I principi fondamentali del diritto penale
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4. È ammessa l’«analogia» in diritto penale? 
L’analogia è il procedimento attraverso cui vengono risolti i casi non previsti espressamente dalla legge estendendo ad essi la disciplina dettata
per i casi simili (analogia legis) o altrimenti desunta dai principi generali
del diritto (analogia iuris).
Infatti, l’analogia legis costituisce un fenomeno volto ad assegnare alla previsione normativa un significato più ampio rispetto a quello risultante dalla portata letterale della stessa, mentre l’analogia iuris garantisce lo stesso
risultato utilizzando i principi generali dell’ordinamento.
Nei sistemi penali fondati sul principio di legalità formale, come quello italiano, il meccanismo dell’analogia non può trovare applicazione per colmare le lacune di previsione normativa. L’art. 14 disp.prel. c.c., infatti, stabilisce che «le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre
leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati». Anche se solo implicitamente, questo divieto trova fondamento costituzionale nell’art. 25
Cost., in quanto è destinato ad eliminare qualsiasi rischio di arbitrio da parte sia del potere giudiziario sia dello stesso legislatore nell’interpretazione
ed applicazione delle norme penali incriminatrici.
La ratio sottesa al divieto di analogia in ambito penale è rappresentata proprio dall’esigenza di tassatività della fattispecie, dal momento che l’analogia è in contrasto con l’obbligo del giudice di punire solo i comportamenti tassativamente previsti dalla legge.
In dottrina e in giurisprudenza si discute in ordine al carattere assoluto o relativo del divieto di analogia: ci si chiede se riguardi anche le norme poste
a favore dell’imputato (analogia in bonam partem) ovvero se sia circoscritto
alle sole norme sfavorevoli (analogia in malam partem).
I sostenitori del carattere assoluto del divieto di analogia invocano la prioritaria esigenza di certezza e univocità del diritto penale, che in ogni caso
sarebbe compromessa mediante il ricorso al procedimento analogico.
L’orientamento maggioritario, invece, predilige l’opposta interpretazione secondo cui il divieto di analogia è relativo, limitato alla sola analogia in malam partem. Il divieto di analogia è concepito a tutela del favor
libertatis, compromesso solo dall’applicazione dell’analogia in malam partem. Del resto, per «leggi penali» di cui all’art. 14 disp.prel. c.c. bisogna
intendere esclusivamente le norme incriminatrici, quelle sulle quali cioè
si fonda la previsione di un reato o di una sanzione penale. Pertanto, l’unica forma di analogia ammissibile in diritto penale è quella in bonam
partem, nel rispetto dei limiti di corrispondenza dell’eadem ratio dell’incriminazione, del necessario grado di determinatezza della disposizione
oggetto di applicazione analogica e del divieto di analogia delle norme
eccezionali.
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Parte Prima
Domande collegate
4.1 È possibile l’applicazione analogica delle scriminanti? 
Molteplici sono le ragioni addotte contro o a favore della tesi sulla ammissibilità
dell’applicazione analogica delle scriminanti.
Invero, superato l’argomento fondato sull’assolutezza del divieto di analogia in
ambito penale, non è mancato chi ha comunque escluso l’ammissibilità dell’applicazione analogica delle scriminanti in considerazione del ritenuto carattere eccezionale delle
stesse.
In dottrina, si preferisce la tesi secondo cui il rapporto tra norma incriminatrice e scriminante non sia di regola-eccezione non solo per la mancanza della necessaria unità di
materia, ma anche perché le scriminanti, lungi dal derogare alle norme penali in
base a contrari principi regolatori, sono esse stesse espressione di principi generali.
Sennonché, la rispondenza a principi generali e l’esclusione del carattere eccezionale non bastano a fondare la loro indiscriminata applicazione analogica; non si
può trascurare, infatti, che nel settore delle cause di giustificazione alla prevalenza del favor libertatis corrisponde sempre il sacrificio del bene giuridico di un terzo.
L’analogia è, dunque, esclusa per le scriminanti che la stessa legge prevede nella loro massima portata, come nei casi di esercizio del diritto e adempimento del
dovere (art. 51 c.p.); allo stesso modo è preclusa rispetto alle norme che il legislatore ha costruito in maniera tassativa, per cui il superamento di uno degli elementi costitutivi della scriminante farebbe venir meno la eadem ratio della disciplina,
con inammissibile creazione di nuove scriminanti. Ciò accade, ad esempio, in tema
di uso legittimo delle armi, laddove il legislatore descrive una fattispecie «satura o
esclusiva»: la norma, cioè, dettando una disciplina per il caso descritto, ad esclusione di quelli simili, non risulta suscettibile di applicazione analogica.
