ATTUALITà • La professione infermieristica, una scelta che paga
La professione infermieristica, una scelta che paga
Cala il lavoro e le famiglie faticano ad arrivare a fine mese.
Le richieste di accesso ai corsi universitari per formare nuovi Infermieri
è in continua crescita
di Anna Marusca Ghizzoni e Luca Avenati
I
n un panorama economico in cui l’occupazione continua a essere un grande problema per gli italiani, il
Rapporto Censis 2009, che effettua una radiografia
dettagliata del nostro paese, indica nella famiglia, nei
giovani e nel sostegno alle piccole imprese il punto focale su cui gli italiani chiedono al Governo di intervenire nel corso del 2010. I concetti sono semplici: taglio
degli sprechi e aiuto concreto nel generare nuovi posti
di lavoro, ma anche una responsabile riforma delle strutture di apprendimento che possa connettere in modo
valido domanda di professionalità lavorativa e offerta
di personale correttamente formato. In un quadro che
rimane preoccupante per il versante occupazione, il professionista infermiere si inserisce come una delle poche
realtà in controtendenza. Il numero di laureati infermieri negli ultimi anni ha registrato una continua crescita
che ha portato in breve tempo a triplicare la quantità di
nuove risorse professionali disponibili sul mercato del
lavoro. Tale incremento si è manifestato anche nell’aumento delle domande per accedere ai corsi di laurea:
infatti, dopo la stagnazione degli anni passati, il numero
dei candidati ha ripreso a crescere in modo vistoso. Al
contrario, il numero dei posti messi a disposizione annualmente dalle università è
rimasto praticamente stabile.
Famiglie in difficoltà, fondamentale la formazione
Nel dettaglio dell’analisi del Censis si scopre che la famiglia, nucleo fondamentale
per la società italiana, è lentamente indirizzata verso un’evidente crisi. Infatti solo per
il 71,5% delle famiglie italiane il reddito
mensile è sufficiente a coprire le spese. Il
dato sale al 78,9% al Nord-Est, al 76,7% al
Nord-Ovest, è del 71% al Centro, mentre
al Sud scende al 63,5%.
Rimane fondamentale la funzione della
formazione, unica via per creare nuova occupazione e nuovi introiti di reddito, sebbene tale capitolo riporti anche dati allarmanti: circa l’80% dei giovani tra 15 e 18
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anni, infatti, si chiede che senso abbiano scuola e corsi
di formazione professionale. Il fattore dominante è lo
scetticismo: il 92,6% dei giovani in uscita dalla scuola
secondaria di secondo grado ritiene che con un titolo
di studio elevato il lavoro sia oggi sottopagato, mentre
il 91,6% pensa che sia agevolato chi possiede delle conoscenze.
Più complesso il discorso per quel che riguarda il lavoro. A metà del 2009 risultavano persi, in Italia, rispetto
allo stesso periodo del 2008, 378 mila posti di lavoro
(-1,6%), meglio di Spagna (1 milione 480 mila occupati
in meno, -7,2%) e Gran Bretagna (600 mila, -2%), ma
peggio di Francia (-0,3%) e Germania (+0,5%).
La professione infermieristica, come detto, rimane in
controtendenza. Perché se la proposta generale di nuovi posti di lavoro a livello nazionale è in continua e
inesorabile contrazione, per gli infermieri è vero il contrario. Le Università, come riportato da Il Sole 24 Ore
del 28 dicembre 2009, hanno così deciso di raccogliere
le reali necessità del territorio aprendo le proprie porte
a un numero maggiore di immatricolati a seguito di
un decreto ministeriale mirato. Si tratta di 975 posti
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in più per la laurea Infermieristica (+7%), quella con
il maggior numero di aumenti, e di 433 posti ulteriori
(+5%) per medicina. Tale incremento, però, non deriva solo dalla pressante richiesta di lavoro da parte dei
giovani. I dati relativi alle dotazioni infermieristiche
del nostro paese, infatti, riportano carenze che sono
aumentate nel 2009, soprattutto nel Nord del paese. In
particolare per l’infermieristica, a fronte di una richiesta di 1.500 unità a livello nazionale, i 975 posti in più
nell’accesso universitario non rappresentano la totale
soddisfazione delle necessità. Inoltre solo alcune università avrebbero risposto con una vera apertura degli
accessi. Su tutte l’Università di Padova, con un +20%,
mentre in altre realtà come quelle di Milano (Statale,
Bicocca, e San Raffaele), sebbene risultino incrementate le immatricolazioni per il Corso di laurea in Medicina e Chirurgia, non sono stati attivati ulteriori accessi
alla laurea in Infermieristica. In tutta la Lombardia, ad
esempio, le disponibilità per il primo anno sono aumentate di soli 40 posti: davvero poca cosa rispetto al
fabbisogno medio stimato da Regione e Federazione
Ipasvi di 3.300 posti. Un quadro che rende pressanti le
questioni relative alla necessità di una riforma organica
e di rilancio del sistema universitario, che premi le reali
richieste dal territorio, con una flessibilità maggiore rispetto alle esigenze del mondo del lavoro.
