LE INDENNITÀ CORRISPOSTE NELL’AMBITO DEI PROCEDIMENTI DI ESPROPRIAZIONE PER
PUBBLICA UTILITÀ.
Profili amministrativi e fiscali rilevati alla luce delle novità introdotte dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, concernente il
“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità”.
SOMMARIO: Premessa. - 1. Quadro normativo di riferimento. La disciplina amministrativa e le novità
introdotte dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. - 2. Il regime fiscale delle indennità di espropriazione. a. La
disciplina dettata dall’art. 11 della legge n. 413 del 1991. b. Le innovazioni di ordine fiscale rilevabili nel
TUME. - 3. La dichiarazione dei redditi del soggetto espropriato e la richiesta di rimborso. - 4. Indennità di
esproprio e I.C.I. - 5. L’applicazione dell’ imposta sul valore aggiunto, di registro, ipotecaria, catastale e di
bollo in caso di espropriazione .
Premessa.
Fra i modi, di diritto pubblico, di acquisto della proprietà, l’espropriazione per causa di pubblica utilità è
indubbiamente quello che nell’ordinamento occupa il posto di maggior rilievo per lo stretto rapporto di
strumentalità che lo lega all’azione della Pubblica Amministrazione che se ne serve, quale mezzo legale ed
ordinario, per disporre di diritti altrui in funzione dell’interesse generale.
In via del tutto esemplificativa l’espropriazione per pubblica utilità può definirsi, infatti, come quel
provvedimento con il quale il potere pubblico, per soddisfare un interesse della collettività, sacrifica,
estinguendolo, un bene od un interesse privato.
Non mette conto in questa sede occuparci di tutte le problematiche di natura privatistica connesse all’adozione
ed alla esecuzione del provvedimento espropriativo, in quanto lo scopo del presente articolo è essenzialmente
quello di richiamare l’attenzione dei lettori sulle questioni di ordine fiscale afferenti l’assoggettamento ad
imposizione delle somme corrisposte in conseguenza dell’ablazione del diritto di proprietà sulla cosa scaturente
dal procedimento amministrativo in questione.
Il tema dell’espropriazione immobiliare, come noto, ha origini lontane1, ma continua a rivestire un carattere di
estrema attualità a causa del largo uso di tale strumento di acquisto della proprietà, mentre la problematica
della tassazione delle indennità corrisposte nell’ambito dei procedimenti espropriativi rappresenta – a ragione –
una delle forme di imposizione fiscale viste con maggiore diffidenza da parte dei cittadini che si vedono privati
coattivamente dei propri beni ed in molti casi assoggettati, per giunta, ad una considerevole imposizione fiscale
il cui ammontare, come vedremo, viene prelevato e versato direttamente dall’Ente che eroga le somme di
denaro in discorso.
La disamina di tali questioni si baserà principalmente sull’analisi della legislazione, della prassi e della
giurisprudenza più significativa che caratterizza, per quanto concerne i profili fiscali, il comparto in esame, ma
non mancherà di fornire, per un più facile approccio al problema affrontato, anche un breve inquadramento
della disciplina amministrativa che regola il predetto istituto.
Una particolare attenzione sarà dedicata poi alle previsioni, più spiccatamente di natura tributaria, contenute
nel D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, con il quale è stato adottato il “Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità” (d’ora innanzi: TUME), che – non senza dare adito,
tuttavia, a complesse questioni di ordine interpretativo – hanno introdotto, nell’ambito della disciplina che
regolamenta l’espropriazione per pubblica utilità, talune novità di assoluto rilievo.
1.
Quadro normativo di riferimento. La disciplina amministrativa e le novità introdotte dal D.P.R. 8
giugno 2001, n. 327.
L’espropriazione per pubblica utilità è stata codificata dal Legislatore, per la prima volta, con la legge 25 giugno
1865, n. 2359; norma che, fino al mese di giugno 20032, ha svolto il ruolo di disciplina organica della materia.
La possibilità di limitare la proprietà privata per finalità di interesse pubblico ha trovato affermazione nella Rivoluzione francese, con la
“Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 1789. La prima norma che ha disciplinato tale istituto risale, come vedremo, al 1865.
2 Il D.P.R. n. 327 citato è entrato in vigore, infatti, solo nel mese di giugno 2003, a causa di numerosi rinvii disposti dallo stesso Legislatore.
1
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La nostra Costituzione, all’art. 42, dopo aver riconosciuto la tutela della proprietà privata, ne riconosce – nei
casi stabiliti dalla legge – l’espropriazione per motivi di interesse generale, salvo comunque il diritto del titolare
di ottenere un giusto indennizzo. Coerentemente, il Codice Civile, con riferimento all’espropriazione per
pubblica utilità, dispone:
-
all’art. 834, che “nessuno può essere privato in tutto o in parte dei beni di sua proprietà, se non per causa di
pubblico interesse legalmente dichiarato e contro il pagamento di una giusta indennità”;
-
a mente dell’art. 838, che tale procedimento di acquisizione coattiva della proprietà può essere esteso,
previo pagamento di una giusta indennità, a qualsiasi bene che interessi la produzione nazionale, nel caso
in cui il suo utilizzo o sfruttamento risulti trascurato da parte del proprietario così da creare nocumento
all’interesse della collettività.
Un passo decisivo nell’ambito della tematica in argomento è stato segnato con l’emanazione della legge 22
ottobre 1971, n. 865, che nel disciplinare il procedimento di espropriazione per l’edilizia residenziale pubblica,
la realizzazione delle opere di urbanizzazione, la sistemazione di edifici e quartieri danneggiati e la
realizzazione di opere pubbliche, ha introdotto un particolare procedimento espropriativo caratterizzato da una
maggiore snellezza rispetto a quello contemplato dalla legge del 18653.
Di particolare rilievo, con riferimento alla determinazione dell’indennità di espropriazione, l’art. 13 della legge
n. 2892 del 15 gennaio 1885 “per il risanamento della città di Napoli”, con il quale si è stabilito che essa doveva
essere individuata nella media tra il valore venale del bene e le somme dei fitti riscossi negli ultimi dieci anni.
Di non poco momento sono state, inoltre, le previsioni recate dall’art. 5 bis del D.L. n. 333 del 1992, convertito
dalla legge 8 agosto 1992, n. 396, che ha fissato un nuovo criterio di determinazione dell’indennità per i suoli
edificabili, molto simile a quello previsto dall’appena citata legge del 1885.
Nell’ambito del descritto quadro normativo un’importanza particolare riveste, senz’altro, la legge 18 aprile
1962, n. 167, concernente le “Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e
popolare”4, ma, venendo ai nostri giorni un ruolo fondamentale deve essere attribuito al TUME, che ha segnato
una svolta epocale nella storia della legislazione italiana in materia espropriativa, sostituendo un unico corpo
normativo alla frammentata legislazione esistente in materia.
In relazione a tale provvedimento che, allo stato costituisce la disciplina di riferimento delle tematiche in esame,
è il caso di segnalare come la dottrina abbia già rilevato che, pur avendo un carattere “innovativo” e non
meramente “compilativo”, il predetto TUME abbia sostanzialmente svolto un’opera di semplificazione e
razionalizzazione della complessa legislazione stratificatasi nel tempo, coordinandola ed integrandola sulla
base del “diritto vivente” formatosi per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale e dei consolidati
indirizzi della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato.
L’operazione non è stata condotta secondo un intento esclusivamente ricognitivo, ma si è caratterizzata per
l’introduzione di alcune disposizioni che incidono sul tessuto normativo esistente, al fine di adeguarlo
all’evolversi dei principi generali e agli indirizzi interpretativi consolidatisi nel tempo5. Il TUME si presenta
dunque come compilativo ed innovativo al tempo stesso, ed altresì come insieme di disposizioni legislative e
regolamentari6. Si può sostenere, pertanto , che con il TUME sia stata fatta “tabula rasa” della precedente
frammentaria normativa e sia stato disciplinato, in modo unitario e uniforme, ex novo, il procedimento
espropriativo ispirandolo comunque ai fondamentali principi posti dalla legge n. 2359 citata ed alle leggi
successive emanate nel corso degli anni.
La Corte Costituzionale è stata poi chiamata varie volte ad affrontare le problematiche legate alla giusta determinazione delle indennità di
espropriazione ed, in particolare, fra le numerose altre, con la sentenza:
- n. 5 del 30 gennaio 1980, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni recate dalla legge n. 865 citata e dalla legge n. 10 del
19773, nella parte in cui commisuravano al valore agricolo l’indennizzo per l’espropriazione di aree che, nei fatti, risultavano invece
edificabili;
- n. 223 del 19 luglio 1983, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni, di carattere provvisorio, che fissavano il criterio
indennitario introdotto con la legge 22 luglio 1980, n. 385.
4 Con il citato corpo normativo sono state, infatti, dettate disposizioni affinché tutti i capoluoghi di Provincia ed i Comuni con popolazione
superiore ai 50.000 abitanti approvassero un piano delle zone da destinare – previa espropriazione – alla costruzione di alloggi a carattere
economico-popolare nonché alle opere e servizi complementari, urbani e sociali, edifici scolastici, ivi comprese le aree a verde pubblico.
5 Cfr. “L’ ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA’”, a cura del Dr. Francesco Galanti e dell’Avv. Laura Amaranto, consultabile sul
sito www.diritto.it, nella sezione Osservatorio sulla giurisprudenza del TAR Marche.
6 Tale coesistenza – come precisato dalla Sezione normativa del Consiglio di Stato nel parere 10 gennaio 2000, n. 239, – risulta pienamente
ammissibile qualora le norme mantengano, come nel caso in esame, la propria autonomia. Non lo è invece, quando una singola
disposizione è composta da parti di diverso rango, perché la commistione può comportare problemi in ordine alla collocazione delle norme
“miste” nella gerarchia delle fonti.
3
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In particolare, l’art. 58 del TUME, che ha disposto l’abrogazione di tutti gli atti normativi in materia, contiene
un lunghissimo elenco di disposizioni legislative che, dalla data di entrata in vigore dello stesso TUME, hanno
cessato di avere efficacia. Estrema rilevanza riveste, poi, l’inciso, contenuto alla fine di detto elenco, che prevede
una significativa formula residuale ed omnicomprensiva, secondo cui sono abrogate “tutte le altre norme di legge
e di regolamento, riguardanti gli atti ed i procedimenti volti alla dichiarazione di pubblica utilità o di indifferibilità ed
urgenza, all’esproprio, all’occupazione di urgenza, nonché quelle riguardanti la determinazione dell’indennità di
espropriazione o di occupazione d’urgenza”7.
Pertanto, possiamo sostenere che l’entrata in vigore delle norme contenute nel TUME ha direttamente influito
sulla disciplina che regolava la materia in esame provocando effetti modificativi, non solo sulla disciplina
amministrativa di riferimento, ma – come vedremo – anche sulle previsioni che regolavano le modalità di
tassazione delle indennità corrisposte ai proprietari dei fondi sottoposti alla procedura espropriativa.
Rimanendo ancora nella sfera del diritto amministrativo generale , tra le questioni di maggior rilievo che
bisogna porre in risalto e che – per esigenze di chiarezza espositiva – necessitano di essere analizzate sin d’ora,
sono da annoverare:
Ø
i significativi interventi, che peraltro continuano ad alimentare accesi dibattiti, operati dal TUME in
materia di “espropriazione sostanziale”.
Come è noto con detta locuzione si é soliti indicare due fenomeni simili: la c.d. occupazione appropriativa
(detta anche acquisitiva) e quella usurpativa. In particolare, l’appropriazione acquisitiva è nata
convenzionalmente con la pronuncia delle Sezioni Unite del 26 febbraio 1983, n. 1464 e si è consolidata in
successive pronunce (fra cui SS.UU. del 10 giugno 1998, n. 3490) fino a diventare diritto vivente.
Nella sua ormai sedimentata formulazione l’occupazione acquisitiva indica la perdita da parte del
proprietario e il contestuale acquisto a titolo originario da parte della pubblica amministrazione della
proprietà di un terreno, non fatto oggetto di espropriazione, a seguito della sua irreversibile
trasformazione derivante dalla realizzazione di un’opera pubblica8 9. Ciò che caratterizza, invece,
l’occupazione usurpativa è – a differenza di quella acquisitiva10 – la mancanza della dichiarazione di
pubblica utilità11.
Va le poi la pena di richiamare l’attenzione sulla circostanza che le disposizioni contenute nel Testo unico in esame, sono ad “efficacia
rinforzata”, così come quello sull’ordinamento degli Enti Locali (D.Lgs. n. 267 del 2000), nel senso che “non possono essere derogate, modificate
o abrogate se non per dichiarazione espressa, con specifico riferimento a singole disposizioni ” (art. 1, comma 4). Tale “norma di salvaguardia”
esclude cioè che possano aversi, per le disposizioni contenute del D.P.R. n. 327, abrog azioni implicite o tacite.
Cfr., in relazione ai descritti profili, “L’ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA’. PROFILI GENERALI” di Marcello Feola,
consultabile all’indirizzo internet:db.formez.it/StoricoFontiNor.nsf/0/404F4E3084436E88C1256C5A002E36D9/$file/saggio%20feola.pdf .
8 In forza di tale orientamento giurisprudenziale si sono affermati nel corso del tempo una serie di principi consequenziali tra i quali, il più
importante, è, senz’altro, quello che concerne la cd. “accessione invertita”. In forza di detto principio sono stati stravolti, come noto, i
dettami contenuti nell’art. 934 del codice civile che attribuiscono al proprietario del fondo le opere che vi si realizzano. Ne derivava
pertanto un acquisto a titolo originario della proprietà del suolo da parte dell’espropriante che aveva realizzato l’opera, giustificata dal fatto
che quest’ultimo veniva ritenuto portatore di un interesse pubblico prevalente su quello privato.
9 Tratto da “L’espropriazione sostanziale: il recente panorama giurisprudenziale fra tipicità dei modi di acquisto della proprietà e Corte europea dei diritti
dell’uomo” di Demetrio Foti, su: http://www.diritto.it/articoli/amministrativo/foti2.html .
