QUADERN / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016 ILCASODELGIORNO PRIMOPIANO La tassazione separata non osta al ravvedimento operoso Giudizio sulla coerenza della Relazione sulla gestione più ampio dal 2016 / Alfio CISSELLO e Massimo NEGRO Il DLgs. 139/2015 ha ampliato il giudizio espresso dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti Da più parti ci è stato segnalato che, ad avviso di alcune Direzioni provinciali, non è ammesso il ravvedimento operoso in merito ai redditi soggetti a tassazione separata. Riteniamo di non condividere la menzionata impostazione, per le ragioni seguenti. Rimandando ad un successivo intervento la problematica del ravvedimento sul tardivo versamento dell’imposta già liquidata dall’Agenzia delle Entrate con l’avviso bonario, approfondiamo ora la fattispecie in cui il contribuente abbia dichiarato infedelmente un reddito che, per natura o per opzione, è soggetto a tassazione separata. In tal caso, la violazione rientra nell’art. 1 del DLgs. 471/97, in quanto, tecnicamente, è commessa una dichiarazione infedele, avendo il [...] / Silvia LATORRACA Nel modificare, peraltro in modo rilevante, la disciplina del bilancio d’esercizio delle società di capitali, il DLgs. 139/2015 (decreto bilanci) è intervenuto anche sulla Relazione di revisione. In questo contesto, in particolare, è stato ampliato il giudizio sulla coerenza della Relazione sulla gestione con il bilancio, che deve esprimere il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti. Il contenuto della Relazione di revisione è disciplinato dall’art. 14 del DLgs. 39/2010, all’interno del quale sono state trasposte le disposizioni dapprima contenute nell’art. 2409-ter c.c. Il comma 2 lett. e) del citato art. 14 stabilisce che la Relazione di revisione comprende, tra l’altro, “un giudizio sulla coerenza della relazione sulla gestione con il bilancio”. Tale giudizio può essere omesso soltanto con riferimento alle società che redigono il bilancio in forma abbreviata, laddove le stesse siano esonerate dalla redazione della Relazione sulla gestione in applicazione della disposizione contenuta nell’art. 2435-bis comma 7 c.c., ovvero qualora forniscano nella Nota integrativa le in- A PAGINA 2 INEVIDENZA Usufrutto da calcolare con i nuovi coefficienti Via libera al sindacato di congruità sui costi e i ricavi Niente agevolazioni IRES per le fondazioni bancarie Non sempre il socio lavoratore escluso dalla coop perde il posto Il Politecnico di Milano lancia un contest sullo studio più digitale formazioni sulle azioni proprie e sulle azioni o quote di società controllanti possedute dalla società o acquistate/alienate nel corso dell’esercizio. Si ricorda che l’obbligo di inserire il giudizio sulla coerenza della Relazione sulla gestione con il bilancio all’interno della Relazione di revisione è stato introdotto (a decorrere dai bilanci relativi agli esercizi aventi inizio dalla data successiva al 12 aprile 2007) dal DLgs. 32/2007. Fino all’entrata in vigore di tale norma, il giudizio sulla coerenza veniva, normalmente, evidenziato nel richiamo di informativa. Occorre, inoltre, evidenziare che le responsabilità del soggetto incaricato della revisione legale relativamente all’espressione del giudizio sulla coerenza delle informazioni contenute nella Relazione sulla gestione con il bilancio sono trattate dal principio di revisione SA Italia 720B, in vigore per le revisioni legali dei bilanci relativi ai periodi amministrativi che iniziano dal 1° gennaio 2015 o [...] A PAGINA 3 FISCO Per alcuni contribuenti congrui e coerenti in soffitta UNICO 2012 / Alfio CISSELLO e Paola RIVETTI È stato già evidenziato su Eutekne.info che, entro il 31 dicembre 2015, avrebbero dovuto, a pena di decadenza, essere notificati gli avvisi di accertamento relativi al periodo d’imposta 2010 (modello UNICO 2011) oppure 2009 (modello UNICO 2010) se si fosse trattato di dichiarazione omessa (si veda “A fine anno, in soffitta il modello UNICO 2011 per decorrenza dei termini” dell’8 dicembre 2015). Rispetto a tali periodi non [...] A PAGINA 4 ancora IL CASO DEL GIORNO La tassazione separata non osta al ravvedimento operoso Per i redditi non indicati, bisogna però appurare come il ravvedimento deve avvenire / Alfio CISSELLO e Massimo NEGRO Da più parti ci è stato segnalato che, ad avviso di alcune Direzioni provinciali, non è ammesso il ravvedimento operoso in merito ai redditi soggetti a tassazione separata. Riteniamo di non condividere la menzionata impostazione, per le ragioni seguenti. Rimandando ad un successivo intervento la problematica del ravvedimento sul tardivo versamento dell’imposta già liquidata dall’Agenzia delle Entrate con l’avviso bonario, approfondiamo ora la fattispecie in cui il contribuente abbia dichiarato infedelmente un reddito che, per natura o per opzione, è soggetto a tassazione separata. In tal caso, la violazione rientra nell’art. 1 del DLgs. 471/97, in quanto, tecnicamente, è commessa una dichiarazione infedele, avendo il contribuente dichiarato un reddito inferiore a quello posseduto (ai fini della sanzione