Barbara Betti De Simonis Fra’ Serafino Razzi O.P. Dottore Teologo, Marradese Prefazione del Dott. Rodolfo Ridolfi A Suor Maria Paola Borgo Priora del Convento della SS.ma Annunziata delle Suore Domenicane di Marradi Prefazione L’apprezzamento per l’intelligenza, l’alta professionalità riconosciuta e la sensibilità culturale di Barbara Betti e Giacomo De Simonis, mi hanno indotto ad accettare la Presidenza Onoraria dell’Associazione “Opera In-Stabile” che Barbara e Giacomo hanno voluto costituire a Marradi coinvolgendo accademici, studiosi, musicisti e musicofili di valore ed affidandone la Presidenza al caro amico Emilio Betti. L’Associazione debutta con un primo progetto dedicato appunto a “Fra’ Serafino Razzi”, che troverà compimento entro il 2011, quattrocentesimo anno dalla morte. Barbara ha svolto straordinarie ricerche sui manoscritti autografi di Serafino e come riporta in questo suo libro, il Razzi stesso più volte afferma “non composi giamai musica alcuna alle laudi”. Serafino Razzi non era un compositore di musica ma un compositore di testi. Tantissimi sono i musicologi, i ricercatori e gli storici che si sono occupati del Razzi: da Domenico Alaleona nel 1908 a Joseph Ratzinger, attuale Papa Benedetto XVI, i suoi libri di Laudi sono stati, e continuano ad essere, preziosa fonte di informazione, studi e ricerca. Grazie all’analisi dei suoi testi si è potuto attribuire agli effettivi compositori la paternità dei componimenti rintracciando le partiture, autografe, spesso assai più antiche dell’epoca in cui il Razzi viveva. Tutta la ricerca di Barbara è improntata sull’attività e la produzione monumentale di questo uomo che ricoprì la più alta carica possibile di insegnamento dell’Ordine Domenicano; che a soli ventisette anni pranzò alla tavola di Papa Paolo IV, che fu confidente e amico di Papa Pio V, che fu Vescovo Vicario di Dubrovnik, diplomatico per la Repubblica di Ragusa con i Turchi e i Veneziani... Questa celebrazione del quattrocentesimo anno dalla morte è stata voluta non tanto per celebrare il musicista, quanto per reinserire questo personaggio nella giusta importanza che ebbe nei suoi ottanta anni di vita e che oggi abbiamo dimenticato. A Padre Albino Varotti dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, uomo straordinariamente colto, che è stato insegnante di Armonia e Contrappunto presso il Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze, Direttore della Cappella Musicale della Basilica di San Ruffino, Patrono di Assisi e Maestro di Cappella della Basilica di San Francesco in Assisi nel 1967-68, devo le mie conoscenze su Serafino Razzi, straordinario ed eclettico studioso e letterato del cinquecento, uno dei 7 tanti marradesi illustri, pur non essendo nato a Marradi, che occupa un posto di rilievo nella storia italiana ed europea. Formidabili i resoconti dei suoi numerosi viaggi che suddivide e descrive come le sue “carte di viaggio”: “...Sono pertanto questi nostri Diarii, overo itinerarii distinti in tre parti, e Volumetti. Et in questo primo sono descritti due Viaggi principali. L’uno per l’Umbria: per la Marca, Romagna, Lomberdia, Piemonte e per Vinezia. E l’altro per Roma, Tivoli, Solmona, e per l’Abruzzi. Per Santo Angelo al monte Gargano: e per Napoli. Nel 2° volume, o parte, è descritto il viaggio a Santa Maria Maddalena, et il ritorno, per Firenze. Il Viaggio alla predica di Solmona, et alla Vergine di Loreto. Nel terzo volume sono descritti il viaggio alla predica di Lione, in Francia: et a Raugia, oltre al mare Adriatico, col ritorno d’amen due i luoghi...” L’amicizia con Albino Varotti mi ha consentito come Sindaco ed Assessore alla Cultura di Marradi negli anni ’90, di svolgere numerose iniziative, su Serafino Razzi. In particolare quelle sulle Laudi di Serafino Razzi per Lorenzo de’Medici e sua moglie Lucrezia Tornabuoni, in occasione del cinquecentesimo anniversario di Lorenzo de’Medici, nel 1992. Padre Albino, che ha riordinato gli archivi musicali francescani di Assisi e di Bologna, si è molto occupato del domenicano Razzi e del fratello, monaco camaldolese, Silvano. Oggi Barbara ci regala una nuova approfondita ricerca su Serafino Razzi nel quadro di un evento costituito da tre sezioni: la presentazione di questa biografia, una mostra dedicata alle sue opere ed un concerto nella chiesa delle amabilissime Suore Domenicane di Marradi, dove per l’occasione verrà eseguito lo “Stabat Mater” di Giovanni Battista Pergolesi diretto dal M° Giacomo De Simonis, in collaborazione con i musicisti dell’Orchestra “Lamus Ensemble” di Trento. La prima esecuzione di questo “Stabat Mater” avvenne nella Cappella di San Luigi a Palazzo, a Napoli, officio dei Padri Domenicani di San Domenico Maggiore e fu eseguita come Suffragio di Morte per colui che l’aveva composta. L’iniziativa dei due talentuosi musicisti ed in questo caso l’ appassionata ricerca di Barbara, arricchisce preziosamente il novero delle iniziative culturali di Marradi, che sempre più può vantare il titolo di “Capitale Culturale della Romagna-Toscana”. Il Presidente Onorario 8 Note dell’autore Quando ho deciso di dedicare un piccolo omaggio al Padre Serafino Razzi nel quattrocentesimo anno dalla morte non avevo idea del personaggio che avrei incontrato. Nella mia realtà di Professore d’Orchestra lo conoscevo solo come autore di Laudi Spirituali, repertorio tra l’altro assai lontano dalle mie specializzazioni. Lo ricordavo collegato agli stornelli dei “Maggiaioli” o citato, anche se piuttosto raramente, come musicista. Gli studi universitari di Paleografia Musicale, ma ancor più la specializzazione in Diplomatica e Archivistica, grazie ai quali non svolgo solamente il mio lavoro in orchestra ma anche quello di ricercatore, mi hanno condotto in modo inconscio a registrare nella memoria tutto ciò che mi passava davanti relativo a quest’uomo. Durante una vacanza in Croazia, mio marito ed io, acquistammo da un antiquario alcuni pergamini che ci avevano colpito in modo particolare: le pagine, strappate da un libro di preghiere erano bilingue italiano e croato e su una delle pagine si leggeva ancora chiaramente la scritta Fra’ Seraphinum Ratium. Pensando a come cominciare la mia ricerca ho ripreso in mano quei manoscritti e la prima domanda che mi è balzata alla mente è stata: perché non ho mai visto nessuna pagina musicale di quest’uomo? Tutto quello di cui ho ricordo sono edizioni moderne, ossia in notazione moderna, strumentali e a più voci, dove accanto al titolo campeggiava la dicitura “di Serafino Razzi”. Ma le regole della ricerca come quelle dell’arte sono granitiche: per attribuire un componimento ad un autore e dichiarare che la trascrizione è la versione moderna ma fedele dell’originale, devo mostrare l’originale autografo o copia dell’epoca e poi la versione moderna ritrascritta senza alcuna aggiunta, ossia assolutamente fedele all’originale. Qualsiasi modifica al testo originale va notificata e di fatto rende il componimento una libera revisione di un’opera altrui. Per spiegarmi meglio aggiungo che nel periodo in cui vive Serafino, la notazione musicale è ancora quadrata e le varie voci sono indicate in chiavi antiche, che leggono e si scrivono in maniera diversa dalle chiavi usate oggi nella musica. 9 Quello che mi era passato sotto gli occhi era troppo moderno, troppo concertato, troppo elaborato per un compositore che non ci ha lasciato nessuna intavolatura strumentale. Così ho deciso di lavorare come sono abituata a fare: partire dai manoscritti autografi, leggere tutto ciò che potevo, farmi un’idea mia e poi confrontarla con le conclusioni e gli scritti degli altri. Il materiale è andato aumentando di giorno in giorno, fino al momento in cui ho dovuto prendere la decisione di dividerlo in due parti, di cui la prima è contenuta in questo libro. In questa ricerca sono state coinvolte moltissime persone che mi hanno aiutato, anche senza conoscermi, a raccogliere materiale, informazioni, documenti, foto, libri... Con il passare del tempo mi sono affezionata a questo frate che pur essendo nato a Rocca San Casciano, per tutta la vita si è orgogliosamente firmato e dichiarato “Marradese”. Mi sono resa conto, non so bene a che punto di questo viaggio, che quello che desideravo era di riportarlo a casa sua, nella giusta luce, con tutta l’eredità culturale che ci ha lasciato e che l’uomo che avevo incontrato non era solo un frate o un musicista. Quando ho potuto ho lasciato parlare Serafino in prima persona utilizzando brani autografi riportati in corsivo. Sempre in corsivo sono i titoli delle sue opere, così come lui le scrive e come vennero stampate all’epoca. I termini San, Santi, Santa, Beato, Venerabile e Priore e altri risulteranno talvolta minuscoli e talvolta maiuscoli così come appaiono dalle minute dell’autore e, conseguentemente, quando ho attinto da fonti dell’epoca anch’io le ho usate come le ho trovate. I brani, le lettere, gli scritti e le opere di Serafino si leggono comunque senza problemi essendo vergate, come dice l’autore, in lingua Toscana. Alcuni nomi potranno sembrare alterati da errore, come nel caso di Anniballe Briganti (ma posso assicurare che il nome era proprio quello), o come per alcune città, come ad esempio “Vinezia” o “Solmona”. Le fonti archivistiche sono sempre riportate al margine sinistro del testo corsivo o raggruppate assieme se hanno costituito interi brani che io ho poi accorpato. Per quanto riguarda tutto il resto: biografia, cronologia, opere, storia, ricostruzioni e racconto... qualsiasi inesattezza o carenza è opera mia. 10 Ringraziamenti So che può apparire insolito trovare i ringraziamenti all’inizio di un libro. Farlo alla fine avrebbe però sminuito l’importanza di tutti coloro che mi hanno aiutato, relegandoli ad un ruolo marginale in quelle pagine che generalmente nessuno legge. Per prima cosa voglio ringraziare i miei genitori Emilio e Anna Maria Betti Gentilini: grazie per tutto, ma più di tutto per non aver mai fatto pesare la condizione di “figlia unica assente”, rendendomi in questo modo cittadina del mondo ma assolutamente consapevole e orgogliosa del luogo in cui sono le mie radici. Grazie a Rodolfo Ridolfi: è grazie al suo appoggio se questo libro, la mostra e il concerto che costituiscono l’evento dedicato al Padre Fra’ Serafino Razzi sono diventati possibili. Più che un ringraziamento, che può sembrare impersonale, desidero esprimere la mia ammirazione a quest’uomo intellettualmente libero e di straordinaria levatura etica e culturale. La mia gratitudine va al Sindaco di Marradi Sig. Paolo Bassetti che, sia in veste ufficiale che come privato cittadino, mi ha dato tutto l’aiuto possibile; all’Assessore Silva Ridolfi Gurioli per la disponibilità costante e l’eleganza intellettuale che la rendono una donna unica; al Dott. Antonio e Signora Anna Maria Tagliaferri Donati per l’entusiasmo e l’interesse con cui hanno partecipato a questa avventura. Entrare nel mondo di Serafino Razzi non è stato facilissimo e se sono riuscita a comprendere un po’ meglio il mondo dell’Ordine Domenicano lo devo al Padre Fausto Sbaffoni del Convento di San Marco in Firenze; grazie per la pazienza sempre sorridente con cui mi ha accolto, spiegato e raccontato. 11 Un sincero ringraziamento va a tutti i padri dell’Ordine che mi hanno aiutato a rintracciare opere e documenti: Padre Luciano Cinelli della Biblioteca Domenicana di Santa Maria Novella a Firenze, Padre Vincenzo Caprara Priore di San Domenico di Fiesole, Diacono Padre Nicola Tanna dell’Archivio Storico dell’Arcidiocesi di Bari, Padre Dott. Stjepana Krasic del Monastero Domenicano di Dubrovnik. Per la parte riguardante le ricerche relative al Regno di Napoli, desidero ringraziare con particolare gratitudine la Dottoressa Marina Picone Causa, Prof.ssa Emerita dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, la Professoressa Diana Lamberti Cesi, Pianista, Concertista e Docente del Conservatorio S.Pietro a Majella di Napoli e, per suo tramite, la Principessa Strongoli, che ha fornito la documentazione sulla famiglia d’Avalos. In ultimo e non per importanza, grazie al Prof. Carlo Causa, amico e collega, per la continua disponibilità e per tutte le ricerche svolte a Napoli. Per la documentazione giunta da Vasto devo ringraziare il Dott. Giovanni Mereu, la Dott.ssa Irma Perretti, dell’Archivio Storico di Vasto- Chieti e il Prof. Lino Spadaccini. La documentazione giunta da Belgrado è stata rintracciata e inviata grazie alla squisita disponibilità della Dott.ssa Maria Mazza, Direttrice dell’Istituto di Cultura Italiana di Belgrado. Per tutte le spiegazioni tecniche e storiche relative al tema “ navale e marittimo” contenute nei documenti trovati in Croazia, la mia gratitudine, per la totale disponibilità, va al Console Onorario di Malta, Dott. Enrico Gurioli. Grazie di cuore al Sig. Suljo Salihovic per aver tradotto dal croato i documenti riguardanti Serafino Razzi e Marko Marulic consentendo così alle mie ricerche di andare avanti. 12 A tutti i colleghi che hanno inviato documenti e materiale per questo lavoro: grazie. Grazie al M°Léon Linowitzki -Trògir, Croazia, al M° Joonas Uljas Nordgren- Copenhagen, ai M° Ana e Damiano D’Ambra -Spalato, ai M° Eva e Kostantin Auber Austria, al M° Regina Inès Jadasca y Morar - Siviglia, al M° Evfrozina Babinek -Slovenia. Un ringraziamento speciale va al M° Erika Capanni Panichi, che mi ha supportato e sopportato, che ha letto, corretto, studiato e riflettuto con me. Grazie per esserci stata sempre. E grazie al M° Carmen Gelormini, che si è occupata con affetto e pazienza di tutti i pasticci che ho combinato al computer ed ha curato la grafica di tutto quello che riguarda Opera In-Stabile e molte altre cose. Un doveroso omaggio va al Principe Francesco d’Avalos, M° Compositore e Direttore d’Orchestra, Cattedra di Fuga e Composizione del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, per la cortesia e per la stima e il riguardo che i suoi antenati ebbero verso Serafino Razzi. Infine grazie a Giacomo per aver deciso, scelto e fatto tutto ciò che riteneva essere la cosa migliore. 13 14 Fra’ Serafino Razzi O.P. Dottore Teologo Fu Professore di Logica in San Marco a Firenze di testi Aristotelici a Pistoia Maestro di Studi a Perugia Lettore di Metafisica a Viterbo resse l’Arcidiocesi di Raugia-Dubrovnik fino all’elezione del Cardinale Paolo Albero e Reggente dello Studio a Perugia che è la più alta carica di insegnamento dell’Ordine Domenicano 15 16 Serafino “...Su la riva del nobil fiume Montone, nella terra della Rocca a san Casciano, nella Romagna fiorentina, ove si trovava il padre mio in quel tempo podestà, nacqui l’anno 1531, alle tredicj di Dicembre, in mercoredì, su l’aurora...” Bibl. Naz. di Firenze, Pal.37,109 v. Così scrive di sé Serafino Razzi in una delle poche e rare notizie che lascerà sulla sua vita. Pur essendo nato a Rocca San Casciano il forte legame con il paese di origine della sua famiglia lo porterà a firmare sovente i propri scritti con la formula: “ Fratrem Seraphinum Ratium Marradium Aedita”. Questa formula non risulta inusuale, considerando che in quei secoli ( e spesso fino a tutto il XVIII secolo), era frequente l’uso del luogo di provenienza in sostituzione del cognome: Benedetto Varchi, al secolo Benedetto Betti da Montevarchi, o Giovanni Battista Pergolesi, al secolo Giovanni Battista Drago da Pergola. I dubbi sulla sua origine, che a tutt’oggi compaiono negli scritti che lo citano, credo possano essere fugati dalle dichiarazioni autografe dello stesso Serafino che trovano riscontro nel volume di Giulio Negri “ Istoria degli scrittori Fiorentini,” pubblicato in Ferrara nel 1772, in cui lo si dichiara: “... figlio di un certo ser Populano Razzi, da Marradi”. Indubbiamente Serafino proviene da una famiglia profondamente religiosa; dalle parche notizie che lascia sui propri congiunti sappiamo che: “...Ebbi a fratello maggiore Silvano, poi Monaco Camaldolese con il nome di Girolamo e una sorella che fu suora domenicana nel monastero di Santa Caterina in Firenze, con il nome di Suor Maria Angelica”... Queste notizie sono riportate nel volume pubblicato a Ragusa nel 1903, dal Prof. G.Gelcich e dal Padre Lodovico Ferretti O.P., i quali ci dicono anche che Suor Maria Angelica fu allieva di Suor Plautilla Nelli celebre pittrice, sotto la cui guida eseguì molti lavori in terracotta dipinta tra cui una Vergine col Bambino addormentato conservato, al tempo del Razzi, nella Sagrestia di San Marco in Firenze. Gran parte della produzione letteraria del Padre Serafino, porta una o più dediche. Nel: “ Teologo dell’istesso Ordine e professo di San Marco di Firenze. Perugia 1587, per Andrea Bresciano” 17 libro diviso in tre parti, troviamo tre dediche specifiche: il libro è indirizzato alla Signora Clarice Ridolfi, con data 5 feb.1587, ma la prima parte è dedicata alla Priora e alle suore di santa Colomba a Perugia, la seconda a Suor Lucida Baglioni del monastero di san Tommaso di Perugia e la terza alla “...nipote mia consobrina, suor Arcangela Razzi”, nel monastero di Pratovecchio. Da questo ricaviamo la notizia che un altro membro della sua famiglia, ossia la figlia di una cugina, aveva preso i voti nell’ordine domenicano. Il riferimento a Pratovecchio ci fornisce un altro legame con il paese di Marradi, luogo nativo dei genitori di Serafino e dei fratelli maggiori. Pratovecchio è il luogo da cui giunsero le prime due suore che dettero vita al monastero della SS.Annunziata delle Domenicane di Marradi. Per Decreto del Vescovo di Fiesole, Francesco Diacetti, aggiunto al consenso della Suprema Autorità Apostolica Papa Gregorio XIII, Suor Elisabetta Medici e Suor Febronia Fabbroni, religiose professe del Monastero di Santa Maria della Neve in Pratovecchio, furono autorizzate ad uscire per recarsi a Marradi, accompagnate dal Padre Don Vincenzo Galassi. Serafino si sentì chiamato alla vita religiosa fin da giovinetto; fu accompagnato dai genitori a Firenze dove ricevette la Cresima in Duomo e dove compì gli studi scegliendo nel diciassettesimo anno d’ età di entrare nel Convento di San Marco dove ricevette l’abito il 28 giugno 1549, vigilia dei SS.Apostoli Pietro e Paolo. “...l’anno poi MDXLIX, allj XXVIII di Giugno, in Venerdì ,detto il sacro mattutino de i Santissimj Apostolj Pietro e Paolo, intorno alle XXIII hore, ricevei il sacro habito della Religione per mano del R. Padre e gran servo di Dio il p. F. Matteo Strozzi, priore del convento di San Marco di Firenze, et il nome che io portava dj Giovannj mi fu cangiato nel nome di Serafino”... Pal.37, 89 r. Il 6 luglio 1550 emise i suoi voti religiosi : “...L’anno seguente, alli sei di Luglio, ottava de i prefatj apostoli, in Domenica, fra nona e vespro, feci la solenne professione nelle manj del predetto p.Priore...” Pal. 37,89r Il predetto Priore di cui Serafino parla, è Padre Francesco Romei, Generale dell’Ordine, “Reverendissimo Magistro Ordinis”. Il 14 settembre dell’anno 1551 ricevè gli Ordini Minori nel Duomo di Firenze: 18 “...l’anno stesso, del mese di dicembre, fui ordinato suddiacono e cantaj la prima pistola la festa di santo Stefano Protomartire.” L’anno seguente, nel sabato delle Quattro Tempora di settembre, fu Ordinato Diacono nella Compagnia di San Zanobi in Duomo ed entrò nel “Giovanato” sotto la guida del Padre Vincenzo Ercolani del Convento di San Domenico di Fiesole che diverrà poi Vescovo di Sarno, Imola e Perugia. Nel 1557 desideroso di potersi abilitare all’insegnamento, Serafino presenta domanda di ammissione per prendere la laurea di lettore come lui stesso ci lascia scritto: “...L’anno MDLVII, allj XXV di agosto, in mercoredì, dopo la pubblica essamina, in cui, oltre ai solitj R.p. officiali dello Studio, si degnò di argomentare il R.P. Maestro Reginaldo Nerlj, già stato