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N. 06493/2011REG.PROV.COLL.
N. 04451/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4451 del 2010, proposto dalla srl Sac, in persona del legale
rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Luisa Torchia e Anselmo Torchia, con domicilio
eletto presso lo studio legale della prima in Roma, via Sannio n. 65;
contro
L’Autorita' Portuale di Gioia Tauro e l’U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria -, in persona dei rispettivi
rappresentanti legali, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici
domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
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per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA - CATANZARO :SEZIONE I n. 480/2010, resa tra le parti, concernente
RIGETTO AUTORIZZAZIONE PER LO SVOLGIMENTO DI SERVIZI PORTUALI PER L’ANNO 2009 - MCP -..
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’ Autorita' Portuale di Gioia Tauro e dell’ U.T.G. - Prefettura di
Reggio Calabria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 novembre 2011 il Consigliere di Stato Giulio Castriota
Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato Di Nitto, per delega dell’avvocato L. Torchia, e l’avvocato
dello Stato Tidore;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La srl S.A.C., attiva nel settore dei servizi portuali, impugna la sentenza del Tribunale Amministrativo
Regionale della Calabria 16 aprile 2010, n. 480, con la quale è stato respinto il ricorso di primo grado
avverso il provvedimento emesso dall’Autorità portuale di Gioia Tauro il 19 agosto 2009 recante il
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rigetto della autorizzazione, richiesta ai sensi dell’art. 16, terzo comma , della legge 28 gennaio 1994,
n. 84, per lo svolgimento di alcuni servizi portuali nel porto di Crotone, nonché della presupposta
nota a contenuto negativo del 29 luglio 2009 dell’Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria.
A fondamento della reiezione della istanza, l’Autorità ha addotto il fatto che l’amministratore unico della
società ricorrente, sig. Lu. Vre., risulterebbe carente dei requisiti di idoneità personale, ai sensi del
combinato disposto dell’art.3, comma 1, lettera a), del d.m. 31.3.1995, n. 585 (recante il
Regolamento recante la disciplina per il rilascio, la sospensione e la revoca delle autorizzazioni per
l'esercizio di attività portuali), nella parte in cui richiede, tra l’altro, il certificato antimafia e dell’art.
10, comma 7, del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252.
A sostegno dell’originario ricorso l’odierna appellante, con unico articolato motivo, deduceva:
- la violazione e la falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, lettera a), del d.m. 31 marzo 1995, n. 585, in
combinato disposto con l’art. 10, comma 7, del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252; eccesso di potere per
difetto o erroneità dei presupposti- travisamento dei fatti – omessa istruttoria- violazione dell’art. 3
della legge n. 241/90 ingiustizia manifesta – motivazione apparente, perplessa e travisata- violazione
dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990. Il provvedimento di rigetto sarebbe stato adottato in
violazione della normativa di settore, che prescrive che il requisito della certificazione antimafia si
intende assolto con la mera presentazione del Certificato di iscrizione presso la Camera di Commercio
competente, recante la cosiddetta “dicitura antimafia”, prevista dall’art. 9 del D.P.R. n. 252 del 1998.
Vi sarebbe un’insufficiente motivazione a base del provvedimento di rigetto, che si limiterebbe al
mero richiamo dell’informativa prefettizia. Il provvedimento non sarebbe stato preceduto dal
cosiddetto “preavviso di rigetto”, ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990.
3. Con l’impugnata sentenza il Tar della Calabria, dopo una dettagliata ricostruzione dell’istituto afferente la
cosiddetta informativa antimafia in relazione ai poteri esercitabili dagli organi del Ministero
dell’Interno, ha concluso per la reiezione del ricorso, rilevando la adeguatezza sul piano della
sufficienza motivazionale e dei presupposti riscontri istruttori dei provvedimenti a contenuto
negativo facenti capo all’Autorità prefettizia e all’Autorità portuale.
4. Con l’appello all’esame, la originaria ricorrente ripropone sostanzialmente i motivi di censura già disattesi
dai primi giudici, evidenziando la erroneità della sentenza impugnata.
In particolare, essa deduce l’apoditticità della affermazione inerente la sussistenza di un quadro indiziario
sufficientemente preciso e concordante circa la vicinanza dell’amministratore unico della società
appellante agli ambienti della criminalità organizzata, desumibile anche dalla mancata produzione da
parte della Prefettura di Reggio Calabria della relazione istruttoria.
