Rassegne
Vol. 95, N. 9, Settembre 2004
Le artropatie infiammatorie nell’età senile
Nicolò Pipitone, Costantino Pitzalis
Riassunto. Le artriti dell’anziano rappresentano un gruppo eterogeneo di patologie, che
comprendono sia forme tipiche dell’età senile (quale ad esempio la poliartrite subacuta edematosa benigna dell’anziano) sia affezioni rinvenibili anche in altre fascie d’età (ad esempio, l’artrite reumatoide e le artropatie sieronegative); queste ultime, peraltro, possono manifestarsi nell’anziano con caratteristiche peculiari, parzialmente distinte da quelle
repertabili nell’adulto. Pertanto, una conoscenza puntuale di tali quadri morbosi e delle loro manifestazioni specifiche è indispensabile per poter porre una corretta diagnosi. Anche
il trattamento del paziente anziano differisce da quello del paziente adulto per diversi
aspetti importanti: in particolare, l’anziano presenta una maggiore suscettibilità agli effetti collaterali da farmaci, sia per una serie di alterazioni metaboliche, inclusa la ridotta
funzionalità dell’emuntorio renale, sia per la politerapia cui è di frequente sottoposto.
Stante il progressivo incremento relativo della popolazione anziana nel mondo occidentale, è auspicabile che i capisaldi di diagnostica e terapia delle artriti senili possano essere
patrimonio di tutti i medici, al di là del gruppo ristretto degli specialisti reumatologi.
Parole chiave. Anziano, artrite, polimialgia reumatica.
Summary. Arthritides in the elderly.
The arthritides of the elderly comprise a fairly heterogeneous group of diseases. They
include conditions that affect exclusively or predominantly the elderly (such as, for instance, remitting seronegative symmetric synovitis with pitting edema) and conditions affecting any age group, but which can present with peculiar features in the elderly, like
rheumatoid arthritis and the seronegative arthropathies. Therefore, in order to arrive at
a correct diagnosis, a knowledge of the specific features of these disorders is required. In
addition, the treatment of elderly patients differs from that of other age groups in that
elderly subjects appear to have an increased susceptibility to adverse reactions. This susceptibility is related both to the different metabolism of aged subjects, including the impairment of the renal function, and to the multiple therapies that such subjects often receive. In view of the ever increasing elderly population in the western world, all
physicians, over and beyond the limited circle of rheumatologists, should be knowlegeable
about the principles of diagnosing and treating senile arthritis.
Key words. Arthritis, elderly, polymyalgia rheumatica.
Introduzione
Gli anziani rappresentano una quota sempre più
considerevole della popolazione globale: secondo recenti stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2000 i soggetti di età pari o superiore a 60
anni raggiungevano la cifra di 600 milioni e le proiezioni sono di 1,2 miliardi per il 2025 1.
Le patologie reumatiche dell’anziano costituiscono un capitolo vasto, che si può schematicamente suddividere in quattro gruppi principali. Il
primo gruppo comprende le affezioni ad esordio
quasi esclusivamente senile (patologie reumatiche
dell’anziano in senso stretto), quali ad esempio la
polimialgia reumatica e l’arterite temporale di
Horton; il secondo gruppo è costituito da patologie
che correlano con l’età, quali l’osteoporosi e l’osteoartrosi; il terzo gruppo include alcune patologie reumatiche che si manifestano nell’anziano con
caratteristiche peculiari, parzialmente distinte da
quelle repertabili nell’adulto, quali il lupus eritematoso sistemico (LES) e l’artrite reumatoide (AR)
ad esordio tardivo, mentre nel quarto gruppo rientrano le forme morbose ad età di insorgenza variabile, protraentesi oltre l’età adulta (tabella 1).
Weston Education Center, King’s College Hospital and Rheumatology Unit, Guy’s Campus, GKT School of Medicine, London.
Pervenuto il 20 ottobre 2003.
N. Pipitone, C. Pitzalis: Le artropatie infiammatorie nell’età senile
Tabella 1. - Classificazione clinica delle affezioni reumatiche dell’anziano.
1. Patologie ad esordio quasi esclusivamente senile, ad
esempio polimialgia reumatica ed arterite temporale
di Horton
2. Patologie la cui incidenza aumenta con l’età, quali l’osteoporosi e l’osteoartrosi
3. Patologie che si manifestano nell’anziano con caratteristiche parzialmente distinte da quelle repertabili
nell’adulto, quali il lupus eritematoso sistemico (LES)
e l’artrite reumatoide (AR) ad esordio tardivo
4. Patologie ad età di insorgenza variabile protraentesi
oltre l’età adulta (ad esempio, la spondilite anchilosante)
Questa breve disamina riassuntiva delle patologie reumatiche dell’età senile rende ragione di
alcune difficoltà che si incontrano nell’iter diagnostico nell’anziano: da un canto, infatti, è necessario tener presente patologie che non si osservano
in altre fasce d’età e, dall’altro, patologie condivise
anche dalla popolazione adulta si possono presentare con un quadro sensibilmente diverso da quello “classico”, meglio noto. La diagnostica differenziale riconosce inoltre un ulteriore motivo di
difficoltà nella associazione, tutt’altro che infrequente, di patologie plurime nell’anziano, cosa che
ovviamente contribuisce a rendere arduo il riconoscimento precoce di nuove condizioni morbose. Se
a tutto ciò si aggiunge il fisiologico “declino” di svariate funzioni biologiche caratteristico dell’età senile, apparirà giustificato il considerare la popolazione anziana affetta da patologie reumatiche
come una popolazione sui generis che, analogamente a quella pediatrica, necessita di un approccio diagnostico (nonché terapeutico) mirato.