Reggente in Bologna, fui accettato studente in Sacra Teologia in Santa Maria Novella di Firenze, ove di Perugia era stato trasferito lo Studio Generale della Provincia nostra. E ci stettj tre anni.” Pal 90 v Indubbiamente fu uno studente brillante, dotato di una vivace personalità e onestà intellettuale; studiò il greco e varie lingue moderne, compose elegantemente poesia italiana e latina, fu brillantissimo nelle dottrine filosofiche e teologiche, appassionato storico e attento osservatore delle antichità, appassionato di musica, pur lasciandoci note in cui dichiara “....di non essere nella musica molto introdotto ”, curioso indagatore delle scienze e della natura. Attraverso i suoi scritti, ci accorgiamo di attraversare il XVI secolo accanto ad un uomo dotato di tenacia senza pari, sorretto da una fede incrollabile e sincera e benedetto da una tempra straordinaria. Le cronache e gli scritti che lo riguardano ci indicano un uomo amato da tutti i suoi confratelli e amato e rispettato in ogni luogo in cui il suo ufficio lo invia. Importanti Prelati e famosi letterati del suo tempo mantennero con Serafino corrispondenza epistolare e di lui parlarono ancora dopo la morte. Ha attraversato l’Italia, parte della Francia, la Dalmazia, la Croazia, il Montenegro a piedi armato solo della sua incrollabile fede. Fin dagli anni universitari iniziarono a chiamarlo con l’appellativo di “Ecclesiaste”, probabilmente un soprannome che i compagni universitari e i confratelli trassero affettuosamente dal libro del “Qoèlet” l’Ecclesiaste appunto, prendendo spunto dalla Vita di Salomone “...Io, Qoèlet, sono stato re d’Israele in Gerusalemme... Mi sono proposto di ricercare e investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo.... 19 E’ questa una occupazione penosa che Dio ha imposto agli uomini perché in essa fatichino:” Gen. 3,17-19 Qo. 3, 10 E Serafino deve aver sempre dimostrato interesse per tutto e grande devozione al sapere, come una forma di dovere verso sé stesso e verso Dio. Questa fame di conoscenza, che ne plasmò la mente e gli donò grande erudizione, lo rese apprezzato e benvoluto interlocutore di Papi e regnanti. Ricevuta la consacrazione al Diaconato, Serafino fu mandato a Perugia, dove si trovava in quegli anni lo Studio Generale della provincia Romana, per la frequenza dell’anno scolastico. Ma la straordinaria predisposizione al ministero apostolico di cui dette prova fin da subito, indusse i suoi superiori a commissionarlo di varie predicazioni, la prima delle quali a soli ventitré anni. La prima predica avvenne in Quaresima come lui stesso dice : “...L’anno MDLIII fui mandato la prima volta a predicare i dì festivj della quaresima al popolo e così diacono predicaj quattro quaresime”. e fu a Pieve di Ripoli, poi a Peretola nel 1554, a Monticelli nel 1555, nel 1556 a Quinto e nel settembre di questo stesso anno fu ordinato Sacerdote nel Duomo di Pistoia. Di sua mano sappiamo che : “...cantai la mia prima messa nella chiesa di Santa Maria Novella di Firenze, nella festa degli Angeli, presente il molto R.P. Provinciale, frate Angelo Bettini, riformatore del prefato Convento, l’anno stesso 1556, la vigilia di san Jacopo Apostolo...” ossia il 29 settembre, giorno di San Michele Arcangelo. Il 25 novembre di quello stesso anno, in compagnia del R.P. Provinciale Bettini, partì da Firenze incaricato di predicare a Siena, Montepulciano, Perugia, Foligno, Spoleto e Narni preceduto da una fama di cui era e rimarrà sempre estraneo e stupito. A Narni, i due Padri rimasero bloccati a causa della neve e qui Serafino celebrò la solennità del Santo Natale. Passato il Natale proseguì il suo viaggio per Orvieto, Viterbo e Roma, dove il 14 gennaio incontrò il Sommo Pontefice, Papa Paolo IV. 20 Alla tavola di Papa Paolo IV “...Quindi poscia per Orvieto e Viterbo condottici a Roma, favellaj con la beatitudine di Paolo quarto Caraffa, stando anche a tavola, dopo desinare, la mattina di S.Ilario, allj XIII di gennaio 1557. E con stupore degli astanti prelatj et Ambasciatorj di principi, mi ascoltò, grazia sua, quel santo vecchio, amorevole nella nostra religione, e mi intrattenne a parlar seco per buona pezza e mi addimandò di pure assai cose; e due volte mi ricercò se io voleva grazia veruna: ma io, che impensatamente un cotale favore mi vidi fare, altro non chiesi che benedizionj. E fui da sua beatitudine, nel licenziarmi, mandato per sua parte, a fare riverenza a Monsignore Ghislerio, Vescovo di Nepi, fra Michele, che poi fu fatto da lui Cardinale e, dopo nove anni, fu creato papa... MSS 166R Un giovane frate ventiseienne, ricevuto personalmente da Sua Santità, ospite alla sua tavola e presentato con l’appellativo di Ecclesiaste, che indubbiamente stupisce in quanto tale titolo fa istintivamente pensare ad un maturo Padre della Chiesa, non può che aver instaurato curiosità negli Ambasciatori dei Principi e nei nobili ospiti presenti. Probabilmente è in questo momento che la fama di Serafino comincia a diffondersi oltre i confini della Toscana. Indifferente a tanta curiosità e ammirazione la sua natura candida e il suo stupore non hanno bisogno di descrizione; in un’epoca in cui un’udienza papale era circoscritta a nobili e alti prelati, l’accoglienza che Paolo IV riserva al giovane frate ci mostra non solo l’aura di grande spiritualità e competenza apostolica che lo anticipavano ovunque andasse, ma anche la straordinaria capacità di relazionarsi con tutti. La semplicità della sua natura risulta evidente dallo stupore che prova davanti alla domanda di Paolo IV : “ ...se io voleva grazia veruna...” Avrebbe potuto chiedere qualsiasi cosa: una cattedra, una nomina, una diocesi sua, dispense particolari, una rendita per la realizzazione dei suoi studi ma Serafino chiede al Santo Padre solo di essere benedetto. Stupito e ammirato Paolo IV prima di licenziarlo dal suo cospetto, lo incarica di presentarsi a rendere omaggio in suo nome a Monsignor Ghislerio, Vescovo di Nepi che egli stesso aveva nominato Cardinale e che, a pochi anni dall’incontro con Serafino, salirà al soglio di Pietro con il nome di Pio V, nel 1559. Come Serafino, Michele Ghisleri aveva preso i voti nell’ordine domenicano divenendo prima rettore di vari conventi e poi, nel 1550, Commissario Generale dell’Inquisizione Romana. 21 L’incontro tra i due lascia un segno particolare nella memoria di Serafino, un segno che egli interpreta come la premonizione del Santo Padre a lui affidata della futura assunzione al papato di Monsignor Ghisleri. Serafino interpreta se stesso come l’araldo della visione del Papa: “...un serafino, che dopo nove anni, secondo il numero dei nove cori angelici...”, ossia nove anni di Cardinalato prima dell’elezione al Soglio di Pietro. E allo stesso modo interpretò l’evento Monsignor Ghislerio che divenuto Papa Pio V incontrò e ascoltò più volte il “Messaggero” di questa predizione dimostrandogli sempre profonda simpatia e stima. Come già detto, Serafino aveva in quell’anno presentato domanda di ammissione per ottenere la laurea di Lettore che compì in tre anni. Nel 1556 lo studio generale della Provincia Romana fu trasferito da Perugia a Firenze nel Convento di Santa Maria Novella sotto il Priorato del P. Matteo Strozzi, che aveva richiamato in vigore le osservanze claustrali durante gli anni di corso di laurea. Per volere dei suoi superiori, Serafino fu nuovamente esentato dagli obblighi claustrali e continuò così le predicazioni parallelamente agli studi Teologici. Laureato in Filosofia e Teologia nel 1560, tenne le sue lezioni nel Convento di San Marco per due anni e in San Domenico di Pistoia per altri tre. “...E l’anno poi 1562, nel capitolo celebrato in Prato, fui mandato con tutta la lezzione a san Domenico di Pistoia, ove lessi tre altrj annj e finij il corso di tutta la lettura di Aristotele con nove scolarj di dodicj, coi quali incominciaj. De i qualj, poscia, uscirono tre lettorj dell’artj, uno dei quali, cioè il p.fra Vincenzo Fivizzano, oggi 1593, è meritevole Reggente nello studio nostro generale in Perugia...” Pal 90v-91r E’ in questo anno che l’instancabile Serafino raccoglie le più famose ed eseguite Laudi Sacre in uso nelle chiese di Firenze, aggiungendovene varie di sua composizione. Il volume dal titolo “ Libro primo delle Laudi spirituali da diversi ecc. e divoti autori, antichi e moderni composte. Le quali si usano cantare in Firenze nelle Chiese doppo Vespro ò la Compieta à consolazione e trattenimento dè divoti servi di Dio. Con la propria musica e modo di cantare ciascuna Laude, come si è usato da gli antichi, e si usa in Firenze. “ 22 fu stampato a Venezia nel 1562 dalla Tipografia di Francesco Rampazzetti ad istanza di Filippo Giunti, Fiorentino. Il Giunti premise alla pubblicazione una bellissima lettera, in cui si firma “Figliolo in Christo Filippo Giunti ”, con la quale dedica l’opera alla molto Reverenda Madre Caterina de’ Ricci, già celebre per la fama di santità di cui era circondata e in quel tempo Sottopriora del Monastero Domenicano di San Vincenzo di Prato. La fondazione di questo Monastero fu preannunciata da Girolamo Savonarola durante una predicazione a Prato nel 1495 e fu fondato da fra’ Silvestro da Marradi, suo discepolo e famoso predicatore, che nel 1503 ne divenne quinto Priore della Riforma. Le Cronache del monastero di Prato ci raccontano di lui: “Fra Salvestro (di Evangelista) da Marradi - castello della Romagna Ducale e Fiorentina, posto alle radici dei monti Appennini, dalla parte settentrionale, non più di trenta miglia da Firenze distante -, fu il quinto Priore di San Domenico di Prato, dopo la riformazione fatta di detto convento l’anno 1495, canonicamente eletto e confermato l’anno 1503...e fu di queste monache priore e confessoro... Fu ancora detto padre f. Silvestro da Marradi priore a san Domenico di Fiesole, et in altri luoghi e poscia morì in S.Caterina di Pisa, l’anno 1516, con grande opinione di santità.” Chronicon di S.Vincenzo di Prato E Vita de’ Santi e de’ Beati dell’Ordine Domenicano Fra Silvestro da Marradi, vestì 9 suore il 29 agosto 1504, ossia le prime fondatrici del monastero di San Vincenzo, tra cui una certa Suor Raffaella di Giovanni da Faenza. E’ durante il Sacco di Prato del 1512, che nel monastero di San Vincenzo a Prato avviene un miracolo narrato da Serafino in un racconto inedito dal titolo : “ La Madonna dei Papalini”, aggiunto assieme ad altri racconti ad un volume pubblicato nel XIX secolo da Cesare Guasti. E’ dunque evidente il legame tra questo monastero e i padri di San Marco in Firenze. Non è quindi strano che i novizi siano spesso condotti a Prato come in occasione della Festa di San Vincenzo. Fu durante questa festa che Serafino ebbe modo di incontrare e conoscere Caterina de’ Ricci, la futura santa, assistendo durante una funzione ad una delle celebri “Estasi della Passione”. L’estasi di Caterina rimase impressa nell’animo di Serafino per tutta la vita e fu in quell’occasione che egli le chiese di accoglierlo come figlio spirituale. L’estasi era un momento particolarmente sconvolgente e traumatico: comparivano le stigmate, le mani e la fronte sanguinavano, 23 Caterina cadeva in una sorta di svenimento e oblio e il corpo riviveva il dolore e il martirio della crocifissione in uno stato di sospensione temporale che separava e allo stesso tempo congiungeva lo strazio del corpo alla sublimazione dello spirito che incontrava e contemplava il Cristo. Serafino vive questa esperienza non come trauma, ma come segno inconfutabile dell’esistenza di Dio; è per sua volontà che ha potuto assistere a questo miracolo ed il segno è stato inviato attraverso la sua sposa Caterina, che diverrà per lui il legame spirituale più profondo di tutta la vita. Nel 1565, il Padre Vincenzo Ercolani eletto provinciale Romano lo scelse come compagno e segretario, per il delicato compito delle visite ai monasteri delle province. Quasi contemporaneamente, giungeva al Padre Provinciale la domanda dei frati di San Domenico di Fiesole che, avendo eletto Fra’ Serafino Priore del loro convento, richiedevano la conferma dell’ elezione. La sensazione che si ricava dai documenti è che il trentaquattrenne Serafino sia più incline a declinare il grande onore e l’ufficio, più che ad accettarlo, ma il Padre Provinciale Ercolani conferma l’elezione il giorno stesso e ovviamente il giovane Razzi dovette piegarsi ed accettare. Chronicon di Fiesole “...Fr. Seraphinus Ractius a Marradio, fuit electus et datus in priorem huius conventus a R do p. fr.Vincentio Erculano, Perusino, et prioratus iniit die nona Septembris MDLXV. Fr. Seraphinus praescriptus, ex socio R di patris provincialis in Priorem huius carnobj canonice electus apud conventum saxensem, in agro casentinate confirmatur tertio iudus Septembris, id est die XI eiusdem mensis 1565. Venit autem ad conventum istum die XVI Septembris et praefuit menses viginti quatuor et dies XXII et Faesulanum aerem in Urbevetanum commutavit in ea urbe prior electus et confirmatus die 27 Septembris 1567” Chronicon S.Dominici de Faesulus, 53v Con questa lettera, giunta a Santa Maria del Sasso di Bibbiena, nel casentino, si interrompe il viaggio di Serafino come segretario del Padre Provinciale per diventare, all’età di trentaquattro anni, Priore di Fiesole. Negli anni di priorato in San Domenico a Fiesole si dedica alla composizione della vita del confratello Giovanni Taulero, insigne Teologo (del secolo XIV ), del quale traduce dallo spagnolo anche le “ Istitutioni”. Quest’opera: “ Vita et istitutioni del sublime et illuminato Teologo Giovanni Taulero. Tradotte nuovamente di latina in lingua Toscana. Firenze,Giunti, 1568” 24 fu dedicata il 25 aprile del 1568 alla Principessa Giovanna d’Austria, nuora di Cosimo I de’ Medici ma la stesura autografa, che porta la data del 25 settembre 1567, è indirizzata a suor Tecla Landi, priora del Monastero di S. Caterina in Firenze, dove era monaca sua sorella Suor Maria Angelica. Durante il Priorato in San Domenico, fa commissionare un dipinto del Beato Giovanni Domenici, fondatore del convento ed uno di S.Antonino da porre su due porte, oltre ad altri lavori d’arte e restauro. “...De mense Iulij, agente priore huius coenobij Ven. patre Fratre Seraphino Ractio Marradio...” Pal 37, 94 r Nel 1567 termina il Priorato in Fiesole ed assume il Priorato di Orvieto, dove resterà fino al 1569. E’ qui che Serafino raccoglie in un volume i sermoni predicabili nell’anno che indirizza a Suor Teodosia Orsina del monastero di Orvieto e a: “...don Silvano, nostro fratello” dove per don Silvano dobbiamo intendere il fratello che già aveva preso i voti con il nome di Girolamo, nome che non sarà usato mai, né come firma delle opere né dai superiori e dagli amici né dal suo stesso fratello. Sempre agli anni di Orvieto appartengono le “Lezioni su Tobia” rimaste inedite. Alla fine del mandato di Orvieto nel 1569, accade un fatto singolare che ancora una volta ci testimonia la straordinaria fama che circonda Serafino: nei due conventi di Spoleto e Foligno, sapendo che il Padre Razzi era giunto alla fine del Priorato in Orvieto, i Padri lo elessero contemporaneamente Priore in entrambi i Monasteri. La disputa fu vinta dal Monastero di Foligno, per intercessione del Vescovo della città che lo volle suo Teologo. E’ a Foligno che compone le celebri “ Vite di Santi e Beati Domenicani” che furono stampate a Firenze nel 1577 e dato lo straordinario interesse e successo che il libro ottenne in ambito teologico, fu adottato da tutti i monasteri dell’ordine e ristampato nel 1588. Al periodo della composizione di quest’opera sono da collegarsi i numerosi viaggi che Serafino compie nelle Marche, in Romagna, Veneto e Lombardia, visitando chiese e Monasteri dell’Ordine alla ricerca di memorie e documenti per la compilazione delle vite. Finito il Priorato a Foligno, fu nominato Maestro degli studenti in San Domenico a Perugia dove resterà fino al 1574. Erano quelli anni particolari, caratterizzati dall’istituzione della riforma dell’ordine domenicano: Fra’ Paolino Bernardini, Lucchese, strenuo difensore di Girolamo Savonarola davanti alla Congregazione dei Cardinali tenuta sotto Papa Paolo IV, e intimo amico di San Filippo Neri che del 25 Savonarola era stato allievo in San Marco a Firenze, fu incaricato dai superiori dell’Ordine di riformare i conventi degli Abruzzi e delle Calabrie. Come compagno e segretario particolare gli fu affiancato Serafino. Risalgono sempre al 1574, la composizione del “Rosario in ottava Rima”, stampato poi in Firenze nel 1583, con prefazione di Don Silvano Razzi, suo fratello e: “ Sermoni sulla penitenza e opere penitenziali, digiuno, orazioni ed elemosina”, rimasto inedito. In seguito al viaggio di riforma con il p. Bernardini, Sisto Fabri, Vicario Generale dell’Ordine, lo nomina Priore di Penne negli Abruzzi e qui resta fino all’8 luglio 1576, quando il Padre Serafino da Brescia, nuovo Generale dell’Ordine, con una magnifica lettera, in cui lo chiama: “Vita morumque sanctitate et multa eruditione ornatum...” lo elegge Priore di Vasto su richiesta di Donna Isabella Gonzaga d’Avalos Marchesa di Pescara e del Vasto. Nel 1580 lo ritroviamo a Spoleto, lettore di Sacra Scrittura, ed è qui che compone l’operetta “I Casi della Lingua”, dedicati al Cardinale d’Ascoli. Da Spoleto Serafino parte per Lione nel 1581, inviato a predicare in Francia alla “nazione Fiorentina”. Ritornato in Italia viene mandato a Viterbo alla cattedra di “Lettore di Metafisica” e qui, in virtù di una fitta corrispondenza tenuta con illustri colleghi di Lione, compone i quattro libri “ Della Sfera del mondo”, rimasti inediti. Di nuovo, quasi contemporaneamente, fu richiesto come Priore a Città di Castello e a Perugia. Su insistenza del Cardinale Alessandrini, accettò prima il priorato di Città di Castello e poi quello di Perugia, rinunciando di buon grado ad un invito che precedentemente aveva ricevuto per predicare a Messina. E’ palese quanto Serafino tenesse al soggiorno a Messina dato che più volte confidò il desiderio di fare nuove ricerche nei conventi dell’ordine in Sicilia, al fine di poter ampliare la sua opera sulla Vita dei Santi e Beati. Ma com’era nel suo carattere e nella sua natura, accettò ciò che gli si chiedeva senza riserve. Rimase a Perugia cinque anni, e qui il Priore Generale Sisto Fabri, con speciale autorità papale, lo elesse “Maestro in Sacra Teologia e Reggente degli Studi” la più alta carica possibile di insegnamento dell’Ordine Domenicano. Per tre anni insegnò la Somma Teologia di San Tommaso e a questo periodo risalgono molti pregevolissimi lavori, tra cui il primo libro della “ Corona Angelica” stampato a Lucca nel 1599 , “Compendio dei Luoghi Teologici di Melchior Cano” e “ Vite di Santa Maddalena, Santa Marta, San Lazzaro e San Massimino”, 26 la traduzione dal dialetto piemontese dell’operetta del P.Silvestro da Prierio, che fu Maestro del Sacro Palazzo sotto Leone X, intitolata “Rifugio spirituale degli sconsolati”, la traduzione della “Scuola Salernitana”: una curiosa raccolta di massime per mantenersi in salute dedicata ad Antonio Salviati, amico epistolare di Caterina de’Ricci e mecenate della cappella di S.Antonino in San Marco a Firenze ed infine: “Innario Domenicano”, una poetica traduzione degli Inni ecclesiastici dell’Ordine. All’apice di una straordinaria carriera, in cui sembra che la definitiva destinazione di Serafino sia ormai divenuta Perugia, arriva per lui un nuovo incarico. In quegli anni la congregazione di Ragusa, l’attuale Dubrovnik, versava in una situazione di notevole decadenza. All’interno della comunità si erano create ingerenze da parte dei secolari e la regolare disciplina era andata via via sgretolandosi. Già nel 1566 il Generale dell’Ordine aveva cercato di porre rimedio alla situazione