10 Nell’occ upazione appropriativa/acquisitiva (cfr. l’articolo citato in nota n. 7) l’acquisto a favore della p.a. si determina soltanto qualora
l’opera sia funzionale ad una destinazione pubblicistica e ciò avviene solo per effetto di una dichiarazione di pubblica u tilità formale o
connessa ad una atto amministrativo che, per legge, produca tale effetto, con conseguente esclusione dall’ambito applicativo dell’istituto di
comportamenti della p.a. non collegati ad alcuna utilità pubblica formalmente dichiarata (cosidde tta occupazione usurpativa), o per
mancanza ab inibito della dichiarazione di pubblica utilità o perché questa è venuta meno in seguito ad annullamento dell’atto in cui essa
era contenuta o per scadenza dei relativi termini (in tal caso non si produce l’effetto acquisitivo a favore della p.a. ed il proprietario può
chiedere la restituzione del fondo occupato e, se a tanto non ha interesse e quindi vi rinunzi, può avanzare domanda di risarcimento del
danno, che deve essere liquidato in misura integrale).
11 L ’assenza del titolo abilitativo (cfr. l’articolo citato in nota n. 7), impedendo il collegamento teleologico fra l’occupazione e le finalità
pubbliche perseguite dal procedimento espropriativo, comporta il diverso trattamento della fattispecie, consistente anch’essa nella
trasformazione, non accompagnata dall’espropriazione, di un fondo privato a seguito dell’esecuzione di un’opera pubblica: mancando il
titolo che giustifica la prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato, non si verifica l’effetto estintivo-acquisitivo della proprietà. Il
privato pertanto può esperire i normali rimedi possessori e petitori, a meno che egli, a fronte della compromissione del terreno causata
dalla realizzazione dell’opera, non preferisca chiedere il risarcimento del d anno, da apprezzarsi come rinuncia abdicativa implicita della
proprietà. Inoltre, il danno deve essere integralmente risarcito e in ordine al relativo diritto non corre la prescrizione, permanendo in capo
al privato la proprietà.
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Sennonché, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la Sentenza 30 maggio 2000, ric. 31524/96 ha
dichiarato che l’occupazione appropriativa/acquisitiva si pone in contrasto con l’art. 1 del prot. n.1 della
CEDU (Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950)12.
L’art. 43 del TUME ha avuto così il compito di espungere definitivamente dal nostro ordinamento
l’istituto pretorio de qua. La norma, del tutto innovativa, ora prevede l’adozione di un provvedimento
amministrativo di acquisizione al patrimonio indisponibile, con riconoscimento al proprietario del
risarcimento dei danni, dell’immobile assoggettato ad occupazione e modificato in assenza di valido ed
efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità13;
Ø
la novità intervenuta in relazione alla decorrenza degli effetti ablatori della proprietà del bene. In base,
infatti, all’art. 23, lett. f), del TUME, il decreto di esproprio “dispone il passaggio del diritto di proprietà, o del
diritto oggetto dell’espropriazione, sotto la condizione sospensiva che il medesimo decreto sia successivamente
notificato ed eseguito”. Il decreto di esproprio, pertanto, non è più, come avveniva in passato, un
provvedimento immediatamente efficace e costitutivo di effetti ablatori, ma acquista efficacia solo a
seguito della immissione in possesso. È chiaro come anche quest’ultima previsione rappresenti logica
applicazione dei principi innovativi derivati dalla richiamata sentenza della Corte di Strasburgo in base ai
quali l’opera pubblica può essere realizzata soltanto quando l’area risulti acquisita al patrimonio dell’ente
espropriante e non prima, quando cioè il privato ne risulti ancora proprietario.
Un altro aspetto – di notevole interesse in relazione alle questioni che si affronteranno circa la tassazione delle
indennità in discorso – che peraltro sembrava essere stato risolto dal TUME (almeno nella sua versione iniziale,
precedente cioè alle modifiche apportate allo stesso testo unico con il D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302) è quello
legato ai notevoli effetti distorsivi causati dal largo ed indebito uso che nel passato è stato fatto della cd.
“occupazione d’urgenza”.
Nel previgente quadro normativo che regolava la materia, il procedimento collegato alla dichiarazione di
indifferibilità ed urgenza era un procedimento eccezionale, che aveva lo scopo di consentire
all’Amministrazione espropriante, nelle more dell’espletamento del normale procedimento di espropriazione,
di immettersi immediatamente nel possesso dei beni in base ad un’ordinanza di occupazione di urgenza, la cui
efficacia, in mancanza di diversa determinazione, non avrebbe potuto superare il quinquennio.
Questo procedimento, che come appena visto avrebbe dovuto costituire un rimedio del tutto eccezionale, è
invece divenuto nella prassi lo strumento di espropriazione più utilizzato e diffuso. Ciò ha dato corso a
innumerevoli casi in cui, ottenuta la disponibilità del bene, gli enti esproprianti non hanno provveduto, anche
dopo la scadenza del termine quinquennale di efficacia dell’occupazione d’urgenza, a perfezionare il
procedimento espropriativo.
L’illegale detenzione del bene, in mancanza di un regolare decreto di espropriazione dopo la scadenza
dell’efficacia della occupazione, costituiva un grave abuso che determinava una ingiustificata compressione dei
diritti del soggetto espropriato. Si consideri che in tali ipotesi lo stesso, dopo aver perso la disponibilità del
bene, non solo non si vedeva corrispondere l’indennità di espropriazione, ma per giunta era costretto a farsi
carico dei tributi, diretti ed indiretti, gravanti sul bene14, del cui possesso era stato privato, non essendosi
verificato il trasferimento della proprietà.
Orbene, venendo al nocciolo della questione in esame, è da rilevare che il TUME, nella sua versione originaria,
aveva soppresso totalmente il procedimento collegato alla dichiarazione di indifferibilità ed urgenza non
Secondo il giudice di Strasburgo, la sottrazione del possesso consentita dall’accessione invertita non è conforme alla CEDU in quanto
esula dai limiti circoscritti di legalità entro i quali si giustifica la soppressione del diritto del proprietario. Il diritto di proprietà, dirit to di
godere pacificamente dei propri beni…assume valenza di principio di carattere generale i cui contorni sono delimitati dalle eccezioni legali
della regolazione e della espropriazione. La Corte richiede che la sottrazione di proprietà sia nel pubblico interesse, alle condizioni previste
dalle legge, con equo bilanciamento tra interessi generali ed individuali. La disposizione nazionale che consente una sottrazione di
proprietà deve essere accessibile, precisa, chiara. L’istituto dell’accessione invertita creato dalla Cassazione italiana non è fondato su una
normativa dotata di questi caratteri e le oscillazioni giurisprudenziali determinatesi in materia espongono il privato a situazioni di
arbitrarietà ed imprevedibilità.
13 Le conseguenze di tale disciplina sono di rilievo assoluto, soprattutto con riferimento alle questioni pregresse, pendenti o passate in
giudicato. È chiaro come il sistema normativo introdotto dal TUME sia diretto (ndr.: finalmente) a prevenire, diversamente da quanto
accadeva in passato, il proliferare di fattispecie di detenzione sine titulo di immobili, riconducibili ai fenomeni di occupazione acquisitiva e
usurpativa.
14 Tale circostanza, invero, ha dato luogo ad accesi dibattiti giurisprudenziali che hanno affrontato, con ondivaghe soluzioni, il tema della
soggettività passiva, soprattutto in materia di ICI, relativamente a beni assoggettati a interminabili occupazioni d’urgenza prima della
emanazione del decreto di esproprio. Sulla specifica tematica considerazioni più dettagliate s aranno affrontate, ultra, nel paragrafo dedicato
al rapporto tra l’indennità di esproprio e la predetta imposta comunale.
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prevedendo più la possibilità di emettere ordinanze di occupazione d’urgenza nell’ambito dei procedimenti
espropriativi. Ciò stante, non si sarebbero più verificati abusi legati alla occupazione del suolo privato senza
espropriazione vera e propria.
Purtroppo questo buon proposito non ha trovato un concreto riscontro poiché, proprio il richiamato D.Lgs. n.
302, avendo inserito nel corpo del TUME, l’art. 22 bis, ha sostanzialmente reintrodotto, benché con talune
varianti, la procedura della occupazione d’urgenza15. Sebbene, infine, sia stato previsto (come, del resto, per il
passato) che per il ricorso a tale procedura è necessario l’accertamento di una “particolare urgenza”, quella
appena illustrata rappresenta, come già rilevato in dottrina16, una pericolosa innovazione alla formulazione
originaria del TUME capace finanche di mettere in crisi l’intrinseca coerenza del sistema così come ristrutturata
dal Testo unico in commento.
2.
Il regime fiscale delle indennità di espropriazione.
a.
La disciplina dettata dall’art. 11 della legge n. 413 del 1991.
Passando all’esame delle questioni di maggior interesse per il presente lavoro, corre l’esigenza di richiamare
l’attenzione, sin d’ora, sul contenuto dell’art. 11, comma 5, della legge 30 dicembre 1991, n. 413. In forza delle
previsioni recate da tale norma:
“Per le plusvalenze conseguenti alla percezione, da parte di soggetti che non esercitano imprese commerciali, di indennità
di esproprio o di somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi nonché di somme
comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime
relativamente a terreni destinati ad opere pubbliche o ad infrastrutture urbane all'interno delle zone omogenee di tipo A,
B, C, D, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, definite
dagli strumenti urbanistici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica ed economica e popolare di cui alla legge
18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 81, comma 1,
lettera b), ultima parte, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica
22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, introdotta dal comma 1, lettera f) del presente articolo” 17.
Prima di analizzare nel dettaglio l’anzidetta disposizione che, per molti aspetti, non appare certamente di
immediata intuizione, bisogna precisare che a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n.
344, concernente la “Riforma dell’imposizione sul reddito delle società, a norma dell’articolo 4 della legge 7 aprile 2003,
n. 80”18, le previsioni contenute nel primo comma dell’art. 81 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR)
richiamato dalla suddetta norma, sono ora contemplate nell’art. 67 del nuovo TUIR.
Tale disposizione, rimasta immutata rispetto alla previgente formulazione sancisce, tra l’altro, che costituiscono
redditi diversi, se non sono redditi di capitale, ovvero se non risultano conseguiti nell’esercizio di arti e
professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione
alla qualità di lavoratore dipendente:
(1)
le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni, o l’esecuzione di opere intese a renderli
edificabili19, e la successiva vendita, anche parziale, dei terreni e degli edifici (comma 1, lett. a);
L’istituto, che sostituisce l’occupazione d’urgenza ex art. 71 legge n. 2359/1865 e art. 20 legge n. 865/1971, è fruibile in alterna tiva a
quanto previsto dal precedente art. 22 del TUME che disciplina la procedura ordinaria di espropriazione.
Viene in pratica inserita nella prima fase del procedimento di espropriazione la possibilità di disporre l’occupazione anticipata dei beni da
espropriare, contestualmente alla determinazione dell’indennità provvisoria da corrispondere al soggetto espropriato. A differenza di
quanto previsto all’art. 22 l’atto è emesso senza pronuncia dell’espropriazione definitiva, che dovrà essere disposta entro il termine
massimo di durata della pubblica utilità, fissato ai sensi dell’art. 13 dello stesso TUME.
16 Si veda: “Le modifiche al nuovo T.U. sulle espropriazioni e il superamento del principio dell’accessione invertita ”, in Urbanistica e Appalti (Ed.
IPSOA), n. 9/2003, pag. 997 e ss.
17 Si segnalano i chiarimenti forniti, in merito all’ambito applicativo dell’art. 11 della legge n. 413 del 1991 in esame, dall’articolo “ La
tassazione delle plusvalenze scaturenti dalla percezione di indennità di esproprio”, a cura di Gianluca Patrizi, su “IL FISCO”, n. 7/2001, pag. 2235 e
ss.
18 In G.U. n. 291 del 16 dicembre 2003 - S.O. n. 190.
19 Relativamente, poi, ai criteri di valutazione delle possibilità effettive di edificazione di un suolo, la Corte di Cassazione, nelle sentenze nn.
8570 del 28 febbraio 1998, 8648 del 29 agosto 1998 e 9207 del 1° settembre 1999, ha sancito che l’esistenza delle sole possibilità effettive, senza
quelle legali, è insufficiente a configurare la edificabilità di un’area, mentre quando sussist ono solo le possibilità legali, quelle effettive
risultano automaticamente esistenti. Dalla citata giurisprudenza emerge, quindi, che, indipendentemente dalla destinazione di fatto
impressa al suolo l’edificabilità può essere desunta anche da altri element i certi ed obiettivi che attestino, comunque, la concreta attitudine
di un’area ad essere destinata alla costruzione di manufatti. Tali elementi consistono:
1) nella idoneità geologica od orografica dell’area alla edificazione;
2) nello sviluppo edilizio in atto o nella contiguità a zone in via di espansione edilizia;
3) nell’accessibilità alle vie di comunicazione e di collegamento con i centri urbani;
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(2)
le plusvalenze realizzate:
Ø
mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni,
esclusi quelli acquisiti per successione o donazione e le unità immobiliari urbane che per la
maggior parte del periodo intercorso tra l'acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite
ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari (comma 1, lett. b, primo periodo);
Ø
in ogni caso, a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione
edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione (comma 1, lett.
b, secondo periodo).
La prima considerazione da porre in risalto e che attiene, nel dettaglio, alle modalità di imposizione fiscale delle
fattispecie in esame, riguarda la circostanza che la tassazione delle indennità in argomento – proprio in forza
del rimando alle disposizioni del TUIR operato dall’art. 11 della legge del 1991 – si colloca, sebbene con talune,
palesi differenziazioni, nell’ambito della più generale problematica della tassazione delle plusvalenze derivanti
dalla cessioni di aree fabbricabili.
Proprio la presunta disparità di trattamento tributario tra le plusvalenze da esproprio e quelle da cessione
volontaria di terreni – insieme ad altre questioni connesse, invece, alla verifica della presenza di intenti
speculativi nelle cessioni di terreni realizzate nel corso di procedimenti espropriativi per pubblica utilità –
hanno dato vita ad una lunga serie di pronunce della Corte Costituzionale che è stata chiamata ad esaminare il
rapporto tra le previsioni recate dall’art. 11 della legge del 1991 in esame ed i principi sanciti dagli artt. 3 e 53
della nostra Costituzione.
