrociti). Possono essere presenti anche cellule di grandi dimensioni con 1-3 nucleoli (centroblasti). CD5-, CD10+, CD20+. t(14;18)(q32;q21). Il midollo osseo mostra infiltrati linfoidi paratrabecolari. T-PLL Identica a B-PLL nel 75% dei casi; nel 25% i prolinfociti T hanno scarso citoplasma, nucleo irregolare e nucleoli indistinti (variante a piccole cellule). Frequenti le protrusioni citoplasmatiche (blebs). Nella maggior parte dei casi CD3+, CD7+, CD4+, CD8-; in un terzo dei casi CD4+ e CD8+; raramente CD4- e CD8+. Inv(14)(q11;q32), t(14;14)(q11;q32) Più frequenti rispetto a B-PLL le linfoadenomegalie e le localizzazioni cutanee. Espansione LGL Cellule di medie dimensioni con citoplasma abbondante contenente granuli azzurrofili. T-LGL (85%): CD3+, CD4-, CD8+, CD16+, CD56-, CD57+, TCRalfa-beta+. NK-LGL (15%): CD3-, CD4-, CD8+, CD16+, CD56+, CD57-. Non anomalie citogenetiche costanti. Forme tendenzialmente indolenti. Citopenie. CD5-, CD19+, sIg policlonali. Isocromosoma 3q, frequente nelle donne, fumatrici e di età media. Patologia CLL Tipica Atipica MBL CLL-like Linfocitosi Linfociti spesso binucleati, con B-policlonale citoplasma relativamente abbondante. persistente *Assegnando 1 punto ciascuno a CD5+, CD23+, CD22 o CD79b debole+, sIg debole +, l’85-90% delle CLL presenta uno score di 4 o 5, il 10-15% presenta score 3, <1% delle CLL ha score <3. † Nessuna anomalia citogenetica è diagnostica per CLL, tuttavia la presenza della traslocazione t(11;14) o l’espressione della ciclina D1 sono in genere diagnostici per MCL. Abbreviazioni: CLL, leucemia linfatica cronica; MBL, monoclonal B-cell lymphocytosis; MCL, linfoma a cellule mantellari; FL, linfoma follicolare; HCL, hairy cell leukemia; HCL-V, hairy cell leukemia, forma variante; PLL, leucemia prolinfocitica; sIg, espressione delle immunoglobuline di superficie; SLVL, linfoma splenico con linfociti villosi; LL, grandi linfociti; PL, prolinfociti. TABELLA 5 - Caratteristiche di laboratorio distintive dei disordini linfoproliferativi cronici. 13 14 Seminari di Ematologia Oncologica Test diagnostici Test per stabilire la diagnosi Emocromo • > 5X109/L linfociti B circolanti Conta differenziale al microscopio ottico • Prevalenza di piccoli linfociti; linfociti clivati, grandi linfociti e/o prolinfociti <55% • Ombre di Gumprecht Immunofenotipo dei linfociti Espansione clonale di elementi CD5+, CD19+, CD23+ con restrizione per le catene leggere delle Ig (score immunofenotipico ≥3) Valutazione alla diagnosi e/o prima del trattamento Anamnesi ed esame obiettivo, performance status Conta completa e differenziale delle cellule ematiche Aspirato midollare e biopsia • nel caso l’obiettivo della terapia sia la remissione completa • per la diagnosi differenziale di eventuali citopenie Esami di laboratorio sierici, inclusa LDH e b2-microglobulina, immunoglobuline sieriche, test diretto antiglobuline Radiografia del torace ed ecografia dell’addome Indagine FISH/molecolare • da effettuarsi qualora sia importante ottenere informazioni prognostiche • ricerca di 17p-/mutazioni TP53; 11q-, traslocazioni 14q32/IgH, trisomia 12, del(6q), del(13q), cariotipo da linfociti del sangue periferico • 17p- merita approccio terapeutico diverso, che può includere, in casi selezionati, il trapianto allogenico di midollo, possibilmente nell’ambito di un trial clinico Stato mutazionale IGHV e CD38 • utile perché fornisce informazione prognostica • ZAP-70 non ancora standardizzato TABELLA 6 - Valutazione diagnostica nella LLC. segni di insufficienza midollare secondaria a diffusione della malattia, sintomi sistemici e, raramente, localizzazioni extranodali. Dopo aver escluso la presenza di infezioni in grado di determinare linfocitosi reattiva (Tabella 4), si procede con gli esami di laboratorio necessari per la diagnostica differenziale dei disordini linfoproliferativi cronici (Tabella 5), o con la rara linfocitosi B persistente policlonale (75) condizione più frequente nelle giovani donne fumatrici che presenta tendenza alla distribuzione familiare. Fondamentali sono l’analisi morfologica dello stri- scio di sangue periferico che mostra piccoli linfociti a cromatina addensata (Figura 3) e le ombre di Gumprecht, che rappresentano linfociti rotti durante la preparazione dello striscio a causa di una loro intrinseca fragilità determinata dalla riduzione della proteina del citoscheletro vimentina (76). L’analisi immunofenotipica consente di porre una diagnosi di certezza in presenza di una espansione di elementi CD19+, CD5+, CD23+, con CD22 e/o CD79b debolmente positivo e debole espressione delle immunoglobuline di superficie (sIg) associata a restrizione delle catene leggere (rapporto K/l >3 o <3) e negatività per FMC7. È utile l’applicazione dello score immunofenotipico che, attribuendo 1 punto a CD5+, CD23+, CD22/CD79b+ debole, sIg+ debole e FMC7-, identifica in presenza di uno score ≥3 oltre il 95% dei casi (77, 78), permettendone la distinzione rispetto alle altre sindromi linfoproliferative (Tabella 5). La diagnostica viene completata con le indagini indicate in Tabella 6, necessarie per una corretta stadiazione e per una corretta programmazione della terapia. n CLINICA Manifestazioni principali Circa il 70% dei pazienti viene diagnosticato in seguito ad esami ematici routinari che dimostrano linfocitosi asintomatica, con obiettività negativa o con adenopatie diffuse a poche sedi (79). Può essere presente già alla diagnosi ipogammaglobulinemia. Negli stadi intermedi compaiono, nelle principali sedi superficiali, adenopatie non dolenti, di consistenza parenchimatosa, non dura, associate o meno a splenomegalia. Gli stadi avanzati contemplano, per definizione, la presenza di anemia e/o piastrinopenia secondarie a infiltrazione midollare. Le stadiazioni di Rai e di Binet (80, 81) sono riassunte in Tabella 7, ove è anche riportata la sopravvivenza media nei diversi stadi di malattia. È importante escludere la natura autoimmune dell’anemia e della piastrinopenia prima di assegnare un paziente allo stadio III-IV di Rai o C di Binet (82) in quanto è noto che la Eziopatogenesi, diagnosi e clinica Gruppo di rischio Caratteristiche Sopravvivenza mediana nel Rai report originale (n = 125) Sopravvivenza mediana in accordo con lo stadio Rai al Mayo Clinic CLL Database* (n = 2397) Basso 0 Rai A Binet Solo linfocitosi <3 LN aree coinvolte, non citopenia 150 mesi 130 mesi Intermedio I Rai B Binet II Rai B Binet + Linfadenopatia ≥3 LN aree coinvolte, non citopenia + Organomegalia ≥3 LN aree coinvolte, non citopenia 101 106 Alto III IV Rai C Binet + Anemia** + trombocitopenia** Anemia e/o trombocitopenia 19 19 58 69 *Tutti i pazienti con LLC sono stati visti al Mayo Clinic Division of Hematology dal 1995 (Shanafelt T, ASH educational book, 2009). **Hb <11 g/dL a causa dell’infiltrazione midollare, conta piastrinica <100 x 109/L a causa dell’infiltrazione midollare. TABELLA 7 - Classificazione di Rai e Binet. prognosi degli stadi avanzati è migliore se la citopenia è di origine autoimmune piuttosto che da infiltrazione midollare (83). Le moderne terapie citostatiche e di supporto, unitamente al miglioramento delle condizioni generali di salute della popolazione adulta, hanno determinato un significativo allungamento dell’aspettativa di vita negli stadi avanzati rispetto ai dati storici (84-86). I sintomi, quando presenti, possono essere riferiti alla presenza di adenopatie massive o di imponente epatosplenomegalia e alla presenza di insufficienza midollare con segni legati all’anemia o alla piastrinopenia. Può manifestarsi astenia non associata ad anemia significativa. Sintomi sistemici, quali febbre >38°C senza cause apparenti, dimagramento >10% di peso corporeo, sudorazione profusa, prurito, dolori muscolari sono presenti alla diagnosi in una minoranza dei casi, mentre possono comparire più frequentemente nelle fasi avanzate di malattia e/o di resistenza al trattamento. La malattia può esordire con complicanze infettive, espressione di deficit del sistema immunitario legato alla malattia ed alle terapie. L’anemia emolitica autoimmune può comparire in qualunque fase della malattia; in generale la disregolazione del sistema immunitario, incentrata sui meccanismi presentati in Tabella 8, può manifestarsi con le patologie a genesi autoimmune elencate in Tabella 9 (87). Primari • Difetti delle cellule B - Ipogammaglobulinemia - Scarsa risposta alla vaccinazione • Difetti delle cellule T - Quantitativi: • Aumento di numero - Qualitativi • Diminuito rapporto CD4/8 • Polarizzazione Th 2 • Anomala risposta CD30 • Difetto acquisito reversibile del CD40L • Anomalie nell’espressione genica (citoscheletro, granuli) • Cellule NK - Mancanza di granuli - Ridotta attività di killing • Neutrofili - Ridotta funzione fagocitica e battericida - Migrazione e chemiotassi anomale • Monociti/macrofagi Ridotta citotossicità • Complemento - Riduzione dei livelli e difetto di attivazione e legame Secondari • Insufficienza midollare a causa della malattia avanzata • Tossicità della terapia TABELLA 8 - Difetti immunitari nella LLC. 15 16 Seminari di Ematologia Oncologica Ematologiche • Anemia emolitica • Coombs positiva • Trombocitopenia immune • Aplasia pura della serie rossa • Neutropenia autoimmune Non ematologiche • Angioedema • Pemfigoide bolloso/pemfigo paraneoplastico • Sindrome di Churg-Strauss • Tiroidite autoimmune • Sindrome nefrosica (glomerulonefrite) • Polineuropatia • Sindrome di Sjögren • Lupus eritematoso sistemico • Sindrome di Raynaud • Artrite reumatoide • Colite ulcerosa • Vasculiti TABELLA 9 - Complicanze autoimmuni nella LLC. Quadro evolutivo - Infezioni. I pazienti sono soggetti ad infezioni recidivanti negli stadi avanzati anche in relazione a moderni trattamenti che includono analoghi delle purine ed anticorpi monoclonali. I quadri più frequenti sono sostenuti da Streptococcus pneumoniae, Staphylococcus ed Haemophilus influenzae. L’Herpes zoster è frequente e, con l’introduzione di nuovi trattamenti, sono da tenere in considerarazione le infezioni opportunistiche da Legionella pneumoniae, Pneumocystis jirovecii, Listeria monocytogenes. La polmonite da Citomegalovirus è un problema emergente, al pari delle infezioni fungine da Candida e Aspergillo (88). - Seconde neoplasie. L’incidenza di seconde neoplasie nella LLC è pari a 1.2-2.2 volte rispetto all’incidenza attesa in una popolazione di pari età (89, 90) e le forme più frequenti sono rappresentate da tumori cutanei, della prostata, della mammella, dei melanomi, del sistema gastrointestinale e del polmone. I principali fattori di rischio sono rappresentati dall’età avanzata, dal sesso maschile e da livelli elevati di LDH, beta2-microglobulina e creatinina, mentre non sembra giocare un ruolo il tipo di terapia eseguita (90). L’utilizzo diffuso degli analoghi delle purine non si è associato ad un incremento significativo del rischio di seconde neoplasie rispetto a quanto atteso sulla base dei dati storici disponibili (91). Il rischio di sviluppare mielodisplasia o leucemia acuta mieloide secondaria è basso, ma può aumentare nei casi trattati con alchilanti e con analoghi della purine (92). - Trasformazione istologica. La sindrome di Richter, definita dalla comparsa di un linfoma aggressivo, con le caratteristiche del linfoma diffuso a grandi cellule associato a sintomi sistemici, versamenti nelle sierose e cachessia, si può verificare nel 5-10% dei casi (93). La trasformazione in leucemia a prolinfociti può essere osservata in una minoranza dei casi. n CONCLUSIONE Rispetto alla visione storica che definiva questa malattia come disordine indolente da accumulo di piccoli linfociti, le conoscenze patogenetiche hanno consentito di riconoscere nella LLC una malattia dinamica (14), che trae la sua origine da una ricca serie di eventi biologici e genetici primari e secondari (94). L’interazione con gli antigeni, lo stato di attivazione cellulare che ne segue e le complesse interazioni con il microambiente plasmano una malattia dal decorso eterogeneo, talora preceduta da una condizione predisponente, la linfocitosi B-monoclonale recentemente definita nei suoi contorni nosografici (95). Grazie ai progressi nella comprensione dei meccanismi che governano la sua storia naturale, l’approccio moderno alla gestione del paziente si avvale di una caratterizzazione clinica che prevede lo studio di una serie di marcatori prognostici, molto utili per l’adeguata programmazione di terapie sempre più efficaci. n BIBLIOGRAFIA 1. Muller-Hermelink HK, Montserrat E, Catovsky D, Campo E, Harris NL, Stein H. Chronic lymphocytic leukemia/small lymphocytoc lymphoma. In: Swerdlow E et al, eds. WHO classification of tumours of haematopoietic and lymphoid tissue. IARC, Lyon 2008; 180-2. 2. Redaelli A, Laskin BL, Stephens JM, Botteman MF, Pashos CL. The clinical and epidemiological burden Eziopatogenesi, diagnosi e clinica of chronic lymphocytic leukaemia. Eur J Cancer Care. 2004; 13: 279-87. 3. Brenner H, Gondos A, Pulte D. Trends in long-term survival of patients with chronic lymphocytic leukemia from the 1980s to the early 21st century. Blood. 2008; 111: 4916-214. 4. 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Da ciò è derivata l’esigenza di formulare alla diagnosi una previsione sul futuro decorso della malattia e di stabilire la strategia terapeutica più adatta al singolo paziente. Tale esigenza si è particolarmente rafforzata negli ultimi tempi con lo sviluppo di numerose nuove e più efficaci armi terapeutiche. Una precisa e individualizzata formulazione prognostica risulta paricolarmente importante negli stadi iniziali della malattia, che attualmente rappresentano la grande maggioranza dei casi di LLC alla diagnosi e per i quali in base alle linee guida tutt’ora accettate (peraltro basate su Parole chiave: leucemia linfatica cronica, prognosi, citogenetica, biologia molecolare Indirizzo per la corrispondenza Prof. Achille Ambrosetti Divisione di Ematologia Policlinico G.B. Rossi P.le L.A. Scuro, 10 - 37134 Verona E-mail: [email protected] studi condotti con farmaci alchilanti) non vi è indicazione al trattamento immediato. Negli ultimi anni i sostanziali progressi ottenuti nella conoscenza dei meccanismi biologici della LLC hanno portato all’individuazione di numerosi nuovi marcatori prognostici, alcuni dei quali si sono diffusamente affermati nella pratica clinica ad affiancare ed integrare i parametri tradizionali. n INDICI PROGNOSTICI TRADIZIONALI (CLINICO-EMATOLOGICI) Stadiazione I primi indici prognostici applicati su vasta scala nella LLC derivano dagli schemi di stadiazione proposti oltre 30 anni fa che consentivano di suddividere i pazienti in categorie a diversa prognosi sulla base di semplici elementi clinico-ematologici, è cioè l’obiettività e l’esame emocromocitometrico. Tali schemi valutano sostanzialmente la massa tumorale (linfoadenomegalia ed organomegalia) e la presenza di insufficienza midollare responsabile di citopenia (anemia e piastrinopenia) come conseguenza dell’infiltrazione leucemica midollare. Il primo sistema di stadiazione ampiamente accettato, proposto da Rai nel 1975 (2), comprende 5 stadi, correlati con una diversa sopravvivenza (Tabella 1), e fu modificato successivamente in tre gruppi a basso (0), intermedio (I e II) ed alto (III e IV) rischio. Nel 1981 Binet (3) propose un altro sistema stadiativo che valorizza l’importanza ai fini prognostici della massa tumorale, intesa come possibile interessamento di 5 diverse aree linfoidi: cervicale, ascellare, inguinale, milza e fegato. Sulla 22 Seminari di Ematologia Oncologica Stadio Rischio Descrizione Sopravvivenza mediana (m) 0 Basso Solo linfocitosi (periferica e midollare) >150 I II Intermedio Linfocitosi + adenomegalie Linfocitosi + splenomegalia e/o epatomegalia 101 71 III IV Alto Linfocitosi + anemia (Hb <11 gr/dl) Linfocitosi + piastrinopenia (<100.000/mmc) 19 19 TABELLA 1 - Stadiazione della LLC secondo Rai (2). Stadio Descrizione Sopravvivenza mediana (mesi) A Interessamento di meno di tre aree linfoidi*, assenza di anemia e piastrinopenia (Hb >10 gr/dl, PLTS ≥100.000/mmc) B Interessamento di 3 o più aree linfoidi, assenza di anemia e piastrinopenia 84 C Anemia e/o piastrinopenia (Hb<10gr/dl, PLTS<100.000/mmc) indipendentemente dal numero di aree linfoidi coinvolte 24 >120 *Sono considerate 5 diverse aree linfoidi: a) cervicale; b) ascellare; c) inguinale (in tutti i casi l’interessamento può essere mono- o bilaterale); d) milza; e) fegato. TABELLA 2 - Stadiazione della LLC secondo Binet (3). base del numero di aree coinvolte e della presenza o meno di anemia o piastrinopenia vengono distinti 3 gruppi prognostici (A, B e C) (Tabella 2). È da precisare che la valutazione della massa tumorale è fondata in entrambi gli schemi sul semplice esame obiettivo e non tiene conto dei dati sull’impegno linfonodale profondo ed epatosplenico ottenibili oggi mediante le tecniche di imaging di uso routinario nella pratica clinica. Sebbene la TAC possa evidenziare linfoadenomegalia profonda o splenomegalia non obbiettivabile in circa ¼ dei pazienti in stadio 0 di Rai e sebbene una TAC positiva possa correlare con un maggior rischio di progressione (4), il suo ruolo nella stadiazione della LLC non è ancora accertato (5). Per quanto attiene la presenza di anemia e piastrinopenia andrebbero distinte le forme iporigenerative conseguenti ad insufficienza midollare da ampia infiltrazione linfoide dalle forme da consumo su base autoimmune, anch’esse peraltro ad impatto prognostico negativo (6-8). Sebbene tuttora validi e ampiamente utilizzati entrambi i sistemi non risultano tuttavia adeguati per una valutazione completa della dinamica del- la malattia e, soprattutto, non consentono alla presentazione di prevedere il futuro decorso dei singoli pazienti nell’ambito dei diversi stadi e, in particolare, negli stadi iniziali (Rai 0 e Binet A) che costituiscono attualmente circa i 2/3 dei pazienti alla diagnosi mentre rappresentavano il 37% nella casistica di Rai. Altri fattori prognostici tradizionali Accanto allo stadio clinico sono stati proposti nel passato altri fattori prognostici di tipo clinico e laboratoristico, alcuni dei quali con valore indipendente dallo stadio, che correlano con una ridotta sopravvivenza e una più rapida progressione. Questi includono: sesso, età, conta linfocitaria, tipo di infiltrazione midollare, citomorfologia, tempo di raddoppiamento linfocitario (9-11) (Tabella 3). La conta linfocitaria è un parametro correlato sia con la sopravvivenza che con il tempo alla progressione. Sono stati proposti vari cut-off (30.00040.000/mmc) (12). Tuttavia, di maggiore e sicuramente rilevante impatto prognostico è il tempo di raddoppiamento linfocitario (TRL), cioè il tempo necessario affinchè il numero di linfociti circolanti raddoppi. Un Fattori prognostici Fattori tradizionali Caratteristiche sfavorevoli - sesso/età - tempo di raddoppiamento della conta linfocitaria - tipo di infiltrazione midollare - percentuale cellule morfologicamente atipiche (cellule prolinfocitoidi) - conta linfocitaria - maschile/>60 a. - <12 mesi - diffusa - 5-55% - >30-40x109/L TABELLA 3 - Fattori prognostici di tipo clinico/laboratoristico classici nei pazienti affetti da LLC. Variabili Punti 0 1 2 3 _ N <50 1-2 x N 50-65 >2 x N >65 - <20 masch. 20-50 femm. >50 - - 0-II ≤2 III-IV 3 - - Età (anni) b2-Microglobulina sierica Conta linfociti, (x109/L) Sesso Stadio di Rai N° sedi linfonodali TABELLA 4 - LLC - Indice prognostico secondo Wierda (12 modificato). TRL <12 mesi è già considerato un indice di rapida cinetica associato a progressione della malattia (13, 14) con impatto prognostico negativo. La modalità di infiltrazione midollare di tipo diffuso valutata sulla biopsia ossea correla con una prognosi più sfavorevole, perchè indicativa di una malattia avanzata e in progressione, mentre, un infiltrato di tipo nodulare o interstiziale è associato alle fasi iniziali della malattia (15). Il tipo di infiltrazione midollare, molto valorizzato in passato, non appare oggi costituire un fattore prognostico significativo e indipendente dai nuovi marcatori biologici. Recentemente è stato proposto dal gruppo del MD Anderson Cancer Center un indice prognostico, validato su un numero elevato di pazienti (oltre 1.600) e basato su 5 fattori predittivi tradizionali (età, stadio secondo Rai, sesso, conta linfocitaria, numero di regioni linfonodali coinvolte) e sui livelli di b2-microglobulina sierica (12). Tale indice prognostico è di semplice applicazione e non richiede indagini particolari a parte la misurazione della b2-microglobulina serica, peraltro entrata nella pratica routinaria (Tabella 4). Esso consente una buona stratificazione prognostica, superiore a quanto ottenibile con la stadiazione tradizionale, suddividendo i pazienti in tre fasce di rischio: basso (da 0 a 3 punti), intermedio (da 4 a 7 punti), elevato (≥8 punti) (Tabella 5, Figura 1). Da rilevare peraltro che la maggioranza dei pazienti ricade nel rischio intermedio. n MARCATORI SIERICI Si tratta di molecole solubili, tra cui enzimi, antigeni di membrana, citochine e loro recettori, misurabili nel siero dei pazienti con LLC, che sono risultate correlare con la massa e la cinetica della malattia e quindi possedere valore prognostico. Tra esse le più esplorate e considerate più significative sono la timidina chinasi (TK), il CD23 solubile (sCD23) e la b2-Microglobulina (b2-M). - Timidina-chinasi (TK). È un enzima cellulare coinvolto in una via di salvataggio della sintesi del DNA. Le cellule contengono almeno due isoforme che differiscono per proprietà biochimiche e distribuzione cellulare. La forma citosolica, TK1, si trova 23 24 Seminari di Ematologia Oncologica Rischio Punteggio Sopravvivenza Sopravvivenza a 5 a. a 10 a. Basso 1-3 Intermedio 4-7 Alto ≥8 97% 80% 55% 80% 52% 26% TABELLA 5 - LLC - Sopravvivenza in base allo score di Wierda (12, modificato). nelle fasi G1 e S del ciclo cellulare, ma è assente nelle cellule quiescenti; è responsabile del 95% dell’attività sierica della timidin-chinasi (s-TK) riscontrata ed è probabilmente dipendente dal numero di cellule neoplastiche in attiva replicazione. s-TK correla pertanto con la massa tumorale e con l’attività proliferativa delle cellule leucemiche (16-18). Nella LLC i livelli di TK correlano non solo con lo stadio clinico, ma anche con altri marcatori prognostici (stato mutazionale, citogenetica, ZAP-70, CD38) (17, 19-21). Recenti studi mostrano che valori di TK elevati identificano un sottogruppo di pazienti in stadio precoce (Binet A) ad alto rischio di rapida progressione (19, 20) e si associano a ridotta sopravvivenza e aumentato rischio di evoluzione in sindrome di Richter (20). - sCD23 (CD23 solubile). L’antigene CD23 (recettore a bassa affinità per le IgE) è una glicoprotei- na di membrana, caratteristicamente espressa dalle cellule di LLC, che viene clivata in frammenti solubili (sCD23) di varie dimensioni, che esplicano numerose e diverse attività biologiche la maggior parte delle quali indipendenti dalle IgE (22). I livelli sierici di sCD23 correlano con lo stadio clinico, con l’attività della malattia e con la massa tumorale (23). Valori elevati sono inoltre associati ad un pattern di infiltrazione diffusa del midollo osseo alla biopsia osteomidollare, a un tempo di raddoppiamento linfocitario ridotto e a elevati livelli sierici di timidin-chinasi (24). In particolare, nei pazienti in stadio A di Binet, il sCD23 appare utile per definire una popolazione ad alto rischio di progressione, che potrebbe beneficiare di un approccio terapeutico precoce e aggressivo (25). Inoltre, un tempo di raddoppiamento dei livelli di sCD23 inferiore all’anno appare predittivo di più rapida progressione e ridotta sopravvivenza anche tra i pazienti con restanti indici prognostici favorevoli (26). - b2-Microglobulina (b2-M). È una proteina extracellulare espressa da tutte le cellule nucleate ed è associata alla catena a del complesso maggiore di istocompatibilità di classe I (MHC I). Viene liberata nel siero dalle cellule di LLC sia spontaneamente che in seguito a stimoli (27, 28). I livelli sierici di b2-M sono risultati correlati allo stadio, FIGURA 1 - LLC: curve di sopravvivenza in base allo score di Wierda (12, modificato). Fattori prognostici al tempo alla progressione e alla sopravvivenza in numerosi studi retrospettivi (28-30) La b2-M è stata inoltre utilizzata da Wierda tra i parametri che compongono il sistema prognostico da lui proposto (12) (v. sopra). Dal momento che i livelli sierici di b2-M sono influenzati dalla funzionalità renale, è stato recentemente proposto un sistema di correzione dei valori in base alla filtrazione glomerulare (GFR). I valori di b2-M aggiustati in base alla GFR sono risultati indipendenti da ZAP-70 come fattore predittivo di progressione (31). - Interleuchine (IL-6, IL-8, IL-10, TNFalfa) e loro recettori solubili (sIL-6R, sTNFRs). Le interleuchine IL-6, IL-8 e IL-10 sono state studiate da sole o in combinazione nella LLC (32-34). Livelli ematici elevati sono risultati correlare con stadio avanzato, valori di LDH e b2-M aumentati e decorso sfavorevole; non è chiaro tuttavia se esse possiedano un significato prognostico indipendente. Anche i livelli plasmatici di TNFalfa sono risultati aumentati nella LLC, in associazione con fattori prognostici clinici e biologici sfavorevoli e con impatto prognostico indipendente sulla sopravvivenza (35). - CD20 e CD52 circolanti. Valori aumentati di entrambi questi antigeni in circolo sono risultati associati a caratteristiche sfavorevoli della LLC tra cui stadio avanzato, b2-M aumentata e ridotta sopravvivenza. Per entrambe le molecole solubili, bersagli di immunoterapia con anticorpi monoclonali di largo impiego, è stata confermata la possibilità che possano interferire con il legame alle cellule leucemiche rispettivamente di rituximab e alemtuzumab, con conseguenti possibili ripercussioni sull’efficacia terapeutica e tossicità (36, 37). - CD27 e CD44 solubili. I livelli ematici di ambedue queste molecole correlano con caratteristiche di LLC avanzata ed aggressiva. Per il sCD44 si è inoltre evidenziato un significato prognostico indipendente (38, 39). Numerose altre molecole solubili sono state studiate quali possibili marcatori prognostici nella LLC, tra cui: sCD25, sCD8, sICAM-1, sVCAM-1, Trombopoietina (TPO), syndecam-1, Matrix metalloproteinasi 9 (MMP-9) (40) (vedi anche oltre: marcatori di angiogenesi e del microambiente). Anche i livelli sierici di LDH (lattato-deidrogenasi) sono utilizzati come marcatore prognostico. La LDH, considerata indice di turnover cellulare, è comu- Molecola TK (timidina-chinasi) sCD23 b2-Microglobulina sCD44 sCD20 sCD52 sTNF/TNFR LDH Correlazione con attività di malattia e prognosi Valore prognostico indipendente + + + + + + + + + + + + + + ± ± TABELLA 6 - Principali marcatori solubili nella LLC, correlazione con l’attività di malattia e significato prognostico sinteticamente riportati in base ai dati delle letteratura. nemente impiegata nella pratica clinica quale indice di massa tumorale e di cinetica proliferativa in numerose neoplasie ematologiche e non. È raramente elevato nella LLC e il suo innalzamento può far sospettare l’evoluzione in sindrome di Richter. Livelli aumentati di LDH sono comunque correlati con ridotta sopravvivenza e con altri marcatori prognostici sfavorevoli come citogenetica, CD38, ZAP-70 (41-43). n MARCATORI BIOLOGICI Nel corso dell’ultima decade, in particolare a seguito della scoperta del valore prognostico dello stato mutazionale dei geni IGHV e di alcune alterazioni citogenetiche evidenziate dalla FISH nelle cellule di LLC, si è assistito ad un notevole sviluppo nella ricerca di nuovi marcatori prognostici di tipo biologico della LLC, in coincidenza con i rapidi progressi nella conoscenza dei meccanismi patogenetici della malattia. Il numero di marcatori biologici cui è stato via via attribuito un significato prognostico nella LLC è decisamente ridondante rispetto a quello ben più limitato attualmente utilizzato, comprendente talune alterazioni citogenetiche (studiate mediante FISH), lo stato mutazionale dei geni IGHV, l’espressione di ZAP-70 e CD38. Da sottolineare tuttavia come questi moderni fattori prognostici non siano predittivi per la sopravvivenza nelle classi di età più avanzate (44). 