inviando sul posto Fra’ Vittore da Firenze, seguito da Abbondio da Como ed Eugenio da Finale. La circoscrizione religiosa raugea versava in un momento di grave difficoltà e criticità; nel 1576 si era chiuso un processo per gravi atti di insubordinazione, pubblici scandali finanziari e morali che si era concluso con pene durissime. Dati gli ottimi esiti seguiti al “viaggio nella riforma degli Abruzzi”, l’incarico fu affidato a Serafino, con patente di Vicario Generale della Congregazione di Ragusa, che si apprestò a partire immediatamente. Scelse come compagno e segretario personale Arcangelo da Penne, che già lo aveva accompagnato nel viaggio nelle terre d’Abruzzo, a Napoli nelle terre di Puglia e delle Calabrie e in Provenza. Giunse a Ragusa nel 1587 e, se pur colpito da una grave perdita, riuscì in breve tempo a riconciliare la congregazione richiamando in vigore tutte le regole dell’Ordine ma premurandosi di conciliarle al rispetto delle consuetudini della città. La cortesia e la gentilezza unite alla capacità di governo e alla straordinaria curiosità per tutte le cose, lo rivelarono come l’uomo in assoluto più adatto a quell’incarico. Risale al 16 marzo 1588, una lettera dei Consiglieri di Ragusa indirizzata al Cardinale Alessandrino Bonelli, nipote di Pio V, che porgono vivissimi ringraziamenti per l’invio del Padre Serafino: 27 ”...hor il convento vive in pace et osservanza con piacere di tuti noi.....” e ...”V.Ill.ma e R.ma Signoria che vogli favorire le attioni di deto padre Vicario, ...col che le ci raccomandiamo...” Ex Archiv, pol. adm. Rp. Ragusanae “Lettere e Commissioni di ponente” 1585, in 8 fol.2346 Il 17 luglio 1588, Monsignor Raffaele Bonelli Vescovo di Ragusa morì e i Canonici della Cattedrale all’unanimità elessero il Padre Serafino, da poco meno di un anno in città, Vicario Capitolare durante la vacanza del soglio Arcivescovile. Sappiamo che Serafino oppose una notevole resistenza a questa elezione, e solo dopo lunghe insistenze accettò l’incarico a condizione che se ne scrivesse a Roma, alla Sacra Congregazione dei Vescovi. Serafino tenne il governo dell’Arcidiocesi Vescovile, oltre al priorato di San Domenico di Ragusa, la cattedra di Teologia e le predicazioni, per quattro mesi e mezzo, fino all’elezione di Mons. Paolo Albero. Nonostante il carico sempre maggiore di lavoro, si interessa con passione alla storia locale e della Dalmazia. Compone qui: “Dell’Istoria di Raugia” Scritta da F.Serafino Razzi nuovamente in tre libri Teologo Domenicano” libro importantissimo, che fu poi stampato a Lucca per i tipi di Busdraghi nel 1595. Di questo periodo sono anche : “Narrazione degli Arcivescovi di Ragusa” biografia di 49 arcivescovi dal 980 al 1559, rimasta inedita, la: “Vita della beata Osanna da Cattaro” storia della vergine domenicana stampato a Firenze, la traduzione dal latino di una: “Vita di San Trifone ,avvocato dei Cattarini”, la traduzione delle: “ Narrazioni di Mons.Segonio Vescovo di Dulcigno sull’origine, la milizia e i costumi dei Turchi” con una breve “ Descrizione della Terra Santa e dell’Isola di Malta” e la composizione di: “ Della natura e proprietà delle api o vero pecchie da gravi autori raccolta” opella stampata in Lucca per Vincenzio Busdraghi e dedicata 28 agli Illustrissimi Signori il Rettore e Gentiluomini Raugei” e “Istoria degli Uomini Illustri” dell’Ordine domenicano, particolarmente importante poiché nell’ultima parte tratta di personaggi a lui contemporanei e personalmente conosciuti. MS citati: S.Domenico di Fiesole, fol.212-213 e fol. 218-247 Ms, fol.34-327,ARG.rag Sul finire del 1589 viene richiamato a Perugia dove con grande piacere riprende il suo incarico di Maestro Reggente dello studio. Risalgono al 1590, le composizioni delle altre opere: “Vita di fra Girolamo Savonarola” Autografo, Bibl. Comunale Lucca, Ms. 2580 Fiesole, prima stesura, MS autografo “Libri Quattro di laudi” Firenze, Bibl.Naz, Pal.. 173, ff.1r-3v Dal 1592 lo ritroviamo a Pistoia, Firenze e Prato confessore del Monastero di San Vincenzo. Nel 1595 è “...Confessoro di Santa Lucia in Firenze, predicai le feste alle prefate monache.” Continuerà a predicare e scrivere fino al 1609, e sono databili a questi undici anni della sua lunga e operosissima vita, le seguenti opere: “ Cronica della Provincia Romana dell’Ordine dei Frati Predicatori” Fir, Bibl. Laurenziana, 873, ff.163v “ Officium beate Catherinae Ricciae, Instituti sancti Dominici” Prato, Monastero S.Vincenzo, Archivio, Ms 14 (parte autografa) “ Discorso delle Campane” Fir.Bibl.Naz. J.II.46 “Giardino d’esempi o vero fiori delle vite de’ Santi scritte in lingua volgare. Sermartelli , Firenze, MDXCIV 29 Questo lavoro ebbe grande successo ed oltre alla stampa Sermartelli del 1599, fu stampata a Venezia per i tipi Zanetti sempre nel 1599, a Roma da G. Facciotti nel 1608, da A.Turini nel 1611, da Giuliani nel 1630 e ne risultano ristampe nel 1674 e nel 1682. “ La Vita della Reverenda Serva di Dio, la Madre suor Caterina de’ Ricci, Monaca del Venerabile Monastero di S. Vincenzio di Prato. In Lucca, per Vincentio Busdraghi. 1594 “Della Corona Angelica, libro primo, in cui si parla della sostanza degli Angeli assolutamente e per comparazione ai corpi. Lucca, Busdraghi, 1599.” Quest’ ultimo volume fu realizzato grazie a Flavia Perretta Duchessa di Bracciano, grande estimatrice del padre Serafino, che inviò una “limosina” di 50 ducati per la stampa. Il libro porta in calce la dedica alla Duchessa di Bracciano. “ Officio ecclesiastico per la festa di San Giacinto” Questo “officio”, venne inserito nel “Breviarium Ord. Praed.”. Una copia si trova a Bologna, Bibl.Univ. Ms. 1056, ff.234v-246 “Specchio di Morte” Commentario alle nove lezioni dell’ufficio dei morti, tratte dal libro di Giobbe. Tali pagine furono composte tra il 9 e il 10 luglio 1601. Databile al 1604 è il componimento: “Vita del Patriarca Noe overo commentari volgari sopra quella parte del Genesi in cui si parla di lui...distinta in quattro libri” L’opera era dedicata al Priore di San Marco, fra Bernardo Alessandrini “data della camera di S.Tommaso alli 26 d’ottobre MDCIV.” Sappiamo che si trattava di un’opera di 171 pagine e che fu posseduta da Luigi Tramontani, in Pratovecchio, Firenze. Del 1609 è il componimento: “Santuario di Laudi o vero rime spirituali per le feste di ciaschedun Santo solennemente celebrato per tutto l’anno da S.Chiesa, con eziandio quelle delle Feste mobili e di alcune da cantarsi nel vestire di monache. Con Brevi annotazioni in prosa. Sermartelli , MDCIX” 30 L’opera è dedicata a Suor Vittoria Malaspina del Monastero di Prato. La lettera con la dedica è in realtà un addio del padre Serafino che morirà due anni dopo. “... Come il primo libro delle Laudi da me raccolte e fatte stampare con le musiche loro l’anno 1563 nella clarissima città di Venezia, fu al monastero vostro per mano della Beata Memoria della humilissima e suor Caterina de’Ricci dedicato da me, così questo presente libro del Santuario delle Laudi, composto e stampato in questa serenissima città di Firenze, all’istesso vostro Monastero per le mani vostre, Suor Vettoria, che fuste vestita dalla Beata Madre prefata suor Caterina e da lei tanto amata e dalle suore vostre tutte, viene inviato allo stesso vostro sacro Collegio. Concedaci nostro Signore, che come i nostri libri cominciarono a ire in luce, e finiranno con questo presente, che in vita mia ho stampato, e penso che sia per essere l’ultimo, trovandomi vicino all’ottantesimo anno... Firenze, allj 5 Giugno 1609”. Attraverso le semplici parole di Serafino, si percepisce la serena consapevolezza dell’avvicinarsi del suo tempo. Con questa ultima opera, quasi a chiudere un cerchio iniziato tanti anni prima ancora ragazzino, egli rende a Caterina un definitivo ringraziamento per quel giorno lontano in cui fu testimone dell’estasi della Passione. Quell’evento fu probabilmente il fondamento di una fede sincera, gioiosa e granitica che mai venne meno. Così come il suo primo lavoro fu un libro di poesia e musica così fu l’ultimo, quarantasei anni dopo. Serafino si ricongiunse alla Casa del Padre l’8 Agosto 1611, nel suo Convento di San Marco in Firenze dove fu Priore e dove è sepolto. 31 32 1611 a dì 8 di Agosto Il molto R.do P.re Maestro Fra Serafino Razzi figliolo di q.to Convento di età di anni 80 morì il dì d.o. e fu sepolto nella sepoltura dei frati dinanzi alla porta del coro verso l’altare di S.Marco. Q.to fu P.re veramente di S.ta vita, d’ottimi costumi, di raro exemplo e di molte lett.re fu ancora molto zelante dell’honore della sua Relig.ne. Fu devotissimo principalm.te verso la M.re di Dio e t.ti gli altri Santi onde per la gran reverenza verso S.Maria Maddalena con molto suo disagio si partì da Fiorenza alla volta di Marsilia per visitare le sue sante reliquie, andando sempre a piedi in t.ti i viaggi. Non starò a dire altro perchè i libri mandati da q.to P.re alla stampa fanno chiara testimonianza della santità e dottrina sua. Adesso che gode in cielo preghi Dio per noi. ** * Ho cercato in queste pagine di ripercorrere la vita di Serafino Razzi, cercando di seguire la cronologia della sua storia il più fedelmente possibile. Ovviamente non ho potuto elencare tutte le opere e i componimenti abbinandoli ad eventi e luoghi ma intendo citare qui tutte le sue opere a stampa, gli inediti e le opere non databili, affinché resti memoria di tutto ciò che ci ha lasciato. 33 Opere a Stampa 1568 1563 Libro I delle Laudi Spirituali... La vita et institutioni del sublime et illuminato Giovanni Taulero... 1575 Sermoni del Reverendo P.F.Serafino Razzi dell’Ordine de Frati Predicatori... 1577 Vite de’ Santi, Beati e Venerabili del Sacro Ordine dei Predicatori... 1578 Cento casi di coscienza dedicati al Rev.mo P.Antonio da Pisa Eremita... 1583 Rosario della Gloriosissima Vergine Madre di Dio... 1584 Filamore, ragionamento di Santa Maria Maddalena con Gesù Cristo... 1587 Hymnario domenicano... 1587...Teologo dell’istesso ordine e professo di San Marco (a Clarice Ridolfi)... 1587...Scuola Salernitana del modo di conservarsi in sanità... 1587 Vita e laudi di Santa Maria Maddalena, San Lazzero e Santa Marta... 1588 Della natura e proprietà delle api... 1590 Sermoni predicabili dalla prima Domenica dell’Avvento... 1592 Vita della Beata Osanna da Cattaro 1594 Sermoni in laude della gloriosissima Vergine e Madre di Dio... 1594 Vera Relazione della Cintola della gloriosa Vergine Maria... 1594...Giardino d’esempi o vero fiori delle vite de’ Santi... !594 La Vita delle Reverenda Serva di Dio, la Madre suor Caterina de’ Ricci... 1595 la Storia di Ragugia... 1595...La Vita de SS. Giacinto e Vincenzo Ferreri... 1596 Historia degli Huomini illustri così nelle prelature come nelle Dottrine... 34 1599 Della corona angelica, libro primo in cui si parla della sostanza degli Angeli... 1603 De locis theologicis praelectiones quibus RR.D.Melchiori Cano ... 1603 Officio ecclesiastico per la festa di san Giacinto 1609 Santuario di Laudi... Scritti Inediti 1588 Della grammatica Toscana composta da Benedetto Varchi... 1588 Dichiarazione di tutti i termini principali et necessarij della logica... 1560 In Porphirium 1560 In Praedicamenta 1561 In post Praedicamenta 1561 In primum Perihermenias 1561 In librum primum Posteriorum Aristotelis 1562 Lectura in quatuor priores libros de physico auditu Aristotelis 1562 Lectura F.Seraphinj Ractij e Marradio, Institutj Divj Dominicj... 1563 Lectura in tres libros Aristotelis de Anima 1563 In priores quinque libros metaphysices eiusdem Aristotelis 1563 Lectura in tres libros Aristotelis de Anima 1565 De divisionibus entis 1565 Praelectio postrema in Metaphisicam... 1567 Vita di Santa Agata Vergine e martire 1569 Lezioni sopra il libro di Tobia 35 1569 Vita di S. Barbara 1570 Lezioni sopra il libro di Judith 1572 Lezioni sopra il libro di Esterre 1572 Viaggio per la Marca e Lombardia... 1573 De Incarnatione 1573 Questiones de Peccato 1574 Una serie di Viaggi... 1575 Altri Viaggi... 1575 Sermoni della penitenza et opere penitenzialj... 1575 Origine e descrizione della Cività di Penna 1576...Altri Viaggi... 1576 Vita di santa Agnesa Vergine e martire 1577 Viaggio a Napoli... 1577 Vita di santa Cecilia vergine e martire 1579 Meditazione sulla passione di N.S.Gesù Cristo... 1580 Casi della lingua 1581 Sopra la sfera del mondo. Quattro libri 1583 Lectiones nonnullae in Tobiam 1583 De voluntate divina 1584 Divi Thomae Aquinatis: De substantia et cognitione... 1584...Conclusiones aliquot ex philosophia et logica ac Theologia... 1585 Divi Thomae Aquinatis: De voluntate et productione Angelorum... 1585 La corona angelica, cioè cinque libri in cui si tratta... 1585 Rifugio spirituale degli sconsolati trad... 1585 Scala del santo Amore del P.M.Silvestro da Prierio... 1586 De previdentia 1587 Praeludium ante disputationem 1587 Scritture fatte in Raugia... 1587 Dell’Anima, del cielo e delle meteore... 1589 Vita di San Trifone, avvocato dei Cattarini 1589 Dell’Origine della milizia e delli Costumi De i Turchi... 36 1589 Discorso sopra la occisione di Enrico terzo, re di Francia... 1589 Narrazione degli Arcivescovi di Raugia... 1589 Praelectiones LXV 1590 Commentari latini sopra la logica di Pietro Ispano 1590 Libri quattro di laudi 1590 Casi di coscienza 1590 Vita di fra Girolamo Savonarola 1590 Bolla della canonizzazione di S.Giacinto fatta volgare 1591 Lezioni sopra il Sacramento della Cresima fatte in San Marco... 1592 Cronica della Provincia Romana... 1592 Officium beatae Chatarinae Ricciae... 1592 Discorso delle Campane 1593 B. Hyacinti Poloni conf. et concionatoris... 1594 Brevi risposte alle oppugnazioni di Frate Ambrosio Politi Catarino... 1594 Cronache del Monastero di S.Vincenzo 1596 Vita del serenissimo Davitte 1596 Sermoni predicabili per tutto l’anno... 1596 La seconda parte dei sermoni Domenicali... 1596 La prima parte dei sermoni dei santi... 1597 Sopra il Monte della Pietà di Firenze 1597 Sull’ usura 1597 De i tre habitacoli 1597 Della scala del Paradiso 1597 Rivelazione 1597 Antiphona pro commemoratione B.Raimundi confessoris 1598 Risposte a più dubbi Teologici... 1598 Il solazzo del mio Viaggio, del p.f. Jeronimo.... 1599 Altro caso di coscienza 1599 Vita del Beato fra Piero Consalvo... 1600 Fascetto di mirra... 37 1600 Le vite de’ Santi XV aitatori alquanto abbreviate... 1600 Vita del glorioso confessore S. Raimondo da Pennaforte 1601 Specchio di morte 1602 Officio ecclesiastico S.Agnesa da Montepulciano... 1601 Gemma confessorum seu summa casuum... 1604 Vita del Patriarca Noe... Opere Manoscritte non databili Tre Antifone da noi composte a honore del beato Giovannj da Salerno, sepolto in Santa Maria Novella. Antifona a i beatj Protettori del Monastero di santa Caterina Componimento poetico La Vergine alle suore ed altre poesie Vita del B.Giovanni Hirtado, spagnolo, dell’ordine de’ Predicatori... La Vita del Beato Consalvo d’Amaranto... 38 Epitome sive compendium vitae B. Colombae Reatine... Vita del Beato Egidio Portoghese... Vita del B. Servo di Dio fra Tommaso da Torrecremata... Narrazione di più Beati insieme Sermoni per le domeniche e le feste dell’anno De voluntate divina, angelica et humana Utrum coelum sit animatum Lectiones aliquot in sextum Mataphysices *** * 39 40 Regno di Napoli L’ immagine rappresenta il regno di Napoli al tempo del viaggio di Serafino. Includendovi l’intero Stato Pontificio questa parte dell’Italia costituiva nel XVI secolo la Provincia Romanae dell’Ordine Domenicano. 41 42 Il Priorato di Penne il Priorato di Vasto e Napoli L’Ordine Domenicano che prende nome dal suo fondatore, Domenico di Guzmàn, sorse all’inizio del XIII secolo in Francia e precisamente in Linguadoca. In quell’epoca il catarismo viveva una larga diffusione in tutta la regione, favorito dalla pratica in uso tra i seguaci di spostarsi costantemente per le predicazioni. I “Perfetti” ossia i catari, ligi alla regola dell’austerità, castità e povertà, erano colti e profondi conoscitori delle sacre scritture. Si spostavano tra città e villaggi predicando con grande semplicità tra la borghesia e la nobiltà attirando in breve, favoriti dal linguaggio semplice e carismatico, le classi popolari. Contro l’avanzare dell’eresia catara, Innocenzo III aveva inviato in Linguadoca dei legati. Nel XIII secolo però, il “Carisma”, ossia la Predicazione, era riservata quasi esclusivamente ai Vescovi e a pochissimi sacerdoti che avevano ricevuto un’adeguata istruzione così sia i vescovi, particolarmente impegnati nell’amministrazione dei beni terreni, sia il clero secolare, culturalmente ancora impreparato, sia i monaci cistercensi, più dediti alla vita contemplativa che alla predicazione, non avevano ottenuto grandi successi. La cultura della predicazione itinerante non faceva in quel tempo ancora parte della prassi evangelica della Chiesa di Roma. Probabilmente fu durante un viaggio attraverso la Linguadoca che Domenico, rendendosi conto dello stato delle cose, concepì la struttura del suo futuro ordine. Egli si accorse che la natura del successo del catarismo, principalmente tra le classi minori, era la propaganda pauperistica, ossia l’osservanza reale della povertà. Decise quindi di organizzare comunità di predicatori viventi in povertà che anziché attendere i fedeli nei loro monasteri uscivano da questi andando incontro alle genti. Il 22 dicembre 1216, papa Onorio III, successore di Innocenzo III, con la bolla “Religiosam Vitam”, approvò la comunità di Domenico come compagnia di canonici regolari posta sotto la protezione della Sede Apostolica e nel 1217 la “fraternità domenicana” come ordine religioso detto dei Frati Predicatori. 