E. Bartezzaghi, L’organizzazione dell’impresa
INTEGRAZIONE AL CAPITOLO 2
LE TEORIE CONTINGENTI SU AMBIENTE E TECNOLOGIA1
Ambiente e organizzazione
I primi e più noti studi sul rapporto organizzazione e ambiente sono quelli di Burns e Stalker (1961) e di Lawrence e Lorsch (1967).
Burns e Stalker, del Tavistock Institute di Londra, condussero negli anni ’50 una ricerca su
numerose aziende scozzesi ed inglesi operanti in diversi settori (fibre, elettronica, meccanica, ecc.). I risultati evidenziarono che per affrontare ambienti caratterizzati da instabilità (di
mercato, di tecnologia) le imprese adottano forme organizzative sempre più flessibili, collocandosi su un continuum tra due modelli: quello, coerente con le teorie classiche
dell’organizzazione come sistema meccanico e quello del sistema organico (si veda la Tabella 1).
SISTEMA MECCANICO
SISTEMA ORGANICO
Ambiente
9 Stabile
9 Instabile (mercato e/o tecnologia)
Obiettivo
aziendale
9 Efficienza
9 Prodotto standard
9 Innovazione
9 Risposta al mercato
Organizzazione
del
lavoro
9 Mansioni ben definite
9 Specializzazione
9 Standardizzazione di processi ed output
9 Supervisione diretta
9 Scarsa formalizzazione; teamwork
9 Polivalenza
9 Accento sulle competenze
Tipo di autorità
9 Gerarchia definita formalmente
9 Importanza dell’anzianità
9 Autorevolezza
Comunicazioni
9 Secondo le vie gerarchiche
9 Relazioni orizzontali, libere ed informali
Impegno dei
dipendenti
9 Responsabili delle proprie
mansioni
9 Fedeltà ed obbedienza
9 Impegno a raggiungere l’obiettivo
9 Mutuo adattamento
9 Importanza di capacità e competenze
9 Capacità di gestione dell’incertezza
Tabella 1: Modello meccanico e modello organico
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Il materiale seguente riguarda i fattori contingenti relativi ad ambiente e tecnologia. Per i fattori dimensione e strategia si rimanda
ai manuali già citati nel libro.
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Lawrence e Lorsch sono i primi autori a parlare esplicitamente di approccio ‘contingente’.
La loro ricerche hanno riguardato tre unità organizzative (ricerca e sviluppo, produzione,
vendite) dapprima in sei aziende di materie plastiche e quindi due coppie di aziende (una di
forte successo, l’altra meno) nei settori alimentari (cibi confezionati) e dei contenitori e imballaggi.
I risultati evidenziano che i diversi sottosistemi presentano configurazioni organizzative diverse in relazione alle diverse caratteristiche dei sottoambienti di riferimento: il sottoambiente scientifico per l’unità di R&S; quello delle tecnologie, del mercato del lavoro, dei
fornitori per la produzione; quello del mercato (clienti, concorrenti, sistema distributivo)
per le vendite. Ne consegue la differenzazione organizzativa, cioè il fatto che le unità organizzative sono caratterizzate da diversità negli obiettivi, negli orizzonti temporali di pianificazione, nei tipi di orientamento interpersonale e nelle strutture. Mentre la produzione, che opera in condizioni di ridotta incertezza ambientale, è caratterizzata da obiettivi di efficienza,
orizzonti temporali brevi, orientamento ai compiti e alta formalizzazione della struttura, la
R&S presenta obiettivi prevalenti di efficacia (innovazione e qualità), orizzonti temporali
lunghi, orientamento prevalente ai compiti e bassa formalizzazione della struttura. Le Vendite hanno obiettivi di soddisfazione dei clienti, orizzonti temporali brevi, orientamento alle
relazioni, alta formalizzazione della struttura. D’altra parte, le modalità di integrazione cambiano in relazione non solo al livello di differenziazione tra le unità, ma anche alle caratteristiche generali del contesto, e in particolare dell’incertezza ambientale: i meccanismi tradizionali (gerarchia, programmi, procedure) sono adatti in ambienti stabili; in ambienti turbolenti vengono adottati: gruppi interfunzionali, persone o comitati dedicati all’integrazione e
alla soluzione di conflitti (si veda la Tabella 2).