applicabile, non incide la circostanza che la liquidazione debba avvenire d’ufficio). Pertanto, siamo dell’avviso che operi l’art. 13 comma 3 del DLgs. 472/97, e il ravvedimento sarà articolato in due fasi: in un primo momento il contribuente deve inviare una dichiarazione integrativa indicando l’ammontare corretto del reddito soggetto a tassazione separata; poi, l’Agenzia delle Entrate notificherà un avviso contenente la liquidazione dell’imposta dovuta, degli interessi e delle sanzioni da dichiarazione infedele ridotte ai sensi delle lettere da a-bis) a b-ter) dell’art. 13 del DLgs. 472/97 (a seconda di quando è stata presentata la dichiarazione integrativa). Più complessa è l’ipotesi in cui il contribuente non abbia indicato il reddito nella dichiarazione presentata, siccome, se dal versante sanzionatorio si è sempre in presenza di una dichiarazione infedele, ai fini del ravvedimento pare sia necessario verificare se il reddito è soggetto a tassazione separata / EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016 per natura o per opzione. Emerge infatti il problema relativo alla possibilità di inserire opzioni in una dichiarazione integrativa, a cui, ai soli fini in esame e per semplicità, ipotizziamo di fornire una risposta negativa (si veda “Alle Sezioni Unite i «confini» dell’emendabilità della dichiarazione” del 19 settembre 2015). Dunque, se si tratta di tassazione separata per natura, vale quando detto prima, trovando applicazione l’art. 13 comma 3 del DLgs. 472/97. Invece, se la tassazione separata avviene per opzione, e, come detto, si suppone che la stessa debba necessariamente avvenire con la dichiarazione originaria, saremmo in presenza di un tributo soggetto ad autoliquidazione. Ammesso il ravvedimento nelle liquidazioni d’ufficio Allora, come di consueto, il contribuente dovrebbe presentare la dichiarazione integrativa indicando il reddito, pagare le imposte, gli interessi legali e le sanzioni da dichiarazione infedele del 90% (eventualmente ridotte di un terzo ex art. 1 comma 4 del DLgs. 471/97, se si ammette che ciò sia compatibile con il ravvedimento operoso) ridotte secondo quanto previsto dall’art. 13 del DLgs. 472/97. Rileviamo, infine, che sembra ormai anacronistico quanto suggerito, a suo tempo, dal Ministero delle Finanze (C.M. 27 maggio 1994 n. 73, § 4.2.3), ad avviso del quale per fruire del ravvedimento sarebbe necessario rinunciare alla tassazione separata, optando per l’ordinaria. All’epoca del chiarimento, a ben vedere, non era ancora in vigore l’art. 13 comma 3 del DLgs. 472/97. / 02 ancora CONTABILITÀ Giudizio sulla coerenza della Relazione sulla gestione più ampio dal 2016 Il DLgs. 139/2015 ha ampliato il giudizio espresso dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti / Silvia LATORRACA Nel modificare, peraltro in modo rilevante, la disciplina del bilancio d’esercizio delle società di capitali, il DLgs. 139/2015 (decreto bilanci) è intervenuto anche sulla Relazione di revisione. In questo contesto, in particolare, è stato ampliato il giudizio sulla coerenza della Relazione sulla gestione con il bilancio, che deve esprimere il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti. Il contenuto della Relazione di revisione è disciplinato dall’art. 14 del DLgs. 39/2010, all’interno del quale sono state trasposte le disposizioni dapprima contenute nell’art. 2409-ter c.c. Il comma 2 lett. e) del citato art. 14 stabilisce che la Relazione di revisione comprende, tra l’altro, “un giudizio sulla coerenza della relazione sulla gestione con il bilancio”. Tale giudizio può essere omesso soltanto con riferimento alle società che redigono il bilancio in forma abbreviata, laddove le stesse siano esonerate dalla redazione della Relazione sulla gestione in applicazione della disposizione contenuta nell’art. 2435-bis comma 7 c.c., ovvero qualora forniscano nella Nota integrativa le informazioni sulle azioni proprie e sulle azioni o quote di società controllanti possedute dalla società o acquistate/alienate nel corso dell’esercizio. Si ricorda che l’obbligo di inserire il giudizio sulla coerenza della Relazione sulla gestione con il bilancio all’interno della Relazione di revisione è stato introdotto (a decorrere dai bilanci relativi agli esercizi aventi inizio dalla data successiva al 12 aprile 2007) dal DLgs. 32/2007. Fino all’entrata in vigore di tale norma, il giudizio sulla coerenza veniva, normalmente, evidenziato nel richiamo di informativa. Occorre, inoltre, evidenziare che le responsabilità del soggetto incaricato della revisione legale relativamente all’espressione del giudizio sulla coerenza delle informazioni contenute nella Relazione sulla gestione con il bilancio sono trattate dal principio di revisione SA Italia 720B, in vigore per le revisioni legali dei bilanci relativi ai periodi amministrativi che iniziano dal 1° gennaio 2015 o successivamente. / EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016 Il principio di revisione precisa che la responsabilità della redazione della Relazione sulla gestione, nonché del suo contenuto, in conformità a quanto