43 Poiché per confutare le dottrine eterodosse era indispensabile una solida formazione culturale, i conventi domenicani divennero i più importanti centri di studi teologici e biblici. La diffusione dei Predicatori fu velocissima. Nel 1221 l’ordine contava cinquecento frati divisi in otto province: Roma, Lombardia, Provenza, Francia, Ungheria, Germania, Inghilterra e Spagna. Nel 1228, si aggiunsero i capitoli di Terra Santa, Grecia, Polonia e Dacia. L’importanza dell’ordine e della sua autorità dottrinale trovò conferma con l’affidamento nel 1223 del tribunale dell’Inquisizione grazie a personalità indiscusse come Alberto Magno, Tommaso D’Aquino, Eckhat von Holhheim, Giovanni Taulero. L’Ordine attraversò una prima crisi nel XIV secolo dovuta ad un certo lassismo nell’osservanza delle regole e soprattutto nella pratica della povertà, ma la crisi fu superata grazie al movimento “spirituale” interno all’ordine che trovò in Raimondo di Capua, Maestro Generale e confessore della terziaria domenicana Caterina da Siena, il suo capitano. L’unità dell’ordine fu nuovamente minata nel XVI secolo da una controversia interna tra “spirituali “ e “conventuali”: fu Tommaso de Vio, Maestro Generale dal 1505 al 1518, che riuscì a rinsaldare e salvare l’ordine dalla crisi in un momento particolarmente delicato per tutta la Chiesa. Giovanni de’Medici, eletto al soglio pontificio con il nome di Leone X nel 1514, concesse indulgenza plenaria ad ogni fedele che dopo la confessione e la comunione avesse accordato un’offerta destinata alla costruzione della Basilica di San Pietro. Fu all’interno di questo contesto che apparvero affisse al portale della cattedrale di Wittemberg le 95 tesi di Martin Lutero riguardanti le vendite delle indulgenze e i poteri del Papa. Con questo documento di altissima qualità intellettuale, (l’originale è scritto in perfetto latino), Lutero utilizza la ribellione a questa pratica come punto di partenza per una riforma che, non concessa, lo porterà a rompere definitivamente con la Chiesa di Roma. Con la Bolla “ Exurge Domine” ASV reg.Vat,1160 f.305 r del 15 giugno 1520, Leone X intimava a Lutero la ritrattazione delle Tesi e manifesto segno di sottomissione alla sua autorità. La bolla fissava un termine di 60 giorni, ossia il 27 novembre 1520, per la ricusazione. Lutero non si piegò all’autorità pontificia e il 27 gennaio 1521, con la bolla “Decet romanum pontificiem” fu definitivamente scomunicato dalla Chiesa di Roma. 44 L’opera dei padri domenicani nella Provincia di Germania, divenne così ancora più impegnativa, trovandosi nel pieno di una riforma religiosa che riscosse in breve l’appoggio di molti principi regnanti del paese. Anche la nostra penisola subiva però forti influenze eterodosse. Era divisa in due province: la Provincia Lombardiae, che comprendeva l’Italia settentrionale dalle Alpi agli Appennini e la Provincia Romanae che comprendeva tutto il resto dell’Italia. L’Umbria in particolare era stata fin dal XIII secolo culla dei “Patarini”, ma quanto più andavano nascendo pseudo sette di eretici-ghibellini, ereticiepicurei, eretici-razionalisti o eretici per insofferenza ai dettami della Chiesa di Roma tanto si disperdevano domati dal rigore dei domenicani dell’Inquisizione, dalla pratica della predicazione itinerante e dall’indifferenza dei ceti laici e dei governi. Questo blando riassunto dell’epoca è solo il mezzo per mettere in evidenza la forza principale impiegata dall’Ordine dei Padri Predicatori. L’arma di questi Padri, per contrastare il lassismo religioso, le nuove e vecchie eresie, le chiese riformiste e quant’altro, fu l’eccelsa preparazione teologica e la raffinatissima cura dell’arte omiletica che da sempre li ha contraddistinti. Tale raffinatezza nella pratica del Carisma, o Predicazione, fu indubbiamente colta in Serafino fin dai primi anni del suo noviziato. Come accennato precedentemente, nel 1553, a ventidue anni e ordinato Diacono da poco più di sei mesi, è inviato a predicare a Pian di Ripoli “...i dì festivj della quaresima al popolo e così diacono predicaj quattro quaresime...” e in seguito, quando presenta domanda di ammissione per la laurea di Lettore in Teologia, i superiori lo svincolano dall’obbligo claustrale per consentirgli di continuare le predicazioni. Nel 1556, il Padre Provinciale Angelo Bettini si appresta a compiere un viaggio in visita ai monasteri di Siena, Montepulciano, Perugia, Foligno e Narni e per l’occasione nomina suo segretario e compagno predicatore Serafino, il che è riprova ulteriore della stima di cui il giovane sacerdote gode. Eletto Priore del Convento di Fiesole, poi di Orvieto e di Foligno, nel 1574 Serafino passa Priore a Penne, in Abruzzo, terra dei Marchesi D’Avalos. Dagli scritti odeporici dei suoi viaggi, nella parte di diario che viene denominata “Viaggio alla Riforma d’Abruzzi” Serafino ci racconta le tappe del suo cammino da Perugia a Penne. 45 “...a’ 12 di luglio 1574, e cavalcando per Pila, la Spina, Mercatello, San Vito, Lo Spedaletto e l’hosteria della Torre, luoghi e villaggi così detti, arrivai al XXX miglio, l’istesso giorno, alla fortissima città d’Orvieto.... A Orvieto Serafino si ferma tre giorni, per visitare gli amici tra cui il P.Provinciale Bernardo Alessandrini ripartendo il 16. “...passando il sasso tagliato, la Caprafica, e Montefiasconi arrivai di buon’ hora a Viterbo.” Qui si ferma due giorni e riparte per Roma dove viene colto da un forte mal di testa che ritengo debilitante dato che quasi mai Serafino riferisce mancamenti o acciacchi che lo riguardano. Dei due giorni passati a Roma dice solo di non riuscire a liberarsi del carico del Priorato di Penne e di conseguenza si appresta a partire assieme ad un “Terzino Abruzzese” e una cavalcatura . Il Terzino Abruzzese di cui Serafino parla per la prima volta, credo sia Fra’ Arcangelo da Penne, che diverrà suo segretario e condividerà con lui tutti i viaggi nelle diocesi abruzzesi del suo Priorato, il Viaggio a Marsiglia e che egli nominerà suo segretario particolare in seguito all’elezione al Priorato di Raugia. Il 26 di luglio arrivano al lago di Cellano, e superando le montagne giungono a Sulmona. “...da Solmona partendo a’ 28 di luglio e passando per Popoli, Terra di Ducato, posta su la riva del fiume Pescara, arrivammo la sera in civita di Penna, e fummo con allegrezza da i nostri padri e da i secolari ricevuti. Il dì seguente dal Signor Marcantonio Appoltinati, Camerlingo, fui visitato e presentato a nome della città.” L’impatto con la città di Penne risulta ottimo come per tutti i luoghi dove è stato inviato. Per volontà dell’Arcivescovo Serafino terrà la prima predicazione in Duomo, dove in quel primo anno predicherà l’Avvento e la Quaresima, predicando le altre feste nella propria chiesa. Dopo un primo periodo dedicato alla città, Serafino inizia i viaggi nei conventi della sua diocesi ed è attraverso i diari manoscritti che possiamo oggi ripercorrere i suoi passi . Non ci ha lasciato solo un elenco di luoghi, ma immagini precise di chiese, palazzi, persone, eventi, parole, abitudini, modi di dire...; ci racconta di piante, montagne e paesaggi, ci dice di navi, capitani, artisti, viceré e papi... attraverso le sue parole, ripercorriamo l’Italia così come doveva essere quattrocento anni fa, rendendoci conto di come la sua straordinaria curiosità intellettuale sia mai venuta meno. 46 Al momento dell’assunzione del Priorato di Penne, Padre Serafino Razzi si trova di fatto nei territori del Regno di Napoli segnato a nord dal confine naturale del fiume Tronto. Questo incarico non rappresenta però un’incognita di aspettative o timori per un luogo che possa dimostrare ostilità verso la sua persona e il suo abito. La sua fama è consolidata ed ha varcato i confini della nostra penisola già da tempo, i suoi libri vengono pubblicati e ristampati con privilegi temporali e secolari e il Granduca Cosimo I conosce personalmente Serafino e le sue opere. La stima dell’Ordine Domenicano si congiunge in questo incarico con l’approvazione dei Granduchi aprendo una via diretta con la Corte di Napoli. I rapporti tra i Granduchi e il Regno di Napoli erano infatti molto stretti essendo Eleonora di Toledo, prima moglie di Cosimo I de’ Medici, figlia di Don Pedro Alvarez di Toledo, Vice Re di Napoli. Lettera del Rev. p.Seraphinus Brixiensis Magister Ordini Predicatorum che riconferma la scelta del predecessore Padre Sisto Fabri dell’elezione a Priore di Penne e Vasto di Serafino Razzi testo integrale Venerabili Pater. Salutem. Quo religio, et aliquis vite regularis inchoatio in conventu nostro Vastensi, felicia suscipiat, tuo ductu, initia, et incrementa, harum serie, nostri auctoritate officii, immo et apostolica potestate, Ven. p. fr. Seraphinum Ractium, vite, morumque sanctitate, ac multa eruditione ornatum, absque precedente de more canonica electione, in priorem dicti conventus nostri instituimus, et institutum decernimus, et declaramus, cum omni auctoritate quam priores hodierni conventuales de iure, et consuetudine obtinere, et uti consueverunt. Mandantes tibi in meritum sancte obedientie, sub formali precepto, ut hoc munus, et onus, in Xhristi obsequium et tuorum presentium Prepositorum, suscipias, et salubriter exerceas. Sub eodem etiam precepto mandantes omnibus et singulis fratribus ad dictum conventum quomodolibet spectantibus, ut te uti verum ac legitimum priorem habeant, venerent, et obediant. In nomine patris etc. Datum Neapoli VIII Iulii 1576. Fr. Seraphinus Brixiensis Magister ordinis Praedicatorum. A questo documento ufficiale, fa seguito uno scritto in italiano aggiunto personalmente dal Magister Ordinis: 47 Ho voluto io stesso crearvi Priore di cotesto convento del Vasto e perché vi amo assai, e perché desidero che detto convento per vostra diligenza migliori sempre più in forma, e disciplina regolare, et in pia, e santa edificazione di cotesto popolo. Il quale mi parve quando vi fui, di quei parvuli qui petierunt panem et non erat qui frangeret eis. Vostra Paternità si conservi, e prieghi per me. E sia certa, che tutto quanto farà in beneficio di detto convento, l’haverò per grazia, per amore ancora, e per honore che io parto a Monsignor Rev. Abate Navarro, tanto buon servo di Dio, e Pastore di cotesta chiesa. Da Napoli a’ gli otto di luglio 1576. Fr. Seraphinus Bresciano maestro dell’Ordine dei Predicatori. Il 2 novembre 1574 inizia le visite nei territori della Diocesi. Dopo aver celebrato la messa dei defunti, aver predicato e fatta colazione con il suo compagno parte per Chieti, distante a quanto lui ci dice, quattordici miglia. Passata Pianella e attraversato il fiume Pescara in barca, giunge a Chieti in tempo per dire messa. Ed è qui, nel convento dei confratelli che inizia l’opera di risveglio, ossia il mandato di “aiuto alla Riforma nelle terre d’Abruzzo” ( incarico congiunto al priorato di Penne) di questi padri che a suo giudizio si erano votati ad una vita troppo eremitica, senza leggere e predicare al popolo. Dopo aver ripristinato l’uso dei santi esercizi e delle regole, celebrata messa, parte per Pescara signoria dei marchesi di Pescara e del Vasto. Da Pescara passa a Sant’Angelo, dalle cui montagne racconta di vedere la città di Atri Muttigliano e “Silvia castella” verso la marina. Riprende il viaggio, da Elce Terra, per tornare a Penne. Penne è un luogo importantissimo nella documentazione di Serafino: è una delle poche città di cui ci lascia la storiografia. Origine e descrizione di cività di Penna Estratto dalla Pubblicazione di Adelmo Polla Editore “ Fu edificata la città di Penna, nel tempo di Giulio Cesare, intorno a’ 50 anni prima della venuta di Gesù Cristo nostro Signore, e la edificò un re Itarco che, con una colonia di Assirii, fu dal prefato Imperatore in trionfo condotto a Roma.................. Onde uno detto Sambario, venuto nell’Abruzzi, et invaghitosi del sito di questa città, fruttuoso et ameno, per le selve, pascoli e fontane, tutto riferì al 48 suo Re. Onde qua condottosi principiò sopra il colle, ove hora è il sacro Duomo, una Roccha fortissima, a cui per la morte di due figlie che gli nacquero la stessa notte che qui arrivò,- una bianca come la neve la quale addomandò Rocca, e l’altra negra come caligine la quale chiamò Bruna,impose il nome di Roccabruna. Conducendo poi gran numero di fabbricatori fra tre mesi cinse di mura la città, con 19 torri e palazzo reale............... ..............L’anno poscia di nostro Signore 770 chiamato Carlo Magno da papa Adriano e dal popolo Romano in Italia contra Desiderio re de i Longobardi, che quasi tutte le terre della Chiesa tirannicamente havea usurpate, ci venne, et havendolo in Pavia vinto e perso: subito che intese come nell’Abruzzi erano molte città anche infedeli, drizzò l’animo di soggiogarle alla fede et impero romano, e venuto col suo esercito a Roccabruna piantò il suo padiglione nella parte meridionale della città sopra di un colle chiamato fino al dì d’oggi Colle Romano .....Dicesi che questa fu la prima città, che Carlo Magno acquistasse nelli Abruzzi, e che ne fece dono alla chiesa Cattedrale. ........Imperochè alcuni dicono che essendo donato a Carlo Magno, mentre che egli l’assediava, un cavallo tanto veloce che pareva che havesse le penne per volare, da quello volle che la città di Penna si nominasse... ...Fa oggi la città di Penna circa mille fuochi... fu già Duca di questa città Alessandro de’Medici primo, Duca di Firenze, havutala da Carlo V per dote di Madama Margharita d’Austria sua donna. .....Finite le prediche della quaresima, oltre alla solita limosina la città per sua cortesia, donò al convento per tutto il tempo che io qui dimorava, l’entrata dell’essitura de i grani: la qual essitura reca per ciaschedun’anno per lo meno, intorno ai cinquanta ducati....” Ho voluto inserire questi estratti dei carteggi di Serafino, per sottolineare attraverso le sue dirette parole, la straordinaria personalità di quest’uomo che mostra interesse per ogni cosa che incontra. In questo anno, ossia il 1575, oltre a comporre la storia della città di Penne, compie i viaggi in osservanza dell’incarico degli affari della Riforma a Spultore, Castiglione, alla Fiera di Lanciano, a Francavilla, Ortona, Teramo, Ascoli, Norcia, Foligno, Spoleto, Terni, Rieti e l’Aquila. Si reca a Farindola, Castilenti, Abbateggio e Atri. Compone il “Rosario in ottava rima” rielaborato con il fratello Silvano che ne curerà anche la prefazione. Rientra a Firenze una sola volta, il 15 maggio, per assistere ai funerali del Granduca Cosimo I. 49 Tornato a Penne, tira le somme del suo biennio di Priorato. Oltre alle prediche in Duomo e nella sua Chiesa, Serafino ha fatto costruire il noviziato, istituito una “Compagnia di giovani” che si riunisce tre volte a settimana per la recita del Rosario comune e: “...il convento bene incamminato e dj padrj da bene et osservantj ripieno, chiesta l’assoluzione dal priorato et ottenendola, per ire ad evangelizzare ad altre città e Terre mi partij a 19 di maggio 1576...” Pal. 206,v Lettera del Rev p. Serafino Bresciano su istanza di Donna Isabella Gonzaga d’Avalos Marchesa di Pescara e del Vasto Ven. Padre. Salutem. La Eccellenza della signora Marchesa di Pescara e del Vasto, signora tanto pia, religiosa, e meritissima dell’Ordine nostro, e sollecitissima del beneficio, salute e profitto spirituale de suoi vasalli, e sudditi, ha inteso con estremo suo contento, il bono, e continovo frutto, che fa V.P. in cotesto suo popolo. Onde perciò ha pregato me à farvi continoare in opere sì buone, nel detto luogo proprio del Vasto, e ve ne prega, et essorta anco sua Eccellenza, e ne tiene obligo. Onde io non ho potuto mancare di nuovo, sebene ho fatto il medesimo per altre mie pur’hieri, di tornare cò questi quattro versi ad essortarla alla permanenza, et a confermarla di nuovo in prefato luogo, et officio suo: e la Religione nostra lodata, et honorata. Perseveri adunque virilmente, che nostro signor Iddio le dia ogni felicità, e prosperità, e preghi per me. Di Napoli a’ 19 di Luglio 1576. Nota aggiunta di propria mano in foglio allegato alla precedente: Intendo che in modo alcuno non vi partiate di costà, ma perseveriate in cotesto governo sino a nuovo ordine. Conservus in domino Fr.Seraphinus Brixiensis. Magister Ordinis Predicatorum. 50 Con tre compagni, tra cui Fra Arcangelo da Penna, l’8 luglio parte per la città di Vasto. “...Ho voluto io stesso crearvi priore di cotesto convento del Vasto, imperochè vi amo assai e perché desidero che detto convento, per vostra diligenza, migliori sempre più...” Ivi, 219v.221r. La terra del Vasto non era posta sotto alcuna autorità Vescovile ma era governata da un Abate prete che veniva scelto personalmente dal Signor Marchese del Vasto. Nell’anno 1576, era Abate uno Spagnolo Navarrino molto sprituale del quale ci resta una bellissima lettera inviata da Napoli a Serafino. Il XVI secolo era gravato dall’incombente minaccia dell’Impero Ottomano, che fin dal 1453 con Maometto II, aveva compiuto la sottomissione della Grecia, dell’Albania e della Bosnia e con la definitiva conquista della Serbia, deteneva il dominio di tutti i Balcani ad eccezione delle cime inespugnabili del Montenegro e dei territori della Serenissima. Nel 1521 gli Ottomani attaccano l’Ungheria facendo capitolare Belgrado e nel 1526 quasi tutto il territorio Ungherese smette di fatto di essere uno stato distinto, inglobato come parte della dominazione turca. La Transilvania diventa un principato tributario del sultano, i rimanenti territori di Agram (Croazia) e di Presburgo ( Ungheria) passano a Ferdinando d’Austria già Re di Boemia. La Serenissima Repubblica di Venezia perde l’isola di Rodi e successivamente i distretti interni e le piccole città della Dalmazia; l’isola di Cipro, la perdita più grave, non sarà recuperata neppure dopo la battaglia di Lepanto. Restarono alla Serenissima solo le città sulla costa di Zara, Sebenico e Spalato. Le navi “turchesche”, come le chiama Serafino, risalivano l’Adriatico abbordando, depredando e riducendo in schiavitù giovani prigionieri. Sovente cannoneggiando, entravano in porto mettendo a ferro e fuoco le città, con violenze inaudite sulla popolazione, razziando i tesori, dando fuoco alle chiese e torturando i religiosi. Nonostante la vittoria riportata dalla flotta della Lega delle Nazioni Cristiane a Lepanto il 7 ottobre 1551, i Turchi continuarono ad imperversare su tutto il Mediterraneo; nell’anno 1566 la città di Vasto fu attaccata e depredata e alcune chiese furono date alle fiamme. Serafino giunge a Vasto il 21 maggio 1576. *La Chiesa di Vasto, detta dell’Annunziata, ebbe origine nel 1520 a seguito della predicazione del P. fra’ Giovan Battista da Chieti che tanto 51 positivamente colpì Don Rodrigo d’Avalos Marchese di queste terre. Tre anni più tardi, Don Alfonso d’Avalos donò l’ospedale dell’Annunziata al Padre Giovan Battista da Chieti che trasformò l’edificio in Convento con sei celle. Il 1 agosto 1566, i Turchi guidati da Alì Pascià, incendiarono e devastarono l’edificio: il tetto, gli altari, i quadri e l’organo furono bruciati. L’argenteria, gli arredi sacri e le campane rubate. L’anno dopo la chiesa fu ricostruita così come ci appare in questa immagine dell’epoca. *Tratto dai documenti gentilmente inviati dal Prof. Lino Spadaccini, Vasto 52 L’ immagine rappresenta la Chiesa di Vasto come probabilmente deve averla trovata Fra’ Serafino Razzi, al suo arrivo, dieci anni dopo. Tratta da “Histonium ed il Vasto attraverso i secoli”, di Luigi Anelli,Vasto Guglielmo Guzzetti Editore, 1929, è stata gentilmente inviata, grazie all’interessamento della Dott.ssa Irma Perretti, Direttrice della Biblioteca “R.Mattioli” di Vasto-Chieti, dal Prof. Lino Spadaccini. *** * Tratto da I viaggi Adriatici di Serafino Razzi Adelmo Polla “...Il Vasto: terra deliziosa. che già era chiamata una picciola Napoli... la figura sua è quasi ovale: il circuito è di un miglio incirca. ...Il convento nostro detto la Nunziata, tiene un chiostro solo con una ottima cisterna. Un dormitorio di dieci celle, con una bella loggia, in vista della marina... ...non ha entrata di grano, ma solamente ne gli dà ciaschedun’anno la Ill.ma Marchesa del Vasto, per lascito fatto dal gran Marchese del Vasto, il Signor Don Alfonso Davalo che diede questo luogo alla nostra Religione, un mezzo carro, che sono sei some, e si vende per sovvenir ad altri bisogni del convento. ...Alli 27 di maggio, che fu la domenica quarta dopo Pasqua, feci la mia prima predica nella chiesa di San Piero, una di due parrocchie collegiate di questa Terra. ...e la domenica fra l’ottava predicai la mattina, e dopo Vespri lessi, presente lo Illustrissimo Vice Marchese con la nobiltà... In occasione della prima predica nella sua chiesa, alla presenza della nobiltà del Vasto, Serafino riceve come omaggio di benvenuto un sonetto composto per lui dal signor Gioseppo Canacio. L’omaggio composto dal Canacio, viene donato in segno di ammirazione e apprezzamento per il “Rosario in Ottava Rima” scritto da Serafino durante il priorato di Penne. Anniballe Briganti, medico del Vasto ma originario di Chieti, consegna “dugento” ducati a nome della sua città, come dono per il nuovo mandato. 