Risultano, invece, concordemente estensibili analogicamente le scriminanti dello stato di necessità anticipata e della legittima difesa anticipata (artt. 54 e 52 c.p.).
In questi casi l’analogia si fonderebbe, pur in assenza della richiesta attualità del
pericolo, sull’eadem ratio: si è in presenza di una situazione assimilabile allo stato di necessità e alla legittima difesa contemplate dal legislatore allorchè, pur non essendo ancora in
atto il pericolo, si abbia tuttavia la certezza della non differibilità dell’intervento difensivo,
senz’altro vano se ritardato in attesa dell’insorgere del rischio. È il caso del sequestrato
che uccide il suo carceriere per fuggire, sapendo che presto verrà ucciso a causa
della mancata corresponsione del riscatto.
5. Come opera il «principio di irretroattività»? 
Il principio di irretroattività opera sul piano della validità della legge penale
nel tempo: la legge penale si applica solo ai fatti commessi dopo la sua entrata in vigore e non può essere perciò applicata a fatti ad essa anteriori.
L’art. 25 co. II Cost. dispone, infatti, che «nessuno può essere punito se non in
forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso», e l’art. 11
disp. prel. c.c. sancisce a sua volta la generale irretroattività della legge; in-
I principi fondamentali del diritto penale
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fine, l’art. 2 c.p. è volto ad enunciare i criteri di risoluzione dei vari problemi che il tema della successione delle leggi penali nel tempo è destinato a
creare.
La ratio sottesa al «principio di irretroattività» della legge penale è quella
di preservare la libertà individuale (favor libertatis) da possibili arbitrii dello stesso potere legislativo, configurabile laddove si susseguano diverse
maggioranze parlamentari tra un mandato e l’altro. Inoltre, il principio assolve anche ad una funzione di prevenzione generale in virtù della quale la
norma incriminatrice deve essere già in vigore al momento del fatto commesso, proprio per la necessità che l’efficacia dissuasiva dell’incriminazione si produca prima del compimento del fatto.
Pur essendo un principio generale per tutti gli atti normativi, esso assurge
al rango costituzionale solo in materia penale, dove il legislatore ordinario
giammai potrebbe prevedere, neppure indirettamente, la retroattività delle
sue disposizioni, ciò che invece può accadere in tutti gli altri settori dell’ordinamento. Per questi ultimi il principio è, infatti, posto solo dall’art. 11
disp.prel. c.c., e quindi da una fonte primaria che ben può essere derogata
da una fonte di pari rango.
In materia penale, la ratio del «principio di irretroattività» è tale da limitarne l’ambito applicativo solo alle nuove incriminazioni oppure, in caso di
successione di leggi penali incriminatrici, a quella più sfavorevole al reo.
L’art. 2 c.p., infatti, oltre a consacrare al I comma il principio di irretroattività delle norme penali incriminatrici, stabilisce al II comma il principio di retroattività della norma penale favorevole, salvo il limite del giudicato, con ciò intendendo l’irretroattività solo in termini relativi; il III comma (introdotto dalla l. 85/2006), derogando alla regola che individua nel
giudicato di condanna un limite alla retroattività della disposizione favorevole, dispone che se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria;
il IV comma, infine, contempla l’ipotesi di successione di leggi modificative prevedendo l’applicazione della legge più favorevole al reo.
Domande collegate
5.1 Cosa si intende per successione di leggi modificative? 
Il IV comma dell’art. 2 c.p. disciplina il fenomeno della successione di leggi modificative: talora l’introduzione di nuove norme penali non elimina fattispecie criminose preesistenti né ne individua delle nuove, ma disciplina diversamente fatti già
costituenti reato e destinati ancora ad esserlo. A tal riguardo, l’articolo in questione dispone che «se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza di condanna». La successione di leggi penali importa così una abroga-
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Parte Prima
tio sine abolitione, ovvero una modifica della disciplina di una fattispecie senza l’eliminazione tout court della norma preesistente.