In questo articolo, pertanto, tratteremo innanzitutto del paziente geriatrico in quanto tale, evidenziandone in breve le alterazioni patofisiologiche più significative. Successivamente, tratteremo
delle principali artropatie infiammatorie che si osservano nell’età senile, considerando sia quelle
pressocché esclusive di quest’ultima, sia quelle che
si manifestano con un quadro clinico peculiare nell’anziano, giacché sono proprio queste forme a porre i maggiori problemi di diagnosi differenziale.
Il paziente anziano: alterazioni funzionali
legate all’invecchiamento
Come già accennato, un parziale declino di svariate funzioni biologiche è da considerare come fisiologico nell’anziano; dal punto di vista reumatologico, le alterazioni più importanti sono quelle che
concernono la farmacocinetica, da un canto, e l’efficienza del sistema immune, dall’altro.
Di norma, l’assorbimento dei farmaci è poco influenzato dall’invecchiamento, giacché esso avviene spesso per semplice diffusione passiva 2.
Al contrario, la biodistribuzione dei farmaci risulta essere non di rado alterata, sia per riduzione
dell’albumina plasmatica (con conseguente incre-
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mento della frazione libera di alcuni farmaci, quali ad esempio i farmaci anti-infiammatori non-steroidei [FANS]), sia per aumento della quota di tessuto adiposo rispetto a quello muscolare. In
particolare, la riduzione della componente idrica a
favore di quella adiposa comporta un aumento del
volume di distribuzione dei farmaci lipofilici e
quindi una ridotta concentrazione plasmatica di
quest’ultimi, mentre l’opposto vale per i farmaci
idrofili come il paracetamolo 2.
Alterazioni più importanti ai fini della farmacocinetica sono quelle in grado di interferire con l’eliminazione dei farmaci. A livello epatico, si osserva
una riduzione dei fenomeni ossidativi, coniugativi
e di glicuronazione, ma in genere tali alterazioni
non si traducono in effetti clinici apprezzabili stante la notevole riserva funzionale del fegato 3. Al contrario, il declino della funzione renale, sotteso da
diversi processi (soprattutto ridotto flusso ematico
e rallentata filtrazione glomerulare, ma anche alterazioni della secrezione tubulare), ha non di rado
implicazioni clinico-terapeutiche di rilievo per diverse ragioni 2. Innanzitutto, come è facilmente intuibile, la compromissione dell’emuntorio renale
inficia parzialmente la capacità dell’organismo di
eliminare i farmaci (ovvero i loro metaboliti) escreti prevalentemente per via renale, che pertanto andranno somministrati a dosaggi opportunamente
ridotti in base ai valori della creatinina sierica o,
meglio, della clearance della creatinina urinaria,
onde evitare fenomeni di accumulo e di tossicità. In
secondo luogo, alcuni farmaci possono compromettere ulteriormente una funzionalità renale già alterata, con effetti potenzialmente gravi (scompenso renale): ad esempio, i FANS possono comportare
un’ipoafflusso ematico a livello renale tramite l’inibizione della sintesi di prostaglandine vasodilatatrici 4. In terzo luogo, alcuni farmaci (quali ad esempio gli uricosurici) non sono efficaci in pazienti con
alterata funzionalità renale. In quarto luogo, va
rammentato che il paziente geriatrico è quasi sempre pluritrattato, per cui sono possibili fenomeni di
interazione farmacologica: ad esempio, i FANS possono interferire con i farmaci antiipertensivi e con
i diuretici, antagonizzandone parzialmente l’efficacia, sebbene l’entità di tale interazione sia stata
probabilmente sovrastimata in passato 5. Infine, va
tenuto presente che negli anziani si ha una aumentata incidenza di effetti collaterali da farmaci:
un esempio è la tossicità neurologica da FANS (in
particolare indometacina) anche a dosi ridotte,
quali cefalea, vertigini e sonnolenza 3.
Analogamente ai meccanismi biochimici deputati alla metabolizzazione ed escrezione dei farmaci, anche il sistema neuroendocrino va incontro
nell’anziano ad un processo di senescenza, le cui
alterazioni principali sono a carico dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrenalico e della funzionalità tiroidea. In particolare, si ha una ridotta increzione di
alcuni ormoni, quali il deidroepiandrosterone
(DHEA) e l’androstenedione (ASD) che avrebbero
potenzialità antiflogistiche.
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Ad esempio, è stato dimostrato che il DHEA è in
grado di inibire la secrezione della citokina proinfiammatoria IL-6, la cui concentrazione sierica è
più elevata negli anziani rispetto ai soggetti adulti anche in assenza di patologie flogistiche 6. Per
quanto concerne il cortisolo endogeno, i dati della
letteratura sono più conflittuali, ma sembra che in
media i soggetti anziani, pur presentando una normale increzione basale, non siano in grado di montare una risposta ormonale cortisolemica adeguata a seguito di stimoli infiammatori . Pertanto, è
verosimile che tale lieve insufficienza surrenalica
subclinica possa spiegare non solo la maggiore suscettibilità di questi pazienti a stimoli flogogeni
(quali le infezioni), ma anche la più lenta risoluzione dei processi infiammatori. Analogamente, un
deficit relativo della funzionalità tiroidea non è infrequente nell’età senile, e la prevalenza dell’ipotiroidismo aumenta con l’avanzare dell’età 8-10. L’ipotiroidismo può, a sua volta, determinare quadri
clinici di algie e rigidità muscolare che possono mimare patologie infiammatorie quali la polimialgia
reumatica, mentre è discusso se l’incidenza di manifestazioni articolari flogistiche sia aumentata
nei pazienti ipotiroidei 11.