25 26 Seminari di Ematologia Oncologica Citogenetica Anomalie citogenetiche possono essere evidenziare in circa l’80% dei casi di LLC. La FISH (fluorescence in situ hybridization) rappresenta la tecnica di riferimento (41, 45) ma anche le tecniche cariotipiche tradizionali con bandeggio conservano il loro ruolo (46). Le principali aberrazioni correlano con aspetti clinici e/o costituiscono importanti fattori prognostici. Da sottolineare il fatto che il quadro citogenetico nella LLC non è stabile, potendo evolvere nel decorso della malattia, con possibile acquisizione di nuove anomalie in circa ¼ dei casi (47). - La delezione 13q14 rappresenta la più frequente anomalia strutturale, rilevabile in oltre la metà dei casi di LLC in stadio iniziale e può essere associata ad altre anomalie. Se isolata, è correlata con un decorso favorevole. Nella delezione del 13q sono coinvolti due geni microRNA (mir-15a e mir16-1) la cui attività è inversamente correlata con l’espressione del bcl-2, proteina ad azione antiapoptotica; la perdita (o la mutazione) di tali microRNA comporterebbe pertanto un’aumentata sopravvivenza del clone leucemico (48, 49). - La delezione di 11q22-q23 è presente in circa il 10% di casi in stadio iniziale e nel 20-25% dei casi in fase avanzata di malattia. Si associa a stadio avanzato, grandi masse linfonodali e andamento aggressivo (50). È associata ad instabilità genetica e circa 1/3 dei pazienti con tale anomalia presenta alterazioni cromosomiche aggiuntive nel corso della malattia (51). Vari studi clinici hanno dimostrato minore risposta al trattamento e accorciata sopravvivenza libera da progressione nei pazienti con 11q- (52-54). Tale significato prognostico sfavorevole appare peraltro almeno in parte superato dall’aggiunta del rituximab alla chemioterapia (55). - La trisomia del Cr 12 è riscontrabile nel 10-20% dei casi e la sua incidenza non aumenta con la progressione della malattia. Se non accompagnata da altre anomalie citogenetiche sfavorevoli (11q-, 17 p-) non pare influenzare negativamente la sopravvivenza. I pazienti con trisomia 12 vengono considerati a prognosi intermedia (41, 56). - La delezione del Cr17 coinvolge quasi costantemente la regione 17p13 in cui è localizzato il gene oncosoppressore TP53. Ecco perché nella maggior parte dei casi (oltre il 70%) a tale delezione si associa una mutazione inattivante di TP53 sull’altro allele. La delezione di 17p si riscontra nel 3-5% dei pazienti con LLC alla diagnosi o non ancora trattati. La sua frequenza aumenta notevolmente con il progredire della malattia fino al 30% circa nei casi refrattari in quanto cloni leucemici con 17p- possono essere selezionati dal trattamento, in particolare se basato su alchilanti ed analoghi purinici (57). I casi di LLC con 17p- Anomalia cromosomica Frequenza Gene coinvolto Prognosi Caratteristiche cliniche Delezione 13q14 ≥50% miR15a, miR16-1? Buona (se isolata) Indolente Trisomia 12 15% Sconosciuto Intermedia Responsiva ad analoghi purinici Delezione 11q22-23 15% (25% in paz. refrattari) ATM Sfavorevole Adenopatia massiva Decorso aggressivo Morfologia atipica Delezione 17p13/ Mutazione p53 5-10% (fino a 30% in fase avanzata per selezione clonale) P53 (spesso associata a mutazione p53 nell’altro allele) Molto sfavorevole Resistente a terapia con alchilanti e analoghi purinici Delezione 6q21 3-7% sconosciuto Sfavorevole Linfocitosi elevata, morfologia atipica TABELLA 7 - Caratteristiche delle principali anomalie citogenetiche nella LLC. Fattori prognostici sono scarsamente responsivi o refrattari ai trattamenti e hanno sopravvivenza ridotta (attorno ai 2 anni dal momento in cui si rende necessario un trattamento). Migliori risultati, ancorchè ancora insoddisfacenti, si possono ottenere con antiCD52, alte dosi di metilprednisolone, lenalidomide, flavopiridolo e trapianto allogenico di cellule staminali (58). Tuttavia nell’ambito dei casi con 17p- il decorso può essere eterogeneo ed essere influenzato anche dallo stadio clinico e dallo stato mutazionale (59) Mutazioni di TP53, rilevabili con tecniche molecolari, sono peraltro riscontrabili anche in pazienti che non presentano delezione 17p (circa il 5% dei pazienti non trattati). I casi con mutazione di TP53 presentano caratteristiche cliniche aggressive analoghe a quelle dei casi con delezione 17p associata a mutazione di TP53 dell’allele (60). Ne deriva l’opportunità di testare per la delezione 17p e mutazione TP53 i pazienti da trattare (61). - La delezione 6q si riscontra nel 3-7% delle LLC. È associata a conta linfocitaria elevata, morfologia atipica, positività del CD38, IGVH non mutati e decorso aggressivo (62) - Traslocazioni che coinvolgono il cromosoma 14q32 (gene IGH) insieme con diversi altri partners cromosomici interessano complessivamente il 49% dei casi di LLC. Sono ancora limitati i dati circa il significato prognostico di tali anomalie (63). Stato mutazionale IGHV In circa la metà dei casi di LLC l’analisi dello stato mutazionale dei geni delle regioni variabili delle catene pesanti delle immunoglobuline (IGHV) evidenzia la presenza di ipermutazioni somatiche, mentre i restanti casi risultano non mutati (64-66). I casi non mutati presentano decorso più aggressivo, sopravvivenza inferiore e maggior frequenza di anomalie citogenetiche sfavorevoli e di altri fattori prognostici negativi (41). Tale diversità di aspetti biologici e clinici ha fatto ipotizzare che le due categorie di LLC (mutate e non-mutate) rappresentassero in realtà malattie diverse (67), tuttavia studi dell’espressione genica hanno dimostrato in entrambe un profilo sostanzialmente unico e caratteristico della malattia, fatta eccezione per un certo numero di geni tra cui quello della zeta associated protein 70 (ZAP-70) (68) (v. oltre). Lo stato mutazionale è risultato indipendente dai fattori prognostici tradizionali, e in particolare dallo stadio (69), e predittivo del tempo alla progressione e della sopravvivenza anche nei pazienti in stadio iniziale. La definizione dello stato mutato o non mutato richiede tecniche di analisi complesse e costose ed è basata su un valore soglia, per lo più definito come il 98% di omologia rispetto al gene della linea germinale. Tale valore soglia è risultato all’analisi statistica la discriminante migliore in grado di distinguere due gruppi di LLC con decorso assai differente (70). Nei casi con livelli di omologia ai limiti si consiglia la valutazione complessiva dei vari marcatori prognostici. Una prognosi sfavorevole analoga a quella dei casi non mutati è stata riscontrata anche nei casi di LLC mutati ma esprimenti il gene VH3-21 (71). Lo stato mutazionale viene attualmente considerato il marcatore prognostico di riferimento per la LLC. Marcatori “surrogati” dello stato mutazionale La distinzione di due forme di LLC in base allo stato mutazionale ne ha sottolineato l’importanza come parametro prognostico. Tuttavia la complessità dell’analisi, i costi e la disponibiltà non generalizzata dei laboratori per la sua corretta determinazione ne hanno finora limitato la diffusione e hanno stimolato la ricerca di altri marcatori biologici di più semplice impiego da usare come surrogati dello stato mutazionale. Tra di essi i più noti e impiegati sono lo studio dell’espressione di CD38 e/o ZAP-70 da parte delle cellule della LLC. CD38 È una glicoproteina trans-membrana multifunzionale che agisce sia come ecto-enzima sia come recettore. L’attività enzimatica è esplicitata dal dominio extra-cellulare, che possiede attività di adenilato ciclasi (72). Come recettore, mediante il legame a CD31 espresso dalle cellule stromali, determina un’iperespressione di CD100, una semaforina coinvolta nella proliferazione cellulare, per cui induce la proliferazione e aumenta la sopravvivenza delle cellule leucemiche (73). Il CD38 è stato il primo marcatore dimostratosi strettamente correlato con 27 28 Seminari di Ematologia Oncologica lo stato mutazionale, tanto da essere stato proposto come suo surrogato (66). La presenza di più del 30% di linfociti B esprimenti CD38 è stata considerata indicativa di un genotipo non mutato, e viceversa una positività <30% per il CD38 di un genotipo mutato, con una concordanza inizialmente riscontrata di oltre il 90%, ma rivelatasi in realtà inferiore negli studi successivi (70, 74). I soggetti con più del 30% di linfociti B esprimenti CD38 mostrano una sopravvivenza inferiore e una scarsa risposta ai trattamenti. Peraltro è da sottolineare che la soglia di rappresentatività del CD38 non è accettata in modo univoco e alcuni autori indicano come valore limite il 20% o addirittura il 7% dei linfociti B (42, 75). D’altra parte, sembra che la presenza di una popolazione leucemica CD38 positiva, ancorché di piccola entità, ma identificabile con certezza, possa determinare in modo significativo la prognosi della malattia (76). In realtà è stato dimostrato che la concordanza tra l’espressione di CD38 e lo stato mutazionale è solo parziale (variabile tra il 56 e il 75%) (40) e questi due parametri biologici risultano essere fattori prognostici indipendenti (77). Il CD38 rimane comunque un indiscusso fattore prognostico nella LLC e numerosi lavori dimostrano la sua correlazione con un decorso clinico più aggressivo, scarsa risposta alla terapia e breve sopravvivenza globale e l’associazione con altri marcatori prognostici sfavorevoli (42, 77). Un limite di questo marcatore è che la sua espressione può variare nel corso della malattia; non raramente (fino ad ¼ circa dei casi) infatti è possibile che aumenti in seguito a progressione di malattia o terapia (77). Questa variabilità ne limita il valore predittivo. Attualmente il CD38 più che un surrogato dello stato mutazionale viene generalmente considerato un importante marcatore prognostico complementare. Marcatore CD38 ZAP-70 ZAP-70 (zeta-associated protein 70) Questo importante marcatore prognostico è stato individuato confrontando il profilo genico dei casi di LLC mutati e non: tra i geni diversamente espressi nei due gruppi (peraltro con profilo generale comune e caratteristico) si distingueva in particolare ZAP-70 (68, 78) che codifica per una zeta-associated protein di 70 kDa. Si tratta di una tirosin-chinasi associata al recettore CD3 dei linfociti T, coinvolta nella trasduzione del segnale proveniente dal TcR (T-cell receptor) quando lega l’antigene. Normalmente è espressa dai linfociti T e NK, ma anche in alcune sottopopolazioni B (79) ed in varie neoplasie linfoidi B (80). La maggior parte dei linfociti B non possiede questa molecola, ma utilizza un’altra tirosin-chinasi associata, SyK, per la trasduzione del segnale dal complesso BcR (B-cell receptor). Non è nota la ragione per la quale i linfociti di una parte dei casi di LLC esprimono ZAP-70, ma è possibile che tale molecola funga da trasduttore del segnale in linfociti B deficitari di SyK (81) e contribuisca a potenziare il segnale dovuto alle IgM di membrana (82) determinando un vantaggio nella risposta migratoria e nella sopravvivenza e contribuendo probabilmente al comportamento clinico aggressivo (78, 83). L’espressione di ZAP-70 può essere valutata con vari metodi, come Western blotting, PCR quantitativa, immunoistochimica, tuttavia la tecnica più largamente diffusa nella pratica clinica è senz’altro la citometria a flusso su sangue periferico (84). Quest’ultima risulta la tecnica più utilizzata nella routine, grazie alla sua praticità e velocità, ed è la tecnica impiegata nella maggior parte dei numerosi studi che hanno dimostrato l’importanza dell’espressione di ZAP-70 come marcatore prognostico nei pazienti con LLC (85-88). La soglia di positività è stata fissata al 20% dei lifociti B. Una valida alternativa alla citofluorimetria è rappresen- Tecnica Soglia Concordanza con IGHV Valore prognostico Citofluorimetria 30% (20%, 7%) 56-75% Indipendente Citofluorimetria immunoistochimica 20% + 70-93% Indipendente TABELLA 8 - LLC: principali marcatori surrogati dello stato mutazionale IGHV. Fattori prognostici FIGURA 2 - LLC - valutazione dell’espressione di ZAP-70 mediante citofluorimetria su sangue periferico: a) caso ZAP-70 negativo (1% di cellule B CD19+/ZAP-70+); b) caso ZAP-70 positivo (86% di cellule B CD19+/ZAP-70+). I linfociti T presenti risultano CD19-/ZAP-70+. tata dall’analisi immunoistochimica su biopsia osteo-midollare i cui risultati si sono rivelati altrettanto affidabili (90, 91). La validità di ZAP-70 come fattore prognostico è stata dimostrata da numerosi studi clinici, che hanno messo in evidenza come l’espressione di questa proteina correli con un andamento clinico più aggressivo, sopravvivenza più breve e necessità di trattamento precoce (86-88). Inizialmente proposto come surrogato dello stato mutazionale IgHV per la sua notevole diversità di espressione nei casi non mutati rispetto ai mutati, ZAP-70 si è rivelato un marcatore prognostico indipendente e fortemente predittivo in termini sia di tempo alla progressione che di sopravvivenza totale anche nei pazienti in stadio iniziale (89). In realtà la concordanza tra espressione di ZAP-70 e stato mutazionale non è completa, o quasi, come inizialmente segnalato; infatti i casi discordanti variano tra il 7 e il 30% a seconda delle casistiche e soprattutto delle metodiche impiegate (40). Alcuni dei casi ZAP-70 positivi ma IGHV mutati sono risultati esprimere il gene VH3-21 e viceversa in alcuni casi non mutati ma ZAP-70 negativi sono state rilevate anomalie citogenetiche sfavorevoli (11q- o 17p-) (92). I casi discordanti presentano comunque in genere prognosi intermedia (87). Un limite all’affidabilità di ZAP-70 è rappresenta- FIGURA 3 - LLC - valutazione dell’espressione di ZAP-70 mediante immunoistochimica su biopsia osteomidollare: nel riquadro a sinistra area midollare estesamente infiltrata da cellule leucemiche ZAP-70+, a destra risultano positivi solo sparsi linfociti T (Gentile concessione di Marco Chilosi). 29 30 Seminari di Ematologia Oncologica to dalle problematiche inerenti alla standardizzazione delle metodiche citofluorimetriche, non ancora del tutto risolte e riguardanti in particolare la scelta del campione e dell’anticorpo e le tecniche di fissazione e permeabilizzazione. Quanto alla stabilità dell’espressione di questo marcatore nel corso della malattia, a fronte di alcune segnalazioni di variazione del dato citofluorimetrico (43), esso viene generalmente ritenuto sostanzialmente costante dalla maggioranza dei clinici. Data l’arbitrarietà della soglia, per la maggior parte degli studi fissata al 20% dei linfociti B neoplastici, i casi che presentassero valori vicini alla soglia dovrebbero essere attentamente valutati nel contesto di altri fattori. L’espressione di ZAP-70 è di fatto attualmente considerata, accanto alla citogenetica (FISH) e allo stato mutazionale, uno dei marcatori prognostici più rilevanti per la LLC. Nello studio condotto su oltre 1.000 pazienti dal Consorzio Internazionale per la LLC (86) volto a confrontare l’impatto sfavorevole dell’espressione di ZAP-70 sul decorso della LLC emerge che tale fattore non viene influenzato dallo stato mutazionale IGHV, mentre tra i casi ZAP-70 negativi quelli con IGHV non mutati hanno prognosi peggiore (tempo al trattamento inferiore). Questo studio se da un lato rafforza il valore prognostico di ZAP-70 (non più semplice surrogato), dall’altro evidenzia come l’impiego combinato di più marca- tori possa migliorare le capacità prognostiche dei singoli casi. Tuttavia, un altro studio (92) ha identificato lo stato mutazionale IGHV, l’uso di V3-21 e le anomalie genomiche sfavorevoli, ma non l’espressione di ZAP-70 come fattori prognostici indipendenti, peraltro evidenziando come quest’ultime fossero frequenti nei casi discordanti ZAP-70 negativi. Analogamente, valutando la combinazione di FISH, stato mutazionale IGHV ed espressione di CD38 in pazienti in stadio iniziale si è rilevato che la presenza di delezione 17p configura un rischio elevato indipendentemente dallo stato mutazionale, mentre la delezione 11q comporta una prognosi intermedia, analoga a quella dei casi IGHV non mutati (93) (Figura 4). L’impiego combinato dei principali marcatori può verosimilmente contribuire a migliorare le capacità predittive nei singoli pazienti (43, 87, 88). Altri marcatori biologici - Lipoprotein-lipasi (LPL). Tra i geni la cui espressione ha dimostrato una forte correlazione con lo stato mutazionale (68). LPL è un enzima legato ai glicosaminoglicani che compongono l’endotelio, particolarmente abbondante nel muscolo, nel tessuto adiposo e nei macrofagi e gioca un ruolo centrale nel metabolismo e trasporto dei lipidi (94). L’espressione del mRNA della LPL è risultata aumentata nei casi di LLC con IGVH non FIGURA 4 - LLC: sopravvivenza in base a stato mutazionale IGHV e citogenetica sfavorevole (92, modificata). Fattori prognostici mutati e si è evidenziato il suo ruolo come fattore prognostico indipendente (94, 95). Si è riscontrato che l’espressione di LPL è selettiva nei linfociti leucemici (94) e che i livelli di espressione sono strettamente correlati allo stato mutazionale, con una concordanza variabile tra il 76 e il 90% (40). Da sottolineare che gli elevati livelli di LPL sono associati ad un decorso clinico più aggressivo, con un breve intervallo libero da trattamento e ridotta sopravvivenza globale (96). - ADAM29 (a disintegrin and metalloproteinase 29). Il gene codifica per una proteina coinvolta nelle interazioni cellula-cellula e cellula-matrice, appartenente alla famiglia delle disintegrine e metalloproteinasi trans-membrana. Studi di profilo genico hanno evidenziato che i casi di LLC con IGVH mutati esprimono livelli più elevati di questo gene (94). È possibile pertanto che l’associazione di LPL e di ADAM29 possa aumentarne la specificità come fattori prognostici. Questo marcatore è stato valutato in associazione a LPL: un rapporto aumentato (>1) tra espressione (mRNA) di LPL e ADAM29 è risultato infatti marcatore prognostico indipendente per sopravvivenza libera da eventi (94). - AID (Activation-induced cytidine Deaminase). È un enzima essenziale per il processo di ipermutazione somatica delle immunoglobuline. Livelli aumentati di mRNA di AID sono stati riscontrati nelle CLL ad alto rischio (non mutate) e nei casi positivi per AID si è osservata una maggior frequenza di anomalie citogenetiche sfavorevoli, LDH aumentato e positività di CD38 (97, 98). - CLLU1. Si tratta di un gene (CLL upregulated gene 1), individuato da un gruppo danese (99) e situato sul cromosoma 12q22 (ma non coinvolto nella delezione 12), la cui elevata espressione è risultata caratteristica dei casi di LLC a prognosi sfavorevole. L’aumentata espressione di CLLU1 è correlata ad altri marcatori quali stato mutazionale, ZAP-70, CD38 e predittiva di tempo al trattamento e di sopravvivenza globale inferiori (100). Un aumento dell’espressione del mRNA di CLLU1 è risultato fattore prognostico indipendente, ma solo in pazienti di età <70 anni. I dati al riguardo sono tuttavia contrastanti (101). - CD49d. Il CD49d/integrina alfa 4 è una molecola di adesione per la matrice extracellulare la cui aumentata espressione sulla superficie delle Marcatore Tecnica Valore prognostico indipendente LPL: lipoprotein-lipasi/ /ADAM29 PCR + AID: Activation-Induced cytidine Deaminase PCR ± PCR, FISH ± citofluorimetria + PCR, FISH ± CLLU1: CLL Upregulated Gene 1 CD49d/ integrina alfa 4 Lunghezza telomeri/ telomerasi TABELLA 9 - LLC: marcatori prognostici biologici aggiuntivi. cellule di LLC è risultata associata a stadio avanzato di malattia, positività di CD38 e ZAP-70 e con stato IGHV non mutato. Un’elevata espressione di CD49d (superiore alla soglia del 30%) è risultata fattore prognostico indipendente sia per la sopravvivenza che per il tempo al trattamento (102, 103). - Lunghezza dei telomeri ed attività della telomerasi. La lunghezza dei telomeri, costituiti da sequenze ripetute di DNA atte a stabilizzare la struttura dei cromosomi, è inversamente proporzionale alla storia replicativa delle cellule; d’altronde l’attività telomerasica, volta a contrastare l’accorciamento dei telomeri dovuto alle divisioni cellulari, è aumentata nelle cellule maggiormente proliferanti. Nei linfociti della LLC è stata rilevata una correlazione inversa tra lunghezza dei telomeri ed attività telomerasica. I casi con telomeri più corti hanno mostrato un andamento più aggressivo, una maggiore frequenza di fattori prognostici sfavorevoli (citogenetica, ZAP-70, CD38) (104, 105) ed un rischio più elevato di evoluzione in Sindrome di Richter (106). Marcatori di angiogenesi e del microambiente In base ai più recenti concetti sulla patogenesi della LLC l’aumentata sopravvivenza delle cellule leucemiche dipende, oltre che da difetti nei meccanismi di apoptosi, anche da fattori estrinseci che derivano dal microambiente e che consistono sia 31 32 Seminari di Ematologia Oncologica in interazioni dirette cellula-cellula e cellula-matrice, sia mediate da fattori solubili (107). È noto inoltre come le cellule di LLC, attraverso la produzione di fattori proangiogenetici, possano indurre la formazione di nuovi vasi che favoriscono la sopravvivenza e la disseminazione in circolo delle cellule stesse (108). Alcune molecole del microambiente sono state messe in relazione al decorso clinico della malattia e vengono oggi comprese nell’ampio panorama dei fattori di prognosi. Essi sono APRIL, e i fattori propriamente angiogenetici: angiopoietina2 (Ang2) e VEGF. - APRIL (A Proliferation Inducing Ligand). È un membro della superfamiglia del TNF (Tumor necrosis factor), sintetizzato come proteina transmembrana omotrimerica di tipo II e rilasciato in forma biologicamente attiva nel compartimento extracellulare prevalentemente in forma solubile. Prodotta da cellule del microambiente ematopoietiche e non dalle cellule tumorali stesse, APRIL si lega ai recettori BCMA (B Cell Maturation Antigen), TACI (Transmembrane