Ne consegue una profonda distinzione tra modifica favorevole, come tale retroattiva, e modifica sfavorevole per cui opera il «principio di irretroattività». Questo binomio retroattività della legge favorevole – irretroattività della legge sfavorevole conferma il carattere relativo del «principio di irretroattività» anche in ambito di successione di leggi modificative (abrogatio sine abolitione), così che la retroattività della norma penale successiva più favorevole è ritenuta anch’essa un principio di rango costituzionale sia pure implicito nell’art. 25 Cost., proprio perché ispirato alla stessa ratio di garanzia della libertà individuale.
5.2 Cosa si intende per «disposizione più favorevole al reo»? 
La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere che la valutazione per stabilire quale di due o più disposizioni sia la più favorevole al reo va fatta in concreto,
mettendo a confronto i risultati che deriverebbero dall’applicazione di ciascuna delle
norme alla fattispecie concreta: più favorevole sarà la norma che, applicata al fatto
oggetto dell’esame del giudice, apparirà condurre a conseguenze meno gravose.
La determinazione del carattere più o meno favorevole di una norma nei confronti
di un’altra va operata in relazione sia al precetto che alla sanzione, secondo parametri
oggettivi, senza tener conto dell’interesse dell’imputato all’applicazione di una data
norma. Una volta individuata la legge più favorevole, essa dovrà essere applicata anche se successivamente sia stata nuovamente modificata in senso sfavorevole per
l’imputato; inoltre, dovrà essere applicata in toto, dal momento che non è possibile disciplinare certi aspetti con parte di una legge ed altri aspetti con parte dell’altra.
5.3 Quali sono gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità di una norma
penale? 
La l. 87/1953 risolve espressamente il problema della efficacia temporale della
norma dichiarata incostituzionale, confermando il principio sancito dall’art. 2 co.
II c.p., secondo cui l’abolitio criminis travolge anche il giudicato. L’art. 30 della l.
87/1953 dispone, infatti, che «le norme dichiarate incostituzionali non possono essere applicate dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione» (in conformità
con il dettato dell’art. 136 Cost.) e che «quando, in applicazione della norma dichiarata incostituzionale, è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano l’esecuzione e tutti gli effetti penali».
Ma anche con riguardo alle leggi dichiarate incostituzionali si è posto il problema
della loro applicabilità, qualora più favorevoli al reo, ai fatti commessi durante la
loro vigenza.
Da un lato vi sono i sostenitori dell’assoluta prevalenza del dato normativo ex art. 136 Cost.,
che ritengono che l’inefficacia retroattiva della legge incostituzionale produce come
conseguenza ineluttabile l’incapacità della stessa a regolare, persino in senso più
favorevole per il reo, i fatti compiuti nella sua vigenza.
In senso radicalmente contrario, altra parte della dottrina valorizza il principio garantistico propugnato dall’art. 25 co. II Cost., sacrificando in favore della libertà personale del reo l’inefficacia retroattiva sancita per le leggi dichiarate incostituzionali.
I principi fondamentali del diritto penale
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La soluzione attualmente prevalente in dottrina e in giurisprudenza, anche costituzionale, è decisamente orientata verso la netta preferenza del bene giuridico tutelato
dagli artt. 13 e 25 co. II Cost. rispetto al disposto normativo dell’art. 136 Cost.; ne deriva,
quindi, che la legge successiva meno favorevole rispetto a quella dichiarata incostituzionale non potrà essere applicata a fatti commessi durante la vigenza di
quest’ultima, poiché rispetto ad essi non può aver svolto alcuna funzione di orientamento e di limite alle scelte di comportamento dell’agente.
5.4 Qual è la differenza tra abolitio criminis e abrogatio sine abolitione? 
Il fenomeno della successione di leggi penali riguarda i casi in cui una norma successiva interviene a disciplinare un fatto commesso sotto la vigenza di una norma
precedente.
L’art. 2 c.p. prevede tre diverse ipotesi di successione di norme penali:
— la nuova incriminazione, cui si applica il «principio di irretroattività» della legge sfavorevole (I comma);
— l’abolizione di incriminazione (abolitio criminis), cui si applica il «principio di
retroattività» della legge più favorevole anche se sul fatto si è formato il giudicato (II comma);
— la successione di leggi modificative (abrogatio sine abolitione), che rileva nel
caso in cui la legge si limita a stabilire un trattamento diverso.