Oltre al sistema endocrino, anche il sistema immunocompetente presenta nell’età senile fenomeni involutivi, caratterizzati dalla progressiva involuzione del timo 12 e dalla conseguente riduzione
della concentrazione degli ormoni timici circolanti 13, insieme a svariate alterazioni funzionali e della conta cellulare 14. In particolare, i soggetti anziani presentano un deficit funzionale della branca
cellulare del sistema immunocompetente, specialmente delle T-cellule, con ridotta capacità di generare cellule naive e con decremento della ratio
CD4/CD8; si reputa che tale deficit sia responsabile, almeno in parte, della aumentata suscettibilità
alle infezioni 15 e alle neoplasie, tipica 12 degli anziani. Una riduzione della funzionalità si osserva
anche a carico delle cellule NK (anch’esse coinvolte nelle risposte antitumorali) ma, a differenza dei
T linfociti, il numero globale delle cellule NK non
appare ridotto, e può anzi andare incontro ad un
incremento 16. Infine, sono state osservate diverse
anomalie funzionali delle cellule dello stipite fagocitico, concernenti sia la chemiotassi e la fagocitosi che i processi di attivazione linfocitaria; nel complesso, tali alterazioni comporterebbero una
significativa riduzione della capacità dell’organismo di combattere le infezioni 17,18. Per quanto concerne invece la branca umorale del sistema immune, i linfociti B presentano una attivazione
policlonale con produzione di numerosi autoanticorpi, generalmente a basso titolo 19. Tuttavia, tali
autoanticorpi non esplicano, per lo più, un ruolo
patogenetico; ne è riprova il fatto che sebbene la
prevalenza del fattore reumatoide (FR) aumenti
progressivamente con l’età, tale incremento non si
accompagna ad una aumentata suscettibilità a sviluppare l’artrite reumatoide 20. Pertanto, la presenza di autoanticorpi sierici (FR, anticorpi antinucleo [ANA], etc.) nel soggetto anziano non deve
indurre di per sé a porre corrivamente diagnosi di
artrite reumatoide o connettivite in assenza di un
quadro clinico che giustifichi tali diagnosi. Analogamente, il riscontro di una velocità di eritrosedimentazione (VES) elevata nell’anziano non è spesso, di per sé, indicativa di una patologia flogistica
sottostante, in quanto i valori della VES correlano,
grosso modo, con l’età: nei casi dubbi, è utile il dosaggio della proteina C-reattiva, che è un indice di
flogosi più specifico della VES.
In conclusione, emerge che più fattori concorrerebbero a inficiare la resistenza dell’organismo alle infezioni: da un canto una ridotta capacità del sistema immune a montare una risposta adeguata,
e dall’altro quella del sistema neuroendocrino a
circoscrivere e limitare la conseguente risposta infiammatoria. Queste alterazioni potrebbero, nel
complesso, contribuire a spiegare almeno in parte
la patogenesi di alcune reumopatie dell’anziano
quali la polimialgia reumatica, per la quale si ipotizza appunto che un movente infettivo, non debellato adeguatamente dal sistema immune, determini una risposta flogistica; quest’ultima, a sua
volta, tenderebbe a protrarsi nel tempo per il deficit degli ormoni corticosurrenalici, normalmente
deputati a limitare la flogosi dopo la risposta iniziale allo stimolo offensivo.
Nel seguito, si descriveranno le caratteristiche
cliniche e laboratoristiche delle principali artropatie infiammatorie dell’anziano, con l’intento di agevolarne la diagnosi e consentirne la differenziazione da altre forme che possano mimarne le
manifestazioni.
Patologie con espressività artritica
nell’anziano
ARTROPATIE INFIAMMATORIE RINVENIBILI IN DIVERSE
FASCIE D’ETÀ: MANIFESTAZIONI CLINICHE NELL’ANZIANO
Per definizione, l’artrite reumatoide dell’anziano (“EORA”, elderly-onset rheumatoid arthritis) è
un’artrite ad insorgenza in soggetti di età superiore ai 60 anni che soddisfa i criteri classificativi dell’artrite reumatoide (AR) elaborati dall’ American
Rheumatism Association/American College of
Rheumatology 21,22. Inizialmente l’EORA venne
considerata sovrapponibile all’AR dell’adulto per
tipo e gravità di manifestazioni cliniche 23, ma successivamente vennero evidenziate una serie di caratteristiche differenziali che portarono ad inquadrare l’EORA come una entità patologica a se
stante 24-27. In effetti, l’EORA presenta diverse peculiarità rispetto all’AR dell’adulto: la ratio uomo/donna è più equilibrata (secondo un recente
studio italiano sarebbe pari a 1.6:1 rispetto a quella di 4.4:1 dell’AR classica 27), l’esordio acuto di malattia e l’interessamento del cingolo scapolare
(quadro “similpolimialgico”) sono più frequenti,
mentre l’impegno delle piccole articolazioni di mani e piedi è di riscontro più raro, pur restando relativamente comune 24.
N. Pipitone, C. Pitzalis: Le artropatie infiammatorie nell’età senile
I pazienti con EORA manifestano più spesso degli adulti sintomi sistemici quali febbre, calo ponderale e astenia, mentre risultano meno frequentemente sieropositivi per il fattore reumatoide,
presentano in media una minore compromissione
funzionale e sviluppano più di rado noduli reumatoidi sottocutanei ed erosioni articolari 28. La scarsa erosività non è semplicemente riconducibile, come si potrebbe ipotizzare, ad una ridotta durata di
malattia nei pazienti con EORA e quindi all’osservazione della patologia articolare in uno stadio
precoce pre-erosivo, giacché, a parità di durata di
malattia, l’EORA risulta comunque meno erosiva
dell’AR classica 25.
Diverse ipotesi sono state avanzate per spiegare la minore erosività e la prognosi più favorevole
in termini di funzionalità articolare dell’EORA.
È possibile che il decorso più benigno dell’EORA sia riconducibile all’inclusione di un numero di
pazienti con manifestazioni cliniche simil-polimialgiche, giacché in questo sottogruppo (analogamente a quanto si osserva nella PMR classica) l’artrite ha assai di rado un’evoluzione destruente 24.
