Le informative antimafia
Alessandra Bonafede
Funzionario Area legale dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili (A.N.C.E.) di Catania
Grazia Tomarchio
Avvocato del Foro di Catania, Dottore di ricerca (Giurisprudenza Catania)
Sommario: 1. Nozione, finalità e assetto normativo - 1.2. Informativa tipica e atipica 1.3. Elementi del “tentativo di infiltrazione mafiosa” - 1.4. Infiltrazione mafiosa e principio di
tipicità della sanzione - 1.5. Potere discrezionale del Prefetto - 2. Il risarcimento del danno 2.2. Sull’an debeatur - 2.3. Sul quantum debeatur - 2.4. La questione di giurisdizione in mate ria risarcitoria - 2.5. Il rinvio alla Corte Costituzionale: segnali di apertura del diritto positivo
1. Nozione, finalità e assetto normativo
Il sistema delle informative antimafia è stato introdotto nel nostro ordinamento, dalla
legge delega n. 47/1994, la quale al fine di riordinare la materia (legge n. 575/1965) ha previsto l’acquisizione - tramite le Prefetture - di informazioni particolari volte all’accertamento dei
tentativi di infiltrazione mafiosa negli organismi societari. La legge delega è stata attuata con
il D.lgs n. 490/1994, il quale nell’art. 4, ha introdotto il sistema dell’informativa oggi disciplinato anche dall’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998 (“Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia”).
La finalità dell’informativa antimafia, più volte enunciata dalla magistratura, è da rinvenire nella “massima anticipazione di tutela preventiva intesa come risposta dello Stato verso
il crimine organizzato al fine di difendere le istituzioni e, conseguentemente, la collettività
da organizzazioni criminali come la mafia che si caratterizzano per il peculiare “mimetismo”
che consente loro di agire per lo più, non militarmente contro le istituzioni democratiche, ma
sforzandosi di condizionarne l’operato, piegandolo ai propri interessi ed aumentando così
per tale tramite la propria capacità eversiva e di controllo criminale del territorio” (da ultimo,
T.A.R. Catania, sez. IV, 22.05.2009 n. 941 e, sez. I, 16.01.2009 n. 88).
L’informativa antimafia è, quindi, finalizzata all’accertamento dell’eventuale esistenza
di un divieto a contrarre con le pubbliche amministrazioni ed è imperniata sui poteri attribuiti ai Prefetti in ordine alla ricerca ed alla valutazione degli elementi da cui poter evincere
connivenze e collegamenti di tipo mafioso dell’impresa. Ne deriva che la suddetta informazione prescinde dall’accertamento, in sede penale, di uno o più reati connessi all’associazione di tipo mafioso e non richiede la prova dei fatti di reato o dell’effettiva infiltrazione del1
l’impresa, essendo sufficiente il tentativo di infiltrazione avente lo scopo di condizionare le
scelte dell’impresa, anche se tale scopo non si è concretamente realizzato.
Il predetto regolamento n. 252/1998, prevede che le Pubbliche Amministrazioni debbano acquisire le suddette informazioni, tra i vari casi previsti, prima di stipulare i contratti
di appalto pubblico di valore superiore alla c.d. “soglia comunitaria” (oggi pari ad euro
5.150.000 per i lavori pubblici, e pari ad euro 206.000 per i servizi e forniture pubblici) e
prima di autorizzare i contratti di subappalto di lavori pubblici o di prestazione di servizi o
forniture pubbliche superiori a euro 154.937,06 (ex 300 milioni di vecchie lire).
Ove dalle informazioni acquisite emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione
mafiosa nelle società o imprese interessate, le amministrazioni non possono stipulare,
approvare o autorizzare i contratti o subcontratti citati, né autorizzare, rilasciare o comunque assentire concessioni e concedere erogazioni di denaro pubblico.
1.2. Informativa tipica e atipica
Alla stregua della normativa e della giurisprudenza di riferimento (ex plurimis Cons. di
Stato, sez. VI, 3.05.2007 n. 1948 e, sez. IV, 15.11.2004 n. 7362), si possono delineare tre
categorie di informative:
- la prima comprende informazioni che sono di per sé interdittive e sono indicate nelle
lett. a) e b) del comma 7 art. 10 ed ha natura meramente ricognitiva di provvedimenti giudiziari di applicazioni di misure cautelari o di sottoposizione a giudizio o di adozione di sentenze di condanna per alcuni reati (esempio reato di estorsione, riciclaggio, etc.) o di applicazione di misure interdittive. La natura ricognitiva di tale informativa prefettizia si evince
con estrema chiarezza dalla presenza di provvedimenti latu sensu giudiziari, dei quali il
Prefetto si limita a dare notizia alla stazione appaltante richiedente;
- la seconda categoria di informative prefettizie è contemplata dalla lett. c) del
medesimo comma 7 art. 10, e si fonda su accertamenti autonomi del Prefetto, sulla base
di attività di indagine effettuata dagli organi inquirenti, al fine di evincere l’esistenza di elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle imprese;
- la terza è denominata “informativa supplementare o atipica” trova fondamento normativo nell’art. 10 comma 9, e si caratterizza per il fatto che gli indizi acquisiti non così gravi,
precisi e concordanti da far maturare il convincimento circa la reale sussistenza del “pericolo di infiltrazione mafiosa”, quindi la loro valutazione viene rimessa all’amministrazione
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richiedente per l’eventuale adozione di provvedimenti ostativi o risolutori al sorgere o alla
prosecuzione di rapporti con l’impresa sospetta 1.