previsto dalle norme di legge (nella specie, l’art. 2428 c.c.) compete agli amministratori o ad altro organo che svolge analoghe funzioni, a seconda del modello di amministrazione e controllo adottato. Il revisore ha, invece, la responsabilità di esprimere un giudizio sulla coerenza delle informazioni contenute nella Relazione sulla gestione con il bilancio sulla base delle procedure di revisione svolte ed illustrate nel medesimo principio SA Italia 720B. Conseguentemente, detto giudizio non rappresenta un giudizio di conformità, né di rappresentazione veritiera e corretta, della Relazione sulla gestione rispetto alle norme di legge che ne disciplinano il contenuto, né di completezza delle informazioni contenute nella Relazione stessa. Detto ciò, come anticipato, il DLgs. 139/2015 ha modificato l’art. 14 comma 2 lett. e) del DLgs. 39/2010, ampliando la nozione ed il contenuto del giudizio di coerenza della Relazione sulla gestione con il bilancio. Per effetto della modifica in esame, infatti, il revisore deve esprimersi anche sulla conformità della Relazione sulla gestione alle norme di legge. Il giudizio deve contenere, inoltre, “una dichiarazione rilasciata sulla base delle conoscenze e della comprensione dell’impresa e del relativo contesto acquisite nel corso dell’attività di revisione legale, circa l’eventuale identificazione di errori significativi nella relazione sulla gestione”. Qualora siano identificati errori significativi, il revisore deve fornire “indicazioni sulla natura di tali errori”. La modifica discende da analoga disposizione contenuta nell’art. 35 comma 1 della direttiva 2013/34/UE. Si ricorda, infine, che, ai sensi dell’art. 12 comma 1 del DLgs. 139/2015, le disposizioni esaminate sono entrate in vigore dal 1° gennaio 2016 e si applicano ai bilanci relativi agli esercizi finanziari aventi inizio a partire da quella data. Le stesse non incidono, dunque, sui bilanci relativi all’esercizio 2015. / 03 ancora FISCO Per alcuni contribuenti congrui e coerenti in soffitta UNICO 2012 La riduzione di un anno dei termini non vale per tutti i contribuenti: ad esempio, sono esclusi i professionisti / Alfio CISSELLO e Paola RIVETTI È stato già evidenziato su Eutekne.info che, entro il 31 dicembre 2015, avrebbero dovuto, a pena di decadenza, essere notificati gli avvisi di accertamento relativi al periodo d’imposta 2010 (modello UNICO 2011) oppure 2009 (modello UNICO 2010) se si fosse trattato di dichiarazione omessa (si veda “A fine anno, in soffitta il modello UNICO 2011 per decorrenza dei termini” dell’8 dicembre 2015). Rispetto a tali periodi non trova applicazione la nuova disciplina sui termini di decadenza, come modificata dalla L. 208/2015, secondo cui l’accertamento va notificato, a pena di decadenza, non più entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ma del quinto anno successivo. Tale disciplina, infatti, opera dalle dichiarazioni presentate nell’anno 2017, relative al periodo d’imposta 2016. Tanto premesso, vogliamo ricordare che, per taluni soggetti, i termini sopra indicati sono ridotti di un anno. Alludiamo all’art. 10 commi 9 e 10 del DL 201/2011, secondo cui i termini decadenziali per l’accertamento di imposte sui redditi e IVA sono ridotti di un anno, se i contribuenti risultano congrui e coerenti rispetto allo studio di settore e hanno assolto correttamente i relativi obblighi comunicativi. La congruità (anche a seguito di adeguamento) e la coerenza devono sussistere rispetto a tutti gli indicatori previsti per lo studio di settore, nonché, in caso di soggetto multiattività, per tutti gli studi di settore applicati. La predetta riduzione dei termini di decadenza, così come gli altri benefici contemplati dal “regime premiale” (si pensi alla limitazione circa la possibilità di accertamenti presuntivi e alla riduzione da 1/5 a 1/3 dello scostamento rilevante ai fini dell’accertamento sintetico) trova applicazione solo per / EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016 determinate categorie di contribuenti, individuate annualmente da apposito provvedimento direttoriale delle Entrate. Ciò, dal punto di vista normativo, trova “copertura” nell’art. 10 comma 12 del DL 201/2011. Il regime premiale, ai sensi del comma 13 della norma appena richiamata, opera a partire dalle dichiarazioni relative all’annualità 2011 ed a quelle successive. Facendo i conti, dunque, questa è la prima annualità in cui la riduzione di un anno dei termini decadenziali può essere applicata: infatti, per i contribuenti che rientrano nel c.d. “regime premiale”, l’accertamento sull’anno 2011 (UNICO 2012) avrebbe dovuto essere notificato, al massimo, entro il 31 dicembre 2015 (diversamente, in assenza del beneficio del regime premiale, il termine scadrebbe ordinariamente il 31 dicembre 2016). Per individuare i contribuenti “interessati” dal beneficio, occorre riferirsi al provvedimento direttoriale del 12 luglio 2012 n. 102603, il cui allegato individua gli studi di settore per i quali si applica il regime premiale in relazione al periodo d’imposta 2011. Nel complesso, si tratta di una