LECCO LA GAZZETTA DI LECCO SABATO 7 DICEMBRE 2013 5 Intervista all’ingegner Paolo Borzatta tra i massimi esperti di internazionalizzazione delle imprese «Ricerca e innovazione, le chiavi per aprire le porte del mondo» I n questo periodo drammatico le aziende italiane, e di riflesso prese mettano in atto progetti per rafforzare la loro struttura orga- quelle lecchesi, guardano all’estero nel tentativo di accedere a nizzativa e soprattutto investano nell’attività di ricerca e innovazio- quei mercati in cui le potenzialità di crescita sono particolar- ne. Questi e molti altri i temi al centro dell’intervista realizzata con mente elevate. Internazionalizzazione e globalizzazione sono ter- l’ingegner Paolo Borzatta, senior partner di ‘‘The European House- mini entrati ormai a far parte del linguaggio comune anche se, evi- Ambrosetti’’, direttore della Holding che si occupa delle strategie di dentemente, per poter essere competitivi con giganti economici sviluppo delle aziende italiane in 13 Paesi del mondo, profondo co- del calibro della Cina e della Russia, ad esempio, occorre che le im- noscitore dell’economia e della cultura cinese. DI KATIA SALA E LAURA ACHLER Ingegner Borzatta, lei ha vissuto in Cina per due anni ed anche ora vi trascorre lunghi periodi. Secondo l’Ocse, entro il 2016 Pechino diventerà la prima economia al mondo. Un’opportunità o un pericolo? «Devo correggere l’Ocse. La Cina supererà gli Stati Uniti, ma rimarrà al secondo posto perché al primo c’è e ci sarà l’Europa. Ma noi siamo così stupidi da dimenticarci della potenza e della capacità economica dell’Unione europea. Ciò premesso, a mio giudizio va considerata un’opportunità perché si tratta di un mercato immenso. Quel Paese diventerà un punto di riferimento e influenzerà molto la geopolitica mondiale. Piuttosto c’è il rischio che noi, spaventati dalla dimensione della Cina, cediamo le armi e smettiamo di combattere. Quando invece lo si può fare». Sì, ma come? «Con intelligenza e competenza, sulle quali occorre investire. Gli italiani sanno vivere, ma questo non si può tradurre solo nel ‘‘mangiar bene’’ o nella valorizzazione del turismo, ma si deve declinare soprattutto nel campo della tecnologia. Il nostro Paese in pochissimi anni ha raggiunto una posizione di rilievo nella robotica, ad esempio. Un settore che implica discipline di altissimo livello: dalle scienze cognitive alla microelettronica che una penitenza assoluta. Non è solo una questione di costi, che comunque sono altissimi, ma di lacci a lacciuoli dappertutto e su tutto. Sono convinto che togliendo anche soltanto il 50 per cento di questi lacci e lacciuoli, il Paese ripartirà alla grande. Delocalizzare è negativo se lo si fa per abbandonare il territorio. Ma va anche detto che un imprenditore deve difendere la sua azienda, oltre al fatto che oggigiorno occorre essere presenti in molte aree del mondo. Bisogna mantenere in Italia le produzioni che hanno senso, non produrre tanto per produrre». Le imprese non solo sono schiacciate da una burocrazia ipertrofica, ma anche da un livello di tassazione che non ha eguali nelle economie sviluppate. Eppure, il carico fiscale potrebbe essere ridotto “semplicemente” mettendo mano alla spesa pubblica. «Questo è un Paese che deve risolvere alcuni problemi legati ai costi della politica e certamente alla spesa pubblica, ma non dimentichiamoci del debito altissimo e degli interessi che lo gravano ulteriormente. Ci sono edifici, caserme militari, uffici di proprietà del demanio non utilizzati che si potrebbero vendere e così metterli a frutto. Per non parlare di monumenti, chiese e chiesette in giro Fare azienda oggi nel nostro Paese è una vera penitenza. Non è solo una questione di costi, ma di lacci e lacciuoli su tutto Il mercato cinese è immenso: spaventati dalle sue dimensioni c’è il rischio che cediamo le armi e smettiamo di combattere “ possono essere utili per facilitare l’esistenza degli anziani, e non dimentichiamo che la società occidentale invecchia sempre di più, oppure per controllare musei e territorio. Potremmo diventare leader mondiali in questo campo, migliorando conoscenze che già abbiamo. Ecco perché è fondamentale investire in ricerca e innovazione». Uno dei problemi che attanagliano il nostro Paese da quando è esplosa la crisi finanziaria, diventata poi economica, è il blocco del mercato interno. Le imprese quando riescono a non chiudere continuano a produrre, ma non sono più in grado di creare ricchezza, ragione