gli altri casi nazionali
LA FRANCIA
slides della lezione quattordicesima a.a. 2008-09
Un caso
di contraddittoria lettura
L’industrializzazione francese appartiene,
nelle sue regioni nord-orientali, alla prima
industrializzazione continentale che
coinvolse (tra gli anni ’10 e ‘20 dell’800)
quella macroregione sovranazionale
comprendente anche le città-stato ed i
principati tedeschi nord-occidentali, oltre
ad i Paesi Bassi, all’epoca includenti
anche quello che poi divenne (1830, 1839)
lo stato indipendente del Belgio.
Si trattava di una macroregione
sovranazionale, che - in assenza di
ostacoli fisici - consentì un vivace
interscambio di idee, esperienze, uomini
e merci, dando l’abbrivio al processo
industrializzante.
Se, tuttavia, da un lato è indubbio che la
Francia anticipò la Germania in un deciso
cambiamento dalla manifattura tradizionale
al sistema di fabbrica, è altrettanto vero che
essa - dopo una partenza veloce – conobbe
non pochi rallentamenti nella sua rincorsa ai
ritmi di sviluppo britannici, lasciandosi infine
superare dalla Germania, decisamente
avviata all’unificazione nazionale.
Gli interrogativi sull’intervenuto
ritardo/rallentamento francese, sia
nell’ovvio confronto con la Gran Bretagna
che rispetto alle migliori performances
tedesche, portano ad individuare il nodo
di una minore meccanizzazione relativa
nel processo di industrializzazione,
dovuto a
a) un minor costo del lavoro manuale
b) al differenziale nella produzione (ed uso
di carbone) in Francia rispetto a
Gran Bretagna e Germania
In realtà, il minor utilizzo di carbone,
e quindi di uso di energia da vapore,
trova spiegazione (a parte i più contenuti
giacimenti carboniferi del paese) nell’ampio
utilizzo di energia idraulica, più economica,
e comunque maggiormente disponibile in
Francia rispetto a Gran Bretagna e
Germania data la ricchezza dei suoi corsi
d’acqua.
i fattori d’ordine sociale
In realtà, nelle analisi degli storici britannici,
americani e francesi sul rallentamento del
processo di industrializzazione d’oltralpe
risulta più convincente quella che ha posto
l’accento sull’ostilità all’industrializzazione
di vasti strati sociali, che si sentivano
minacciati dai processi di produzione
meccanizzati.
DI TALE OSTILITA’:
vi è chi ha enfatizzato quella degli artigiani
urbani e dei ceti mercantili, per spiegare
l’incapacità dei nuovi imprenditori industriali
di produrre innovazione e cambiamento
sociale.
Dando perciò una rappresentazione
dell’imprenditore francese come di “soggetto
conservatore” intrinsecamente/naturalmente
restio al nuovo.
Sostiene lo storico inglese David Landes - a
lungo studioso della “rivoluzione industriale”
francese - che a questa avversione al nuovo
degli imprenditori francesi, si univa la loro
resistenza alle formule societarie (tranne che
nella siderurgia, nei grandi lavori e nelle
compagnie ferroviarie).
In virtù di questa voluta “indipendenza”
l’imprenditore francese sarebbe riuscito a
mantenere un elevato tasso di profitto, tuttavia
non reinvestendolo per allargare il proprio raggio
d’azione e/o aumentare le dimensioni d’impresa,
bensì riversandolo negli investimenti immobiliari in
una sterile vocazione all’accumulazione della
ricchezza in quanto tale.
«Una gestione molto prudente,
impianti obsoleti, ed elevati profitti»
non erano per Landes il modo
migliore per crescere in un mondo
ormai estremamente competitivo.
Da cui 
imprese di piccole dimensioni,
ancorate alla famiglia, e con una scarsa
propensione ai grandi affari…
La realtà appare comunque
più articolata…
vi è un indubbio contributo francese
allo sviluppo economico europeo:
 organizzazione bancaria
 sviluppo delle ferrovie
 promozione nuovi settori industriali (vetro,
miniere, metallurgia)
nonché una forte propensione ad una
presenza internazionale, molto più della Gran
Bretagna e della Germania, attraverso
una significativa esportazione di capitali
Va comunque rilevato come l’agire
imprenditoriale (in Francia, come in altri
paesi) sia l’inevitabile riflesso della mentalità
della comunità nella quale l’imprenditore si
trova a muoversi…
Il che sta a significare che, per interazione
reciproca, maturano nel tempo cambiamenti
che portano la comunità ad accettare come
naturali i comportamenti imprenditoriali: non
più considerati “devianti”, bensì connaturati
ad una società data.
STRUTTURA
DELL’IMPRESA FRANCESE
Alla base della struttura d’impresa francese
vi è il Code de Commerce napoleonico del
1807, che rappresenta una efficace sintesi
tra regole d’ancien régime e le acquisizioni
borghesi del periodo rivoluzionario
Riassumiamone le forme:
a) Ditta individuale
b) Società semplice, o impresa familiare
(tale società era di semplice costituzione,
con il solo obbligo di depositare lo statuto
nei registri della locale Camera di
Commercio). Si doveva incorporare nel
nome della società quello della famiglia
(Bonnet frères; J. Jeannot et fils;
Fils de Ph. Marat ; J.J. Cousteau de Ph.