minoranza di studi di settore: 55 ammessi, a fronte di 151 esclusi, tra cui l’intero comparto delle attività professionali. Rimane il raddoppio per violazioni penali La riduzione dei termini decadenziali sopra indicata non opera in presenza di violazioni penalmente rilevanti, situazione in cui, oltre al raddoppio, permane l’ordinario termine quadriennale (si precisa che, in ragione della L. 208/2015, il menzionato raddoppio verrà meno a decorrere dall’annualità 2016). / 04 ancora FISCO Usufrutto da calcolare con i nuovi coefficienti Dal 1° gennaio 2016 vanno utilizzati per determinare il valore dei diritti reali di uso, usufrutto e abitazione, nonché per determinare il valore delle rendite / Anita MAURO Il tasso di interesse legale è stato ridotto allo 0,20% con decorrenza dal 1° gennaio 2016 dal DM 11 dicembre 2015, rendendo necessario l’adeguamento dei coefficienti da utilizzare per la determinazione del valore fiscale di rendite, pensioni, nonché dei diritti reali di uso, usufrutto ed abitazione. Si ricorda, infatti, che per la determinazione della base imponibile dell’imposta di registro (art. 46 del DPR 131/86), il valore delle rendite e pensioni, nonché il valore dei diritti reali di uso, usufrutto e abitazione, sono determinati usando coefficienti aggiornati periodicamente sulla base della variazione del tasso legale di interesse. Lo stesso metodo di determinazione del valore è utilizzato nell’ambito delle imposte sulle successioni e donazioni, a norma dell’art. 17 comma 1 del DLgs. 346/90, nonché nell’ambito delle imposte ipotecaria e catastale (per il rinvio operato dagli artt. 2 comma 1 e 10 del DLgs. 347/90). Inoltre, sebbene il DM 21 dicembre 2015 si riferisca espressamente solo all’imposta di registro ed alle imposte sulle successioni e donazioni, le modifiche in esso contenute rilevano anche ai fini delle imposte sui redditi. Infatti, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate (cfr. ris. n. 188/2009), il metodo di determinazione del valore dei diritti reali di uso, usufrutto e abitazione individuato per l’imposta di registro va applicato anche nell’ambito dell’imposizione diretta. In conseguenza della riduzione del tasso di interesse legale dallo 0,50% allo 0,20%, operata dal DM 11 dicembre 2015 (con efficacia dal 1° gennaio 2016), il DM 21 dicembre 2015 ha adeguato il valore dei coefficienti da utilizzare, ai fini delle imposte di registro, delle imposte sulle successioni e donazioni e delle imposte ipotecaria e catastale, per determinare il valore di rendite e pensioni e per determinare il valore dei diritti reali di uso, usufrutto e abitazione. In particolare, il DM 22 dicembre 2015 fissa nella misura di 500 il coefficiente per la determinazione del valore delle rendite e delle pensioni, ai sensi degli artt. 46 comma 2 del DPR 131/86 e 17 comma 1 del DLgs. 346/90. Anteriormente (dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015), tale coefficiente era stato fissato nella misura di 200 dal DM 22 dicembre 2014 (in relazione al tasso di interesse dello 0,50% fissato dal DM 12 dicembre 2014, si veda “Aggiornati i coefficienti per il calcolo del valore dell’usufrutto” del 31 dicembre / EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016 2014). L’art. 1 comma 3 del DM 21 dicembre 2015, inoltre, sostituisce il prospetto dei coefficienti allegato al DPR 131/86, necessario per la determinazione del valore del diritto di usufrutto a vita e delle rendite o pensioni vitalizie (si veda il prospetto sottostante). Anche tali coefficienti, infatti, devono essere aggiornati in conseguenza della modifica del tasso legale di interesse. I nuovi valori definiti dal DM 21 dicembre 2015 si applicano, per espressa disposizione dell’art. 2 del medesimo DM: - agli atti pubblici formati dal 1° gennaio 2016; - agli atti giudiziari pubblicati o emanati dal 1° gennaio 2016; - alle scritture private autenticate dal 1° gennaio 2016; - alle scritture private non autenticate presentate per la registrazione dal 1° gennaio 2016; - alle successioni apertesi dal 1° gennaio 2016; - alle donazioni fatte dal 1° gennaio 2016. Di conseguenza, volendo determinare, ad esempio, il valore dell’usufrutto costituito, con atto pubblico stipulato il 10 gennaio 2016, a favore di un soggetto di 59 anni, gravante su un immobile la cui piena proprietà ha un valore pari a 120.000 euro, è necessario procedere nel modo seguente. In via preliminare, occorre determinare il valore dell’annualità, moltiplicando il valore della piena proprietà per il tasso di interesse legale: 120.000 euro x 0,20% = 240 euro. A tal punto, il valore dell’usufrutto si ottiene moltiplicando il valore dell’annualità (ottenuto come sopra illustrato) per il coefficiente corrispondente all’età del beneficiario (59 anni), desumibile dalla tabella allegata al DPR 131/86 (come aggiornata dal DM 21 dicembre 2015), che è pari a 300. Il valore dell’usufrutto risulta, quindi, pari a 240 x 300 = 72.000 euro. Di riflesso, è possibile determinare anche il valore della nuda proprietà, sottraendo, al valore della piena proprietà, il valore dell’usufrutto