per cui chi può sceglie la strada della delocalizzazione. E’ davvero questa l’unica ricetta possibile per sopravvivere? «Stando così la situazione, temo proprio di sì. Ed è un dramma. Il problema, e lo dico da imprenditore dei servizi e da consulente che ha contatti costanti con aziende anche del vostro territorio, è che oggi fare impresa in Italia è “ per l’Italia, tutti vincolati e spesso malandati, che nessuno andrà mai a visitare e che noi teniamo lì, bloccati, in nome non si sa di cosa. Dio me ne scampi dal dire che debbano essere demoliti, ma perché non cederli a un privato in grado di acquistarli? Per lo Stato significherebbe incamerare denaro, quindi ridurre il debito, e al tempo stesso qualora dovessero rendere se trasformate in attività turistiche, si contribuirebbe ad aumentare il Pil. Due effetti positivi, no? Del resto basti pensare alla fine che sta facendo Pompei per immaginare il destino di tanti altri beni sperduti chissà dove...». Le mancate riforme negli ultimi vent’anni comportano il fatto che le imprese, soprattutto se di piccole dimensioni, partano svantaggiate rispetto ai competitori esteri. Ma oltre a questo, come è possibile difendersi dalla concorrenza sleale laddove beni e servizi vengono prodotti in condizioni meno restrittive rispetto all’Italia? Ci riferiamo alla Cina, ma non solo. «Va ricordato che l’Italia negli anni Cinquanta e Sessanta era considerata la Cina dell’Europa, perché allora il costo del lavoro da noi era molto più basso che altrove. Dunque venivamo a nostra volta percepiti come concorrenti sleali. Bisogna poi intendersi su quale sia il limite moralmente accettabile. Naturalmente vanno represse tutte quelle pratiche non corrette o criminali, difendendosi a monte, vale a dire alle frontiere o attraverso i canali diplomatici. IL PROFILO NOTO E STIMATO IN ITALIA E ALL’ESTERO Paolo Borzatta è Senior Partner e direttore della Divisione internazionale e ricerche di ‘‘The European HouseAmbrosetti’’. Si occupa a livello professionale di ricerca di strategie d’impresa, di sviluppo territoriale, internazionalizzazione, oltre che di innovazione, attrattività e competitività degli Stati e delle Regioni. Opera su progetti di assistenza per la crescita e la globalizzazione delle imprese e dei territori. Ha favorito l’ingresso in Cina di oltre 100 aziende. Ha assistito nella formulazione delle strategie importanti imprese mondiali in diversi settori operando negli Usa, nel Regno Unito, in Russia, in Cina e nel Sud Est Asiatico. Ha contribuito allo sviluppo strategico di territori e città e da alcuni anni segue importanti progetti in Africa. Dopo la laurea in Ingegneria Nucleare presso il Politecnico di Milano, si è specializzato in Fisica ed è stato assistente di ruolo in Fisica Subnucleare all’Università di Milano. In tale veste ha lavorato al CERN (Ginevra). Nel 1982 ha fondato un’importante società di consulenza strategica insieme a un gruppo di altri manager e docenti della Bocconi. Ne è stato Presidente e Amministratore Delegato. Ha creato e diretto la filiale di Los Angeles, vivendo per sei anni negli Stati Uniti e diretto importanti progetti in Russia e in Cina dove ha vissuto. È autore di rapporti scientifici e di management pubblicati su riviste europee e asiatiche. D’altro canto è indiscutibile che se si vuole produrre un tessile a basso costo in ottime condizioni di lavoro, conviene andare in Bangladesh. Per quanto riguarda invece l’aspetto delle cosiddette ‘‘copiature’’, un’altra ‘‘responsabilità’’ addebitata spesso alla Cina, concordo che si tratta di un problema grave, pertanto bisogna intervenire. E lo si può fare. C’è una miriade di piccole aziende che ha trovato il modo di difendersi, non già ricorrendo agli avvocati, ma generando consenso e lasciando intendere che copiare ciò che viene prodotto da un imprenditore italiano con un insediamento in Cina si rivelerebbe un boomerang, perché quest’ultimo potrebbe chiudere l’azienda in loco, lasciando i dipendenti senza lavoro. Non è facile, ma si può fare. Del resto se pensiamo di stare a galla vivendo soltanto di rendita, oppure in virtù delle nostre capacità imprenditoriali, senza investire su queste stesse capacità, siamo assolutamente perdenti. Il fatto è che in Italia manca una visione strategica di lungo periodo, che tutti possano condividere. Il boom economico del dopoguerra e degli anni immediatamente successivi è stato generato anche perché l’intero popolo italiano si è impegnato a