Lo zoom sul Corso di laurea in Infermieristica
Nell’ultimo anno accademico le candidature sono state più del doppio (39.000) rispetto ai circa 15.000 posti
previsti dai bandi universitari. In particolare, i corsi disponibili per il CLI (Corso di laurea in Infermieristica)
sono passati dai 14.242 dell’anno accademico precedente ai 14.830 del 2008/2009, con un incremento netto di
588 posti (+4,1%). L’incremento interessa in particolare
il Nord-Ovest (+245 posti) e il Sud (+635), mentre al
contrario il Centro registra una contrazione di 316 posti.
Rispetto al 2001/2002 i posti disponibili sono aumentati
di oltre 4000 unità, privilegiando il Centro e il Sud, con
una risposta probabilmente influenzata da un mercato
del lavoro che in queste zone ha visto maggiori problemi
legati all’occupazione rispetto al Nord.
Osservando il trend del quinquennio, il Nord-Ovest dimostra un ridimensionamento consistente, così come il
Nord-Est, mentre il Sud ha fatto registrare una crescita (dal 18,6% al 29,6%), assieme al Centro (dal 25,6 al
27,5%). Si può quindi registrare che nel 2008 il 57%
dei posti a disposizione per il CLI è stato concentrato nei Poli formativi del Centro-Sud (era il 44% nel
2001/2002). Una riflessione su questi indicatori sottolinea la necessità di una politica attiva per la pianificazio-
ne di offerta e richiesta su scala nazionale, questione su
cui la Federazione Ipasvi è impegnata da anni.
Il futuro preoccupa, i giovani scelgono
infermieristica per necessità?
Tornando a considerare i numeri del boom, questo può
essere indice della preoccupazione dei giovani per il loro
futuro: il fattore ‘posto di lavoro sicuro’ in questo senso
avrà senza dubbio inciso percentualmente rispetto alla
vocazione professionale.
La situazione occupazionale dopo la laurea presenta differenze, talvolta consistenti, che riguardano soprattutto le
diverse condizioni per genere (maschi e femmine) e per
area geografica. Questo collettivo complessivamente valutato presenta le migliori condizioni occupazionali rispetto
al resto dei neolaureati: di fatto, fin dal primo anno successivo al conseguimento del titolo, i nuovi infermieri possono contare su tassi di occupazione decisamente positivi, su
una più alta stabilità contrattuale, nonché su tempi di attesa nella ricerca della prima assunzione molto contenuti.
Opportunità queste in parte condivise con gli altri laureati
delle professioni sanitarie, ma difficilmente riscontrabili
nell’attuale mercato del lavoro che negli ultimi anni ha registrato nel nostro paese tassi di crescita tra i più bassi del
resto d’Europa, soprattutto a svantaggio dell’occupazione
giovanile. Secondo un’indagine condotta da AlmaLaurea
– che ha intervistato 5.547 infermieri pari all’84% dei neolaureati – lavora quasi il 90% già a partire dai primissimi
mesi dopo il conseguimento del titolo, con tassi occupazionali a favore dei maschi di quasi sei punti percentuali. La
maggior parte è assunta con un contratto stabile a tempo
indeterminato (54,2%) o determinato (35,6%), con una
quota modesta ma significativa (prossima al 5%) di lavoro
atipico e precario. La quasi totalità (91,6%) è dipendente
della sanità pubblica, mentre piccole percentuali presso
altre aziende sanitarie e di servizio.