Settori
Incertezza ambientale
Differenziazione tra le
unità
Percentuale di manager in
ruoli di integrazione
Plastica
Alta
Alta
Alimentare
Moderata
Moderata
Imballaggi
Bassa
Bassa
22
17
0
Tabella 2 Relazione tra incertezza ambientale e integrazione organizzativa (Lawrence e Lorsch ripresi in Daft, 2007)
Tecnologia e organizzazione
Il filone tecnologico ha avuto un grande impulso dagli studi di Joan Woodward (19161971), sociologa inglese. I risultato di tali ricerche hanno rappresentano una delle più evidenti smentite della validità dell’ipotesi dell’one best way organizzativa. Quindi, diverse tecnologie richiedono diverse organizzazioni o, in altri termini, per avere successo è necessario
ricercare la coerenza tra struttura organizzativa e tecnologia. Le produzioni a piccoli lotti e
a processo richiedono strutture organizzative di tipo organico, mentre le produzioni di serie
e di massa hanno successo con organizzazioni di tipo meccanico.
Joan Woodward, ha messo in discussione l’universalità del modello tayloristico sulla base di
una ricerca condotta alla fine degli anni ’50, relativa a cento imprese industriali del South
Essex in Inghilterra, appartenenti a diversi settori industriali. I dati raccolti dal gruppo di
ricerca hanno riguardato le caratteristiche strutturali dell’organizzazione (numero dei livelli
gerarchici, ampiezza di controllo, rapporto lavoratori diretti indiretti, ecc.), lo stile di
management (modalità di comunicazione, utilizzo incentivi, ecc.), le caratteristiche della
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tecnologia produttiva utilizzata e i risultati aziendali. L’analisi dei dati raccolti nel loro complesso ha evidenziato una grande varietà delle soluzioni organizzative, che non presentano
peraltro alcuna correlazione significativa con i risultati aziendali. Solo raggruppando le aziende in termini di tecnologia adottata, si ottiene una chiara correlazione tra caratteristiche
organizzative, tipo di tecnologia e successo aziendale. Woodward ha proposto una classificazione cioè una “scala di misurazione” della tecnologia produttiva, basata sul grado di continuità della produzione, cioè del grado in cui il flusso materiale è continuo nello spazio (da
una fase di lavorazione/trasformazione alla successiva) e nel tempo (cioè lavorazione ininterrotta per 24 ore su 24). Le ipotesi sottostanti sono, da una parte, che il grado di continuità comporta un determinato grado di ripetitività della produzione (mentre non è vero il viceversa) e, dall’altra, che all’aumento della continuità corrisponde anche un aumento del
grado di meccanizzazione del processo produttivo.
La scala proposta identifica 9 sistemi di produzione, raggruppati in 3 classi, a cui si aggiungono 2 sistemi misti, come riportato in Figura 1
Figura 1 La scala tecnologica (Woodward 1965)
La ricerca ha evidenziato la relazione tra scala tecnologica e struttura organizzativa: le aziende che rientrano nella stessa classe di tecnologia (produzione unitaria e di piccola serie,
produzione di grande serie e di massa, produzione di processo) presentano caratteristiche
organizzative simili. In particolare:
− il numero dei livelli gerarchici cresce lungo la scala tecnologica: il valore medio è 3 per le
produzioni unitarie e di piccola serie, 4 per le produzione di grande serie e di massa, e 6
per le produzioni di processo;
− l’ampiezza di controllo del dirigente di massimo livello, cioè il numero medio di responsabili direttamente dipendenti da lui, è rispettivamente di 4, 7 e 10;
− l’ampiezza di controllo del supervisore di prima linea aumenta man mano che si passa dai
sistemi produttivi contenuti nella prima classe (il valore medio per la produzione di unità su commessa è 8) a quelli della seconda classe (il valore medio per la produzione di
massa è 56), per poi tornare drasticamente a diminuire nella terza classe (per la produzione a flusso continuo di liquidi, gas e sostanze cristalline la media è 11);
− il numero dei subordinati diretti dei quadri intermedi diminuisce con la scala tecnologica
(range di 22-37 per le produzioni unitarie e di piccola serie, 14-18 per le produzione di
grande serie e di massa, 7-8 per le produzioni di processo);
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− la percentuale dei costi di manodopera rispetto al totale dei costi è minima nelle industrie di
processo (il 14% in media, contro il 34% nelle produzioni di grande serie e di massa e il
36% nelle produzioni unitarie e di piccola serie);
− la divisione tra lavoro indiretto e diretto presenta per le industrie di processo un rapporto
medio di 1:1, mentre per le altre classi si ha rispettivamente 1:4 per le produzione di
grande serie e di massa e di 1:9 per le produzioni unitarie e di piccola serie;
− il rapporto tra posizione di linea e posizioni di staff diminuisce con la scala tecnologica: il valore medio è 1:8 per le produzioni unitarie e di piccola serie, 1:5,5 per le produzione di
grande serie e di massa, e 1:2 per le produzioni di processo.
