103 Torna all’indice Interazioni radiazione materia Introduzione I termini "radiazione" e "particella" richiedono un chiarimento. Per "radiazione" intendiamo energia elettromagnetica che si propaga nello spazio, ma con riferimento a quell'intervallo di frequenze più alte dello spettro visibile; tipicamente dai raggi X in poi. Il campo del visibile, delle microonde, dell'infrarosso e delle radiofrequenze è escluso. Quindi, per i nostri scopi, la radiazione può essere descritta da un flusso di quanti, i fotoni, con energia E = hν ed impulso p = hν/c, essendo ν la frequenza della radiazione. Questi quanti interagiscono con le cariche elettriche con una probabilità che è dell'ordine dell'interazione tra due cariche. Il termine "particella" comprende tutte quelle entità composte di materia (energia) alle quali possono essere assegnate proprietà classiche discrete e quantistiche come la massa a riposo m0, lo spin s, la carica q, la vita media τ, ecc.. L'uso del termine particella non è sempre chiaro: parliamo di molecola di idrogeno, mentre quando ci riferiamo al nucleo dell'atomo di idrogeno, il protone, lo chiamiamo particella. L'elettrone, il neutrone, il neutrino, il mesone π, ecc. sono dette particelle; ugualmente però usiamo lo stesso termine per i frammenti di fissione, per i nuclei di elio (particelle α), e per gli ioni pesanti. Possiamo visualizzare allora una particella, in generale, come un punto massivo che descrive una certa traiettoria sotto l'influenza di forze esterne e di certe condizioni iniziali. Questo è un "modello" molto utile per i nostri scopi e in molti calcoli. Le interazioni tra le particelle sono regolate da quattro forze fondamentali: quella elettromagnetica, l’interazione debole, l’interazione forte e la gravitazionale. Alle diverse interazioni è possibile associare delle costanti di accoppiamento, adimensionali, che ci danno una misura della "forza" con cui l'interazione agisce. In base al valore di questa costante abbiamo la seguente tabella: g0 = 0.1 ÷ 0.15 Interazione forte Riguarda le forze nucleari tra protoni e neutroni, per esempio. Interazione elettromagnetica g0 = α = 1/137 (e2/ h c) Avviene tra particelle cariche. g0 = 10-5 Interazione debole Un esempio è il decadimento β.(n → p + e- + (G M2p) f νe ) Interazione gravitazionale g0 = 10-39 Questo valore è stato ricavato dalla forza tra due protoni. Le particelle interagenti con la materia possono, a loro volta essere divise in due classi: particelle cariche e neutre. Appartengono alle particelle cariche il protone, α, k, π, µ, elettrone e positrone, ecc; mentre in quelle neutre rientrano il neutrone, γ, ecc. In realtà ai fini dell'interazione con la materia gli elettroni si comportano in modo assai "simile" ad un γ piuttosto che alle altre particelle cariche, mentre il neutrone si comporta in modo diverso da tutte le altre. 104 Interazione di particelle cariche Cerchiamo di dare una descrizione generale "unificata" di tutti i processi coinvolti. L'approccio, date le finalità sperimentali del corso è, ovviamente, semi classico. Vedremo come quasi tutto ciò che interessa l'interazione dei carichi con la materia possa essere derivato dalla Diffusione coulombiana singola. L'interazione delle particelle cariche e dei fotoni con la materia è essenzialmente di tipo elettromagnetico. Essa conduce ad una riduzione dell'energia della particella entrante nel materiale (con la variazione della sua direzione) o nell'assorbimento del fotone. Le particelle accoppiate con il campo nucleare ( interazione forte), come i protoni, i neutroni, i mesoni π, i nuclei, sono soggetti a interazione nucleare che però ha una distanza di interazione (range) molto minore di quella relativa all'interazione e.m.. Quindi l'interazione nucleare diventa importante solo quando la particella ha sufficiente energia da superare la barriera coulombiana dovuta alla carica elettrica del nucleo e quando lo spessore di materiale attraversato è sufficientemente grande da essere confrontabile con il libero cammino medio nucleare (∼ 60 g/cm2) che per il 208Pb con densità ρ ∼ 12 g/cm3 dà 5 cm. Le particelle pesanti (p, π, µ) perdono energia essenzialmente attraverso urti (elettromagnetici) con gli elettroni atomici del materiale, mentre per gli elettroni la perdita avviene sia attraverso collisioni con gli elettroni del mezzo sia per irraggiamento (bremsstrahlung) dovuto alla variazione della traiettoria provocata dal campo elettrico del nucleo. I fotoni invece, danno luogo all’effetto fotoelettrico interagendo con gli elettroni legati degli atomi del mezzo, all’effetto compton quando collidono con gli elettroni quasi liberi delle shell atomiche più esterne e, a più alta energia ( > 1 MeV ), interagiscono col campo elettrico del nucleo creando coppie elettrone-positrone. Alcune definizioni importanti Sezione d'urto Consideriamo un flusso di particelle (o radiazione) che investe un singolo centro di diffusione. Allora definiamo sezione d'urto σ per diffusione (scattering) da una singola particella (centro di diffusione), il rapporto: σ= flusso diffuso flusso incidente per unità di area allora σ ha le dimensioni di una superficie e può essere immaginata come l'area del centro di diffusione proiettata sul piano normale alla direzione del flusso incidente. Se ora indichiamo con n la densità dei centri diffondenti (particelle/cm3 o nuclei/cm3), in uno spessore dx di materiale vi saranno ndx centri per unità di area. Quindi la probabilità, dp, che si abbia un'interazione nello spessore dx sarà: I σ flusso diffuso dp = s = quindi: dp = I 0 flusso incidente I0 S ⋅ Sndx = σndx I0 dalla quale si deduce che la probabilità di avere una collisione è proporzionale a ndx cioè al numero di centri diffusori per unità di superficie. Allora la sezione d'urto σ è quel fattore che trasforma la proporzionalità in uguaglianza. Le sezioni d'urto atomiche e nucleari σAt.Nuc. sono dell'ordine di 10-24 cm2 (barn), valore non sorprendente se si considera che la sezione geometrica di un nucleo di raggio r pari a circa 1 fm è: σ Geo = π r 2 = 3.14 10 -26 A 2/3 cm 2 105 Sezione d'urto differenziale Per un singolo centro diffusore definiamo: dσ (θ , ϕ ) flusso diffuso nell' elemento dΩ a θ e ϕ = dΩ flusso incidente per unità di superficie Ne segue che: 2π π dσ σ = ∫ dϕ ∫ d (cos θ ) 0 0 dΩ se dopo la diffusione le particelle hanno energie diverse ossia possono avere una varietà di energie possibili, allora definiamo: 2 d σ (θ , ϕ ) flusso con energia tra E ed E + dE diffuso nell' elemento dΩ a θ e ϕ = dΩdE flusso incidente per unità di superficie ne segue che: dσ (θ , ϕ ) ∞ d 2σ (θ , ϕ , E ) = ∫ dE dΩ dΩdE 0 in cui l'integrazione è estesa a tutte le energie del flusso diffuso. Coefficiente di assorbimento Consideriamo un flusso di particelle per unità di area