In ogni occasione, tuttavia, la Suprema Corte, è sempre tornata a ribadire la legittimità dell’art. 11 della legge n.
413, riconducendo i proventi derivanti dalla espropriazione di terreni al concetto di “reddito entrata” e non a
quello di “reddito prodotto”. Dichiarando la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale della norma sulla tassazione delle indennità di esproprio, la Corte ha chiarito, infatti, che “non è
irragionevole o discriminatorio il fatto che la legge abbia sottoposto a tassazione le plusvalenze realizzate per effetto della
cessione di terreni a destinazione edificatoria, stante la oggettiva lievitazione del prezzo degli stessi, a seguito, per
l’appunto, di siffatta destinazione”20.
Passando all’esame della norma che dispone la tassazione delle plusvalenze connesse alla cessione di terreni a
causa di espropriazione per pubblica utilità, si osserva come il comma 5 del citato articolo 11, visto per schemi,
qualifichi quali plusvalenze da assoggettare a tassazione – ora – ai sensi dell’art. 67 del TUIR, le somme:
a.
corrisposte, relativamente ad aree destinate alla realizzazione di opere pubbliche o di infrastrutture
urbane all’interno delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, di cui al D.M. 2 aprile 196821, n. 1444, definite
dagli strumenti urbanistici vigenti22:
4) nella presenza di servizi e di infrastrutture;
5) nella esistenza di impianti e di esercizi pubblici e a rete necessari alla vita di una comunità sociale.
A tale riguardo la Cassazione ha, comunque, precisato che “… la vocazione edificatoria del terreno espropriato non può essere desunta
dalla generica vicinanza con una sede stradale e dall’avvenuta vendita in zona di altri suoli come edificatori, occorrendo accertare in
concreto l’autentico sviluppo edilizio della zona, la specifica accessibilità al fondo, i servizi pubblici e sociali effettivamente realizzati ed
operanti in una prospettiva non meramente potenziale, ma di concreto e oggettivo risconto all’attitudine edificatoria in esame”.
Peraltro, si osserva che in base ai commi 5 e 6 dell’art. 37 del TUME “I criteri e i requisiti per valutare l’edificabilità di fatto dell’area sono
definiti con regolamento da emanare con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti”, e che nelle more della emanazione di
quest’ultimo provvedimento, le stesse possibilità effettive verranno desunte sulla base delle “caratteristiche oggettive dell’area”.
20 Corte Costituzionale, sentenze n. 171 del 2001, n. 109 del 2002, n. 410 del 1995, ma anche – sebbene relativamente ad altre problematiche –
n. 81 del 23 febbraio 2004.
21 Il decreto citato ha dettato, tra l’altro, indicazioni per la realizzazione dei piani regolatori generali e per i relativi piani particolareggiati o
lottizzazioni convenzionate, ai regolamenti edilizi ed alla revisioni degli strumenti urbanistici all’epoca esistenti, fornendo precise istruzioni
circa la suddivisione del territorio in zone omogenee del tipo:
A). Parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da
porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali cara tteristiche, degli agglomerati stessi;
B). Parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A). Si considerano parzialmente edificate le zone in cui la
superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la
densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq;
C). Parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali la edificazione preesistente non
raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla precedente zona B);
D). Parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati;
E). Parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui - fermo restando il carattere agricolo delle stesse - il frazionamento
delle proprietà richieda insediamenti da considerare come zone C);
F). Parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale.
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(1)
per indennità di esproprio;
(2)
a seguito di cessioni volontarie concluse nell’ambito del procedimento espropriativo;
(3)
a qualunque titolo23, per acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute
illegittime.
La norma si riferisce, come precisato dall’Amministrazione finanziaria nella circolare ministeriale n.
194/E del 24 luglio 1998, sia alle occupazioni avvenute sulla base di un titolo autorizzatorio
(decreto di esproprio) divenuto in seguito illegittimo, sia a quelle effettuate senza alcun titolo
giuridico per le quali si è verificata la cosiddetta “accessione invertita”.
Per quanto riguarda, invece, la nozione di occupazione acquisitiva, la stessa pronuncia ministeriale
ha sottolineato come debba farsi riferimento all’espropriazione di fatto che si verifica quando la
pubblica autorità, occupando illegittimamente un suolo privato per destinarlo irreversibilmente a
realizzazioni di interesse pubblico, crei i presupposti per la emanazione di un provvedimento
giudiziario che riconosca al privato una somma a titolo di risarcimento per la privazione del suolo
stesso;
b.
comunque dovute a seguito della realizzazione di interventi di edilizia residenziale pubblica ed
economica e popolare di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167.
L’art. 11, comma 5, della legge n. 413/91 ha esteso, in sostanza, la disciplina tributaria per le plusvalenze
costituenti redditi diversi, prevista dall’art. 81, lett. b) del TUIR (ora, come visto, art. 67 del Nuovo TUIR), alle
somme percepite a seguito di procedure ablative o di occupazione di terreni suscettibili di utilizzazione
edificatoria, da soggetti che non esercitano imprese commerciali.
È interessante osservare che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 315/94, ha sostenuto che questa
estensione è stata operata dal Legislatore con la formulazione di nuove fattispecie sostanzialmente riconducibili
alla medesima ratio di quelle già disciplinate dall’art. 81 citato, e che comunque già prima della entrata in vigore
della Legge n. 413 del 1991 vi era un orientamento secondo il quale i trasferimenti onerosi coattivi (derivanti da
procedimenti posti in essere dalla P.A.) potevano farsi rientrare nella disciplina delle plusvalenze connesse alla
cessione di immobili. Per queste nuove fattispecie, infatti, la Corte Costituzionale ha parlato di un “elemento di
prevedibilità dell’imposta”.
In questa ottica, certamente condivisibile, il Legislatore del 1991 – afferma la Corte di Cassazione in una
importante pronuncia24 – ha solo formulato una disciplina più compiuta della materia, senza incorrere in
previsioni irrazionali o illegittime, posto che ha eccellentemente utilizzato il potere discrezionale consistente
nella individuazione di somme tassabili che esprimono una capacità contributiva.
Le questioni di primario rilievo che emergono dalla esegesi della norma in commento riguardano – come pure
ampiamente evidenziato nella richiamata circolare ministeriale – le seguenti circostanze:
a)
non vanno assoggettate al descritto regime fiscale le indennità di espropriazione corrisposte nei confronti
di soggetti che esercitano imprese commerciali, in quanto dette somme costituiscono componenti
positive del reddito d’impresa prodotto dalle stesse;
b)
non sono assoggettate a tassazione le indennità corrisposte per espropriazioni od occupazioni di
fabbricati e relative pertinenze, nonché le somme corrisposte a titolo di indennità di servitù poiché in tali
casi il contribuente conserva la proprietà del cespite;
c)
non sono da ritenersi assoggettate a tassazione le indennità aggiuntive erogate ai coloni, mezzadri,
fittavoli e altri coltivatori diretti del fondo espropriato in quanto in detti casi le somme corrisposte non
costituiscono il corrispettivo per il trasferimento della proprietà sull’immobile, ma rappresentano
esclusivamente una forma di ristoro nei confronti dei citati soggetti che perdono la possibilità di produrre
il loro reddito di lavoro agricolo sul fondo25;
Il riferimento è, a titolo mera mente esemplificativo, ai cc.dd.: P.E.E.P. (Piano per l’edilizia economica e popolare), P.I.P. (Piano per gli
insediamenti produttivi) e P.R.G. (Piano regolatore generale).
23 E, pertanto, anche a titolo di risarcimento del danno subito.
24 Corte di cassazione, sentenza 21 febbraio 2001, n. 2537.
25 L’Amministrazione finanziaria, con la nota n. 5/865 del 14 dicembre 1994, suffragata dal parere n. 7854/93 del 12 aprile 1994
dell’Avvocatura Generale dello Stato e dalla stessa circolare n. 194 citata, ha escluso l’indennità aggiuntiva dal prelievo fiscale, in quanto la
stessa non costituisce il corrispettivo del passaggio in capo all’espropriante del diritto dominicale dell’immobile, ma risponde all’esigenza
di tener conto della perdita delle concrete possibilità di lavoro (agricolo) costituenti la principale fonte di reddito per il coltivatore diretto e
la sua famiglia. In materia di espropriazione di terreni agricoli, infatti, i fittavoli o i mezzadri, coltivatori diretti, hanno un autonomo diritto
22
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d)
per l’individuazione del momento da considerare per la collocazione del terreno nelle zone omogenee di
cui al citato decreto n. 1444, si deve far riferimento al momento in cui è iniziata la procedura
espropriativa26 e non alla data di emissione del decreto.
L’inclusione del terreno nelle zone citate o la sua collocazione in una variante del P.E.E.P. (anche se
precedentemente il terreno non era considerato edificabile dal P.R.G.) basta a conferirgli il carattere di
edificabilità27.
A tale specifico riguardo, la C.M. n. 194 citata, ha chiarito che qualora “un terreno venga espropriato a
seguito dell’approvazione di una variante di piano per pubblica utilità, si deve aver riguardo alla nuova situazione
del terreno stesso e non alla condizione precedente l’approvazione della variante, altrimenti il fine della disposizione
risulterebbe facilmente eluso”;
e)
se l’espropriazione è finalizzata alla realizzazione di opere pubbliche od infrastrutture urbane è
necessario verificare se il terreno rientri in una delle zone omogenee richiamate dalla norma e non, per
contro, se esso sia edificabile o agricolo28.
Per l’inquadramento dei terreni oggetto di procedura espropriativa nelle predette zone omogenee è il
Comune interessato che deve specificare in quale zona omogenea il terreno ricade o ricadrebbe (nei casi
in cui le zone omogenee non siano ancora state definite), poiché il criterio di valutazione assunto dal
giudice per determinare l’indennità di esproprio non può essere di alcun ausilio per individuare le
fattispecie da assoggettare a tassazione.
La circolare ministeriale n. 194 citata, sul punto, ha precisato che per l’inquadramento dei fondi
espropriati nelle predette zone omogenee, a nulla rileva il certificato di destinazione urbanistica del
terreno che stabilisce soltanto se un’area è edificabile o meno ed in quale misura;
f)
non vanno assoggettate a tassazione le indennità corrisposte per l’espropriazione – finalizzata alla
realizzazione di opere pubbliche od infrastrutture urbane – di aree classificate come zona E o F del già
menzionato decreto del 1968.
Posto che, infatti, l’applicazione della ritenuta d’imposta colpisce “tutte le somme comunque dovute”, e
quindi che in tale espressione rientrano sia i normali pagamenti delle indennità di esproprio, sia quelli
effettuati in caso di cessioni volontarie dei terreni già oggetto di procedura espropriativa, che quelli
realizzati tramite transazioni sui giudizi pendenti correlati all’ormai irreversibile trasformazione del bene
per effetto dell’intervenuta realizzazione dell’opera, si deve infatti rilevare che l’art. 11, comma 5, della
legge n. 413 in esame, ha disposto l’applicazione delle previsioni contenute nel TUIR, attribuendo quindi
la qualificazione di “reddito diverso”, alle plusvalenze conseguenti alla percezione di indennità di
esproprio ed alle somme comunque dovute per l’effetto di occupazioni di aree, limitatamente ad alcune
tipologie di terreni, e precisamente a quelli ricadenti nelle zone territoriali omogenee di tipo A, B, C e D
di cui al D.M. 2 aprile 1968, più volte citato.
L’art. 11 della legge del 1991, così come articolato, non è privo di una sua comprensibile ratio, considerato
che vuole equiparare gli incrementi di valore in favore dei proprietari di terreni divenuti in qualche modo
edificabili – e quindi il trattamento fiscale delle relative plusvalenze – alla percezione di una qualsiasi
altra tipologia di reddito, posto che, come noto, le indennità di esproprio vengono aumentate qualora
l’area espropriata abbia vocazione edificatoria facendo si che in tal caso essa copra anche il mancato,
futuro reddito spettante al proprietario, che potrebbe utilizzare il terreno per eventuali fini edificatori;
g)
ove l’esproprio venga disposto per destinare l’area ad interventi di edilizia residenziale pubblica ed
economica o popolare di cui alla citata legge n. 167, la relativa indennità di esproprio deve essere sempre
assoggettata a tassazione, in quanto in tali casi non assume alcun rilievo la collocazione dell’area
espropriata all’interno delle zone omogenee di cui al decreto del 1968 che, per contro, devono essere
ad ottenere un’indennità, definita, per l’appunto, “aggiuntiva e/o di asservimento”, costituzionalmente legittima e non soggetta al prelievo
fiscale in argomento.
La Corte di Cassazione ha, al riguardo, peraltro, ripetutamente osservato, che l’art. 17, secondo comma, de lla legge n. 865 citata, attribuisce
la speciale indennità aggiuntiva soltanto a coloro che, oltre ad essere fittavoli, fossero anche coltivatori diretti del fondo espropriato e che
dunque risultavano costretti ad abbandonare il terreno a causa dell’espropriazione, con conseguente privazione per causa ed effetto della
loro attività lavorativa (Cass. n. 8577 del 1998, n. 3887 del 1988, e n. 2489 del 1985)
26 Ad esempio il momento in cui è avvenuta l’occupazione di pubblica utilità.
27 Cassazione, n. 9805 del 1999, n. 496 del 1992 e n. 425 del 2000.
28 Vgs., altresì, R.M. n. 111/E dell’11 luglio 1996.
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prese in considerazione solo laddove il procedimento espropriativo sia stato posto in essere per la
realizzazione di opere pubbliche o di infrastrutture urbane29;
h)
l’espropriazione di un terreno sottoposto, quale zona di importante interesse archeologico, a tutela ai
sensi del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non essendo assoggettabile alle disposizioni di cui all’art. 11 in
esame, non va ricondotta alle ipotesi di tassazione de qua.
Il successivo comma 6 dell’art. 11 in esame dispone invece in merito al trattamento fiscale del le indennità e
delle somme diverse da quelle sopra considerate.