come poco sopra determinato: 120.000 - 72.000 = 48.000 euro. Il valore dell’usufrutto aumenta quanto più giovane è la persona beneficiaria, atteso che si suppone che il soggetto più giovane possa godere del bene oggetto del diritto di usufrutto per più tempo. Si riportano nella tabella sottostante i nuovi coefficienti applicabili dal 1° gennaio 2016. / 05 ancora Età del beneficiario 0 - 20 anni compiuti 21 - 30 anni compiuti 31 - 40 anni compiuti 41 - 45 anni compiuti 46 - 50 anni compiuti 51 - 53 anni compiuti 54 - 56 anni compiuti 57 - 60 anni compiuti 61 - 63 anni compiuti 64 - 66 anni compiuti 67 - 69 anni compiuti 70 - 72 anni compiuti 73 - 75 anni compiuti 76 - 78 anni compiuti 79 - 82 anni compiuti 83 - 86 anni compiuti 87 - 92 anni compiuti 93 - 99 anni compiuti / EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016 Coefficienti da applicare dal 1° gennaio 2016 475 450 425 400 375 350 325 300 275 250 225 200 175 150 125 100 75 50 / 06 ancora FISCO Via libera al sindacato di congruità sui costi e i ricavi La Cassazione conferma la propria tesi, sostenendo che il Fisco non è vincolato al valore o al corrispettivo indicato in delibere e contratti / Giovambattista PALUMBO La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25908/2015, è tornata sul tema della congruità dei costi ai fini della deducibilità fiscale. Nel caso di specie veniva disconosciuta la deducibilità di alcuni costi sostenuti in forza di un contratto di fornitura di servizi. La decisione della C.T. Prov., sfavorevole alla contribuente per non aver questa provato le ragioni del raddoppio, in corso di esecuzione, del corrispettivo a suo carico, era appellata e riformata dalla C.T. Reg., la quale affermava che la contribuente aveva documentalmente provato l’aumento del corrispettivo e che le argomentazioni dell’Ufficio, inerenti le motivazioni dell’aumento di tale costo, non rilevavano, non dimostrando né la simulazione, né la falsità dei costi. I giudici di merito ritenevano quindi sufficiente a dimostrare l’inerenza del costo la modifica contrattuale, intervenuta in corso d’opera e con la quale il corrispettivo contrattuale era stato portato da 480.000.000 di lire a 900.000.000 di lire. L’Agenzia delle Entrate ricorreva allora in Cassazione, sostenendo che il contribuente non aveva addotto elementi certi, tali da giustificare né l’effettività dei maggiori servizi ricevuti, né la congruità e dunque la deducibilità dei maggiori costi sostenuti. L’Agenzia rilevava inoltre come non fosse necessario, ai fini del disconoscimento della deducibilità, provare la simulazione del contratto o la falsità del costo, dato che la ripresa era conseguente alla ritenuta non congruità dei costi, fondata su specifici elementi indiziari, quali la sproporzione tra il corrispettivo rideterminato e i costi sostenuti dal medesimo contribuente per analoghe fattispecie, la forfettizzazione del costo senza l’indicazione di specifici elementi di commisurazione, l’inesistenza di servizi aggiuntivi che giustificassero il maggior costo ed infine la commistione di interessi tra le società committente e fornitrice. L’Agenzia rilevava poi come, in ogni caso, l’onere della prova in ordine ai presupposti di deducibilità delle componenti negative, compresa la loro inerenza, incombeva sul contribuente, laddove comunque l’Amministrazione finanziaria poteva valutare la congruità dei costi, anche in assenza di irregolarità nella tenuta delle scritture contabili. La Suprema Corte riteneva il ricorso fondato, sostenendo che rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria negare la deducibilità di un costo ritenuto insussistente o spropor- / EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016 zionato, non essendo l’Ufficio vincolato ai valori o ai corrispettivi indicati nei contratti, spettando al contribuente “l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili”, e non essendo a tal fine sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, ma “occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa”. L’Amministrazione finanziaria può del resto dimostrare l’inattendibilità delle fatture anche mediante presunzioni, dovendo in tal caso il giudice di merito prendere in considerazione il complessivo quadro probatorio. Sempre ferma la prova contraria La contestazione dei costi non doveva pertanto, nel caso di specie, necessariamente passare attraverso la prova di una simulazione o della falsità dei costi, potendo basarsi anche su elementi indiziari, offerti, in via presuntiva, a dimostrazione della non congruità dei costi. La sentenza in commento si inserisce quindi nel dibattito relativo alla rilevanza del principio di “antieconomicità”, quale criterio utilizzabile dal Fisco per valutare la congruità dei costi. Una situazione “antieconomica” può evincersi infatti in tutte quelle ipotesi in cui vi sia un’entità di costi eccessivamente elevata, per cui, nell’ambito di un più complessivo quadro indiziario (tipica, come anche nel caso di specie, è la commistione di interessi o rapporti societari con il soggetto che fattura corrispondenti ricavi), a