Le imprese che avevano maggiore successo nelle diverse classi tecnologiche presentano valori dei diversi parametri organizzativi vicini ai valori medi che caratterizzano la classe tecnologica di appartenenza.
Un altro aspetto studiato dalla Woodward è quello del sistema di controllo manageriale, che
viene considerato come variabile interveniente tra tecnologia e organizzazione (Woodward,
1970). Viene proposta una tipologia dei sistemi di controllo basata su due dimensioni (Figura 2):
− la natura personale o impersonale del controllo: da una parte il controllo personale, legato alla
supervisione diretta; dall’altra, il controllo impersonale che può essere di tipo amministrativo, basato su meccanismi quali programmi, budget, procedure o di tipo meccanico, incorporato nelle macchine e negli impianti;
− il carattere unitario o suddiviso del controllo, in relazione al fatto che i vari metodi di determinazione degli standard e i meccanismi di misura, verifica delle deviazioni e definizione
degli interventi correttivi, esistenti nell’organizzazione, costituiscano un unico sistema
integrato di controllo manageriale oppure non siano collegati tra loro.
Figura 2 Tipi di sistemi di controllo manageriale (tratto da Wooward, 1970)
In base ai dati della ricerca del South Essex, le produzioni di processo si collocano al 95%
nella tipologia A2 (controllo impersonale e unitario) e per il 5% nella categoria B2 (controllo impersonale e suddiviso); le produzioni unitarie per il 75% nella categoria A1 (controllo
personale e unitario) e per il 25% nella B1 (controllo impersonale e unitario); le produzioni
di grande serie e di massa si distribuiscono in tutte le categorie, concentrandosi tuttavia nella B1 per il 35% e nella B2 per il 40%. Le indicazioni che vengono tratte sono che al crescere della scala tecnologica:
− cresce il grado di esplicitazione degli obiettivi e le possibilità di controllo in relazione
alla diminuzione dell’incertezza delle attività produttive e si passa dai sistemi di controllo di tipo suddiviso e personale a quelli unitari e impersonali;
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− si passa da situazioni caratterizzate da controlli di tipo personale a quelle con controlli
di tipo meccanico e le attività di progetto e di programmazione tendono a separarsi da
quelle di esecuzione; nel caso di produzioni di processo la progettazione degli impianti
è sovente affidata ad altre organizzazioni (società di ingegneria);
− cambia il compito degli operatori: da esecutori e controllori del proprio lavoro a controllori dell’impianto; gli operatori diventano regolatori di situazioni e sistemi di lavoro,
facendo fronte alle varianze tecniche e agli imprevisti e ne consegue una maggiore responsabilizzazione e autonomia dei gruppi di lavoro;
− il numero dei livelli gerarchici cresce, ma questo è legato all’aumento della complessità
tecnica; il controllo gerarchico personale diventa soprattutto un controllo sui risultati;
aumenta il ruolo dei gruppi specialistici di supporto.
Le tesi della Woodward sono state messe in discussione in ricerche successive, a partire soprattutto dalle definizioni di tecnologia e di scala di misura della tecnologia. La stessa Woodward propone, in lavori successivi, di raffinare la classificazione della tecnologia, utilizzando parametri come il grado di variazione nel tempo della gamma dei prodotti, il grado di
intercambiabilità dei componenti, il grado di complessità del prodotto (numero di stadi di
produzione e assemblaggio dai componenti al prodotto finito) (Woodward, 1970). L’ampio
programma di studi sviluppato dai ricercatori dell’Università di Aston si è basato su una diversa definizione e classificazione della tecnologia. I risultati di tali ricerche hanno portato a
evidenziare, da una parte, una limitata correlazione tra tecnologia e struttura organizzativa
e, dall’altra, un’influenza rilevante della dimensione dell’organizzazione sugli assetti organizzativi (Pugh et al., 1968).