activator and calcium modulator and cyclophilin ligand interactor) e verosimilmente anche HSPGs (heparan sulphate proteoglycans), innescando una cascata di trasduzione del segnale a valle che converge sulla via canonica di NF-kB (109). Nella LLC APRIL aumenta la sopravvivenza dei linfociti maligni sia attraverso un meccanismo paracrino essendo prodotto dalle cellule del microambiente, sia tramite un circuito autocrino. Recentemente è stata infatti dimostrata un’aumentata espressione del trascritto di APRIL da parte dei linfociti maligni e la presenza sulla loro superficie dei recettori TACI e BCMA (110, 111) Il coinvolgimento di APRIL nella patogenesi della LLC ha indotto a studiarne il ruolo prognostico. Si è evidenziato che concentrazioni sieriche di APRIL sopra la mediana correlano con ridotta sopravvivenza (112, 113). - ANG-2 (Angiopoietina-2) e VEGF. ANG-2 è una glicoproteina di 75 kDa che si lega al recettore tirosin-chinasico Tie-2 posto sulla superficie delle cellule endoteliali ed opera in concerto con VEGF nel promuovere il rimodellamento e la formazione di nuovi vasi. Prodotto e immagazzinato dalle cellule endoteliali, ANG-2 è prodotto anche da cellule neopla- stiche e compete con il ligando fisiologico di Tie2, ovvero angiopoietina-1, fattore che promuove la maturazione e l’integrità strutturale delle cellule endoteliali in condizioni normali. ANG-2 attiva e altera le cellule endoteliali pre-esistenti e VEGF promuove la migrazione e la proliferazione di nuove cellule endoteliali producendo così nuovi vasi (114). La conoscenza del ruolo angiogenetico di ANG-2 e VEGF nelle neoplasie, deriva da studi preliminari relativi a tumori solidi, ma è stato riportato anche recentemente che ANG-2 e VEGF vengono prodotti, soprattutto in condizioni di ipossia, anche dalle cellule di LLC dove tali fattori promuovono la formazione di nuovi vasi in modo paracrino attraverso interazioni reciproche con le cellule endoteliali del microambiente (115). Diverse osservazioni suggeriscono l’ipotesi di una correlazione nella LLC tra elevata angiogenesi e aggressività di malattia. In particolare è stato dimostrato come la densità vascolare midollare, aumentata nei pazienti affetti da LLC rispetto ai controlli, sia in grado di predire il tempo libero da progressione negli stadi inziali di malattia (116). Uno studio recente condotto su un’ampia casistica di pazienti, ha dimostrato come elevati livelli di ANG-2 in pazienti affetti da LLC correlino in modo significativo con lo stadio avanzato di malattia secondo Binet, livelli aumentati di b2microglobulina, IGVH non mutato e citogenetica sfavorevole. Inoltre, ANG-2 rappresenta un fattore di rischio indipendente nel predire l’intervallo di tempo al primo trattamento e la sopravvivenza globale. Nello stesso studio è stato dimostrato come anche livelli di VEGF più elevati siano correlati con un tempo al primo trattamento più breve (117). Quest’ultimo dato è in linea con studi precedenti in cui era emerso come il livello di VEGF fosse in grado di predire la sopravvivenza libera da malattia in pazienti con malattia in stadio A di Binet (118). n CONCLUSIONI Per la maggior parte dei numerosi marcatori di tipo biologico proposti negli ultimi anni per la LLC non sono disponibili dati sufficienti a validarne l’impiego come fattori prognostici indipendenti. Fanno eccezione la citogenetica, lo stato mutazionale Fattori prognostici IGHV e, sebbene in misura minore, ZAP-70 e CD38, ormai entrati nell’uso clinico comune in molti centri al fine di orientare le previsioni prognostiche dei pazienti alla diagnosi. Il dato citogenetico può talora indirizzare la scelta terapeutica (come nel caso di delezione 17p/mutazione p53), ma ancora si discute se la decisione di avviare un trattamento possa basarsi sul profilo prognostico e non piuttosto sui criteri clinici di malattia in progressione (45). Ringraziamenti I dati personali riportati nella review sono stati prodotti nell’ambito di progetti di ricerca finanziati da: Regione Veneto “Ricerca Sanitaria Finalizzata”; “Fondazione G. Berlucchi per la Ricerca sul Cancro”; AIRC - Associazione Italiana Ricerca sul Cancro e Fondazione CARIVERONA. n BIBLIOGRAFIA 1. Chiorazzi N, Rai KR, Ferrarini M. Chronic lymphocytic leukemia. N Engl J Med. 2005; 352: 804-15. 2. Rai KR, Sawitsky A, Cronkite EP, Chanana AD, Levy RN, Pasternack BS. Clinical staging of chronic lymphocytic leukemia. Blood. 1975; 46: 219-34. 3. Binet JL, Auquier A, Dighiero G, Chastang C, Piguet H, Goasguen J, et al. A new prognostic classification of chronic lymphocytic leukaemia derived from a multivariate survival analysis. Cancer. 1981; 48: 198-206. 4. Muntañola A, Bosch F, Arguis P, Arellano-Rodrigo E, Ayuso C, Giné E, et al. Abdominal computed tomography predicts progression in patients with Rai stage 0 chronic lymphocytic leukemia. 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Leukemia and Lymphoma. 2001; 42: 603-7. 39 Linfocitosi B monoclonale LYDIA SCARFÒ1-3, PAOLO GHIA1,2,4 1 Laboratorio di Neoplasie Linfoidi B, Divisione di Oncologia Molecolare, Università Vita-Salute San Raffaele, Milano; 2 Unità Linfomi, Dipartimento di Oncologia, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano; 3 Ematologia, Università degli Studi di Ferrara, Ferrara; 4 Università Vita-Salute San Raffaele, Milano n INTRODUZIONE Nonostante la presenza di popolazioni monoclonali di linfociti B nel sangue periferico di soggetti adulti altrimenti sani sia un fenomeno descritto da più di 25 anni (1), l’entità diagnostica della linfocitosi B monoclonale (MBL) è stata solo recentemente oggetto di inquadramento e definizione (2). Con l’affinamento delle metodiche di laboratorio ed in particolare della citofluorimetria multiparametrica, il riscontro di espansioni B cellulari, in assenza di segni e sintomi di patologia linfoproliferativa, è divenuto relativamente frequente, creando la necessità di definire meglio la natura di tale condizione. Bisogna infatti considerare che, in più del 75% dei casi, la popolazione B cellulare clonale è fenotipicamente indistinguibile dalle cellule neoplastiche della leucemia linfatica cronica (LLC) (2, 3). La LLC è la forma di leucemia più frequente negli adulti del mondo occidentale; secondo dati SEER aggiornati al quinquennio 2003-2007 l’inParole chiave: linfocitosi B monoclonale, leucemia linfatica cronica, invecchiamento del sistema immunitario Indirizzo per la corrispondenza Paolo Ghia Laboratorio di Neoplasie Linfoidi B Divisione di Oncologia Molecolare Università Vita-Salute San Raffaele c/o 4A3, Via Olgettina, 58 - 20122 Milano E-mail: [email protected] Paolo Ghia cidenza, ponderata per età, di tale patologia si aggira intorno a 4.2 per 100.000 persone per anno, caratteristicamente più frequente negli individui di sesso maschile ed in aumento con l’avanzare dell’età. L’età media alla diagnosi è infatti pari a 72 anni, con il 69.2% dei casi diagnosticato in individui di età superiore a 65 anni, mentre solo l’1.7% delle diagnosi viene effettuato in persone di età compresa tra i 20 e i 44 anni (4). Nel corso degli ultimi 50 anni si è assistito ad importanti modificazioni dei criteri diagnostici della LLC e grazie al miglioramento delle metodiche di laboratorio e alla diffusione della citofluorimetria, le caratteristiche cliniche all’esordio e l’incidenza stessa della malattia sono radicalmente cambiate (5). Negli anni ’70, infatti, la diagnosi di LLC in pazienti senza linfoadenopatie, epatosplenomegalia o citopenie, che quindi esibivano quale unica caratteristica patologica una linfocitosi a livello del sangue periferico (stadio 0 di Rai), si basava su un numero di linfociti circolanti di almeno 15.000 per μl (6); le linee guida del National Cancer Institute (NCI), elaborate circa 20 anni dopo, abbassavano la soglia a 5.000 (7, 8). Nelle nuove linee guida dell’International Workshop on Chronic Lymphocytic Leukemia (IWCLL) pubblicate nel 2008 (9), in considerazione della vasta diffusione di metodiche di citofluorimetria in grado di distinguere le diverse sottopopolazioni linfocitarie ed allo scopo di non catalogare erroneamente come affetti da LLC i pazienti con linfocitosi T reattiva, il parametro di riferimento per la diagnosi di LLC è divenuto la 40 Seminari di Ematologia Oncologica presenza, a livello del sangue periferico, di un numero di linfociti B (CD19+) pari o superiore a 5.000 per μl. È rimasto invece inalterato negli anni il requisito del riscontro del tipico immunofenotipo della LLC, caratterizzato dall’espressione di marcatori B-cellulari (alcuni espressi ad intensità ridotta, quali CD20 (10) e le immunoglobuline di superficie), associati alla positività per CD23 e CD5 (quest’ultimo tipicamente espresso nei linfociti T ed in una piccola sottopopolazione dei linfociti B normali). Grazie a questo assetto fenotipico caratteristico, la sensibilità della citofluorimetria a quattro colori permette attualmente di rilevare una cellula LLC tra 10 000 cellule normali, rivelandosi utile anche per l’analisi della malattia minima residua nel contesto di studi clinici controllati (11). Per questo motivo, il riscontro di espansioni B linfocitarie, anche minime, con caratteristiche immunofenotipiche simili alla LLC, negli individui sani è divenuto sempre più frequente ed ha portato alla definizione dell’entità diagnostica della MBL, creata nel 2005. Con questo termine si indica la presenza di linfociti B monoclonali nel sangue periferico, in assenza di linfoadenopatie, organomegalia o sintomi B, e con una concentrazione inferiore a 5.000 per μl, il cut-off numerico al di sopra del quale, come sopra enunciato, si deve porre diagnosi di LLC (9). Poichè la MBL LLC-simile è fenotipicamente indistinguibile dalla LLC vera e propria, l’assegnazione all’una od all’altra categoria dipende sostanzialmente dal valore numerico dei linfociti B. La creazione di una categoria diagnostica riservata alla MBL ha posto quindi le basi necessarie per garantire l’uniformità e la possibilità di confronto di studi a carattere epidemiologico e biologico. La definizione e la caratterizzazione della linfocitosi B monoclonale come entità a sé e l’analisi della relazione tra MBL e LLC sono state oggetto di intensa ricerca negli ultimi anni, che ha prodotto una notevole mole di risultati, dando spazio ad un acceso dibattito sulla natura della MBL e sul suo potenziale rischio di evoluzione in LLC (12). Un più preciso inquadramento biologico e clinico della MBL riveste infatti un ruolo chiave sotto almeno tre aspetti: in primo luogo, a seguito del diffuso miglioramento delle tecniche di rilevazione, è prevedibile che il riscontro di individui affetti da MBL nella pratica clinica quotidiana diventi un fenomeno progressivamente più frequente, con la gestione del quale il clinico dovrà sempre più spesso confrontarsi. Inoltre, come illustrato in seguito, dato che una quota, seppur minoritaria, di individui affetti da MBL progredisce a franca LLC, chiarire i fattori che determinano questa evoluzione è importante dal punto di vista clinico per la necessità di stabilire un follow up che sia il più possibile adattato al paziente. Infine, come verificatosi in passato per altre condizioni, una più approfondita comprensione delle caratteristiche biologiche della potenziale lesione pre-neoplastica può costituire un punto di partenza privilegiato per capire la biologia della malattia. n DEFINIZIONE E CARATTERISTICHE IMMUNOFENOTIPICHE Come premesso, la definizione di MBL prevede il riscontro di un’espansione B cellulare con caratteristiche immunofenotipiche peculiari e la restrizione del rapporto kappa/lambda, indice della presenza di una popolazione monoclonale (2, 13). Anche se il sottotipo più frequente di MBL è quello fenotipicamente identico alla LLC, bisogna ricordare che esistono anche altre due sottocategorie (Tabella 1 e Figura 1). - MBL con fenotipo di LLC atipica: positivo per la presenza di CD5 e CD19, con variabile espressione di CD23, ma con CD20 e immunoglobuline di superficie espressi ad elevata intensità. Poiché il linfoma mantellare, un sottotipo di linfoma non Hodgkin a decorso tendenzialmente aggressivo, condivide le stesse caratteristiche immunofenotipiche di questa variante, nei casi di MBL LLC-atipica CD23 negativa è importante ricercare, nella popolazione B-cellulare aberrante, la presenza della traslocazione (11; 14), propria del linfoma mantellare, allo scopo di evitare il potenziale mancato riconoscimento di questa patologia; - MBL con fenotipo non-LLC: negativo per CD5, ma anche per altri marcatori tipici di altre malattie linfoproliferative quali CD10 (espresso nei linfomi follicolari); presenta un immunofenotipo simile a quello dei linfomi della zona marginale. Linfocitosi B monoclonale CRITERI DIAGNOSTICI 1. Riscontro documentato di una popolazione B-cellulare clonale1 tramite uno o più dei seguenti parametri: A. Restrizione delle catene leggere: - rapporto kappa/lambda >3:1 or <0.3:1 oppure - più del 25% dei linfociti B privi dell’espressione o con espressione a bassa intensità delle immunoglobuline di superficie B.Riarrangiamenti IGHV monoclonali delle catene pesanti 2. Presenza di un immunofenotipo malattia-associato2 3. Valore assoluto dei linfociti B <5x109 cellule/L 4. Nessuna altra caratteristica suggestiva di disordine autoimmune o linfoproliferativo A. Esame obiettivo nei limiti di norma (assenza di linfoadenopatie o organomegalie) B.assenza di sintomi B (e.g. astenia, calo ponderale, sudorazioni notturne, febbricola serotina) attribuibili a linfoma non Hodgkin (LNH) C.Assenza di malattie autoimmuni o infettive in atto SOTTOCLASSIFICAZIONE: A. Fenotipo LLC-simile - coespressione di CD5 e CD19, CD20 a bassa intensità (dim) e CD23 - restrizione della catena leggera con bassa intensità (dim) di espressione delle immunoglobuline di superficie (cloni MBL di minima entità possono essere oligoclonali e perciò non esibire restrizione di catene leggere) B.Fenotipo LLC atipica - coespressione di CD5 e CD19; CD20 espresso ad alta intensità (bright); possibile negatività per CD23 - restrizione della catena leggera con intensità di espressione delle immunoglobuline di superficie da moderata a intensa - consigliata ricerca della t(11;14) per escludere il linfoma mantellare C.Fenotipo Non-LLC - negatività per CD5 - espressione di CD20 normale o elevata - restrizione della catena leggera con intensità di espressione delle immunoglobuline di superficie da moderata a intensa 1 Se possibile, determinazioni ripetute dovrebbero dimostrare la stabilità della popolazione B-cellulare monoclonale per un periodo di almeno 3 mesi. In assenza di un immunofenotipo malattia-associato, la restrizione del rapporto kappa/lambda può derivare da un processo reattivo. 2 TABELLA 1 - Criteri diagnostici e sottoclassificazione della MBL [adattato da (13)]. FIGURA 1 - Sottoclassificazione sulla base dell’immunofenotipo della MBL (Gentile concessione di Claudia Fazi, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano). 41 42 Seminari di Ematologia Oncologica n STUDI DI POPOLAZIONE E STUDI CLINICI: QUALI DIFFERENZE? Quando furono introdotti nel 2005, i criteri di diagnosi della MBL prevedevano la determinazione citofluorimetrica di un cluster con un numero minimo di 50 eventi costituiti da linfociti B monoclonali, ma non specificavano un metodo citofluorimetrico standard. La frequenza con cui tale parametro può essere riscontrato quindi è molto variabile e dipende da vari fattor tecnici quali l’approccio citofluorimetrico di elezione, il numero di eventi acquisiti e la combinazione di anticorpi impiegata. Un altro importante parametro da tenere in considerazione è la tipologia di individui che vengono studiati ed in particolare se tale condizione viene riscontrata in: • studi di popolazione: comprendono studi svolti su soggetti sani o comunque con disturbi di tipo non ematologico né neoplastico; i partecipanti a questo tipo di studi mostrano un esame emocromocitometrico nei limiti di norma. Una categoria particolare di studi di popolazione, intesi appunto come indagini rivolte ad individui sani con parametri ematici non alterati, è rappresentata dalle indagini effettuate nei membri di in famiglie con elevata incidenza di LLC (cosiddette LLC familiari, analizzate appunto in studi familiari); • studi clinici: effettuati su pazienti con rilievo di linfocitosi all’esame emocromo, che non soddisfano i criteri diagnostici per la LLC o per altri disordini linfoproliferativi, infettivi o autoimmuni. Nella definizione di MBL risultano con ogni probabilità incluse, quindi, entità cliniche e biologiche differenti, seppur indistinguibili dal punto di vista immunofenotipico, come dimostrato dall’analisi cumulativa dei dati registrati a livello mondiale (14). Nella revisione critica dei principali studi pubblicati è perciò importante differenziare il tipo di MBL studiato (a bassa conta vs associata a linfocitosi) ed il contesto di partenza (popolazione generale vs famiglie ad alto rischio per LLC vs ambito clinico), allo scopo di inquadrare correttamente i molteplici, e talvolta contrastanti, risultati attualmente disponibili. Studi di popolazione I primi studi di popolazione, intesi a determinare l’esistenza e l’incidenza di popolazioni di linfociti B monoclonali, furono pianificati nei primi anni ’90 negli Stati Uniti, nell’ambito di studi ambientali volti a chiarire il ruolo della residenza in aree ad elevato inquinamento come fattore predisponente per lo sviluppo di un’ampia varietà di disturbi (15, 16). Tra il 1991 ed il 1994, 1926 partecipanti, residenti in aree inquinate dal punto di vista ambientale ed in zone più salubri di confronto, furono sottoposti ad una serie di tests, comprendente l’analisi delle sottopopolazioni linfocitarie (linfociti B, T, NK e subsets di specifico interesse), con metodiche di citofluorimetria a 2 colori. Il pannello immunofenotipico iniziale non prevedeva la ricerca di popolazioni clonali tramite determinazione del rapporto kappa/lambda, ma gli individui che presentavano un incremento dei linfociti B venivano sottoposti a test aggiuntivi per la ricerca di un eventuale popolazione clonale. Un clone B fu riscontrato in 11 soggetti, di età compresa tra 47 e 72 anni; 2 di questi vennero in seguito esclusi dall’analisi in quanto risultati affetti da LLC. La prevalenza globale di MBL nella popolazione campione di età superiore a 45 anni si rivelò di conseguenza pari allo 0.6% (9/1499). Sei persone (delle 9 iniziali) vennero seguite nel tempo, e in tutti fu confermata la persistenza del clone. Nel corso degli studi successivi, furono riscontrati altri 2 casi grazie alla determinazione del rapporto kappa/lambda nello screening iniziale. Ad un duplice follow up a distanza di 3 e 9 anni, 3 (37%) rimasero stabili, 3 (37%) risultarono deceduti per cause non correlate, ad un partecipante con MBL fu diagnosticata una macroglobulinemia di Waldenström, stabile nel tempo, ed infine un altro soggetto sviluppò una LLC, causa del decesso al momento del secondo follow up (2003). Successive analisi di screening su donatori di sangue confermarono nel complesso una bassa frequenza della MBL (17, 18), e fu solo qualche anno più tardi, quindi, che, grazie a metodiche citofluorimetriche più avanzate, venne correttamente inquadrata la reale entità del fenomeno. In particolare, in Inghilterra Rawstron et al. (19) scelsero di analizzare una popolazione di individui con esame emocromocitometrico normale, ricorsi alle cure mediche presso una struttura Linfocitosi B monoclonale ospedaliera per motivazioni non connesse con potenziali patologie ematologiche e con anamnesi negativa per neoplasie. Vennero utilizzati due pannelli citofluorimetrici a quattro colori comprendenti le combinazioni di anticorpi contro CD20/CD79b/CD19/CD5 e κ/λ/ CD19/CD5, con l’acquisizione di un numero più elevato di eventi totali (almeno 200.000). Furono valutati 910 campioni di sangue periferico (425 da uomini e 485 da donne, di età superiore ai 40 anni), bilanciati in maniera da riprodurre, seppur su scala ridotta, la distribuzione per sesso ed età della popolazione britannica. In tale gruppo campione la prevalenza della MBL con caratteristiche simili alla LLC risultò pari al 3.5%, delineandosi un netto incremento in proporzione all’età (2.1% negli individui di età compresa tra 40 e 60 anni, a confronto con 5.0% nei soggetti di età superiore a 60 anni) ed al sesso (con una chiara predominanza maschile) (Figura 2). In 9/910 individui (1.0%) fu individuata, grazie allo sbilanciamento del rapporto kappa/lambda, una popolazione monoclonale CD5-negativa. Da segnalare che il numero assoluto di linfociti B LLC-simili riscontrati risultava molto basso, con un valore assoluto mediano di 13 per μl (da un minimo di 3 ad un massimo di 1.458 per μl), ed un valore percentuale mediano, rispetto al totale dei linfociti B, dell’11% (compreso tra 3 e 95%). Avvalendosi di un approccio citofluorimetrico analogo, Ghia et al. (20) ricercarono la presenza di popolazioni B cellulari monoclonali in 500 individui di età superiore a 65 anni (269 donne e 211 uomini), sottoposti a prelievo ematico per esami di routine (essenzialmente emocromo ed assetto lipidico), in assenza di linfocitosi o altre alterazioni dei parametri ematici e con anamnesi negativa per patologie oncologiche. L’età media della popolazione risultava pari a 73.7 anni (range 6598 anni) e lo studio fu effettuato in un lasso temporale di circa 20 mesi allo scopo di escludere eventuali distorsioni stagionali, potenzialmente in grado di inficiare i risultati dell’analisi. La frequenza cumulativa di MBL LLC-simili in questa popolazione si presentava pari a 5.5% con un valore molto simile al 5% rilevato nello studio inglese negli individui di età superiore a 60 anni, indicando l’universalità del fenomeno MBL, risultato indipendente da fattori geografici. Anche in questa popolazione veniva riscontrato un chiaro incre- 80 Frequenza MBL (%) 60 Inghilterra Italia 40 Spagna 20 0 18-40 40-49 50-59 60-69 70-79 80-89 ³90 Età (anni) FIGURA 2 - Prevalenza della MBL LLC-simile nelle diverse fasce d’età in relazione al numero di fluorescenze utilizzate e di eventi acquisiti. Inghilterra (19, 24): 4 fluorescenze, 200.000 eventi acquisiti; Italia (21): 5 fluorescenze, 500.000 eventi acquisiti; Spagna (23): 8 fluorescenze, 5.000.000 eventi acquisiti. 