I giovani infermieri sono soddisfatti della scelta fatta
La retribuzione media mensile dichiarata dai giovani
occupati si attesta intorno ai 1.400 euro. Ovviamente
si tratta di un dato medio, poiché gli stipendi reali variano, anche di molto, in base a vari fattori (turni, indennità, straordinari, altro). Non si tratta certo di cifre
da nababbi, ma se confrontate con le retribuzioni mediamente percepite dai giovani, si scopre che la maggior parte guadagna quote decisamente inferiori. Regge
anche il confronto rispetto ai guadagni mensili di altri
laureati delle professioni sanitarie.
Va notato che vi è una lieve differenza di genere con
valori più premianti per gli infermieri di sesso maschile
rispetto alle colleghe, che in realtà percepiscono stipen-
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di un poco più bassi. Si tratta però di uno scarto contenuto se confrontato con il resto del mercato del lavoro,
dove si registrano differenze marcate anche superiori al
16%, che penalizzano in modo generalizzato il lavoro
femminile.
Gli infermieri intervistati a un anno dal conseguimento del titolo manifestano una sostanziale soddisfazione
rispetto al corso di laurea scelto, nonché sull’utilità ed
efficacia degli studi compiuti rispetto al proprio inserimento lavorativo. Il grado di utilità e di efficacia, come
ci si poteva attendere, risulta molto elevato poiché il titolo di primo livello è innanzi tutto richiesto per legge.
Questo giudizio va però letto anche come segno del contenuto marcatamente professionalizzante del percorso
formativo e della sua elevata coerenza con le effettive
richieste del mondo lavorativo. Il giudizio sul percorso
di studio è decisamente più favorevole di quello espresso
dagli altri laureati, tanto che la gran parte degli infermie-
ri (84,6%) rifarebbe l’esperienza compiuta. Inoltre, gli
infermieri sono lievemente più soddisfatti della propria
attività lavorativa rispetto agli altri laureati. È probabile
che in questo caso entrino in gioco altri fattori, quali la
sicurezza del contratto pubblico e precarietà del lavoro
in generale, che incidono significativamente sulla soddisfazione complessiva dei giovani occupati.
Fa da eco a questo quadro favorevole l’ottimo giudizio
che in questi anni gli infermieri ottengono dai cittadini
con livelli medi attorno all’85% di persone abbastanza
stanziati di pochi punti percentuali rispetto ai medici.
Più donne o più uomini nella professione?
Qual è l’identikit del neolaureato infermiere italiano?
È donna nel 74% dei casi, confermandosi così come
una professione a vocazione prevalentemente femminile, nonostante un crescente interesse manifestato negli
Boom all’Università di Firenze: +57% di domande
Il 2009 ha visto il Corso di laurea in infermieristica dell’Università degli Studi di Firenze ottenere un risultato importante: un secco +57% del numero di domande d’ammissione rispetto all’anno precedente. Una delle ragioni di questo successo è rilevabile nel concreto investimento verso l’orientamento alla professione di infermiere. Il progetto
è stato messo in pratica unitamente ai Collegi Ipasvi di Firenze, Pistoia e Prato e si è concretizzato con l’istituzione
di un gruppo di lavoro dedicato.
“Nel nostro Ateneo si è osservato un aumento generalizzato delle domande di
ammissione ai corsi di laurea triennale delle professioni sanitarie – ha spiegato il
Presidente del Corso di Laurea, Niccolò Taddei –. L’entità di tale aumento, pari
a circa +25% rispetto allo scorso anno, è nettamente inferiore a quello del solo
Corso di laurea in infermieristica, che ha visto oltre 720 domande per quelli che
inizialmente erano 450 posti disponibili, poi aumentati a 500”.
“Le basi di questo particolare successo – ha aggiunto Taddei – possono essere ricondotte, almeno in parte, all’intensa attivi tà nel settore dell’orientamento rivolto
agli studenti delle scuole medie superiori. A tale scopo, poco più di un anno fa è
stato creato un gruppo di lavoro formato da docenti e professionisti del settore,
che ha messo in atto varie attività: numerosi incontri di presentazione del corso
di laurea nelle scuole, distribuzione capillare di materiale pubblicitario (prodotto
e finanziato in collaborazione con i Collegi Ipasvi dell’Area Vasta fiorentina) e una
continua osservazione dei dati relativi agli anni precedenti”.