I0, incidente su un materiale di spessore t. Se indichiamo con I(x) il flusso presente alla distanza x dalla superficie di impatto nel materiale allora la "variazione" del flusso alla quota x, -dI(x), per aver attraversato lo spessore infinitesimo dx a causa del processo di diffusione, sarà data dal prodotto del flusso stesso per la probabilità dp di avere avuto una diffusione nel tratto infinitesimo dx. Porremo quindi: -dI(x) = dp I(x) ma essendo dp = σndx si ha : -dI(x) = −σnx I(x)σndx, per cui si avrà, integrando: I ( x) = I 0e (Si è posto la costante d'integrazione uguale al valore iniziale dell'intensità, cioè I(0) = I0.) L'equazione ottenuta rappresenta il flusso che sopravvive dopo lo spessore x, o semplicemente il flusso alla quota x di materiale attraversato. Si può facilmente ricavare il seguente rapporto: I ( x) = e −σnx che rappresenta la probabilità di sopravvivenza dei componenti del flusso incidente I0 alla generica quota x e quindi, la probabilità di diffusione in tutto lo spessore t, sarà: p(t) = 1- probabilità di sopravvivenza in t cioè: p(t ) = 1 − e −nσt che è la probabilità di diffusione in t. La grandezza fisica: n⋅σ = k [L-3 L2 =L-1] è detta coefficiente di assorbimento, mentre il suo inverso: 1 =λ nσ [ L] è detto cammino libero medio o lunghezza di assorbimento. La densità dei centri diffusori, n, si può scrivere nel seguente modo: n=ρ N0 A se i centri di diffusione sono i nuclei 106 ne = ρ N0 Z se i centri di diffusione sono gli elettroni A essendo: N0 il numero di Avogadro; ρ la densità ; A il numero di massa; Z il numero atomico del materiale. Si vede quindi che le due grandezze fisiche introdotte, k e λ, dipendono sia dal tipo di processo, attraverso la σ, sia dal materiale, tramite n. E' spesso utile esprimere lo spessore di materiale, anziché in centimetri, come " massa equivalente attraversata " ossia in g/cm2, così avremo lo spessore: dξ[ g/cm2 ] = ρ[g/cm3]dx[cm] Il coefficiente di assorbimento, k, è spesso espresso anch'esso in termini " massivi " e si introduce allora il " coefficiente di assorbimento di massa ": k µ= ρ e quindi la probabilità di " sopravvivenza " o la frazione di cm -1 cm 2 I = = e −µξ flusso non assorbita si può riscrivere: 3 g I0 g cm Diffusione Coulombiana Singola da Nuclei Limiti per un approccio classico Assumiamo che il nucleo non si muova apprezzabilmente in seguito al passaggio della particella di carica ze, rmassa m e velocità v, allora l'impulso trasferito dalla particella al nucleo dovuto al campo elettrico E della particella passante è: +∞ +∞ +∞ dt Ze +∞ ∆p = ∫ F⊥ (t )dt = Ze ∫ E⊥dt = Ze ∫ E⊥ ( )dt = ∫ E⊥dx dx v −∞ −∞ −∞ −∞ D'altronde, applicando il teorema di Gauss al cilindro che ha per asse la traiettoria della particella si ha: +∞ r 4πze = ∫ E ⋅ dS = ∫ E ⊥ 2πbdx −∞ da cui: +∞ 2 ze ∫ E ⊥ dx = b −∞ e, l'impulso trasferito: Ze +∞ 2Zze 2 ∆p = ∫ E ⊥ dx = v −∞ bv Si è considerato solo E⊥ in quanto la componente parallela alla traiettoria si annulla, per simmetria, da -∞ a +∞. Questa descrizione è significativa dal punto di vista del principio di indeterminazione, se l'incertezza con cui conosciamo la posizione della particella, ∆b, è minore di b. Cioè: se ∆b < b → ∆b/b < 1 approccio classico D'altronde dal principio di indeterminazione sappiamo che: ∆b⋅∆p ∼ h per cui ∆b ≅ h <b ∆p 107 Sostituendo il ∆p trovato abbiamo: hbv 2Zze 2 <b ovvero hβc 2Zze 2 <1 Zze 2 >≈ 1 quindi la condizione per un approccio classico del processo è: hβc Vediamo con i numeri. La costante di struttura fine α è: 2 −38 α= 2.6 ⋅10 1 e ≈ ≅ 4πε 0 hc (12.56) 2 ⋅10 −12 ⋅ 10 −34 ⋅ 3 ⋅ 10 8 137 allora la condizione per un approccio classico sarà: Zz e 2 Zz Zz = α >1 ⇒ > 137 β hc β β per una particella con z = 1 ( non così rare visto che stiamo parlando di µ, e, p,..) sarà: Ricordando che ET = mγ con γ = 1 1− β 2 Z > 137 . β risulta che per nuclei leggeri e medi (Z =1 ÷ 40), β deve essere compreso tra 0.1 e 0.01. Diffusione Coulombiana Singola Questo processo può essere schematizzato come un urto elastico di una particella di carica ze e massa M con un nucleo di carica Ze e massa m. Abbiamo già visto r i limiti di validità dell'approccio classico e abbiamo calcolato l'impulso ∆p che il campo E , dovuto alla particella incidente, trasferisce alla particella bersaglio. Consideriamo il caso in cui il bersaglio è costituito da un nucleo e calcoliamo la sezione d'urto differenziale del processo di diffusione. Osserviamo che la traiettoria della particella è un'iperbole e che il nucleo è nel fuoco interno se la forza è attrattiva (ze < 0), è invece esterno se la forza è repulsiva (ze > 0) Caso di forza repulsiva Volendo calcolare la sezione d'urto differenziale di questo processo possiamo procedere nel seguente modo. La dσ, vista come elemento di superficie è: 2πbdb. All'angolo θ, nell'angolo solido elementare dΩ = 2πsinθdθ si ha: dσ 2πbdb bdb = = . Bisogna perciò cercare dΩ 2πsinθdθ sinθdθ db b con b parametro d'urto. dθ 108 L'impulso trasferito al nucleo era: ∆p = 2 zZe 2 bv Ma, a causa dell'urto, la particella incidente con impulso p, subisce una variazione nel suo impulso. Dall'analisi della figura ricaviamo, nell'ipotesi che pi ≈ pf ≈ p ∆p 2 = p i2 + p 2f − 2 p i p f cos θ (impulso trasferito al nucleo trascurabile) ∆p 2 = 4 p 2 sin 2 θ2 Con facili sostituzioni otteniamo: θ zZe 2 1 db zZe 2 cos 2 b= ⋅ ⇒ = pcβ sin θ dθ 2 pβc sin 2 θ 2 2 2 dσ zZe 2 1 = e quindi ⋅ dΩ pβc 4 sin 4 θ 2 dalla quale si vede la maggiore probabilità per le piccole deviazioni. La particella nell'attraversare il mezzo subisce molte deviazioni di piccola entità. Questo ci costringerà a trattare il caso di diffusione coulombiana multipla. Mettendo le opportune unità di misura la sezione d'urto si può anche scrivere nel seguente modo: 2 2 dσ dΩ µ = 0 = 5.19 [ z Z ] ⋅ 1 (mb ster ) p ( Mev ) ⋅ β sin 4 θ s =0 c 2 i deponenti s,µ stanno ad indicare che questa formula è valida per particelle con spin e momento magnetico nulli. Per valori diversi di s, µ esistono dei fattori correttivi applicati soprattutto a energie relativistiche dσó dσ ó = ⋅F dΩÙ ì µ ≠ 0 dΩÙ s = 0 µ =0 s ≠0 Vediamo alcuni valori di F.* SPIN 0 1 2 0 1 1 2 ≥1 1 1 1 * vedi µ W. Pauli Rev. Mod. Phys. 13,203 ≥1 F 1 1 − β SIN 2 2 θ 2 (µ − 1)2 SIN 2 θ2 1+ β 4 SIN 2 θ 2 6(1 − β 2 ) 4( N − 1) 2 SIN 2 θ 2 3(1 − β 2 ) 109 Abbiamo già visto che una particella carica che attraversa un assorbitore subisce numerose diffusioni angolo di uscita della particella dal materiale ma di che sarà dato dalla radice quadrata dell'angolo quadratico medio che si può esprimere attraverso la distribuzione di probabilità derivata diffusione coulombiana. P(θ θ è il numero di urti con deviazione compresa tra e θ θ. ∞ 2 2 θ = ∫ θ ⋅ P(θ )dθ 0 Il primo a trattare il problema quantitativamente fu E.J.Williams** Costruiamo questa funzione partendo dalla diffusione singola, poiché è connessa con la causa della deviazione. 