43 44 Seminari di Ematologia Oncologica mento di prevalenza con l’avanzare dell’età, particolarmente evidente negli individui di età superiore a 75 anni. In valore percentuale, il clone LLCsimile costituiva tendenzialmente una proporzione molto bassa dei linfociti B (media 1.8%, range 0.7-4%), con un valore medio di linfociti B CD19+ pari a 165 per μl, compreso tra un minimo di 85 ed un massimo di 264 per μl. Più recentemente Ghia et al. (21) hanno analizzato per la prima volta la prevalenza della MBL in una popolazione di individui arruolati in un progetto non inteso a chiarire uno specifico problema di salute, ma a valutare il ruolo della componente genetica nel potenziale sviluppo di comuni malattie (ad esempio, ipertensione arteriosa, osteoporosi, disturbi tiroidei). In tale contesto 1.725 individui di età superiore a 18 anni, residenti in una valle isolata dell’Italia del Nord, sono stati sottoposti a caratterizzazione immunofenotipica utilizzando un pannello a cinque colori ed acquisendo un totale di 500.000 eventi, incrementando così la sensibilità della metodica. Il numero totale di MBL rilevate corrispondeva a 128 (7.4%) e, come previsto, le MBL LLC-simili rappresentavano la maggioranza dei casi (89/128) con una prevalenza pari al 5.2% dell’intera coorte e 6.7% tra gli individui >40 anni di età. Le MBL LLC atipica e le MBL non-LLC risultavano rispettivamente 19/128 e 20/128. È interessante notare che l’età media dei soggetti con MBL era pari a 66.9 anni, che la frequenza di tale condizione si confermava più elevata negli individui di sesso maschile e appariva aumentare in maniera significativa con l’avanzare dell’età, come dimostrato dal fatto che, nel gruppo di partecipanti di età superiore a 90 anni, un clone MBL Parametri Shim Yk et al.,2007 (16) Rawstron AC et al., 2002 (19) Ghia P et al., 2004 (20) Età media (range) 53.0 anni (42-70)@ 1926 N.V. 2 57 (40-89) 910 200.000 4 73.7 anni (65-98) 500 200.000 4 74.0§ anni (62-80) 1520 200.000 4 55.2 anni (18-102) 1725 500.000 5 62.0 anni (40-97) 608 5.000.000 8 11/1926 (0.57%) 32/910 (3.5%) 22/442 (5.0%) 22/500 (5.5%) 22/500# (5.5%) 78/1520 (5.1%) 78/1520 (5.1%) 89/1725 (5.2%) 69/770 (9.0%) 73/608 (12.0%) N.V. (>20%*) 17/20 (85.0%) 3/20 (15.0%) IGHV3-07, IGHV 3-23, IGHV 4-34 36/51 (70.5%) 15/51 (29.5%) IGHV4-59, IGHV4-61 2/7 (28.5%) 5/7 (71.4%) N.V. Partecipanti Eventi acquisiti N° di fluorescenze Prevalenza MBL LLC-simile • intera coorte • >60 anni Parametri biologici: Omologia geni IGHV • Mutati • Non mutati N.V. - 3/3 (100%) 0/3 N.V. - Utilizzo geni IGHV N.V. IGHV3-21 IGHV3-74 N.V. FISH • Del13q • +12 • Del11q Del17p N.V. - N.V. - N.V. - Rawstron AC Dagklis A et al., 2008 (27) and Fazi C (27) et al., 2009 (21) 15/38 (39.5%) 4/22 (18.2%) 0/21 0/10 N.V. - N.V. non valutabile; *calcolato sulla base dei dati in (23);§età mediana; #età >65 anni; @età mediana, 10°-90° percentile. TABELLA 2 - Parametri clinici e biologici analizzati nei principali studi di popolazione [adattato da (26)]. Nieto WG et al., 2009 (23) 10/37 (27.0%) 2/37 (5.4%) 0/37 0/37 Linfocitosi B monoclonale LLC-simile era rilevabile in circa il 45.0% dei casi (22) (Figura 2). Le popolazioni clonali appartenenti ai sottogruppi non-LLC e LLC-atipica erano presenti in percentuale significativa anche tra gli individui più giovani e la loro frequenza risultava meno evidentemente influenzata dall’invecchiamento. Anche in questo contesto, tra i partecipanti con clone MBL LLC-simile il numero di cellule B per μl era compreso nei limiti di norma (valore medio 170, range 10-1920 per μl) e le cellule B clonali costituivano una percentuale variabile, ma tendenzialmente bassa, dei linfociti B totali, con una media del 6.9%; solo 13 casi infatti, mostravano una percentuale di cellule clonali superiore al 10%. Potenziando ulteriormente la metodica citofluorimetrica utilizzata per la rilevazione, ed in particolare avvalendosi di una combinazione di otto colori ed acquisendo fino a 5.000.000 di eventi totali, il gruppo di Salamanca (23) ha recentemente evidenziato la presenza di un clone MBL nel 12% della popolazione totale, rappresentata da 608 individui sani, di età superiore a 40 anni, dimostrando addirittura l’esistenza di una popolazione monoclonale aberrante in circa il 75% degli individui di età superiore a 90 anni (Figura 2). In questo studio, in conseguenza dell’aumentata sensibilità della tecnica utilizzata, i cloni B costituivano solamente lo 0.38% dei linfociti B totali, variando dallo 0.14 al 4.2% (Tabella 2). La maggior parte dei casi individuati (62%), era quindi al di sotto dei limiti di rilevazione delle metodiche precedentemente utilizzate e, proprio a causa della minima entità delle cellule aberranti, è stato possibile confermare, con metodiche addizionali, la clonalità delle popolazioni individuate solo in 18/73 casi, tutti con una percentuale di cellule aberranti superiore allo 0.01%. In conclusione, gli studi di popolazione hanno chiaramente dimostrato la natura universale della MBL, riscontrabile in molteplici condizioni geografiche e demografiche; l’utilizzo di metodiche citofluorimetriche progressivamente più sensibili ha inoltre permesso di rilevare un’elevata prevalenza di questa condizione, strettamente dipendente dal numero di fluorescenze utilizzate e degli eventi acquisiti. A questo proposito, tuttavia, è interessante sottolineare che la prevalenza della MBL non aumenta in maniera direttamente pro- porzionale all’incremento della sensibilità nella metodica citofluorimetrica utilizzata; infatti, nello studio spagnolo, pur essendo la sensibilità dell’approccio immunofenotipico circa 10 volte superiore, la frequenza della MBL è risultata solo raddoppiata in confronto agli studi precedenti. Questo dato sembrerebbe suggerire che, anche disponendo in linea teorica di una metodica di sensibilità illimitata, non sarebbe possibile individuare un clone MBL in tutti gli individui analizzati (22). È d’altra parte innegabile un netto aumento di prevalenza di tale condizione con l’invecchiamento, tanto da poter ipotizzare, in maniera del tutto plausibile, che ogni individuo sia potenzialmente destinato a sviluppare una MBL, indipendentemente da fattori di predisposizione individuale, se dotato di un’aspettativa di vita sufficientemente lunga (22). A supporto di questa idea, grazie all’utilizzo di un modello statistico predittivo, è stato recentemente suggerito che, processando un più elevato volume di sangue periferico alla ricerca di cellule LLC-simili, il 100% degli individui di età superiore a 70 anni risulterebbe portatore di un popolazione B-cellulare aberrante (25). Studi familiari Un discorso a parte merita il rilievo della condizione di MBL nell’ambito di studi familiari. La familiarità per LLC rappresenta uno dei più importanti fattori di rischio per lo sviluppo della malattia e i familiari di primo grado dei pazienti affetti da LLC hanno un rischio relativo di sviluppare una franca leucemia da 2 a 7 volte più elevato rispetto alla popolazione generale (28-31). Alcuni studi hanno pertanto valutato la frequenza della MBL in famiglie ad alto rischio, in cui due o più membri della stessa famiglia risultano affetti da LLC. Il numero di casi di MBL in individui appartenenti a tali famiglie, con emocromo nei limiti è risultato pari a 8/59 (13.5%) (32) e 6/33 (18%) (33) in due studi, uno inglese e l’altro americano rispettivamente. In particolare, il rischio complessivo di rilevare un clone LLC-simile in questi individui è 4-6 volte superiore a quello della popolazione generale e varia in maniera significativa nelle diverse classi d’età, con gli individui più giovani (di età compresa tra 16 e 40 anni) portatori di un rischio fino a 17 volte superiore rispetto ai coetanei non appartenenti a famiglie ad alto rischio (24, 32). Inoltre, tra i sog- 45 46 Seminari di Ematologia Oncologica getti appartenenti a famiglie ad alto rischio per LLC, la possibilità di sviluppare una MBL entro l’età di 90 anni risulterebbe pari al 61%, a sostegno di una elevata prevalenza di questa condizione in tale ambito, il cui ruolo e le cui potenzialità evolutive restano però ancora da chiarire (34). Studi clinici e rischio di progressione A seguito dell’introduzione dei nuovi criteri diagnostici per la LLC, basati su un numero di linfociti B superiore a 5.000 per μl, circa il 40% dei pazienti classificati in precedenza come LLC stadio 0 di Rai, sono improvvisamente rientrati nella categoria diagnostica della MBL (35-37). Questo cambiamento ha sottolineato ulteriormente la difficoltà di differenziare in modo ottimale la condizione di LLC con linfocitosi isolata (stadio 0 di Rai) dalla MBL ed un semplice valore numerico non sembra poter soddisfare questa necessità clinica, divenendo quindi oggetto di controversia nella comunità scientifica. Allo stesso tempo, l’analisi di queste coorti di MBL (definite come MBL con linfocitosi oppure MBL cliniche) ha permesso di studiare, seppur in maniera retrospettiva, l’appropriatezza del valore soglia discriminante nella diagnosi, il rischio di progressione almeno in questa categoria clinicamente rilevabile e l’eventuale esistenza di fattori predittivi della evoluzione leucemica. - Valore soglia per differenziare MBL da LLC. L’attribuzione di un’etichetta diagnostica quale quella di leucemia (con tutto il carico psicologico per il paziente) dovrebbe ragionevolmente basarsi non tanto sulla definizione arbitraria di un valore, ma sul rischio concreto di morbidità e mortalità derivanti dalla condizione in esame e sull’eventuale necessità di trattamento. In tal senso, i nuovi criteri diagnostici che considerano la conta linfocitaria B e non quella assoluta come elemento discriminante, vanno nella direzione giusta di una maggior affidabilità predittiva in quanto, come dimostrato anche da recenti studi retrospettivi (36, 38), il valore dei linfociti totali, pur correlando con la sopravvivenza libera da trattamento e globale, è in realtà un fattore predittivo meno forte rispetto alla concentrazione di cellule B. Tale conclusione risulta ancora più condivisibile considerando che la conta linfocitaria in sé e per sé non rappresenta altro che la somma delle concentrazioni di diverse sottopopolazioni, essenzialmente rappresentate da linfociti B, T ed NK. Al contrario, non vi è alcun vantaggio in termini predittivi nel valutare più precisamente la concentrazione delle cellule B clonali, e non semplicemente dei linfociti B totali (36) in quanto è stato dimostrato, che, negli individui con MBL e linfocitosi (e quindi con una conta linfocitaria tendenzialmente >5.000 μl), la quota di cellule B policlonali rappresenta una frazione molto ridotta del totale dei linfociti B. Pertanto il valore dei linfociti B individuato tramite valutazione citofluorimetrica dell’espressione di CD19 (marcatore caratteristico di tale popolazione) riflette in maniera attendibile la popolazione clonale di cellule B in questa categoria di soggetti e può essere utilizzato in maniera affidabile per monitorare il clone B cellulare aberrante. Vari studi retrospettivi clinici hanno confermato che il valore di linfociti B alla presentazione costituisce un fattore predittivo indipendente dello sviluppo di una franca linfocitosi con un incremento continuo e proporzionale del rischio per ogni aumento di 1.000 cellule B per μl (27, 36, 38-41). Ciò nonostante, questi studi hanno acceso un intenso dibattito sulla soglia più idonea a separare la categoria MBL dalla LLC stadio 0. Rawstron et al. (27) hanno evidenziato che individui con un valore di linfociti B <1.900 per μl dopo un follow up mediano di quasi 7 anni tendono a mantenere invariata la conta linfocitaria, mentre i soggetti con una conta linfocitaria B >4.000 per μl mostrano, in maniera significativamente più frequente, un incremento della linfocitosi. Analogamente, lo studio retrospettivo di Rossi et al. (40) depone a favore del mantenimento della soglia di 5.000 per μl. Al contrario, studi retrospettivi della Mayo Clinic (36, 38) hanno mostrato che un valore soglia di 11.000 linfociti B per μl è in grado di discriminare in maniera più precisa la prognosi, ed in particolare non solo di predire la sopravvivenza libera da trattamento, ma anche quella globale, a differenza del cut-off di 5.000 per μl, capace solamente di predire la necessità di terapia. L’insieme di questi dati conferma la esigenza di studi prospettici coinvolgenti un ampio numero di partecipanti per meglio definire il limite adeguato. Linfocitosi B monoclonale - Rischio di progressione a LLC. Il rischio di progressione da MBL clinica a franca LLC o a linfoma a piccoli linfociti (SLL) con necessità di trattamento è stato valutato in ampie casistiche; i dati derivanti dall’unico studio prospettico effettuato e avvalorati da 2 dei 3 studi retrospettivi pubblicati recentemente suggeriscono un rischio di progressione compreso tra 1.1 e 2% (27, 36, 41). Tale valore ricorda in maniera molto stretta il dato riscontrato in studi di correlazione tra gammopatia monoclonale di incerto significato (MGUS) e mieloma multiplo (42). La MBL associata a linfocitosi è infatti una condizione per molti aspetti affine alla MGUS: il rischio di progressione di entrambe si aggira intorno all’1% per anno, la curva della sopravvivenza libera da malattia non sembra mai raggiungere una fase di plateau, indicando la necessità di un monitoraggio clinico a tempo indeterminato e la maggior parte dei decessi negli individui con tali condizioni è imputabile a cause non correlate. Parametri Coorte cMBL Conta linfocitaria mediana (x109/l) Linfociti B (x109/l) Età (anni) Sesso (M/F) Hb (g/l) Piastrine (x109/l) Omologia geni IGHV (%) [range] Geni IGHV non mutati Geni IGHV utilizzati CD38≥30% FISH Del13q +12 Del11q Del17p Linfocitosi progressiva Progressione a LLC Necessità di trattamento Sopravvivenza libera da trattamento mediana (mesi) Follow up mediano (mesi) Il dato pari all’1-2% l’anno come rischio di progressione in LLC con necessità di trattamento per gli individui con MBL va confrontato con il rischio pari al 5-7% per anno dei pazienti affetti da LLC stadio 0 di Rai. Questa differenza, apparentemente limitata, si traduce di fatto in un rischio a 10 anni di necessità di trattamento del 7-14% per gli individui con MBL, e di ben il 50-70% per i soggetti con LLC Rai 0, legittimando l’attuale adozione di un cut-off di 5.000 linfociti B per μl come soglia per la diagnosi differenziale, anche se suscettibile di migliorie, da verificare in studi prospettici. La questione della relazione tra MBL e LLC può essere analizzata anche da un punto di vista opposto; in altre parole è giusto chiedersi non solo quante MBL progrediscono a LLC, ma anche quante LLC sono precedute da MBL. La risposta a questo quesito è arrivata da uno studio di popolazione americano organizzato nell’ambito di un programma di prevenzione delle patologie neoplastiche in cui più di 150.000 individui sani stati segui- Rawstron AC et al., 2008 (27) Shanafelt T et al., 2009 (38) Rossi D et al., 2009 (40) 309 309 6.0 (1.1-16.8) 3.3 [0.1-4.99] 71 [39-99] 149/160 134 [62-203] 221 [67-487] 93.5 [88.2-98.9] 2/20 (10%) VH4-34, VH3-23 VH3-07 58/174 (33.3%) 33 pz 19 (58%) 7 (21%) 2 (6%) 1 (3%) 51 (27.6%) 28 (15.1%) 13 (7.0%) 48 [13.2-121.2] 631 302 5.4 [0.3-9.6] 2.76 [0.02-4.99] 69 [34-93] 175/127 138 [127-150] 226 [184-283] n.v. 25/109 (23%) n.v. 60/274 (22%) 126 pz 56 (44%) 23 (18%) 2 (2%) 4 (3%) 74/210 (35.2%) n.v. 7 (2.3%) n.v. 277 123 5.1 [1.22-9.9] 2.8 [0.2-4.9]* 68 [59-75]* 60/63 140 [132-156]* 221 [188-261]∅ 94.3 [92.0-97.0]∅ 21/105 (20%) VH4-34, VH3-23, VH1-69, VH3-30 27/119 (22.7%) 105 pz 37 (35.2%) 19 (18.1%) 0 4 (3.8%) 34/123 (27.6%) 56/123 (45.5%) 19/123 (15.4%) n.v. 80.4 [2.4-141.6] 18 [0-97] 42.7 *Linfociti B LLC simili; ∅25°-75° percentile TABELLA 3 - Parametri clinici e biologici analizzati nei principali studi clinici. 47 48 Seminari di Ematologia Oncologica ti nel tempo per valutare l’eventuale sviluppo di neoplasie (43). Nel corso di tale studio, effettuato nel periodo tra il 1992 ed il 2001, 45 individui hanno manifestato negli anni una LLC. L’analisi di un loro campione di sangue prelevato al momento dell’arruolamento nello studio ha dimostrato che 44/45 pazienti mostravano la presenza di un clone B-cellulare fino a 7 anni prima della diagnosi. È interessante sottolineare che, negli 8 casi con geni immunoglobulinici non mutati, che di norma depongono per un decorso clinico più aggressivo e per cui era stata messa in dubbio l’esistenza di una fase di MBL, almeno 3 mostravano la presenza di un clone più di 3 anni prima della diagnosi di LLC, dimostrando quindi che virtualmente tutti i casi di LLC (sia i casi mutati sia quelli non mutati) sono preceduti da una MBL. - Fattori predittivi di progressione. Dato che l’ambito della LLC si è recentemente arricchito di una pletora di fattori prognostici, più o meno diffusamente validati, ritenuti in grado di predire il rischio di progressione della malattia, un passaggio logico naturale è stato quello di valutare se tali fattori (almeno quelli più consolidati) siano applicabili tout court anche alla MBL. I dati a questo proposito sono estremamente controversi, poiché molte casistiche non permettono un’analisi multivariata dei diversi fattori, determinati solo in una percentuale limitata di pazienti. Sebbene sia stato proposto (40) che la percentuale di omologia dei geni IGHV, l’espressione di CD38 e CD49d, la presenza di aberrazioni genetiche rilevabili alla FISH possano costituire tutti fattori in grado di segregare anche la MBL con linfocitosi in due gruppi con decorso clinico differente, l’unico rilievo confermato in più di uno studio riguarda la correlazione tra l’espressione di CD38 ed un ridotto intervallo di tempo prima del trattamento, confermando quindi la necessità di una più ampia mole di dati prima di poter trarre conclusioni definitive in tal senso (Tabella 3). n CARATTERISTICHE BIOLOGICHE DELLA MBL: SOMIGLIANZE E DIFFERENZE CON LA LLC L’origine e la natura della MBL sono tuttora oggetto di controversia. In particolare non è ancora chia- ro se i linfociti B LLC-simili in tale condizione siano di natura neoplastica ab initio o possano essere considerati la controparte normale della LLC. Diversi studi si sono pertanto proposti di caratterizzare la MBL dal punto di vista fenotipico, molecolare e citogenetico, allo scopo di indagarne il potenziale legame biologico con la LLC. - Espressione genica e molecolare. Come accennato in precedenza, in molti casi la MBL condivide lo stesso assetto fenotipico della LLC. Questa affermazione, però, rappresenta in un certo senso un circolo vizioso poiché la stessa definizione di MBL LLC-simile si basa sull’espressione di questi markers (44). Allo scopo di stabilire l’esistenza di un potenziale marcatore espresso in maniera differenziale nelle due condizioni, il profilo di espressione di alcuni specifici geni (FMOD, CKAP4, PI3Kc2b, LEF1, PFTK1, Bcl2 and GPM6a) è stato paragonato in una serie di campioni derivati da individui con MBL o affetti da LLC e in cellule B normali. Questa analisi ha mostrato chiaramente che le cellule MBL e LLC differiscono dai linfociti B normali e sono accomunate da uno stesso profilo, ed in particolare, dall’espressione di LEF-1 (45). Tale gene, non rilevabile nella sottopopolazione B-cellulare CD5+, appare espresso sia nella MBL sia nella LLC, suggerendo un ruolo potenziale nella transizione da cellule B normali a cellule B aberranti con fenotipo LLC-simile. È stato inoltre analizzata l’espressione in citofluorimetria di numerosi marcatori cellulari addizionali rispetto a quelli utilizzati nelle procedure diagnostiche. Il gruppo di Leeds, in due studi successivi (46, 47) ha confermato una sostanziale identità del profilo di espressione molecolare tra MBL e LLC, indistinguibili l’una dall’altra, ma ben differenziabili da altri disordini linfoproliferativi e dalle cellule B normali. È comunque interessante notare che, come in parte atteso, una di queste analisi (47) ha evidenziato una diversa espressione di alcune proteine responsabili del trafficking linfoide (in particolare di CXCR5 e CCR6, e di CD62L) tra MBL LLC-simile e le forme di LLC a decorso clinico più aggressivo (con delezione del 17p e/o delezione dell’11q), permettendo di ipotizzare una minor predisposizione alla localizzazione nei tessuti linfoidi (con il conseguente ridotto apporto di stimoli da parte del microambiente) nei casi MBL. Linfocitosi B monoclonale numero limitato di antigeni in grado di stimolare e quindi selezionare cloni LLC in pazienti diversi (52-54). Numerosi studi hanno quindi analizzato l’espressione delle immunoglobuline degli individui con MBL, per paragonarle a quelle della LLC, partendo dal presupposto che la dimostrazione di un analogo repertorio immunoglobulinico e della presenza di recettori stereotipati rappresenterebbe una forte evidenza a favore di un percorso patogenetico comune. Gli studi effettuati su individui con MBL LLC-simile e linfocitosi, evidenziate in un contesto clinico, mostrano un repertorio immunoglobulinico analogo a quello della LLC conclamata (27), pur con una maggior rappresentazione di casi mutati. Al contrario, i dati nei pazienti con una quota di cellule B aberranti molto bassa (tipicamente <10 cellule LLC-simili per μl), quale quella che si riscontra nella popolazione generale, mostrano uno scenario differente. In particolare, negli studi di popolazione (21, 55), nei soggetti MBL si assiste ad una sottorappresentazione dei geni IGHV caratteristici della LLC (con ridotta frequenza del gene IGHV4-34 e assenza di IGHV1-69) e ad un più frequente rilievo del gene IGHV4-59/61, di più raro riscontro nella LLC (Figura 3). È inoltre interessante sottolineare che, nelle coorti di soggetti con MBL a bassa conta, la presenza di recettori stereotipati è estremamente rara, e solo 2 casi di MBL che condi- - Geni delle immunoglobuline. Nel campo della LLC, l’analisi delle caratteristiche del B-cell receptor (BCR), una molecola chiave per la sopravvivenza dei linfociti B maturi, di cui le immunoglobuline costituiscono una componente essenziale, è stata foriera di conoscenze illuminanti non solo dal punto di vista biologico ma anche sul versante clinico. Il repertorio immunoglobulinico della LLC è caratterizzato da una particolare predilezione nell’uso di alcuni geni variabili (IGHV) (in particolare IGHV1-69, IGHV4-34, IGHV3-7, IGHV3-23) (48). Inoltre, i casi con un’omologia di sequenza immunoglobulinica pari o superiore al 98% rispetto alla forma germ-line (non mutati) esibiscono un decorso clinico tendenzialmente più aggressivo, mentre i casi mutati (con un’omologia di sequenza inferiore al 98%) tendono a manifestare un andamento più indolente, con una prolungata sopravvivenza libera da progressione (49, 50). Un fenomeno particolarmente interessante e caratteristico della LLC, è costituito dall’espressione dei cosiddetti recettori stereotipati. È stato dimostrato (51) che oltre il 30% dei pazienti affetti da LLC, geograficamente distanti, condivide sequenze simili o identiche a livello della cosiddetta complementarity-determining-region 3 (CDR3) che è il principale sito preposto al legame con l’antigene. Da un punto di vista biologico, tale riscontro suggerisce l’esistenza di un 25 Percentage (%) 20 CLL MBL 15 10 5 9/ 61 39 IG H V4 -5 4 V4 H IG IG H V4 -3 31 0 IG H V4 - -3 3 H V4 -7 IG -7 H V3 IG V3 66 H IG V3 - 64 H IG 53 H IG V3 H IG V3 - 49 48 V3 H IG 30 V3 H IG V3 - 23 IG H 1 IG H V3 - -2 5 V3 -1 H IG V3 H IG IG H V1 -6 9 0 FIGURA 3 - Repertorio immunoglobulinico dei soggetti con MBL LLC-simile a bassa conta a confronto con quello dei pazienti con LLC [modificata da (21)]. 49 50 Seminari di Ematologia Oncologica vidono una struttura del CDR3 omologa a quella descritta in pazienti affetti da LLC è riportata in letteratura (21). - Anomalie genetiche. Pur premettendo che la LLC non si associa ad alcuna anomalia citogenetica specifica, l’analisi tramite ibridazione in situ con sonde fluorescenti (FISH) permette di identificare alterazioni genetiche ricorrenti nell’80% dei pazienti (56). Tra queste, la delezione del braccio lungo del cromosoma 13 (del13q), riconosciuta in oltre il 50% dei casi, è la più frequente, mentre, in ordine decrescente, si rilevano la delezione del braccio lungo del cromosoma 11 (del11q), presente nel 18% dei casi e correlata ad alterazioni del gene ATM, la trisomia del cromosoma 12 (+12), nel 16%, ed infine la delezione del braccio corto del cromosoma 17 (del17p), nel 7%, comportante la perdita di funzione del gene p53. Il riscontro di tali alterazioni ha una documentata valenza prognostica, in quanto necessità di trattamento, decorso clinico e sopravvivenza globale differiscono nei diversi sottogruppi, con i pazienti con del13q che dimostrano la sopravvivenza più prolungata ed il decorso clinico più indolente, mentre il sottogruppo con del17p risulta prognosticamente sfavorito e tende ad avere una sopravvivenza ridotta ed una scarsa risposta ai trattamenti tradizionali (56). Alcuni studi hanno tentato di caratterizzare il pattern di anomalie cromosomiche dei casi di MBL LLC-simile, evidenziando forti somiglianze con le forme di LLC a prognosi favorevole. In maniera abbastanza univoca, infatti, sia nelle forme MBL a bassa conta che in quelle in cui il valore assoluto delle cellule B aberranti è più elevato, l’alterazione di più frequente riscontro è rappresentata dalla delezione del cromosoma 13, in proporzione pari a circa il 39% nelle MBL con conta leucocitaria nei limiti di norma e a circa il 58% nelle forme associate a linfocitosi (27). Le altre anomalie genetiche, ed in particolare quelle a significato prognostico sfavorevole come del11q e del17p, sono di riscontro estremamente raro, e sono state individuate soprattutto nelle forme con linfocitosi; anche in tali circostanze, del resto, tendono ad essere evidenziate in una quota minoritaria (< del 20%) delle cellule aberranti (57). Infine è stato recentemente dimostrato che 10 polimorfismi di singoli nucleotidi (SNPs) valutati nell’ambito dell’intero genoma conferiscono un incremento del rischio di sviluppare una LLC, di entità modesta ma ben quantificabile (58). Alcuni di questi SNPs corrispondono a geni implicati nello sviluppo e nella funzione linfocitaria, includendo FARP2 (regolatore dell’attività di MYC), IRF4 (coinvolto nella differenziazione plasmacellulare) e SP140 (implicato nella risposta alla stimolazione antigenica). Dato che la condizione di MBL è stata spesso considerata un marcatore surrogato di predisposizione a sviluppare la LLC l’incidenza di questi SNPs in 419 casi di MBL (342 casi di MBL clinica e 77 MBL derivate da studi di popolazione) è stata confrontata con quella riscontrata in 1.753 controlli sani. Per 6 di essi è stata evidenziata un’associazione statisticamente significativa tra genotipo e rischio di MBL (59). Il rischio di sviluppare una MBL sembra aumentare in relazione al numero di alleli presenti per i loci in esame e gli individui con più di 6 alleli a rischio mostrano un probabilità 3 volte maggiore di sviluppare una MBL rispetto agli altri individui (59). È interessante sottolineare che, pur essendo il rischio associato ad ognuna delle varianti alleliche abbastanza basso, la frequenza di individui portatori di alleli a rischio nella popolazione europea è piuttosto elevata, fornendo perciò un contributo significativo allo sviluppo della MBL. - Modelli murini. Il riscontro di popolazioni B-cellulari CD5-positive clonali è una caratteristica abbastanza comune nei topi di diversi ceppi, che si verifica però dopo un lungo periodo di latenza, in animali anziani (di età superiore a 15 mesi) senza dar luogo ad un vero e proprio quadro leucemico (60). Nei topi New Zealand Black (NZB) e New Zealand White (NZW) tale fenomeno tende invece a manifestarsi più precocemente, con lo sviluppo di espansioni linfoproliferative B-cellulari monoclonali CD5-positive a