Secondo la vice presidente del Corso, Laura Rasero, un fattore da sottolienare è
stato un netto cambio di tendenza nella provenienza degli studenti: “Monitorando da 8 anni a questa parte il profilo dello studente che accede ai nostri corsi – ha
aggiunto la vice presidente – abbiamo potuto verificare un’evoluzione graduale
ma decisa. Oggi i nostri studenti sono in primo luogo ex liceali, mentre fino a
pochi anni fa erano gli istituti tecnici e professionali il principale serbatoio del corso di studio. Quest’anno oltre
200 candidati non hanno potuto accedere al Corso di laurea. Negli anni accademici scorsi, invece, difficilmente i
posti a disposizione venivano coperti totalmente, arrivando così a reclutare numerosi studenti la cui posizione nella
graduatoria di merito non poteva certo essere definita brillante”.
Parte del successo ottenuto dell’Università di Firenze in questo ambito è stata anche la consapevolezza di un patrimonio professionale in continua crescita com’è quello infermieristico. In relazione a ciò, proprio il Preside della Facoltà di
Medicina e Chirurgia, Gian Franco Gensini, ha deciso per primo di investire sul Corso, con l’avvio dell’accreditamento
di qualità e con la sperimentazione della didattica per processi. Quest’ultima ha portato gli studenti di Medicina e quelli
di infermieristica a vivere esperienze formative comuni di didattica frontale e, soprattutto, nelle attività di laboratorio.
Un’esperienza che denota la precisa volontà di creare nuove professionalità integrate che interagiscono per ottenere
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ultimi anni dagli uomini. L’età media alla laurea risulta
pari a 27,6 anni anche se più di 1/3 dei nuovi infermieri
presenta un’età maggiore della media. Il dato complessivo risente dell’età all’immatricolazione, che è cresciuta globalmente con l’introduzione della nuova riforma
universitaria.
Il retroterra di provenienza in maggioranza è costituito da classi sociali meno elevate (38,2 % classe operaia)
con genitori poco istruiti (44,5% con titoli inferiori alla
media superiore), che tradizionalmente erano svantaggiate nell’accesso all’Università. Per quanto riguarda gli
studi compiuti, la maggioranza possiede diplomi tecnico-professionali e solo una piccola parte ha frequentato
studi liceali.
L’esperienza universitaria ha avuto una durata media di
3,6 anni, si è conclusa con una quota rilevante di laureati in corso (74,7%) e con un voto finale di laurea di
100/110.
Le caratteristiche socio-anagrafiche e formative, sin qui
brevemente richiamate, non presentano particolari variazioni e accomunano gli infermieri a tutti gli altri laureati. Per quanto riguarda invece le prospettive future
di studio e di lavoro, si rilevano alcune differenze che
meritano una particolare riflessione.
Formazione post laurea, una scelta ancora difficile
Una quota rilevante di laureati infermieri dichiara di
non essere intenzionata a proseguire gli studi. È possibile che una delle principali motivazioni alla formazione
postlaurea sia legata alla necessità di migliorare le opportunità di trovare lavoro. Fra quanti sono orientati a
proseguire gli studi, vengono indicate come preferenze
il master e la laurea specialistica. Sembra quindi che in
primo luogo i laureati, appena usciti dall’università, abbiano l’intenzione di mettersi subito a lavorare, preferi-
una prestazione di qualità sempre maggiore a tutto vantaggio del paziente, come sottolinea lo stesso preside Gensini:
“Per poter operare in team nel mondo del lavoro, i professionisti medici e infermieri devono conoscersi, interagire e
riconoscersi fin dai primi momenti della loro formazione”.
Tabella 1* - Caratteristiche dello studente tipo del CLI dell’Università degli Studi
di Firenze (a.a. 2009-2010)
Sesso
Anno di nascita
Scuola secondaria frequentata
Anno di immatricolazione all’Università
Anno di iscrizione al Corso di laurea in Infermieristica
Precedenti Corsi di laurea frequentati
Modalità di iscrizione
Caratteristica
Femmina
1988
Liceo Scientifico
2007/2008
2008/2009
Nessuno
In corso
% Studenti
71,50%
23,90%
37,60%
33,00%
38,30%
82,30%
96,60%
Tabella 2* - Caratteristiche del tutor tipo del CLI dell’Università degli Studi di
Firenze (a.a. 2009-2010)
Sesso
Anno di nascita
Scuola secondaria frequentata
Tipo di percorso formativo effettuato
In possesso si altro titolo accademico
Svolge attualmente attività clinica
Anni di esperienza di tutoraggio
Numero medio di studenti seguiti annualmente
Ambiti di apprendimento gestiti
Caratteristica
% Tutor
95,00%
Femmina
16,00%
1960
83,00%
Istituto Tecnico/Professionale
42,00%
Infermiere Laureato
Laurea o Master di Primo o Secondo livello (*) 74,00%
No
89,00%
8
21,00%
80
33,00%
Tutti (Apprendimento teorico, laboratorio,
72,00%
tirocinio)
* Fonte: Paoletti E., Indagine sul tutoring all’interno del Corso di laurea in Infermieristica: tutor e studenti a confronto tesi di laurea in Infermieristica, Università degli Studi di Firenze, A.A. 2008-2009
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bilmente alle dipendenze del settore pubblico, a tempo
pieno e nell’area di residenza.