2 2 dσ zZe = dΩ pβc 1 ⋅ 4 sin 4 θ 2 Questa rappresenta la frazione di particelle del fascio incidente, diffusa nell'angolo solido elementare dΩ all'angolo θ; o, in altri termini, la probabilità che una particella di carica ze ed impulso p venga diffusa, in un singolo urto, nell'angolo solido elementare dΩ da un nucleo di carica Ze. Se il materiale attraversato è costituito da No/A centri diffusori e se la particella attraversa lo spessore dx, allora possiamo scrivere : P(θ )dΩdx = No A dσ ⋅ ⋅ dΩdx dΩ c n °at. cm 2 g ⋅ ⋅ ster. ⋅ 2 g ster. cm che rappresenta la probabilità che la particella venga diffusa nell'angolo solido dΩ nell'attraversare lo spessore dx e in cui No è il numero di Avogadro e A è il peso atomico del mezzo attraversato. Poiché la maggior parte degli urti avviene con piccole deviazioni allora calcoliamo il < θ 2 > per angoli piccoli. Quindi sinθ∼θ (approssimazione di molti urti con piccole deviazioni) ed otteniamo: z 2 Z 2 e 4 N o dθ P(θ )dθ = 8π ⋅ ⋅ 2 3 A ( pβc ) [ ] θ per cui il < θ 2 > nell'attraversare lo spessore x g cm 2 diventa: 2 2 zZe 2 No θ = 8π pβ c ⋅ +∞ ⋅ x ⋅ ln θ 0 A Ci sarebbe una divergenza logaritmica per θ = 0 che può essere rimossa ponendo dei limiti fisici ragionevoli su θ con il seguente ragionamento. • La dσ è stata calcolata per un nucleo puntiforme. Invece il nucleo atomico ha una dΩ c dimensione finita che, approssimativamente, si può esprimere come: 1 r Rn = o ⋅ A 3 ∼ 1.4 10 13 A1/3 cm 2 ** vedi Proc. Roy. Soc. A169,531,(1939) ; Phys. Rev. 58,292 (1940) 110 in cui ro = e2 4πε 0 mc 2 ≈ 2.8 ⋅10 −13 cm è il raggio classico dell'elettrone e A1/3 deriva dal fatto sperimentale che il volume di un nucleo atomico cresce proporzionalmente al numero di nucleoni A. • Quando la particella carica passa ad una distanza dal nucleo maggiore del raggio atomico Ra ,"vede " la carica del nucleo schermata dagli elettroni orbitali, cioè ridotta. Dal modello statistico di Thomas-Fermi dell'atomo si ottiene il seguente raggio atomico: −1 r0 Ra ≈ 2 ⋅ Z 3 α • La meccanica ondulatoria ci insegna che ad ogni particella con impulso p è associata un'onda la cui lunghezza è data dalla relazione di De Broglie: λ = • h p Nell'ipotesi che l'onda associata alla particella proiettile non sia apprezzabilmente perturbata nell'avvicinarsi al nucleo, è possibile esprimere l'angolo θ di diffusione, corrispondente ad un determinato parametro d'impatto r, come: θ = λ / r che, classicamente, rappresenta anche l'angolo di diffrazione di un'onda di lunghezza λ che investe un oggetto di dimensioni lineari r. E' chiaro quindi che i limiti entro cui ci dovremo aspettare sensibili variazioni di θ sono tra il raggio nucleare Rn e il raggio atomico Ra confrontati con la lunghezza d'onda di De Broglie λ della particella. λ = θ m e una massima deviazione per : Ra R θ λ θ≈ = θ M . Da cui, è facile vedere che : M = a e si può allora scrivere : Rn θm Rn Avremo quindi una minima deviazione per : θ ≈ θ avendo tenuto conto che 2 2 z 2 Z 2e 4 N o = 8π ⋅ ⋅ x ln 2 1 A ( pβ c ) 2 α ( ZA) 3 2 Ra = Rn α 2 ( zA) 13 L'argomento del logaritmo può essere trasformato nel seguente modo: 2 2 1 2 1 6 1 1 6 − − 1 2 2 (ZA)− 6 = 2 Z 1 Z 3 ≅ 193 Z Z 3 = 1 A α α A 6 α 2 ( ZA) 3 Abbiamo così : < θ 2 >= 16π Z 16 − 1 z 2 Z 2e4 N o x ln 193 Z 3 ⋅ ⋅ ( pβc ) 2 A A Tenendo conto che il rapporto Z/A varia, dai nuclei leggeri a quelli pesanti, nell'intervallo (1/2) 1 Z 6 ≤Z/A≤1/(2.5), si può scrivere: 193 ≈ 183 e quindi: A θ 2 = 16π −1 z 2Z 2e4 N o ⋅ ⋅ x ln 183 ⋅ Z 3 A ( pβ c ) 2 111 Spesso, per comodità, si è soliti introdurre la grandezza fisica lunghezza di radiazione Xo (caratteristica del materiale): [ ] −1 N 1 ≅ 4α Z 2 ro2 ln 183 ⋅ Z 3 cm-1 Xo A per esprimere più semplicemente il < θ 2 > [1] : θ 2 ≅ z2 E s2 x ⋅ MeV 2 2 X o ⋅β c p2 c [1] 1 4π 2 E s = ⋅ mc 2 ≅ 21.2 MeV . α dove Es è una quantità costante che vale: Si arriva infine ad una formula pratica per l'angolo medio di diffusione: 1 21.2 x 2 2 θ ≅z MeV ⋅ βc p c ⋅ Xo L'assunzione che la deviazione media è composta da un gran numero di diffusioni piccole, se comparate con la media, conduce alla conclusione che, su un cammino di lunghezza finita, la somma delle deflessioni ha una distribuzione gaussiana. Per piccoli angoli di deflessione la θ 2 , ora calcolata rappresenta una buona stima della reale deflessione. Per angoli grandi la deflessione è quella data dalla diffusione singola. Assumiamo la seguente distribuzione Gaussiana (non proiettata): 2 − θ 2 θ2 2θ W (θ )dθ = θ e dθ in cui < θ 2 > , dedotta in modo più accurato: θ θ 2 = 2θ12 ln 1 θm N Z ( Z + 1) 2 4 con θm ≅ λ/Ra (quello da noi calcolato) e θ 1 = 4π z e x A ( pβc ) 2 Il < θ 2 > è molto simile al precedente calcolato ed ha un preciso significato fisico. Esso rappresenta l'angolo per il quale vi è, in media, una sola collisione con angolo θ > θ1. Risulta quindi : 4 3 0 . 157 ( Z + 1 ) Z Z x θ2 = ⋅ z2 z 2 x ln 1.13 ⋅ 10 4 ⋅ 2 2 A A( pβc) in cui il fattore 0.157 = 4π 1 Ne 4 [esu ] 2.56 ⋅10 −12 β [ e pβc [MeV] e x g cm 2 vedi B. Rossi-K. Greisen: Revs. Mod. Phy. 13,240 (1941) ] 112 L'espressione approssimata [1] funziona bene per spessori relativamente grandi e maggiori di 2 1 137 3 2 2 x o = 6.7 A g cm . Per piccoli spessori la [1] sovrastima < θ > Z [ ] Alcuni valori di xo: 110 g/cm2 Pb xo = C xo = 8000 g/cm2 E' spesso utile considerare gli angoli θx, θy, cioè le proiezioni dell'angolo θ sul piano xy perpendicolare alla direzione di volo della particella. La distribuzione di θx è ancora Gaussiana : − Px (θ x )dθ x = 1 1 2π θ 2 2 x e θ x2 2 θ x2 dθ x La distribuzione per θy ha la stessa forma di θx. 2 F (α ) F2 (α ) W (θ )2πdθ = 2e −α + 1 + + ....αdα 2 B B Ancora per piccoli spessori, ma in un intervallo di velocità della particella incidente intermedio tra bassa (approccio classico) e relativistico, una trattazione più sofisticata è stata fatta da Moliere[2] che dà una distribuzione del tipo : in cui: α= θ χ B ; χ= σ E + mc 2 mc 2 A − mc 2 E + mc 2 44.8Z ed E rappresenta l'energia cinetica, σ = g/cm2 e B è una misura del numero medio di collisioni; le funzioni F1 e F2 .. sono tabulate e per i valori esatti si rimanda alla referenza Con questo calcolo si arriva ad un valore di < θ 2 > sotto radice pari a[3] : 1 0.982 0.117 2 2 2 = χ B ⋅ 1 + + + ... θ 2 π B B Per una dettagliata esposizione sul singolo e multiplo scattering si può vedere: W.T.Scott. Rev. Mod. Phy. 35,231 (1963). Si veda Y. Goldschiidt -Clermond Nuovo Cimento 1,220 (1950) 2 3 Z.Naturforsch 3,78 (1948) Siegbann "alfa,beta and gamma ray spectroscopy" North-Holland Publ.comp. (1965) 113 Perdita di Energia per Ionizzazione Consideriamo ora lo stesso tipo di processo e.m. di diffusione coulombiana in cui il centro di diffusione non è più il nucleo, ma gli elettroni degli orbitali atomici. Sono naturali le seguenti considerazioni: 1. Essendo il processo formalmente identico possiamo usare la formula della sezione d'urto già ricavata. 