In sostanza, in presenza di un fatto che denota un tentativo di infiltrazione mafiosa,
l’informativa prefettizia appartenente alla prima e seconda categoria è “tipica” e assume
carattere interdittivo, nel senso che la comunicazione prefettizia determina automaticamente l’esclusione dell’impresa dalla gara o la revoca del contratto stipulato.
Diversa, invece, l’ipotesi di cui alla terza categoria c.d. “atipica o supplementare”, ove la
Prefettura, dalle informazioni assunte, evince un rischio o pericolo di tentativo di infiltrazione
mafiosa. In quest’ultimo caso, non essendoci elementi tali da giustificare un provvedimento
interdittivo, la Prefettura trasferisce alla stazione appaltante il compito di valutare discrezionalmente le sorti del rapporto con l’impresa, pur nella difficoltà di assumere una decisione non
supportata da alcun indizio certo. L’ente appaltante potrà far derivare un giudizio di pericolosità e di conseguenza produrre un provvedimento risolutivo oppure indugiare.
Invero, quest’ultima tipologia è fondata, in materia di lotta antimafia, su fatti e vicende
aventi valore sintomatico ed indiziario che prescindono da valutazioni di carattere strettamente
penalistico e, dunque, dalla sussistenza di un provvedimento, anche cautelare interdittivo 2.
Pertanto, le informazioni atipiche sono atti non vincolanti che lasciano spazio alla
discrezionalità dell’amministrazione aggiudicatrice, che può valutare l’incidenza delle informative nella specifica procedura (Cons. di Stato, sez. VI, 3.05.2007 n. 1948 già richiamata
e, sez. IV, 1.03.2001 n. 1148, T.A.R. Sicilia Palermo 9.09.2009 n. 1479), in questi casi gli
indizi non assumono caratteri di gravità, precisione e concordanza tali da giustificare un
effetto interdittivo automatico.
1.3. Elementi del “tentativo di infiltrazione mafiosa”
Il quadro appena illustrato sembra imporre alcune considerazioni per una ricostruzione sistematica dell’istituto delle informazioni antimafia.
1 Questa categoria di informativa è caratterizzata, quindi, da elementi che sono valutabili discrezionalmente
dalla P.A. in ossequio alle esigenze di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa.
Quest’ultima tipologia è fondata su fatti e vicende che hanno valore sintomatico ed indiziario e che prescindono da valutazioni di carattere penalistico (in tal senso, T.A.R. Campania Salerno, 7.05.2004 n. 375).
2 Proprio con riferimento a queste informative, la giurisprudenza ha manifestato la necessità di chiarire che
la Prefettura deve assumere una posizione di imparzialità in conformità a quanto previsto dall’art. 97 Cost.,
posizione che pur non rivestendo quel carattere di terzietà proprio del potere giurisdizionale, deve cionostante imporre una valutazione complessiva di tutti gli elementi acquisiti nel corso dell’istruttoria (T.A.R. Veneto,
Venezia, 7.03.2008 n. 567). La Prefettura è titolare di un potere discrezionale, che comporta una valutazione
di interessi contrapposti: da un lato quello della libertà di impresa e dall’altro la tutela dell’uso delle risorse
pubbliche (T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 28.02.2007 n. 197). Questo potere deve essere usato con le
necessarie cautele (Cons. di Stato Sez. V 27.06.2006 n. 4135; Sez. IV 4.05.2004 n. 2783).
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Segnatamente, bisognerebbe individuare gli elementi per l’esistenza del “tentativo di
infiltrazione mafiosa” e quindi cosa s’intende per “infiltrazione mafiosa”. Senz’altro è da
escludersi che questa assurga a rango di reato, anche se talvolta ciò traspare erroneamente nell’opinione pubblica, altrimenti interverrebbe il giudice penale e non l’Autorità amministrativa (Prefetto) 3.
In particolare, il Giudice amministrativo, in molte pronunce, è intervenuto evidenziando che “L’informativa antimafia tipica (n.d.r.: intendendosi per tipica quella prevista dalla
legge, al di là della differenziazione tra la categoria di decreto prefettizio tipico e atipico
come prima riferito) non deve provare l’intervenuta infiltrazione, essendo questa un quid
pluris non richiesto, ma deve solo sufficientemente dimostrare la sussistenza di elementi
dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza (alla stregua del principio nella specie è stato
ritenuto che costituivano sufficienti indizi delle infiltrazioni le frequentazioni tra un socio della
società ed esponenti di primo piano di un clan camorristico e le rilevata - e non meglio giu stificata - presenza, all’interno della cava di cui disponeva la società di un pluripregiudicato
per mafia, omicidio volontario, porto e detenzione d’armi ecc.; con la conseguenza che il
reputato pericolo di infiltrazione mafiosa appariva sorretto da elementi non privi di consi stenza” (Cons. di Stato Sez. IV 8.06.2009 n. 3491) 4.