Nella scelta del lavoro attribuiscono, poi, maggiore importanza all’acquisizione di professionalità, alla sicurezza
del posto di lavoro e alla coerenza con gli studi compiuti.
In altre parole, rispetto agli altri laureati, l’infermiere attribuisce maggiore rilevanza alla stabilità del posto fisso
e alla ricerca di un lavoro sotto casa.
Naturalmente non esiste un profilo unico di neolaureato, ma una pluralità di condizioni e di tipologie che le
sintesi statistiche non sempre riescono a far emergere.
Ciò nonostante, l’analisi dei dati disegna un profilo di
professionista infermiere simile, per molti aspetti, agli
altri neolaureati, ma con proprie caratteristiche, riferite
soprattutto alle condizioni occupazionali e alle aspettative e prospettive future.
Non va dimenticato che la generazione più recente di
infermieri ha attraversato una fase di profonda modificazione dovuta sia alla riforma del sistema formativo sia
ai cambiamenti del contesto socioculturale, che li ha sicuramente differenziati dai colleghi formatisi in ambito
pre-riforma.
Il futuro dell’occupazione infermieristica:
la carenza è ancora grave
È difficile, in conclusione, ipotizzare quale sarà il futuro
dell’occupazione infermieristica in Italia, date le difficoltà e
l’incertezza che caratterizzano la fase attuale di crisi economica, che rischiano di penalizzare la domanda di personale.
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La consistenza attuale di infermieri comprende oltre
370.000 professionisti che operano nella sanità pubblica e privata, negli ospedali, negli ambulatori, nei servizi
territoriali, nella formazione. Secondo i dati più recenti
dell’Osservatorio Ipasvi, in Italia vi sono 6,3 infermieri
ogni 1000 abitanti, ma il dato attuale è ancora molto al
di sotto dalla media degli altri paesi OCSE, che è di circa
9/1.000 (Rapporto 2009, con dati 2005).
La carenza infermieristica costituisce quindi un elemento strutturale e non contingente del mercato del lavoro
italiano, solo in parte compensato con un ampio ricorso
agli infermieri stranieri che assommano ormai a quasi il 10% della risorsa totale. Per il futuro occorrono,
quindi, altri infermieri, soprattutto se consideriamo il
progressivo invecchiamento della popolazione italiana
e l’indispensabile sviluppo dell’assistenza territoriale e
domiciliare in particolare. È pur vero che l’occupazione
infermieristica ha registrato in questi ultimi anni un incremento stimabile a livello nazionale attorno all’1,5%,
ma perdura una carenza ormai nota a tutti, dovuta a ritardi antichi e persistenti, che può essere affrontata solo
in modo strutturale a cominciare dalla programmazione
dei corsi di laurea.
Tutti concordano sul fatto che la crisi che stiamo attraversando sarà ancora lunga e difficile. Ma è proprio nei
momenti difficili che bisogna continuare ad investire,
tanto più se ciò che è in discussione sono le nuove
generazioni e i settori strategici come la salute delle
persone.