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In secondo luogo, l’appellante reitera i motivi di difetto di istruttoria e di motivazione in relazione alla
inconferenza dei fatti (risalenti nel tempo e comunque mai sfociati in condanne del giudice penale)
riferiti nelle allegate informative di polizia, come anche la neutralità, sul piano della valenza indiziaria,
del dato relativo alle parentele con soggetti aderenti ad organizzazioni mafiose.
Conclude la società interessata per l’accoglimento dell’appello e del ricorso di primo grado, con
conseguenziale riforma della impugnata sentenza e con l’annullamento degli atti contestati in primo
grado.
Si sono costituite le intimate Amministrazioni per resistere al ricorso e per chiederne la reiezione.
Con l’ordinanza 7 giugno 2010, n. 2572, la Sezione ha respinto la richiesta cautelare di sospensione
dell’efficacia della impugnata sentenza.
All’udienza pubblica del 18 novembre 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
5.L’appello è infondato e va disatteso.
5.1. Va premesso anzitutto che, come condivisibilmente affermato dai primi giudici, l'informativa antimafia
prescinde dall'accertamento della rilevanza penale dei fatti, in quanto non mira alla enucleazione di
responsabilità, ma si concretizza come la forma di massima anticipazione dell'azione di prevenzione,
inerente alla funzione di polizia e di sicurezza, rispetto alla quale assumono rilievo fatti e vicende solo
sintomatici ed indiziari: dunque, il provvedimento emesso o da emettere in sede penale e quello
amministrativo si collocano su differenti ed autonomi piani.
Le informative del Prefetto in merito alla sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell'impresa, rese ai
sensi dei precitati artt. 4 del d. lgs. n. 490 del 1994 e 10 D.P.R. n. 252 del 1998, costituiscono
condizione per la stipulazione di contratti con la pubblica amministrazione ovvero per le concessioni
di beni ed erogazioni di finanziamenti pubblici e non suppongono alcuna prova inconfutabile circa
l'intervenuta infiltrazione, ma devono sufficientemente dimostrare la sussistenza di elementi dai
quali è deducibile il tentativo di ingerenza, fermo restando che non è sufficiente il mero sospetto, ma
sono necessari accertamenti fondati su oggettivi elementi, atti a far denotare il rischio concreto di
condizionamenti.
La Prefettura è titolare al riguardo di un potere discrezionale, che comporta una valutazione lata di interessi
contrapposti, ossia quello relativo alla libertà di impresa e quello relativo alla tutela dell'uso delle
risorse pubbliche: siffatto potere, proprio per i delicati interessi che la materia coinvolge, va
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esercitato con le necessarie cautele (Cons. Stato, Sez. IV 4 maggio 2004, n. 2783, e Sez. V, 27 giugno
2006, n. 4135).
5.2 Nel caso di specie non risulta, dall’esame degli atti di causa, che il Prefetto prima e l’Autorità portuale
successivamente abbiano esercitato con profili di violazione di legge o di eccesso di potere i poteri
loro spettanti in funzione preventiva rispetto al rischio di infiltrazioni mafiose nelle attività che
mettono capo ad amministrazioni pubbliche ovvero a soggetti a quest’ultime equiparate.
Ed invero, con la nota. n. 0050559 del 28 luglio 2009, la Prefettura di Reggio Calabria ha comunicato che,
pur non risultando a carico dell’Amministratore unico della odierna appellante provvedimenti
definitivi irroganti misure di prevenzione o condanne penali, quali causa di decadenza, sospensione o
divieto di cui all’art. 10 della legge n. 575/1965, tuttavia “non è escluso che sia inserito in un
ambiente criminale di tipo mafioso”.
L’informativa risulta fondata sugli accertamenti trasmessi con nota n. Q2.2/2009/AM del 30 aprile 2009
dalla Questura di Crotone alla Prefettura di Reggio Calabria, da cui risulta, fra l’altro, che in data 27
novembre 1978, con provvedimento del Tribunale di Catanzaro, il predetto amministratore unico
della società appellante è stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale
semplice, per la durata di due anni, e che, in data 12 gennaio 1995, egli è stato riabilitato con
ordinanza della Corte di Appello di Catanzaro.