Dalla lettera della norma e dai chiarimenti forniti dall’Amministrazione finanziaria nella predetta circolare,
rientrano nella fattispecie in esame:
-
le indennità di occupazione. Tali indennità, nella previgente disciplina, venivano riconosciute, tra l’altro,
per l’occupazione d’urgenza di cui all’art. 20 della legge n. 865 del 1971 in tutti i casi in cui, scaduto il
termine quinquennale stabilito dalla stessa norma senza che fosse stato emanato il relativo decreto di
esproprio, l’occupazione diveniva illegittima per illecito comportamento della P.A.30 31;
-
gli interessi comunque dovuti su tutte le somme di cui al precedente comma 5.
Relativamente al trattamento fiscale delle anzidette somme, viene stabilito che queste non costituiscono
plusvalenze, ma – in caso di opzione da parte del contribuente per la tassazione nei modi ordinari – devono
essere acquisite a tassazione nel loro intero ammontare.
Si pone in evidenza come, infatti, tale circostanza rilevi soltanto nel caso di esercizio dell’opzione per la
tassazione separata o ordinaria, in quanto in tutti i casi l’Ente espropriante opererà la ritenuta del 20%,
indipendentemente dalla natura o tipologia delle somme corrisposte.
Circa le modalità applicative della ritenuta in discorso la stessa C.M. n. 194/E ha disposto, infatti, che gli Enti
eroganti, all’atto della corresponsione delle somme dovute32, a mente di quanto chiosato dal comma 7 dell’art.
11 della legge in esame, devono operare una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 20%. La C.M. citata, al
riguardo dispone, poi, che gli Enti erogatori devono operare la ritenuta del 20% sull’intera somma così come
liquidata.
Sarà soltanto in caso di esercizio dell’opzione che il contribuente potrà, qualora rinunci alla tassazione
sostitutiva in discorso, procedere:
-
per le somme di cui al comma 5, al calcolo della plusvalenza secondo i criteri ora indicati dall’art. 68 del
nuovo TUIR;
-
alla determinazione ordinaria delle imposte dovute sui redditi diversi conseguenti alla corresponsione
delle somme indicate dal successivo comma 6 dell’art. 11 in commento.
Il soggetto espropriato, infatti, come si è già avuto modo di evidenziare, in base alle previsioni contenute nella
stessa norma e in virtù di quanto precisato dalla più volte richiamata C.M. n. 194/E, può, nella dichiarazione
Cfr. la R.M. n. 30/E del 18 febbraio 1997.
Le predette somme miravano, in sostanza, a risarcire il proprietario della diminuzione patrimoniale concreta a cui ve niva sottoposto nel
pubblico interesse. Ad esempio, nei casi in cui l’irreversibile destinazione pubblica del suolo occupato si fosse verificata durante il periodo
di occupazione temporanea, la proprietà del suolo, secondo l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, doveva intendersi passata
all’Ente occupante, con la scadenza del periodo di occupazione legittima, al momento in cui la fattispecie diveniva illecita, sempre che
l’Ente pubblico non avesse emanato, prima di tale termine, il decreto di e spropriazione. Il proprietario in tali casi aveva diritto all’indennità
per il periodo di occupazione legittima (quella che si è protratta per il periodo di tempo consentito dalla legge), al risarcimento del danno
per il mancato godimento del bene alla scadenza dell’occupazione legittima e fino al momento dell’irreversibile destinazione, e ciò solo nel
caso in cui questa avveniva durante quella ed, infine, al controvalore del bene acquisito a titolo originario dalla P.A.
È appena il caso di evidenziare che, invece, in base alle disposizioni contenute nel TUME (art. 50), tale tipologia di indennità dovrebbe
essere corrisposta esclusivamente in caso di occupazione temporanea e, pertanto, per la sottrazione, al proprietario di un immobile, del
relativo godimento, sia esso parziale o totale, per un periodo limitato di tempo. In tali casi l’utilità pubblica, quale presupposto necessario
per l’occupazione, può essere sostituita da una ragione di necessità o urgenza. L’occupazione temporanea differisce profondamente
dall’espropriazione vera e propria poiché, il decreto costituente il titolo giuridico dell’occupazione di beni altrui, non opera il trasferimento
della proprietà sui beni stessi, bensì fa sorgere soltanto nell’occupante un diritto reale di godimento su cosa altrui (l’occupazione
temporanea è quindi assimilabile alle servitù prediali coattive). Alcuni esempi possono essere quindi l’occupazione temporanea di beni
immobili privati per l’estrazione di materiale da costruzione, per il deposito di materiali, per la costruzione di cantieri, magazzini, officine,
ecc., per praticarvi passaggi provvisori, ecc. In tutte le richiamate circostanze l’Ente espropriante deve corrispondere l’indennità di
occupazione.
31 Cfr., per un più approfondito esame di tali questioni, “L’espropriazione. Tutela del soggetto passivo. Risarcimento e liquidazione.”, di Giorgio
Pistone. Maggioli Editore, 1995.
32 Si tratta di tutte le somme indicate nei commi 5 e 6 dell’art. 11 in esame comprese le somme per occupazione temporanea, risarcimento
danni da occupazione acquisitiva, rivalutazione ed interessi.
29
30
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dei redditi relativa al periodo di competenza, optare per la tassazione nei modi ordinari (tassazione ordinaria o
separata). In tal caso la ritenuta deve essere calcolata dall’espropriato in quanto la stessa non sarà più
“d’imposta” (ovvero definitiva), ma “d’acconto” e soggetta, pertanto, a rideterminazione (ovviamente a favore
dell’espropriato, in quanto chi sceglie tale tipo di tassazione è sicuramente motivato dallo scopo di ottenere dei
vantaggi in termini fiscali).
Il riferimento alla sola tassazione ordinaria operato dal comma 7 dell’art. 11 è palesemente impreciso in quanto
il precedente comma 5 dispone l’applicabilità, a tutte le somme ivi contemplate (non parliamo quindi di quelle
previste dal comma 6, ovvero: indennità di occupazione e gli interessi comunque dovuti sulle somme di cui al
comma 5), delle disposizioni dettate dall’art. 81, rectius, dal comma 1, lett. b), dell’art. 67 del nuovo TUIR, per la
cessione di aree edificabili, le quali, come noto, sono assoggettate, ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. g-bis), a
tassazione separata; modalità di determinazione degli oneri fiscali dovuti che ad evidenza può essere utilizzata,
in relazione alla precedente riflessione, anche per la tassazione di tutte le somme indicate al comma 5 dell’art.
11 della legge del 1991. La circolare n. 194/E, coerentemente, infatti, afferma che in questi casi è comunque
previsto il ricorso ad entrambe le modalità di tassazione, separata od ordinaria.
Nel caso di deposito delle somme presso la Cassa Depositi e Prestiti, l’Ente erogatore depositerà le somme nel
loro intero ammontare e sarà la stessa Cassa DD.PP. ad operare, all’atto del pagamento, la prevista ritenuta
(Sez. III, Consiglio di Stato, parere n. 59 del 1993)33.
Il comma 8 dello stesso articolo 11 stabilisce che per il versamento delle ritenute in questione, per gli obblighi di
dichiarazione e di comunicazione e per le eventuali sanzioni, si applicano le disposizioni previste per le ritenute
di cui al secondo comma dell’art. 28 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Tralasciando, in quanto non più attuali, le problematiche connesse alla parziale retroattività della norma in
questione disposta dal comma 9 dell’art. 11, soltanto per il primo anno di applicazione, anche per le somme
percepite dal 1 gennaio 1989 al 31 dicembre 1991, in forza di atti o provvedimenti emessi nello stesso arco
temporale34, è da porre in evidenza la circostanza in base alla quale la disciplina sopra descritta esplica la sua
efficacia a decorrere dall’entrata in vigore della legge e, pertanto, relativamente alle somme corrisposte dal 1°
gennaio 1992.
Indipendentemente dalla data del provvedimento che ha disposto l’esproprio, l’occupazione, ecc., il soggetto
erogatore delle somme relative alle fattispecie sopra precisate deve effettuare, sull’intero ammontare delle
stesse, la prevista ritenuta di acconto del 20%, senza dare alcun rilievo alla data del provvedimento o atto che
ha generato la corresponsione delle somme35.
Ogni pagamento che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, conseguito dopo
l’entrata in vigore della legge, è, infatti, assoggettato a tassazione, ancorché l’emanazione del decreto di
esproprio, ovvero l’acquisizione da c.d. “accessione invertita”, siano intervenuti in epoca anteriore (cfr. Cass. n.
10585 del 2002).
La plusvalenza36 che si viene a realizzare si inquadra, infatti, perfettamente nell’incremento del valore di
scambio di un bene fra il momento in cui esso entra nel patrimonio del soggetto e il momento in cui ne esce,
senza che possa avere alcun rilievo il titolo in base al quale esso ne esce. L’imposta, a prescindere dal titolo
giuridico che produce l’uscita del bene, è ricollegabile esclusivamente al dato economico oggettivo
dell’incremento di valore realizzato, sicché la ratio della tassabilità è la stessa in tutte le ipotesi ricadenti ormai
nella disciplina del TUIR sui redditi diversi. L’art. 11 in esame significativamente non contiene, infatti, alcun
riferimento al “tempo” di emissione del provvedimento ablativo, o della redazione dell’atto di cessione
volontaria, o della occupazione da parte della P.A. La mancata previsione non è casuale, ma si inquadra nel
sistema dell’IRPEF, che conosce come unico presupposto il “possesso” del reddito, giusta quanto previsto
nell’art. 1 del TUIR. Normalmente, in via generale, la novella ricchezza diventa reddito tassabile allorché essa
entra nel patrimonio del soggetto passivo (ed è questo il senso del principio di cassa), mentre solo in via
eccezionale diventa tassabile in un momento anteriore (ed è questo il criterio della competenza, previsto per il
reddito di impresa).
Il comma 7, si ribadisce, impone agli Enti eroganti di operare una ritenuta all’atto della corresponsione delle somme di cui ai commi 5 e 6,
senza distinguere infatti le diverse situazioni, né in ragione del momento dell’effetto ablativo, né in riferimento alla tipologia delle somme
corrisposte.
34 Tale questione aveva sollevato anche delle problematiche connesse alla legittimità costituzionale del principio della retroattività in
materia tributaria, risolta, in senso positivo, con la sentenza n. 44 del 1996 (Vgs., anche, sentenze n. 315 del 1994 e n. 349 del 1995, nonché
Avvocatura generale dello Stato n. 7854/93 del 12 aprile 1994).
35 Vgs., per maggiori dettagli, la R.M. 15 dicembre 2000, n. 192.
36 Cfr., ancora, la sentenza della Corte di Cassazione n. 2537 del 2001, citata.
33
pagina 10 di 22
Coerentemente con questa impostazione di fondo del sistema, correttamente nelle nuove fattispecie si è fatto
riferimento solo alla percezione delle somme, essendo ininfluente ogni altro riferimento temporale37.
L’indicazione del titolo in base al quale le somme vengono percepite serve solo ad individuare la tassabilità
delle somme ed a consentire una corretta qualificazione del reddito alla stregua delle categorie indicate nell’art.
6 del TUIR (onde poi applicare nel concreto le norme dettate per la determinazione di quel tipo di reddito), ma
non serve ad individuare il presupposto dell’IRPEF. Questo presupposto è dato esclusivamente dal possesso
del reddito.
In aderenza a questa impostazione, il comma 7 dell’art. 11 disciplina sul piano procedimentale gli obblighi del
sostituto; obblighi che possono trovare attuazione ovviamente solo dopo l’entrata in vigore della legge n.
413/91, allorché il sostituto paghi somme di questa tipologia, senza alcuna differenza derivante dal “tempo”
del fatto o atto giuridico operativo della uscita del bene dalla sfera giuridica del contribuente.
Questa norma conferma che per il futuro (rispetto alla data di entrata in vigore della legge n. 413/91) il prelievo
è collegato esclusivamente al tempo del pagamento, e quindi al tempo in cui la novella ricchezza entra nella
sfera giuridica del soggetto passivo il quale diventa così “possessore” di un reddito tassabile (reddito che ha
una disciplina particolare sul piano delle aliquote, come emerge dal diritto di opzione riconosciuto dal comma
7).
Da tutto ciò emerge che la percezione di somme verificatasi dopo il 1° gennaio 1992 non può in alcun caso
sfuggire alla tassazione prevista dal citato articolo 11, poiché è del tutto ininfluente accertare se il titolo che
giustifica l’attribuzione patrimoniale è stato formato prima dell’entrata in vigore della legge n. 413/91. L’unico
dato rilevante è costituito dal “possesso” del reddito; possesso che in questi casi chiaramente si realizza dopo
l’entrata in vigore della legge.
È poi il caso di segnalare, alla luce di una ulteriore importante pronuncia della Corte di Cassazione38, come
proprio l’incremento di valore del bene generato in capo al contribuente sia uno degli elementi in grado di
giustificare, nel rispetto del principio della capacità contributiva, la tassazione delle plusvalenze in argomento.
Nell’ipotesi in cui, infatti, il corrispettivo sia inferire al costo di acquisto del bene espropriato (ndr.: considerate,
ovviamente, le rivalutazioni di legge come appresso specificato) – secondo la menzionata pronuncia – non vi
sarà alcuna plusvalenza tassabile e, di conseguenza, risulta giustificata e, pertanto, esperibile la richiesta di
rimborso della ritenuta applicata sulle somme corrisposte. Ciò impone delle riflessioni in ordine a tutte quelle
circostanze in cui il corrispettivo per la espropriazione del bene sia inferiore al costo di acquisto dello stesso (e,
pertanto, ci si trovi in presenza di una minusvalenza), in base alle quali, valutata tale circostanza,
l’Amministrazione che eroga le indennità in argomento potrebbe valutare la possibilità, in assenza di una
plusvalenza tassabile, di non operare la ritenuta del 20%.
Il decimo comma della disposizione in esame aveva previsto poi l’emanazione di appositi decreti da parte del
Ministro delle Finanze attraverso i quali si doveva dare attuazione alle nuove disposizioni. In esito alle citate
previsioni sono stati emanati:
-
il D.M. 5 febbraio 1992, con cui è stato fissato, tra l’altro, il codice tributo per il versamento delle ritenute
operate ai sensi dell'art. 11, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, dagli enti eroganti all’atto della
corresponsione dell'indennità di esproprio;
-
il D.M. 30 marzo 1992 che ha disciplinato, invece il versamento diretto al concessionario delle imposte
dovute sulle indennità di esproprio, occupazione e simili ai sensi dell'art. 11, comma 9, della legge 30
dicembre 1991, n. 413.