2. Occorre però apportare le seguenti modifiche dettate da considerazioni di carattere fisico: • La massa del centro di diffusione, Mbers, ossia l'elettrone, ora non è molto più grande della massa della particella proiettile. Anzi ora Me è molto minore, a meno che il proiettile non sia un elettrone. Quindi: bers. M pro. << M Allora l'energia cinetica trasferita nell'urto: E = (∆p )2 2 M bers. non è più trascurabile, l'urto è anelastico, e la particella proiettile, pur subendo una piccola deviazione, perde notevole energia in ogni urto. • Il numero di centri diffusori per unità di massa è diverso: ora non sono più No/A [at./g] bensì NoZ/A [elettroni/g]. Sembrerebbe quindi esserci un fattore moltiplicativo Z nella sezione d'urto, ma la carica del bersaglio è Z = 1 per cui la sezione d'urto è minore giusto di un fattore Z. Questo significa che, dal punto di vista della diffusione multipla, la presenza degli elettroni non giuoca, in genere, un ruolo importante tranne che nei materiali molto leggeri come quelli idrogenati in cui Z del nucleo è uguale a 1. Quindi una particella carica attraversando la materia, oltre a subire numerose piccole deflessioni da parte del campo del nucleo, lascia parte della sua energia per urti con gli elettroni atomici. Vogliamo ora calcolare l'energia media (si tratta ancora di un processo statistico) che una particella di massa m, carica ze, impulso p, rilascia attraversando un mezzo di spessore dx. Questa energia ceduta agli elettroni atomici provoca l'eccitazione e la ionizzazione degli atomi del mezzo lungo il percorso della particella. La successiva diseccitazione degli atomi, nei tempi e nei modi che verranno analizzati quando parleremo dei rivelatori a scintillazione, restituisce, in parte, sotto forma di fotoni l'energia assorbita. Dalla teoria della diffusione multipla avevamo dedotto, nel caso di piccole deflessioni (sinθ ∼ θ) la funzione di distribuzione P(θ). Considerando ora Z = 1 ed il numero di centri per unità di massa NoZ/A si ha: P(θ )dθdx = 8π z 2e4 ( pβc )2 Z N o dθ dx A θ3 La perdita di energia media dovuta agli urti anelastici per unità di percorso è, per definizione: − d E = ∫θθM Eθ ⋅ P(θ )dθ m dx essendo Eθ l'energia persa per singolo urto. Come abbiamo già detto la funzione di distribuzione P(θ)dθ è facilmente ricavabile dall'osservazione che il processo coinvolto, responsabile della perdita di energia, è simile alla diffusione coulombiana con la differenza che ora la particella passando vicino all'elettrone oltre a subire una deflessione (in questo caso trascurabile in seguito alla piccola 114 massa dell'elettrone rispetto a quella del nucleo) trasferisce all'elettrone un impulso ∆p ≅ pθ[4] e p 2θ 2 quindi una energia Eθ ≅ . La funzione di distribuzione assume la forma : 2m P(θ )dθdx = 8π z 2e4 ( pβc )2 Z N o dθ dx A θ3 e tenendo presente la Eθ si può allora scrivere ( dopo aver integrato): d E N θ 4πz 2 e 4 Z o ln M − = dx A θm me β 2 c 2 ion I limiti angolari di integrazione θm e θM si ricavano nel seguente modo. • In una descrizione classica del processo, la massima energia trasferita dalla particella di ′ = massa M all'elettrone di massa me vale : E M 4m e M (1 + me M) 2 E con E energia cinetica della p 2θ 2 particella incidente. Poiché, come abbiamo già visto, l'energia trasferita nell'urto è Eθ ≅ , 2m 2me con facili passaggi[5] e sotto l'ipotesi M >> me si ricava: θ M = M • Per θm occorre fare altre considerazioni. Se consideriamo un elettrone legato con frequenza vibrazionale ν (essendo hν il potenziale di ionizzazione I) una collisione, per impartire energia hν, cioè ionizzare gli atomi, deve avvenire in un tempo ∆t corto rispetto a T=1/ν. D'altronde il tempo di collisione è τ ≅ r/vγ se r è il parametro d'urto, v la velocità della particella e γ il fattore di Lorentz per tener conto della dilatazione del tempo della particella. Quindi il parametro d'urto massimo rM, o classicamente, l'estensione dell'oggetto che diffrange l'onda di lunghezza λ, si avrà nel caso limite quando τ ≈ T : rM 1 = vγ ν e quindi θm : θ m = ; rM = vγ ν θ λ hν mv 2 γ . Quindi il rapporto tra gli angoli diventa: M = 2 = rM pvγ θm hν e l'energia d E media persa per unità di percorso è: − dx = ion 4πz 2 e 4 me β 2 c 2 Z in cui hν è il potenziale di ionizzazione dell'atomo del materiale. realtà ∆p = 2psin(θ/2) ma poiché sinθ ∼θ allora ∆p ∼2pθ/2 ∼pθ 2 2 5 E ′ ≅ 4 m e E ≅ 4 me p = 2 p m e che va eguagliato a E M θ M M 2M M2 4In N o 2m e v 2γ ln A hv 115 Alcune osservazioni: 1. Il termine hν al denominatore del logaritmo rappresenta il potenziale di ionizzazione dell'atomo del materiale. Ovviamente esso va sostituito con un valore medio I = <hν> calcolato su tutti i livelli atomici. Alcuni valori sono: Elemento <hν> [eV] 4 63.4±0.5 Be 13 Al Cu 166.5±1 375.6±20 48 Ag 585.0±40 79 Au 1037±100 29 2. Questa formula è stata dedotta nel caso di piccole deflessioni della particella incidente (M >> me) quindi è valida solo per particelle pesanti (heavy particles). Per gli elettroni il termine logaritmico deve essere sensibilmente modificato. Infatti gli elettroni perdono energia essenzialmente attraverso collisioni con il campo elettrico del nucleo emettendo radiazione e.m. Questo processo è detto " Bremmsstrahlung ". 3. Per energie basse (zona B-C nella figura) l'andamento delle perdite varia molto rapidamente con la velocità della particella v a causa della diminuzione del tempo di collisione e quindi dell'energia trasferita. La sua espressione può essere scritta come: d E z2 m ∝ = z2 2 dx 2E v essendo m la massa della particella ed E la sua energia cinetica. Questa relazione è molto utile in quanto permette (quando è applicabile) di identificare la particella dalla misurazione della dE/dx e della E. d E E 4. dx ∝ z 2m Per energie cinetiche ancora minori ( E ~ 400 KeV), cioè: E = ET − m ; γ = ET E = +1 m m ; E = γ − 1 ≤ 0.1 m le perdite variano come 1/v. 5. Per energie cinetiche bassissime ( E < 25 KeV), (tratto A-B della figura) quando il tempo d'urto τ > T = 1/ν, l'energia trasferita diminuisce quasi linearmente con v. − d E dx ∝v 116 6. Nella regione relativistica (v ~ c) zona C-E della curva, il fattore 1/v2 diventa costante e il comportamento dipende dall'argomento del logaritmo. Risulta quindi un aumento di dE/dx con l'energia. Si viene cosi a determinare un punto di minimo nella curva ( punto C) per valori di β ~ 0.96. Si parla di particelle al minimo di ionizzazione ( MIP). 