Tuttavia, ciò risponde solo parzialmente a verità,
giacché è stato dimostrato che l’artrite dell’EORA
resta comunque meno erosiva di quella dell’AR
classica, anche se si escludono dalla valutazione i
pazienti con quadro clinico similpolimialgico 24.
Una seconda ipotesi si basa sul dato epidemiologico che nella AR dell’adulto, almeno nelle popolazioni caucasiche di origine nordeuropea, la presenza del fattore di istocompatibilità HLA-DR4 e
la sieropositività per il fattore reumatoide si associano ad una prognosi più grave 29,30. Entrambi
questi fattori di rischio, fra loro correlati 31, sono
rappresentati nell’EORA meno frequentemente rispetto all’AR classica, e ciò potrebbe contribuire a
rendere ragione della prognosi migliore della prima 21,32,33. Va però rilevato che anche nella popolazione italiana (nella quale l’associazione tra fattore di istocompatibilità HLA-DR4 e gravità di
prognosi nella AR è più labile che nelle popolazioni
nord-europee) 34, l’EORA risulta meno invalidante
dell’AR, per cui si deve ammettere che anche altri
fattori possano concorrere a determinare la gravità di malattia 35.
Una terza ipotesi si basa sull’assunto (già menzionato in precedenza) che i processi di immunoed endocrinosenescenza, con la conseguente aumentata suscettibilità a diversi stimoli flogogeni,
tra cui le infezioni, possano avere un ruolo patogenetico nel determinismo di alcune reumopatie flogistiche dell’età senile 36. Nella AR, in genere si
ipotizza che più fattori, quali traumi o svariati
agenti infettivi, siano in grado di indurre un danno dei tessuti articolari; ciò, a sua volta, comporterebbe lo “smascheramento” di antigeni artritogenici ed il successivo innesco di una risposta
immunoflogistica locale 37. I glucocorticoidi endogeni ed il DHEA sono normalmente deputati, fra le
altre funzioni, al contenimento della risposta immunoflogistica nell’organismo. Pertanto, un deficit
relativo di tali ormoni, come si riscontra nell’età
senile, potrebbe esitare nello sviluppo e perpetua-
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zione di una reazione infiammatoria articolare a
seguito di stimoli flogogeni anche lievi 38,39 e, di
converso, la malattia risulterebbe sovente più agevolmente controllabile con il semplice trattamento
corticosteroideo a dosaggi bassi 40. Infine, in maniera del tutto simile all’AR, anche nell’EORA gli
estrogeni potrebbero svolgere un ruolo “favorente”
nell’induzione della patologia, poiché la prevalenza dell’EORA risulta più elevata in soggetti che
fanno uso, o hanno fatto uso in passato, di terapia
sostitutiva estroprogestinica 41. Le ipotesi citate
non sono mutualmente esclusive ed anzi è verosimile che i momenti patogenetici discussi possano
giocare tutti un ruolo, variabile a seconda dei diversi soggetti, nella patogenesi della malattia. Sulla scorta di tali elementi, è possibile ipotizzare che
l’EORA rappresenti, più che una patologia ben definita, una sindrome accorpante diversi subset, incluso un quadro similpolimialgico, un quadro polisinovitico poco o punto erosivo, ed una forma
poliarticolare destruente. Solo quest’ultima forma
sarebbe sovrapponibile all’AR dell’adulto stricto
sensu; gli altri quadri clinici sarebbero espressione
di una reazione sinovitica a stimoli flogistici, non
sufficientemente controllata per una insufficiente
risposta corticosurrenalica.
Le brevi considerazioni di ordine patogenetico
su riassunte spiegano, almeno in parte, come
l’EORA sia caratterizzata da un decorso clinico
più benigno dell’AR classica. Al tempo stesso,
però, stante la ridotta “riserva funzionale” del
soggetto anziano, l’esito della patologia può essere ugualmente invalidante se non si interviene
tempestivamente con misure terapeutiche farmacologiche e riabilitative 25.
I farmaci antiinfiammatori non-steroidei
(FANS) sono utili per il controllo sintomatologico,
ma vanno utilizzati con cautela per i ben noti rischi di gastrolesività e possibile compromissione
della funzionalità renale. Tra i FANS andrebbero
privilegiati quelli con ridotto potenziale gastrolesivo, quali il nabumetone o l’etodolac (eventualmente in associazione con un inibitore della pompa protonica); in alternativa, sono stati proposti
l’associazione misoprostol-diclofenac o i nuovi inibitori selettivi dell’enzima COX-2, quali il celecoxib e rofecoxib. Va tuttavia rammentato che
l’anziano è particolarmente predisposto agli effetti nefrotossici dei FANS e che non è stata dimostrata una migliore maneggevolezza in tal riguardo per gli inibitori selettivi della COX-2:
pertanto, la loro somministrazione andrà effettuata con la stessa cautela che si impone con i
FANS di più vecchia data 42.
I cortisonici a basse dosi (in genere 5-7,5 mg/die,
in un’unica somministrazione mattutina) sono particolarmente indicati per la loro efficacia nell’EORA, da soli od in associazione ai FANS, ma il loro
uso prolungato, a dosaggi superiori ai 6 mg al dì di
prednisolone-equivalente, impone l’instaurazione
di un trattamento concomitante anti-osteopenizzante con derivati della vitamina D ovvero con bifosfonati.
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Un indubbio vantaggio dei cortisonici a basse
dosi rispetto ai FANS è rappresentato comunque
dagli scarsi effetti gastrolesivi e nefrotossici, nonché dalla possibilità di somministrazione anche
prolungata senza che sia necessario effettuare
controlli ematici periodici. L’idrossiclorochina è
generalmente ben tollerata, anche se di limitata
efficacia, per cui andrebbe riservata alle forme di
artrite di medio impegno non sufficientemente
controllate dai FANS e/o dagli steroidi a basso dosaggio. Come nei pazienti adulti, è necessario eseguire controlli annuali dell’acuità visiva e ricercare accuratamente sintomi indicativi di patologia
oftalmica; in presenza di anomalie soggettive od
oggettive, si imporrà un esame del fundus oculare per evidenziare eventuali segni di tossicità a
carico della retina.