53 Il Gentiluomo del Vasto Virgilio Caprioli, anch’egli ispirato dal Rosario gli dedica il seguente sonetto che riporto per intero: Lume ardente di Dio, che con tuoi raggi fai chiaro il tenebroso, e basso l’inferno: Nuovo David, che col valore interno Rendi alla Chiesa nuovi Aprili, e Maggi: Senza temer più degli usati oltraggi Del rigido, crudele, e freddo inverno, Fioriscon Rose, sol per te in eterno, Di pensier santi, e detti acuti, e saggi. Mentre intessendo l’un con l’altro fiore Orni la madre del figliuol di Dio, Sento dentro e di fuor tutto cangiarmi. Che a i chiari, dotti, e ben composti carmi, Provo i misteri della croce, ond’io Ho il volto asciutto, e incenerito il core. Non credo serva dire altro sull’accoglienza che Fra’ Serafino Razzi riceve ovunque viene inviato. Il 27 luglio Vasto viene scossa da avvisi d’allarme: sembra che la flotta turca sia in navigazione verso le coste Abruzzesi e nelle città di porto iniziano le manovre alle armi. Il ricordo delle armate turche nel 1556 è ancora ben presente. Il Vice Re della provincia degli Abruzzi si trasferisce immediatamente a Lanciano per organizzare reggimenti di soldati a piedi e a cavallo. Pescara, Ortona a Mare e le città della costa vengono coperte dalla guardia spagnola. Vasto è posta sotto il comando del Marchese di Bucchianica con circa duemila archibugieri e le montagne sotto la Compagnia di Castel di Sangro. Durante quei giorni, il convento di Serafino ospitò per la notte il Conte di Briatico, Vice Re degli Abruzzi, che tornerà più volte per assistere alle funzioni e che fece al convento molte offerte. E più volte Serafino converserà, e per conversazione non so se intende anche confessione, dato il pericolo intrinseco in una eventuale battaglia, con il giovane Marchese di Bucchianica, colonnello della milizia, che egli definisce: “...nobilissimo giovane napoletano di Casa Caracciola,... 54 tanto cattolico e divoto Christiano che, se le nuove della armata Turchesca rinfrescavano, voleva far confessare tutti i soldati suoi...” Fortunatamente i turchi non attaccarono e le truppe poterono lasciare il Vasto. Lettera dell’Abate del Vasto Padre Navarra inviata da Napoli a Serafino Molto Rev. padre mio. Giesù dolcissimo, Unica speranza nostra, sia benedetto, e lodato per la sua misericordia, che ha dato a cotesta Terra uno istromento, e causa seconda, com’è V.P. Rev. per riducerne e tirarne ad amare, e servir tanto buon padre, com’è il nostro Dio. Io ho fatta molta istanza quanto al Rev.mo p. Generale, perchè mi desse in cotesto luogo persona di quella Santa congregazione et hora sentendo il frutto che V.P. fa nell’anime per le sue predicazioni, mi sono molto rallegrato, e della buona relazione che mi fanno i cittadini, i quali con tutta la Terra restano molto satisfatti, e stanno cò gran desèo di servire a nostro signore Iddio et esseguire quanto loro sarà proposto da V.P.M. Rev. Alla quale io medesimamente mi offerisco per figlio e discepolo, e la supplico che per tale mi accetti. E la certifico come era mia intenzione di andarmene in Ispagna questo Settembre col Signor Marchese del Vasto, il quale và alla Corte. Ma veduto come il p.generale mi ha contentato, confermandovi satisfaccion in cotesto luogo, come per sua vedrete, mi sono risoluto di non andarci ma venirmene da voi, et essere vostro figlio spirituale etc. Di Napoli a’ 20 di Luglio 15..?. Signore l’Abbate del Vasto. *** Nei due anni a Vasto Serafino compone: “Cento Casi...libretto nostro stampato più volte in Firenze,Vinezia et in altre città” Pal. 1.c mentre a Firenze veniva pubblicato: . 55 “Vita de’ Santi, Beati e Venerabili del sacro Ordine dei Predicatori così uomini come donne” Firenze, Sermartelli 1577. Compone il “diario” della permanenza a Vasto, dal 21 maggio 1576 al 5 novembre 1577, Pal .37,207 r ss., (pubblicato da Luigi Anelli a Vasto nel 1897) e la: “Vita di santa Agnesa Vergine e martire”, il cui manoscritto autografo porta in calce una nota che specifica: “232 versi. In Cività di Penna. 1576.” Il 24 settembre dello stesso anno, accompagnato da Fra’ Arcangelo da Penna, parte per Sant’Angelo al Monte Gargano, visitando tutti i conventi dell’ordine e lasciandoci un diario dettagliato non solo dei luoghi ma anche di tutto quello che vede all’interno dei monasteri e delle chiese. Ci lascia splendide cartoline di Monte Sant’Angelo, Stignano, Barletta e Manfredonia dove, ci racconta, visita le rovine dell’antica città di Siponto. Va a Trani, Bisceglie, Molfetta e arriva a Bari dove definisce magnifica la chiesa del Santo Nicola, già Cappella Regia. Del convento dell’ordine ci lascia un commento assolutamente particolare: “Dai fratelli nostri venimmo trattati con tanta amorevolezza, ma no toscana, ma di questi paesi.” Si reca a Modugno, Bitonto, Terlicci, Quarata. Il 6 ottobre è a Canosa, il 7 arriva a Foggia, l’8 a Nocera e poi a San Severo. Il 28 ottobre a “Termoli del capitanato” con il Padre Arcangelo da Penna fonda la “Compagnia del Rosario” e finalmente tornano a Vasto. Il 5 novembre 1577, segna la fine del mandato Vastese, e Serafino sembra provare un forte desiderio di tornare a Firenze. Aggiungo a questa parte dedicata a Vasto un’ ultima nota. Il legame emotivo ed affettivo con la città deve aver lasciato un segno particolare in Serafino, e questo lo si coglie nell’ultima opera, la raccolta di laudi, del 1609, in cui appare l’unica lauda dedicata ad una città tra tutte quelle da lui composte, dal titolo: “Vasto, diletta terra”. “avendo havuta facoltà di andare a visitare Santa Maria Maddalena in Provenza, nè volendo aspettare di esser più dagli anni aggravato, correndo il 48° anno della mia età...” Da tempo desiderava recarsi in pellegrinaggio sulla tomba di Maria Maddalena in Provenza di cui era devotissimo, ma c’è ancora una cosa che desidera realizzare per Vasto. L’incursione turca del 1566 aveva non solo devastato il suo convento ma dato alle fiamme la Cappella di San Tommaso 56 d’Aquino, dove in segno di spregio, era stato buttato al rogo un grande quadro del santo, commissionato dal Gran Marchese Alfonso d’Avalos. Così, in compagnia di Fra’ Arcangelo da Penna, il 29 aprile 1577 con un cavallo e un garzone, lascia Vasto diretto a Napoli per rendere omaggio al P. Reverendissimo Serafino Cavalli, che di lì a poco sarebbe partito per la Spagna, e per recarsi in udienza dalla Marchesa di Pescara, Donna Isabella Gonzaga. Probabilmente è durante il viaggio da Vasto a Napoli che termina di raccogliere la documentazione sul Beato Giovanni da Salerno, che nel 1230 fondò il primo monastero domenicano in Toscana a S. Jacopo di Ripoli e in seguito il convento di Santa Maria Novella in Firenze dove è sepolto, al quale dedicherà: “ Tre antifone da noi composte a honore del beato Giovannj da Salerno, sepolto in Santa Maria Novella.” Pal. 37.f 266 Tale opera manoscritta non è databile. L’8 maggio 1577, viene ricevuto da Donna Isabella Gonzaga “Signora divotissima”, che incontrerà almeno cinque volte. Isabella, vedova di Fernando Francesco d’Avalos morto nel 1571, presenta a Serafino i figli: Don Alfonso, il maggiore, Marchese del Vasto di circa 12 anni e Tommaso, già vestito dell’abito domenicano. La Marchesa lo riceve nuovamente la domenica 12 maggio, con grande stupore di Serafino e dei presenti, subito dopo il Conte di Sarno e prima di nobili dame che sopraggiunsero e che furono fatte attendere. In questa udienza, Serafino consegna il progetto: un disegno su tavola per il quadro che vuole sia realizzato in sostituzione di quello bruciato dai turchi nella chiesa di Vasto. Il martedì 14 Donna Isabella convoca Serafino a palazzo d’Avalos, dove viene ricevuto dal figlio maggiore, Marchese don Alfonso, che lo fa accomodare “con molta amorevolezza” e si intrattiene a lungo a conversare con lui. Prima di congedarsi e congedare l’ospite, non potendo donna Isabella riceverlo per i troppi impegni sopraggiunti, Don Alfonso consegna a Serafino la concessione di un certo sito dove costruire una Sagrestia alla chiesa di Vasto, probabilmente una delle prime concessioni del nuovo Marchese appena dodicenne. Il 16 di maggio Serafino incontra nuovamente Donna Isabella, dove alla presenza del maggiordomo Giovanfrancesco Bellone, viene sottoscritto il contratto con cui si dava mandato a nome della Marchesa al pittore Giovanbattista d’Angelo e a Scipione, suo fratello muto, di realizzare un 57 quadro di San Tommaso da consegnare finito per la metà di agosto venturo al prezzo di 35 ducati. Il quadro, alto 12 palmi e largo 9, doveva contenere dipinte queste figure: nel tondo la Madonna del Carmine, Santa Maria Maddalena e Santa Caterina da Siena. In Basso San Tommaso davanti al crocifisso che gli dice: “ Bene scripsisti di me, Thoma”. Serafino è riuscito ad ottenere molto più di quanto sperasse. Quell’orbita vuota nella cappella di San Tommaso nella chiesa di Vasto, deve essere stata un vero tormento e poco importa se sarà il suo successore a goderne al posto suo. L’importante era riportare San Tommaso nella sua cappella alla Annunziata e ci è riuscito. Donna Isabella chiede al Padre Serafino di tornare a visitarla e comunicarla prima di lasciare Napoli. “...Le stanze sue sono tutte parate a bruno, e le sedie et ogni cosa da donna signora Vedova, e da Marchesa di gran bontà e divozione. La quale si comunica ogni settimana. Ella parimenti tutta di bruno è vestita, e quando dà udienza, le sta sempre appresso una veneranda matrona nobile, e più in là in altra camera aperta le sue dame, tutte parimente di bruno velate...” Nelle pagine che contengono il racconto degli incontri con la Marchesa di Pescara, c’è la nitida descrizione di tantissimi luoghi di Napoli, alcuni dei quali non esistono più. Ci sono incontri, persone, paesaggi. C’è l’ammirazione per il convento di San Domenico Maggiore, l’omaggio alle arche dei monarchi defunti, la bellezza del Duomo, lo stupore per la Zolfatara, San Pietro a Majella, il lago Averno, San Giovanni de’ Fiorentini, Santa Caterina... Raccontare il suo racconto non ha senso, riporto quindi alcuni estratti dal manoscritto nella parte conosciuta come: Viaggio alla gentile città di Napoli “...il lunedì 13 di maggio, vidi la chiesa Cattedrale: e San Pietro a Maiella. E dopo celebrai la sacra messa ...in San Domenico e mi fu mostrato il luogo ove egli in quell’hora stava in orazione. ...vidi i sepolcri hornatissimi di Alfonso I Re di Napoli; di Ferdinando I; di Ferdinando II, della Reina Giovanna, del Marchese di Pescara II che morì in Milano nel 1525, del Marchese di Pescara III che morì Vice Re di Sicilia e di molti altri... Il venerdi a’ 17 di maggio, col padre fra Gregorio da Ferrandina, giovene diacono,...detta messa partimmo per Pozzuolo. E passando davanti al palazzo del Vice Re, posto tra il Castel Nuovo e Santo Elmo, che è un’altra 58 fortezza, e dove sta una perpetua guardia di archibugieri, e di corsaletti co’ picche, uscimmo di Napoli et arrivammo a Chiaia, borgo reale... ove fra molti palazzi si vede il magnifico del signor don Garzia di Toledo, con nobilissimi giardini e fontane. ...dopo desinare, tre frati che eravamo fummo portati, per mare, a vedere le anticaglie come essi dicono della gran Troia, e fu la spesa tutta di quattro carlini...Vedemmo in primo la piscina mirabile co’ quarantotto pilastri in quattro ordini, cioè dodici per ordine e fila, oltre alle mura principali che la cingono, co‘ due magnifiche scale nelle teste per scenderci e salirne. Quindi veduto il mare, che chiamano morto, e la vaga isola di Procida, lontana da Pozzuolo circa sei miglia, e di cui è padrona la Ill.ma Marchesa di Pescara, andammo a veder le cento camerelle, che sono in guisa delle Cattacombe a Roma... ...passammo a vedere il sudatorio, che è una grotta sotterranea, in cui entrando le persone si risolvono in grandissimo sudore, e ci entrano coloro che bisogno hanno di sudare per sanità. ...è questo lago (Averno) di grandezza circa un terzo di miglio. A un fianco del quale in costa è la grotta della Sibilla Cumana...poscia ci fu dal principale barcaruolo, che ci facea da guida per terra...mostrato vicino al prefato lago il monte che fu fatto in 24 hore, quando si aperse la montagna della Zolfatara, e buttò fuori tanta materia che fé detto monte. ...Allj 18 di maggio ritornati a Napoli, havendo desinato in San Domenico, ci fu dal p. sagrestano minore di nuovo mostrata l’argenteria, et in certi vasetti dorati vedemmo i cuori imbalsamati di alcuni Re di Napoli... Partendo poscia da San Domenico andammo a vedere San Giovanni dei Fiorentini, et il convento di San Tommaso di Aquino, che si fabrica all’Ordine nostro per testamento del gran Marchese di Pescara: e la sera tornammo a Santa Caterina a Formello... Alli 19 di Maggio... dopo Vespro tornai dalla Ill.ma Marchesa di Pescara, e le presentai il nostro Rosario, poscia stampato in Firenze, scritto a mano: lo ricevè benignamente, e mi fé molte offerte, con dirmi ch’io l’avvisasse quando meco occorreva cosa alcuna...” *** * Nel 1578, terminati i mandati di Penna e di Vasto e accomiatatosi da Donna Isabella Gonzaga, Serafino può compiere finalmente il tanto desiderato pellegrinaggio sulla tomba di Santa Maria Maddalena. Il 22 maggio dello stesso anno viene nominato Baccelliere, nomina riconfermata nel capitolo generale del 1583. 59 MOPH,X, 253. Quando ormai settantenne Serafino farà ritorno in San Marco a Firenze avrà modo di rileggere ed ampliare i suoi scritti. Da una nota aggiunta alla cronaca di viaggio di questo periodo, traspare l’affettuoso cordoglio per il Granduca Cosimo I che Serafino conserva ancora a tanti anni di distanza. In questa parte della Cronaca Serafino si Trova a Monte Cassino il brano leggermente distaccato potrebbe essere una nota aggiunta postuma durante la revisione degli scritti. La Chiesa ha il choro rilevato dal pavimento primo otto scaloni... Alla destra poi si vede un’altra cappella della pietà, et a canto a lei un altro magnifico sepolcro di marmo medesimamente negro, con statue, et ornamento di pietra come l’antedetto. E questo è del Magnifico Piero de i Medici, figliolo del gran Lorenzo, e fratello di Papa Leone X, il quale seguendo l’essercito Francese perditore della guerra di Napoli, affogò miseramente nella foce del fiume Garigliano, essendo di età d’anni 33. Il qual sepolcro la beata memoria di Cosimo poi, gran duca di Firenze, procurò che si facesse l’anno 1552. Onde reca ad alcuni meraviglia che al proprio suo padre non habbia procurato un simigliante honore, il quale nella chiesa dell’Ordine nostro ancora se ne giace, quasi negletto, dentro una cassa di legno coperta di nero, sopra due travicelli fitti in un muro. Et ardendo il giorno de i morti a tutti i sepolcri di quella chiesa lumi e torcie, ne pure una candela si accende a quello, quasi che niuno sia di lui nel mondo, e pure ci sono tanti serenissimi heroi. E tal’hora il nostro sagrestano per pietà et affezzione ha supplito egli al mancamento. *** In questa nota Serafino si riferisce a Giovanni dalle Bande Nere, padre di Cosimo I. 60 61 62 Raugia o Ragusa l’odierna Dubrovnik Il 6 luglio 1587, eletto Vicario Generale della Congregazione di Ragusa, Serafino si vede costretto a lasciare la cattedra di Reggente dello Studio in Teologia a Perugia e ripartire per un incarico estremamente delicato. I predecessori inviati fin dal 1566 dal Padre generale Vincenzo Giustiniani, pur armati di zelo e perseveranza, non erano riusciti a ripristinare l’ordine della riforma che tanto necessitava in quella difficile circoscrizione religiosa. Fin dai primi anni dell’ XI secolo, la città di Raugia o Ragusa si impose come importante città marittima e mercantile nell’Adriatico. Il primo contratto di cui si ha notizia risale al 1148 e fu stipulato con la città di Molfetta ma, per poter contrastare e sopravvivere allo strapotere della Serenissima, fu fondamentale l’alleanza con la città di Ancona stipulata nel 1199. I rapporti tra ragusei e anconitani venivano riconfermati regolarmente ogni anno, e molti erano gli anconitani che vivevano a Ragusa e viceversa. L’alleanza tra le due città costituì la rotta commerciale alternativa a quella veneziana tra Europa e Medio Oriente. Questa via partiva da Costantinopoli e passava per Ragusa, Ancona e Firenze, diretta verso le Fiandre e l’Inghilterra. Nella “Carta” del 1189 inviata dal “Bano” di Bosnia Kulin, contenente una concessione commerciale offerta alla Repubblica e ai suoi cittadini, compare per la prima volta il nome slavo di Dubrovnik. Dopo la Caduta di Costantinopoli nel 1204, Ragusa perde la sua indipendenza divenendo dominio della Repubblica di Venezia da cui poté liberarsi solo nel 1358, in seguito alla guerra contro il Regno d’Ungheria. Con la Pace di Zara, Venezia fu costretta a rinunciare a gran parte dei possedimenti in Dalmazia e Ragusa colse l’occasione per offrirsi volontariamente come città vassalla dell’Ungheria in cambio del diritto all’autogoverno e vincolo di assistenza con la propria flotta alla casa reale. Divenne la maggior potenza marittima dell’Adriatico meridionale data la posizione geografica che faceva di questa città la porta dei Balcani. Ragusa ebbe uno sviluppo straordinariamente veloce e moderno: sul finire del XIV secolo era sede di circa cinquanta consolati; fu una delle prime città in cui furono aperti una farmacia pubblica, un lazzaretto, un ospizio e tra le prime ad abolire la tratta degli schiavi. Strenui difensori del Cattolicesimo furono sempre piuttosto intolleranti nei confronti della Chiesa ortodossa. 63 Le regole erano chiare e indiscutibili: i non cattolici erano esclusi dalle rappresentanze cittadine, dalle cariche pubbliche e dalle alte magistrature della Repubblica. Nonostante questa apparente rigidità, nel 1492 la città aprì le porte ad una grande colonia di ebrei sefarditi ( più di 1800 ) espulsi dalla Spagna. Nel 1434, fu aperta una casa d’accoglienza per bambini abbandonati e illegittimi, una delle prime istituzioni di questo genere al mondo. La città fiorì d’architettura, arte e letteratura. Nel XVI secolo a Palazzo Sponza sorse il primo salotto culturale chiamato “Accademia dei Dotti”. Le mura della fortezza di San Lorenzo, Lovrijenac, portano ancora oggi inciso il motto della città: “ Non bene pro toto libertas venditur auro” “ La libertà non si vende per tutto l’oro del mondo” Fedeli a questo motto, quando nel 1526 gli ungheresi furono sconfitti nella battaglia di Mohàs, la città offrì al sultano un tributo annuale che gli permise di mantenere l’indipendenza. Di fatto la Repubblica risultava solo formalmente sotto la supremazia del Sultano ottomano. Quando Serafino fu eletto Priore di Ragusa, il Convento dei Padri Domenicani versava in uno dei momenti più critici della sua storia. Come ho già accennato, l’anno 1576 si era chiuso con processi, scandali finanziari e morali che avevano molto indebolito l’autorità domenicana. Serafino parte per Ragusa con l’incarico di Riformare la Congregazione: la richiesta era giunta direttamente dal Senato della città che definiva lo stato del Convento, della scuola e della Congregazione stessa deplorevoli. Il terremoto del 1520 aveva provocato ingenti danni alla città e distrutto una parte del convento e in particolare il noviziato. Altre scosse, di cui l’ultima nel 1587, avevano quasi raso al suolo l’infermeria e le sale di studio. Per necessità era stato ridotto al minimo il numero dei chierici e le ammissioni fatte attraverso rigide selezioni avevano indispettito la nobiltà ragusana abituata ad affidare l’istruzione dei propri figli alla scuola dei padri domenicani. Sceglie come compagno e segretario personale Fra’ Arcangelo da Penna, già ministro penitenziario della Basilica Tiberiana e con lui si imbarca su una tartana nel porto di Ancona diretto a Ragusa. Il tempo volge al peggio: il mare in piena burrasca spazzato dal vento di libeccio più volte fa temere il naufragio. Date le condizioni terribili del mare, nessuno in porto si aspettava di vedere una nave in arrivo e fu quasi 64 un miracolo che il capitano riuscisse dopo estenuanti tentativi a condurla in porto intera... ”...Quando a Dio piacque”... Il 28 ottobre dalla nave furono sbarcati, più morti che vivi, i due padri. Fra’ Arcangelo da Penna, disfatto dal mal di mare e probabilmente colto durante la traversata da febbri violente, fu trasportato a braccia al convento e come riportano i documenti del tempo e in seguito il P. Ludovico Ferretti: “...adagiato nel letto si provò indarno a richiamarlo in vigore. La scienza medica dovette cederlo alle cure spirituali dei Padri, che il giorno dopo celebrarono il suffragio di quell’anima benedetta”. In un certo senso credo di poter asserire che il primo atto ufficiale di Serafino come nuovo Priore di Ragusa fu una Missae pro Defunctis. E’ il più anziano dei due a dare l’ultimo saluto al compagno di tanti e lunghi viaggi e ad iniziare il mandato facendosi carico anche della missione del defunto. Ancora stremato, come ultimo omaggio all’amico carissimo, Serafino tra le lacrime lo lava e lo riveste mettendogli addosso l’abito, conservato per nove anni come una reliquia, con cui assieme al fratello Arcangelo era entrato in preghiera nella grotta di Santa Maria Maddalena in Provenza. Il gesto del dono dell’abito al defunto è descritto nei Monumenta XLI, 125-131Ragusae. Appena rimesso in salute, Serafino prima di ogni altra cosa, si reca a porgere omaggio al Consiglio e al Rettore della città per presentarsi e chiedere licenza di avviare il suo incarico. Il gesto, probabilmente naturale da parte di Serafino e porto con sincera umiltà a questa città fiera e antica, si dimostra ottimo dal punto di vista diplomatico: il Senato lo apprezza particolarmente, dimostrando nei confronti del nuovo Priore una simpatia immediata. Totalmente estraneo alla cultura e alle abitudini della Dalmazia, per Serafino tutto è nuovo: il sistema di governo, gli usi, le tradizioni, la lingua e soprattutto la storia. Cominciò quindi il lavoro ligio alle regole del suo mandato ma attento a non creare contrasti con le abitudini ragusane. In breve tempo conquistò la sincera simpatia dei padri del suo convento e della cittadinanza: disponibile, arrendevole e determinato, Serafino era considerato dal Senato una mente superiore, l’uomo che, finalmente, avrebbe potuto influire presso le alte sfere di Roma in favore della Repubblica. In breve tempo riesce a destinare un dormitorio separato dal convento ai novizi, in osservanza degli ordini di papa Sisto V, e con l’aiuto della città vengono iniziati i lavori più urgenti di restauro. Il dormitorio separato per i novizi consente il ripristino dell’infermeria e il 7 dicembre inizia l’insegnamento della Teologia di San Tommaso. 