7. Quando invece l'energia della particella è molto alta, oltre la zona relativistica [γ >> 1] interviene il cosiddetto effetto densità o screening. Quando il parametro d'urto è maggiore di un raggio atomico, la particella esperimenta anche i campi dovuti agli altri atomi vicini. Ne risulta un indebolimento del campo effettivo " visto " dalla particella e quindi una minore perdita di energia. Poiché, come si può ricavare, la probabilità di avere grandi parametri d'urto è maggiore alle alte energie, lo screening interviene in tale regione. 8. Se espressa in termini di E/m = γ-1 la funzione d<E>/dx è una curva universale (per carica unitaria). Diversamente se messa in funzione dell'energia cinetica, occorre scalare per il rapporto delle masse ( vedi figura rapporto π/p) − d E dx ∝ z2 m 1 ≡ z2 2E 2(γ − 1) 9. Per quanto riguarda la dipendenza dal materiale, se si esprime lo spessore, come abbiamo fatto, in g/cm2, la dipendenza è: N d<E> − = f (β , I ) ⋅ z 2 o Z dx A cioè dipende da Z/A che è maggiore nei nuclei leggeri piuttosto che in quelli pesanti anche se la variazione è piccola. Se invece la esprimiamo in centimetri abbiamo: − e varia molto più rapidamente. N = f ( β , I ) ⋅ z 2 o Zρ dx[cm] A d E 1 Z 1 ≤ ≤ 2.5 A 2 117 Una funzione di distribuzione molto utile è P(E)dE poiché ci dà la probabilità che avvenga un urto con perdita di energia compresa tra E ed E+dE. La si può facilmente ricavare dalla P(θ)dθ ricordando l'energia trasferita in un urto dalla particella all'elettrone ed esprimendo la θ = θ(E) 2 2 E= p θ 2m con semplici sostituzioni si ricava P( E )dE = W dE E2 in cui W= 2πz 2 Ze 4 N o 0.15 Z 2 x≅ z x in [MeV]; con x [g/cm2] 2 2 A 2 A mβ c β L'energia media persa si ricava allora : E = ∫ EE M EP( E )dE = W ln ( E M Em ) m 2 E θ e tenendo conto che M = M si vede la congruenza di <E> con -d<E>/dx. 2 Em θ m Fluttuazioni nelle Perdite di Energia Ionizzante Le perdite di energia per ionizzazione sono soggette ad apprezzabili fluttuazioni a causa della natura statistica del processo di ionizzazione. Quindi nel progettare un esperimento occorre conoscere l'ammontare di tali fluttuazioni per sapere la massima precisione ottenibile dall'apparato. Vi sono due possibili casi: 1. Durante l'attraversamento la particella subisce un gran numero di collisioni con il massimo trasferimento di energia E nel singolo urto e l'energia totale persa è composta da tante piccole perdite di energia. In questo caso le fluttuazioni sono regolate dalla statistica Gaussiana. 2. La particella ha una bassa probabilità di trasferire la massima energia e, l'energia totale E persa, è minore di Emax quindi ci sono non molte collisioni e, di conseguenza, le fluttuazioni sono grandi. Questo caso è applicabile a particelle relativistiche per quasi tutti gli spessori e a particelle non relativistiche per piccoli spessori. In questo caso le fluttuazioni sono regolate dalla distribuzione di Landau. Determiniamo le condizioni per le due statistiche. Dalla P(E)dE si ricava P(E > Emax ) = ∫E∞ W max dE E2 = W Emax che rappresenta la probabilità di avere una collisione con trasferimento di energia Emax o il numero di urti con E > Emax. Quindi le condizioni sono : W/Emax >>1 Gauss W/Emax <<1 Landau considerando che : E max = 2 che diventa : (E + Mc ) + mc 2 ⋅ mc 2 − 2 mc 2 M 2 c 4 + m 2 c 4 + 2mc 2 E + Mc 2 2 ( ) 118 E max ≈ 2β 2 ⋅ mc 2 1− β 2 β4 e ponendo (1 − β 2 ) << 0.074t Z 1 ≅ si ricava : A 2 Gauss β4 (1 − β 2 ) >> 0.074t Landau che stabiliscono in quale modo fluttua il processo di ionizzazione in base al β della particella e allo spessore t [in g/cm2] di materiale attraversato Esempi. Gauss Un protone non relativistico β ≅ 1/3 (Ep ≅ 50 MeV) che attraversa x = 1 g/cm2 ha β4 ≅ 0.013 e quindi segue la statistica di Gauss. 1− β 2 Landau Un mesone µ con En = 1 GeV che attraversa x = 10 g/cm2 ha β4 ≅ 100 e quindi segue la 1− β 2 statistica di Landau. Fluttuazioni gaussiane La deviazione standard percentuale è: 1 Eeff . 2 σ = E E dove Eeff . = Emax E ln max Em e rappresenta l'energia effettiva persa per ogni urto. Quindi : N=<E>/Eeff numero di collisioni e poiché si sa che per una statistica gaussiana rappresenta l'effettivo 1 σ = si vede che, N N effettivamente, le fluttuazioni vanno come l'inverso della radice quadrata del numero di collisioni. Ricordando che : E m2v 4 ln max = ln 2 2 Em hv (1 − β ) si ha che per Z = 26 e β = 1/3 ) ln(Emax/Em) = 15 (Nel modello di Fermi-Thomas, in un sistema con i atomi , si può scrivere , per cui al denominatore del secondo membro al posto di <hv> va ZI con I costante quindi l'energia effettiva persa per urto è Eeff . ≈ EM . 15 Per g/cm2 un protone da Ep = 50 MeV , x = 1 di scintillatore 4m E E p ≅ 110 KeV per cui: E eff ≅ M ≅ 7 KeV . M 15 0.15 Z 2 E W= ⋅ z x ≅ 675 KeV si avrà: E (per grammo) = Wln M ≅ 10 MeV Em β2 A Emax = si ha: Poiché: 119 E Essendo il numero di collisioni pari a: N = Eeff ≅ 10 7 ⋅ 10 − 3 ≅ 1400 si ottiene una deviazione standard percentuale 1 σ = ≅ 3% N (1400) 12 Fluttuazioni di Landau In questo caso gli urti con grosso rilascio di energia sono poco probabili quindi <E> va calcolato integrando solo fino a circa 4 4W dE 4W W E ≅ ∫ E WE = W ln m E2 E min si può ricavare che la deviazione standard percentuale è: σ 2W ≈ che è indipendente dal materiale e dallo E E spessore. Questa è una tipica distribuzione di Landau per un protone di Ep = 3 GeV. Si può calcolare una σ ≈ 20% E Relazione Range-Energia Con questo termine (range) si intende il cammino che è necessario, ad una particella di energia Eo, entrando in un materiale, per perdere tutta la sua energia per ionizzazione. Abbiamo quindi: R dE E0 = ∫ dx 0 dx Si definisce R range della particella in quel materiale. Poiché: − N = f (β , I ) ⋅ z 2 o Z dx A d E allora: dE dx = − N z 2 0 Z f (β ) A e quindi: 0 R R = ∫ dx = − ∫ 0 dE E0 z 2 N 0 Z f (β ) A = E0 dE 1 ∫ f (β ) N z2 0 Z 0 A e poiché : E= allora: dE = m⋅ g(β)dβ e, quindi: 1 mβ 2 c 2 2 ; dE = mc 2 βdβ 120 R= β0 ( ) g β m dβ ∫ 2 N0 0 f ( β ) Z z A dalla quale si deduce che il range, a parità di β, è: • inversamente proporzionale alla carica al quadrato della particella. • proporzionale alla massa della particella • inversamente proporzionale alla densità elettronica: NoZ/A dE . dx ion Possiamo dedurre il valore del range dalla Infatti detta: f(E) = dE/dx allora dx = dE/[f(E)]. Integrando quindi si ha: dE R( E ) = − ∫E0 0 (− dE dx ) Allora definiamo R(E) range della particella in quel materiale. Poiché a basse energie si ha: − dE 1 ∝ dx ion E risulta: R ( E ) ∝ E 02 con Eo= energia della particella incidente. • Questo è valido fino ad energie cinetiche E ∼ mo. Oltre questo valore, in zona relativistica, poiché le perdite diventano pressoché costanti, allora f(E) = cost. e quindi: E0 R = ∫ dE ∝ E0 0 cioè cresce quasi in modo lineare con l'energia iniziale. • Per valori di energia più alti la relazione è del tipo E = kRn ma a causa delle grandi dE non è possibile dare una formulazione esatta teoricamente e fluttuazioni già