parere dell’Amministrazione finanziaria, gli atti posti in essere dall’imprenditore sono da considerarsi rivelatori di scopi extraimprenditoriali, con conseguente sottrazione al Fisco di materia imponibile senza alcuna valida motivazione. Tale riflessione si basa sulla considerazione che chi “fa impresa” è portato a ridurre i costi, o a massimizzare i ricavi, con la conseguenza che, laddove vi siano dei comportamenti difficilmente comprensibili da un punto di vista razionale e/o economico, l’Amministrazione può disconoscere la rilevanza fiscale dei componenti di reddito negativi, come risultanti da atti o negozi giuridici, indipendentemente dalla simulazione o meno di tali atti, ed in presenza di una contabilità formalmente corretta. / 07 ancora FISCO Niente agevolazioni IRES per le fondazioni bancarie Per la C.T. Reg. Firenze, non rientrano in nessuna delle categorie indicate nell’art. 6 del DPR 601/73 e non hanno diritto all’aliquota ridotta del 50% / Francesco NAPOLITANO Con sentenza n. 352/16/15, la C.T. Reg. Firenze si è pronunciata sulla spettanza delle agevolazioni fiscali a favore delle fondazioni bancarie, introdotte con la L. 218/90, e riguardante la richiesta di rimborso di eccedenza IRPEG (ora IRES) in sede di dichiarazione per effetto dell’art. 6 del DPR 601/73 (aliquota ridotta del 50% a favore di enti ed istituti di assistenza e beneficenza senza finalità di lucro), il tutto per gli anni d’imposta 1994-95. Nel 2010 l’Ufficio territoriale competente comunicava il diniego avverso l’istanza di tale rimborso poiché riteneva non applicabili le agevolazioni in questione. La Fondazione impugnava il diniego eccependo – tra le altre questioni – il consolidamento del diritto al rimborso per mancata azione di rettifica e accertamento da parte del Fisco nei termini di decadenza e la spettanza delle agevolazioni in quanto l’ente aveva, in via esclusiva, finalità di interesse pubblico e utilità sociale. La Direzione provinciale competente resisteva adducendo l’inesistenza ab origine del credito per assenza del diritto a fruire delle agevolazioni applicate in dichiarazione, sia sotto il profilo formale che sostanziale, in quanto la fondazione aveva, quale attività principale, la gestione del pacchetto azionario di imprese bancarie, prettamente di natura commerciale (cfr. Cass. SS.UU. n. 1576/2009). Inoltre, lo spirare del termine decadenziale di controllo formale e sostanziale non si traduceva affatto nel consolidamento del credito perché semplicemente esposto in dichiarazione. L’unico termine è quello prescrizionale decennale, decorrente dalla data di presentazione della dichiarazione. La C.T. Prov. accoglieva il ricorso della fondazione soprattutto con riferimento a tale ultimo motivo, considerato assorbente rispetto a tutti gli altri, e ritenendo che il Fisco non poteva più opporre eccezioni di merito oltre il termine di decadenza della liquidazione e/o controllo sostanziale. Il fatto che il contribuente avesse presentato istanza di rimborso non poteva costituire un atto interruttivo della prescrizione e, quindi, far rivivere un diritto consolidato, rimettendo tutto in gioco. L’appello dell’ufficio – unitamente alle altre questioni – faceva leva sulla prevalente e recente giurisprudenza della Suprema Corte per cui, anche in assenza di controlli formali e sostanziali, non si ha alcun consolidamento del credito espo- / EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016 sto in dichiarazione (Cass. n. 17903/2013). Inoltre, insisteva sulla non spettanza dell’agevolazione di cui all’art. 6 del DPR 601/73. Nelle controdeduzioni, la fondazione richiamava la sentenza della Cassazione n. 9339/2012, per cui il diritto al rimborso esposto in dichiarazione si cristallizza nell’an e nel quantum negli stessi termini di decadenza stabiliti in capo al Fisco per procedere ai controlli formali e sostanziali, restando preclusa la possibilità di contestare i fatti che hanno originato la richiesta di rimborso. Norma agevolativa non applicabile per analogia A parte la questione sul termine prescrizionale, il nocciolo della questione atteneva alla spettanza o meno delle agevolazioni previste dal citato art. 6, ritenute centrali e dirimenti dai giudici d’appello per la risoluzione della controversia. Dalla lettura testuale della norma, la C.T. Reg. osserva che la fondazione “... non appare rientrare in nessuna delle categorie sopra indicate in quanto (...) ha tra i suoi scopi l’amministrazione della partecipazione nella società bancaria conferitaria”. Inoltre, trattandosi di norme agevolative, non è applicabile neanche per analogia. Oltre a quanto sopra, rileva che lo Statuto prevede che “almeno la metà degli utili siano destinati a rafforzamento delle partecipazioni della Fondazione, finalità evidentemente di natura commerciale”. Tale vincolo permetterebbe di assoggettare a tassazione di favore utili esclusivamente destinati ad attività commerciale pura, non sfuggendo – addirittura – a eccezioni di incostituzionalità. Chiarita – quindi – la non spettanza delle agevolazioni, la Regionale ha evidenziato che dalla mancata