Si impone a tal riguardo la necessità di distinguere i casi in cui si verifica un’ipotesi di abolitio criminis dai casi in cui ha luogo un’abrogatio sine abolitione, al fine di
individuare i criteri discretivi idonei a delimitare i rispettivi ambiti applicativi, soprattutto in relazione al fatto che mentre nel primo caso «se vi è stata condanna ne
cessano gli effetti», nel secondo caso il giudicato non viene travolto.
La dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato il criterio della continenza, in virtù
del quale occorre verificare se la nuova norma riguardi fatti che in sua assenza sarebbero stati comunque riconducibili alla norma secondo la sua formulazione originaria. Qualora ciò non accada, ossia qualora manchi la coincidenza degli ambiti applicativi delle due formulazioni, per i fatti contenuti nella nuova formulazione si ha successione di leggi modificative, mentre per i fatti non contenuti nella
riformulazione si ha abolitio criminis.
Sezione seconda
Test a risposta multipla
1. Il divieto dell’interpretazione analogica sancito dall’art. 14 disp. prel. riguarda:
❑❑ A) tutte le leggi penali;
❑❑ B) soltanto le norme che escludono l’antigiuridicità del fatto o l’imputabilità
di chi lo ha commesso;
❑❑ C) soltanto le leggi speciali;
❑❑ D) soltanto le norme incriminatrici.
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Parte Prima
2. Che cosa s’intende per reato in senso formale?
❑❑ A) un reato in cui la condotta del reo non produce alcun evento lesivo;
❑❑ B) un fatto umano espressamente previsto e punito dalla leg­ge come reato;
❑❑ C) un fatto che, indipendentemente dalla previsione legisla­tiva, pone in pericolo l’esistenza e la conservazione della società;
❑❑ D) un reato in cui l’elemento formale prevale su quello sostanziale.
3. La legge regionale può essere fonte del diritto penale?
❑❑ A) sì, perché la Costituzione riconosce alle Regioni potestà legislativa;
❑❑ B) sì, nei casi previsti dallo Statuto regionale;
❑❑ C) no, perché la potestà legislativa in materia penale spetta esclusivamente allo Stato;
❑❑ D) no, perché le Regioni non hanno il potere di emanare leggi.
4. Possono costituire fonte del diritto penale le norme comunitarie?
❑❑ A) no, perché gli organi della Comunità europea non hanno potestà normativa in materia penale, salvo il richiamo alle norme penali interne per tutelare interessi di rango comunitario;
❑❑ B) sì, in forza del primato della normativa comunitaria sul diritto interno, sancito ad opera della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea ed accolto dalla Corte costituzionale;
❑❑ C) sì, ma solo per determinate categorie di reati;
❑❑ D) sì, essendo stata riconosciuta l’efficacia diretta delle norme comunitarie
(regolamenti, direttive «self-executing») negli ordinamenti dei singoli Stati appartenenti alla Comunità.
5. Può il giudice nel processo penale ricorrere alla consuetudine?
❑❑
❑❑
❑❑
❑❑
A)
B)
C)
D)
no mai;
sì, se si tratta di consuetudine «praeter legem»;
sì, se si tratta di consuetudine interpretativa o «secundum legem»;
sì, sempre.
6. L’art. 646 cod. pen. (appropriazione indebita) punisce chi si appropria del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia, per qualunque motivo, il possesso.
Può essere affermata, a questo titolo, la responsabilità penale di chi non
ha alcuna relazione materiale con la cosa di cui si appropria, ma ha sulla
stessa il potere di disporne autonomamente?
❑❑
❑❑
❑❑
❑❑
A)
B)
C)
D)
sì;
no, perché verrebbe violato il divieto di analogia della norma penale;
no, perché si realizzerebbe il reato di furto;
no, configurandosi in tal caso il peculato.
7. Nel 1996 il direttore amministrativo di un ospedale, al fine di procurare un
ingiusto vantaggio al venditore, provvede all’acquisto di un macchinario
medico molto costoso senza che ci sia stata richiesta da parte dei medici
dell’ospedale. Risponde del reato di abuso d’ufficio punito dall’art. 323 c.p.?
❑❑ A) no, perché dopo la riforma del 1997 il fatto non costituisce più reato;
I principi fondamentali del diritto penale
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❑❑ B) no, perché l’art. 323 è stato abrogato;
❑❑ C) sì, e si applica la disciplina del nuovo art. 323;
❑❑ D) sì, e si applica la disciplina del precedente art. 323.