livello splenico e nel sangue periferico, che evolvono poi in un franco disordine leucemico all’età di 9-12 mesi (61-64). Un nuovo modello murino recentemente introdotto è invece caratterizzato dalla delezione del locus MDR (minimal deleted region), localizzato a livello del braccio lungo del cromosoma 13, nella regione 13q14 (65), che si presenta deleto in circa il 50% dei pazienti LLC alla diagnosi e dei casi di MBL. Mentre i topi MDR-/- svi- Linfocitosi B monoclonale luppano un franco disordine linfoproliferativo LLCsimile in una percentuale vicina al 27%, in circa il 5% degli animali si riscontra, un’espansione CD5+B220low (l’equivalente murino del CD20 umano) di proporzioni limitate (pari a circa l’8% delle cellule mononucleate a livello del sangue periferico), strettamente analoga alla MBL documentata nell’uomo. n MBL E IMMUNOSENESCENZA Come evidenziato nell’uomo e corroborato dai modelli murini, la MBL è una condizione associata all’invecchiamento, la cui frequenza aumenta negli individui di età superiore a 60 anni. Il nostro sistema immunitario subisce inevitabilmente una serie di cambiamenti parafisiologici correlati all’età (nell’insieme definiti immunosenescenza), che condizionano alcune alterazioni della risposta immunitaria particolarmente frequenti negli anziani, quali la maggior suscettibilità alle infezioni e la ridotta risposta alle vaccinazioni (66). Per quanto riguarda i linfociti B (67, 68), il processo di senescenza è caratterizzato dalla restrizione del repertorio immunoglobulinico, da una ridotta incidenza di mutazioni somatiche a carico delle immunoglobuline, dall’incremento percentuale della sottopopolazione linfocitaria B1 (69, 70), e, soprattutto, dall’aumentata incidenza di popolazioni oligo- e monoclonali, come testimoniato dal più frequente riscontro di gammopatie monoclonali di incerto significato in individui di età superiore a 60 anni (42). Per quanto riguarda i linfociti T, la comparsa di espansioni oligo- e monoclonali associate ad una restrizione del repertorio cellulare nel processo di senescenza è stata dimostrata a carico di diverse sottopopolazioni (71). Le evidenze più stringenti riguardano il subset CD8+, ma in più del 50% degli individui di età superiore a 65 anni è stata evidenziata la presenza di popolazioni monoclonali anche a carico della sottopopolazione di cellule T CD4+CD8+ (cosiddette doppie positive), che rappresenta una piccola quota dei linfociti T totali (generalmente pari al 2-3%) (72). Tra le ipotesi più affascinanti proposte per spiegare questa tendenza all’oligo- monoclonalità che si manifesta nel corso dell’invecchiamento, una parte di primo piano spetta al potenziale coinvolgimento degli agenti infettivi, il cui ruolo è già stato dimostrato nelle modificazioni a carico del comparto T-cellulare. In particolare, le infezioni virali croniche persistenti, in primis quella da CMV (73), sono state associate alla comparsa di espansioni clonali CD8+, che alterano e riducono la varietà del repertorio immunitario, conferendo potenzialmente una maggiore suscettibilità ad altri tipi di infezione. Pur non esistendo ad oggi studi sperimentali in grado di comprovare il potenziale nesso tra insorgenza di MBL e stimoli antigenici cronici nella popolazione generale, è stata osservata un’aumentata frequenza di MBL negli individui con infezione da HCV (74). Tale incremento è conseguente ad un aumento di tutti e tre i sottotipi di MBL inclusa quella LLC-simile (74). In sintesi quindi la monoclonalità e la comparsa di espansioni B-cellulari (nello specifico LLC-simili) potrebbero non costituire di per sé un evento neoplastico, ma rappresentare un epifenomeno delle modificazioni del sistema immunitario correlate all’invecchiamento ed in particolare all’esposizione a stimoli antigenici cronici, sia di natura infettiva ma anche potenzialmente self. n MONITORAGGIO CLINICO I dati derivanti dal monitoraggio clinico della MBL sono attualmente molto limitati a causa della sua recente definizione. Nella pratica clinica quotidiana, nella maggior parte dei casi, il riscontro di MBL avviene nell’ambito degli accertamenti eseguiti a seguito del rilievo di una linfocitosi o di un’altra anomalia dell’emocromo. Una volta accertata la diagnosi, avendo quindi accuratamente escluso la presenza di un disordine linfoproliferativo, si ritiene auspicabile proseguire il monitoraggio con controlli clinico-laboratoristici a cadenza annuale (13). Poiché la condizione di MBL è almeno 100 volte più frequente nella popolazione generale rispetto alla LLC, è infatti evidente che solo una minima percentuale di casi è destinata a progredire verso una franca forma leucemica. Nell’impossibilità di determinare alla diagnosi quali individui andranno incontro a progressione, pur rassicurando la singola persona sul rischio sostanzialmente basso di sviluppare 51 52 Seminari di Ematologia Oncologica tua la diagnosi si trova a dover scegliere tra la definizione di linfocitosi (ICD-9 288.8) e LLC (204.1); nel primo caso, in alcuni paesi, gli accertamenti necessari non possono essere eseguiti a carico del sistema sanitario nazionale, mentre nel secondo (soprattutto nei sistemi sanitari che si basano sulla copertura assicurativa del singolo, come negli Stati Uniti) i costi assicurativi sono aumentati e le pratiche per ottenere un’assicurazione sulla vita possono essere bloccate, pur non potendosi di fatto ascrivere tale condizione all’ambito dei disordini neoplastici (26). Un altro aspetto pratico meritevole di valutazione è rappresentato dalla potenziale indicazione ad effettuare una valutazione di screening per la presenza di una popolazione B cellulare clonale nei derivati ematici e negli organi destinati alla donazione. Un’analisi effettuata su campioni derivan- una LLC, è importante istruire i soggetti con MBL sui potenziali sintomi e segni d’allarme (linfoadenopatie, febbre, sudorazioni notturne, perdita di peso, astenia) e procedere ad un regolare follow up. Come accennato, in analogia a quanto avviene per la MGUS, la curva che disegna il rischio di progressione degli individui con MBL non raggiunge mai un plateau, comportando perciò la necessità di un monitoraggio a tempo indeterminato (Tabella 4). n ALTRE CONSIDERAZIONI CLINICHE Dal punto di vista della pratica clinica, la definizione della categoria diagnostica di MBL ha aperto alcuni rilevanti quesiti, tuttora in attesa di risoluzione. In primo luogo, non esistendo un codice ICD9 applicabile alla MBL, il medico che effet- Raccomandazioni MBL LLC-simile rilevata in studi di popolazione1 MBL1 LLC-simile rilevata clinicamente MBL LLC atipica o Non-LLC identificata in un contesto clinico Sì Sì Sì Sì No No No No Sì Sì Sì Sì No No No No Sì Sì Sì Sì Sì4 Sì Sì No Sì Sì 1-2%/anno Non definito Annuale Annuale 6-12 mesi No 3-12 mesi6 3-12 mesi6 6-12 mesi6 Secondo il giudizio clinico6 Work up diagnostico Anamnesi2 Esame obiettivo3 Immunofenotipo dei linfociti Emocromo con formula Test FISH con sonda per t(11;14) TC torace/addome/pelvi Biopsia osteomidollare Test prognostici per la LLC Counseling & follow-up Istruzione dei pazienti sui sintomi Sì da monitorare2 Rischio di progressione con Non definito ma basso5 necessità di terapia Anamnesi2 Controlli di routine Esame obiettivo3 Controlli di routine Emocromo con formula Annuale TC torace/addome/pelvi No 1 La MBL LLC-simile identificata nel corso di una valutazione clinica per la linfocitosi viene definita MBL LLC-simile rilevata clinicamente, mentre la MBL LLCsimile identificata nel corso di studi di ricerca in pazienti con conta linfocitaria normale viene definita come MBL LLC-simile rilevata in studi di popolazione. Attenzione ai sintomi costituzionali (febbre, sudorazioni notturne, calo ponderale, astenia). 3Attenzione alla valutazione linfonodale ed alla determinazione dell’epatosplenomegalia. 4Nei pazienti con fenotipo LLC atipica CD5+ ma CD23- dovrebbe essere effettuata una valutazione FISH con sonda per la t(11;14), caratteristica del linfoma mantellare. 5Nonostante la limitata disponibilità di dati in merito, la progressione nei soggetti con MBL LLC-simile rilevata in studi di popolazione sembrerebbe essere rara. Dato che diversi studi suggeriscono che il numero di linfociti B correli con il decorso clinico negli individui con MBL, il rischio di progressione in soggetti con MBL LLC-simile rilevata in studi di popolazione è ritenuto inferiore rispetto a quello degli individui con MBL LLCsimile clinicamente rilevabile. 6Per i rari soggetti che soddisfano i criteri della MBL con un fenotipo e studi citogenetici suggestivi di linfoma mantellare o di un altro sottotipo di linfoma aggressivo, si suggerisce un monitoraggio ogni 3-6 mesi con esecuzione di TC almeno ogni 6 mesi. Per gli individui con MBL LLC atipica o Non-LLC, il cui fenotipo ricorda un sottotipo più indolente di linfoma, si raccomanda un monitoraggio ogni 6-12 mesi e l’esecuzione di esami strumentali di follow up ad una frequenza stabilita secondo il giudizio clinico. 2 TABELLA 4 - Raccomandazioni per la valutazione ed il follow-up nella pratica clinica [adattato da (13)]. Linfocitosi B monoclonale ti da 5.141 donatori di sangue ha rivelato la presenza di soli 7 casi di linfocitosi B monoclonale, con una prevalenza quindi sorprendentemente bassa, pari allo 0.14% (18); la metodica di screening utilizzata, tuttavia, era dotata di una scarsa sensibilità, motivo per il quale al momento non possono essere tratte conclusioni definitive ed in tale ambito è prematuro raccomandare l’attuazione di metodiche di screening. Ancora controversa è anche la linea di condotta da applicare nello screening per MBL dei parenti di primo grado di pazienti affetti da LLC, candidati a trapianto allogenico da donatore familiare, in considerazione dell’aumentata frequenza del rilievo di MBL in questa condizione (75). Al momento non è stato ancora definito in maniera univoca se, in tale contesto, sussista l’indicazione ad uno screening per MBL e se eventuali fami- liari con MBL debbano essere considerati non idonei alla donazione di cellule staminali midollari. n CONCLUSIONI La condizione di MBL costituisce un’ampia categoria diagnostica tuttora in via di definizione, caratterizzata verosimilmente dalla presenza di diverse entità, accomunate dall’espressione di un analogo immunofenotipo. Studi di metanalisi delle diverse coorti di individui MBL con fenotipo LLC (14), pubblicate a livello mondiale hanno dimostrato che la distribuzione di questa condizione può essere fondamentalmente suddivisa in due principali sottogruppi, con caratteristiche biologiche e cliniche differenti: - MBL con quota di cellule B aberranti inferiori a FIGURA 4 - Ipotetica patogenesi della MBL e relazione con la LLC. 53 54 Seminari di Ematologia Oncologica 50 per μl: riscontrate prevalentemente negli studi di popolazione, in quanto clinicamente non rilevabili a causa della bassa sensibilità dei test di laboratorio di routine, caratterizzate da un profilo di rischio molecolare e citogenetico in qualche modo simile alla LLC a prognosi favorevole, ma con un repertorio immunoglobulinico del tutto differente, a volte anche oligoclonale. Per tale condizione, qualora riscontrata incidentalmente agli esami di routine, non sussiste alcuna indicazione al monitoraggio, in quanto non indicativa di un aumento significativo del rischio di sviluppare una franca LLC. - MBL con quota di cellule aberranti superiore a 2.000 per μl: di riscontro frequente nel corso degli accertamenti eseguiti nell’ambito di una linfocitosi, dal punto di vista biologico e del repertorio immunoglobulinico molto simile alla LLC clinicamente definita, esibisce un rischio di progressione in leucemia franca pari a circa l’1% per anno. Le forme di MBL con quota linfocitaria compresa tra 50 e 2.000 per μl rappresentano la minoranza dei casi al momento riscontrata nei vari studi pubblicati e mostrano un profilo biologico meno definito, per molti aspetti simile alla LLC clinicamente manifesta, con l’importante differenza che la conta B cellulare tende a rimanere stabile nel tempo e rappresenta il parametro da monitorare, data l’inattendibilità, in questo sottogruppo in particolare, delle modificazioni della quota linfocitaria totale. In conclusione, la condizione di MBL si presta a molteplici chiavi interpretative: da un lato, infatti, le somiglianze biologiche ed immunofenotipiche, il frequente riscontro di monoclonalità e il dimostrato, seppur basso, rischio di progressione in LLC con necessità di trattamento, depongono a favore della natura pre-leucemica della MBL, in maniera per certi versi analoga alla transizione tra MGUS e mieloma multiplo. Dall’altro, però, trattandosi di una condizione la cui prevalenza nella popolazione generale è circa 100 volte maggiore rispetto a quella della LLC, che diviene progressivamente più frequente nel corso dell’invecchiamento, talvolta con caratteristiche di oligoclonalità, è altrettanto ragionevole ipotizzare che tale condizione rappresenti la conseguenza di una stimolazione antigenica cronica e persistente, di per sé quindi non di natura neoplastica, ma più espo- sta al rischio di eventi genetici addizionali che ne possano condizionare, seppur raramente, l’evoluzione in franca leucemia, in accordo con il modello multi-hit già dimostratosi concretamente valido nello spiegare la patogenesi di molte forme neoplastiche (Figura 4). La natura della relazione biologica tra MBL e LLC risulta perciò ad oggi solo parzialmente definita ed è campo di attiva indagine, sia in relazione alla necessità di individuare fattori di rischio in grado di predire il decorso clinico di questa entità e l’eventuale evoluzione in franca leucemia, che come affascinante modello di studio per penetrare a fondo i meccanismi patogenetici alla base del substrato biologico della LLC. n BIBLIOGRAFIA 1. Han T, Ozer H, Gavigan M, Gajera R, Minowada J, Bloom ML, et al. Benign monoclonal B cell lymphocytosis - a benign variant of CLL: clinical, immunologic, phenotypic, and cytogenetic studies in 20 patients. Blood. 1984; 64: 244-52. 2. Marti GE, Rawstron AC, Ghia P, Hillmen P, Houlston RS, Kay N, et al. Diagnostic criteria for monoclonal Bcell lymphocytosis. Br J Haematol. 2005; 130: 325-32. 3. Marti G, Abbasi F, Raveche E, Rawstron AC, Ghia P, Aurran T, et al. Overview of monoclonal B-cell lymphocytosis. Br J Haematol 2007; 139: 701-8. 4. 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Identification of monoclonal B-cell lymphocytosis among sibling transplant donors for chronic lymphocytic leukemia patients. Blood. 2009; 114: 2848-9. 57 59 Sindrome di Richter MARCO FANGAZIO, DAVIDE ROSSI, GIANLUCA GAIDANO Divisione di Ematologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” e Azienda Ospedaliero-Universitaria Maggiore della Carità, Novara, Italia Gianluca Gaidano n INTRODUZIONE La Sindrome di Richter (SR) rappresenta la trasformazione clinico-patologica della leucemia linfatica cronica (LLC) in linfoma aggressivo, più comunemente in linfoma diffuso a grandi cellule B. Questa condizione venne descritta per la prima volta nel 1928 da Maurice N. Richter, da cui prese il nome (1). La trasformazione della LLC in SR deve essere distinta dalle altre tipologie di progressione di malattia, che sono definite dalle linee guida IWCLL-NCI (2). La diagnosi di SR richiede obbligatoriamente una prova istologica, in assenza della quale la SR può essere soltanto sospettata clinicamente, ma non documentata (3, 4). La trasformazione della LLC in linfoma diffuso a grandi cellule B deve essere inoltre distinta dalla trasformazione prolinfocitica e da altre neoplasie linfoidi che mostrano un’incidenza aumentata nei pazienti affetti da LLC (4, 5). In questa rassegna, la definizione di SR è applicata esclusivamente alla trasformazione da LLC a linfoma diffuso a grandi cellule B (che rappreParole chiave: sindrome di Richter, leucemia linfatica cronica, linfoma diffuso a grandi cellule B, predittori clinici e biologici di trasformazione Indirizzo per la corrispondenza Prof. Gianluca Gaidano Divisione di Ematologia Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” Via Solaroli, 17 - 28100 Novara E-mail: [email protected] senta più del 90% dei casi di SR). Nonostante questa restrizione, la definizione di SR rimane eterogenea e comprende almeno due differenti condizioni biologiche nettamente distinte l’una dall’altra: a) la trasformazione clonalmente correlata delle cellule di LLC a linfoma diffuso a grandi cellule B, condizione che si verifica nella maggioranza dei casi di SR; b) lo sviluppo di linfoma diffuso a grandi cellule B non clonalmente correlato alla fase di LLC (3, 6-11). Nella SR clonalmente correlata, il nesso patogenetico tra LLC e la fase di linfoma diffuso a grandi cellule B è palese ed è sostanziato dall’acquisizione di nuove lesioni molecolari al momento della trasformazione clinico-patologica. Viceversa, nel caso dello sviluppo di SR clonalmente non correlata, la trasformazione potrebbe essere favorita da alterazioni immunologiche del paziente affetto da LLC, o da altri meccanismi che, al momento, non sono noti. Con l’avvento dei nuovi farmaci immunosoppressivi utilizzati per la terapia della LLC, e in particolar modo con l’introduzione dell’anticorpo monoclonale anti-CD52 (alemtuzumab), è stato osservato sporadicamente lo sviluppo di linfomi clinicamente aggressivi caratterizzati da positività del clone neoplastico per infezione da EpsteinBarr virus (EBV) e da spiccate analogie con i linfomi dei pazienti immunodeficienti (12, 13). Questi casi di linfomi aggressivi associati a terapia con alemtuzumab non devono essere confusi con la SR, ma piuttosto rappresentano un nuovo tipo di linfoma associato a immunodeficienza che si sviluppa dopo terapie che riducono il com- 60 Seminari di Ematologia Oncologica partimento T linfocitario in pazienti già immunocompromessi a causa della malattia di base e/o a causa della pregressa chemioterapia. La propensione a trasformazione in linfoma aggressivo non è esclusiva della LLC. Sebbene con diversa incidenza, tale propensione si osserva anche in altri disordini linfoproliferativi indolenti della serie B linfocitaria, in particolare il linfoma follicolare e il linfoma della zona marginale. Nonostante questa evidenza, ad oggi non è stato possibile chiarire se esista un comune percorso molecolare alla base della trasformazione in linfoma diffuso a grandi cellule B a partire da tutte queste differenti condizioni cliniche, oppure se la trasformazione da un disordine linfoproliferativo B indolente ad uno aggressivo segua strade diverse a seconda del tipo iniziale di malattia. n EPIDEMIOLOGIA La SR è considerata una patologia rara ed una complicanza infrequente della LLC. Questa percezione, nonostante sia condivisa da molti ematologi, non è supportata da evidenze epidemiologiche derivate da studi riguardanti specificatamente la SR. Dal momento che la diagnosi di SR richiede la valutazione istologica, l’eterogenicità tra la sua incidenza osservata in diverse serie di pazienti affetti da LLC dipende in larga misura dalla diversa prassi della biopsia linfonodale tra i vari centri (3, 4). In particolare, mentre la rivalutazione bioptica è pratica comune ad ogni progressione di malattia nel linfoma follicolare (14), non si può dire lo stesso per quanto riguarda la LLC. Per questo motivo, la sottostima nella diagnosi di SR potrebbe influenzare, almeno in parte, la percezione della SR come una condizione rara. Studi recenti hanno valutato l’incidenza di SR in una serie consecutiva di pazienti affetti da LLC che sono stati omogeneamente sottoposti a controllo bioptico della lesione indice in caso di: a) linfoadenopatia ≥5 cm; b) rapido incremento della dimensione linfonodale (raddoppiamento del diametro trasverso maggiore in un periodo < 3 mesi); c) comparsa di lesione extranodale; d) comparsa di sintomi B; e) marcata elevazione di LDH (3). Questi criteri sono stati utilizzati per generare il sospetto clinico di SR, e per ottenere la conseguente conferma istologica (3). La rigorosa applicazione di questi criteri per la biopsia in una serie consecutiva di pazienti affetti da LLC ha rivelato che l’incidenza cumulativa di SR a 5 e 10 anni dalla diagnosi è superiore rispettivamente a 10 e 15% (3). In questa stessa serie di pazienti, l’incidenza di SR non si è dimostrata aumentare in modo significativo con il progressivo fallimento delle varie linee di terapia della LLC (3). Questa osservazione può essere ascritta alla precoce pratica bioptica adottata, che potrebbe identificare precocemente la SR prima di esporre i pazienti a multiple linee di terapia, che, essendo dirette contro la progressione di LLC, potrebbero risultare inefficaci o solo parzialmente efficaci nel caso di trasformazione. Nella casistica sovrariportata, il tempo mediano alla trasformazione in SR era di 23 mesi dalla diagnosi di LLC (3). Questo dato è confermato da altre serie indipendenti di pazienti riportate in letteratura (4), e suggerisce che, almeno in una frazione di pazienti, la predisposizione a trasformazione da LLC a SR sia intrinseca alle caratteristiche genetiche del clone di LLC già al tempo della diagnosi di LLC (3, 4). A differenza dell’opinione comune che vede la SR come un evento molto tardivo nella storia clinica di LLC, una frazione significativa di pazienti sviluppa la malattia precocemente dopo la diagnosi. In alcuni casi, la diagnosi di SR e LLC sono concomitanti. Queste osservazioni suggeriscono l’importanza dell’identificazione dei pazienti a rischio di trasformazione in SR già al momento della diagnosi di LLC. n FATTORI PREDITTIVI È stato dimostrato che l’estensione della malattia influenza la prognosi dei pazienti affetti da SR (15). Di conseguenza, il precoce riconoscimento della SR può essere utile clinicamente e può essere favorito dallo stretto monitoraggio dei pazienti affetti da LLC che presentino fattori clinici o biologici di rischio di trasformazione. Recenti studi hanno identificato, in serie retrospettive di pazienti, fattori di rischio clinici e biologici che potreb- Sindrome di Richter FIGURA 1 - Predizione di trasformazione a SR in base ad espressione di CD38 alla diagnosi di LLC. La curva di Kaplan-Meier mostra il valore di CD38 nel predire la trasformazione a SR nella serie di LLC (n=360) della Divisione di Ematologia dell’Università del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro (anni 2000-2010). bero essere utili strumenti per individuare i pazienti a rischio di sviluppo di SR consentendone una diagnosi precoce (3). È importante notare che i predittori di trasformazione da LLC a SR sono diversi, almeno in parte, rispetto ai predittori di progressione di LLC stabiliti dalle linee guida IWCLL-NCI (2, 3). Questa osservazione suggerisce che la trasformazione da LLC a SR e la progressione di LLC senza trasformazione istologica siano eventi clinici distinti che richiedono un approccio diagnostico differente, benché complementare, per un’ottimale valutazione globale della categoria di rischio del singolo paziente. Numerosi fattori di rischio biologici sono stati analizzati come predittori di trasformazione in SR, tra cui: l’omologia ≥98% del gene codificante per la regione variabile della catena pesante delle immunoglobuline (IGHV), l’utilizzo di specifici geni IGHV, l’utilizzo di recettore delle cellule B (BCR) stereotipato, il cariotipo FISH, lo stato mutazionale di TP53, il genotipo di BCL2, la lunghezza del telomero e l’espressione di CD38, ZAP70 e CD49d (3, 16-19). Di questi markers biologici, solo alcuni si sono dimostrati essere fattori di rischio indipendenti per lo sviluppo di SR, in particolare: a) espressione di CD38 (Figura 1); b) assenza di del13q14; c) utilizzo di specifici geni IGHV (IGHV4-39); d) utilizzo di BCR stereotipato; e) lunghezza del telomero (3, 16-19) (Figura 2). Oltre a questi però, esistono altri marcatori biologici che sono stati identificati come fattori di rischio di trasformazione da LLC a SR: è interessante notare come il profilo genetico dell’ospite giochi un ruolo fondamentale in tal senso (20, 21) (Figura 2). È stato anche dimostrato come la dimensione linfonodale ≥3 centimetri, un parametro di malattia solida, sia l’unico fattore di rischio clinico di trasformazione da LLC a SR selezionato da due modelli di analisi multivariata (3) (Figura FIGURA 2 - Fattori di rischio clinici e molecolari che, alla diagnosi di LLC, predicono la trasformazione a SR. Al tempo della diagnosi di LLC, molteplici marcatori predicono un aumentato rischio di trasformazione a SR, tra cui: espressione di CD38, dimensioni della linfoadenopatia, lunghezza del telomero, assenza di del13q14, caratteristiche immunogenetiche del clone LLC (BCR stereotipato), genotipi GG/CG dello SNP rs6449182 di CD38, e genotipo TT dello SNP rs2306029 di LRP4. 