viste nella dx ion ci si affida così a formule pratiche del tipo: ( ) ( ) R p E p = 1.0072 Rα 3.971E p − 0.20 [cm ] valida per protoni con 4 ≤ Ep ≤ 15 MeV oppure a: 3 R ≈ (0.005E + 0.285) ⋅ E 2 • Inoltre si può far uso della seguente considerazione: Poiché' 4 2 dE 4πθ z ∝ dx ion mV 2 NZ si ha che dr= M m 1 V 3 dV ( Z 2 4ðe 4 N o Z ln 2mV 2 I ) dove I e' il potenziale medio di ionizzazione; quindi, per uno stesso mezzo assorbitore, noto il range per una particella, si può' dedurre quello di qualsiasi altra (pesante). • Per energie maggiori di 15 MeV, il range per protoni può essere calcolato dalla formula empirica: 1.8 Ep R p = 100 9.3 • Bragg-Kleeman hanno proposto la seguente relazione per il range di una particella in mezzi diversi: 121 r1 ρ 0 = r0 ρ1 A1 A0 in cui ρ,A sono rispettivamente la densità e il numero atomico. In un composto si ha: A= n1 A1 + n 2 A2 + n3 A3 + ..... n1 A1 + n 2 A2 + n3 A3 + ... in cui n1,n2,n3,....sono le frazioni atomiche dei costituenti di peso atomico A1, A2, Per l'aria si ha : A0 = 3.82 ; ρ 0 = 1.226 ⋅10−3 gr/cm 3 r = 3.2 ⋅10 −4 @ 15 °C e 760 mmHg per cui si ha A r (aria) = K ⋅ r (aria) ρ Ecco alcuni valori tipici per scintillatori più usati ρ [g/cm3] K [10-4] 3.04 1.25 7.79 C14 H 12 2.98 1.16 8.21 NaI CsI ZnS 9.34 11.4 7.07 3.67 4.51 4.10 8.14 8.09 5.52 Scintillatore formula A Antracene C14 H 10 trans-Stibilene NaI CsI ZnS 122 Range per elettroni L'elettrone, nell'attraversare la materia, perde energia oltre che per eccitazione e ionizzazione, anche per radiazione. Quest'ultimo termine interviene ad energie piuttosto alte (relativamente). Per esempio un elettrone nel Pb ha una energia critica Ec pari a: m ≈ 9.7 MeV [Pb ] Z E c ≈ 100 MeV [aria ] E c = 1600 A causa della sua piccola massa l'elettrone, nell'attraversare un mezzo, subisce numerose deflessioni che lo costringono a fare un percorso molto tortuoso. Il cammino totale è circa 1.2 ÷ 4 volte la spessore attraversato. Quindi il concetto di range è diverso per particelle altamente ionizzanti e per elettroni. Per le prime esso coincide con lo spessore attraversato, per gli elettroni invece, esso corrisponde al cammino necessario per fermarlo. Per estrapolare il grafico si può usare la formula : r mg cm 2 = 530E [MeV ] − 106 [ ] Katz-Penfold,1952 • Per gli elettroni il range espresso in g/cm2 è praticamente indipendente dal mezzo attraversato. Katz-Penfold hanno dato la seguente espressione per il range pratico R p • se 0.01 ≤ E0 ≤ 2.5 MeV R p = 412 E 0n [mg cm ] 2 n = 1.265 − 0.954 ln E 0 • se 2.5 ≤ E0 ≤ 20 Me R p = 530E 0 − 106 [mg cm ] 2 Fluttuazione nel range A causa delle fluttuazioni di è di tipo gaussiano: dE anche il R ha delle fluttuazioni considerevoli. La distribuzione dx ion 123 − 1 P( R)dR = α π e (R − R0 )2 α2 dR che rappresenta la probabilità di una particella di definita energia iniziale, di avere un R compreso tra R e R+dR con : α 2= 2(R − R0 )2Av = 2∫ P( R)(R − R0 )2dR e con R0 = ∫E0 0 dE dE dx Range medio 2 Una espressione per (R − R0 )Av è stata ottenuta da Bohr per particelle con velocità iniziale molto alta. L'espressione è la seguente: −3 N E0 dE Z∫ dE A 0 dx 2 In pratica è difficile ottenere il valore (R − R0 )Av e quindi si preferisce ottenere la curva che esprime il numero di particelle sopravvissute in funzione dello spessore di materiale attraversato: N Si trova che la curva vale N = 0 per R=R0 . 2 Inoltre, in questo punto, la curva ha la sua massima pendenza pari a −α π . Conducendo la tangente a questo punto si ottiene il cosiddetto Range estrapolato Rext. (R − R0 )2Av = 4πe 4 con Rext . = R0 + 1 2α π La differenza Rext - Ro è il cosiddetto parametro di Straggling, S, definito nel seguente modo: S2 = π (R − R0 )2Av 2 Con questo parametro si avrà quindi una distribuzione della seguente forma: π − (R − R0 )2 1 2 4S P( R)dR = 2S e dR Esempio: protoni in aria: 100 S/Ro è Ro= 5 cm ; 2.13 per Ro= 10 cm ; 1.78 per Ro=100 cm Il rapporto S/Ro varia poco con Z. 124 Interazione dei γ con la materia I fotoni perdono energia o sono assorbiti nella materia fondamentalmente a causa di tre processi: 1. Effetto fotoelettrico, predominante a basse energie 0 < hν < 150 KeV 2. Effetto Compton, dominante ad energie intermedie hν < qualche MeV 3. Produzione di coppie e+e-, prevalente ad alte energie: hν> 2 me ( soglia) Poiché, come vedremo, tutti questi processi possono essere espressi in funzione della sezione d'urto di diffusione Thomson, determineremo questa in modo classico ma completo per poi derivare tutte le altre. Sezione d'urto Thomson Si tratta dell'interazione tra un'onda elettromagnetica (fotone) e un elettrone. Il processo Thomson riguarda l'intervallo di energie dell'onda e.m. corrispondenti a lunghezze d'onda λ molto maggiori del raggio classico dell'elettrone ro [ λ >> ro]. Ad esempio, prendiamo un fotone di energia E = hν = 100 KeV, che rappresenta un'energia tipica della shell K per materiali con grande numero di massa A. Ciò corrisponde ad avere: c = λυëí per cui: hc ≈ 200 MeV ⋅ fm ossia: λ= ; E= hc λë ; ë λ= hc E 1200 [fm ] = 12000 fm ; ro ≈ 2.8 ⋅10 −13 cm ≈ 2.8 fm 0.1 quindi fotoni da 100 KeV hanno λ >> ro. Fino ad energie dell'ordine del MeV o, se vogliamo avere un limite di carattere fisico, fino a E = hν ∼ mec2, la trattazione classica della diffusione Thomson non mostra rilevanti deviazioni dall'osservazione. Inoltre occorrerà tener conto, nell'interazione con l'elettrone, della natura ondulatoria dell'onda e.m. e si tratterà il processo come effetto Compton: Lo schema che dobbiamo tener presente quindi nel descrivere la diffusione Thomson è quello di un'onda e.m. piana polarizzata (è meglio supporla polarizzata per poi ricavare la sezione d'urto differenziale non polarizzata) linearmente che investe un elettrone, inizialmente fermo nell'origine di un sistema di coordinate. L'onda e.m. incidente lungo la direzione z con pulsazione ω è: r E = E 0 e i ( kz −ωt ) mette in oscillazione la carica elettrica( elettrone) secondo la direzione di polarizzazione del campo r E , sul piano z = 0. La sezione d'urto si può esprimere come rapporto tra: potenza irradiata per unità di dΩ dσ = dΩ potenza incidente per unità di superficie La potenza irradiata da una carica in moto, nel caso non relativistico, per unità di angolo solido dΩ, con accelerazione v& è dW 1 e2 2 2 = ⋅ v& sin Θ dΩ 4π c 3 125 o an Pi ne io s ffu di di z P punto di osservazione k θ n Θ n1 y φ piano di polarizzazione ε x r dove Θ è l'angolo tra la direzione di osservazione (versore n$ ) e il vettore campo elettrico E . L'equazione del moto della carica è: 2 2 r 2 e E & & v = mv = - E e ⇒ 2 m L'accelerazione impartita alla carica, mediata sul periodo T, è classicamente uguale a quello di oscillazione della carica, e quindi: 2 e 2 E 02 1 T e 2 E0 2 < v& 2 >= ω t dt = cos ∫ m2 2 m2 T 0 perciò la