Sul filone della Woodward, Hayes e Wheelwright (1984) hanno approfondito e articolato
l’analisi della tecnologia con la matrice prodotto-processo, che mette in relazioni le caratteristiche
dei prodotti (varietà e volume), con le caratteristiche dei processi produttivi (tipo layout e
livello di automazione) e le conseguenti implicazioni organizzative. Secondo tale modello,
vi è un necessaria coerenza tra varietà e volume dei prodotti (al crescere del secondo diminuisce la prima), tipo di processo (dal cantiere, al job shop, alla linea, al flusso continuo) e
tipo di organizzazione (da organizzazione di tipo organico - basata su supervisione diretta,
mutuo adattamento e strutture semplici – tipica del cantiere e del job shop, a organizzazione di tipo meccanico - caratterizzata da mansioni ristrette, standardizzazione dei processi
per la produzione in linea, per tornare poi a organizzazioni di tipo prevalentemente organico anche se con caratteristiche diverse - maggiore lavoro indiretto, standardizzazione delle
capacità oltre che dei processi, mansioni professionalizzate- per la produzione a flusso).
Tuttavia, queste classificazioni non permettono di tener conto delle conseguenze degli sviluppi delle tecnologie. L’informatizzazione, l’automazione flessibile, le tecnologie RFID
rendono possibili soluzioni organizzative che rompono la relazione rigida tra aumento del
volume, riduzione della varietà, tipo di layout e tipo di organizzazione, consentendo, ad esempio, produzioni in piccoli lotti su linee automatizzate, da una parte, e produzioni di
massa personalizzate dall’altra.
Uno schema interpretativo del rapporto tra tecnologia e organizzazione più potente, in grado cioè di tener conto dello sviluppo tecnologico e della differenti caratteristiche delle tecnologie presenti nelle diverse unità organizzative, è quello proposto da Charles Perrow, basato su due dimensioni di analisi (Perrow, 1967). La prima è relativa al numero di eccezioni
nel lavoro, vale dire la frequenza con la quale si presentano situazioni percepite come non
familiari, inattese, problematiche. Questa dimensione può essere definita come varietà delle
richieste poste dalla tecnologia. La seconda dimensione riguarda il processo di indagine
(search process) che bisogna sviluppare per fronteggiare le eccezioni. Da questo punto di vista,
la tecnologia può porre problemi che si collocano su una scala tra due estremi: problemi analizzabili (cioè affrontabili secondo passi logici e procedure basate su dati e criteri di calcolo)
oppure non analizzabili (le modalità di ricerca della soluzione non sono conosciute, e ci si affida all’intuizione, alla congetture, all’esperienza).
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Incrociando le due dimensioni si ottiene lo schema riportato in Tabella 3, che identifica
quattro classi principali di tecnologia, che sono collegate a differenti caratteristiche
dell’organizzazione in termini di struttura dei compiti, struttura sociale e tipo di obiettivi
prevalenti.
Tabella 3 - La classificazione delle tecnologie secondo Perrow (1967)
Problemi non analizzabili
Problemi
zabili
analiz-
Poche eccezioni
Industrie a base artigianale
(es.: vetrerie di
qualità
Industrie routine (es: acciaierie
con
produzioni di
base)
Molte eccezioni
Industrie non
routine (es.: aerospaziali)
Industrie meccaniche (grandi
macchine)
Per i diversi tipi di tecnologia (che possono essere riferiti alla singola unità organizzativa
all’interno di un’organizzazione più ampia), è possibile identificare le caratteristiche strutturali e gestionali principali, in termini di grado di formalizzazione, livello di centralizzazione,
livello di competenza dei dipendenti, ampiezza del controllo, tipi di comunicazione e coordinamento. Per le industrie di tipo artigianale si ha una struttura prevalentemente organica
(con limitati livelli di formalizzazione e centralizzazione, importanza dell’esperienza sul
campo, ampiezza di controllo moderata e comunicazioni di tipo orizzontale e informali).