Cousteau et frères ecc.).
Essa fu nell’800 il tipo di impresa più
diffusa.
c) Società in accomandita, formata tra soci
legalmente responsabili della gestione, e
soci c.d. “creditori” o “dormienti”.
Il capitale era suddiviso in quote, ma poteva
essere anche parzialmente sotto forma di
azioni.
I soci “gestori” rispondevano illimitatamente delle
obbligazioni sociali; quelli “dormienti” per il solo
capitale conferito.
La costituzione della società era semplice, ma
essa doveva essere registrata insieme ai nomi
dei soci gerenti; non comparivano invece quelli
dei “dormienti”.
d) Società per azioni, associazione di capitali
fondata per uno scopo determinato, che
doveva essere obbligatoriamente incorporato
nel nome dell’impresa (es. Société des eaux).
Il capitale era rappresentato da azioni di valore
nominale, liberamente trasferibili sul mercato
mobiliare.
Fino al 1867 queste società furono strettamente
controllate dallo Stato, già dal momento della loro
formazione.
I loro Statuti dovevano infatti essere sottoposti al
Consiglio di Stato, che poteva anche imporre
modifiche, e solo successivamente concedeva con
Ordinanza o Decreto l’autorizzazione ad operare.
Ogni sei mesi, poi, la società azionaria doveva
depositare un rapporto finanziario a Prefetto,
Tribunale locale e Consiglio di Stato.
Il motivo? la diffidenza generale che
circondava tali istituzioni…
La Società semplice fu per tutto il XIX
secolo la forma più diffusa d’impresa.
Essa si prestava infatti sia alla gestione di
imprese di piccole dimensioni, che di taglia
maggiore, purché permanessero familiari.
Era anzi il desiderio di non perdere il
controllo familiare che portava i proprietari ad
adottare, e a conservare tale status giuridico.
La Società in accomandita era scelta per
per imprese di maggiore dimensione,
dove erano necessari capitali anche di terzi.
Ma non è detto che una impresa avviata
(o trasformata) in tale forma, poi lo
rimanesse…
il motivo? il desiderio dell’imprenditore (o
della famiglia imprenditoriale originaria)
di recuperare la propria “indipendenza”.
La Società per azioni od erano
evoluzione delle Società in accomandita,
o nascevano come tali per l’importanza del
business prescelto: banche, assicurazioni,
canali, ferrovie, grandi lavori, siderurgia…
Scarse, tuttavia, le società a capitale diffuso,
almeno fino agli anni ‘70/’80 dell’800…
Fu l’introduzione delle (costose) innovazioni
tecnologiche - ad es. il processo Bessemer nella
metallurgia - a portare ad una molteplicità di fonti
di approvvigionamento finanziario…
IL FINANZIAMENTO
INDUSTRIALE
 autofinanziamento
ruolo centrale non solo nelle imprese familiari,
ma anche nelle grandi imprese siderurgiche,
minerarie e dei grandi lavori (il livello più elevato
fu raggiunto tra la fine dell’Ottocento ed il primo
decennio del Novecento)
 credito bancario
Il ricorso alle banche e ad altre fonti di
finanziamento esterno si sviluppò
gradualmente e in modo diseguale, a
seconda delle regioni, del tipo di impresa e
del tipo di anticipi richiesti.
La posizione degli imprenditori ottocenteschi in
merito alla questione del finanziamento bancario
è ben nota, dato che essi temevano la
ipersensibilità dei banchieri al minimo variare
della congiuntura e, soprattutto, il panico che li
coglieva nei periodi di crisi.
Al minimo segnale di una restrizione monetaria,
le banche - soprattutto quelle private - erano
solite restringere immediatamente le linee di
credito o a chiedere il rientro dalle esposizioni.
Da qui una forte resistenza all’indebitamento
bancario.
La diffidenza era comunque reciproca:
se gli industriali ritenevano i banchieri troppo
esosi, od addirittura avidi, i banchieri erano
restii ad esposizioni di lungo periodo
diffidando della capacità degli imprenditori di
far fronte ai propri impegni. E nondimeno i
due settori non furono mai completamente
impermeabili l’uno all’altro e con il tempo
andò sviluppandosi una certa osmosi.
QUALI BANCHE ?
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i banchieri privati
le “Caisses” (banche commerciali, post ’40)
le banche svizzere (Basilea)
le grandi banche d’affari:
- Crédit Mobilier (dirette partecipazioni azionarie
nei grandi business ferroviari, acquedottistici e
del gas da illuminazione)
- Crédit Lyonnais (imprese tessili e meccaniche)
- Société Générale (imprese siderurgiche ed
elettrochimiche)
LA GESTIONE DELLE IMPRESE
si sa poco di come funzionasse la gestione
nelle imprese francesi dell’800, salvo che
in quelle “imprenditoriali”…
si possono pero’ vedere tre tendenze,
collegate tra loro:
- divisione del potere
- specializzazione delle funzioni
- ascesa dei tecnici
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
nodo riserve
problema ammortamenti
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Francia - GIORGIO ROVERATO