potenza media irradiata per unità di angolo solido è: dW 1 e4 = E02 sin 2 Θ dΩ 8π 2 3 m c La potenza incidente per unità di superficie è quella trasportata da un campo e.m. ed è espressa dal r vettore di Pointing S r r r r r r c r r c r c c 2 S= E^ B = E ^ (nˆ1 ^ E ) = nˆ1 ⋅ ( E ⋅ E ) − E ( E ⋅ nˆ1 ) = E nˆ1 4π 4π 4π 4π Il cui modulo è: r c 2 S = E 4π ed il valore medio: S = c 2 E0 8π Quindi la sezione d'urto differenziale sarà: dσ dW = dÙ dΩ 1 1 e4 8π e4 2 2 E0 sin Θ = sin 2 Θ r = 2 3 2 2 4 S 8π m c cE0 m c ossia: dσ = r02 sin 2 Θ dΩ pol. 126 ove il suffisso pol. sta per polarizzata e r0 è il raggio classico dell'elettrone r0 ∼ 2.8 10-13 cm. Per ricavare la sezione d'urto differenziale non polarizzata è conveniente esprimere l'angolo Θ in funzione degli angoli θ, ϕ rispetto al piano di diffusione e di vibrazione della carica, si ha: r nˆ ⋅ v& cos Θ = r = (sinθ ,0, cos θ ) ⋅ (cos ϕ , sinϕ ,0) = sinθ cos ϕ v& e quindi ( dσ = r02 1 − sin 2θ cos 2 ϕ dΩ pol. ) poiché: sin2Θ = 1-cos2Θ = 1-sin2θcos2ϕ. Se l'onda elettromagnetica incidente non è polarizzata occorre mediare in ϕ (angolo sul piano di polarizzazione). Si ottiene quindi: r2 r2 dσ = 0 ∫02π 1 − sin 2θ cos 2 ϕ dϕ = 0 1 + cos 2 θ (Video-Clip) dΩ n. pol 2π 2 Integrando[6] sull'angolo solido, otteniamo la sezione d'urto totale : ( ) ( ) 8 σ T = πr02 ≅ 66 ⋅ 10 −26 cm 2 ≅ 0.665 barn 3 che è la ben nota sezione d'urto totale Thomson.(Video-Clip) Diffusione Compton Come abbiamo già accennato, l'effetto Compton ha la stessa natura di quello Thomson, rappresentando una sua estensione per energie più alte là dove non è più possibile considerare l'interazione tra campo e.m. ed elettrone soltanto come un'interazione onda-corpuscolo, bensì come una vera e propria interazione puntuale tra due particelle: il fotone e l'elettrone. In questo senso la frequenza e quindi l'energia del fotone diffuso non sarà più la stessa del fotone incidente come avveniva per l'urto Thomson. E' quindi naturale aspettarsi che: 1. La sezione d'urto compton sia una correzione "relativistica" di quella Thomson 2. Il limite classico della sezione d'urto compton e γ coincida con quella Thomson Il processo di diffusione Thomson e anche la sua versione per alte energie, Compton, può essere schematizzato come in figura: γ Studiamo ora la cinematica del processo. Per semplicità utilizzeremo i quadrivettori in modo da scrivere una sola equazione per la conservazione dell'energia e dell'impulso. Si ha: kµ+pµ = k'µ+p'µ con µ = 1, .., 4 6σ ( ) r02 dσ 2 dΩ = ∫ 1 + cos θ dΩ = τ =∫ dΩ 2 2π −1 r02 2 ∫ dΩ − ∫ dϕ ∫ cos θd (cos θ ) 2 0 1 127 Le prime tre componenti sono spaziali e la quarta, temporale, è l'energia. Consideriamo l'urto unidimensionale allora il quadrimpulso dell'elettrone, preso fermo nell'origine, è: pµ ≡ ( 0, 0, 0, imc) Analogamente si avrà per il fotone: kµ ≡ ( 0, k, 0, ik) quadrimpulso del fotone iniziale k'µ ≡ ( 0, k'cosθ1, k'sinθ1, ik') quadrimpulso del fotone finale Ricaviamo p'µ , quadrimpulso dell'elettrone finale: p'µ = kµ+pµ -k'µ Quadrando si ha: pµ′ p′µ = pµ pµ + kµk µ + kµ′ k′µ + 2 pµk µ − 2 pµk′µ − 2kµk′µ − m2c2 = −m2c2 + 0 + 0 + 2 pµk µ − 2 pµk′µ − 2kµk′µ ossia: p µ (k µ − k µ′ ) − k µ k µ′ = 0 − kmc + k ′mc − kk ′ cosθ1 + kk ′ = 0 Risolvendo per k' si ha l'impulso del fotone uscente: k k′ = 1+ k (1 − cos θ1 ) mc Per θ1 = π/2 si ha l'impulso trasverso trasferito all'elettrone: ′ = k⊥ k 1 + k mc Abbiamo ora due casi, dal punto di vista energetico: 1. k << mc (bassa energia) In tale situazione risulta k′ ≅ k quindi l'impulso trasferito ∆k dal fotone all'elettrone è piccolo ed il fotone incidente e l'elettrone di rinculo, poiché il loro impulso è dello stesso ordine di grandezza, sono localizzati essenzialmente nello stessa regione di spazio. Infatti il principio di indeterminazione ci dice che: ∆x ≈ h k ∆x ′ ≈ (fotone) h k′ (elettrone) ⇒ se k= k' ne segue ∆x ∼ ∆x' Siamo in condizioni classiche e quindi vale ancora la sezione d'urto di Thomson. 2. k >> mc (alta energia) Ora risulta k′ ≅ mc quindi l'impulso trasferito è dell'ordine di mc per cui l'elettrone di rinculo è h h h ed essendo k >> mc risulta << cioè il fotone incidente mc k mc risulta localizzato in un raggio molto minore di quello dell'elettrone. Questo determina un abbassamento della sezione d'urto nel passaggio dal caso classico, Thomson, al caso relativistico, di mc 2 un fattore proporzionale al rapporto tra gli impulsi. Quindi σ c ≈ σ T . localizzato in un raggio r ≈ hν Quella esatta calcolata da Klein-Nishima, con considerazioni quantistiche e relativistiche, è: σ kN mc 2 = πr hν 2 0 2hν 1 ln 2 + 2 mc 128 Effetto Fotoelettrico Parliamo di effetto fotoelettrico quando un fotone è completamente assorbito e tutta la sua energia è trasferita ad un elettrone atomico. Quindi il fotone deve avere sufficiente energia da eccitare l'elettrone legato dal suo stato quantico ad uno di energia maggiore o nel continuo (ionizzazione). L'energia di legame delle shell più interne è: K E k ≈ Ry(Z − 1) 2 dove Ry= 13.5 eV. Le altre shell vanno come: L M EL Z − 5) 2 ( ≈ 4 (Z − 13) EM ≈ 19 L'andamento medio della σ in funzione di hν va come (hν)-3. Per energie lontane dal K-shell e in un range non relativistico (hν<<mc2) si ha7: 7 2 2 mc σ ph. = σ T 4 2 Z 5α 4 hν Creazione di Coppie elettroni-positroni La creazione di coppie e+e- in seguito ad un fotone che interagisce con la materia avviene nel campo del nucleo, immaginato circondato da una "nube" di elettroni e epositroni "virtuali". D'altronde è evidente dai principi di E1 p1 conservazione dell'energia e dell'impulso che non si tratta di γ creazione in quanto il processo non avviene nel vuoto. Infatti se hν così fosse avremo: hν = E1 + E2 E2 p hν ≤ c(p1+p2) 2 Il segno uguale vale solo nel caso in cui e+e- vanno nella stessa direzione. Analizziamo questo caso. Quadrando le due si ha: hν 2 = 2m 2 + 2 E1 E 2 + p12 + p 22 e+ hν 2 = p12 + p 22 + 2 p1 p 2 Se facciamo ora la differenza abbiamo: 0 = 2m2+2E1E2-2p1p2 ossia E1E2-p1p2 = -m2 che e' un assurdo!!! Infatti: E1 E 2 = (m 2 + p12 )(m 2 + p22 ) = ( che è sicuramente maggiore di p1p2 e quindi non può dare -m2. 