La fonte da cui possono essere tratte indicazioni è l’art. 4 del d.lgs. n. 490/1994
comma 4, e l’art. 10 comma 7 D.P.R. n. 252/1998 ovverosia - oltre alle cause di divieto e
sospensione dei procedimenti di cui alla legge n. 575/1965 - da quei fatti oggettivi o comportamenti che condizionano le scelte e gli indirizzi imprenditoriali, come legami di parentela degli organi societari con boss criminali, intestazioni fittizie di beni o quote societari.
Il tentativo, quindi, può corrispondere ad una forma di penetrazione criminale che non
presuppone necessariamente che i soggetti che rivestono cariche sociali di vertice o direttive abbiano pregiudizi penali o di prevenzione con connotazione mafiosa quindi soggetti
3 Negli ultimi anni l’esegesi giurisprudenziale si è inasprita. Mentre in un primo momento il Giudice amministrativo guardava con molta cautela all’emanazione di informative atipiche, nell’ultimo periodo il ricorso
all’informativa ha assunto la forma di vero e proprio strumento di tutela preventiva nella lotta della criminalità
organizzata di stampo mafioso.
4 In senso contrario, per esempio, T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 3.05.2006 n. 1391 che ha addirittura ritenuto che: “Non può ritenersi sufficiente il semplice sospetto o mere congetture prive di riscontro fattuale, essendo pur sempre richiesta l’indicazione di circostanze obiettivamente sintomatiche di connessioni o collegamenti
con le predette associazioni. Nel caso di rapporto di parentela o di coniugio di amministratori o soci di un’impresa con elementi malavitosi siffatto riscontro (...) può ravvisarsi sussistente solo quando l’informativa prefettizia
negativa si basi non già su di un rapporto di parentela in sé... ma anche su altri elementi sia pure indiziari (...)”.
E anche, T.A.R. Campania, Napoli, 15.03.2007 n. 2205: “In materia di informative antimafia, i fatti contestati ad
un soggetto partecipante alla gara di appalto, benché penalmente rilevanti, non hanno rilievo ai fini dell’accertamento del pericolo di infiltrazione mafiosa nell’impresa stessa, se non disgelano, secondo un giudizio prognostico ragionevole, concrete connessioni o collegamenti con le associazioni delinquenziali organizzate”.
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con il diretto controllo della compagine societaria, ma è sufficiente che nei confronti di una
società vengano attuate ab externo pressioni influenti, tali da determinare un effettivo condizionamento (Cons. di Stato Sez. VI 25.09.2008 n. 5780 e, Sez. IV 7.06.2001 n. 3058).
Questo spiega il fatto che attraverso la previsione del “tentativo” di infiltrazione, l’ordinamento intende prevenire il pericolo che l’impresa possa diventare “strumentale” rispetto
ad interessi di consorterie criminali, le quali vorrebbero raggiungere gli scopi illeciti entrando nell’orbita di influenza dell’imprese.
Anche se la figura sintomatica di tentativo di infiltrazione mafiosa per eccellenza è quella rappresentata dalla presenza di un socio occulto o socio di fatto, nell’esperienza giurisprudenziale, tuttavia, non sono mancate esemplificazioni concrete che ravvisano la sussistenza del tentativo di infiltrazione anche in altre ipotesi e perfino nel caso in cui l’impresa sia
stata vittima dei delitti da parte di un’organizzazione criminale, ad esempio subendone la
pressione estorsiva fino al punto di essere costretta a conformarsi ai voleri del clan. In queste ipotesi il Consiglio di Stato ha elaborato la figura sintomatica della “contiguità soggiacente”, che sebbene distinguibile da quella più grave consistente nella volontaria sottomissione
indicata come “contiguità compiacente” (Sez. VI 30.12.2005 n. 7619) può concludersi con il
rilascio di un’informazione interdittiva tipica, come nella fattispecie oggetto della pronuncia
ove l’impresa aveva tratto vantaggi economici dal tentativo di ingerenza criminale 5.
1.4. Infiltrazione mafiosa e principio di tipicità della sanzione
In questo contesto appare chiaro che i contorni del fenomeno del “tentativo di infiltrazione mafiosa” sia privo di una perimetrazione definitoria, il che costituisce il punto di debolezza di questo strumento.
Si consideri, altresì, che il nostro ordinamento si fonda sull’esigenza di ancorare la
normativa sanzionatoria al principio di tipicità.
In altre parole, non è possibile che la fattispecie sanzionatoria (nel nostro caso “interdittiva”) non sia facilmente individuabile nella sua portata precettiva. Infatti, a prescindere
dalla difficoltà di individuare con esattezza in che cosa consiste l’infiltrazione mafiosa, nel
caso dell’informativa antimafia ci troviamo di fronte ad un livello di tutela anticipata, poiché
si fa riferimento ad “elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa”.
5 Di recente, con la sentenza n. 793 del 28.04.2009, il T.A.R. Sicilia, Catania, esaminando la fattispecie posta
al suo vaglio, ha rilevato proprio come l’impresa interessata fosse stata più volte, nel corso degli anni, soggetta a indagini per contiguità mafiosa, poi rivelatasi sempre insussistente e come questa circostanza, però,
sia stata sempre svantaggiosa per l’attività imprenditoriale e per uno dei titolari dell’impresa che ha subito vari
procedimenti. Di tale sentenza si discuterà oltre.