ricostruire il Paese, a modernizzarlo e arricchirlo. Oggi la Cina ha la stes- sa visione che noi avevamo allora, mentre qui c’è una classe politica, democraticamente eletta, sia chiaro, che non si pone il tema di cosa vogliamo fare tutti assieme per i prossimi venti, trent’anni». Potremmo dire che egoisticamente ciacuno di noi è portato in qualche modo ad approfittare al meglio dei benefici della globalizzazione dimenticandosi, tuttavia, che tutto ciò ha un prezzo. A questo proposito anche nel territorio lecchese stiamo assistendo a una sorta di ‘‘colonizzazione’’ da parte dei cinesi i quali, contanti alla mano, rilevano ogni genere di attività: bar, ristoranti, megastore, oppure acquistano immobili e terreni. Il denaro è un’arma di persuasione molto allettante per tanti commercianti in difficoltà. AUTOREVOLE Paolo Borzatta, profondo conoscitore di strategie di sviluppo. «Temo che sia proprio così. Talvolta si tratta di cinesi che dispongono di soldi e che hanno visto nella nuova impresa potenzialità da valorizzare e far crescere che il precedente proprietario non ha saputo cogliere. Ma nella maggior parte dei casi gli orientali che vengono in Italia, e dunque anche a Lecco, sono consapevoli di dover soffrire e lavorare molto più di chi li ha preceduti contando solo su mogli, figli e familiari. Per queste persone non ci saranno giorni di festa o vacanze fino a quando riusciranno ad avere successo con la loro attività, soppiantando magari i concorrenti locali. Forse anche noi, ogni tanto, dovremmo avere un po’ più di fame e ricordarci che dobbiamo anche lavorare». Una comunità numerosa, ma silenziosa, alla quale l’integrazio- cativa del mondo. Pertanto se non ci sforziamo di capire come e perché i cinesi ragionano in un determinato modo, non comprenderemo mai fino in fondo quella che sta già diventando una grande potenza mondiale. Dunque ai ragazzi dico di andare all’estero, accettando di lavorare come operai, anche se sono laureati perché in ogni caso è un’esperienza importante. Certo, dopo due, tre anni dovrebbero essere messi nelle condizioni di tornare in Italia con la prospettiva di trovare un’occupazione stabile. Un’opportunità che attualmente purtroppo non vedo, ma questo non è un problema dei nostri ragazzi. Siamo noi ad essere incapaci di esprimere una classe dirigente che metta in sesto il Paese». Nessuno possiede la sfera di Occorre riscoprire l’orgoglio di avere inventato la civiltà occidentale e impegnarsi nei prossimi anni per rinnovarla Ai giovani dico: andate all’estero a lavorare per ritornare qui quando si creeranno nuove opportunità “ ne non pare interessare. «Non dimentichiamo che si tratta di gente estremamente chiusa e di un popolo che si considera ‘‘eletto’’. Inoltre vi è una barriera culturale: la maggior parte dei cinesi che arriva qui non capisce, né parla la nostra lingua. Qualcosa sta comunque cambiando, soprattutto nelle generazioni più giovani. Molti di loro cominciano a sentirsi italiani e sono riconoscenti nei confronti del Paese che li ospita». E cosa si sente di consigliare ai nostri giovani che faticano a trovare un barlume di luce rispetto alle prospettive future e che spesso sono costretti a ‘‘migrare’’ all’estero, in Gran Bretagna o in Australia? Bisognerebbe suggerire loro di cambiare orizzonti e di guardare alla Cina? «Personalmente a tutti gli amici dico di mandare i figli laggiù. Anzi, dovremmo rendere il cinese la seconda lingua obbligatoria nelle scuole. Solo imparandola si può comprendere una cultura destinata a plasmare una parte signifi- “ cristallo, ma se guardiamo il mappamondo come immagina lei l’economia mondiale tra cinque, dieci anni? «Vedo due possibilità: un’Italia e un’Europa spente, sempre più sulla via del declino e per contro la Cina egemone, con gli Stati Uniti e la Russia che se la giocano tra loro; oppure prospetto un altro scenario, ed è quello in cui voglio sperare, di un’Italia e un’Europa che, riscoprendo l’orgoglio di aver ‘‘inventato’’ la democrazia moderna e fondato la civiltà occidentale, si impegnino nell’innovarla. Un processo che non deve riguardare solo le aziende, ma anche gli Stati. Sapete quando è stato aggiornato l’ultima volta il modello di governance occidentale? Il 14 luglio del 1789. E noi pretendiamo con quel sistema di gestire il mondo del futuro? Non sto dicendo che occorra andare verso metodi autoritari o dittatoriali, ma che dalla democrazia dobbiamo costruire qualcosa in più. E noi non ci stiamo pensando».