Nella suddetta nota della Questura di Crotone, con riferimento alla posizione del soggetto indicato viene
altresì precisato: “ Inoltre, dagli atti di ufficio e da risultanze SDI emergono violazioni per tentata
estorsione (78), attentati dinamitardi per terrorismo (78), associazione per delinquere (78),
fabbricazione o detenzione di materie esplodenti (78), danneggiamento (78), lesioni personali e
minaccia (04).
In ultimo, risulta segnalato alla DDA di Catanzaro per associazione di tipo mafioso (08), nell’ambito
dell’operazione di polizia denominata “Eracles” , condotta dalla Squadra Mobile di Crotone,
unitamente a quella di Catanzaro ed allo SCO di Roma, nella quale venivano denunziate 179 persone
per reati che a vario titolo vanno dall’associazione mafiosa ad omicidi, estorsione, rapine ed altro”.
A completamente degli elementi scrutinati dalla Autorità di polizia va soggiunto inoltre che il sig. Lu. Vr.,
figlio di Gio. Vr., nato nel 1929, risulta nipote di Lu. Vr., nato nel 1902 e deceduto nel 1992, capo
dell’omonima cosca mafiosa, operante nel crotonese fino agli anni ’80, soprannominato “U Zirri”.
Da ultimo, dall’interrogazione del CED al Ministero dell’Interno, è emerso che l’interessato risulta segnalato
per “associazione a delinquere” (cfr. nota della Prefettura di Reggio Calabria, Ufficio Territoriale di
Governo, n. 74008/2008/Area I, del 12 novembre 2008).
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6. Alla luce degli atti e degli elementi fattuali dagli stessi desumibili appare al Collegio che non possa essere
condivisa la censura di carenza di istruttoria e di motivazione proposta all’indirizzo della nota
prefettizia in primo grado impugnata.
Al contrario, le valutazioni della Prefettura di Reggio Calabria risultano supportate da un quadro indiziario
sufficientemente preciso e concordante, segno di un’adeguata istruttoria, che si è estrinsecata con
l’adozione di un provvedimento negativo in cui sono bene evidenti i sottesi passaggi logici, di tal che
la sinteticità dell’apparato motivazionale non può ridondare in illegittimità dell’atto.
Pur non essendo emersi, a carico della società appellante, indizi che possano deporre per la effettiva e
conclamata sussistenza di fenomeni di infiltrazione mafiosa, nondimeno la rilevata presenza di
elementi istruttori che depongono in modo concordante per il probabile condizionamento
dell’attività d’impresa da parte delle organizzazioni criminali costituisce condizione sufficiente
all’adozione della determinazione contenente le informazioni negative, tale atto rappresentando
un’anticipazione della soglia di prevenzione rispetto ai tentativi di infiltrazione mafiosa nelle attività
amministrative.
D’altra parte, l’Autorità prefettizia, nel comunicare le informazioni desumibili dai propri accertamenti, ai
sensi dell’art. 10, comma 7, lett. c) del d.P.R. 3 giugno 1998 n. 252, non è tenuta ad indicare
puntualmente le fonti da cui promanerebbero i profili di contiguità e di permeabilità con gli ambienti
mafiosi e ciò per evidenti esigenze di tutela e segretezza delle indagini: ciò che conta è che l’Autorità
giudiziaria abbia considerato attendibili le informazioni ed attivato indagini, nella specie risultate
plurime e per fatti di obiettiva gravità.
In ogni caso, alla Autorità che ha emanato la contestata determinazione non è imputabile, nel caso
specifico, alcuna omissione nell’attività di verifica delle informazioni raccolte, non emergendo, in
base a quanto già argomentato, elementi che facciano propendere per un’eventuale travisamento
dei fatti
7. Da condividere risultano anche le considerazioni dei primi giudici in ordine alla ben diversa natura delle
informazioni antimafia ritraibili dalla semplice “dicitura antimafia” che compare nei certificati
camerali (e che riguarda la ricorrenza o meno delle situazioni ostative di cui all’art. 10 della Legge 31
maggio 1965, n. 575, e cioè della decadenza, sospensione o divieto determinati dalla definitiva
applicazione di misure di prevenzione antimafia, da sentenze penali di condanna o da altri
provvedimenti del tribunale) e l’informativa antimafia nell’acquisizione di notizie inerenti ai tentativi
di infiltrazione mafiosa.