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1.5. Potere discrezionale del Prefetto
Ciò considerato, se da un lato i contorni del “tentativo” non sono ben definiti giuridicamente e dall’altro nel nostro ordinamento vige il principio della tipicità delle sanzioni, appare alquanto delicato il compito del Prefetto, al quale è attribuita un’ampia discrezionalità in
ordine alla ricerca e alla valutazione degli elementi da cui poter evincere eventuali connivenze e collegamenti di tipo mafioso.
Ed è proprio in ragione dei poteri ad esso attribuito che, secondo l’univoco orientamento giurisprudenziale, è necessario che lo strumento dell’informativa sia utilizzato oltre
che con estremo rigore anche con estrema attenzione e cautela perché il suo meccanismo
opera incidendo nel delicato equilibrio che sussiste tra presunzione d’innocenza di cui
all’art. 27 Costituzione e di libertà d’impresa da un lato, ed esigenze di politica repressiva e
preventiva dall’altro.
In tal senso, l’elemento strutturale che condiziona l’efficacia e l’efficienza dell’esercizio del potere è la motivazione dell’atto (T.A.R. Sicilia Catania 16.01.2009 n. 88 e n.
941/2009 già richiamata), poiché da essa dipende la possibilità per l’amministrazione committente, nonostante l’informazione ad esempio “atipica” rilasciata dalla Prefettura, di decidere di instaurare o proseguire il rapporto con l’impresa.
Ancor di più, qualora l’amministrazione eccezionalmente intende proseguire il rapporto
contrattuale già instaurato pur in presenza di un’informazione “tipica” con carattere inibitorio,
la motivazione deve essere ampia e dettagliata (T.A.R. Campania Napoli 24.09.2009 n. 5058).
Pur essendo ampia la discrezionalità attribuita al Prefetto, il relativo giudizio che ne
discende deve partire dalla specificità degli eventi accertati valutando se gli stessi compromettono il bene protetto dalla norma (l’ordine pubblico) sino a giungere di dimostrare il nesso tra
i fatti sintomatici e l’esistenza (o il rischio nel caso di “atipica”) del temuto condizionamento.
Pertanto, anche se non occorre né la prova del reato, né tanto meno la prova dell’effettiva infiltrazione mafiosa dell’impresa, non possono ritenersi sufficienti fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, essendo pur sempre richiesta l’indicazione di circostanze obiettivamente sintomatiche di connessioni o collegamenti con la criminalità organizzata (Cons. Stato Sez. VI 17.07.2006 n. 4574, T.A.R.
Campania Napoli n. 5058/2009 già richiamata), quindi il parametro valutativo è quello della
“qualificata probabilità” (Cons. di Stato n. 5780/2008 già richiamata) che delinea il tentativo
come elemento sufficiente per un’informativa antimafia di natura interdittiva.
Il giudizio espresso con l’informativa antimafia dal Prefetto nell’ambito della sua ampia
discrezionalità, è assoggettabile al sindacato giurisdizionale sotto i profili della sua logicità
e dell’accertamento dei fatti rilevanti (Cons. di Stato Sez. VI 2.05.2007 n. 1916).
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Invero, dall’esame delle pronunce giurisdizionali in merito rileviamo che i giudici amministrativi hanno sempre stigmatizzato l’illogicità e l’arbitrarietà dell’apprezzamento oggetto
della nota prefettizia.
In particolare, la giurisprudenza amministrativa ha precisato che deve essere intelligibile in base a quale iter logico/motivazionale si è dato rilievo negativo alle condotte accertate o descritte nei provvedimenti giudiziari (Cons. di Stato n. 5780/2008, citata); altrimenti
argomentando, sarebbe sufficiente che un soggetto venga colpito da un provvedimento
restrittivo, anche successivamente annullato, perché una Amministrazione, richiamandosi
al dato storico rappresentato dal primo provvedimento, e non valutando complessivamente lo sviluppo processuale penale, ometta di dare contezza della valutazione di incidenza
delle condotte con riferimento alla natura speciale e preventiva delle disposizioni in materia (cfr. le già menzionate Cons. di Stato n. 5780/2008 e 491/2008 citate; nonché Cons. di
Stato Sez. VI 3.09.2009 n. 5194; Sez. V 26.11.2008 n. 5846; Sez. VI 9.09.2008 n. 4306 e
Sez. V 31.05.2007 n. 2828).
2. Il risarcimento del danno
Le questioni attinenti i profili di rilievo in tema di informativa antimafia potrebbero
essere molte.
In particolare, oltre all’interpretazione delle categorie di decreti prefettizi, l’interprete si
confronta ogni giorno con problematiche di carattere procedimentale e processuale e con
le numerose istanze provenienti da imprese che vengono colpite da questo strumento in
alcune ipotesi anche ingiustificatamente.
Emerge, in particolare, proprio in considerazione del suo carattere di strumento di tutela preventiva rimesso ad un’Amministrazione di controllo del territorio com’è la Prefettura, la
difficoltà per i cittadini di conoscere i fatti a base dell’emanata informativa negativa.