Per le industrie di tipo routinario la struttura è meccanica (alti livelli di formalizzazione e
centralizzazione, limitata formazione ed esperienza sul campo, elevata ampiezza di controllo e comunicazioni verticali e formalizzate). Per le industrie di tipo ingegneristico si ha una
struttura prevalentemente meccanica (con limitati livelli di formalizzazione e centralizzazione, importanza della formazione, ampiezza di controllo moderata e comunicazioni di tipo formale e informale). Per le industrie di tipo non routinario, la struttura è organica (con
bassa formalizzazione e centralizzazione, importanza dell’esperienza e della formazione sul
campo, ampiezza di controllo limitata e comunicazioni di tipo orizzontale).
Con l’avvento e la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, si è
aperto il filone di studi sul rapporto tra informatica e organizzazione. Tale problematica diventa uno dei temi centrali dello sviluppo delle teorie organizzative, come viene analizzato
nel testo, in particolare nel Capitolo 4. Ma già a partire dalla seconda metà degli anni cinquanta gli studi e le ricerche empiriche sulla tecnologia informatica si sviluppano secondo
tre filoni:
− l’impatto dell’informatica sulla qualità e il contenuto delle mansioni, in particolare sul
lavoro amministrativo;
− il rapporto tra informatica e struttura organizzativa (modifiche nel ruolo dell’alta direzione e del management intermedio, dinamica accentramento/decentramento)2;
2
Si vedano ad esempio Leavitt and Whisler, 1958 e Myers, 1967. Già nel 1958 Leavitt e Whisler previdero
che la combinazione della tecnologia informatica e dei metodi e strumenti della management science avrebbero portato alla fine degli anni ottanta a una forte contrazione del management intermedio, a una maggiore
centralizzazione nelle grandi organizzazioni e alla possibilità per il top management di dedicare più tempo alle
attività più creative. Tali affermazioni furono oggetto di forti critiche nel corso degli anni sessanta e settanta.
Ma già nel corso degli anni ottanta esse non venne più considerate così inverosimili.
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− la gestione del processo di cambiamento connesso all’introduzione dell’informatica
nell’organizzazione e in particolare il ruolo dei diversi attori in tale processo (alta direzione, tecnici progettisti, utilizzatori). In un famoso saggio del 1965, Boguslaw analizza
criticamente il ruolo dei progettisti dei sistemi informativi e dei modelli basati su calcolatore: tali tecnici, chiamati dall’autore “i nuovi utopisti” progettano sistemi che, in modo più o meno consapevole, definiscono vincoli e logiche di funzionamento del sistema
organizzativo e sociale subordinati all’ottimizzazione del sistema tecnico, dando forma
in tal modo a quelle che l’autore chiama “nuove utopie”.
In questa prospettiva di determinismo tecnologico si collocano la maggior parte delle metodologie di analisi e progettazione dei sistemi informativi che si sono ampiamente diffuse
congiuntamente alla diffusione delle tecnologie stesse. Le critiche a tali approcci, inizialmente soprattutto di matrice socio-tecnica3, evidenziano il ruolo e l’importanza della scelta
organizzativa, cioè della possibilità di ricercare soluzioni organizzative in presenza
dell’utilizzo di una data tecnologia: secondo tale impostazione le ICT diventano un formidabile fattore abilitante che consente soluzioni organizzative e livelli delle prestazioni non
possibili senza l’uso appropriato della tecnologie stesse
Si veda ad esempio la metodologia socio-tecnica di individuazione dei fabbisogni informativi proposta in De
Maio et al., 1982.
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Riferimenti bibliografici
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Daft R. L., 2007, Organizzazione aziendale, Apogeo, Milano.
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Leavitt, H., Whisler, T.,1958, “Management in the 1980’s.” Harvard Business Review, November-December, p.41-48
Myers C. A., 1967, The Impact of Computers on Management, The MIT Press, Cambridge, Mass.
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Pugh D.S., Hickson D.J., Hinings C.R., Turner C., 1968 “Dimensions of Organization
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Woodward J. (ed.), 1970, Industrial Organization: Behavior and Control, Oxford University
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