Le forme più aggressive di artrite possono giovarsi dell’impiego del metotrexato a basse dosi (57,5 mg a settimana, preferibilmente per via intramuscolare, associato ad acido folico, 5 mg per os
da assumere a qualche giorno di distanza dopo l’iniezione di metotrexato) ovvero dei sali d’oro
iniettabili, o ancora della salazopirina. Tutti i suddetti farmaci si sono dimostrati efficaci nell’EORA
e non presentano, in genere, una maggiore incidenza di effetti collaterali nel paziente anziano rispetto all’adulto, purché i soggetti geriatrici non
soffrano di epatopatia, nefropatia o altra grave
patologia sistemica concomitante 43,44. Per esempio, è stato dimostrato che il rischio di sviluppare
effetti collaterali da metotrexato nei pazienti anziani con funzionalità renale preservata è virtualmente sovrapponibile a quello dell’adulto sano,
laddove il rischio è significativamente più elevato
nei soggetti anziani con deficit della funzionalità
renale; perciò, in presenza di valori elevati di
creatinina, il dosaggio del metotrexato andrà opportunamente corretto 45,46.
Oltre alla “fisiologica” riduzione della funzionalità renale ed epatica, i pazienti anziani sono spesso affetti da patologie multiple e quindi politrattati: ciò impone un oculato monitoraggio del paziente
(aumentato rischio di effetti collaterali da farmaci)
e una particolare cura nell’evitare interazioni farmacologiche potenzialmente rischiose. I trattamenti fisioterapico-riabilitativi (esercizi di mobilizzazione attiva e passiva per evitare contratture
articolari; splint per prevenzione e correzione di
deformità) rappresentano un sussidio collaterale
fondamentale, più che un’alternativa, al trattamento farmacologico e andrebbero instaurati precocemente 47,48. La terapia chirurgica (protesi articolari, artrodesi, interventi di ricostruzione
tendinea e di correzione di deformità), contrariamente a quanto ritenuto in passato, non è controindicata nell’anziano e può risultare determinante in alcuni casi nel garantire una adeguata
funzionalità e una buona qualità di vita 49.
La diagnosi differenziale dell’EORA dovrà contemplare la polimialgia reumatica (v. infra) e le altre forme di patologie infiammatorie articolari ad
insorgenza senile, quali la RS3PE (v. infra), le artriti sieronegative dell’anziano (o entesoartriti del-
l’anziano), le artriti microcristalline (gotta, pseudogotta, artrite da cristalli di idrossiapatite) e le
artriti paraneoplastiche.
Le spondiloartriti sieronegative (SSN) dell’anziano (o “entesoartriti” secondo la nuova classificazione
della Società Italiana di Reumatologia) comprendono l’artrite psoriasica, le artriti reattive, la spondilite anchilosante e le forme indifferenziate. Tutte queste forme (in particolare le artriti reattive e la
spondilite anchilosante) sono di rara insorgenza nell’anziano, anche se sono stati descritti diversi casi di
SSN ad esordio senile con caratteristiche cliniche peculiari. Analogamente a quanto si osserva nell’EORA, le SSN dell’anziano si associano più di frequente a sintomi sistemici (febbre, astenia, calo
ponderale), nonché spesso, anche se non invariabilmente, a valori della VES particolarmente elevati;
inoltre, l’impegno articolare periferico risulta in genere più spiccato che nell’adulto con interessamento
frequente delle caviglia, ginocchia e polsi 50. Un ulteriore dato differenziale rispetto alle SSN dell’adulto è rappresentato dalla presenza di edemi acrali che, talora, configurano il quadro diagnostico di
una RS3PE vera e propria (v. oltre) 50. La diagnosi
differenziale rispetto all’EORA si baserà sul diverso
“pattern” di interessamento articolare, sulla presenza di periostite all’esame radiologico o scintigrafico,
sulla coesistenza di entesopatie multiple (dimostrabili clinicamente o mediante ecografia) ed eventualmente delle manifestazioni extra-articolari associate alle SSN, quali l’irite o la psoriasi cutanea.
In rari casi, una neoplasia occulta o clinicamente manifesta (specialmente il carcinoma broncogeno
nell’uomo e quello mammario nella donna) possono
essere causa di una poliartrite. Queste forme paraneoplastiche esordiscono in genere acutamente,
tendono a risparmiare le piccole articolazioni ma, a
differenza dell’EORA, sono sovente monoarticolari
(con predilezione del ginocchio) ed asimmetriche,
anche se sono state descritte forme poliarticolari
simmetriche 51,53. Gli indici di flogosi sono elevati e
il fattore reumatoide è di regola negativo (anche se
il 10% degli anziani presenta una positività aspecifica per il fattore reumatoide), mentre l’esame del liquido sinoviale rivela una modica presenza di cellule della flogosi; l’esame radiografico è negativo. In
genere, non è necessario eseguire uno screening indiscriminato nel paziente anziano con una poliartrite, tuttavia è buona norma restare vigilanti ed
avviare indagini più approfondite in presenza di
sintomi e segni sistemici (febbre, anoressia, perdita
di peso, diaforesi notturna atipica) ovvero localizzati ad un apparato (tosse persistente, dolore toracico,
alterazioni della motilità intestinale, etc.).