65 Cinque mesi dopo il suo arrivo il Senato di Ragusa invierà una lettera al Cardinale Alessandrini a Roma, ringraziandolo per la scelta del Padre Razzi e pregando di favorirlo in ogni sua azione poiché la città tutta, da tempo, non viveva in così grande pace e osservanza con i Padri. Il 17 luglio 1588, muore Mons. Raffaele Bonelli, Vescovo di Ragusa e i Canonici della Cattedrale all’unanimità con il pieno consenso del Senato vollero eleggere Serafino Razzi Vicario Capitolare della sede vacante. Per quattro mesi e mezzo Serafino Razzi, Marradese, reggerà per acclamazione della Repubblica e del Senato di Ragusa unanime, il Capitolo Arcivescovile della città. Otto mesi dopo il suo arrivo, è Vicario Reggente dell’Arcidiocesi, per quattro mesi e diciassette giorni, fino all’elezione di Mons. Paolo Albero, che fece molte insistenze sul Padre affinché continuasse a governarla. Le minute degli Atti di Governo come Vicario Capitolare del Padre Razzi a Ragusa, sono contenute nel ms. di San Domenico di Fiesole a partire dal foglio 248. Come possiamo immaginare, Serafino declina l’invito per tornare ad occuparsi del suo incarico principale, acconsentendo comunque alla predicazione dell’avvento in Cattedrale. Nonostante il carico non da poco che si era riversato sulle sue spalle in soli otto mesi, aveva trovato il tempo per dedicarsi con passione allo studio della storia della Dalmazia, storia peraltro poco conosciuta in quei tempi. La sua passione e la sua curiosità partoriranno un’opera straordinaria, unica nel suo genere. Non sappiamo quanto materiale cartaceo sia andato perduto a causa dei terremoti che avevano devastato la Dalmazia, ma il lavoro di Serafino resta a tutt’oggi, la più antica opera storica a stampa di questa città e del suo territorio. Intitolata: La Storia di Raugia Scritta nuovamente in tre libri da F. Serafino Razzi, dottor Teologo Domenicano fu pubblicata da Busdraghi a Lucca nel 1595. La storia è introdotta da un “Avertimento al benigno lettore”, attraverso la quale Serafino premette una guida alla lettura: “ La presente Istoria sarà distinta in tre libri. Nel primo dei quali si scriveranno i progressi della città di Raugia, e le cose accadutele, fino all’Anno 1400 di nostra salute. Nel secondo si scriveranno le cose avvenutele dal prefato Anno 1400 fino à i tempi nostri. E nel terzo si dirà del sito della Città, e delle sue creanze de suoi Cittadini: Dell’isole sue, e del suo territorio. Ciaschedun libro poscia sarà diviso in Capitoli, i quali si 66 segneranno in margine: e si principieranno per capi versi, e con lettere maiuscole.” Il libro primo di quest’opera, e in parte anche il secondo, ossia fino all’anno della stesura, il 1588, sono tratti dagli studi che Serafino compie attraverso la consultazione degli: “Annali dell’Anonimo Raugeo” e degli scritti di Nicolò Ragnina- Rad.Jugosl. Akad. Knj. LXV, e.d. 18-83- messi a sua disposizione dal figlio Simon e dal nobile Francesco Gondola che gli aprì la sua biblioteca. Il Prof. Accademico Emerito Stjepana Krasic O.P. , ha presentato all’inizio di questo anno, nella conferenza inaugurale che ha aperto il ciclo di studi dedicati al “Frate Bianco” Serafino Razzi a Dubrovnik, un lavoro accuratissimo grazie al quale vengono messe in luce l’importanza e il valore delle notizie e delle fonti storiche contenute nelle sue opere. Ad una prima e superficiale lettura, gli scritti del Razzi possono sembrare una semplice descrizione diaristica, costituita da un elenco di cose, persone, luoghi. In realtà questa apparente semplicità stilistica nasconde una delle più preziose fonti d’informazioni che mai siano state lasciate e proprio per questo, come puntualizza il Padre Stjepana, moltissimi sono coloro che hanno attinto dai suoi scritti, dimenticando di menzionarlo. “La Storia di Raugia”, il più importante documento storico riguardante la città di Dubrovnik, è l’unica opera esistente di questo tipo e lo è stata per quattrocento anni, ossia fino al XX secolo. La sua unicità è diventata ancora più preziosa dopo che i secoli, gli eventi bellici e tutti gli accadimenti, (modificando in modo inappellabile le cose), hanno reso le sue descrizioni memorie uniche di quello che non esiste più. Nell’ambito degli studi umanistici, le Università di Belgrado e Zagabria hanno dedicato ampio spazio all’opera “ Giardino d’Esempi”, indicata spesso anche con il nome di “Florilegium”. Come sottolinea il Padre Krasic, “bisogna essere molto presuntuosi per definire fantasiose le tesi e gli scritti del Padre Razzi, o molto ignoranti”. Infatti basta leggere attentamente la prefazione per rendersi conto che questi “Fiori” non sono una creazione di fantasia, ma sono in gran parte riportati da altri testi ed elaborati secondo il criterio, l’epoca e la formazione culturale degli umanisti di quel tempo. Ad esempio, sessantasette “Istitutioni” contenute nell’opera “Evangelistarium” di Marko Marulic, sono riprese ed analizzate da Serafino nel “Florilegium”. Oltre a lasciarci le uniche notizie che ad oggi si hanno sulla vita di Giovanni Bona de Boliris, Pietro Filippo Assirelli, Lorenzo Volcasso, Nicolò Sagri e molti altri, ci lascia l’unica descrizione in dettaglio mai ritrovata sino ad oggi dell’interno di un galeone Raugeo e delle regole di bordo. Per certo sappiamo che è nella biblioteca di Francesco Gondola che Serafino legge: 67 “Sopra le varietà dei flussi et riflussi del mare oceano” di Nicolò Sagri e le opere di Marko Marulic, tra cui il “De Istitutione bene vivendi...”. Nicolò Sagri, matematico, astronomo e letterato dalmata, è autore di una delle più importanti opere di storia dell’astronomia e della navigazione: Ragionamenti sopra le varietà de i flussi et riflussi del mare Oceano occidentale. Fatti da Andrea di Noblisia, Pedotto Biscaino, et Vincenzo Sabici Nocchiero,et Ambrosio di Goze, Ragusei; Raccolti da Nicolò Sagri et in un dialogo dall’istesso ridotti, diviso in due parti, ad utilità di ciascuno Navigante. E’ probabilmente dalla lettura di questa e altri scritti del Sagri, che Serafino ricava alcune informazioni che utilizzerà nella descrizione delle isole della repubblica di Ragusa, in cui inserisce una dissertazione sull’errata descrizione che confonde l’isola di Malta con l’isola di Mellida in relazione a San Paolo e una seconda descrizione dell’isola di Malta inserita in un altro lavoro. Le analisi di Serafino sui testi degli Atti degli Apostoli in relazione alla traslazione latina del nome di queste due isole e gli studi da lui compiuti e presenti nei manoscritti di Dubrovnik negli Atti di Governo del Convento, hanno consentito al Dr. Miho Demovic, storico e musicologo croato, di realizzare una delle più importanti pubblicazioni degli ultimi anni. Attraverso lo studio dei tre libri della “Storia di Raugia”, dei documenti manoscritti del Padre Razzi e alla traduzione di una importantissima monografia latina di Ignjat Durdevic stampata in Venezia nel 1730, il Dr. Demovic ha pubblicato uno dei più importanti libri della storia Croata. Il libro è stato presentato durante il principale evento religioso del 2008. In questo anno dedicato da Sua Santità Papa Benedetto XVI a San Paolo, le tesi di Serafino Razzi, in cui affermava come fosse possibile e più che probabile che il Santo fosse giunto nelle isole della Repubblica, hanno finalmente trovato conferma attraverso le pagine della pubblicazione del Dr, Demovic, con approvazione dell’Accademia di Studi Apostolici Vaticana. Il libro in lingua croata è stato ad oggi pubblicato in inglese con il sottotitolo: ”San Paolo rimase tre mesi nell’Isola di Mljet in Croazia”. Riporto ora un estratto relativo alla descrizione dell’isola di Mellida che mi ha fatto riflettere su come, pur trattandosi di una descrizione di carattere geografico, Serafino riesca a trovare costanti relazioni che incatenano argomenti apparentemente lontani tra loro. Credo che attraverso le riflessioni contenute in questo piccolo estratto risalti in modo particolare non tanto il 68 frate Razzi, l’uomo dalla straordinaria curiosità intellettuale, quanto l’Ecclesiaste. estratto da “Descrizione delle Isole della Repubblica” “L’Isola di Mellida” “Archivio Documenta di Ponente” JJ.K Rag C.P. L’Isola di Mellida, detta Melligene, che di longhezza tira circa trenta miglia, e di circuito sessanta, e che è distante da Raugia, intorno à trenta miglia, tiene dei casali. Uno de i quali principali, e in cui fa residenza il Conte, mandatoci di Raugia si chiama Babinopoglie, che vuol dire campo della balia. ...Attendano i Melitesi all’agricoltura, e della navigazione non si travagliano, se non quanto fa loro bisogno per navigare alla città, portandoci legna, vino e altre cose. ...E tiene dalla parte di mezzogiorno, ò vero di Ostro un lago d’acqua marina di lunghezza circa tre miglia, e di larghezza intorno à due, con una bocca, onde entra l’acqua dal mare, così stretta, che con fatica dà ingresso alle picciole barche. E quando vogliono, con l’applicazione di certa pietra grossa posta nel mezzo di quella, si proibisce eziandio à detti vaselli piccioli il passo. ...Quasi poi nel mezzo di detto lago s’erge un piccolo scoglio, sopra di cui è edificata una venerabil Badia, e monastero di padri di San Benedetto negro, capo della congregazione di dett’Ordine monacale, perciò Melitense addimandata. ...E vi sono due torri di guardia, e per sicurezza di quei Reverendi Padri. Da che non ha molt’ anni, che venendoci i corsali, e non potendo entrare con le fuste e legni loro nel lago, per la strettezza della bocca di quello, ci entrarono alcuni di loro, sul bel mezzo giorno, notando e occisero un monaco e un servitore, i quali non furono à tempo à rientrare dentro al monastero. Narrano come essendo di state, erano i Padri iti a riposarsi un poco su quell’hora e se ne stavano sicuri havendo chiusa col predetto sasso, l’entrata della bocca del lago, e per ciò furono così d’improvviso trovati. Ma da quel tempo in quà si fanno perpetue guardie di quelle torri. 69 ...Dicesi che Oppiano di Aggesilao Romano, figliuolo, habitando certo tempo alla riva de questo porto, vi fabbricò un palazzo magnifico e convenevole alla grandezza Romana, di cui fino al dì d’hoggi perseverano molte reliquie. Anzi fuori del tetto quasi tutte l’altre parti principali. Et è macchina tale, che da lei il prenominato seno viene chiamato porto palazzo. Dicono questo Oppiano essere quello, che scrisse de i pesci marini. ...Dirò ultimamente in questa narrazione, come alcuni gravi Autori, tengono che questa Melida Isola, sia quella in cui San Paolo Apostolo fu dalla fortuna del mare trasportato e dalla vipera morso, si come si legge ne gl’Atti degli Apostolici al ventesimo ottavo capitolo. Tra i quali autori uno è il Cardinal Gaetano, dicendo cotal Isola esser posta tra l’Epiro, provincia della Grecia, la quale confina con la Macedonia, nel principio di cui vogliono alcuni che sia Raugia, e l’Italia, e chiara cosa è che Malta oggi de gl’Illustrissimi Cavalieri di Rodi, non è tra la Grecia e l’Italia, ma tra la Barberia, provincia dell’Affrica, e la Sicilia. Et un argomento assai probabile per questa opinione si trae dal ventesimo capitolo de gl’Atti prenominati, dove San Luca favellando e descrivendo detto naufragio così dice, naviganti noi in Adria circa la mezza notte, e quello che segue. Hora notissima cosa è che Malta de gl’Illustrissimi Cavallieri, non è nel mare Adriatico, ma nel mare di Barberia. Aggiungo ancora, che fino al dì d’hoggi si trovano in Mellida assai vipere e serpi e copia di vigne. Nè ripugna à quest’ opinione quello che narra poi San Luca nel prefato luogo, tre mesi in dett’Isola, dove anche fece molti miracoli si partirono sopra una nave Alessandrina, che quivi s’era svernata, e pervennero à Siracusa di Sicilia, e quindi à Reggio di Calabria, e poscia à Pozzuolo e à Roma, perochè puoté molto bene essere, che detta nave Alessandrina, come eziandio quella in cui era San Paolo, la quale similmente veniva di Levante e di Ierosolima in detta Isola Mellida, contra la propria intenzione e volontà. ...et esser logico valutare che per rotta di naviganti, esser più di mano la costa di Oriente dello mare Adriattico, per chi naviga, addivenedo dalle terre di Nostro Signore Giesù... *** * 70 Le uniche informazioni relative alla vita di Nicolò Sagri che ad oggi si hanno, si ricavano principalmente dai libri della “Storia di Raugia” di Serafino. Nato nel 1538 e morto nel 1573, fu tra i più abili comandanti della flotta navale Ragusea, oltre che astronomo, matematico e appassionato letterato dalmata. Il luogo e l’anno della sua morte sono riportati ne: “Descrizione delle Origini e genealogie dei cittadini di Ragusa che furono in offitio della Compagnia di Sant’Antonio” Collezione Privata M° Prof. Léon Linowitzki Trogir, Dalmazia -Croazia 71 “...Ma se natione alcuna in questo campo cosi honorato dell’antichità e della nobiltà va spatiando; chiara cosa è, che la nation Ragusea vi corre felicissimamente: percioché ella con tanta peritia, industria, e felicità naviga dall’uno estremo all’altro del mare, che riportandone alla patria grandissimi honori, e procacciando à se medesma gran beneficio...... ...S’è fino al giorno d’hoggi continuamente accresciuta; già che noi sapiamo che i Ragusei quali con cento navi solcano il mare per tutte le quattro parti del mondo. ...e a noi importa più à sapere quando sono l’acque basse, ò piene, e donde vengano, nella costa dalla terra, nelli porti, basse, secche, banchi, bocche dè fiumi, canali, stagni... ...dico dunque che nel stretto di Gibaltar, quando cresce l’acqua viene la corrente di Levante, cioè dal mare Mediterraneo, e dura questo corso sino alla punta di Tariffa, e quando decresce ritorna di Ponente verso Levante, cioè dal Mare Oceano, nel mare Mediterraneo... Di modo che quando l’acqua comincia à crescere, si move da Garbino, e corre verso Greco, e così s’incontra col lido, ò costa del terreno, e fa l’acqua piena, e in tutti i Porti, Golfi, Canali ò fiumi e l’accrescimento viene dal Mare et il decrescimento dalla terra...” Note e appunti tratti dall’opera di Nicolò Sagri Archivio Domenicano di Dubrovnik Un altro personaggio illustre che ha attirato l’interesse di Serafino è Marko Marulic, gentiluomo della città di Spalato nato nel 1450. Questi compì gli studi probabilmente nella città di Padova, ma non si allontanò mai per lunghi periodi dalla sua terra. Uomo di grandissima levatura intellettuale, scrisse in latino la maggior parte delle sue opere, alcune in italiano e le restanti in lingua croata che egli definiva madrelingua. A tutt’oggi è considerato la figura più importante della letteratura croata del Quattro-Cinquecento. Il suo componimento “ De Istitutione bene vivendi per exempla sanctorum” 72 “Istituzione del buono e beato vivere secondo l’esempio della vita dei santi” come già detto, fu citato dal Padre Serafino nell’opera: “Giardino d’esempi ovvero fiori delle vite de’santi “ stampato nel 1607, in cui inserì 69 esempi tratti dall’ Istitutione” di Marko Marulic. E’ comunque certo che Serafino conoscesse già le opere di Marko Marulic, dato che l’“Evangelistarium” era stato tradotto in italiano da suo fratello, don Silvano Razzi, già nel 1571. Quest’ opera e il “De Istitutione” ebbero una fama straordinaria e furono pubblicate per tutto il XVI e XVII secolo in più di cento edizioni e tradotte in quasi tutte le lingue: italiano, francese, tedesco, portoghese, inglese, fiammingo, boemo e spagnolo. 73 Il “ De Istitutione bene vivendi” è un testo che Serafino ama e condivide per l’ammirazione che entrambi portano verso la vita dei santi e dei grandi padri della Chiesa. Il carattere esemplare del richiamo ai santi è espresso attraverso la dedica a Gerolamo Cippico. Nell’opera Marulic mette in risalto il debito di riconoscenza verso i modelli di santità, antico e nuovo testamentaria, e cristiana che contrappone ai grandi sapienti del mondo antico. La conoscenza del Marulic è vastissima e l’utilizzo che fa della prima letteratura cristiana riflette la sua preoccupazione di edificare in un modo rispondente agli ideali dell’umanesimo cristiano con l’intento di offrire testimonianze di virtù così come sarà per Serafino il cui intento ( un esempio tra tutte le opere) si riscontra con evidente consapevolezza nell’ultima ristampa della Vita di Santa Caterina de’ Ricci. Nel terzo libro della Storia di Raugia, Serafino descrive i luoghi intorno alla città, le isole appartenenti alla repubblica fino a Cattaro, dove si reca a predicare la Quaresima dell’anno 1589 nella Cattedrale. Fir. Bibl. Laur.,San Marco 873 A seguito della predicazione nelle terre di Cattaro, Serafino dà alla luce l’opera: “ Vita di san Trifone , avvocato dai Cattarini” composta nel 1589 e “ Vita della Beata Osanna da Cattaro.” che comporrà dopo il ritorno a Firenze e che sembra datata 1592. Il racconto della vita di San Trifone denota l’interesse per tutto quello che riguarda la documentazione agiografica e non solo per i suoi esponenti più famosi. San Trifone Trifone era nato a Campsade, terra dell’Ellesponto vicino a Nicea, nel 232 d.C. stessa regione di San Nicola divenuto poi patrono di Bari. Fin da adolescente si dedicò allo studio delle Sacre Scritture e dei Vangeli e la determinazione con cui proclamava e diffondeva il suo credo indussero il Prefetto romano Aquilino a farlo arrestare. L’anno 250 d.C. vide bandita una delle più sanguinose e atroci persecuzioni cristiane sotto l’imperatore Decio: Trifone fu condotto a Nicea in Bitinia e nonostante le atroci torture non rinnegò la fede, subendo in conseguenza il martirio per decapitazione. Per sua volontà il corpo fu ricondotto a Campsade e lì riposò fino al X secolo quando una nave veneziana approdò sulle rive e prima di ripartire ne trafugò il corpo. 