61 62 Seminari di Ematologia Oncologica 2). Contrariamente, nella stessa analisi multivariata, i parametri di malattia leucemica (conta linfocitaria, stadio RAI avanzato, splenomegalia, percentuale e pattern di coinvolgimento del midollo osseo) non sono emersi come fattori di rischio clinici indipendenti di trasformazione a SR (3). Come atteso, i parametri di malattia leucemica sono risultati predittivi di breve tempo alla progressione di malattia nei pazienti affetti da LLC senza trasformazione a SR. La discrepanza nella predizione di progressione versus trasformazione rafforza ulteriormente la distinzione tra progressione di LLC e trasformazione in SR (3). Da un punto di vista biologico, il fatto che sia l’espressione di CD38 sia la dimensione linfonodale ≥3 cm siano predittori indipendenti di SR suggerisce che l’attività di un circuito molecolare nei linfonodi coinvolti da LLC possa essere importante per il rischio dei singoli pazienti e per la patogenesi di SR. Molte evidenze suggeriscono una stretta associazione tra espressione di CD38 e coinvolgimento linfonodale nella LLC (22-25). Infatti, l’espressione di CD38: a) è maggiore nelle cellule di LLC del linfonodo rispetto alle cellule di LLC del sangue periferico o del midollo osseo; b) è richiesta per la migrazione delle cellule di LLC nei tessuti linfoidi; c) si associa a malattia prevalentemente nodale (22-25). Queste stesse caratteristiche predicono la trasformazione a SR (3). Il linfonodo può fornire un microambiente ottimale per la proliferazione e la trasformazione blastica delle cellule di LLC che esprimono CD38 (26-28). Curiosamente, l’attivazione in vitro della via del segnale di CD38 induce la trasformazione delle cellule di LLC in plasmablasti, la cui morfologia mima le grandi cellule proprie della trasformazione in SR (26). L’identificazione dell’espressione di CD38 come fattore di rischio per lo sviluppo di SR ha stimolato ulteriori ricerche sulla correlazione di questa molecola con la trasformazione di LLC in SR. L’espressione di CD38 è regolata a molteplici livelli (27). L’estremità 5’ dell’introne 1 del gene codificante per CD38 è nota per essere un importante regolatore dell’espressione di CD38 in cellule emopoietiche (29). Nella stessa regione genica è stato mappato un polimorfismo di un singolo nucleotide (single nucleotide polymorphism, SNP) che comporta la sostituzione C>G in posizione nucleotidica 184 (30). La presenza dell’allele minore G, in condizione di eterozigosi o di omozigosi, correla con lo sviluppo di SR (20). Rispetto agli omozigoti CC, i pazienti affetti da LLC che sono omozigoti GG hanno un aumento relativo del 30.6% del rischio di sviluppare SR, mentre i soggetti eterozigoti GC mostrano una probabilità intermedia pari al 12.4% (20). Inoltre, a 5 anni, i pazienti omozigoti GG mostrano un incremento della probabilità di sviluppare SR, che è approssimativamente doppia rispetto a quella dei soggetti eterozigoti GC (20). Queste osservazioni dimostrano che il profilo genetico dell’ospite riveste un ruolo rilevante nel predire lo sviluppo di SR nei pazienti affetti da LLC. Proprio quest’ultima osservazione ha fatto sì che venissero intrapresi nuovi studi atti a identificare le variabili del background genetico dell’ospite coinvolte nella trasformazione da LLC a SR. L’analisi di un elevato numero di SNP ha rilevato che anche il profilo genetico del gene LRP4 (rs2306029) è un importante predittore di trasformazione (21). In particolare, i pazienti omozigoti per l’allele minore T del polimorfismo LRP4 rs2306029 hanno mostrato una probabilità di trasformazione a 5 anni significativamente maggiore rispetto ai pazienti portatori in omozigosi o in eterozigosi dell’allele comune C (21). È interessante notare come il gene LRP4 codifichi per una proteina coinvolta nella via di trasduzione del segnale di Wnt/beta-catenina, che è nota per essere attivata nelle cellule di LLC (31). Il coinvolgimento di LRP4 nella patogenesi di altre malattie fa supporre un possibile ruolo dell’interazione tra LRP4 e Wnt/beta-catenina nella patogenesi della SR (32). Il cariotipo FISH eseguito alla diagnosi di LLC ha dimostrato di poter predire la trasformazione in SR. In particolare, l’assenza di del13q14 costituisce un fattore di rischio indipendente di sviluppo (3). È ipotizzabile che le differenze patogenetiche tra LLC con o senza del13q14 siano alla base della differente predisposizione alla trasformazione in SR di queste due sottocategorie di LLC. Si ritiene infatti che del13q14 giochi un ruolo importante nella patogenesi della malattia e che la sua presenza attivi vie di trasduzione del segnale cellu- Sindrome di Richter lare che sono differenti da quelle attivate in sua assenza (33, 34). Il concetto che la propensione alla trasformazione in linfoma diffuso a grandi cellule B possa essere influenzata dal profilo molecolare della precedente fase indolente della malattia non è esclusivo della LLC. Infatti, anche nel linfoma MALT è stato dimostrato che la trasformazione in linfoma diffuso a grandi cellule B dipende dalle caratteristiche del pre-esistente clone B-cellulare (35). Altre alterazioni FISH, tra le quali del17p13, del11q23, +12 o la traslocazione della banda 14q32, non sono risultate essere associate a un aumentato rischio di SR (3, 36). Anche la selezione da parte dell’antigene attraverso il BCR può facilitare la trasformazione di LLC in SR. Il ruolo del BCR nel determinare lo sviluppo di SR può dipendere anche dalle caratteristiche del gene IGHV utilizzato dal clone tumorale. Infatti, l’utilizzo di uno specifico gene IGHV, chiamato IGHV4-39, è un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di SR (3, 18). In aggiunta, la frequenza di IGHV4-39 nella SR è significativamente maggiore rispetto alle LLC che non vanno incontro a trasformazione (18). L’utilizzo di IGHV4-39 è selettivamente predittivo di SR, e non è stato associato ad altri outcome di LLC (3, 37). Una frazione rilevante di pazienti affetti da LLC (circa il 30%) mostra un elevato grado di somiglianza strutturale tra i BCR, dovuta all’elevato grado di omologia tra le regioni VH CDR3 dei geni codificanti per le catene pesanti delle immunoglobuline (38-41). Questo fenomeno è conosciuto come BCR stereotipato e suggerisce un importante ruolo della stimolazione antigenica nello sviluppo della malattia (37). Recentemente, il nostro gruppo ha dimostrato come la presenza di BCR stereotipato al momento della diagnosi di LLC costituisca un fattore di rischio per la trasformazione a SR (18). Comparando le caratteristiche immunogenetiche di 69 casi di SR con quelle di 714 casi di LLC, la presenza di BCR stereotipato è risultato significativamente maggiore nella popolazione di SR rispetto a LLC non trasformate (49.3% rispetto a 21.3%) (18). Applicando un approccio attuariale a questa coorte di pazienti, è stato dimostrato che l’utilizzo di BCR stereotipato al momento della diagnosi di LLC è un predittore indipendente di sviluppo di SR (18). Il rischio di trasformazione dei pazienti portatori del BCR stereoti- pato è indipendente dallo stato mutazionale dei geni IGHV (18). La disponibilità di numerosi prognosticatori indipendenti di SR rappresenta la base per costruire in futuro uno score di rischio clinico applicabile al singolo paziente al momento della diagnosi di LLC. n ISTOPATOLOGIA Classicamente, la SR è rappresentata dal linfoma diffuso a grandi cellule B (3, 4, 9-11, 42-46). La malattia coinvolge più frequentemente i linfonodi, ma non sono infrequenti le localizzazioni extra-nodali a livello del tratto gastroenterico, cutaneo, epatico, tonsillare e nel midollo osseo (3, 4, 9-11, 42-46). In alcuni casi, il coinvolgimento della SR non è generalizzato a tutti i siti, ma è ristretto ad una singola lesione nodale o extranodale. Pertanto, da un punto di vista pratico-clinico, la biopsia deve essere diretta alla lesione indice, ovvero la lesione che mostra il maggiore diametro tramite imaging radiologico. Le caratteristiche PET della lesione, in particolare il valore del SUV, possono aiutare per la scelta del sito bioptico, dal momento che le regioni affette da SR hanno un valore di SUV simile a quello del linfoma diffuso a grandi cellule B de novo (47). L’utilizzo della PET nella diagnosi di SR e nella predizione del coinvolgimento degli organi da parte della SR è in studio e non è ancora del tutto standardizzato (47). I casi di SR diagnosticati come linfoma diffuso a grandi cellule B generalmente consistono in strati confluenti di grandi linfociti B neoplastici che sono chiaramente distinguibili dalla proliferazione di piccoli linfociti con scarso citoplasma e cromatina addensata che sono tipici della fase della LLC. I casi di LLC con numerosi centri proliferativi o aumentata proporzione di prolinfociti, ma senza l’aspetto di linfoma diffuso a grandi cellule B, non devono essere diagnosticati come SR. Inoltre, i casi che si presentano come linfoma diffuso a grandi cellule B esprimenti il CD5 devono essere distinti dal linfoma diffuso a grandi cellule B de novo CD5 positivo, che rappresenta una distinta entità patologica (48). Morfologicamente, tra le SR si possono ricono- 63 64 Seminari di Ematologia Oncologica scere entrambe le varianti di linfoma diffuso a grandi cellule B: centroblastica e immunoblastica. Basandosi sull’algoritmo di Hans per il profilo immunoistochimico dei linfomi diffusi a grandi cellule B de novo (49), la maggior parte di SR (approssimativamente l’80%) mostrano un fenotipo non-germinal center identificato da positività per IRF4, mentre solo il 20% dei casi mostra un fenotipo germinal center-like definito dall’espressione di CD10 e/o BCL-6 (11). La proporzione di casi di SR con fenotipo germinal centerlike rispetto ai casi con fenotipo non-germinal center differisce marcatamente rispetto a quella riscontrata nei linfomi diffusi a grandi cellule B de novo (11, 49). È da notare, comunque, che l’algoritmo di Hans è stato sviluppato per i linfomi diffusi a grandi cellule B de novo, e che i markers immunoistochimici impiegati dall’algoritmo non coprono la grande eterogeneità di linfomi diffusi a grandi cellule B che si presentano come SR (49). Attualmente, mancano studi sul profilo di espressione genica della SR, che potrebbero fornire indizi importanti per una corretta comprensione della biologia e dell’istogenesi della malattia. La trasformazione della LLC in linfoma diffuso a grandi cellule B è frequentemente, sebbene non sempre, accompagnata dalla perdita dell’espressione degli antigeni CD5 e CD23, che sono invariabilmente espressi dal clone neoplastico nella fase di LLC (11). Il CD20 è generalmente espresso dalle cellule linfomatose di SR e rappresenta un bersaglio dell’immunoterapia con rituximab (11). Come detto prima, il termine SR in questa rassegna è ristretto alla trasformazione di LLC in linfoma diffuso a grandi cellule B che è da considerarsi la classica forma di SR. Quando usato in modo più ampio, il termine SR può comprendere anche altre varianti clinico-patologiche. Il linfoma di Hodgkin classico può presentarsi in rari casi di LLC, e riflette la morfologia e il profilo di espressione antigenica del linfoma di Hodgkin insorto come malattia primaria (4, 11). n PATOGENESI MOLECOLARE I meccanismi molecolari di trasformazione da LLC a SR sono per la maggior parte sconosciuti. Nella SR classica, rappresentata dal linfoma diffuso a grandi cellule B, studi immunogenotipici hanno rivelato che la maggior parte dei casi di SR (approssimativamente l’80%) sono clonalmente correlati al pre-esistente clone di LLC (3-11). Si ritiene che queste SR siano dovute all’accumulo di lesioni genetiche e/o epigenetiche che guidano lo sviluppo di una popolazione cellulare aggressiva originante dal clone di LLC. Il restante 20% dei casi di SR non è correlato al clone originale della LLC (3-11). I meccanismi patogenetici in questo contesto non possono essere direttamente correlati all’accumulo di lesioni genetiche del clone LLC, ma piuttosto potrebbero essere correlati ad alterazioni del profilo genetico ed alla funzione immunologica dell’ospite, oppure a disfunzioni del microambiente cellulare che aumentino la probabilità di sviluppo di linfoma diffuso a grandi cellule B. Lo sviluppo di linfoma diffuso a grandi cellule B non clonalmente correlato alla LLC può essere parte di un fenomeno più generalizzato che, per ragioni ancora sconosciute, aumenta la predisposizione dei pazienti affetti da LLC allo sviluppo di una seconda neoplasia linfoide o, più in generale, di un secondo tumore (5). Ad oggi, la conoscenza delle lesioni genetiche associate alla trasformazione da LLC a linfoma diffuso a grandi cellule B clonalmente correlato è ancora limitata. L’acquisizione di mutazioni di TP53 e/o del17p13 sono eventi molecolari frequenti nelle SR (50, 51), così come in altri tipi di trasformazione da neoplasia B indolente a neoplasia B aggressiva (52, 53). Curiosamente, rispetto al frequente coinvolgimento nella patogenesi della SR, le mutazioni di TP53 alla diagnosi di LLC non aumentano il rischio successivo di sviluppo di SR (3). L’enzima activation-induced cytidine deaminase (AID) è essenziale per la fisiologica ipermutazione somatica delle cellule B normali, e può condurre a ipermutazione somatica aberrante (ASHM) di molteplici proto-oncogeni coinvolti nella linfomagenesi B-cellulare (54, 55). La ASHM di cMYC, RhoH/TTF, PAX5 e PIM1 rappresenta la lesione genetica più frequente ad oggi conosciuta nei linfomi diffusi a grandi cellule B de novo (5658). Nonostante i livelli di AID aumentino al tempo della trasformazione in SR (9, 59), gli studi di Sindrome di Richter ASHM nella SR hanno prodotto risultati contrastanti (59, 60). L’apparente bassa incidenza di ASHM nella SR distingue la trasformazione da LLC a linfoma diffuso a grandi cellule B rispetto alla trasformazione da linfoma follicolare a linfoma diffuso a grandi cellule B. Quest’ultima, infatti, è frequentemente accompagnata da un alto numero di eventi ascrivibili ad ASHM che è operativa al momento della trasformazione istologica (60). Gli studi citogenetici finora non hanno rivelato anomalie ricorrenti selettivamente associate a SR (6165). Il riscontro di trisomia 12 nella SR non è specifico per la malattia, dal momento che la trisomia 12 è di frequente riscontro in diverse altre neoplasie B cellulari, inclusa la LLC (66). A differenza degli altri tipi di linfoma non-Hodgkin B, la traslocazione 14q32 non contribuisce ai meccanismi molecolari coinvolti nella trasformazione da LLC a SR (36). In accordo con ciò, nella SR non si riscontrano traslocazioni di BCL1, BCL2 e BCL6 (3). La mancanza del coinvolgimento della traslocazione di 14q32 nello sviluppo di SR suggerisce che la patogenesi della SR sia diversa da quella degli altri linfomi non-Hodgkin aggressivi, incluso il linfoma diffuso a grandi cellule B de novo, in cui un meccanismo patogenetico frequente è la deregolazione di proto-oncogeni tramite la giustapposizione ai loci delle IG (36, 67, 68). Gli studi di citogenetica molecolare hanno dimostrato che la SR si associa ad un alto grado di complessità genomica rispetto alla LLC, sebbene nessuna delle lesioni genetiche ad oggi riscontrate sia specifica per SR (69). Nella patogenesi della SR è stato postulato anche un possibile ruolo dell’infezione da EBV. Tuttavia il fatto che la maggior parte dei casi di SR sia negativa per l’infezione da EBV non è a favore di questa ipostesi (3). La presenza di sequenze di EBV è stata documentata in alcuni, tuttavia non tutti, pazienti affetti da SR precedentemente trattati con fludarabina nella fase di LLC (70, 71). È stato ipotizzato che l’infezione da EBV in questi casi sia conseguenza della deregolazione immununitaria causata dall’analogo nucleosidico. Complessivamente le osservazioni sulla patogenesi della SR indicano che questa patologia non può essere facilmente riassunta da lesioni genetiche identificate in altri disordini B cellulari. Si impone quindi la necessità di nuovi studi finalizzati a chiarire le basi molecolari della malattia. Auspicabilmente, gli studi genomici attualmente in corso potranno rivelare nuove alterazioni molecolari e anomalie nell’espressione genica coinvolte nello sviluppo della SR. n CARATTERISTICHE CLINICHE La diagnosi di SR richiede la dimostrazione istologica della trasformazione da LLC a linfoma aggressivo. Quando possibile, è preferibile sottoporre la lesione indice a biopsia. Solamente in casi eccezionali, quando la biopsia non possa essere eseguita a causa del performance status del paziente o per difficoltà tecniche all’accesso del sito anatomico della lesione indice, la dimostrazione citologica ottenuta tramite biopsia ad ago sottile può essere accettabile per porre diagnosi di SR. La prognosi dei pazienti affetti da SR è generalmente considerata altamente sfavorevole. Tuttavia, in una coorte di 148 pazienti affetti da SR diagnosticata tramite biopsia o agoaspirato è stato dimostrato che la sopravvivenza della SR non è uniforme tra i pazienti, con range che va da poche settimane a 15 anni (15). La prognosi può essere predetta dal SR score, che non predice la possibilità di sviluppo di SR nei pazienti affetti da LLC, ma piuttosto predice la prognosi della SR una volta avvenuta la trasformazione (15). Lo SR score predice il rischio di morte del paziente affetto da SR in base a 5 diversi fattori sfavorevoli che predicono una ridotta sopravvivenza: a) Zubrod performance status >1; b) elevati livelli di LDH; c) conta piastrinica ≤100000; d) lesioni di dimensioni ≥5 cm; e) più di 2 precedenti linee di terapia (15). Poichè il rischio relativo associato a ciascuno dei fattori di rischio che costituiscono il SR score è comparabile, il rischio relativo di morte è ottenuto dalla somma del numero dei fattori di rischio che sono presenti alla diagnosi di SR. I pazienti sono perciò assegnati ad uno di 4 gruppi di rischio sulla base del numero dei fattori di rischio presentati: 0 o 1, basso rischio; 2, rischio intermedio-basso; 3, rischio intermedio-alto; 4 o 5, alto 65 66 Seminari di Ematologia Oncologica rischio. Nello SR score originario, la sopravvivenza era 1.12 anni nei pazienti con SR score 0-1; 0.90 anni nei pazienti con SR score 2; 0.33 anni nei pazienti con SR score 3; e 0.14 anni nei pazienti con SR score 4-5 (15). Curiosamente, i fattori di rischio valutati dall’International Prognostic Index (numero di siti extranodali di malattia, età e stadio di malattia) non sono rilevanti nel SR score, confermando il fatto che SR e linfoma diffuso a grandi cellule B de novo sono patologie tra loro differenti non solo biologicamente, ma anche clinicamente. n TRATTAMENTO Nessuno degli attuali approcci terapeutici può essere considerato terapia standard o comunque soddisfacente per la SR. Sebbene la maggior parte dei casi di SR sia istologicamente classificata come linfoma diffuso a grandi cellule B, i risultati della terapia sono molto meno promettenti rispetto a quelli ottenuti nel linfoma diffuso a grandi cellule B de novo, e in molti casi il trattamento è destinato a fallire (72-76). Gli scarsi risultati nella SR rispetto al linfoma diffuso a grandi cellule B de novo sono motivati da tre ragioni intuitive: a) la SR si associa frequentemente a marcatori biologici di chemiorefrattarietà, tra cui l’inattivazione di TP53; b) la massa tumorale alla diagnosi è elevata, a causa di frequente ritardo diagnostico; c) la fragilità dei pazienti affetti da SR costituisce un fattore limitante la scelta terapeutica. Come per gli altri linfomi trasformati, per esempio il linfoma diffuso a grandi cellule B che origina da una precedente diagnosi di linfoma follicolare, i casi di SR sono intrinsecamente più chemioresistenti, e mostrano un maggior rischio di alterazioni geniche, quali del17p13 e mutazioni di TP53, che rendono questa malattia refrattaria ai programmi chemioterapici convenzionali (3, 68). L’esteso coinvolgimento della malattia, la grande massa tumorale e la rapida cinetica sono caratteristiche comuni della SR, caratterizzandone più del 50% dei casi (3, 15). È stato dimostrato che la massa tumorale è un predittore indipendente di ridotta sopravvivenza nei pazienti affetti da SR (15). La fragilità, comune nel contesto dei pazienti affetti da SR, deriva dallo scarso performance status e dalla scarsa funzionalità midollare e dall’immunodeficienza (3, 15), e rappresenta un predittore indipendente di ridotta sopravvivenza nei pazienti affetti da SR (15). La fragilità dei pazienti preclude, in un’elevata frazione di casi, l’uso di terapia ad alte dosi associata a trapianto di cellule staminali, limitando quindi le opzioni terapeutiche e il possibile beneficio derivato dall’uso di regimi terapeutici mieloablativi (15). A causa di queste caratteristiche cliniche e biologiche della SR, la sopravvivenza mediana con chemioterapia convenzionale con o senza rituximab risulta inferiore a 12 mesi (72-76). I regimi chemioterapici utilizzati nella SR sono eterogenei e sono stati sviluppati inizialmente per altri disordini linfoidi, in particolare per i linfomi nonHodgkin aggressivi o per la leucemia linfoblastica acuta. In epoca pre-rituximab, i regimi utilizzati per la SR includevano, ma non erano limitati a, CHOP-bleo, MACOP-B, ASHAP, VAD e hyper-CVXD (74-77). Rituximab-CHOP, che è considerato terapia standard per il linfoma diffuso a grandi cellule B de novo, è generalmente adottato nella SR come regime terapeutico di scelta, sebbene i risultati siano lontani dall’essere soddisfacenti (15, 78). È stata anche utilizzata la combinazione di rituximab con regimi frazionati, per esempio rituximab-hyper-CVXD (76). La combinazione di rituximab con CHOP o hyperCVXD ha indotto risposte nel 47% dei pazienti, versus un tasso di risposta pari al 34% utilizzando la sola chemioterapia (76). Sebbene le differenze non raggiungano la significatività statistica, i dati suggeriscono che l’immunochemioterapia contenente rituximab possa offrire alcuni benefici nella terapia della SR. Recentemente è stato proposto un trial di fase III volto a testare, nei pazienti con SR, un regime poli-chemioterapico denominato OFAR, contenente oxaliplatino, fludarabina, citarabina e rituximab (79). Il razionale alla base dello sviluppo del regime OFAR prende origine da 3 osservazioni: a) dati pre-clinici hanno dimostrato una citotossicità sinergica tra oxaliplatino e gli analoghi nucleosidici fludarabina e citarabina (80, 81); b) la somministrazione di fludarabina prima di citarabina aumenta la concentrazione intracel- Sindrome di Richter lulare del metabolita attivo, la citarabina trifosfato (81); c) i regimi basati sull’oxaliplatino contenenti citarabina ad alte dosi hanno mostrato attività nei linfoma diffuso a grandi cellule B de novo recidivato, così come in altri tipi di linfoma (82, 83). Il 50% dei pazienti affetti da SR e trattati con il regime OFAR ha ottenuto una risposta completa o parziale (79). OFAR è stato generalmente ben tollerato, e le tossicità di grado 3-4 sono state principalmente ematologiche. A dispetto di questi risultati promettenti, la durata mediana della risposta ottenuta con il regime OFAR è stata di soli 10 mesi, con un tasso di sopravvivenza a 6 mesi del 60% (79). I pazienti che hanno ottenuto una risposta completa o una risposta parziale hanno mostrato una più lunga sopravvivenza rispetto ai pazienti la cui malattia non ha risposto a OFAR (79). Poichè i risultati con l’immunoterapia convenzionale, incluso OFAR, non possono essere considerati soddisfacenti, è necessario che vengano esplorati nuovi approcci terapeutici per la SR. Un’opzione è rappresentata dall’utilizzo di terapie di consolidamento o di mantenimento una volta che si sia ottenuta una risposta completa o una risposta parziale con RCHOP, OFAR, o altri regimi. Nonostante la scarsa attività come agenti singoli per la terapia di induzione della SR (84, 85), l’immunoterapia, con rituximab e alemtuzumab, o la radioimmunoterapia possono essere opzioni attraenti per la terapia di consolidamento e di mantenimento nei pazienti affetti da SR nel contesto di approcci multistep, già esplorati nella LLC e nei linfomi nonHodgkin (86-93). Gli approcci basati su alemtuzumab o radioimmunoterapia possono essere considerati sperimentali al momento, ed è necessario che siano investigati in trials clinici dedicati. I pazienti affetti da SR più giovani sono candidati al trapianto autologo o allogenico di cellule staminali emopoietiche (94). Il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche può essere considerato particolarmente promettente (15). Uno studio effettuato dallo MD Anderson Cancer Center ha mostrato che la sopravvivenza cumulativa a 3 anni è pari al 75% nei pazienti che avevano ottenuto una risposta completa o una risposta par- ziale e che poi erano stati sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche, rispetto a una sopravvivenza del 27% per i pazienti che inizialmente hanno risposto alla terapia, ma non sono stati sottoposti al trapianto allogenico (15). Il trapianto allogenico di cellule staminali, come atteso, non è risultato di beneficio nei pazienti refrattari ai regimi di induzione (15). Come per altre malattie aggressive oncoematologiche, quindi, l’ottenimento della risposta in fase di induzione è un obiettivo molto importante anche nel caso di SR. n STATO ATTUALE E PROSPETTIVE FUTURE Gli studi degli ultimi anni hanno documentato un numero crescente di marcatori molecolari e fenotipici che, già al tempo