Ai fini del calcolo delle plusvalenze39 dei terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria e delle indennità di
esproprio e simili, il costo di acquisto deve essere prima aumentato di tutti gli altri costi inerenti e poi
rivalutato sulla base della variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. Al
costo così determinato e rivalutato va poi sommata l’eventuale INVIM pagata.
Nel caso in cui il terreno sia stato acquisito a titolo gratuito (il Testo Unico parla espressamente di “terreni
acquisiti per effetto di successione o donazione”), la plusvalenza è data dalla differenza tra il prezzo di acquisto e il
Cfr. in questi sensi le sentenze della Corte di Cassazione n. 1214/2000, 1315/2000, 2543/2000, che hanno superato l’orientamento
minoritario espresso nella sentenza n. 14673/1999.
38 Cassazione, Sentenza n. 16062 del 29 luglio 2005.
39 Che è data dalla differenza tra la somma di denaro ricevuta per il trasferimento della proprietà del terreno ed il costo sostenuto per
l’acquisto dello stesso immobile.
37
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valore dichiarato nell’atto di donazione o successione (comprensivo di eventuali oneri accessori) rivalutato in
base agli indici ISTAT.
Si rileva che nell’art. 82, comma 2, del TUIR – ma lo stesso vale per il nuovo art. 68 – non si faceva alcun
espresso riferimento, nel caso di cessione di terreni acquisiti a titolo gratuito, alla rivalutazione ISTAT; per cui,
fino al recente intervento della Corte Costituzionale, la giurisprudenza e l’Amministrazione finanziaria
escludevano la possibilità di rivalutare il valore dei terreni iscritto negli atti di successione o donazione, con un
conseguente aggravio40 fiscale in tutte le ipotesi della specie.
La differenza di trattamento tributario tra i terreni acquisiti gratuitamente e quelli acquisiti a titolo oneroso ha,
in effetti, sempre suscitato molteplici perplessità. La Corte Costituzionale, però, con la sentenza n. 328 del 1
luglio 2002, ha posto fine a questa incongruenza sancendo che: “La violazione del principio di uguaglianza e di
ragionevolezza va, pertanto, eliminata attraverso una pronuncia di incostituzionalità dell’art. 82, comma 2, del D.P.R. n.
917 del 1986 nella parte in cui, per gli acquisti a titolo gratuito, non stabilisce ai fini della determinazione della base di
calcolo delle plusvalenze ivi riguardate una rivalutazione del valore iniziale di acquisto del bene analoga a quella disposta
per ipotesi, del tutto omogenea, degli acquisti a titolo oneroso”41 42.
L’Agenzia delle Entrate ha recepito la citata Sentenza della Consulta e nella C.M. n. 81/E del 6 novembre 2002,
ha poi sottolineato che “in applicazione della Sentenza n. 328 della Corte Costituzionale, è possibile rivalutare sulla base
della variazione dell’indice ISTAT il valore iniziale dei terreni acquisiti per successione o donazione, indicato nelle relative
denuncie o atti registrati, da assumere quale termine di raffronto per determinare la plusvalenza tassabile. In sostanza, il
valore del terreno edificabile deve essere depurato, anche in questo caso, dagli effetti inflazionistici poiché altrimenti si
verificherebbe una ingiusta disparità di trattamento con riferimento al valore dei terreni edificabili acquisiti a titolo
oneroso, per i quali il legislatore già dispone, con il medesimo articolo 82, comma 2, del TUIR, la rivalutazione in base agli
indici ISTAT”.
Ai fini della determinazione della plusvalenza, è poi utile segnalare che, in luogo del costo d’acquisto o del
valore dei terreni edificabili, è consentito assumere, il valore ad essi attribuito mediante una perizia giurata di
stima, previo pagamento di un’imposta sostitutiva del 4%43. È previsto, comunque, che l’Amministrazione
finanziaria possa prendere visione degli atti di stima giurata e dei dati identificativi dell’estensore richiedendoli
al contribuente il quale, pertanto, è tenuto a conservarli. I costi sostenuti per la relazione giurata di stima,
qualora siano stati effettivamente sostenuti e rimasti a carico del contribuente, possono essere portati in
aumento del valore iniziale da assumere ai fini del calcolo della plusvalenza in quanto costituiscono costo
inerente del bene.
b. Le innovazioni di ordine fiscale rilevabili nel TUME.
Non potendo, infatti, rivalutare il valore dichiarato in atti – risalenti anche a decine di anni addietro – si verificava che l’ammontare della
plusvalenza, in ipotesi di cessione a titolo gratuito, risultava notevolmente superiore alle altre ipotesi di trasferimento contr o denaro di
terreni, con un conseguente aggravio fiscale dovuto alla maggiore imposta dovuta.
41 Si legge ancora nella citata pronuncia: “Il legislatore, nel prevedere che il costo dei terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria di cui alla lettera
b) del comma 1 dell’articolo 81 TUIR è costituito dal prezzo di acquisto aumentato di ogni altro costo inerente, rivalutato in base alla variazione
dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, ha accolto, limitatamente alla tassa zione delle plusvalenze realizzate mediante la
cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, un criterio di determinazione della base imponibile costituito dalla differenza
tra i corrispettivi della cessione percepiti nel periodo di imposta, ed il prezzo di acquisto, aumentato di ogni altro costo inerente e rivalutato sulla base
degli indici ISTAT. Dove è evidente che la rivalutazione del prezzo iniziale, disposta da tale norma, costituisce una scelta del legislatore intes a a
neutralizzare, ai fini della tassazione delle plusvalenze de quibus , gli effetti dell’inflazione monetaria. Ed è proprio siffatta scelta che viene, poi,
contraddetta, del tutto ingiustificatamente, dalla norma impugnata, limitatamente alle sole plusvalenze riferibili agli acquisti a titolo gratuito, per i quali
invece l’esigenza di purgare gli effetti inflazionistici si pone negli stessi termini delle altre plusvalenze”.
42 L’incostituzionalità della sopra citata norma è stata pronunciata nonostante le argomentazioni proposte dall’Avvocatura generale dello
Stato secondo cui: “L’insussistenza di un esborso da parte dell’acquirente a titolo gratuito giustificherebbe, in base a valutazioni di ordine politico,
sociale ed economico rimesse alla discrezionalità del Legislatore, la mancata adozione di meccanismi correttivi dei fattori inflattivi ”.
43 Il riferimento è alla procedura introdotta dall’art. 7 della Legge 28 dicembre 2001 n. 448, che consente di assumere “in luogo del costo di
acquisto o del valore dei terreni edificabili e di quelli agricoli posseduti alla data del 1° gennaio 2002, il valore ad essi attribuito a tale data
mediante una perizia giurata di stima, previo pagamento di un’imposta sostitutiva del 4 per cento”. L’importanza di questa norma si
manifesta in tutti i casi in cui il costo di acquisto (o il valore assunto nella dichiarazione di successione o donazione) risulta di molto
inferiore al valore attuale del terreno. Infatti, tanto maggiore risulta la differenza tra il costo di acquisto e il valore attuale, tanto più
conveniente, in prospettiva di una futura cessione, sarà la rivalutazione concessa dalla Legge. Il termine per operare la detta rivalutazione,
per i terreni posseduti al 1° luglio 2003, è stato prorogato al 30 giugno 2005, dalla legge n. 311 del 30 dicembre 2005 – Finanziaria 2005. Da
ultimo, con l’art. 11 quaterdecies, comma 4, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n.
248, è stato stabilito che la rideterminazione del valore di acquisto dei terreni edificabili e con destinazione agricola può essere effettuata per
i (predetti) beni posseduti alla data del 1° gennaio 2005 e che la redazione ed il giuramento della perizia devono essere effettuati entro il 30
giugno 2006.
40
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(1)
Come si è avuto modo di osservare (cfr. le argomentazioni esposte in chiusura del par. 1), le norme
contenute nel TUME hanno, per molti versi, introdotto nel panorama normativo che disciplina la materia
della espropriazione per pubblica utilità, profonde innovazioni.
Per quanto riguarda gli aspetti di ordine eminentemente tributario è da porre in evidenza come, a parere
di chi scrive, talune peculiari novità siano rinvenibili nel corpo degli artt. 35 e 37 dello stesso TUME.
L’art. 35, nel dettaglio, ad una prima lettura appare, invero, ripercorrere fedelmente la formulazione
dell’art. 11 della legge del 1991 innanzi analizzato, ma un esame più approfondito lascia emergere talune
notevoli discordanze con quanto sancito dalla legge del 1991. La norma testualmente dispone
l’applicazione delle disposizioni sulla tassazione delle plusvalenze contenute – ora, come già ricordato, –
nell’art. 67 del TUIR: “qualora sia corrisposta a chi non eserciti una impresa commerciale una somma a titolo di
indennità di esproprio, ovvero di corrispettivo di cessione volontaria o di risarcimento del danno per acquisizione
coattiva, di un terreno ove sia stata realizzata un'opera pubblica, un intervento di edilizia residenziale pubblica o
una infrastruttura urbana all'interno delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, come definite dagli strumenti
urbanistici”.
Esemplificando, la plusvalenza da esproprio dovrà pertanto essere tassata in tutti i casi in cui le somme
corrisposte a favore del proprietario del fondo, riguardino:
-
l’indennità di esproprio;
la cessione volontaria nell’ambito del procedimento espropriativo;
il risarcimento del danno per acquisizione coattiva conseguente alla realizzazione di un’opera
pubblica;
un intervento di edilizia residenziale pubblica;
la realizzazione di una infrastruttura urbana,
relativamente a terreni collocati all’interno delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, come definite dagli
strumenti urbanistici vigenti.
Orbene è di tutta evidenza che, a differenza della previgente disciplina, la struttura della norma presenta
delle significative differenze. Invero, è necessario porre in risalto la circostanza che della predetta
disposizione sono formulabili due diverse interpretazioni, ed entrambe apportano sensibili mutamenti al
quadro normativo disciplinato con l’art. 11, comma 5, della legge n. 413, ponendosi, peraltro, in contrasto
con i chiarimenti forniti, sullo specifico punto, dalla richiamata C.M. 194/E del 1998.
In particolare:
(a)
una prima lettura potrebbe essere quella di considerare la condizione specificata dall’art. 35 del
TUME di inclusione del terreno nelle zone del decreto del 1968 riferita – quale conditio sine qua non
per l’assoggettamento a tassazione – a tutte le fattispecie elencate dalla norma, compresa, in
particolar modo, la corresponsione di somme, a qualsiasi titolo, per la realizzazione di un
intervento di edilizia residenziale pubblica44.
Così facendo, si avrebbe che, mentre in relazione alla previgente disciplina, nel caso di
realizzazione di interventi di edilizia residenziale pubblica, la ritenuta andava sempre applicata
non avendo alcuna rilevanza il rimando alle zone territoriali omogenee (Cfr. precedente par. 2.g.),
ora, anche in tali ipotesi, bisognerebbe far riferimento alla effettiva collocazione del terreno e
soltanto nel caso in cui esso sia classificabile nell’ambito delle zone A, B, C, e D, del decreto
ministeriale 2 aprile 1968, potrebbe trovare applicazione la ritenuta fiscale in argomento;
(b)
una diversa interpretazione della norma in esame po rterebbe, invece, a considerare la condizione
della inclusione del terreno nelle zone A, B, C, e D, del predetto decreto, riferita all’ipotesi (l’ultima
in ordine di citazione e più vicina, quindi, all’inciso che specifica la detta condizione) di
realizzazione di una infrastruttura urbana.
In tal modo, ne deriverebbe – diversamente da quanto sancito dall’art. 11, più volte citato ( Cfr.
precedente par. 2.e. ed f.), – che il sistema impositivo in rassegna può trovare applicazione,
prescindendo dalla collocazione del terreno nelle zone del decreto (e, quindi, anche per le zone di
tipo E ed F), finanche sulle somme corrisposte, a qualsiasi titolo, per l’espropriazione di terreni
destinati alla realizzazione di un’opera pubblica.
Anc he in tal caso il riferimento è, ovviamente, alla legge n. 167 del 1962 concernente le “Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree
fabbricabili per l’edilizia economica e popolare”.
44
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L’analisi delle due appena evidenziate soluzioni interpretative dell’art. 35 del TUME, pone in risalto una
importante considerazione: tra le due ipotesi, la prima – restringendo , rispetto al passato, la sfera di
applicazione della disciplina sui redditi diversi dettata dall’art. 67 del TUIR – può ritenersi, in un certo
senso, limitativa dell’ambito di applicazione del sistema di tassazione, mentre la seconda opzione ne
amplia la portata assoggettando al descritto regime fiscale talune altre fattispecie.
Vi è subito da rilevare come, a favore della interpretazione più restrittiva innanzi descritta, deponga,
peraltro – soprattutto alla luce della novella contenuta nel comma 444 dell’articolo unico della Legge 23
dicembre 2005, n. 266 (FINANZIARIA 2006) – la formulazione del comma 6 dell’art. 35 del TUME che,
testualmente recita: “Gli interessi percepiti per il ritardato pagamento della somma di cui al comma 1 e l'indennità
di occupazione costituiscono reddito imponibile e concorrono alla formazione dei redditi diversi”.
Il combinato disposto tra le due previsioni e il tenore della richiamata novella legislativa, la quale, in
punto di interpretazione autentica, ha stabilito che il comma 6 del citato art. 35 deve essere inteso “nel
senso che le indennità di occupazione costituiscono reddito imponibile e concorrono alla formazione dei redditi
diversi se riferite a terreni ricadenti nelle zone omogenee di tipo A, B, C e D, come definite dagli strumenti
urbanistici vigenti”, sembrano infatti far emergere la possibilità che il Legislatore, nel riscrivere le norme
fiscali in tema di tassazione da esproprio, abbia voluto considerare la condizione di inclusione del terreno
nelle zone contemplate dal decreto del 1968, quale requisito necessario – in ogni caso – ai fini
dell’assoggettamento a qualsiasi tipo di imposizione tributaria prevista in materia espropriativa.