7Heitler, ) m 2 m 2 + p12 + p 22 + p12 p 22 Quantum Theory of Radiation, Oxford, 1954 129 Nel campo del nucleo, composto da coppie virtuali di e+e-, la "creazione" di coppie può essere schematizzata come in figura Il fotone diffonde le coppie virtuali che circondano il nucleo. Dei due almeno uno si accoppia con la carica elettrica del nucleo. Se si contraggono i vertici 1 e 2 si ottiene un nuovo grafico che rappresenta la sezione d'urto di Thomson. Allora comprendiamo che la produzione di coppie è anch'essa legata al processo Thomson con in più l'accoppiamento 3 del fotone finale al nucleo di carica Z. Quindi possiamo dire che la sezione d'urto per produzione di coppie, σpair, sarà data da quella Thomson σ T moltiplicata per un fattore che tiene conto del vertice 3. Quest'ultimo sarà legato alla costante di struttura fine α o meglio alla carica al quadrato (nel Thomson compare e4). Poiché la carica in gioco nel vertice 3 è Z allora la sezione d'urto risulterà: σ pair = σ T Z 2α ≈ Z 2αr02 . Quella esatta asintotica è: 28 −1 2 σ pair = Z 2αr02 ln 183Z 3 − 27 9 nel limite di energia del fotone Eγ molto maggiore dell'energia di soglia Et = 2me. Per energie intermedie si ha: 7 2 E 109 σ pair = Z 2αr02 ln − 2 9 mc 54 Quella asintotica può essere messa in una forma estremamente semplice esprimendola in funzione di Xo, definita come la lunghezza necessaria affinché un elettrone degradi la sua energia di un fattore 1/e di quella iniziale. Si ottiene: σ pair ≈ [ ] 7 1 in cui X 0 = gr cm 2 9 NX 0 N = numero di atomi per grammo 130 131 Bremsstrahlung In questo paragrafo tratteremo la radiazione emessa da una particella carica quindi la sua locazione sembrerebbe impropria però, dato il particolare tipo di trattazione unificata si vedrà che non è del tutto inappropriato. Energia critica Gli elettroni che attraversano la materia perdono energia per ionizzazione e per bremsstrahlung. Le due perdite sono profondamente diverse in energia. In genere, sopra una certa energia, detta critica, predominano le perdite per bremsstrahlung, al di sotto, quelle per ionizzazione. Questa energia è data in modo approssimato da: (dE dx )irr. (dE dx )ion. ≈ Z Ec 800 [MeV ] da cui l'energia critica Ec : Ec ≈ [MeV] 800 Z Alcuni valori tipici sono riportati nella seguente tabella. Ec [MeV] elemento C Al Pb 103 47 6.9 Questi valori stanno a significare, approssimativamente, che un elettrone da 110, 50 e 7 MeV rispettivamente in C, Al e Pb perde energia quasi esclusivamente per bremsstrahlung. Irraggiamento degli elettroni In seguito all'accelerazione che una particella carica subisce da parte del campo elettrico del nucleo nell'attraversare la materia, la stessa emette energia e.m. secondo la formula di Larmor (già vista nell'effetto Thomson). Poiché l'energia è proporzionale al quadrato dell'accelerazione, essa dipenderà dall'inverso della massa al quadrato: dW ∝ v& 2 ∝ 1 m2 Perciò questo processo è prevalente nelle particelle leggere: me ∼ 0.5 MeV, µ ∼ 200 me, quindi un µ perderà molto meno energia per irraggiamento [ (1/200)2] rispetto ad un elettrone. Il processo, che non può avvenire nel vuoto come anche per la γ produzione di coppie in quanto è necessario un campo che assorba l'impulso di rinculo del fotone e emesso, può essere schematizzato come segue: L'elettrone emette un fotone e poi diffonde scambiando un fotone col nucleo. I vertici 2 e 3 e sono identici a quelli del processo di coppia. Il vertice 1, se si considera che qui c'è un elettrone e nella produzione di coppie c'è un positrone, 3 risulta praticamente simile. Occorrerà però Nucleo di carica Ze pesare la σ con la probabilità di emettere un fotone di una data energia , ossia, a parità di 132 energia totale irraggiata, saranno più numerosi quelli di bassa energia. Quindi, dato un elettrone di energia E0, la probabilità, la σ, che sia un fotone di energia hν, nell'intervallo dν, sarà: σ Br (ν )dν ≈ σ pair ⋅ dν dν ≈ σ T Z 2α ν ν La formula esatta per energie relativistiche [γ >> 1] è: 2 −1 2 dE ′ E′ E ′ ⋅ ln 183Z 3 − 1 − 1 + 1 − σ (E 0 , E ′)dE ′ = 4 Z 2αr02 3 E 0 E ′ E0 dove 1 + 1 − E ′ 9 E 0 E 0 è l' energia iniziale dell' elettrone E ′ è l' energia del quanto irradiato Integrando, moltiplicando per il numero di atomi e per l'energia di ciascun fotone si ottiene l'energia media persa per irraggiamento: d E −1 1 − = 4αNZ 2 r02 ln183Z 3 + ⋅ E 0 dx 8 irr . che può essere espressa più semplicemente tramite Xo. Si ottiene infatti: − d E dx ≈ [ E0 con X 0 g cm 2 X0 ] irr . dalla quale si deduce la definizione di X0 : per x = X0 → E(X0) = E0/e. Con l'aumentare dell'energia la radiazione viene sempre emessa nella direzione di volo della particella. dσ ≈ dΩ B (m 2 c 4 + E 02θ 2 )2 e l'angolo medio di emissione risulta dell'ordine di: < θ >≈ mc 2 E0 Annichilazione Positroni Elettroni Un positrone può annichilire incontrando un elettrone atomico e mettendo uno o più fotoni. L'emissione di un solo fotone è cinematicamente possibile solo nel campo del nucleo, in quanto quest'ultimo assorbe l'impulso di rinculo. Nel regime non relativistico il processo è simile al Thomson con la variante che al diminuire della velocità del positrone il processo diventa più probabile in quanto questa confrontabile con la velocità degli elettroni atomici. La sezione d'urto del processo sarà allora: σ r2 c σ + − ≈ T ≈ π 0 ≈ πro2 e e v β β in generale avremo: 1 − v2 σ + − = πr02 e e 4v La distribuzione per E >>mc2 sarà: ( ) 3 − v4 1 + v ln − 2 − v2 1− v v 133 dσ = dΩ e+ e− r02m 2 m 2 2 E 2 θ 2 + E 2 Produzione di Sciami Elettromagnetici Quando un elettrone o un γ attraversano la materia, in seguito al concatenamento di vari processi (Compton, coppie, Br., annichilazione,...) si possono produrre degli sciami e.m.. La trattazione analitica del processo è praticamente impossibile se si vogliono ottenere risultati vicini alla realtà. Vediamo come ha luogo il processo. Supponiamo che un fotone incida su un nucleo; se l'energia è sufficiente si può + − produrre una coppia e e ; ognuna di queste particelle perderà energia per bremsstrahlung emettendo fotoni. I fotoni emessi continueranno il percorso nel la materia producendo altre coppie. Si ha così uno sciame di particelle. Wilson [8] per primo trattò il problema con uno studio di MonteCarlo ed ha ottenuto: • Il range medio di un elettrone di energia iniziale Eo: E0 r = ln 2 ln + 1 Ec ln 2 • La distribuzione del range intorno a <r> è di tipo Gaussiano e la radice quadrata dello Straggling quadratico medio è[9]: rE S = r ln 2 1 − c E0 • Rozzamente si può prevedere il numero di particelle, nel punto di massimo sviluppo, cioè di massima crescita: E E n( x = xmax ) ≈ 0.15 0 ln 0 Ec Ec con E0 = energia iniziale ed Ec = energia critica. • La penetrazione dello sciame al massimo dello sviluppo è: x(I max ) ≈ ln • 1 E 2 2 ≈ 0.8 s L'allargamento (spread) laterale al massimo dello sviluppo è: x Ec 8 9 vedi R. R. Wilson Phys. Rev. 84,100 (1951) vedi B. Rossi-K. Greisen Revs. Mod. Phy. 13,240 (1941) E0 in unità di X0. Ec 134 • L'allargamento angolare invece è : θ 2 1 2 E ≈ 0.75 s espresso in radianti e con Es ≈ 21 Ec MeV Quadro riassuntivo Facciamo ora un quadro riassuntivo delle interazioni e.m. nella materia: Processo vs. Z (numero atomico) vs. Energia Fotoelettrico Z4- Z5 ∼ E-3.5 - E-1 Compton Coppie Irraggiamento vs. Massa - 2 ∼E-1 lnE lnE 2 E M-2 - Z Z Z Z - β-2 Qui di seguito è riportato un grafico in cui è possibile vedere i vari contributi portati alla sezione d'urto dai processi sopra descritti. Ionizzazione