Il certificato camerale, munito dell’apposita dicitura “antimafia” (al pari delle comunicazioni prefettizie alle
quali è assimilato per legge), è idoneo a garantire l’insussistenza delle sole situazioni ostative
contemplate dall’art. 10 della Legge n. 575/1965, ma giammai può estendere la sua efficacia fino a far
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ritenere l’inesistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, viceversa accertati mediante
ulteriori indagini istruttorie, il cui esito è riportato nell’informativa prefettizia. Inoltre, come non ha
mancato di sottolineare il Tar, le valutazioni demandate alla competenza della Prefettura, al fine di
verificare l’assenza di tentativi di infiltrazioni mafiose, involgono profili non coincidenti con quelli
posti a base della certificazione camerale e possono comportare che l’informativa prefettizia abbia
contenuti non favorevoli per la ditta interessata anche a fronte di una certificazione antimafia
negativa (o viceversa).
Ne consegue che, ove il certificato camerale rechi la dicitura “antimafia”, volta ad attestare l’inesistenza
delle situazioni ostative di cui all’art. 10 della Legge n. 575/1965, tale circostanza non può assumere
ex se alcun rilievo per ritenere insussistente o contraddittoria la diversa ed autonoma situazione
ostativa, costituita dall’esistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, riportata nell’apposita
informativa prefettizia.
In definitiva, valutati nel complesso tutti gli elementi del quadro fattuale, la nota prefettizia non risulta
inficiata da illegittimità.
8. Né appaiono condivisibili le analoghe censure di difetto di istruttoria e di motivazione svolte avverso la
determinazione negativa dell’Autorità portuale sulla istanza della società appellante, intesa ad
ottenere il rilascio dell’autorizzazione ai sensi dell’art. 16, comma 3°, della legge 28 gennaio 1994, n.
84, per lo svolgimento di servizi portuali per l’anno 2009 nel Porto di Crotone.
A fronte degli elementi negativi segnalati dal Prefetto in ordine ai possibili tentativi di infiltrazione mafiosa
nella società, l’Autorità portuale di Gioia Tauro si è ragionevolmente determinata per il rigetto della
predetta istanza della società ricorrente, al fine di preservare la sfera dell’azione pubblica dal
possibile contagio con soggetti che possano subire condizionamenti o intimidazioni da parte della
criminalità organizzata.
La natura discrezionale del provvedimento appare coerente con la fattispecie <atipica> delle informative
prefettizie rilasciate nel caso di specie, che appunto lasciavano all’Autorità decidente il compito di
autodeterminarsi sulla opportunità o meno per l’Amministrazione di entrare in contatto con il
soggetto a cui carico sono emersi gli elementi di possibile contagio con gli ambienti della criminalità
organizzata.
E nel caso di specie non par dubbio, alla luce degli elementi addotti dall’Autorità prefettizia, che tale
discrezionalità (probabilmente non colta appieno nella sua espressione dall’Autorità decidente, che si
è uniformata tout court alla negativa determinazione prefettizia), si sia espressa in modo non
irragionevole con l’adozione dell’atto negativo impugnato in primo grado.
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9. Infine, riguardo alla lamentata violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, rileva il Collegio che
anche tale censura non appare condivisibile, atteso che la natura sostanzialmente cautelare della
misura è essa stessa sintomatica di quelle esigenze di celerità che (come espressamente previsto in
tema di comunicazione d’avvio del procedimento, cfr. art. 7 l. n. 241/90) giustificano l'omissione della
comunicazione partecipativa altrimenti prescritta, tenuto conto altresì che il procedimento in materia
di informative prefettizie antimafia è caratterizzato da riservatezza ed urgenza.
10. In conclusione, il ricorso in appello si appalesa infondato e va rigettato; va per conseguenza confermata
la impugnata sentenza.
Le spese di lite del presente grado seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in
dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello (RG n.
4451/10), come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante società a rivalere le Amministrazioni appellate delle spese e degli onorari del
presente grado di giudizio, che liquida complessivamente per entrambe in euro 1.000,00 (mille/00),
oltre IVA e CAP come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
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Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore
Silvia La Guardia, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/12/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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