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Il Times: le università italiane non sono nelle prime 100 del Mondo
È stata una vera doccia fredda per l’Università italiana la pubblicazione, avvenuta a fine 2009 da parte dell’autorevole quotidiano londinese Times, della classifica annuale dei migliori atenei mondiali. Neanche una delle nostre strutture ha avuto l’onore di essere compresa nei
primi 100. Non solo. Per poter incontrare la prima tra tutte le università del nostro paese si deve arrivare fino alla posizione 174, dove
è stata collocata l’Alma Mater di Bologna. Per le altre 19 realtà
universitarie prese in considerazione si parla di posti oltre la duecentesima posizione, con l’Università La Sapienza (la più grande
d’Italia) classificata 205esima, o addirittura tra la quattrocentesima
e la cinquecentesima piazza. Meglio di noi hanno fatto le università statunitensi (in 55) e britanniche (in 29), del Canada, Germania,
Olanda, Giappone, Australia, Svizzera, Cina, Belgio, Francia, Hong
Kong, Svezia, Danimarca, Israele, Nuova Zelanda, Corea del Sud,
India, Irlanda, Austria, Finlandia, Grecia, Messico, Norvegia, Russia,
Sud Africa, Spagna, Taiwan e Thailandia. In Europa ha fatto peggio
dell’Italia solo il Portogallo.
Il primo posto in questa speciale classifica è andato, come accade
da sei anni a questa parte, alla statunitense Harvard, seguita da
Cambridge e Yale. Quarta poltrona per l’University College of
London, seguita, ex equo, da Oxford e dall’Imperial College of
London.
La classifica, intitolata The QS World University Rankings, è consultabile liberamente sul sito www.topuniveristies.com.
I parametri che sono stati presi in considerazione dagli analisti del
Times, per stabilire ciò che loro stessi hanno definito come l’elenco
dei 200 migliori “produttori sostanziali delle nuove conoscenze”,
sono stati volutamente ampi. Al contrario di altre classifiche di atenei mondiali, come ad esempio The Academic
Ranking of World Universities, pubblicato dalla Shangai Jiao Tong University, che puntano sulla specializzazione
e sulla peculiarità dominante di ogni realtà universitaria, quella del Times è una fotografia generalista dell’apparto
universitario mondiale.
Il fine dichiarato della ricerca, basata anche su sondaggi e interviste tra gli iscritti agli atenei, era di creare uno
strumento preciso e agile da consultare, utile agli studenti e ai docenti universitari. Ma anche e soprattutto una
guida affidabile per finanziatori, politici in procinto di selezionare le istituzioni con cui formare collaborazioni, o per
le aziende in cerca di eccellenze e cervelli da mettere sotto contratto.
Per creare i punteggi della classifica sono state individuate tre caratteristiche principali in cui incasellare le Università: dimensioni dell’ateneo (inteso come numero totale di persone che in esso sono occupate), importanza e innovazione per quel che riguarda il settore di ricerca, numero degli studenti iscritti. È stata inoltre valutata l’attività di
ciascuna istituzione accademica in relazione a cinque settori in cui siano attive borse di studio: scienza, tecnologia,
biomedica, scienze sociali, arti e scienze umane. Il concetto di “globalità” accademica è stato poi completato dalla
valutazione sulla presenza o meno di una scuola medica. Sono stati attribuiti, infine, dei punteggi sia ai sondaggi
su datori di lavoro che hanno assunto allievi di una determinata Università, sia alla percentuale di docenti e studenti
internazionali presenti in un ateneo.
Nonostante l’evidente assenza della nostra Nazione tra i primi della classe, c’è stato anche chi per questa classifica
ha trovato il modo di esultare. È il caso di Pier Ugo Calzolai, Rettore dell’Università di Bologna (classificata 174esima facendo meglio del 2008 nel quale era 192esima). “Ci speravamo – ha commentato sulla rivista dell’ateneo Uni
Bo Magazine –. Negli ultimi anni ce l’abbiamo messa tutta per puntare su giovani e ricerca”.
Di ben altro parere è stato il Rettore della Sapienza di Roma, Luigi Frati, che in un blog specializzato ha sottolineato: “Siamo in fondo alla lista perché non abbiamo fondi adeguati per la ricerca. Il bilancio della sola Università
di Harvard è il doppio di quello che lo Stato italiano stanzia per l’intero sistema universitario del nostro paese”.
Che qualcosa nel sistema accademico italiano non funzioni a dovere è in ogni caso evidente. Un paese come il
nostro non può permettersi una tale debacle, ha detto in sintesi alle agenzie il Ministro dell’Istruzione Maria Stella
Gelmini, che poi ha aggiunto: “Questa è la conferma che il sistema universitario italiano va riformato con urgenza”.
Lapidario, infine, il Rettore della Statale di Milano, Enrico Decleva, che ha chiosato: “queste graduatorie sono
fatte solo per valorizzare le università inglesi”.
(l.a.)
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