della diagnosi di LLC, permettono di attribuire il rischio di sviluppare SR in un qualche momento della storia naturale della malattia (3, 18-21). Questi markers sono rappresentati dall’espressione e dal genotipo di CD38, dal cariotipo FISH, dall’utilizzo di un BCR stereotipato, dalla lunghezza del telomero, dal profilo genetico dell’ospite e dall’utilizzo di specifici geni IGHV (3, 18-21). La conoscenza di questi predittori biologici può essere utile al fine di adottare una stretta sorveglianza clinica e una politica bioptica più aggressiva nei pazienti affetti da LLC che sono a rischio di trasformazione, al fine di riconoscere precocemente lo sviluppo di SR. Vari predittori di trasformazione fanno parte delle indagini diagnostiche che sono messe comunque in atto al momento della diagnosi di LLC, tra cui la citometria a flusso per CD38 e le indagini molecolari sui geni IGHV che sono ormai entrati nella pratica clinica. I predittori molecolari finora identificati provengono da coorti retrospettive, e devono perciò idealmente essere validati in studi prospettici. Le nuove tecnologie disponibili, permettendo lo studio dell’intero genoma, possono essere utili a identificare nuovi e specifici markers di trasformazione da LLC a SR. La messa a punto dello SR score per la definizione della prognosi della SR ha rappresentato un importante avanzamento nell’identificazione dei 67 68 Seminari di Ematologia Oncologica fattori prognostici post-trasformazione nei pazienti affetti da SR (15). Attualmente, lo stato dell’arte prevede che i pazienti affetti da SR vengano trattati con terapie citoriduttive a base di rituximab in combinazione con una poli-chemioterapia citotossica con l’intento di ottenere una risposta. Ai pazienti in risposta dopo il trattamento di induzione, può essere offerta l’opzione trapiantologica (allo-trapianto) se percorribile in relazione all’età del paziente, al performance status ed alla disponibilità di un donatore (15). Non è stato indagato, ad oggi, il ruolo dell’immunoterapia come terapia di consolidamento per le SR che rispondano alla terapia di induzione, ma che non che siano suscettibili di trapianto, sul modello di modalità terapeutiche esplorate nella LLC (es. alemtuzumab) e nei linfomi (90Y-ibritumomab, 131I-tositumomab). Allo stesso modo, non è stato ancora valutato l’impatto dei nuovi farmaci (es. lenalidomide, ofatumomab, flavopiridolo) nell’induzione della risposta di SR. Per rispondere a questi quesiti sarebbero necessari studi pilota e, qualora possibili, trial clinici multicentrici. Molti sono gli interrogativi che rimangono ancora aperti nella SR. Nonostante il termine SR sia correntemente applicato sia ai linfomi diffusi a grandi cellule B clonalmente correlati sia a quelli non clonalmente correlati (3, 4), è probabile che le due condizioni siano distinte l’una dall’altra e che abbiano differente prognosi e, potenzialmente, richiedano differenti trattamenti. Analogamente, non è noto se le SR ad esordio precoce e le SR ad esordio tardivo siano biologicamente e clinicamente differenti. L’ostacolo a una terapia mirata della SR è rappresentato dalla scarsa conoscenza delle lesioni molecolari, genetiche o epigenetiche responsabili della trasformazione da LLC a SR. La diagnosi precoce di SR nei pazienti affetti da LLC è particolarmente importante (15). Questa osservazione impone di perfezionare l’individuazione di fattori di rischio per SR, nonché di definire strumenti diagnostici non invasivi utili a generare il sospetto di SR con alta sensibilità e specificità. A questo scopo, gli sforzi devono essere diretti a generare un algoritmo diagnostico-prognostico che utilizzi i fattori di rischio clinici e biologici oggi noti per la SR. n BIBLIOGRAFIA 1. Richter MN. Generalized reticular cell sarcoma of lymph nodes associated with lymphatic leukaemia. Am J Pathol. 1928; 4: 285-92. 2. Hallek M, Cheson BD, Catovsky D, Caligaris-Cappio F, Dighiero G, Döhner H, et al. Guidelines for the diagnosis and treatment of chronic lymphocytic leukemia: a report from the InternationalWorkshop on Chronic Lymphocytic Leukemia updating the National Cancer Institute-Working Group 1996 guidelines. Blood. 2008; 111: 5446-56. 3. Rossi D, Cerri M, Capello D, Deambrogi C, Rossi FM, Zucchetto A, et al. 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MAURO Ematologia, Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia, Università “Sapienza” Roma Robin Foà n INTRODUZIONE La leucemia linfatica cronica (LLC) è la forma di leucemia più comunemente osservata nei paesi occidentali e nella popolazione adulta (1). La sua prevalenza è in aumento in quanto l’aspettativa mediana di vita è generalmente in aumento. Si tratta di una forma di leucemia a decorso molto variabile. Accanto a casi che presentano una malattia stabile per molti anni, se non per tutta la vita, ve ne sono altri caratterizzati da malattia rapidamente progressiva che richiede precocemente un trattamento. La forte diversità del comportamento clinico della LLC va ricercata nelle sue caratteristiche biologiche che condizionano in modo importante sia il profilo di crescita cellulare che la risposta terapeutica. Tra queste caratteristiche, vanno menzionate alcune alterazioni citogenetiche evidenziabili con la metodica FISH, le mutazioni che interessano i geni che codificano per le catene pesanti delle immunoglobuline (IgVH), l’espressione dell’antigene CD38 e di ZAP-70 (2-6). Insieme alla delezione 17p, la mutazione del gene TP53 è l’alterazione genetica che si associa alla prognosi più sfavorevole essendo correlata ad una resistenza alla chemioterapia e ad una ridotta durata di sopravvivenza (7-9). Parole chiave: LLC, terapia, immunoterapia, agenti biologici, vaccini Indirizzo per la corrispondenza Prof. Robin Foà Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologa Università “Sapienza” Via Benevento, 6 - 00161 Roma E-mail: [email protected] Benché negli ultimi 20 anni vi sia stato un notevole ampliamento dell’armamentario terapeutico della LLC e sia stato ottenuto non solo un incremento delle risposte terapeutiche, ma anche una migliore qualità delle risposte, la LLC ancor oggi è considerata una patologia non eradicabile con la terapia convenzionale ed i pazienti presentano nel tempo ricorrenti recidive di malattia. La storia naturale della malattia è frequentemente caratterizzata dall’insorgenza di una condizione di refrattarietà alla terapia che identifica una situazione clinica prognosticamente assai sfavorevole (10). Si pone quindi non raramente il problema della gestione terapeutica di pazienti refrattari o anche doppi refrattari ovvero, refrattari sia alla fludarabina che all’anticorpo monoclonale campath, e pazienti refrattari alla fludarabina e con malattia linfonodale bulky (diametro delle linfoadenomegalie >5 cm) che li rende non eleggibili ad un trattamento con campath. Tam et al. (13) hanno valutato retrospettivamente la prognosi di pazienti con queste caratteristiche seguiti presso il MD Anderson Cancer Center di Houston (MDACC). Solo il 23% dei pazienti otteneva una risposta terapeutica alle terapie successive, le risposte erano parziali con durata mediana non superiore a 3 mesi e la probabilità di sopravvivenza mediana era di 9 mesi. L’instaurarsi di una refrattarietà alle terapie convenzionali rappresenta una condizione di difficile gestione clinico-terapeutica in cui emerge la necessità di poter disporre di nuovi farmaci non cross-resistenti indispensabili per cercare di prolungare la sopravvivenza del paziente con LLC. I numerosi studi che hanno attualmente come oggetto la valutazione di nuovi anticorpi monoclonali e di nuove molecole (Tabella 1) rappresentano la risposta a questa pressante esigenza. In questa rassegna, 74 Seminari di Ematologia Oncologica Agente Meccanismo d’azione Anticorpi monoclonali Ofatumumab GA-101 Veltuzumab Lumiliximab Anti-CD20 Anti-CD20 Anti-CD20 Anti-CD23 Lenalidomide Immunomodulante Flavopiridolo Inibitore delle kinasi ciclino-dipendenti Inibitori di Bcl-2 Oblimersen Obatoclax ABT-263 Inibitori delle tirosin-chinasi Dasatinib Fostamatinib Vatalanib e pazopanib Antisenso di Bcl-2 Inibitore di Bcl-2 Inibitore di Bcl-2 Inibitore delle Src e ABL chinasi Inibitore di SYK Inibitori del recettore del VEGF TABELLA 1 - Nuove molecole ed anticorpi monoclonali nella terapia della LLC. verrà offerta una descrizione delle nuove molecole di cui viene attualmente valutata la potenzialità terapeutica in questa forma di leucemia. n NUOVI ANTICORPI MONOCLONALI Lo sviluppo di nuovi anticorpi monoclonali è stato diretto alla realizzazione di anticorpi specifici per nuovi antigeni o per regioni diverse dello stesso antigene, o è stato anche indirizzato alla formulazione di anticorpi la cui la struttura è stata modificata in modo da migliorarne l’attività in termini di antibody-dependent cell-mediated cytotoxicity (ADCC) e di capacità di indurre direttamente il processo di apoptosi. Molti dei nuovi anticorpi monoclonali sono già stati sottoposti a sperimentazione clinica, mentre alcuni sono attualmente ancora in fase preclinica. Ofatumumab Ofatumumab è un anticorpo monoclonale di seconda generazione e completamente umanizzato diretto contro l’antigene CD20. Questo anticorpo riconosce un epitopo dell’antigene CD20 diverso da quello riconosciuto dall’anticorpo monoclonale rituximab. Rispetto a quest’ultimo, si mostra più fortemente attivo nell’indurre ADCC anche in cellule con ridotta densità di espressione dell’antigene CD20 come i linfociti della LLC (11). Il primo studio in cui è stata valutata l’attività terapeutica dell’anticorpo monoclonale ofatumumab è stato lo studio di fase I/II proposto da Coiffier et al. (12). In questo studio sono stati inclusi pazienti precedentemente trattati che sono stati suddivisi in 3 coorti. La dose iniziale di ofatumumab è stata nelle 3 coorti rispettivamente di 100, 300 e 500 mg. Successivamente, nei pazienti delle 3 coorti sono state somministrate 3 dosi settimanali di ofatumumab al dosaggio di 500, 1000 e 2000 mg, rispettivamente. È stata documentata una risposta di tipo parziale nel 44% dei pazienti trattati con una sopravvivenza libera da progressione di malattia di 3 mesi circa. Wierda et al. (13) hanno condotto uno studio multicentrico internazionale in cui è stata valutata l’attività terapeutica di ofatumumab in pazienti affetti da LLC e refrattari al precedente trattamento. Sono stati trattati 138 pazienti, 59 pazienti refrattari sia alla fludarabina che all’anticorpo monoclonale alemtuzumab (FA-ref) e 79 pazienti refrattari alla terapia con fludarabina e non eleggibili ad un trattamento con alemtuzumab perchè caratterizzati dalla presenza di una malattia linfonodale bulky, ovvero da linfoadenomegalie di diametro superiore a 5 cm (BFref). In questo studio, sono state somministrate 8 dosi settimanali di ofatumumab. La prima somministrazione prevedeva una dose di 300 mg di ofatumumab, mentre le successive dosi sono state di 2000 mg ciascuna. Terminata questa prima fase di trattamento, i pazienti hanno ricevuto mensilmente 4 somministrazioni di ofatumumab, sempre alla dose di 2000 mg. È stata ottenuta una risposta in una percentuale relativamente elevata di pazienti, nel 55% dei pazienti definiti come FA-ref e nel 47% di quelli definiti come BF-ref. Si tratta di un risultato importante se si considera l’insuccesso terapeutico che solitamente contraddistingue questi sottogruppi di pazienti. Le probabilità mediane di sopravvivenza e di sopravvivenza libera da progressione di malattia sono risultate, rispettivamente, di 14 e 6 mesi per pazienti del gruppo FA-ref e di 15 mesi e 6 mesi per i pazienti del gruppo BF-ref. La tolleranza all’infusione dell’anticorpo monoclonale è stata buona. Le reazioni infusionali hanno solitamente interessato le prime somministrazioni di ofa- Terapie innovative tumumab e sono state ben controllate dalla terapia. L’incidenza di infezioni di grado >III è stata del 29% e la tossicità ematologica in termini di granulocitopenia di grado >III ha interessato il 42% dei pazienti. I risultati di questo studio indicano che l’anticorpo monoclonale ofatumumab somministrato come singolo agente ha una chiara efficacia terapeutica in pazienti con LLC refrattari alla terapia ed a prognosi altamente sfavorevole. Sulla base di questi risultati, la FDA e l’EMA hanno recentemente approvato l’impiego dell’anticorpo monoclonale ofatumumab nei pazienti affetti da LLC e refrattari a terapie comprendenti sia la fludarabina che l’anticorpo monoclonale alemtuzumab. Sono attualmente in corso 2 studi controllati multicentrici che si propongono di valutare l’efficacia di questo anticorpo monoclonale quando somministrato in combinazione con altri agenti di conosciuta attività nella LLC. Il primo studio è uno studio randomizzato in cui sono inclusi pazienti non precedentemente trattati. In questo studio viene confrontata l’attività terapeutica di 6 cicli mensili di un trattamento con clorambucile somministrato come singolo agente (C) con quella di 6 cicli mensili dell’associazione clorambucile e ofatumumab (O-C). Il secondo studio è uno studio randomizzato che confronta, in pazienti già precedentemente trattati, l’attività di 6 cicli mensili dell’associazione fludarabina, ciclofosfamide (FC) con quella di 6 cicli mensili dell’associazione fludarabina, ciclofosfamide e ofatumumab (O-FC). Il GIMEMA propone invece uno studio multicentrico in cui sarà valutata l’efficacia terapeutica della associazione bendamustina e ofatumumab (Bend-Ofa) in pazienti con LLC in recidiva o refrattari dopo un primo trattamento. GA-101 Attualmente è in corso la valutazione dell’attività di nuovi anticorpi glicoingegnerizzati e tra questi merita particolare interesse l’anticorpo monoclonale antiCD20 RG7159 (GA-101). La glicoingegnerizzazione è una procedura di biotecnologia che si propone di stimolare la capacità di un anticorpo monoclonale di indurre una risposta immunitaria contro le cellule tumorali. GA-101 è un anticorpo umanizzato di tipo II, in cui il processo di glicoingegnerizzazione ha significativamente incrementato in vitro la capacità di legame al recettore FC e quindi l’attività ADCC. Ne risulta per- tanto un’attività ADCC maggiore rispetto all’anticorpo monoclonale rituximab (14-17). Questo tipo di anticorpo è inoltre in grado di promuovere direttamente il processo apoptotico (18). Morchhauser et al. (19) hanno valutato l’attività terapeutica di questo anticorpo monoclonale in 13 pazienti con LLC refrattari o in recidiva dopo un numero mediano di 3 precedenti trattamenti che, nella maggior parte dei casi, avevano compreso l’anticorpo monoclonale rituximab. Un terzo dei pazienti presentava caratteristiche citogenetiche prognosticamente sfavorevoli. La dose somministrata di GA-101 è stata incrementata da 400 mg a 2000 mg. È stata ottenuta una risposta nel 62% dei casi. L’effetto collaterale più frequentemente osservato è stato la granulocitopenia e le reazioni infusionali sono state per severità ed incidenza non dissimili da quelle abitualmente osservate dopo somministrazione di rituximab. Il gruppo tedesco per lo studio della LLC (GCLLSG) ha recentemente promosso uno studio multicentrico randomizzato che si propone di confrontare in pazienti con LLC, non precedentemente trattati e con comorbidità, l’efficacia terapeutica di 3 diversi approcci terapeutici: clorambucile, clorambucile più rituximab e, infine, clorambucile più GA-101. Veltuzumab Veltuzumab è un anticorpo monoclonale anti-CD20 di recente sviluppo la cui molecola è stata realizzata in modo da incrementarne l’affinità di legame al frammento FCGR3a in presenza di polimorfismi a bassa affinità di legame. In uno studio attualmente in corso (20) questo anticorpo monoclonale di nuova generazione è stato somministrato per via sottocutanea in pazienti con LLC che hanno mostrato una riduzione significativa della linfocitosi periferica. Lumiliximab Lumiliximab è un anticorpo monoclonale chimerico diretto contro l’antigene CD23, una glicoproteina transmembrana espressa dalla maggioranza delle cellule leucemiche di LLC. In un protocollo di dose finding non è stata documentata una dose limiting toxicity quando l’anticorpo monoclonale lumiliximab veniva somministrato fino a raggiungere la dose di 500 mg/m2 tre volte alla settimana per 4 settimane (21). Inoltre, in studi preclinici, l’aggiunta di lumi- 75 76 Seminari di Ematologia Oncologica liximab ha incrementato l’attività citolitica sia della fludarabina che di rituximab. Queste osservazioni hanno rappresentato il razionale per il suo impiego clinico in combinazione con la schedula terapeutica fludarabina, ciclofosfamide, rituximab (FCR-Lumiliximab). Byrd et al. (22) hanno riportato i risultati di uno studio terapeutico in cui 31 pazienti con LLC precedentemente trattati hanno ricevuto un trattamento con 6 cicli di FCR-Lumiliximab. Questo anticorpo è stato somministrato alla dose di 375 mg/m2 (3 pazienti) e di 500 mg/m2 (8 pazienti). La percentuale di risposte è stata del 65% con il 52% di risposte complete ed il profilo di tossicità è risultato del tutto accettabile. La sopravvivenza libera da progressione di malattia è stata di 29 mesi. Sulla base di questi dati incoraggianti è stato promosso uno studio randomizzato multicentrico inteso a confrontare l’attività terapeutica di FCR-lumiliximab con quella di FCR. n NUOVE MOLECOLE Lenalidomide La lenalidomide è una molecola con le proprietà funzionali di un agente immunomodulante. Questo analogo, più attivo della talidomide, è oggi impiegato nel trattamento del mieloma multiplo e delle sindromi mielodisplastiche con delezione del 5q-. Vi è evidenza di una sua attività terapeutica anche in malattie linfoproliferative quali i linfomi e la LLC, benché i suoi meccanismi d’azione, probabilmente molteplici, non siano stati ancora ben definiti. In un primo studio di fase II, Chanan Khan et al. (23) hanno impiegato in 45 pazienti con LLC precedentemente trattati, e metà dei quali refrattari alla fludarabina, lenalidomide alla dose di 25 mg/die per 3 settimane consecutive al mese ottenendo una percentuale di risposte del 47%, con il 9% di risposte complete. In un secondo studio, Ferrajoli et al. (24) hanno trattato 44 pazienti con lenalidomide somministrata giornalmente; la dose più frequentemente tollerata è stata di 10 mg. In questo studio la percentuale di risposte è stata del 38%, con il 7% di risposte complete. In entrambi gli studi, le tossicità più frequentemente osservate sono state la mielotossicità e la fatigue. Meno frequentemente, sono state osservate casi di sin- drome da lisi tumorale e l’insorgenza di una tumor flare reaction. Quest’ultima è una condizione caratterizzata da un aumento di volume doloroso delle linfoghiandole con segni locali di flogosi. Un incremento più graduale della dose di lenalidomide può contribuire a ridurre l’incidenza di queste ultime complicanze. Ferrajoli et al. (25) hanno riportato in uno studio successivo che i pazienti con alterazioni citogenetiche a significato prognostico sfavorevole, quali la delezione 11q- e la delezione 17p-, non mostravano una risposta dissimile rispetto a quella ottenuta da pazienti che non mostravano queste caratteristiche genetiche. In uno studio più recente, Ferrajoli et al. (26) hanno trattato con lenalidomide alla dose massima giornaliera di 10 mg pazienti affetti da LLC meno giovani, di età superiore o uguale a 65 anni ottenendo una risposta nel 54% dei pazienti trattati. Sempre Ferrajoli et al. (27) hanno riportato i risultati preliminari di uno studio in cui alla lenalidomide è stato associato l’anticorpo monoclonale rituximab. L’associazione ha dato risultati migliori rispetto a quelli precedentemente ottenuti con lenalidomide somministrata come singolo agente, con una percentuale di risposte del 64% ed anche la tossicità in termini di tumor flare reaction sembra essere stata più contenuta. La dose ottimale di lenalidomide, la schedula di somministrazione ed il suo ruolo come singolo agente in terapia di induzione o di mantenimento o in combinazione con altri chemioterapici e/o anticorpi monoclonali necessita ancora di valutazione. Al momento attuale, vi sono in corso molti studi terapeutici per valutare questi aspetti ed il ruolo terapeutico della lenalidomide nella LLC. Due studi sponsorizzati da Celgene si propongono di valutare il ruolo di lenalidomide somministrata come terapia di mantenimento e di confrontare l’efficacia terapeutica della combinazione clorambucile-lenalidomide con quella del solo clorambucile. Il gruppo GIMEMA sta attualmente valutando in pazienti con LLC precedentemente trattati l’attività terapeutica della combinazione fludarabina, ciclofosfamide e lenalidomide, ed in pazienti anziani, non precedentemente trattati, l’attività terapeutica della associazione clorambucile e lenalidomide. Terapie innovative Flavopiridolo Il flavopiridolo è un agente che inibisce le chinasi ciclino-dipendenti (CDK) arrestando il ciclo cellulare e che down-regola l’espressione di proteine ad effetto anti-apoptotico (Mcl-1, X-linked). Inoltre, il flavopiridolo ha diverse altre attività con effetto proapoptotico, quali la riduzione della fosforilazione ed attività trascrizionale della RNA polimerasi II e l’attivazione della caspasi 3 distalmente al gene TP53. Sulla base di studi di farmacocinetica è stato dimostrato che per preservare l’attività di flavopiridolo in vivo è necessaria una somministrazione di questo agente in un bolo della durata di 30 minuti seguita da una successiva infusione della durata di 4 ore. I primi studi clinici (28, 29) hanno mostrato che la somministrazione di questo agente si associava ad elevata tossicità in termini di sindrome da lisi tumorale e da rilascio di citochine soprattutto nei pazienti con marcata linfocitosi periferica. Lin e collaboratori (30) hanno trattato con flavopiridolo 116 pazienti con LLC, la maggioranza dei quali resistenti alla fludarabina. È stata documentata una risposta nel 53% dei casi con una mediana di sopravvivenza libera da progressione di malattia di 12 mesi. La risposta terapeutica è stata osservata anche in pazienti con caratteristiche prognostiche particolarmente sfavorevoli quali la delezione 17p- e la presenza di adenomegalie importanti bulky. L’incidenza di pazienti con mielotossicità e che hanno sviluppato una sindrome da lisi tumorale è stata importante, ma l’inserimento di steroidi ha reso più tollerabile il trattamento riducendo i casi con sindrome da rilascio delle citochine. Inibitori di Bcl-2 - Oblimersen. È una proteina antisenso, un oligonucleotide che riconosce il mRNA specifico per la sintesi della proteina Bcl-2. Sulla base di un effetto sinergico con la fludarabina dimostrato in vitro, è stato condotto uno studio in cui 241 pazienti sono stati randomizzati a ricevere 6 cicli della schedula fludarabina e ciclofosfamide (FC) da sola o in combinazione con oblimersen (31). I pazienti che hanno ricevuto oblimersen in associazione ad FC hanno ottenuto una percentuale significativamente superiore di risposte complete e di risposte parziali di tipo nodulare, 17%, rispetto al 7% nei pazienti trattati con sola FC. - Obatoclax. È una molecola inibente Bcl-2. In uno studio di fase 1 è stata somministrata come singolo agente in 26 pazienti con LLC mostrando attività terapeutica (32). In questa esperienza, gli effetti collaterali, in particolare quelli neurologici (sonnolenza, euforia), fatigue, incremento delle transaminasi non sono stati tuttavia trascurabili. - ABT-263. Questo agente mimetico di BH3 ha la capacità di legarsi ed inibire molte proteine ad effetto anti-apoptotico appartenenti alla famiglia di Bcl2. In uno studio di fase 1 in cui ABT-263 è stato impiegato come singolo agente in 55 pazienti con diagnosi di linfoma linfocitico o di LLC, questa molecola ha mostrato una chiara attività terapeutica (33). La trombocitopenia, espressione della inibizione di Bcl-xL, è stato l’effetto collaterale più importante. Al momento attuale, sono in corso studi terapeutici intesi a valutare l’efficacia di schedule che associano ABT-263 all’anticorpo monoclonale rituximab. n INIBITORI DELLE TIROSIN CHINASI Imatinib e Dasatinib La LLC presenta un profilo caratteristico e molto omogeneo di iperepressione di numerosi geni codificanti per varie protein chinasi (PK), come dimostrato in un recente studio di profilo di espressione genica mediante microarray (34). In particolare, sono altamente iperespressi 16 geni, che codificano per tirosin chinasi (SYK, LYN, BLK, LCK, JAK1, CSK e FGR), serin-treonin chinasi (PIM2, PFTK1, TLK1, MAP4K1, PDPK1, PRKCB1 e STK10) e proteine con entrambe le attività (GRK6 e WEE1). Alcuni di essi sono membri di importanti famiglie geniche coinvolte nella trasmissione del segnale intracellulare, come le Src chinasi, MAPK e JAK chinasi. Il profilo genico delle PK non risulta correlato ai classici fattori prognostici della LLC, suggerendo che l’iperespressione dei geni delle PK caratterizza la malattia in quanto tale piuttosto che i suoi sottotipi. La sensibilità delle cellule di LLC all’imatinib, inibitore della tirosin chinasi ABL, è stata testata in studi in vitro (35, 36), che hanno dimostrato una eterogeneità nell’effetto apoptotico indotto dall’inibitore, correlato con il livello di espressione di ABL. Lin et al. (35) hanno infatti dimostrato che la proteina ABL, iperespressa nelle cellule di LLC rispetto ai linfociti B normali, presenta variabili livelli di espressione che correlano con la massa di malat- 77 78 Seminari di Ematologia Oncologica tia, lo stadio clinico e lo stato non-mutato dei geni delle immunoglobuline. Questi dati pre-clinici hanno portato ad ipotizzare che gli inibitori delle PK di seconda generazione possano avere un ruolo nel trattamento dei pazienti con LLC. Il dasatinib è un doppio inibitore che agisce sia sulle Src chinasi che su ABL, ed è impiegato nel trattamento della leucemia mieloide cronica e delle leucemie linfoblastiche acute Ph+, dimostrando grande efficacia anche nei casi con mutazioni del gene ABL, ad eccezione della mutazione T315I (37). Studi in vitro mostrano che il dasatinib è funzionalmente attivo anche su cellule primarie di LLC, riducendone la vitalità (34). Il dasatinib riduce l’espressione di Mcl-1 e Bcl-x(L) ed è capace di indurre apoptosi in cellule di LLC in vitro, specialmente quelle con stato non-mutato delle immunoglobuline (38); la combinazione di dasatinib e fludarabina in vitro su cellule primarie ha mostrato un incremento dell’effetto apoptotico indotto da ciascun farmaco (39). Mentre la fosforilazione delle chinasi Src risulta inibita dal dasatinib sia nei casi di LLC che mostrano apoptosi in vitro che nei casi resistenti, al contrario l’attività di SYK (spleen tyrosine kinase) e della fospolipasi-Cgamma2 correla con la risposta apoptotica delle cellule al dasatinib. L’inibizione di SYK, forse il bersaglio terapeutico più importante, potrebbe quindi predire la risposta cellulare al dasatinib, rappresentando un potenziale marcatore di sensibilità dei pazienti con LLC a tale trattamento (40). Inibitori di SYK I segnali indotti dalla stimolazione del B-cell receptor (BCR) sono determinanti per la sopravvivenza/ apoptosi della cellula di LLC. SYK è una tirosin chinasi fondamentale per la traduzione del segnale del BCR. Il gene codificante per SYK è iperespresso nelle cellule di LLC anche rispetto ai linfociti B normali (34, 41), così come risulta incrementata l’attività della proteina e di altri mediatori del segnale del BCR nella LLC rispetto ai linfociti B normali. Gli inibitori di SYK sono in grado di indurre apoptosi in vitro in cellule primarie di LLC, effetto presente soprattutto in LLC con geni delle immunoglobuline non-mutati e ZAP-70+. Tali inibitori usa- ti in combinazione con la fludarabina aumentano l’effetto citotossico in vitro della fludarabina da sola (41). In particolare, l’inibitore di SYK R406 è in grado di abrogare l’effetto protettivo sulla sopravvivenza di cellule di LLC indotto dalla stimolazione con antiIgM e da cellule nutrici (42), di inibire la capacità di migrazione nonché la produzione di citochine CCL3 e CCL4 da parte di cellule di LLC, interferendo quindi con i segnali di homing e sopravvivenza che dal microambiente vengono trasmessi alle cellule mediante il BCR (43). Un protocollo di fase I/II (44) ha impiegato il primo inibitore di SYK per via orale, il fostamatinib, in pazienti con linfomi non-Hodgkin a cellule B in recidiva. Nella fase I, la dose-limiting toxicity è rappresentata da neutropenia, diarrea e trombocitopenia. Il dosaggio di 200 mg x 2/die è stato scelto per la fase II. Sono stati trattati 68 pazienti in 3 coorti: linfoma diffuso a grandi cellule B, linfoma follicolare ed altri linfomi (comprendenti linfoma mantellare, linfoma MALT, linfoma marginale, linfoma linfoplasmocitico e linfoma linfocitico/LLC (11 casi)). Le tossicità più frequenti includono diarrea, astenia, citopenie, ipertensione e nausea. Risposte cliniche sono state osservate nel 55% dei linfomi linfocitici/LLC, 22% dei linfomi a grandi cellule, 10% dei linfomi follicolari e 11% dei linfomi mantellari. La sopravvivenza libera da progressione è stata di 4,2 mesi. Inibitori del recettore di VEGF Il vascular endothelial growth factor (VEGF) è un importante fattore del microambiente che sembra avere un’influenza sulla sopravvivenza delle cellule di LLC indipendentemente dai suoi effetti sulla angiogenesi. Il vatalanib ed il pazopanib, inibitori orali del recettore del VEGF che ha attività tirosin chinasica, sono stati recentemente testati in vitro su cellule primarie di LLC (45). Entrambi riducono la fosforilazione del recettore del VEGF e inducono l’apoptosi di cellule di LLC, mentre i linfociti B normali subiscono soltanto un lieve effetto. Provocano una down regolazione delle proteine anti-apoptotiche XIAP e MCL1 e mostrano effetti sinergici con altri agenti chemioterapici convenzionali. L’attività anti-leucemica è stata dimostrata anche in vivo su topi xenografted con linea cellulare JVM-3. Terapie innovative n VACCINI La LLC presenta alcune peculiari caratteristiche che la rendono una malattia ottimale a cui applicare approcci immunoterapici. In primo luogo, la LLC presenta spesso dopo la diagnosi una fase iniziale ad andamento indolente che rappresenta una finestra temporale ideale per far maturare una risposta immune contro le cellule tumorali. In secondo luogo, le cellule tumorali sono facilmente accessibili dal sangue venoso periferico (svp). In terzo luogo, le cellule di LLC esprimono antigeni HLA di classe I e II e hanno la potenzialità di funzionare come cellule presentanti l’antigene (APC). Inoltre, numerose evidenze dimostrano come la LLC sia responsiva all’azione del sistema immunitario, come dimostrato dall’effetto di graft-versus-leukemia dopo il trapianto di cellule staminali allogeniche (46-49) o l’infusione di linfociti del donatore (50, 51), come pure dall’evenienza di remissioni spontanee di malattia (52). Inoltre, la presenza di linfociti T autologhi ed allogenici con attività anti-LLC è stata dimostrata da numerosi lavori (49, 53). Tuttavia l’approccio immunoterapico nella LLC presenta alcune problematiche. Infatti le cellule di LLC sono di per sé incapaci di indurre una risposta immunitaria efficace per la mancanza o i bassi livelli di molecole di adesione e costimolatorie (es. CD80 e CD86) e perché sono direttamente responsabili di meccanismi immunosoppressivi di varia natura (vedi paragrafo successivo), che determinano lo stato di immunodeficienza umorale e cellulare della malattia. Inoltre, le chemioterapie e gli anticorpi monoclonali impiegati per trattare la LLC hanno una ulteriore azione immunosoppressiva. L’importanza di sviluppare approcci immunoterapici nella LLC deriva dal fatto che, sebbene le risposte cliniche e la sopravvivenza dei pazienti siano significativamente migliorate con i regimi immunochemioterapici attualmente utilizzati, la malattia rimane non curabile. L’unico approccio curativo è il trapianto di cellule staminali allogeniche, che però è applicabile soltanto ad una minoranza dei pazienti. Scopo della immunoterapia della LLC è quello di indurre una risposta immune cellulare ed umorale contro le cellule leucemiche in grado di contenerle/eliminarle e prevenire indefinitamente la recidiva. La strategia di controllo immunoterapico auto- logo della LLC troverebbe il suo spazio ideale sia nelle fasi iniziali della malattia che nelle fasi di malattia minima residua dopo la terapia. I presupposti della immunoterapia autologa risiedono nella espressione e presentazione di antigeni (Ag) tumorali in un sistema immune dell’ospite capace di riconoscerli e nella generazione di una effettiva risposta immune capace di eliminare le cellule tumorali. Il sistema immunitario Le cellule LLC hanno la potenzialità di funzionare come APC in quanto esprimono Ag tumorali che possono essere presentati nel contesto delle molecole di HLA di classe I e II. Tuttavia, nei pazienti affetti da LLC non vi è alcuna immunità autologa efficace contro la malattia (54). Ciò è legato a tre fattori: a) la limitata capacità della cellula di LLC di agire come APC; b) difetti indotti dalle cellule di LLC sulla normale attività effettrice dei linfociti T e delle altre cellule accessorie; c) incremento nel numero dei linfociti T regolatori (Tregs). I linfociti di LLC, nonostante esprimano le molecole del sistema HLA di classe I e II ed alcune molecole di adesione (CD54 o ICAM-1, CD27, CD40), mancano completamente o esprimono bassi livelli di molecole costimolatorie (es. CD80 e CD86) essenziali per l’induzione di una risposta immunitaria efficace. Inoltre, le cellule di LLC secernono citochine ad attività immunosoppressiva come l’interleuchina (IL)4, IL-6 e IL-10 ed il TGF-β, con la conseguente soppressione della attivazione, espansione e funzione effettrice dei linfociti T. Recentemente è stato dimostrato che la down regolazione del gene della β2-microglobulina (β2M), la catena β del complesso del sistema HLA di classe I, nelle cellule di LLC in confronto con linfociti B normali e di LLC in remissione spontanea, supporta l’ipotesi che tale alterazione possa essere associata con la progressione della malattia, in linea con i meccanismi di tumor escape esercitati dai tumori solidi nei confronti dei linfociti T citotossici (52). Sono state descritte numerose anomalie nell’ambito delle cellule accessorie non-leucemiche dei 79 80 Seminari di Ematologia Oncologica pazienti con LLC, che hanno suggerito uno stato di cronica incompleta attivazione in vivo, con conseguente anergia dei linfociti T (55-58). Sono stati riportati anche difetti funzionali nella popolazione NK (59,60), come pure difetti funzionali ed aberrazioni fenotipiche a carico delle cellule dendritiche (DC) (61,62). Più recentemente, è stato dimostrato che le cellule di LLC sono direttamente responsabili dell’induzione di una azione immunosoppressiva sui linfociti T (63-65). In primo luogo, i difetti dei linfociti T sono stati caratterizzati accuratamente analizzando il profilo di espressione genica di linfociti CD4+ e CD8+ purificati dal svp di pazienti con LLC a confronto con linfociti T di donatori sani della stessa età. Questa analisi ha dimostrato che vi sono geni differenzialmente espressi, principalmente coinvolti nella differenziazione cellulare e nella formazione del citoscheletro nei linfociti T CD4+, e nella formazione del citoscheletro, traffico delle vescicole e vie di citotossicità nei linfociti T CD8+ (63). L’actina del citoscheletro appare essenziale per controllare l’attivazione immune e l’attività effettrice dei linfociti T. Inoltre, le cellule di LLC possono attivamente sopprimere la funzione del citoscheletro nei linfociti T, inducendo una difettosa formazione della sinapsi immunologica di F-actina e compromettendo il riconoscimento delle cellule tumorali autologhe (64,65). Tale difetto è inducibile in linfociti T sia autologhi che allogenici di individui sani, mediante contatto diretto degli stessi con le cellule di LLC. Co-colture di cellule di LLC con linfociti T autologhi con lenalidomide rendono reversibile il difetto della sinapsi immunologica presente nella malattia, riparando il reclutamento delle proteine del citoscheletro alla sinapsi immunologica dei linfociti T ed incrementando la citotossicità dei linfociti T CD8+ contro le cellule di LLC autologhe (64,65). Recentemente, è stata descritta una aumentata frequenza e funzione soppressiva dei linfociti Tregs nei pazienti con LLC, specialmente nei pazienti non trattati o con malattia progressiva (66). La lenalidomide e la pomalidomide hanno dimostrato una attività inibitoria in vitro sulla proliferazione e funzione dei linfociti Tregs (67). Questi effetti potrebbero rappresentare una componente cruciale delle proprietà adiuvanti della lenalidomide e della pomalidomide, potenzialmente applicabile anche nel contesto dell’approccio vaccinale alla LLC. Antigeni tumorali L’antigene tumorale ideale (tumor associated Ag, TAA) per la generazione di un vaccino dovrebbe avere 3 caratteristiche fondamentali: essere espresso unicamente sulle cellule tumorali e non su tessuti normali allo scopo di ridurre il rischio di reazioni autoimmuni; essere espresso su tutte le cellule tumorali; essere essenziale per la sopravvivenza della cellula tumorale per prevenire l’emergenza di cloni Ag-negativi che potrebbero sfuggire al controllo immune. Tali TAA, degradati, processati e presentati come peptidi nel contesto di specifiche molecole HLA, sono potenzialmente in grado di generare una risposta citotossica da parte di linfociti T. Nella LLC non esiste un singolo TAA che risponda a tutti questi requisiti e che possa essere applicato a tutti i pazienti per una strategia vaccinale. Tra gli Ag LLC-specifici meglio caratterizzati, vanno menzionati: - l’idiotipo delle immunoglobuline, che è pazientespecifico ma poco immunogenico (68,69), su cui sono stati eseguiti tentativi di manipolazione per incrementarne la immunogenicità (70); - proteine espresse in maniera aberrante dalle cellule di LLC ed identificate mediante tecniche di recombinant expression cloning (SEREX) (71); - CD23 (72), fibromodulina (73), formin-related protein in leukocytes 1 (FMNL1) (74,75), murine double minute 2 oncoprotein (MDM2) (76), oncofetal antigen immature laminin receptor protein (OFA-iLRP) (77,78), orphan receptor type 1 tyrosine kinase ROR1 (79,80), receptor for hyaluronic acid-mediated motility (RHAMM/ CD168) (81), survivina (82,83), hTERT (84). Tutti i TAA sopramenzionati possono generare peptidi in grado di indurre risposte citotossiche mediate da linfociti T. In un recente trial clinico di fase I, 6 pazienti con LLC sono stati vaccinati per 4 volte ad intervalli bisettimanali con un peptide derivante dal RHAMM/CD168 (HLA-A2 ristretto) con somministrazione di GM-CSF come adiuvante. Tale approccio non ha presentato tossicità e ha indotto in 4 pazienti una risposta T CD8+ specifica contro l’Ag tumorale ed una certa riduzione nella linfocitosi (85). Terapie innovative Vaccini cellulari e protocolli clinici Poichè non è facile trovare un singolo TAA ideale per una strategia vaccinale applicabile a tutti i pazienti con LLC, sono nati approcci alternativi che evocano una risposta immune anti-tumorale impiegando cellule tumorali autologhe o lisati cellulari in toto, con i quali tutti gli antigeni tumorali rappresentano multipli bersagli potenzialmente in grado di generare una risposta immune. Infatti, la maggior parte dei protocolli clinici di vaccinazione condotti nella LLC hanno impiegato vaccini cellulari. In considerazione del fatto che le cellule di LLC sono APC deficitarie, sono stati studiati vari approcci per renderle più immunogeniche. Per ciascun approccio vengono menzionati i corrispondenti protocolli clinici. Vaccino Trial Fase di malattia Peptide dal TAA RHAMM/CD168 (HLA-A2 ristretto) Fase I LLC autologhe trattate con agenti ossidanti Fase I/II Indolente 18 DC allogeniche caricate con lisati tumorali o corpi apoptotici Fase I DC autologhe caricate con lisati tumorali • Sottoporre le cellule di LLC ex vivo a stress ossidativi allo scopo di indurre il rilascio di heat-shock proteins e radicali liberi che incrementino la immunogenicità delle cellule di LLC in vivo. Pazienti in fase indolente di malattia sono stati vaccinati per via intramuscolare con cellule di LLC autologhe trattate con agenti ossidanti in un protocollo di fase I. Non sono state osservate tossicità significative. Cinque dei 18 pazienti hanno presentato risposte parziali che erano associate con un’aumentata attività T anti-tumorale, ma la durata di tale risposta è stata breve (1-4 mesi) (86). • Impiegare APC più potenti, come le DC, che possono essere manipolate ex vivo, cioè caricate con lisati cellulari tumorali, RNA tumorale, corpi apoptotici o direttamente fuse con cellule di LLC (ibridi) N° di Somminipazienti strazioni Risposta immune Risposta clinica* Referenza 6 Aumento linfociti T CD8+ Ag-specifici CD107a+IFNγ+ Granzyme B+ 4/6 riduz. linfocitosi 85 12 in 6 sett. 9/18 risposta immune 12 in 16 giorni T a cellule LLC 4 in 6 sett. autologhe 5/18 PR 6/18 SD 7/18 PD 86 5 ogni 2-3 sett. 1/9 risposta linfociti T specifici per RHAMM 8/9 SD 1/9 PD 88 Fase I/II Indolente 12 8 4/12 risposta linfociti T specifici per RHAMM o fibromodulina. Nei rispondenti: incremento IL-12 e riduzione Tregs 5/12 riduz. linfociti 3/12 SD 4/12 PD 89 LLC autologhe trasdotte con Ad-CD154 Fase I Progressiva 11 1 Incremento IL-12 e IFN gamma. Aumento linfociti T specifici anti-LLC 9/11 riduz. linfociti e linfonodi 2/11 PD 92 Linfociti T Xcellerate Fase I/II Progressiva 17 1 Incremento linfociti Miglioramento 97 crasi ematica 11/14 riduzione dei linfonodi 10/12 riduzione della splenomegalia. No risposta nella linfocitosi Indolente 9 4 ogni 2 sett. + GM-CSF *PR risposta parziale; SD malattia stabile; PD malattia progressiva TABELLA 2 - Protocolli clinici vaccinali nella LLC. 81 82 Seminari di Ematologia Oncologica allo scopo di presentare l’Ag ai linfociti T e determinarne l’attivazione e la proliferazione. Studi preclinici hanno paragonato le 4 strategie e dimostrato come i corpi apoptotici di cellule di LLC siano superiori agli altri per caricare le DC autologhe (87). Protocolli di fase I/II hanno esplorato l’impiego di DC per vaccinare pazienti con LLC. In un primo studio, sono state impiegate DC allogeniche caricate con lisati tumorali o corpi apoptotici (88) di cellule di LLC e somministrate per via sottocutanea a 9 pazienti con malattia in stadio iniziale per 5 volte. Non sono state rilevate tossicità significative né fenomeni autoimmuni. Un sottogruppo di pazienti ha presentato una riduzione nel numero di cellule leucemiche durante la vaccinazione ed in un caso un incremento nella conta dei linfociti T reattivi contro l’Ag leucemico RHAMM. Nel secondo studio, sono state impiegate DC autologhe caricate con lisati tumorali (89) e somministrate per via intradermica a 12 pazienti con LLC in stadio iniziale per 8 volte. In alcuni pazienti è stato rilevato un aumento dei linfociti T che reagivano contro RHAMM e fibromodulina come pure effetti clinici minori, ma non è stata osservata alcuna risposta clinica significativa (88, 89). È in corso uno studio di fase I/II sulla fattibilità, efficacia e immunogenicità di un vaccino con DC caricate con corpi apoptotici (Apo-DC) e generate da precursori monocitari arricchiti da svp. Le Apo-DC sono somministrate per almeno 5 volte a 3 coorti di pazienti con LLC: la prima riceve Apo-DC soltanto; la seconda Apo-DC+ basse dosi ripetute di GM-CSF; la terza basse dosi di ciclofosfamide seguite da Apo-DC + GM-CSF (90). • Trasferire nelle cellule di LLC geni con proprietà immunostimolatoria mediante vettori virali (es. adenovirus), come ad esempio geni codificanti per molecole accessorie di superficie come CD80 e CD154 (CD40L) o per citochine stimolatorie come IL-2 e IL-12. Ad esempio, cellule di LLC infettate con un vettore adenovirale codificante per il CD40L ricombinante (Ad-CD154), sono risultate capaci di stimolare ed espandere linfociti T citotossici specifici per le cellule leucemiche autologhe in vitro (91). Il vettore virale ideale deve possedere una elevata efficienza di trasferimento genico nella maggior parte delle cellule leucemiche, con alti livelli di espressione dei transgeni selezionati; non deve replicarsi e causare infezione attiva; non dovrebbe esprimere Ag virali immunodominanti che possano competere con la risposta anti-leucemica. Numerosi studi sono volti ad ottimizzare il trasferimento genico in cellule di LLC mediante vari tipi di virus o mediante elettroporazione delle cellule in presenza di plasmidi di DNA umano contenenti i geni di interesse. Un protocollo di fase I ha esplorato la tollerabilità, tossicità ed attività di una singola dose di cellule di LLC autologhe trasdotte con Ad-CD154. Tale trattamento è stato associato alla comparsa di sintomi simil-influenzali, un transitorio incremento dei valori delle transaminasi e transitoria trombocitopenia, senza mai evidenziare una dose-limiting toxicity o citopenie autoimmuni. Il trattamento ha indotto elevati livelli plasmatici di IL-12 e IFN-γ, associati a riduzione, seppur transitoria, del numero delle cellule di LLC entro le 48 ore dalla somministrazione. Entro 1-2 settimane si assisteva ad una riduzione della dimensione dei linfonodi, della durata di alcune settimane. Entro un mese dalla somministrazione si assisteva ad un notevole incremento nel numero assoluto dei linfociti T CD4+ e CD8+, nonchè dei linfociti T anti-LLC specifici (92). La rapida clearance delle cellule di LLC, non giustificata dai tempi di induzione della risposta immunitaria citotossica, è probabilmente provocata dalla induzione dei recettori apoptotici (CD95 e DR5) sulle cellule leucemiche e da meccanismi dell’immunità innnata indotti dalla metodica transgenica (92, 93). In un altro protocollo clinico di fase I, è stata valutata la somministrazione sottocutanea di cellule di LLC autologhe modificate per esprimere CD154 ed IL-2. Sette su 9 pazienti hanno presentato un aumento transitorio della reattività T contro cellule autologhe di LLC, ma non è stato osservato alcun effetto clinico (94). Un altro approccio è rappresentato dal vaccino TRICOM, basato sul trasferimento genico di una triade di molecole di adesione e costimolatorie (CD80, ICAM-1 e LFA-3) in cellule di LLC mediante un vettore virale, allo scopo di aumentarne l’espressione sulla superficie cellulare ed incrementare l’attività di APC. Le cellule di LLC modificate sono in grado di indurre una efficace attività citotossica in vitro da parte di linfociti T contro cellule di LLC autologhe e non modificate (95). • Linfociti T raccolti mediante aferesi da pazienti con LLC possono essere attivati ed espansi dalle 100 Terapie innovative alle 1000 volte ex vivo mediante coltura con biglie magnetiche rivestite di anticorpi contro CD3 e CD28 in presenza di IL-2 (Xcellerate T cells), potendo recuperare la capacità di rispondere ad antigeni. I linfociti T Xcellerate autologhi sono stati valutati in un protocollo di fase I/II in cui sono stati somministrati a dosi scalari fino a 100 x109 in una singola dose. Non vi è stata nessuna tossicità, con un incremento dei linfociti T nel svp dose-dipendente, una riduzione della splenomegalia e delle adenopatie. Non è stata osservata una riduzione delle cellule di LLC nel svp, sebbene vi sia stato un miglioramento nei valori di emoglobina, piastrine e neutrofili (96, 97). • Una forma alternativa di presentazione dell’Ag si basa sull’impiego di cellule di linfoma fuse con un ibridoma (cellule TRIOMA) e modificate per esprimere una Ig diretta contro recettori di superficie di APC (98). Le cellule TRIOMA, che esprimono multipli Ag tumorali e rappresentano pertanto vaccini polivalenti, costituiscono il bersaglio delle APC che processeranno e presenteranno gli Ag tumorali ai linfociti T. Ad esempio, DC pulsate con cellule TRIOMA attivano efficacemente i linfociti T contro le cellule di LLC in vitro e gli Ag bersaglio di tali linfociti T sono stati identificati nel BCL-2, MDM2 ed ETV5 (99). In conclusione, i numerosi studi pre-clinici e clinici sulla strategia immunoterapica e vaccinale nella LLC condotti nell’ultima decade hanno dimostrato che è possibile indurre una risposta immune antileucemica, che tuttavia non si è ancora tradotta in un impatto clinico sostanziale. Ulteriori sforzi volti ad eseguire un monitoraggio accurato e standardizzato della risposta immune dopo la vaccinazione, a correggere i difetti immunitari che accompagnano la malattia e ad impiegare nuovi adiuvanti o farmaci immunomodulanti potranno migliorare tali affascinanti strategie terapeutiche. n CONCLUSIONI Sono attualmente oggetto di valutazione nell’ambito di studi sperimentali nuovi agenti biologici e più potenti anticorpi monoclonali che hanno mostrato un’attività terapeutica in pazienti con LLC refrattari alle terapie convenzionali. Molti di essi hanno dato risultati promettenti ma sono ancora in fase di svi- luppo molto precoce. Di alcuni rimane da chiarire il profilo tossicologico, frequentemente caratterizzato dalla comparsa di effetti collaterali non precedentemente noti. Se gli studi iniziali hanno dimostrato per molte molecole una certa attività, altri studi sono necessari per definire la modalità più appropriata di somministrazione indirizzata non solo a mantenerne l’efficacia, ma anche a garantirne la tollerabilità. Inoltre, per molte di queste nuove molecole, una volta dimostrata l’attività come singolo agente, ne va valutato il potenziale terapeutico in schedule di associazione in cui sono combinate con farmaci di nota efficacia nella LLC. È indubbio che la grande attenzione diretta alla definizione delle caratteristiche biologiche della LLC si è tradotta in modo tangibile anche nello sviluppo di nuovi agenti terapeutici per questa forma di leucemia. n BIBLIOGRAFIA 1. Dighiero G, Hamblin TJ. Chronic lymphocytic leukaemia. Lancet. 2008; 371: 1017-9. 2. Hamblin TJ, Davis Z, Gardiner A, Oscier DG, Stevenson FK. Unmutated Ig V(H) genes are associated with a more aggressive form of chronic lymphocytic leukemia. Blood. 1999; 94: 1848-54. 3. 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