Anche nel caso delle artriti microcristalline, in
genere, il dépistage rispetto all’EORA non pone
particolari difficoltà, giacché le prime sono in genere caratterizzate da episodi monoartritici recidivanti piuttosto che da una polisinovite; in particolare, nel caso della gotta, l’artrite tende ad
interessare preferenzialmente la prima articolazione metatarsofalangea, la caviglia ed il ginocchio,
mentre nella pseudogotta si localizza per lo più al
ginocchio ed ai polsi 54,55.
N. Pipitone, C. Pitzalis: Le artropatie infiammatorie nell’età senile
L’artrite da cristalli di idrossiapatite predilige
invece le scapolo-omerali e, talora, le anche; l’evoluzione clinica è relativamente indolente dal punto di vista sintomatologico nelle fasi iniziali, ma
non sono rare lesioni radiologiche destruenti 56-57.
Va tuttavia tenuto presente che la pseudogotta può
anche manifestarsi in forma poliarticolare simmetrica (cosiddetta forma “similreumatoide”), mentre in soggetti anziani, specialmente sotto trattamento con diuretici, la gotta può esordire come, od
evolvere in, una poliartrite interessante tipicamente le articolazioni già affette da processi artrosici, quali le articolazioni interfalangee distali e
prossimali.
La diagnosi differenziale si avvarrà, nei casi
dubbi, del supporto iconografico (tipiche calcificazioni meniscali e del ligamento triangolare del carpo e, talora, calcificazioni lineari della cartilagine
ialina nella pseudogotta; quadro nei limiti della
norma in caso di gotta acuta, ovvero lesioni abarticolari “ad alabarda” e tofi nella gotta tofacea), degli esami di laboratorio (elevati valori di acido urico nella gotta, anche se l’acido urico può essere
nella norma in corso di attacchi acuti) e soprattutto, ove possibile, dell’esame del liquido sinoviale a
mezzo della microscopia ottica a luce polarizzata,
che evidenzierà i tipici cristalli di acido urico o, rispettivamente, di pirofosfato.
POLIMIALGIA REUMATICA
La polimialgia reumatica (PMR) è una patologia paradigmatica dell’età senile, manifestandosi
pressocché esclusivamente dopo i 50 anni e, sovente, in età più avanzata.
L’esordio è spesso acuto ed i pazienti sono talora in grado di rammentare il giorno esatto di insorgenza dei sintomi, rappresentati da algie di tipo infiammatorio del cingolo scapolare e/o pelvico,
associati talora ad una modesta componente sinovitica periferica 58.
La rigidità mattutina è di regola superiore ai 30
minuti; si possono associare sintomi sistemici,
quali spossatezza, febbre e malessere generale . In
circa il 10% dei soggetti, la PMR è complicata dall’arterite temporale di Horton, caratterizzata istologicamente da flogosi delle arterie temporali e,
clinicamente, da cefalea temporale e ipersensibilità dello scalpo alla pressione; può concomitare interessamento delle arterie oftalmiche, con disturbi visivi varianti da riduzione dell’acuità ad
amaurosi irreversibile 59-61. Gli indici di flogosi
(VES, proteina C-reattiva) sono elevati nella grande maggioranza (≥90%) dei pazienti polimialgici;
l’esame emocromocitometrico può evidenziare una
neutrofilia ed una anemia normocromica. In circa
un quarto dei casi, i test di funzionalità epatica (in
particolare la fosfatasi alcalina e le γ-GT) sono alterati e sono state descritte aneddoticamente anomalie della funzionalità tiroidea 58. L’esame delle
sottopopolazioni linfocitarie dimostra frequentemente una riduzione della conta delle cellule
CD8+ circolanti, ma tale dato non è in realtà caratterizzante la PMR, giacché una ridotta conta
437
dei linfociti CD8+ è stata osservata anche nell’EORA e nella AR dell’adulto 62. Dal punto di vista anatomo-patologico, studi artroscopici hanno evidenziato una sinovite delle articolazioni gleno-omerali
nella maggior parte (83%) dei pazienti con PMR 63,
mentre studi di imaging (ecografia e RMN) hanno
dimostrato che pressocché tutti i pazienti con PMR
presentano un interessamento flogistico delle borse sottoacromio-deltoidea e deltoidea 64. L’interessamento preferenziale della PMR per le borse sierose potrebbe, fra l’altro, spiegare la predilezione
di questa patologia per il cingolo scapolare e pelvico 45,65, contraddistinti per l’appunto da una ricca
presenza di borse di clivaggio.
In genere, la PMR tende a “spegnersi” in un
arco di tempo di circa due anni, ma il decorso può
essere talora più protratto. La terapia si avvale
fondamentalmente dell’impiego dei farmaci corticosteroidei a dosi medio-basse, con una dose iniziale di 15-20 mg/die di prednisone-equivalente a
scalare. Il metotrexato, ad una dose media di 7,515 mg/settimana, ovvero l’azatioprina (100-150
mg/die) sono stati proposti per ottenere un risparmio dei cortisonici nelle forme persistenti, in
quelle ribelli ai cortisonici alle dosi suindicate,
ovvero in tutti i pazienti in cui l’uso dei corticosteroidi è problematico (p. es. nei soggetti diabetici).
La diagnosi differenziale delle algie interessanti il cingolo scapolare è potenzialmente vasta 66 (tabella 2) e va posta in particolare nei confronti dell’EORA ad esordio similpolimialgico; a favore della
diagnosi di PMR depongono un impegno limitato
delle articolazioni periferiche (transeunte e nonerosivo) e la drammatica risposta ai cortisonici a
dosi medio-basse 67. Tuttavia, sono stati descritti
casi ad esordio tipicamente polimialgico che sono
poi evoluti in franca EORA 68 e, di rado, casi di neoplasie esordite con quadro polimialgico, ragion per
cui è essenziale seguire accuratamente i pazienti
nel tempo.