Questa “precisazione” contenuta nella legge finanziaria 2006 consente, infatti, di escludere dalla
tassazione quelle indennità corrisposte a titolo di occupazione per tutti i terreni ricadenti nelle zone
omogenee di tipo E ed F e, così disponendo, indirettamente pare suffragare la ricostruzione più rigorosa
operata in precedenza, secondo la quale per tutte le fattispecie elencate dalla norma bisogna tenere in
debito conto – diversamente da quanto stabilito nella previgente disciplina – la localizzazione del terreno
rispetto alle richiamate zone A, B, C e D, del decreto del 1968.
In ordine, invece, alla indubbia “antinomia” che scaturisce dal controverso rapporto tra le disposizioni
recate dall’art. 35 del TUME e l’art. 11 della legge del 1991, non resta che spendere qualche
considerazione in merito a quello che potrebbe essere il criterio più adatto alla sua composizione.
Volendo, infatti, disquisire in merito all’efficacia delle predette novelle legislative ed al loro rapporto con
l’art. 11 della legge n. 413, bisogna soffermare l’attenzione su alcune questioni , di fatto e di diritto, di
primario interesse:
-
vi è da dire, innanzitutto, che l’art. 11 della legge n. 413 del 1991 non è stato espressamente
abrogato dal TUME, nel cui testo è sancita (cfr. art. 58, comma 1, punto n. 131) la sola esplicita
abrogazione del comma 9 di tale disposizione normativa che, peraltro, come già evidenziato, era da
ritenersi non più attuale già prima della entrata in vigore del Testo unico in esame.
Nemmeno la norma compendiata al punto n. 141 dello stesso art. 58, che come visto contiene una
disposizione abrogativa residuale, sembra far riferimento, sia direttamente che indirettamente, alla
abrogazione delle altre disposizioni contenute nell’art. 11 della legge n. 413;
-
è opportuno evidenziare come l’esame sistematico delle due previsioni normative, anche in forza
delle ulteriori motivazioni che saranno addotte nel prosieguo, induca a ritenere che, sullo specifico
punto appena analizzato, le previsioni recate dal comma 5 dell’art. 11 – e, conseguentemente, i
chiarimenti forniti, sempre con riferimento alla segnalata questione, dalla richiamata circolare
ministeriale – siano da ritenersi sostanzialmente superati dalle statuizioni recate dall’art. 35 del
TUME.
A sostegno di tale tesi, innanzitutto, la ravvisata necessità per il Legislatore di riformulare le
disposizioni fiscali di settore dal momento che la norma del 1991, in particolare, conteneva ancora
delle previsioni che, ad evidenza, si ponevano in evidente contrasto con la riformulata disciplina
della materia.
L’art. 11, infatti, assoggettava a tassazione anche tutte le “somme comunque dovute per effetto di
acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni d’urgenza divenute illegittime”, modalità di esercizio
della procedura espropriativa che, come precisato nel precedente paragrafo esplicativo della
disciplina amministrativa di settore, sono state ormai accantonate dal TUME;
-
sempre in ordine alla natura innovativa delle previsioni (con particolare riferimento, per quanto di
interesse nella presente trattazione, a quelle fiscali) contenute nel TUME è utile esaminare, poi, la
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loro relazione con i principi fissati, in materia di abrogazione di norme, dall’art. 15 delle
“Disposizioni sulla legge in generale” del Codice Civile.
Stando al dettato della norma appena citata, secondo cui “Le leggi non sono abrogate che da leggi
posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le
precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore”,
sembra che nel caso di specie possa proprio rilevarsi un’ipotesi di abrogazione implicita delle
previsioni recate dall’art. 11 della Legge del 1991, in quanto lo scopo principale del TUME è proprio
quello di regolare in maniera unitaria l’intera disciplina delle espropriazioni.
Per altro verso, le caratteristiche legislative del TUME, adottato secondo le tecniche di redazione
dei Testi unici contenute nella legge delega n. 50 del 1999, inducono a tenere in considerazione
talune ulteriori importanti riflessioni connesse , ancora, alla natura innovativa delle previsioni in
esso contenute.
In primo luogo, l’art. 7, comma 2, della legge appena citata prevedeva che gli emanandi testi unici
comprendessero in un unico contesto e con le opportune evidenziazioni, le disposizioni legislative
e regolamentari, riferendosi, come chiarito dal Consiglio di Stato, nel parere 147/2000, e confermato
dalla legge n. 340 del 2000, di modifica dell’art. 7 in questione, a testi unici misti, contenenti norme
di grado diverso, ma non norme miste, quindi testi, per una parte legislativi, e per una parte
regolamentari, distinte quanto alla loro collocazione nella gerarchia delle fonti, nonché, testi, frutto
della redazione di tre diversi atti normativi da emanare contestualmente45, un decreto legislativo
ed un regolamento di delegificazione, producenti ciascuno gli effetti normativi loro propri, quindi,
il testo unico complessivo, che li contiene entrambi46.
(2)
Sicuramente di minor importanza, ma comunque degne di nota per le implicazioni fiscali che ne
derivano, sono poi le previsioni – del tutto innovative rispetto alla previgente disciplina – recat e dal
combinato disposto degli artt. 37, comma 9, e 40, comma 4, del TUME.
In base a tal i disposizioni, i proprietari dei terreni espropriati che siano allo stesso tempo coltivatori
diretti – sia nell’ipotesi di aree edificabili ma utilizzate per scopi agricoli, sia per l’ipotesi di aree
agricole effettivamente coltivate – hanno diritto ad una identica indennità aggiuntiva, pari al valore
agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticata.
È chiaro che la ratio legislativa va qui ricercata nella volontà di evitare sperequazioni tra soggetti che
svolgono la medesima attività e a risarcire, oltre la perdita della proprietà privata, la lesione del diritto
costituzionale al lavoro.
Sulla specifica tematica, si ritiene, benché ancora non siano stati forniti chiarimenti da parte
dell’Amministrazione finanziaria, che a tale indennità aggiuntiva (che viene quindi corrisposta al
proprietario del fondo unitamente alla indennità di espropriazione vera e propria), in quanto
caratterizzata dalla stessa natura giuridica, non possa che essere riservato il medesimo trattamento fiscale
– che, come visto in precedenza consiste nella completa esenzione tributaria – riservato alle indennità
aggiuntive erogate ai coloni, mezzadri, fittavoli ed agli altri coltivatori diretti del fondo espropriato.
Anche in detti casi, infatti, le specifiche somme corrisposte non costituiscono il corrispettivo per il
trasferimento della proprietà sull’immobile, ma rappresentano esclusivamente una forma di ulteriore
Si segnala, infatti, che il D.P.R. n. 327 citato deve essere preso in considerazione unitamente al D.L.gs. n. 325 ed al D.P.R. n. 326, recanti
tutti la medesima data di entrata in vigore.
46 Bisogna distinguere due tipi di testi unici, quelli innovativi e quelli compilativi. I primi, sono veri e propri atti normativi, in specie, decreti
legislativi, in relazione ai quali, le Camere delegano il Governo, il quale, nel rispetto di principi e criteri direttivi, può integrare e modificare
la legislazione vigente, creando jus novum, la cui validità ed efficacia deriva dallo stesso T.U. I secondi, invece, alle cui norme deriva
efficacia e validità dalla fonte originaria e non dal T.U. stesso, non necessitano di delega, in quanto, non comportanti esercizio di potestà
legislativa, sono il frutto dell’autorizzazione delle Camere al Governo, ai fini della raccolta, in un corpo unitario, della legislazione relativa
ad una stessa materia, emanata in tempi diversi, nel qual caso il Governo si deve limitare ad interpretare le leggi vigenti ed a rispettarne la
ratio, con possibilità di apportare modifiche formali, ma non sostanziali. Da ciò si evince – a conferma della predetta tesi sull’abrogazione
implicita dell’art. 11 della legge del 1991 – che il TUME, in quanto volto al riordino normativo ed alla semplificazione delle norme
procedurali ed organizzative, ha natura innovativa e non meramente compilativa, come confermato anche dall’art. 7 della citata Legge n.
50/1999, il quale, contiene previsioni incompatibili con i testi unici compilativi, quali, l’indicazione di principi e criteri dire ttivi, la fissazione
di un termine entro cui il T.U. deve essere emanato, nonché, la previsione di una complessa disciplina per la sua adozione.
Tratto da: “Le innovazioni introdotte dal d.P.R. 327/2001, Testo unico sulle espropriazioni, come modificato da l d.lgs. 302/2002: l’occupazione
d’urgenza e l’indennità di esproprio”, di Ginevra Giussani, reperibile all’indirizzo web:
http://www.astridonline.it/Gliosserv/llpp/G_Giussani-Espropiazioni-pu-25_03_05.pdf .
45
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ristoro nei confronti degli stessi proprietari che, oltre ad essere privati dell’immobile, perdono anche la
possibilità di produrre il loro reddito di lavoro agricolo.
L’aspetto innovativo è indubbiamente da rinvenire nel fatto che ora la ulteriore indennità corrisposta al
proprietario dell’area edificabile effettivamente coltivata sarà esclusa dalla tassazione, mentre la
maggiorazione che veniva riconosciuta allo stesso soggetto in base alla previgente disciplina, andando
direttamente ad aumentare il corrispettivo per la cessione dell’area da espropriare, veniva ricondotta, per
espressa disposizione dell’art. 11, comma 5, della legge n. 413, nell’ambito della sfera di applicazione
delle previsioni di cui all’art. 81, comma 1, lett. b), del TUIR (attualmente art. 67, come si è già più volte
sottolineato).
Si ricorda, infatti, che a mente dell’abrogato47 art. 17, comma 1, della legge n. 865 del 1971 citata, nel caso
in cui l’area da espropriare risultava effettivamente coltivata dallo stesso proprietario, non era prevista la
corresponsione di alcuna indennità aggiuntiva, ma soltanto la triplicazione dell’indennità provvisoria che
poteva essere riconosciuta in favore dello stesso soggetto nella sola ipotesi di cessione volontaria del
terreno.
3.
La dichiarazione dei redditi del soggetto espropriato e la richiesta di rimborso.
Si è già osservato che soltanto in caso di esercizio dell’opzione per la tassazione ordinaria (o separata), il
contribuente potrà, qualora rinunci alla tassazione sostitutiva ora disciplinata dall’art. 35 del TUME, procedere:
a.
per le somme compendiate al comma 1 dell’art. 35 in discorso procedere alla determinazione della
plusvalenza secondo i criteri previsti dall’art. 68 del nuovo TUIR;
b.
al calcolo delle imposte dovute per i redditi diversi derivanti dalla corresponsione delle somme indicate
dal successivo comma 6 dell’art. 35.
Premesso che, come per la previgente disciplina, gli “interessi percepiti per il ritardato pagamento…” e
“…l’indennità di occupazione…” concorrono alla formazione dei redditi diversi per il loro intero ammontare e,
pertanto, non consentendo alcun margine di scelta, non permettono particolari “strategie” in ordine alle loro
modalità di tassazione, nell’ipotesi sub a. la ritenuta, analogamente al passato, deve essere ri-calcolata
dall’espropriato che opti per la tassazione ordinaria/separata.
Così facendo (art. 35, comma 2, secondo periodo) la stessa non sarà più “d’imposta” (ovvero definitiva), ma
“d’acconto” e soggetta, pertanto, a rideterminazione.
Il primo passo da porre in essere da parte del contribuente che ritenga fiscalmente vantaggioso rinunciare alla
tassazione sostitutiva, è, pertanto, l’effettuazione della scelta per la tassazione ordinaria o separata nell’ambito
della dichiarazione dei redditi per il periodo in cui sono state conseguite le predette somme.
In ordine ai criteri da tenere in considerazione per l’effettuazione della descritta scelta impositiva, è appena il
caso di evidenziare che mentre la tassazione ordinaria risulta conveniente solo allorquando il contribuente
abbia un notevole importo di oneri detraibili capaci di abbattere, magari fino a concorrenza, l’imposta dovuta,
quella separata, per contro, almeno fino al 31 dicembre 2002, presentava taluni vantaggi solamente in presenza
di redditi molto bassi rientranti nel primo scaglione d’imposta o addirittura non imponibili.
Il riferimento temporale, come noto, è da porre in relazione alla riforma del sistema impositivo sui redditi –
operata prima con la legge n. 289 del 2002 (Finanziaria 2003) e poi, ulteriormente definita con la legge n. 311 del
2004 (Finanziaria 2005) – che ha condotto alla introduzione dell’IRE ed alla riformulazione, a partire dal 1°
gennaio 2003, delle aliquote e degli scaglioni d’imposta con l’innalzamento, tra l’altro, dell’aliquota del 18%,
applicabile in relazione al primo scaglione reddituale, al 23%.
Ciò, come si vedrà, ha determinato delle rilevanti conseguenze anche in relazione alle tematiche di cui si discute
apportando taluni peculiari correttivi sui quali vi è la necessità di richiamare l’attenzione dei lettori.
Come noto, nel caso di scelta della tassazione separata, secondo quanto stabilito negli artt. 16, comma 1, lett. gbis, e 18, commi 1 e 3, del vecchio TUIR (norme riprese fedelmente negli artt. 17 e 21 del nuovo Testo unico), era
previsto che alla plusvalenza così determinata venisse applicata la cosiddetta aliquota media calcolata con
riguardo ad un determinato biennio di riferimento.
In base al primo comma del predetto art. 18 (21 del nuovo TUIR) l’aliquota media era pari all’“aliquota
corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore all’anno in cui è sorto il
47
Vgs., al riguardo, l’art. 58, comma 1, punto n. 99, del TUME.
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diritto alla loro percezione…”; in altre parole era quella corrispondente all’imposta calcolata sulla media del
reddito complessivo netto del biennio di riferimento diviso per il reddito medio stesso.