Il problema è stato sollevato a proposito di istituti come il diritto di accesso agli atti
(tra le tante, C.G.A. per la Regione Siciliana 11.05.2009 n. 406 6) oppure in sede di inter-
6 Il Giudice ha riconosciuto la possibilità di richiedere l’accesso alle informazioni poste a base dell’informativa. In particolare ha negato che si tratti di informazioni sempre e comunque riservate. Ciò anche considerato
che, per essere ritenute informazioni sottratte alla conoscibilità dei consociati dovrebbero essere inserite tra
gli atti tout court integralmente inaccessibili, per motivi di ordine e sicurezza pubblica o di prevenzione e
repressione della criminalità: “Stante che ciò, invece, normativamente non è avvenuto, resta salva la sola possibilità di non ostendere taluno, o anche molti, dei relativi elementi costitutivi, ma non tutti; o, quantomeno,
non per il solo fatto di essere contenuti nel documento c.d. di informativa antimafia”
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pretazione delle norme in tema di partecipazione al procedimento amministrativo (Cons.
di Stato Sez. VI 26.10.2005 n. 5981 7).
Ma la questione che maggiormente è sotto i riflettori della giurisprudenza in questo
momento è il riconoscimento del risarcimento del danno conseguente o all’annullamento da
parte del T.A.R. del decreto prefettizio, oppure dell’annullamento da parte della Prefettura
in via amministrativa (emanazione dell’informativa positiva e conseguente revoca del precedente provvedimento negativo adottato).
Come detto, la giurisprudenza ha imposto alle Amministrazioni di usare particolare
cautela nel rendere informative negative.
In particolare, si è soffermata sulla necessità che la Prefettura analizzi i fatti posti a fondamento del provvedimento emanato e, specie nel caso di informativa atipica, che esprima
una valutazione coerente con riferimento alla sussistenza di una rilevata contiguità mafiosa.
E però, deve tenersi in considerazione che al Giudice amministrativo poche volte è
concesso di conoscere nel dettaglio i fatti da cui origina l’emanazione di un decreto prefettizio negativo (ciò è avvenuto, per esempio, in Cons. di Stato Sez. VI 17.07.2006 n. 4574,
ove il G.A. ha potuto valutare in concreto l’attività di indagine posta in essere dall’Ufficio
Territoriale del Governo), sicché anche la valutazione in merito all’ingiustizia patita subisce
una forte limitazione.
Negli ultimi anni, quindi, proprio al fine di tutelare i consociati (e, nella specie, le imprese) dal travalicamento in uno stato di polizia e per salvaguardare i principi di legalità e lealtà
del diritto, la giurisprudenza ha ritenuto che: “non possono ritenersi sufficienti fattispecie
fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, occorrendo
altresì l’individuazione di idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e
rivelatori di concrete connessioni o collegamenti con le predette associazioni” (T.A.R.
Sicilia, Palermo, 13.01.2006 n. 38).
E’ ormai necessario tratteggiare l’an e il quantum del risarcimento del danno.
2.2. Sull’an debeatur
Innanzi tutto bisogna distinguere tra informativa tipica e atipica.
La giurisprudenza ha, infatti, da ultimo negato il risarcimento del danno subito da
un’impresa che lamentava l’inesistenza dei provvedimenti giudiziali ascritti (il rappresentante legale non era mai stato rinviato a giudizio) poiché al momento dell’emissione dell’infor7 In particolare, il Giudice amministrativo ha affermato che: “A causa della loro peculiarità, nei procedimenti
antimafia non vi è spazio per una partecipazione dell’interessato, trattandosi di accertamenti fondati o su
provvedimenti giudiziari o sull’esito di indagini di polizia sottratte per ragioni di segretezza alla disciplina di
cui alla legge n. 241/1990 (...)”.
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mativa la Prefettura poteva essere a conoscenza solo dei dati reperibili (e, dunque, della
notizia di reato ma non dell’inesistenza di un provvedimento di rinvio a giudizio; T.A.R.
Sicilia Catania 18.09.2009 n. 1520).
Ne deriva, che per lo più, nell’ipotesi di informativa tipica, il Giudice amministrativo sia
orientato a non riconoscere il risarcimento del danno, ritenendo che il Prefetto che abbia
emesso informativa negativa non compie attività illegittima allorché valuti gli elementi in suo
possesso (fornitigli dalla Questura e/o oggetto già di imputazione di reato) come sufficienti
a ritenere ragionevolmente probabile il tentativo di infiltrazione mafiosa nell’impresa.
Diversamente, nel caso in cui l’informativa negativa resa sia atipica, la giurisprudenza si è mostrata più elastica, contemperando gli interessi contrapposti e “accollando” il rischio in capo alla Prefettura e alle stazioni appaltanti della scelta in ordine alla
rilevanza del condizionamento mafioso e dell’eventuale risoluzione del contratto o revoca dell’aggiudicazione.
In questo senso, Cons. di Stato Sez. VI 28.03.2008 n. 1310: “L’informativa antimafia
atipica, ancorché non sia priva di effetti nei confronti delle amministrazioni, non ne compri me integralmente le capacità di apprezzamento, con la conseguenza che i provvedimenti
di mantenimento e di risoluzione del rapporto sono comunque il frutto di una scelta motiva ta della stazione appaltante.
La stazione appaltante e la prefettura adottante l’informativa sono tenute in solido al
risarcimento del danno ingiusto cagionato alla società appaltatrice dall’interruzione del rap porto sorto con il contratto d’appalto già stipulato e travolto dall’intervento della misura inter dittiva rivelatasi infondata”.
Occorre, dunque, l’individuazione di idonei e specifici elementi di fatto obiettivamente
sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti con le predette associazioni
(T.A.R. Palermo n. 38/2006 già citata).