74 La nave travolta da tempesta riuscì miracolosamente ad approdare incolume sulle coste di Cattaro, dove come segno di ringraziamento per la salvezza, fu deposto in nuova sepoltura il corpo di San Trifone. Amato e conosciuto per i miracoli dispensati al popolo, divenne in breve tempo Patrono di Cattaro e protettore dei marinai. Nel 950 d.C. i Cattrini eressero una cattedrale al santo in cui sono state conservate per anni le sue reliquie che sono state oggetto di varie traslazioni fino al 1656. In quell’anno il Duca di Viterbo Enrico Sforza, avvalendosi dell’autorità del fratello, Cardinale Federico Sforza, ottenne l’autorizzazione di Papa Alessandro VII per trasferire parte delle reliquie di San Trifone e portarle a Viterbo affinché proteggessero la popolazione da una terribile peste. Dal 1918 le spoglie del santo si trovano sotto l’altare maggiore del Duomo di Tonti di Cerignola mentre il cranio è sempre rimasto a Cattaro. L’origine dell’interesse per la storia di San Trifone è comunque da collegarsi al “viaggio nella riforma degli Abruzzi” e al “ Viaggio nelle Puglie e Calabrie” dove il santo, che era già venerato a Montrone, paese sulle Murge in provincia di Bari e conosciuto in varie località che con la Dalmazia avevano rapporti marittimi, aveva suscitato la curiosità di Serafino. Non risultano fino ad oggi stampe di questa vita, ma lo scritto deve essere stato copiato e probabilmente inviato al Vescovo di Kotor che ne autorizzò la diffusione. Non si spiegherebbe altrimenti la coperta lignea inviata da Spalato, la cui incisione ripassata in oro cita “ Frate Serafino Razzi Vita di San Trifone” in caratteri cirillici. Ma Serafino non è solo interessato alla storia e alle cose che riguardano la religione. Il suo arrivo a Raugia ci mostra anche un Serafino imprenditore, un uomo che deve trovare i fondi necessari per i restauri del suo monastero, che deve rinnovare e costruire e far quadrare i conti. Siamo nel 1589 e dovrà passare ancora molto tempo prima che le candele vengano definitivamente sostituite con altri mezzi più duraturi. Le candele sono indispensabili per la chiesa, lo studio, la vita in tutti i suoi aspetti. Guardandosi intorno Serafino si rende conto che la cera viene importata in città dall’Italia, dalla Grecia e dal Montenegro con evidenti costi molto superiori a quelli che Serafino è abituato a saldare nell’ambito dei suoi precedenti priorati. Delizioso nei modi, e chiedo scusa perché non trovo altra forma per descrivere la cosa, tramite un sistema che si può definire geniale oltre che stravagante, Serafino non si presenta al consiglio della città a spiegare che per risparmiare la cera devono farsela da sé. Semplicemente si dedica alla realizzazione di un’opera: “ Della natura e proprietà delle api o vero pecchie da gravi autori raccolta” 75 Questo libro, che Serafino dedica “Alli Illustrissimi Signori il Rettore e Gentiluomini Raugei” verrà poi stampato a Lucca da Busdraghi. Nel 1590 il suo mandato è terminato. Con grande afflizione delle città e dei padri del suo convento, Serafino sessantenne torna a Firenze, dove riprende le sue lezioni in San Marco. Riporto per intero la dedica che apre l’opera “ La Storia di Raugia”, così come appare in stampa e come la lessero i Signori di Dubrovnik quando la ricevettero: “ A GL’ILLVSTRISSIMI SIGNORI, IL RETTORE; e gentil’Hvomini Raugei, Signori miei sempre osservandissimi Le molte cortesie, le quali io ricevei, né due anni che io dimorai, IllustrissimiSignori miei, nella vostra Città e dall’amplissimo Senato vostro, e da molti particolari gentil’huomini, e dal Reverendo Clero, che nella morte del proprio Arcivescovo, si degnò di elegger me forestiero di sangue, se bene d’affezione, e d’amore cittadino, al governo di cotesta vacante Chiesa, siccome all’hora mi indussero à matter mano à questa fatica di scrivere la storia della vostra nobilissima, & Illustrissima Città ( carico fin qui da niun’altro che io sappia, preso) così hora havendola fatta stampare, mi stringono e soavemente mi forzano à non indirizzarla, ò vero dedicarla ad altri, che all’Istesse Signorie vostre Illustrissime. Le prego adunque di aggradirla, e favorirla, e tener me, per loro amorevolissimo, & affezionatissimo figliuolo, e servo, nel Sig. che io loro, per tale mi offero, e dono. Di Firenze alli 28 di Marzo, dell’Anno della salutifera incarnazione 1595. Di V.S.Illustriss. Affettionatiss-figl.e servo F.Serafino Razzi. 76 Missione Diplomatica in favore della Repubblica. “Il Frate Bianco” viene inviato come Mediatore Diplomatico davanti agli Ambasciatori della Santa Sede dei Veneziani e dei Turchi La popolazione di Raugia era bilingue, ma la nobiltà, per rimarcare la superiorità sul popolo, parlava in italiano e frequentava la Cattedrale dove in questa lingua si predicava. Tra loro parlavano in croato rivolgendosi però alla servitù in italiano attraverso un interprete che ri-traduceva il comando. Serafino scelse subito di imparare la lingua in modo da poter predicare e parlare con la gente senza doversi servire costantemente di un interprete. Meno di un anno dopo il suo arrivo a Dubrovnik, il Frate Bianco, come venne da subito chiamato da tutti, fu investito di un incarico diplomatico delicatissimo. La Repubblica di Venezia che aveva perduto quasi tutti i territori lungo le coste Adriatiche, aveva iniziato a tessere le sue mire sulla città iniziando a tessere una rete di false informazioni destinate agli Ambasciatori e agli osservatori accreditati allo Stato Pontificio. Non avendo reali motivi per attaccare una città che era quasi l’ultimo avamposto cattolico in un territorio controllato dai turchi, iniziarono a diffondere il sospetto di un’alleanza nascosta mirata a favorire l’avanzata ottomana in cambio della sicurezza della Repubblica. Se il Papa avesse dato credito a queste informazioni, avrebbe sicuramente appoggiato l’attacco e l’occupazione di Dubrovnik da parte dei Veneziani. Gli informatori diplomatici dalla Turchia, intanto, riferivano che pur non avendo mai avuto gravi problemi con la città, i generali della milizia ottomana stavano iniziando a prendere in considerazione come l’assalto e l’occupazione della città avrebbe sicuramente favorito l’espansione e il dominio marittimo, garantendo uno dei porti più ampi e meglio fortificati dell’Adriatico. Serafino fu scelto dal Senato come Mediatore e inviato a parlare con i Veneziani e con i Turchi. Alla presenza dei Messi Diplomatici delle varie potenze e dei Nunzi Papali, il “Frate Bianco” da un lato dimostrò il legame e la devozione della città al Papa e al cattolicesimo, dall’altra giustificò le relazioni con i turchi in modo che nessuno dei presenti poté confutare. Descrisse il giuramento di fedeltà che con preghiere costanti la città riconfermava in Cattedrale al Papa e all’Imperatore Romano spiegando come il tributo pagato al Sultano fosse solo una necessità politica che non tutelava solo la città ma l’intero mondo cattolico. Il cuore di Dubrovnik era da sempre Europeo: era con Roma, Vienna e Madrid non con Istanbul. 77 Cosa abbia detto precisamente ai Turchi per ora non ci è dato sapere, ma le sue argomentazioni risultarono inconfutabili anche per loro. Dubrovnik fu assolta dall’accusa di tradimento verso gli interessi cristiani e non fu attaccata dall’armata del Sultano. Nell’ultimo lavoro presentato e pubblicato quest’anno dal Prof. Kranic possiamo leggere: “Pertanto Dubrovnik deve eterna gratitudine a Fra’ Serafino Razzi e considerarlo alla pari dei suoi più meritevoli cittadini come ad esempio Mino Pracat o il Martire Nikolic Bunic.” *** * Rientrato a Firenze, Serafino riprende i suoi corsi in San Marco come lettore in Sacra Teologia. Contemporaneamente è nominato Confessore del Monastero di San Vincenzo di Prato e continua le predicazioni. Nel 1595 è Confessore del Monastero di Santa Lucia in Firenze. Nonostante la prestigiosa carica che riveste e l’autorevolezza riconosciuta, nonostante il prestigio e la fama imperitura che continuano ad accompagnarlo, i nobili amici che lo consultano e mantengono con lui legami epistolari, Serafino non perderà mai la propria spontaneità e il senso pratico che lo hanno reso così amato. Forse è il senso pratico così spiccato il motivo per cui si trovava su un tetto, probabilmente per sistemare da sé qualche rottura, la causa di una caduta che miracolosamente non lo conduce alla morte. Viene portato a Lecceto in convalescenza per rimettersi e alla fine dell’anno 1596, ritorna in San Marco e riprende le sue lezioni. Nel 1600 si reca a Roma in pellegrinaggio per l’Anno Santo, viaggio del quale parlerà nella Vita del Savonarola, in appendice al libro quarto. Questo viaggio a Roma contiene anche la speranza di ottenere il consenso e l’approvazione del Pontefice per la stampa della sua ultima fatica dedicata alla Vita di Santa Caterina de’Ricci. Speranza che, purtroppo, non troverà consensi data la particolare situazione “politica” della chiesa condizionata fortemente dalle controversie con la Riforma Luterana che ormai ha diviso il Capitolo di Germania. Nel 1602, all’età di settantadue anni viene eletto Priore del Convento di San Marco a Firenze. “ ...Anno MDCII, XII Kal. decembris, conventus sui nativi S.Marci prioret agebat. ” Scriptores ,II,387 78 79 80 Laudi e Poesie Spirituali Il termine Lauda, designa una canzone, generalmente in lingua volgare ma dal contenuto spirituale che dal XIII al XIX secolo ha rappresentato una parte importante della vita religiosa del popolo italiano. L’etimologia latina “laus”, implica un canto di lode e ringraziamento ma anche di penitenza e contrizione. Non è da escludere che il suo sviluppo in Italia, specie nelle regioni del nord, sia stato influenzato dai trovatori che si erano spostati dalla loro terra d’origine al seguito delle crociate. L’origine della Lauda da noi, resta comunque strettamente legata a San Francesco d’Assisi, che fu uno dei primi a dare vita alla poesia religiosa volgare. Percorrendo l’Umbria a piedi “cantando e laudendo magnificamente Iddio”, ci ha lasciato, indelebile segno della sua fede, il “Cantico di Frate Sole” del quale purtroppo non ci è pervenuta la musica. Gli storici tendono comunque a supporre che la linea melodica fosse ispirata allo stile di Gautier de Coinci (1177-1236) che si era diffuso oltre le frontiere francesi. La Lauda, al di là del valore musicale che spesso è relativo, è di fatto un componimento extra-liturgico. Veniva usata nelle processioni e nei pellegrinaggi e in seguito nelle Confraternite che andavano formandosi, come a Firenze dove nel 1183 fu fondata la Compagnia della Beata Vergine Maria. Nata dalla spontaneità e dall’entusiasmo religioso, la lauda diviene la forma popolare di canto sacro, staccata dalla forma e dalla musica ecclesiasticoliturgica, cantata all’unisono da tutti i fedeli. Da monodica, la Lauda inizia a diventare polifonica fin dai primi anni del 1400 evolvendosi nel tempo in forme a tre, quattro, sei e più voci. Legata comunque più all’utilizzo popolare che a quello liturgico, la Lauda favorirà sempre il testo su una linea melodica piuttosto semplice. La parte musicale è di fatto a servizio del testo e questo equilibrio a favore delle parole, anche nell’evoluzione da monodia a polifonia, resterà invariato: sillabismo, armonia verticale e preponderanza della voce acuta. I laudari di questi secoli sono conservati nelle biblioteche più importanti d’Europa ma due sono le fonti più copiose: il MS della Biblioteca Marciana di Venezia, che contiene 12 Laude a due voci della metà del XV secolo, e i due libri della Biblioteca Colombina di Siviglia, ad opera del Petrucci, contenenti 122 laudi, di cui 74 in italiano. La più importante raccolta di Laudi Spirituali, dopo la lontana stampa del Petrucci, la si deve al Padre Serafino Razzi che fu il primo a compilare una raccolta “ musicale ” a stampa nel XVI secolo. La prima pubblicazione fu la 81 prova di stampa che giustifica il curioso titolo sulla coperta che cita “ da cantarsi su una musica conosciuta...”; il libro nella sua forma definitiva fu stampato poco dopo. L’innovazione straordinaria di Serafino fu l’idea di inserire nel libro la musica “contemporanea”, ossia la musica più famosa che si cantava in quel tempo a Firenze, impedendo che andasse perduta e dimenticata con l’avvento di nuove “canzoni” popolari. Infatti era cosa tipica del canto popolare, adattare testi diversi agli stessi temi melodici conosciuti. Per questo motivo Serafino trascrive musica e testo apponendo in fine la nota “ Tutte le seguenti Canzona si cantano come è notato qui sopra”, con a seguire il testo di due, tre e più laude precedute da nome dell’autore e titolo. Ovviamente inserisce anche le sue composizioni poetiche che firma. Le Laudi Spirituali di Serafino Razzi, restano a tutt’oggi l’unica raccolta contenente i testi e le musiche in uso in Firenze nel 1500. La fama derivata da queste raccolte ha leggermente deformato nel corso del tempo il ruolo di Serafino che ne è stato il compilatore e il trascrittore. Il suo ruolo di compositore è da riferirsi alla “composizione” dei testi che egli ha poi adattato a musiche preesistenti: l’automatismo che porta ad accomunare l’aggettivo “Compositore” con il musicista, ossia con chi compone in note musicali, ha indotto molti ad identificarlo come tale distraendo l’attenzione dall’importanza straordinaria della sua opera di “Compilatore”. Capita spesso di imbattersi in trascrizioni musicali moderne di brani del 1500 che recano, ad es., questa dicitura: “ Il Bianco e dolce collo di Caterina ” di Fra’ Serafino Razzi Sull’intestazione non viene riportata la nota “Su testo di Fra’ Serafino Razzi” ed è normale per chi guarda la partitura intendere che ciò che si sta leggendo è la trascrizione in notazione moderna della composizione di Serafino. La domanda che mi sono posta è, di conseguenza, questa: perché attribuire l’intera composizione ad una persona che nei manoscritti autografi più di una volta, dal 1552-53 al 1603, dichiara per propria mano di non essere il “compositore”, ossia il creatore della parte musicale? Probabilmente perché la consultazione non si è rivolta alle fonti autografe ma si è basata sulla intestazione del “Primo Libro delle Laudi Spirituali” dando per scontato che dove compare la “partitura” con sotto il testo firmato “ Serafino Razzi” entrambi i componimenti appartengano alla creatività del firmatario. 82 Non possiamo certo dire che non conoscesse la musica anzi, ma dobbiamo anche attenerci alle sue stesse parole: “...non composi giamai canto alcuno da per mè alle laudi...” MS Palatino, 173 A differenza di molti compositori che fino alla metà del XVIII secolo hanno lasciato, senza conferma né smentita, che il mondo musicale attribuisse loro la paternità di opere anonime che riscuotevano grande successo, Serafino ribadisce con serena onestà di non aver inventato le musiche che inserisce nei libri. Questo nulla toglie al grandissimo valore della sua opera, dato che se non avesse conosciuto i fondamenti dell’armonia e del canto, mai avrebbe potuto lasciarci testimonianza concreta di come queste laudi venissero cantate. Numerosissimi studi sono stati fatti nel corso dell’ultimo secolo per rintracciare le fonti originarie delle parti musicali che ci ha lasciato dove accanto ad alcune egli stesso scrive: “Lauda Antichissima d’ Autore incerto.” Tra i più autorevoli studiosi di storia musicale del Rinascimento e conseguentemente dell’opera del Padre Razzi vanno ricordati ( e ne cito solo alcuni a partire dal 1908): Domenico Alaleona R. Casimiri Studi sulla storia dell’Oratorio in Italia, Torino, Ed. Bocca 1908 “ Laudi Spirituali” in “Cantibus organis” Roma , 1924 H. Colin Slim “ Gift of Madrigals and Motets”, London-Chicago University Chicagi Press 1972 che attraverso la ricerca ha potuto appurare come la lauda a Santa Caterina Martire “ ...il bianco e dolce collo di Caterina...” è stata adattata da Serafino sul testo “...il bianco e dolce cigno...” del quale trascrive la parte musicale, che si può confrontare con il manoscritto autografo di J. Arcadelt nel suo “Primo Libro di Madrigali”. Pierre Hurtubise, Une famille-témoin: les Salviati. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica, 1985 Patrick Macey, Bonfire Songs: Savonarola’s Musical Legacy, Oxford, Claredon Press 1998 83 Eric Cochrane, Florence in the Forgotten Centuries 1527-1800. A History of Florence and the Florentines in the Age of the Grand Dukes, Chicago-London, University of Chicago Press 1973 Ferdinando Liuzzi La Lauda e i primordi della melodia italiana Roma, Libreria dello Stato, 1935 e tantissimi altri tra cui J.Ratzinger, attuale Papa benedetto XVI. Grazie al Prof. Patric Macey e alla pubblicazione degli atti del convegno internazionale del 2005, possiamo risalire alle origini musicali di altri componimenti: Serafino adatta la musica di due madrigali di Verdelot alle laudi, includendo la linea del Tenore di “Quanto sia lieto il giorno” - Fl.BNC, pal 173- ai suoi componimenti “Questo dì glorioso”, “Deh venite Angeli” e “Vasto, diletta terra”. Nel Santuario di laudi del 1609, Serafino utilizza ancora un madrigale di Verdelot come primo e come ultimo brano, in chiusura, adattandolo al testo “La Vergine Gloriosa”. Di fatto la linea melodica della lauda è facile da ricordare e sostanzialmente omofonica, e questo facilita la partecipazione di tutta la congregazione riunita nella chiesa, creando una condizione suggestiva tra la prima stanza, ossia strofa e la risposta corale. Generalmente troviamo linee di tre voci: alto, canto e basso, con la parte singola facilmente memorizzabile da un piccolo coro, grazie al limitato “range” o gamma di intervalli. Il massimo intervallo che troviamo è un intervallo di quinta che per le molte note ripetute e lo stile semplice è ripetibile subito dopo averlo ascoltato una prima volta. Questa linea melodica così semplice risalta in modo particolare durante il periodo d’oro di Lorenzo de’ Medici alle cui splendide feste di carnevale si cominciarono ad eseguire i “Canti Carnacialeschi”, alcuni dei quali composti su testi dello stesso Magnifico. Sebbene molto semplici, come si addice a temi da eseguire all’aperto e in compagnia, questi testi contengono una loro importanza storica dettata dallo stile prettamente italiano. Dopo la morte di Lorenzo, Girolamo Savonarola condannò pubblicamente i canti carnacialeschi incoraggiando la diffusione delle laudi, ossia canti religiosi. Questi, che per la loro semplicità melodica si rivelarono tanto simili ai precedenti, consentirono alla gente di conservare le melodie popolari cambiando semplicemente i testi. Nei Madrigali del 1500, il procedimento avviene più o meno nello stesso modo. 84 Il Madrigale era una forma melodica semplice, in cui il testo era in apparente contrasto con la musica: a melodie tristi e melanconiche venivano associati testi allegri e scanzonati e viceversa. Ad esempio, in uno dei madrigali di Arcadelt, “Il bianco e dolce cigno” è presente un’antitesi: il cigno muore e questo viene cantato in un’apparente felicità mentre in contrasto il narratore piange come se fosse lui a dover morire. Nella parte interna della canzona, nella stessa strofa in cui prima il cigno muore felicemente, ora muore infelicemente mentre è il narratore a morire con gioia. Il paradosso si risolve alla fine quando il cantore svela di morire solo di una morte metaforica, poiché questa morte è la metafora della “ petite mort ” l’atto sessuale-, ossia il culmine del piacere fisico che nel canto è rappresentato dallo spirito che lascia il corpo. Ed è questa rivelazione il colpo di scena che provoca la risata e rende questi canti così popolari. Talmente popolari che Serafino stesso utilizzerà la musica di “Il bianco e dolce cigno”, per il testo poetico della sua lauda “Il bianco e dolce collo di Caterina”. 