Fatta questa necessaria premessa e volendo prendere spunto da un autorevole48 esempio per chiarire come le
suddette manovre fiscali abbiano in sostanza precluso la possibilità per i percettori di indennità di
espropriazione – già titolari di redditi di scarso ammontare o non imponibili – di beneficiare di un concreto
vantaggio fiscale:
-
se un contribuente percepiva nell’anno 2002 un’indennità di esproprio, in relazione alla quale decideva di
avvalersi della tassazione separata, e nel biennio (di riferimento) 2000-2001 anteriore all’anno in cui era
sorto il diritto alla percezione aveva conseguito redditi imponibili rientranti nel primo scaglione
d’imposta – ad esempio: per un ammontare complessivo pari a 20.000,00 euro – il calcolo dell’aliquota
media doveva essere operato con le seguenti modalità:
20.000,00:2= 10.000,00
Su tale importo, applicando le aliquote dell’anno 2002, si aveva un’imposta di 1.800,00 euro. Volendo
determinare l’aliquota media, essa risultava dalla seguente formula:
(1.800,00 x 100)/10.000,00= 18.
L’aliquota del 18% è quella che, pertanto, doveva essere applicata alla indennità di esproprio conseguita
per la quale si era preferita l’opzione della tassazione separata. Ciò, ad evidenza, comportava un
risparmio fiscale che si sostanziava nella possibilità di scomputare dalla ritenuta del 20% operata
dall’ente espropriante un 2% che poteva essere chiesto a rimborso con le modalità in seguito descritte49.
Tale agevolazione, in base a quanto disposto nel terzo comma dell’art. 18 del vecchio TUIR, era, di fatto,
concessa anche nelle ipotesi in cui:
..
in uno dei due anni anteriori non vi fosse stato reddito imponibile, in quanto in tale circostanza,
infatti, la richiamata norma prevedeva l’applicazione dell’aliquota corrispondente alla metà del
reddito complessivo netto dell’altro anno.
Nell’esempio citato è chiaro come sulla metà del reddito conseguito in uno dei due anni (cioè:
5.000,00 euro) si rendeva, a maggior ragione, applicabile l’aliquota del 18% prevista nel 2002 per il
primo scaglione d’imposta;
..
-
in entrambi gli anni considerati, non vi fosse stato reddito imponibile. Per tali situazioni, infatti, il
secondo periodo del terzo comma in esame prevedeva (e continua a prevedere nella formulazione
dell’art. 21 del nuovo TUIR) l’applicazione dell’aliquota – del 18% – al tempo stabilita per il primo
scaglione d’imposta dall’art. 11 dello stesso Testo unico.
nel caso in cui l’indennità di espropriazione, invece, risulti conseguita a partire dal 1° gennaio 2003, pur
considerando la presenza nel biennio anteriore di redditi rientranti nel primo scaglione d’imposta ovvero
non imponibili, in base alle previsioni introdotte dall’art. 2, comma 1, lett. c), n. 1, della legge 27 dicembre
2002, n. 289, si rende comunque applicabile – per le ragioni descritte nel precedente punto – l’aliquota del
23% con la conseguente ed evidente improponibilità dell’opzione per la tassazione separata.
Tale svantaggioso effetto non viene escluso né dalla presenza nel nuovo assetto impositivo della cd. “no
tax area”50 che operando, a monte, nella fase di determinazione del reddito imponibile non interviene
direttamente sulle questioni di cui si discute, né la possibilità di utilizzare la “clausola di salvaguardia” –
introdotta dalla richiamata legge Finanziaria per il 2003 ed estesa dalle leggi finanziarie 2005 e 2006 anche
ai periodi d’imposta 2005 e 2006 – che concerne, invece, la possibilità di optare per le regole di
determinazione dell’imposta in vigore al 31 dicembre 2002 se più favorevoli al contribuente.
In relazione a tale ultima ipotesi, si osserva, infatti, che le disposizioni introdotte per la riforma del
sistema impositivo descritte hanno espressamente escluso l’applicazione della clausola di salvaguardia in
tutte le fattispecie in cui l’imposta non è determinata previo inserimento del singolo reddito nel reddito
“LE IMPOSTE SUI REDDITI NEL TESTO UNICO” di Leo, Monacchi, Schiavo, Giuffrè Editore, 1999.
In particolare, applicando l’aliquota media alla plusvalenza si avrà l’imposta effettivamente dovuta. Sottraendo tale ammontare dalla
ritenuta operata dall’Ente espropriante si otterrà l’importo di cui bisogna chiedere il rimborso.
50 Correttivo introdotto dal Legislatore per il 2003 che opera sui redditi più bassi ed assicura una migliore progressività dell’imposta
attraverso l’individuazione di una fascia di reddito esentata dall’imposizione il cui ammontare varia in funzione dell’aumentare del reddito
complessivo e della presenza di oneri deducibili ex art. 10 del TUIR.
48
49
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complessivo, come ad esempio, accade in relazione ai redditi assoggettati a tassazione separata, a quelli
soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, nonché a quelli soggetti a imposta sostitutiva51.
Sulla necessità di effettuare l’opzione in discorso nella dichiarazione dei redditi, qualora non si intenda essere
assoggettati alla tassazione sostitutiva del 20%, è utile segnalare una recente sentenza52 dell a Corte di
Cassazione, nella quale viene sancito, in sostanza, che se i contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi non
hanno optato per la tassazione ordinaria non possono avanzare alcuna pretesa di rimborso sulle somme già
assoggettate, sulla base della tassazione sostitutiva in discorso, alla ritenuta del 20 per cento.
Nel dettaglio, la Corte di Cassazione ha stabilito preliminarmente che in ordine alla lamentata circostanza per la
quale “...la ritenuta "secca" del 20% è stata operata sulla intera somma percepita e non sulla sola plusvalenza, con la
conseguenza che il prelievo configurerebbe una sorta di "esproprio" che ha colpito il suo patrimonio e non soltanto il
reddito prodotto dal patrimonio stesso…” non persistono cause di illegittimità costituzionale. Prosegue, poi, la
Corte: “…Quanto ai profili di incostituzionalità eccepiti in relazione alle modalità di attuazione del prelievo fiscale, il
comma 7 dell'art. 11 della legge 413/1991, dispone che "Gli enti eroganti, all'atto della corresponsione delle somme di cui
ai commi 5 e 6, comprese le somme per occupazione temporanea, risarcimento danni da occupazione acquisitiva,
rivalutazione ed interessi, devono operare una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 20 per cento. È facoltà del
contribuente optare, in sede di dichiarazione annuale dei redditi, per la tassazione ordinaria, nel qual caso la ritenuta si
considera effettuata a titolo di acconto". Quindi, il contribuente può scegliere tra la ritenuta "secca" del 20% operata sulla
intera somma erogata, e la tassazione ordinaria, che determina l'ammontare dell'imposta dovuta tenendo conto della sola
plusvalenza, unitamente alle altre componenti reddituali. La facoltà di scelta è lasciata esclusivamente al contribuente, che
potrà utilizzarla in ragione della propria convenienza, senza che nulla possa eccepire l'amministrazione finanziaria.
Ne deriva che se il contribuente, come nella specie, non chiede di optare per la tassazione ordinaria, vuol dire che la
tassazione "secca" realizza un prelievo fiscale inferiore a quello che risulterebbe rispettando il principio della tassazione in
base alla capacità contributiva, invocato dal P. Con la ulteriore conseguenza che, se il prelievo fiscale attuato con il metodo
della ritenuta "secca" (accettato dal contribuente) è al di sotto dell'ammontare del prelievo che risulterebbe dovuto tassando
soltanto la plusvalenza, allora non si vede come si possa sostenere che il prelievo abbia "eroso" una parte del patrimonio.
Evidentemente, il legislatore si accontenta di "un minimo garantito", piuttosto che pretendere la tassazione secondo le
forme ordinarie, privilegiando la scelta della rapidità e della certezza del prelievo, piuttosto che pretendere "tutto quanto
dovuto", a tutto beneficio del contribuente. Peraltro, la Corte Costituzionale ha già rilevato dimostrare la non
configurabilità di fatto, di una plusvalenza da esproprio" (Corte Cost. Ord. 395/2002)”.
Per il calcolo della plusvalenza, si considera il prezzo sostenuto per l’acquisto del terreno e tutte le spese
inerenti, quali la parcella notarile, l’imposta di registro e le imposte ipotecarie e catastali. Il valore iniziale del
terreno, in linea con l’ormai invalso orientamento giurisprudenziale, deve essere, anche con riferimento ai
terreni acquisiti per successione o donazione53, rivalutato in base alla variazione dell’indice dei prezzi al
consumo per le famiglie di operai ed impiegati.
Per quanto riguarda, invece, i terreni posseduti al 1° gennaio 2002, al 1° gennaio 2003 o al 1° gennaio 2006,
rivalutati in base ad apposita perizia giurata di stima, previo pagamento dell’imposta sostitutiva, si considera il
valore di perizia54.
Pertanto, il contribuente che ritenga l’applicazione della ritenuta del 20% troppo onerosa rispetto alla normale
tassazione IRPEF, ordinaria o separata, della sola plusvalenza, deve indicare nella dichiarazione dei redditi la
plusvalenza, scorporando l’avvenuto prelievo a titolo di acconto. Nella dichiarazione dei redditi dovranno
essere indicati (rigo F10 del Mod. 730/2005, ovvero quadro RM di UNICO/2005):
-
l’ammontare della plusvalenza realizzata;
-
la ritenuta subita (quella operata dal Comune).
Circa le modalità ed i termini di effettuazione della richiesta di rimborso, è utile rilevare che in base all’art. 37,
comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, sulla riscossione delle entrate erariali, il contribuente
assoggettato a ritenuta diretta può ricorrere nei confronti dell’Ufficio Finanziario competente, chiedendo il
rimborso, entro il termine di decadenza di 48 mesi dalla data in cui la ritenuta è stata operata, anche nel caso di
“…..inesistenza totale o parziale dell’obbligazione tributaria”.
Cfr. circolari ministeriali n. 2 del 15 gennaio 2003 e del 3 gennaio 2005.
Sentenza n. 2490 dell’8 febbraio 2005.
53 Vgs., la già citata sentenza della Corte Costituzionale, n. 328 del 9 luglio 2002.
54 Cfr. nota n. 43.
51
52
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Avverso la decisione dell’Amministrazione finanziaria, ovvero trascorso il termine di 90 giorni dalla data di
presentazione del ricorso senza che sia intervenuta alcuna decisione in merito, il contribuente può presentare
ricorso alla Commissione Tributaria provinciale competente, fino a quando il diritto al rimborso, nei termini di
cui all’art. 2946 del Codice Civile, non sia prescritto.
Sul punto, una recente sentenza della Corte di Cassazione55 nella quale è stato ribadito che la mancata
presentazione dell’istanza di rimborso entro il termine di 48 mesi preclude la facoltà di ottenere la tutela
innanzi al giudice e che la richiesta di documenti inoltrata al contribuente dall’Amministrazione, finalizzata a
verificare la fondatezza del diritto al rimborso, non può essere considerata interruttiva del termine
prescrizionale.
4.
Indennità di esproprio e I.C.I.
Le disposizioni abrogative di cui si è fatto cenno, contenute nell’art. 58 del TUME, hanno definitivamente
espunto dal nostro ordinamento anche l’art. 16 del D.Lgs. n. 504 del 1992 (decreto istitutivo dell’Imposta
comunale sugli immobili), a mente del quale, in caso di espropriazione di “area fabbricabile”, l’indennità da
corrispondere in favore del soggetto espropriato, doveva essere ridotta ad un importo pari al valore indicato
nell’ultima dichiarazione ICI presentata dall’espropriato (sempre che detto valore risultasse inferiore
all’indennità di espropriazione determinata secondo le disposizioni all’epoca vigenti)56.
Nel nuovo Testo unico, ora, la materia è regolata dall’art. 37, comma 7, che recita: “L’indennità è ridotta ad un
importo pari al valore indicato nell’ultima dichiarazione o denuncia presentata dall’espropriato ai fini dell’imposta
comunale sugli immobili prima della determinazione formale dell’indennità nei modi stabiliti dall’art. 20, comma 3, e
dall’art. 22, comma 1, qualora il valore dichiarato risulti contrastante con la normativa vigente ed inferiore
all’indennità di espropriazione come determinata in base ai commi precedenti”.
La nuova previsione, al di là delle diverse espressioni utilizzate, introduce di fatto una rilevante novità in
quanto, ora, il raffronto con il valore dichiarato ai fini ICI potrà essere preso in considerazione soltanto se
questo risulti inferiore alla indennità di esproprio in quanto determinato attraverso modalità difformi da quelle
previste dalla vigente normativa.
Questa correzione va a risolvere talune distorsioni provocate dalla previgente disposizione di legge in virtù
della quale poteva ben accadere che, pur dichiarando ai fini ICI valori adeguati alla normativa di pertinenza, gli
stessi potevano comunque risultare inferiori alla indennità liquidata per l’espropriazione.
Alcune riflessioni devono poi essere riferite alle ipotesi in cui accada che il contribuente:
-
abbia provveduto alla presentazione tardiva della dichiarazione o denuncia ICI. Non concretizzandosi
alcuna fattispecie omissiva, nella determinazione della indennità di espropriazione si dovrà, a mente
della richiamata disposizione contenuta nel comma 7 dell’art. 37, sicuramente tener conto degli elementi
in essa contenuti;
-
non abbia ancora57 presentato alcuna dichiarazione o denuncia ICI pur avendo, comunque, provveduto al
versamento della relativa imposta dovuta. In tal caso si ritiene giustificato il riferimento, per
l’applicazione della predetta riduzione della indennità di espropriazione al valore correlato ai versamenti
fatti ai fini dell’Imposta comunale;
-
non abbia presentato alcuna dichiarazione o denuncia ICI e non abbia nemmeno versato la relativa
imposta dovuta.
Nel vigore della previgente disciplina, la Corte di Cassazione, sezione I civile, con sentenze n. 5283 del 22
aprile 2000 e n. 5933 del 10 maggio 2000, ha ritenuto inapplicabile la previsione di cui al primo comma
dell’art. 16 citato58.
Sentenza n. 18522 del 20 settembre 2005.
Nel caso di espropriazioni per pubblica utilità relative a qualsiasi altra tipologia di immobile, sempre secondo l’abrogata disposizione
normativa, l’indennità doveva essere maggiorata di un importo pari alla differenza tra l’imposta versata dall’espropriato o dal suo dante
causa negli ultimi 5 anni e l’imposta che doveva essere versata sulla base della stessa indennità di espropriazione. Tale previsione è stata
ripresa, quasi pedissequamente dal comma 8 dell’art. 37 del Testo Unico
57 Si tenga anche conto della peculiare struttura del tributo comunale, che viene versato nello stesso anno di riferimento, ma con l’obbligo di
presentazione della dichiarazione, nell’esercizio successivo, entro la scadenza dei termini di presentazione della dichiarazione dei redditi.