2.3. Su quantum debeatur
Nei casi in cui il Giudice amministrativo ha riconosciuto un pregiudizio risacibile
all’impresa, i danni quantificati rientrano per lo più nel danno da perdite subite e nel
danno all’immagine.
a) Danno da perdite subite
In particolare, la giurisprudenza ha di recente affermato: “Ai fini del risarcimento del
danno da illegittima risoluzione del contratto di appalto, in ordine al danno da lucro cessan te, deve essere corrisposto oltre al dieci per cento del valore dell’appalto, anche un impor to a titolo di danno da perdita di chance, legato all’impossibilità di far valere, nelle future
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contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell’appalto non eseguito” (Cons. di
Stato12.02.2008 n. 491 già richiamata).
b) Danno all’immagine
E’ stata anche riconosciuta la possibilità per le imprese che subiscano ingiustamente
un’informativa negativa di richiedere, oltre al risarcimento in forma specifica o per equivalente, anche quello derivante dalla lesione che subisce l’immagine.
Invero, il Consiglio di Stato condividendo l’orientamento espresso dalla Corte di
Cassazione con sentenza n. 12929/2007 (dove si chiariva che il diritto all’immagine, concretizzantesi nella considerazione che un soggetto ha di sé e nella reputazione di cui gode,
non può essere considerato appannaggio esclusivo della persona fisica e va anche riconosciuto alle persone giuridiche), ha ritenuto che l’impresa ha diritto al risarcimento anche del
danno c.d. esistenziale (Cons. di Stato n. 491/2008, già richiamata).
2.4. La questione di giurisdizione in materia risarcitoria
Un problema emerso in materia risarcitoria inerisce la giurisdizione del G.A.
Ove l’impresa subisca gli effetti di un decreto prefettizio negativo, il pregiudizio può
riguardare tanto ipotesi di contratti già conclusi quanto aggiudicazioni provvedute ma non
cristallizzate in un atto pubblico.
Con la sentenza n. 793 del 28.04.2009 il T.A.R. Catania ha ritenuto di non avere giurisdizione in ordine alla cognizione dell’azione risarcitoria per i rapporti nascenti da contratto di appalto.
La circostanza, infatti, che sia stato stipulato il contratto farebbe traslare la giurisdizione dal Giudice amministrativo al Giudice civile.
Ciò, però, creerebbe un divario all’interno di una posizione giuridica soggettiva unitaria com’è quella vantata da un’impresa che agisce per la tutela risarcitoria a seguito dell’illegittimità dell’azione amministrativa della Prefettura e/o della stazione appaltante.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, ma anche della
Corte di Cassazione nella sua qualità di Supremo Giudice della giurisdizione, la cognizione
spetta all’A.G.O. quando l’appaltatore controverta in via diretta nei confronti dell’Ente committente all’interno di un rapporto paritetico, ma non è altrettanto vero nel caso di che trattasi ove il danno è provocato dall’esercizio di un potere autoritativo.
In via esemplificativa, proprio in materia di contratti pubblici: “In materia di appalti pubblici, gli artt. 6 e 7, l. n. 205/2000 hanno attribuito alla giurisdizione esclusiva del G.A. tutte
le controversie relative alla procedura di affidamento dell’appalto, mentre quelle concernen ti la fase di esecuzione del contratto sono devolute alla giurisdizione del G.O., dato che con 10
cernono i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto (...)” (Cass. 18.10.2005 n. 20116; così
anche Cons. di Stato 30.01.2002 n. 515; Cass. 6.05.2005 n. 9391; Cass. 3.05.2005 n. 9100).
La giurisdizione non è a caso devoluta al G.O. quando il rapporto contrattuale sia
instaurato, poiché la posizione giuridica soggettiva è eventualmente lesa dalla P.A. in
termini di inadempimento (in senso lato, responsabilità civile): solo questo Giudice,
infatti, è scelto dall’ordinamento per conoscere un rapporto paritetico, di diritto privato
instaurato tra le parti.
Nell’ipotesi in cui, invece, si chieda il risarcimento del danno subito a seguito dell’informativa prefettizia resa illegittimamente, l’Impresa non sta affatto contestando i fatti attinenti un rapporto contrattuale.
Diversamente dalla fase esecutiva del contratto in cui sussiste un rapporto di pari
ordinazione con l’Amministrazione committente, ove voglia impugnare il provvedimento
prefettizio, l’appaltatore si trova ad agire nei confronti dell’Autorità prefettizia nell’esercizio
del suo potere autoritativo (concesso ad hoc dal legislatore al fine di emanare la misura
preventiva) reso illegittimamente e, in presenza di un pregiudizio subito, chiede il risarcimento del danno 8.
L’azione risarcitoria non è separata dalla sorte dell’impugnazione principale (proposta
avverso il decreto prefettizio) ed è, quindi, legata alla pronuncia di annullamento così radicandosi nella cognizione del Giudice amministrativo.
Nel caso di risarcimento a seguito di attività illecita della P.A. (in alcuni casi anche nell’ipotesi di attività lecita, come vedremo), ove al ricorrente vada riconosciuto il diritto al
risarcimento del danno, la cognizione non potrà che restare radicata presso il Giudice
amministrativo, che è il solo che può sindacare un diritto nascente dal potere autoritativo
illegittimamente utilizzato (in questo senso proprio Consiglio di Stato 28.03.2008 n. 1310,
già richiamata).