85 E’ evidente che il valore viene dato al testo musicale e non al testo letterale, dimostrando un’apertura mentale e culturale che probabilmente noi oggi non riusciremmo ad avere. Credo che nessuno di noi oserebbe trasporre un testo spirituale sulla melodia di “Osteria numero...”eppure all’epoca era considerata una prassi normale. Nel manoscritto relativo al Libro di Laudi del 1588, libro che non contiene parti musicali ma solo componimenti letterari, Serafino segna una nota in cui elenca i nomi dei musicisti compositori di tali laudi, le cui partiture musicali, essendo committenti della “Cappella Musicale” dei Medici a Firenze e a Roma, erano già redatte in forma indipendente: Verdelot, Pisano, Layolla, Corteccia, Costanzo e Festa. Nell’ultimo manoscritto, nella parte relativa alla composizione dell’ultimo libro delle Laudi, oltre ribadire che “non compose giammai canto alcuno da per sé alle laudi”, fornisce preziose informazioni sulle origini profane e popolari di alcune melodie che ancora non sono ascrivibili ad autori specifici. Nel MS Pal.173, Bibl. Naz., Serafino ne indica i criteri della raccolta: “sopra un’aria di musica assai vaga, da mondani huomini santamente presa”, e ancora “ composta sopra un canto che l’Autore ( Serafino) sentì una volta cantare da certe fanciullette in andando fuori diporto”. Quest’ultima annotazione di Serafino, riporta alla mente un passo del Viaggio nella Riforma d’Abruzzi, in cui egli si sofferma a guardare e ascoltare alcune fanciulle che cantano mentre raccolgono legna ed erbe. Resta comunque indiscutibile che Serafino conosca la musica: è stato istruito al canto liturgico negli anni del seminario, conosce la notazione ed è capace di leggerla e intonarla. Il Pontificale Romanum, che resterà in uso fino alla riforma del Vaticano II, elenca le mansioni del Diacono, investitura che Serafino riceve nel 1552: cantare il Vangelo su tre toni tradizionali, le intenzioni dell’Oratorio fidelium, l’Exultet nella veglia pasquale, le litanie etc... Serafino ama la musica, ma per sua stessa mano sappiamo che non è né compositore né strumentista eppure pur definendosi “...non particolarmente versato nelle cose della musica...” si ingegna con passione a trascrivere linee melodiche udite e memorizzate e a comporre laudi spirituali e poesie, rette da una metrica elegante e ritmica che si avvolge e plasma sulle note dei grandi compositori del suo tempo. Ma soprattutto ci lascia la più preziosa fonte di informazioni per lo studio della prassi esecutiva; una raccolta così importante per lo studio della musica rinascimentale in Toscana da essere, ancora oggi, inesauribile fonte di indizi per la conoscenza della prassi, della ricerca di fonti e attribuzioni da parte degli storici della musica e dei ricercatori di tutto il mondo 86 Le Laudi di Serafino Nella “ Laude al Proprio Angelo Custode”, Serafino si attiene alla metrica della “Laude di F.Girolamo Savonarola da Ferrara -Gesù sommo conforto”. La riporto per intero così come appare negli originali dell’epoca, uno dei quali fu proprietà della Biblioteca Arcivescovile di Bologna che ne concesse la ristampa anastatica alla Forni Editore di Bologna. Lauda al proprio Angelo di fra Serafino Razzi Angelo mio diletto Che mi sei stato dato Da Giesù benedetto Per guardia in ogni lato O gran bontà,dolce pietà Felice quel che a Giesù unito sta. Fammi spregiare il mondo Con il suo falso honore Accio che col cuor mondo Servir possa il Signore Fammi fuggire il vizio, E le vie triste e torte Accio che in suo srvizio Duri fino alla morte. Fammi esser paziente In ogni adversitate Divoto, ubbidiente Ripien di caritade. Fa ch’io sia casto e puro Angel mio pien di zelo Accio che al fin sicuro Teco ne venga in cielo. Insegnami la strada Che ne conduce a vita E perchè in quella io vada 87 Non far da me partita. Spronami, accendi, infiamma, Ch’io ferva all’alto Dio E alla sua dolce mamma Che è tutto il mio desio, O Vergin Santa, o verde pianta Felice chi di te favella e canta Tu dolce Maria Ogni speme, e conforto Della trista alma mia, Torre ,Refugio e porto. Tu vergin singolare Sopra d’ogn’altra al mondo Tu sei stella del mare Che non lasci ire al fondo. Fa caro il mio angiolino, Che mi tenga in sua grazia Accio del suo bambino Faccia mia voglia sazia O me beato, e fortunato Se’l dolce suo Giesù mi sarà dato Ti prego ultimamente Angel mio bel fra belli Che facci ardentemente, Ch’i ami i miei fratelli, A voi spirti divini Adesso io me ne vengo Beati Serafini Il cui nome ritengo E chiedo aita, che alla partita Felice a voi ne venga all’altra vita. Il fine. 88 Lauda all’Angelo Custode di Serafino e testo di Girolamo Savonarola con parte musicale 89 I due testi affiancati così come appaiono nella prima edizione a stampa del Libro Primo delle Laudi Spirituali e a seguire il testo musicale che lo precede. Nell’originale la pagina precedente è posta a sinistra e come possiamo vedere dalla pagina 87, il testo di Serafino è stampato dopo quello di Girolamo Savonarola, il cui incipit è inserito tra le linee delle voci. 90 Ho scelto tra le tante di riproporre questa laude per prima per la sua particolare bellezza e per l’immediata sensazione di essere una delle prime che Serafino ha composto. C’è nella sua struttura un ardore giovanile e allo stesso tempo un’intimità particolare; tra le tante che ho letto, credo che questa rappresenti un profondo momento di intimità spirituale rispetto al senso devozionale degli altri componimenti. Riporto i titoli delle laudi così come le ho trovate nell’originale e così come è stato stampato nella prima edizione del 1562. Raramente sono accompagnate dalla data di composizione ma sono sempre firmate dall’autore. La laude che ora segue è la prima che Serafino compone e nel manoscritto BNC, Pal 173, f80v, ne descrive le circostanze : “...compose l’Autor ‘ la precedente laude e fu la prima che componesse, essendo anco novizio nel Monastero di san Marco... e Pal 173,1: “...io presi il sacro habito della religione l’anno 1549...di nissuna cosa esterna cotanto piacere spirituale io prendeva, quanto sentire tal’hora cantare alcuna divota laude di Dio o de santj...mi posi in certe hore meno atte agli studi et in tempo di estate, quando i giorni sono più lunghi, a scrivere le parole e la musica di dette laudj” Serafino annota la data: 1552, aveva quindi ventuno anni. La parte musicale di questa laude è una linea melodica piuttosto semplice con la seconda strofa metrica ripetuta composta su una base preesistente e riadattata da lui stesso. 91 92 Laude di Fra Serafino Razzi a santa Cecilia I Sent’al cor conforto Cecilia gloriosa Diletta a Giesù sposa Quant’io t’amo. Qui per tuo amor cantiamo Cecilia benedetta Tu sei mia diletta Te il cor ama. Te sola il mio cor brama a te. Tu sei la mia avocata Tu hoggi in ciel beata In grande honore. A te dono il mio core, Cecilia pura ,e santa Di te mia lingua canta In questo giorno. A te hoggi ritorno, Verginella, pregiata Siati raccomandata L’alma mia. Te sola il cor desia Per la tua puritade, Tu specchio di bontade, E d’amor casto. Spregiasti con tua gloria: Onde hoggi con vittoria Il ciel possiedi. Tu il mio bisogno vedi Però porgimi aita; Accioche di mia vita io venga al porto. Il Fine 93 La decisione di presentare le seguenti laudi non è dovuto ad un valore intrinseco più ampio rispetto ad altri componimenti, ma semplicemente perché sono firmate Seraphinum Ratium Marradium Aedita. Ovviamente ogni Laude riporta il nome dell’autore, ma non su tutte quelle di Serafino compare il nome di Marradi. 94 Sequenzia Sanctae Luciae, per Fratrem Seraphinum Razium Marradium Aedita. Ave Virgo gratiosa, Virgo martyr gloriosa, Sponsa regis gloriae. Ave fulgens margarita, Quam dilexii mundi vita, Christus sol iustitiae. Fructum iam centesimum, Virginitatis meritum, Virgo coelo reportasti. Virgo prudens Deo grata, Per cruorem purpurata, Syracusas decorasti. O qua faelix nunc in coelo Agnum sponsum absque velo,Contemplaris domina. Sancti tui nuc agonis, Cumularis amplis donis, Virginumque gloria. Age quaeso virgo pia, Apud Iesum o Lucia, Vt degamus sic in via, Quòd laetemur patria. Supplicamus nos emenda, Emendatos nos commenda Tuo sponso ad habenda, Supernorum gaudia. Ave Christi sposa, Ave mitis, & benigna Victrix martyr, rosa rubens, Peccatori lucem prebens Poscéti fideliter. Iesù Christe fili Dei, Tota salus nostrae spei, Tua sponsae interuetu, Angelorum nos cocentu. Fac gaudere iugiter. Amè. Finis. 95 Lamento della Maddalena al Sepolchro Copia Anastatica dell’Originale del 1563. Esemplare appartenuto alla Biblioteca Arcivescovile di Bologna. 96 Lamento della Maddalena al Sepolchro di Christo,di Fra Serafino Razzi 1 Stommi q al monuméto ogn’hor pigédo Giusù cercando, Che fu tolto da me, ne lo ritrovo deh meschin’a me’. 2 Chi me l’havessi detto vita mia che’n tante pene, Dolce mio bene, ahime, 3 Mi lasceresti deh meschin’a me N’o cerco l’horto tutto, e non ti truovo, 4 E il monumento di fuori, e drento, ahime, Ne ti riveggio, deh meschin’a me, 5 Chi l’havesse veduto, me lo insegni, il mio conforto 6 che in croce morto, ahime, fu da Giudei, deh meschin’a me. 7 Se fusse ben nell’atrio di Pilato Senza pensare, lo andrò a pigliare, ahime, 8 Chi me lo insegna, deh meschin’a me. Precetor mio dove ne se tu ito, dolce mia speme, 9 Quanto mi preme, ahime, l’esser te senza, deh, meschin’a me. 10 Deh torna Giesù mio deh torna homai, O mio diletto, con quanto affetto, ahime, 11 Ti vo cercando, deh meschin’a me. S’io ti trovassi dolce Giesù mio,tra questi fiori, 12 di più colori, ahime, sarei contenta, deh meschin’a me. 13 belle figliole di Gerusalemme, havresti visto. Il dolce Christo, ahime, 14 Che è lo mio core, deh meschin’a me. ma ecco io veggio di qua un hortolano, 15 Dimmi fratello. hai tolto quello, ahime, che è lo mio bene, deh meschin’a me. 16 Non ti accorgi Maria, che l’hortolano è lo tuo amore el tuo Signore, hoime, Tu nol conosci,deh felice a te. 97 C’è una dolcezza candida nella forma poetica di Serafino. La percezione di lui attraverso gli scritti ci giunge come attraverso uno specchio: gli occhi spalancati di uno spirito perennemente stupito dalla bellezza della fede. Per quanto, come spesso accade, sia stato uomo di indiscussa fama al suo tempo, noi che siamo suoi conterranei lo abbiamo relegato in una specie di limbo del ricordo con un sottinteso: se ci sono vie dedicate a lui qualche cosa di importante avrà fatto. E come tutte le cose che nascono per caso, la mia curiosità verso di lui non è scoccata tanto attraverso gli studi di musica sacra rinascimentale, quanto da una vacanza in Croazia, dove nell’isola di Krk, nel negozio di un antiquario a Baska, ho preso in mano una pagina strappata forse da un laudario scritto a mano, con in alto una decorazione particolare. Il testo che inizia con le parole “Laudate fanciulletti in suono e canto...” non mi ha tanto incuriosito quanto la decorazione: una tartaruga. Il Gran Duca Cosimo I nel XVI secolo, aveva scelto come motto per la sua flotta navale di stanza nel porto di Livorno, il motto “Festina Lente” , ponendo come suo emblema sulle vele una tartaruga con una vela sul carapace nel mezzo della quale spiccava il giglio. Questo emblema veniva utilizzato come logo dalla tipografia Sermartelli di Firenze che stampava su privilegio del Gran Duca ed è stata proprio la tartaruga che mi ha riportato alla mente la coperta del libro dedicato a Santa Maria Maddalena. 98 Serafino Razzi “Laudate Fanciulletti” Collezione Privata Marko Marulic “Odi Slave” Collezione Privata 99 La curiosità di capire come una lauda scritta in “lingua toscana” facesse parte di una raccolta scritta in croato e il collegare poi il testo a Serafino Razzi, mi hanno portato a intraprendere questo viaggio nella sua storia. In questo viaggio ho scoperto non solo Serafino, ma musicisti, letterati, storici che non conoscevo e aspetti della vita e dell’opera del fratello Silvano che neanche immaginavo. A partire dal legame affettivo che pur non espresso a parole, si riscontra nella collaborazione continua che i due fratelli manterranno per tutta la vita. La differenza evidente tra gli scritti di Serafino e del fratello Silvano si percepiscono immediatamente. Più grande di circa cinque anni, amico intimo di Benedetto Varchi e molti altri letterati del tempo, Silvano si impone alla corte medicea come commediografo, dando alle scene e alle stampe quattro commedie e una tragedia tra le più famose del suo tempo. Mentre Serafino sente la chiamata religiosa fin da bambino, una scelta di cuore, Silvano vive la sua giovinezza da studente, frequentando i circoli universitari di Pisa, dedicandosi alla scrittura e alla vita “terrena” come tutti i giovani. La decisione di prendere i voti arriverà da adulto, una scelta di cuore e di testa probabilmente. Silvano è un uomo che ha vissuto la vita e che liberamente sceglie un’altra vita. Entrato nell’ordine camaldolese con il nome di Girolamo, continuerà ad essere chiamato don Silvano, come attestano gli scritti e i documenti che lo riguardano. L’amicizia con Benedetto Varchi resterà imperitura e di questo fa fede il lascito “Epigrammi a don Silvano Razzi”, con il quale il Varchi lo nomina assieme a Lorenzo Lenzi Vescovo di Fermo suo esecutore testamentario. Per tutta la loro vita i due fratelli manterranno costantemente contatti e collaborazione; due modi diversi di porsi, lo stesso interesse per la cultura e gli studi, ma quasi il ritiro dalle cose del mondo per l’uno, quanto l’instancabile andare nel mondo per l’altro. La vita vissuta di Silvano sembra non mancare mai a Serafino. Eppure in entrambi è evidente il piacere dello studio e della contemplazione delle ragioni della mente e del divino. Resteranno sempre legati da una fratellanza di pensiero, di stima e di affetto che li terrà uniti tutta la vita. Credo che a tutt’oggi per molte persone sia Girolamo/Silvano il fratello considerato “famoso”, l’autore dell’unica commedia che molti ricordano, ossia “ La Cecca”. Probabilmente di Serafino si ricorda solo che era frate, musicista e fratello di Silvano. Ma su Silvano tornerò in un altro lavoro a lui dedicato. La produzione di Serafino fu caratterizzata dalla più vasta policromia di argomenti: si dedicò a traduzioni, riduzioni e florilegi. Si occupò di 100 agiografia, cronotassi, esegesi, ascetica, teologia, morale, oratoria , storia, musica, medicina, pecchie e fisica delle campane. Si dedicò alla scrittura con una dedizione quasi ansiosa: come se fosse un voto, un principio ascetico che lo impegna a non sciupare neanche un attimo del suo tempo. Ci ha lasciato oltre seicento poesie, molte delle quali furono inserite in altre raccolte, come ad esempio in quelle di Benedetto Varchi. Nel 1600, ormai settantenne, continua imperterrito a perseguire l’ultimo desiderio che ancora non è riuscito a realizzare: la stampa riveduta e ampliata della Vita di Santa Caterina de’Ricci, lavoro che aveva costantemente rinnovato per tutta vita e per l’amore che sempre lo ha legato a questa sua madre spirituale. Cogliendo l’occasione dell’elezione al Soglio Pontificio di Ippolito Aldovrandini, Serafino si fece preparare una copia che inviò al Pontefice con una lettera latina e con dedica, datata 2 gennaio 1599. L’anno dopo, anno del Giubileo, si recò a Roma con un asinello e incontrando il cardinal Alessandro de’Medici a cui Clemente VIII aveva passato il volume, chiede notizie del suo lavoro in questo modo: “ Se accadeva di mandarlo sull’asino per avere scritta la medesima vita, non occorreva di accattarlo, avendolo egli condotto seco.” Il libro non riscuote l’interesse sperato, anche perché Serafino sembra quasi non rendersi conto che, accanto agli innumerevoli ammiratori delle sue opere altrettanti erano i detrattori. Come molti tra coloro che riscossero grandi successi e glorie in vita, ebbe in sorte di attraversare il tempo quasi da sconosciuto. Ci ha lasciato circa trenta opere a stampa, che ormai fanno parte del patrimonio librario antiquario e più di centoquaranta manoscritti attualmente individuati. La sua memoria che è andata scemando nella sua terra, è rimasta viva nei paesi slavi, dove dall’ottocento in poi si è continuato a studiare e a ricordare l’opera di questo frate. Oltre al volume pubblicato dalla tipografia Serbo Ragusea Pasaric nel 1903 ad opera del Padre Ludovico Ferretti, con prefazione storica del Prof. G.Gelcich, la storia di Raugia, ha continuato ad essere stampata fino ai giorni nostri. Nel 1900 il volume ” La storia del Culto”, riporta la pubblicazione della Vita dei Santi e dei beati dell’Ordine di Serafino, tradotta in francese dal R.P Fr.Jean Baptiste Blancone nel 1616 e pubblicata “ avec privilège du Roy”. Nel 1880, Cesare Guasti pubblica in Bologna “ Il sacco di Prato e il ritorno de’Medici in Firenze”, in appendice è inserito il racconto inedito di Serafino Razzi “La Madonna de’ Papalini”. Nel volume relativo al Convegno internazionale del 2005 sulle Cappelle Musicali fra Corte Stato e Chiesa nell’Italia del Rinascimento, da pagina 349 a pagina 371 è pubblicato lo studio del Prof. Patrick Macey, ordinario della Eastman School of Music dell’Università di Rochester dal titolo: 101 “ Filippo Salviati, Caterina de’Ricci and Serafino Razzi.” Nel 2005 la Casa di Cultura Italiana di Belgrado ha dedicato un catalogo ai grandi letterati del cinquecento che hanno pubblicato per le importanti case tipografiche della Serenissima . Tra gli autori presenti, sono citati Serafino Razzi e Marko Marulic, tradotti in lingua serba. Il catalogo si Intitola “ Stampa Rarissima”. Con questo racconto che è solo una parte del mio viaggio nella sua vita, ho tentato di ricollocarlo, almeno spero, nella giusta importanza storica, teologica ed umanistica che la sua opera merita. Umanamente parlando, posso solo confessare di avere incontrato un uomo straordinario che ha costantemente confermato come il sapere e la conoscenza siano il più importante dovere verso se stessi e verso Dio. 102 Nel 1568, a trentasette anni dette alle stampe la sua seconda opera: “Vita e Istitutioni del sublime et illuminato Giovanni Taulero”, che dedicò a Giovanna d’Austria, la sfortunata nuora di Cosimo I, con cui intrattenne rapporti personali ed epistolari, essendo annoverato tra gli umanisti, teologi e filosofi del patronato del Granduca. Ed è con una delle più belle poesie di Giovanni Taulero, che mi sembra rappresenti appieno l’essenza di questo uomo singolare, che chiudo questo primo viaggio nella sua vita. Il mio spirito è andato errando in un silenzio solitario dove non ci sono né parole né modi. Mi ha circondato un Essere in cui non c’è alcuna meraviglia. Il mio spirito è andato errando. La ragione non può raggiungere ciò, è al di sopra di ogni senso. Ed io voglio lasciarne la ricerca. Il mio spirito è andato errando. Per un momento immergiti nel fondo, la beatitudine increata ti sarà palese. Separati dal nulla, tu troverai il nulla che la lingua nega e resta tuttavia qualcosa. Ciò comprende solo lo spirito che non si cura di alcun profitto. Johannes Tauler 1300-1361 A Serafino Razzi, Marradese. 103 104 105 106 Indice Biografia.......................................................................................................19 Regno di Napoli Il Priorato di Penne, il Priorato di Vasto e Napoli.......................................41 Raugia o Ragusa, l’odierna Dubrovnik.........................................61 Poesie e Laudi Spirituali......................................................................79 107 108 Edizioni Opera In-Stabile Associazione Culturale Marradi-Firenze Maggio 2011 109 110