58 L’ente espropriante, in tale circostanza, è stato costretto a corrispondere l’indennità nella misura prevista dall’art. 5 bis del decreto legge n.
333 del 1992, così come modificato dal comma 65 dell'art. 3 della legge n. 662 del 1996 (norma, si ricorda, ora abrogata dal nuovo testo unico
in materia di espropriazione).
55
56
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Sul punto si ritiene, considerate le novità recate dal TUME, che non ci si possa discostare dalla soluzione
adottata dal predetto organo giurisprudenziale di legittimità nelle predette pronunce.
Nei Comuni che ai sensi dell’art. 59, comma 1, lettera l), numero 1, del D.Lgs. n. 446 del 1997 hanno adottato,
nel proprio regolamento, l’obbligo della comunicazione in sostituzione dell’obbligo di presentazione della
dichiarazione o denuncia, si farà riferimento, per l’adozione dei correttivi appena illustrati, ai dati in essa
compendiati.
Un’altra questione che si ritiene utile segnalare e che riveste ancora un forte interesse riguarda la tematica della
soggettività passiva – in materia di ICI, ma anche in relazione alle altre imposte ordinariamente dovute sugli
immobili – del proprietario del fondo espropriato, nel caso in cui l’Ente espropriante proceda all’occupazione
d’urgenza dell’area prima dell’emanazione del decreto di esproprio (si pensi a ciò che avveniva in passato nelle
ipotesi in cui si verificava la cd. accessione invertita).
In relazione a tali circostanze , la giurisprudenza a vario livello59 ha sancito che il soggetto privato perde la
disponibilità materiale dell’immobile e, pertanto, l’imposta (il tributo oggetto delle pronunce è proprio
l’imposta comunale sugli immobili, ma il principio può senz’altro avere una portata più generale) non è più
dovuta dal momento di inizio dell’occupazione appropriativa e ciò a prescindere dal fatto che il decreto di
esproprio non sia stato ancora notificato60.
La linea conduttrice alla base del predetto orientamento giurisprudenziale pare, in sostanza, essere ispirata alla
tesi secondo la quale, a seguito dell’occupazione d’urgenza, il soggetto privato assuma una posizione giuridica
assimilabile a quella del “nudo proprietario” e come tale estraneo ad ogni prelievo fiscale.
Ad esempio sempre in materia di accessione invertita non si può non considerare che, ove un immobile sia stato
trasformato in modo irreversibile, il suolo espropriando debba essere ritenuto a tutti gli effetti di proprietà della
P.A. espropriante61.
Non è mancato, tuttavia, un indirizzo giurisprudenziale radicalmente opposto secondo cui il predetto effetto
ablativo si verificherebbe soltanto successivamente alla emanazione del decreto di esproprio62 e solamente in
presenza di formale ed efficace dichiarazione di pubblica utilità e di termini certi di inizio e conclusione
dell’opera pubblica63.
Sempre in tema di ICI, si è sostenuto64, poi, che, in base all’art. 3 del D.Lgs. n. 504 del 1992, ai fini
dell’applicazione del tributo assumono la qualità di contribuenti i proprietari ed i titolari di diritti reali di
godimento (uso, abitazione, usufrutto, enfiteusi, superficie).
Talché, nel caso di occupazione finalizzata alla espropriazione di un terreno, durante il periodo che intercorre
dall’inizio della procedura, fino alla data di emanazione del decreto di espropriazione (e, pertanto, fino alla
data di effettivo trasferimento della proprietà del bene), il soggetto espropriato non si può sottrarre
all’imposizione comunale65. Del resto – si soggiunge – che il tributo in questione (l’ICI) ha carattere reale e
patrimoniale perché incide sui beni immobili appartenenti al contribuente a titolo di proprietà o di uno dei
citati diritti reali di godimento66.
Ciò premesso, conclusivamente, si coglie l’opportunità per evidenziare che le cennate problematiche, in virtù
delle innovazioni recate dal TUME, dovrebbe ro subire quantomeno una considerevole attenuazione poiché,
come detto, in base allo stesso Testo unico, l’emanazione e l’esecuzione del decreto di esproprio e, pertanto, il
conseguente effetto ablativo sulla proprietà del bene, dovrebbe avvenire in tempi più ridotti.
Tuttavia, non si può escludere che problematiche di analogo tenore possano sorgere – soprattutto a causa delle
disposizioni contenute nel controverso art. 22 bis dello stesso TUME – in tutti i casi di occupazione e detenzione
sine titulo di un area da espropriare.
Consiglio di Stato, 7 febbario 1996, n. I, Cass. SS.UU. n. 12546 del 25 novembre 1992, n. 4182 e 1885, rispettivamente, del 13 maggio 1997 e
21 febbraio 1998.
60 Cfr. “L’esperto risponde – Il SOLE24ORE”, edizione del 26 giugno 2000, risposta al quesito n. 2536.
61 Cass. n. 8951 del 28 agosto 1998.
62 Cass. n. 1430 del 9 febbraio 2000.
63 Cass. n. 4477 del 13 aprile 1992 e n. 1907 del 4 marzo 1997.
64 Cfr.: “ILSOLE24ORE”, “L’Esperto Risponde”, n. 70, del 5 settembre 2005, risposta al quesito n. 3628.
65 Cfr.: Commissione tributaria regionale Lazio, sezione XXXI, sentenza n. 7 del 21 aprile 2004.
66 Cfr.: Corte Costituzionale, sentenza n. 111 del 22 aprile 1997, Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza n. 18549 del 4 dicembre
2003.
59
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5.
L’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, di registro, ipotecaria, catastale e di bollo in caso di
espropriazione.
In materia di IVA vi è, preliminarmente, da considerare che il trasferimento di beni in dipendenza di un’attività
espropriativa a favore della Pubblica Amministrazione assume rilevanza, costituendo un’operazione
imponibile (cessione di beni), ai fini del tributo, soltanto nel caso in cui il cedente (il soggetto espropriato) sia un
soggetto IVA.
A tal riguardo, nella Risoluzione ministeriale del 10 ottobre 1990, prot. n. 430797 si legge che “… le somme
corrisposte dal comune a titolo di indennità di occupazione hanno natura risarcitoria, per cui non configurando una
controprestazione di una operazione rilevante ai fini Iva, sono da considerare fuori del campo di applicazione del tributo”.
“Per quanto concerne, invece, le altre somme erogate a fronte dell’acquisizione di macchine, mobili, attrezzature, ovvero a
titolo di indennità di esproprio di beni immobili, ritiene la scrivente che tali importi siano da assoggettare regolarmente ad
Iva, trattandosi di corrispettivi di operazioni imponibili, poste in essere da un soggetto Iva. Infatti, l’art. 13, comma 2,
lettera a), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, stabilisce che per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi dipendenti da
atto della pubblica autorità i corrispettivi, che vanno a formare la base imponibile, sono costituiti dall’indennizzo
comunque denominato. Per quanto concerne, poi, il momento in cui sorge l’obbligazione tributaria, connessa con
l’effettuazione delle operazioni, l’art. 6, comma 2, lettera a), del citato D.P.R. n. 633 del 1972, dispone che, per le cessioni di
beni per atto della pubblica autorità, l’operazione si considera effettuata all’atto del pagamento del corrispettivo, per cui a
tale momento va ricondotto l’obbligo dell’emissione della relativa fattura”67.
Per ciò che concerne poi l’applicazione delle altre imposte indirette, con la Risoluzione n. 254 del 31 luglio 2002,
l’Amministrazione finanziaria, in ordine a taluni dubbi interpretativi segnalati circa l’applicazione delle
imposte di registro, ipotecaria e catastale, nonché relativamente all’applicazione dell’imposta di bollo, sugli atti
connessi all’espropriazione per pubblica utilità, ha chiarito che:
-
ai fini dell’imposta di registro, la tassazione di atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni
immobili in genere, se il trasferimento avviene a favore di Enti pubblici territoriali (Comuni, Province,
Regioni), è prevista – dall’art. 1, settimo periodo, della Tariffa allegata al Testo Unico delle disposizioni
concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 – l’imposta in misura fissa di
euro 129,11.
Inoltre l’art. 57, comma 8 dell’appena citato Testo Unico stabilisce l’esenzione per gli atti di
espropriazione per pubblica utilità, se espropriante o acquirente è lo Stato.
Nella R.M. n. 72 del 28 maggio 2001 viene inoltre chiarito che “Per poter fruire del regime esentativo … è
necessario che in relazione agli immobili oggetto delle cessioni di cui si tratta sia già in corso un procedimento
espropriativo per pubblica utilità e che l’acquirente non sia un soggetto diverso dal beneficiario del procedimento di
espropriazione”.
Talune ulteriori precisazioni in ordine alla portata applicativa dell’art. 57, comma 8, in discorso – con
particolare riferimento alle ipotesi nelle quali il soggetto che abbia dato inizio alla procedura
espropriativa risulti distinto da quello che ne riceve la effettiva disponibilità68 – sono rinvenibili, poi, nella
R.M. n. 46/E del 13 aprile 2005;
-
per quanto concerne le imposte ipotecarie e catastali la stessa esenzione, se l’atto è a favore dello Stato, è
prevista rispettivamente nell’art. 1, comma 2 (ipotecaria) e nell’art. 10, comma 3 (catastale) del Testo
Unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecari e catastali, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n.
347.
Nell’ipotesi, invece, di atti a titolo oneroso a favore di Regioni, Province e Comuni e altri Enti pubblici
territoriali, l’art. 2 della tariffa dello stesso Testo Unico per l’imposta ipotecaria prevede il pagamento in
misura fissa di euro 129,11 mentre il successivo art. 10 stabilisce per le volture catastali l’imposta del 10
per mille sul valore dei beni immobili;
-
per l’imposta di bollo, la giurisprudenza ha attribuito alla cessione volontaria effettuata nell’ambito del
procedimento di espropriazione la natura di contratto di diritto pubblico. Essa pertanto è sostanzialmente
equipollente al provvedimento ablativo ed i suoi effetti risultano analoghi a quelli propri del decreto di
Viene poi chiarito che “… qualora nella prospettata fattispecie possa riconoscersi non la cessione di singoli beni, ma la cessione di azienda o complesso
aziendale, relativo ad un ramo dell’impresa, sia pure attraverso l’atto d’imperio della pubblica autorità, l’operazione risulterà fuori dell’ambito applicativo
dell’Iva, ai sensi dell’art. 2, comma 3, lettera b), del cennato D.P.R. n. 633 del 1972, rimanendo assoggettata all’alternativo tributo di registro”.
68 Sul punto vgs., inoltre, “La tassazione dei terreni – Imposte erariali e locali. Profili amministrativi e fiscali”, di Gianfranco Antico e Fabio
Carrirolo, in allegato a “IL FISCO”, n. 46, del 13 dicembre 2004, pag. 16526 e ss.
67
pagina 21 di 22
espropriazione69. Ai fini dell’imposta di bollo, di cui al D.P.R. n. 642 del 26 ottobre 1972, infatti, “gli atti e
documenti relativi alla procedura di espropriazione per causa di pubblica utilità promossa dalle Amministrazioni
dello Stato e da enti pubblici, compresi quelli occorrenti per la valutazione o per il pagamento di indennità di
espropriazione”, per effetto dell’art. 22 della Tabella allegato B, sono esenti dall’imposta.
Una siffatta ricostruzione legislativa risulta confermata, a parere dell’Amministrazione finanziaria, anche dalle
previsioni, concernenti la possibilità di stipulare accordi di cessione bonaria nel corso di procedimenti
espropriativi, contenute nello stesso TUME.
Pertanto, i contratti di cessione volontaria stipulati nell’ambito del procedimento di espropriazione per pubblica
utilità:
-
sono sempre esenti dall’imposta di bollo;
-
se l’acquirente è lo Stato sono esenti dalle imposte di registro, ipotecaria e catastale;
-
se acquirenti sono gli enti pubblici territoriali, sono soggetti all’imposta fissa di registro e ipotecaria e
all’imposta catastale in misura proporzionale.
Circa la tassazione, ai fini dell’imposta di registro, dell’indennità di temporanea occupazione – da
corrispondere al proprietario dell’immobile espropriato, a titolo di indennità per il mancato godimento del
periodo che va dalla data di inizio occupazione fino alla data della traslazione – occorre richiamare l’attenzione
sul contenuto della R.M. n. 251543 del 21 gennaio 1977 dell’allora Direzione generale tasse e imposte indirette
sugli affari, in base alla quale detto corrispettivo viene assimilato a quello delle locazioni immobiliari,
riservando allo stesso la medesima relativa aliquota (0,50% se si tratta di locazione di fondi rustici, 2% in ogni
altro caso)70.
Interessante e coerente con le predette statuizioni la soluzione interpretativa fornita dall’Amministrazione
finanziaria con la R.M. n. 208/E del 7 novembre 2003, in base alla quale per gli atti di espropriazione di
pubblica utilità o di trasferimento coattivo della proprietà o di diritti reali di godimento, nonché per le cessioni
volontarie di immobili a favore di una società per azioni sorta nell’ambito della privatizzazione di un ente
territoriale, sono dovute – in via ordinaria – l e imposte di registro, ipotecaria e catastale, anche se la neocostituita S.p.A. risulta controllata indirettamente da un individuato Dicastero.
Non risulta applicabile, alla predetta fattispecie, infatti l’articolo 57, comma 8, del D.P.R. n. 131 del 1986
(esenzione dall’imposta di registro se l’espropriante o l’acquirente è lo Stato), in quanto, secondo la richiamata
pronuncia, è venuto meno il controllo diretto dello Stato, la cui sussistenza avrebbe, al contrario, consentito il
ricorso alla disciplina agevolativa.
69
70
Cass. 18 luglio 1994, n. 6710; Cass. 12 luglio 1994, n. 6554; Cass. 6 dicembre 1984, n. 6424
Cfr. il lavoro richiamato in nota n. 68.
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