2.5. Il rinvio alla Corte Costituzionale: segnali di apertura del diritto positivo
Nella sua opera di continua evoluzione interpretativa, la giurisprudenza ha anche riconosciuto la necessità di ristorare l’appaltatore in casi in cui pur essendo stata emanata legittimamente, l’informativa sia stata successivamente riformata in senso positivo dalla stessa
Prefettura a seguito di fatti successivi accertati in sede penale.
8 Dev’essere considerato che l’appaltatore sindaca l’espressione del potere dell’Ufficio territoriale del
Governo nella sua qualità di Organo di controllo del territorio e non nell’ambito di un contratto instaurato con
questa P.A.. Il contratto, se esistente, è sempre stipulato con una Stazione appaltante e non con la Prefettura
nella sua qualità specifica attribuitale dalla legge in tema di emanazione di informative.
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Anche in questo caso, l’impresa si è trovata per molto tempo nella difficoltà (e sarebbe ancor più preciso dire nell’impossibilità) - una volta emessa a suo carico un’informativa
prefettizia - di continuare la propria attività 9.
E difatti, il primo effetto che produce l’informativa è che le Stazioni appaltanti o durante la fase di evidenza pubblica o durante la fase negoziale, decidono di interrompere il rapporto con l’imprenditore tacciato di contiguità mafiosa (revoca dell’aggiudicazione, risoluzione del contratto, sospensione dei lavori, e così via).
La giurisprudenza, da ultimo, ha rilevato una certa possibilità di disaffezione al ruolo
istituzionale della Prefettura, poiché spesso lo strumento a questa Amministrazione rimesso non viene utilizzato con estrema attenzione e con rigore.
Nel caso in cui, infatti, un’impresa si veda incisa negativamente da un decreto prefettizio, i cui fatti a fondamento si siano poi rivelati insussistenti e non integranti fattispecie di
reato, il rischio concreto è che il potere riconosciuto dalla legge alla Prefettura sia utilizzato determinando un’immotivata ed irrazionale compressione dei diritti di difesa ed un’esasperazione della tutela anticipatoria che si trasforma in una politica repressiva.
Così si finisce per rendere la lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso
poco trasparente: “...in altri termini si corre il rischio, inaccettabile, di allontanare la
società civile dalle Istituzioni democratiche, producendo disaffezione rispetto alla cultura
della legalità, che va promossa e non imposta e che è vitale solo in quanto sorretta da
un convinto sostenimento” (T.A.R. Sicilia Catania ordinanza - di rinvio alla Corte
Costituzionale - n. 212/2009).
Con l’appena richiamata ordinanza n. 212/2009, partendo dal presupposto espresso, il
T.A.R. Sicilia Catania ha ritenuto la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione
costituzionale con riferimento agli artt. 2, 3. 42 e 97 Cost, dell’art. 10 legge n. 575/1965, legge
n. 47/1994, dell’art. 4 del d.lgs. n. 490/1994 e dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998, nella parte in
cui non prevedono l’obbligo di un appropriato indennizzo a tutela dei livelli occupazionali dell’azienda e dell’integrità del valore del relativo patrimonio di esperienza e competenza posseduto, a favore di quelle imprese per le quali ritenuti inizialmente sussistenti i rischi di condizio-
9 Cons. di Stato Sez. VI 2.05.2007 n. 1916: “Alla luce del principio costituzionale in tema di libertà di impresa, non
può essere preclusa ad un’impresa, raggiunta da un’informazione interdittiva antimafia, la possibilità di continuare la propria attività, una volta che si sia rigenerata attraverso la sostituzione degli amministratori e degli stessi
soci”. Non sempre, però, la giurisprudenza è perfettamente concorde, si veda T.A.R. Sicilia Catania 28.04.2009 n.
793. In seno a questo giudizio, pur in presenza di una sostituzione degli amministratori della società e dell’affidamento di cariche sociali a soggetti scelti da Organi amministrativi (professionisti indicati da Consigli di Ordini professionali), il Giudice amministrativo ha ritenuto di non dover sospendere, con provvedimento cautelare (in occasione della domanda di sospensiva), il decreto prefettizio impugnato. Di tal che l’impresa sino a quando la
Prefettura non ha revocato l’informativa ha subito ingenti perdite e l’attività d’impresa è rimasta bloccata.
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namento mafioso ed adottati i necessari provvedimenti interdittivi, risultino poi del tutto assenti tali rischi in base all’accertamento effettuato con sentenze penali passate in giudicato.
Il Collegio ha evidenziato di essere a conoscenza dell’attuale assetto normativo dell’istituto di riferimento e del delicato equilibrio che è chiamato a disciplinare (quello pubblico
della prevenzione e della repressione del fenomeno criminale e quello privato della libertà
di impresa e di tutela della proprietà).
Tuttavia, il Giudice a quo ha affermato di non poter non cogliere: “... che l’attuale
assetto normativo è gravemente lacunoso laddove nulla prevede in merito al caso in cui le
realtà aziendali ed imprenditoriali sane sono di fatto esposte ad effetti distorsivi e lesivi del
tutto ingiusti che non solo lo stesso legislatore certamente non vuole, ma che, in definitiva,
proprio in quanto ingiusti, compromettono l’efficacia e l’efficienza dell’applicazione concreta dell’istituto”.