La capsulite adesiva delle scapolo-omerali può
mimare la PMR, in quanto inizialmente tale forma
si presenta con dolore infiammatorio e solo successivamente si ha la tipica limitazione della motilità
articolare; tuttavia, la capsulite adesiva è in genere unilaterale e comunque non si associa ad elevati indici di flogosi.
Tabella 2. - Patologie che possono determinare algie
del cingolo scapolare nell’anziano.
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•
•
•
•
Polimialgia reumatica
Artrite reumatoide ad insorgenza senile
Capsulite adesiva bilaterale
Sindrome della cuffia dei rotatori bilaterale
Ipotiroidismo
Fibromialgia
Cervicobrachialgie
Morbo di Parkinson
Polimiosite
438
Recenti Progressi in Medicina, 95, 9, 2004
Meno frequentemente, una sindrome bilaterale
della cuffia dei rotatori può mimare clinicamente
la PMR, ma nel primo caso l’esordio in genere è
monolaterale (anche se può divenire bilaterale nel
corso del tempo), i sintomi sono, almeno all’inizio,
prevalentemente meccanici (il dolore insorge con i
movimenti della spalla, specialmente abduzione e
rotazione, e si attenua con il riposo) e gli indici di
flogosi sono nella norma, a meno che non siano elevati per altre cause. L’ipotiroidismo si associa non
di rado a mialgie prossimali diffuse e può presentarsi con dolori alle spalle ed altri gruppi muscolari associati a rigidità muscolare 69. La diagnosi,
tuttavia, non è in genere difficile perché le algie da
ipotiroidismo sono generalmente diurne e aggravate dall’esercizio fisico, laddove il dolore in corso
di PMR è di tipo infiammatorio; la conferma diagnostica è agevolmente ottenibile con i test della
funzionalità tiroidea. Anche il dolore fibromialgico
è per lo più agevolmente differenziabile da quello
della PMR, in quanto è tipicamente aggravato dallo stress e dal freddo; inoltre, l’esame obiettivo evidenzierà in caso di fibromialgia i tipici “tender
point”, mentre gli indici di infiammazione non sono alterati nella fibromialgia primaria.
Un’altra patologia di frequente riscontro nel
paziente geriatrico, la cervicalgia (in particolare la
cervicalgia con impegno C4-C5), può talora comportare algie irradiate alle spalle, sovente riproducibili con le opportune manovre semeiologiche
del rachide cervicale.
Più di rado, un morbo di Parkinson precoce misconosciuto può essere diagnosticato erroneamente come PMR sulla base della spiccata rigidità muscolare, quando il cingolo scapolare e/o pelvico
siano particolarmente interessati.
Infine, la polimiosite può mimare la PMR quando sia presente una componente di spiccata dolenzia muscolare, ma le algie muscolari in questo caso
saranno indotte dall’esercizio fisico e non si reperterà una significativa rigidità mattutina articolare;
inoltre, la polimiosite comporta un elevato grado di
astenia muscolare, laddove nella PMR tale manifestazione è di lieve entità e rappresenta semplicemente una reazione antalgica dell’organismo. Gli
indici di flogosi possono essere elevati in entrambi
le patologie, ma in genere i valori della VES e PCR
sono significativamente più alti nella PMR, mentre
valore discriminante avranno gli enzimi muscolari
(in particolare la creatina fosfokinasi), che risulteranno nella norma nella PMR e aumentati in corso
di miosite. Una ulteriore conferma della diagnosi di
polimiosite è ottenibile a mezzo di studi elettromiografici, risonanza magnetica dei muscoli affetti
ed, eventualmente, biopsia muscolare.
L’etiologia della PMR resta ignota, anche se la
subitaneità dell’esordio, la ciclicità stagionale con
più elevata incidenza della patologia nel periodo
compreso tra gennaio e maggio 70 e la documentazione, sia pure aneddotica, dell’insorgenza simultanea in soggetti conviventi 71,72 farebbero ipotizzare
un primum movens virale 73, che agirebbe scate-
nando una risposta immunoflogistica in soggetti
predisposti. In tal senso, un possibile candidato
eziologico potrebbe essere rappresentato dal virus
parainfluenzale, giacché i pazienti con PMR presentano più frequentemente dei controlli sani anticorpi sierici diretti contro tale virus 70. Inoltre, analogamente a quanto proposto per l’EORA, eventuali
fattori predisponenti potrebbero essere un deficit
relativo della produzione del cortisolo endogeno e
del DHEA deputati, fra le altre funzioni, a limitare
la risposta flogistica e, di converso, una sintesi eccessiva di citokine pro-infiammatorie, quali l’interleukina-6. In tal senso, di recente è stato dimostrato che i livelli sierici di IL-6 sono particolarmente
elevati nei pazienti con PMR 74,75; il trattamento
cortisonico si dimostra efficace nel ridurre i livelli di
IL-6 circolante. Poiché l’IL-6 è una delle principali
citokine responsabili dell’induzione della sintesi a
livello epatico delle proteine della fase acuta (VES,
PCR, aptoglobina, alfa-1-antitripsina, ceruloplasmina e ferritina), ciò spiegherebbe gli elevati valori di VES e PCR che, come già accennato, caratterizzano tipicamente la PMR.
POLIARTRITE SUBACUTA EDEMATOSA BENIGNA
DELL’ANZIANO
Dalle forme artritiche dell’anziano è stata di recente enucleata una forma di sinovite definita «remitting seronegative symmetric synovitis with pitting edema» (RS3PE) nella letteratura nordamericana 76 e ribattezzata “poliartrite subacuta
edematosa benigna dell’anziano” dagli autori francesi 77. Come le designazioni succitate suggeriscono, si tratta di una polisinovite simmetrica, nonerosiva, tipica del soggetto anziano, associata ad
edema acrale improntabile 76. La prevalenza del
sesso maschile è cospicua e varia a seconda delle
casistiche dal 70% allo 80% circa; i soggetti affetti
sono in grande maggioranza di discendenza caucasica. Anche fattori genetici sono stati implicati
nella patogenesi della patologia, come dimostrato
dalla prevalenza, significativamente più elevata
rispetto ai controlli sani, della molecola B7 del
complesso maggiore di istocompatibilità 76,78.