attivazione dei controlli formali e sostanziali da parte del Fisco nei termini di decadenza “non possano derivare conseguenze diverse da quelle espressamente previste (...) e di certo non possano derivare effetti costitutivi di un diritto precedentemente inesistente ancorché richiesto in sede di dichiarazione”. In altri termini, l’unica conseguenza del mancato controllo è l’impossibilità per il Fisco di correggere i dati esposti in dichiarazione e avanzare ulteriori pretese fiscali. Di conseguenza, la C.T. Reg. ha accolto l’appello dell’ufficio, compensando le spese per complessità della materia. / 08 ancora IMPRESA Non sempre il socio lavoratore escluso dalla coop perde il posto Il Tribunale di Roma sottolinea, tra l’altro, come sia possibile che lo statuto preservi il posto di lavoro nonostante il venir meno del rapporto associativo / Maurizio MEOLI Numerose e interessanti sono le indicazioni fornite dal Tribunale di Roma, nella sentenza n. 19208/2015, in tema di esclusione del socio da una società cooperativa. Si afferma, innanzitutto, come tale delibera determini anche l’automatica estinzione del rapporto di lavoro, senza che sia necessario uno specifico atto di licenziamento, trovando la posizione del socio lavoratore adeguata tutela nel disposto dell’art. 2533 c.c., che gli riconosce la facoltà di proporre opposizione al Tribunale contro la delibera degli amministratori o, se previsto dall’atto costitutivo, dell’assemblea (cfr. Cass. n. 2802/2015). Peraltro, attesa l’espressa riserva di una diversa previsione statutaria, ex art. 2533 comma 4 c.c., si ritiene che nulla impedisca alla cooperativa di prevedere nel proprio statuto la possibilità del mantenimento del rapporto di lavoro, nonostante l’avvenuto scioglimento del rapporto associativo. E, quindi, l’art. 5 comma 2 della L. 142/2001 – ai sensi del quale “il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli ... del codice civile” – deve intendersi non come norma imperativa e inderogabile, ma come previsione generale, da applicarsi in mancanza di differente previsione statutaria. È necessaria, poi, una specifica motivazione del provvedimento di esclusione per consentire al socio di proporre opposizione e al giudice di accertare la legittimità sostanziale della decisione. Pertanto, ove l’atto costitutivo dell’ente contenga formule generali ed elastiche, destinate ad essere riempite di volta in volta di contenuto in relazione a ciascun singolo caso, si dovrà valutare se la condotta contestata sia stata talmente grave da provocarne l’espulsione dalla compagine sociale, dovendo al riguardo il giudice operare una valutazione di proporzionalità tra le conseguenze del comportamento imputato al socio e la radicalità del provvedimento di espulsione (Cass. n. 17907/2004). L’ambito di valutazione del giudice è inversamente proporzionale all’analiticità dei fatti disegnati dallo statuto. E in tali giudizi il Tribunale deve verificare, oltre al rispetto della procedura statutaria o legislativa, l’effettiva sussistenza della causa fondante l’esclusione sulla base della contestazione mossa e dei dati conoscitivi esistenti al momento della deliberazione stessa. In particolare, l’apprezzamento della sussistenza dei motivi fondanti la delibera di esclusione non è rimesso alla discrezionalità degli organi dell’ente a ciò deputati, competendo al giudice di merito, in sede di / EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 11 GENNAIO 2016 impugnazione della delibera, riscontrare l’effettiva esistenza delle ragioni della sanzione, la loro riconducibilità a quelle previste dalla legge o dallo statuto e la congruità della motivazione addotta a sostegno della ritenuta gravità. Allora, nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di una società cooperativa incombe sulla società – che, seppure formalmente convenuta, ha sostanziale veste di attore – l’onere di provare i fatti indicati a supporto dell’atto impugnato (Cass. nn. 22097/2013 e 3342/2003); e la decisione del giudice deve basarsi esclusivamente su quei fatti, non potendo l’ente collettivo allegare fatti nuovi ed ulteriori rispetto a quelli oggetto contestazione e, di poi, posti a fondamento del provvedimento adottato (Cass. n. 3342/2003). A fronte di tutto ciò, il Tribunale di Roma osserva come non possa considerarsi di per sé invalida – per violazione della determinatezza di cui all’art. 1346 c.c. – una clausola statutaria che non contenga alcuna tipizzazione delle condotte sanzionabili ovvero che rechi formule generiche ed elastiche (come, nel caso di specie, la clausola che disponeva l’esclusione del socio che avesse arrecato, in qualunque modo, “gravi danni materiali” alla cooperativa o assunto iniziative o comportamenti pregiudizievoli per il “perseguimento dello scopo mutualistico” o dell’oggetto sociale). Ma rispetto ad esse è compito del giudice verificare i fatti contestati e valutare la gravità degli stessi nell’ottica del mantenimento del vincolo associativo (Cass. n. 17907/2004). Ed è da escludere che possano essere ricondotti, da un lato, ai “gravi danni materiali” di cui