8. Può applicarsi all’agente una legge che prevede come reato il fatto da lui
commesso e che sia entrata in vigore dopo la commissione del fatto?
❑❑ A) sì, se si tratta di delitto;
❑❑ B) sì, a condizione che il responsabile conoscesse la prossima emanazione
della legge;
❑❑ C) no, in nessun caso;
❑❑ D) sì, se si tratta di contravvenzione.
9. La legge 15 febbraio 1996, n. 66, che ha riformato i reati in materia di violenza sessuale, ha introdotto l’art. 609bis il quale prevede pene più severe per
la violenza sessuale ma anche un’attenuante per i casi di minore gravità.
Questa disciplina si applica ai fatti commessi anteriormente alla sua entrata
in vigore?
❑❑
❑❑
❑❑
❑❑
A)
B)
C)
D)
no, perché vige il principio di irretroattività;
no, per la particolare materia di cui trattasi;
sì, perché le nuove disposizioni modificative sono sempre retroattive;
sì, se nel caso concreto è riscontrabile l’attenuante della minore gravità.
10. Tizio, avendo commesso un furto, viene condannato ad una pena detentiva.
Divenuta esecutiva la sentenza, la pena viene applicata e Tizio va in prigione. Successivamente viene emanata una nuova legge che trasforma il furto
da delitto perseguibile d’ufficio in delitto perseguibile a querela di parte.
Non essendo stata presentata querela nei confronti di Tizio possono cessare l’esecuzione e gli altri effetti penali della condanna?
❑❑
❑❑
❑❑
❑❑
A)
B)
C)
D)
sì, in applicazione del principio della retroattività della legge più favorevole;
no;
sì, ma solo previa sentenza del primo giudice;
sì, trattandosi di un’ipotesi eccezionale espressamente disciplinata dalla
legge.
11. Al fatto previsto come reato da una legge eccezionale si applica questa legge, anche se non più in vigore al momento della condanna?
❑❑
❑❑
❑❑
❑❑
A)
B)
C)
D)
sì, a condizione che sia prevista la pena dell’arresto;
sì, in ogni caso;
no, in nessun caso;
sì, a condizione che sia prevista la pena della reclusione.
12. In quali casi le norme penali contenute in un decreto legge non convertito
possono trovare applicazione relativamente ai fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore?
❑❑
❑❑
❑❑
❑❑
A)
B)
C)
D)
sempre;
soltanto nel caso in cui il decreto contenga norme penali più favorevoli;
soltanto nel caso in cui il decreto contenga norme sfavorevoli;
mai.
20
Parte Prima
13. La signorina Lucrezia, spinta da rivalità professionali verso una collega di
ufficio, le somministra quotidianamente piccole dosi di arsenico che, progressivamente ed in capo ad alcune settimane, ne provocano la morte.
In quale momento si considera commesso il reato?
❑❑
❑❑
❑❑
❑❑
A)
B)
C)
D)
nel momento in cui Lucrezia somministra l’ultima dose di veleno;
nel momento in cui Lucrezia somministra la prima dose di veleno;
nel momento della morte della sventurata collega;
nel primo o nell’ultimo momento a seconda del risultato più favorevole per
il reo.
14. Quando il reato si considera commesso nel territorio dello Stato?
❑❑ A) quando l’azione o l’omissione che lo costituisce è avvenuta in tutto o in
parte nel territorio dello Stato ovvero ivi si è verificato l’evento che ne è
la conseguenza;
❑❑ B) quando l’azione o l’omissione che lo costituisce sono state commesse da
un cittadino;
❑❑ C) solo quando l’azione o l’omissione che lo costituisce si sono interamente verificate nel territorio dello Stato;
❑❑ D) quando l’azione o l’omissione che lo costituisce sono state commesse nel
territorio delle ex colonie.
15. Il reato commesso su una nave italiana si considera commesso nel territorio dello Stato italiano:
❑❑
❑❑
❑❑
❑❑
A)
B)
C)
D)
solo se si tratta di nave da guerra;
solo se la nave si trova in acque territoriali italiane;
solo se la nave si trova in un porto italiano;
ovunque la nave si trovi, salvo che sia soggetta, secondo il diritto internazionale, a una legge territoriale straniera.
Soluzioni:
1. D
6. A
11. B
2. B
7. C
12. D
3. C
8. C
13. A
4. A
9. D
14. A
5. C
10. B
15. D
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4. È ammessa l`«analogia» in diritto penale?