L’insorgenza della RS3PE è spesso improvvisa,
ed il quadro clinico è rapidamente dominato dall’edema periferico, quasi sempre bilaterale e simmetrico, risalente fino ai polsi ed alle caviglie 78. La sinovite, anch’essa periferica, predilige le piccole
articolazioni di mani e piedi, ma anche le caviglie ed
i polsi; in genere è clinicamente poco appariscente,
anche perché mascherata dalla componente edematosa. In una significativa percentuale di casi, si osserva l’interessamento delle scapolo-omerali (6/13),
mentre il rachide è tipicamente risparmiato.
I sintomi sistemici, quali febbre e calo ponderale, sono di rado eclatanti, anche se un modico rialzo termico (intorno a 38º) è riscontrabile in un numero significativo di pazienti.
La radiologia tradizionale è in genere muta, ed
in particolare non si repertano pinzamento articolare od erosioni, a riprova della benignità di tale
artrite 76.
N. Pipitone, C. Pitzalis: Le artropatie infiammatorie nell’età senile
Viceversa, l’esame iconografico condotto con tecniche di risonanza magnetica nucleare (RMN) dimostra una notevole compromissione flogistico-edematosa dei tendini delle dita, il cui correlato clinico
è rappresentato appunto dall’edema improntabile,
anche se nella pratica clinica la RMN non è indicata non solo per i costi elevati, ma anche perché il
quadro clinico in genere è di per sé diagnostico 79.
Un edema acrale si può talora riscontrare anche nei
pazienti con AR e, meno frequentemente, con PsA,
ma in questi casi l’edema è secondario ad un drenaggio linfatico compromesso, come dimostrabile
con tecniche linfoscintigrafiche, anziché ad edema
tendineo; inoltre, l’edema acrale associato ad AR e
PsA non è responsivo al trattamento cortisonico.
L’evoluzione della RS3PE è quasi sempre benigna: le manifestazioni cliniche rispondono al trattamento con FANS o con corticosteroidi a basse dosi 80,
e sono documentati anche casi di remissione spontanea. In genere, l’edema scompare entro circa un mese dall’esordio, mentre le manifestazioni articolari si
spengono entro 6-12 mesi; tuttavia, le contratture in
flessione delle dita e dei polsi possono talora persistere indefinitamente. Le recidive sono molto rare.
Stante la benignità della RS3PE, non è indicato un trattamento con farmaci di fondo e la terapia
medica è sintomatica; in genere, il trattamento di
scelta è rappresentato dai corticosteroidi a basse
dosi fino a completa risoluzione della patologia.
Il quadro clinico su descritto rappresenta quello
di più frequente riscontro nella pratica clinica; sono
però descritti rari casi di RS3PE secondari ad altre
patologie, quali l’amiloidosi AL, la sarcoidosi acuta
e tutta una congerie di neoplasie emolinfoproliferative e solide, tra cui il carcinoma ovarico 47,81-84. Tali forme secondarie sono in genere contraddistinte
clinicamente dalla presenza di manifestazioni cliniche riconducibili alla patologia sottostante, da
una maggiore compromissione dello stato generale
(nel caso delle forme paraneoplastiche) e da una
scarsa risposta al trattamento corticosteroideo; viceversa, l’eradicazione della patologia scatenante
determina una risoluzione della RS3PE 85. In altri
casi, invece, si possono repertare le caratteristiche
tipiche della RS3PE in pazienti affetti da altre reumopatie flogistiche, come la PMR, l’EORA, le spondiloatriti sieronegative inclusa l’artrite psoriasica,
le connettiviti e alcune vasculiti 83,86-90. Pertanto, attualmente la RS3PE viene considerata una sindrome piuttosto che una patologia a sé stante 81; in particolare, sono state descritte forme “overlap” tra
PMR e RS3PE che non differivano sostanzialmente
per caratteristiche demografiche ed immunologiche. Ciò farebbe ipotizzare che anche la RS3PE possa riconoscere moventi etiopatogenetici simili a
quelli descritti a proposito della PMR, quantunque
gli studi in merito siano tuttora scarsi per la relativa rarità della malattia.
Conclusioni
Le artriti dell’anziano su descritte rappresentano un gruppo di patologie che, pur essendo distinguibili clinicamente, presentano una serie di carat-
439
teristiche comuni dal punto di vista etiopatogenetico e terapeutico. In particolare, la buona risposta
al trattamento corticosteroideo a basse dosi farebbe ipotizzare un deficit relativo dei glucocorticoidi
e/o di altri ormoni corticosurrenalici anti-infiammatori come cofattore patogenetico. Clinicamente,
vi sono importanti embricamenti fra le diverse forme, embricamenti che rendono talora difficoltoso il
processo di diagnostica differenziale. Il riconoscimento precoce di tali patologie, un accurato dépistage che consenta l’esclusione di forme morbose
con caratteristiche cliniche simili, e – ove richiesto
– l’individuazione di eventuali forme secondarie (in
particolare paraneoplastiche) sono momenti fondamentali nella diagnosi e quindi nell’impostazione di
un trattamento appropriato, che dovrà tener conto
della funzionalità epato-renale dell’anziano, non di
rado ridotta o compromessa, nonché delle possibili
interazioni farmacologiche che si possono determinare in soggetti quasi sempre politrattati.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Nicolò Pipitone
Arcispedale Santa Maria Nuova
U.O. di Reumatologia
Salita 6, Piano 3
Viale Risorgimento, 80
42100 Reggio Emilia
E-mail: [email protected]
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