alla clausola statutaria del caso in questione, quelli correlati al distoglimento dei “gestori” dalle loro funzioni abituali per seguire la vicenda dell’esclusione, dall’altro, alla “violazione dello spirito mutualistico” della medesima clausola, la richiesta di tutela in giudizio contro l’esclusione, salvo che si dimostri che la tutela giudiziaria sia strumentale al perseguimento di finalità indebite, del tutto estranee alla legittima protezione dei propri interessi giuridici (Cass. n. 14741/2011). Si osserva, infine, come l’inadempimento che giustifichi l’esclusione del socio lavoratore presupponga anche una valutazione del tempo trascorso fra la mancanza addebitata e la reazione da parte della società recedente, dovendosi ritenere non conforme ai criteri legali, anche alla luce delle regole di buona fede e correttezza, l’esclusione disposta a notevole distanza di tempo dai fatti addebitati (Cass. n. 14741/2011). / 09 ancora PROFESSIONI Il Politecnico di Milano lancia un contest sullo studio più digitale Dall’Osservatorio dell’Ateneo lombardo un’altra iniziativa per sostenere e diffondere la cultura dell’innovazione tra i professionisti / REDAZIONE Dopo lo specifico questionario, per gli studi professionali di avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro, arriva la possibilità di partecipare anche ad un “contest” in materia di innovazione digitale. L’iniziativa parte, ancora una volta, dall’Osservatorio Professionisti & Innovazione digitale della School of Management del Politecnico di Milano che, oltre a cercare di capire quale sia lo stato dell’arte degli studi professionali italiani in termini di investimenti tecnologici, intende anche premiare le realtà che meglio hanno saputo rinnovarsi in questo specifico ambito. Al contest, infatti, potranno partecipare gli studi che hanno innovato i propri processi interni, attraverso l’implementazione di nuove tecnologie, in modo da ottenere maggiori livelli di efficienza e ridurre i costi e gli sprechi di tempo. Le strutture che hanno migliorato o introdotto nuovi servizi per la clientela attraverso lo sviluppo delle tecnologie informatiche o utilizzato la “digital innovation” per allargare i propri orizzonti e raggiungere nuovi mercati. Per prendere parte al concorso, bisognerà inviare la propria candidatura entro, e non oltre, il 20 gennaio 2016, compilando il form di iscrizione al seguente indirizzo: https://survey.opinio.net/s?s=13220. La valutazione delle differenti candidature (effettuata in due fasi, la prima attraverso l’esame delle risposte al form, la seconda tramite un confronto telefonico con i finalisti) è affidata ad una commissione di esperti, composta da docenti e ricercatori dell’Osservatorio, che giudicheranno secondo criteri predeterminati. Tra questi, originalità e complessità del progetto, rilevanza e misurabilità dei benefici derivanti dall’innovazione e approccio strategico (inteso come l’esistenza di un progetto articolato e definito nel tempo). Una volta conclusa la fase di valutazione, gli studi che si sa- ranno distinti per l’efficacia delle soluzioni adottate saranno invitati a partecipare al convegno finale dell’Osservatorio, in programma il prossimo 26 febbraio a Milano. In quella sede, dove verranno presentati anche i risultati del questionario lanciato a metà dicembre scorso (si veda “Dal Politecnico di Milano un sondaggio su professionisti e digitale” del 18 dicembre), i titolari degli studi vincitori del contest potranno raccontare la loro esperienza di innovazione e ricevere una targa premio. La scorsa edizione, su un totale di circa 70 partecipanti, l’Osservatorio decise di premiarne quattro, due dei quali (ex aequo) nella categoria “Dottori commercialisti ed esperti contabili”: lo Studio Emmi di Catania con il progetto “www.partitaiva.it” e lo Studio VBC – Verginer Business Consulting – di Bolzano, con il progetto “PaperLess”. Il primo è riuscito a sfruttare nuovi strumenti tecnologici (come portali, blog, testate on line e tool gratuiti messi a disposizione del pubblico) per allargare il proprio mercato, slegandosi da una clientela strettamente territoriale e rivolgendosi a tutto il tessuto economico nazionale, con particolare riferimento ai clienti del settore ICT (Information and Communication Technology) e start up innovative. Lo studio VBC di Bolzano, invece, pur mantenendo il portafoglio servizi tradizionale (contabilità e consulenza tributaria e commerciale), ha reso più efficiente i propri processi lavorativi con la digitalizzazione di tutta la documentazione e l’utilizzo di workflow (applicazioni di automatizzazione) per guidare le procedure di studio e monitorare le tempistiche di esecuzione. In più, grazie al processo di innovazione interna, è in grado di offrire strumenti di eCollaboration alla propria clientela, permettendo la collaborazione tra professionista e cliente sulle attività di contabilità. Direttore Responsabile: Michela DAMASCO EUTEKNE.INFO È UNA TESTATA REGISTRATA AL TRIBUNALE DI TORINO REG. N. 2/2010 DELL'8 FEBBRAIO 2010 Copyright 2016 © EUTEKNE SpA - Via San Pio V 27 - 10125 TORINO