L’ordinanza si espone a molti commenti e certamente la pronuncia della Corte
Costituzionale assumerà importanza decisiva sul tema.
In questa sede, l’interesse verte sulla costruzione delle argomentazioni poste a base
della ritenuta violazione di norme costituzionali.
Il T.A.R. anziché prendere in considerazione i presupposti dell’azione risarcitoria, ha
spostato l’attenzione sugli artt. 41 e 42 della Costituzione.
Queste norme tutelano l’iniziativa economica affermandone la libertà.
Tale iniziativa può essere compressa solo ove l’utilità sociale sia prevalente o quando
derivi un danno alla pubblica sicurezza.
Nel caso delle informative prefettizie e, nella particolare ipotesi in cui da accertamenti condotti si scopra che l’impresa sia ab origine “non collegata” alla criminalità organizzata
(e i fatti originariamente posti a fondamento del decreto prefettizio si rivelino inesistenti), la
compressione dell’iniziativa economica privata, in una parola della libertà di impresa, si
manifesta ingiustamente compressa e sacrificata per un certo lasso di tempo.
Sicché, il giudizio di prevalenza della sicurezza pubblica avvenuto per l’applicazione
della legge (informativa tipica) oppure a seguito di una valutazione espressa dalla
Prefettura (informativa atipica), si rivela infondato.
Inoltre - e ciò fonda ancor di più, ad avviso del Collegio, la necessità di individuare uno
strumento di riequilibrio delle posizioni giuridiche violate - l’impresa si trova ad aver subito
delle perdite ingiuste: posti di lavoro, risorse finanziarie, occasioni di lavoro perdute (aggiudicazioni, contratti).
Ne deriva una chiara violazione degli obblighi sociali e di solidarietà espressi negli artt.
2 e 3 della Costituzione che il T.A.R. non si esime di analizzare.
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L’ottica da cui partire è, dunque, quella della violazione delle “norme costituzionali di
scopo”. L’intento non è quello di eliminare una prescrizione normativa, bensì di aggiungere
quel tassello mancante che costituisce un giusto rimedio in ipotesi di violazioni del diritto di
proprietà e di libertà aziendale sopportato iniure da un’impresa 10.
Al pari delle ipotesi in cui al proprietario che venga espropriato dell’immobile spetti il
riconoscimento di un indennizzo in grado di soddisfare la perdita (id est, il danno sotto il profilo patrimoniale e non risarcitorio/aquiliano), così all’impresa che sia “espropriata” - anche
se temporaneamente - della propria libertà aziendale spetta il riconoscimento in termini
patrimoniali per la perdita subita.
La prospettiva del Giudice amministrativo è di grande apertura e di incentivo alla cultura della giustizia sostanziale.
L’istituto delle informative antimafia è uno strumento di tutela anticipatoria, il cui cattivo esercizio - o l’esercizio indiscriminato - determina uno strapotere delle
Amministrazioni territoriali.
In uno Stato costituzionale che è l’evoluzione massima dello Stato di diritto, l’illegittimità e l’ingiustizia che possono concretare gli Organi di governo devono essere sempre
rimediate e mai temute dai consociati 11.
Lo Stato, cioè, deve possedere la capacità di “mediare al suo interno il problema
metagiuridico della legge ingiusta trasformandolo in quello, proprio della scienza del diritto,
della legge illegittima” (ordinanza n. 212/2009) e, più ancora, di non perdere mai il suo
carattere primario di Stato-Comunità che è la somma dei diritti e dei doveri di tutti i soggetti giuridici, i quali in esso si riconoscono e ivi trovano unicamente tutela.
10 T.A.R. Sicilia Catania ordinanza n. 212/2009: “Per tale ragione ed in tale ottica, il remittente osserva che l’odierna questione costituzionale che si propone alla decisione della Corte, implica una vera e propria questione di giustizia della legge, sotto quel profilo che è tipico di tale giudizio negli ordinamenti democratici moderni,
ossia il giudizio della illegittimità della legge per sua irragionevolezza, da apprezzarsi con riferimento quindi non
già a criteri autereferenziali, ossia fondati su soli parametri logici e/o normativi intrinseci, ma con riferimento a
quelle norme di valore che la Costituzione possiede e sono capaci di orientare l’evoluzione giuridica senza
sconfinare nel merito legislativo, trovano comunque nella Carta la loro rappresentazione plastica, ossia non cristallizzata, bensì passibile di evoluzione, in risonanza armonica con la crescita e con la maturazione della
società”. L’ordinanza rappresenta un’importante pagina della cultura giuridica dei nostri tempi che è sempre più
ancorata al diritto formale e poco attenta alla necessità che la legge sia la veste e non la gabbia della società.
11 Ed anzi, il problema dello scardinamento della criminalità organizzata di stampo mafioso è proprio di non
fare in modo che, perdendo fiducia nello Stato, il cittadino cerchi conforto in altre forme di protezione sociale.
Diversamente si corre il rischio che anziché integrare delle forme di tutela, un utilizzo patologico delle informative antimafia determini un incentivo della cultura clientelare e di prossimità mafiosa e, comunque, allontani il
cittadino dalle Istituzioni che divengono un quid da temere piuttosto che gli organi dai quali aspettarsi tutela.
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Le informative antimafia