I sentieri della luce.
La diffrazione da Padre Grimaldi ad oggi.
Franco Gori
Dipartimento di Fisica.
Università Roma Tre.
I fenomeni luminosi sono quelli cui è associato il massimo trasporto di
informazione per gli esseri umani.
E’ chiaro allora come essi siano stati sempre considerati della massima
importanza e studiati con estrema cura.
La natura di questi fenomeni è peraltro abbastanza complessa e inoltre,
per molto tempo, non c’è stata una chiara distinzione fra fenomeni ottici
nel senso della fisica e fenomeni della visione.
Per dare un’idea delle difficoltà concettuali che si incontrarono è possibile citare
una teoria della visione, che si sviluppò nel mondo greco antico, secondo la
quale l’occhio umano aveva un ruolo “attivo” nel processo di visione.
Infatti dall’occhio uscivano delle sorte di tentacoli che andavano a sondare gli
oggetti di interesse e trasmettevano all’osservatore le informazioni relative
alla forma degli oggetti stessi.
In seguito questa confusione fra fenomeni percettivi e fenomeni
fisici fu superata. Fu introdotto i modello dei “raggi luminosi” e si
sviluppò una prima forma di ottica geometrica. Ciò permise di dare
una buona descrizione dei fenomeni di riflessione e rifrazione.
La maturità di questi studi si ebbe molto tempo dopo, nel
Rinascimento, con gli studi sulla prospettiva.
Qui è riprodotto un celebre dipinto, noto come La città ideale (1480-1490), del
cosiddetto Anonimo Fiorentino, che è chiaramente uno studio prospettico.
Grazie a questi studi si ideò anche un ausilio tecnico per i pittori, detto camera
oscura.
Possiamo pensare alla camera oscura come a una macchina
fotografica che abbia un forellino al posto dell’obbiettivo. Da ogni
punto dell’oggetto è emesso un insieme di raggi luminosi, cioè di
linee, che sono rette in un mezzo omogeneo, e che si propagano in
tutte le direzioni. La camera oscura intercetta i raggi emessi dai punti
oggetto e passanti per il forellino. Tali raggi formano un’immagine
dell’oggetto.
Il forellino della camera oscura ha in realtà una certa
estensione e quindi intercetta tutto un cono di raggi.
Grossolanamente parlando, il piano di raccolta intercetta un disco
luminoso che è la sezione del cono di raggi accettati dal foro. Dunque
un generico punto oggetto produce nell’immagine un dischetto
anziché un punto. Questo limita la qualità dell’immagine che appare,
usando un termine fotografico, un po’ sfocata. Tanto più sfocata
quanto maggiore è il diametro del forellino. Allora per migliorare la
qualità dell’immagine basta ridurre il diametro del forellino.
Certo, passerà meno luce, ma oggi questo non costituisce un
problema: sul piano di raccolta mettiamo una pellicola fotografica
(o una lastra o un CCD) e lasciamola esposta alla luce per il tempo
necessario per impressionarla. Riduciamo progressivamente il
diametro del forellino aumentando contemporaneamente il tempo di
esposizione. Ci aspettiamo che la qualità dell’immagine, diciamo la
sua nitidezza, diventi sempre più elevata via via che si riduce il
diametro del foro.
Invece succede una cosa inattesa: a partire da un certo diametro del
foro ci accorgiamo che una riduzione del diametro dà luogo a
un’immagine meno nitida. Cosa sta succedendo? Riferiamoci a un
solo punto dell’oggetto, anzi, pensiamo che tutto l’oggetto si
riduca a un solo punto. Esso dava luogo, quando il diametro del
foro era abbastanza grande, ad un disco sul piano immagine, la
sezione del cono di raggi intercettati dal piano immagine. Ciò di
cui c’accorgiamo è che, se il diametro del foro si riduce troppo, il
disco luminoso nell’immagine ricomincia a crescere di diametro.
La previsione geometrica non è più rispettata!
Si sta evidenziando un nuovo fenomeno luminoso: la Diffrazione.
Descritta da Padre Francesco Grimaldi nel testo “Physico-Mathesis de
lumine, coloribus et iride”, uscito nel 1665, la diffrazione è una
manifestazione della natura ondulatoria della luce, cioè del fatto che la
radiazione luminosa (e più in generale elettromagnetica, pensiamo alle
onde della radio, della televisione, dei nostri cellulari) è costituita da
onde simili, in tre dimensioni, a quelle che vediamo sulla superficie di
un liquido che sia stata perturbata, per es., dalla caduta di un sasso.
Si parla di fenomeni di diffrazione tutte le volte che il comportamento
dei raggi luminosi si discosti dal comportamento rettilineo senza che
questo possa essere interpretato mediante le leggi dell’ottica
geometrica.
Molto probabilmente alcuni di voi si staranno chiedendo: ma io ho
mai visto un fenomeno di diffrazione? La risposta è positiva perchè
certo tutti quanti se avete maneggiato un compact disc. Avete
presente tutte quelle luci colorate che sono prodotte da un CD
illuminato? Ebbene sono prodotte da un fenomeno di diffrazione.
Potete rendervene conto osservando la luce “riflessa” da un CD su un
foglio di carta. Vi accorgerete che il CD produce un fascio di luce
bianca riflessa e due fasci che non seguono l’ottica geometrica.
Questi due sono colorati perchè ogni colore viene diffratto secondo
un diverso angolo.
L’origine di questo particolare fenomeno di diffrazione sta nel fatto
che la superficie riflettente del CD non è uniforme (come sarebbe in
uno specchio) ma modulata secondo il segnale (audio o video) che è
stato registrato. E’ come se ci fossero dei piccoli solchi disposti
lungo un cammino a spirale che copre il CD. Sono loro che
diffrangono la luce.
Ci sono altri esempi che erano disponibili molto prima che i CD
venissero inventati. Guardate un fanale, di sera, attraverso la tendina
di una finestra. Noterete, se la trama della tendina è abbastanza fitta,
che oltre all’immagine diretta, del colore (bianco, giallo) della luce
emessa dal fanale, si vedono altre immagini, iridescenti, che
provengono da direzioni diverse da quella della luce diretta del
fanale. Tali immagini sono dovute alla luce diffratta.
L’origine del fenomeno è semplice da capire anche se i calcoli da
fare per predire l’andamento specifico possono essere onerosi. Il
punto essenziale è che la radiazione ottica si propaga per onde.
Solo in modo approssimato possiamo descrivere il suo
comportamento in termini di raggi.
Facciamo riferimento al caso in cui un fascio di raggi paralleli
incide su uno schermo opaco che presenti un forellino. Non
sorprende che, se il foro è sufficientemente piccolo, la radiazione
che si propaga oltre lo schermo si comporti come un’onda
approssimativamente sferica. L’onda è “diffratta” e si propaga
anche in direzioni diverse da quella originale dei raggi paralleli.
Si capisce facilmente come i fenomeni di diffrazione si manifestino in
tutti gli strumenti ottici. In effetti, le prestazioni di tali strumenti, sono
limitate dalla diffrazione.
Accanto ad aspetti negativi, i fenomeni di diffrazione offrono aspetti
positivi. Un esempio importante è offerto dall’olografia che è un
metodo di registrazione dei campi luminosi.
Va osservato che la registrazione fotografica immagazzina la
distribuzione d’intensità nell’immagine prodotta da un obbiettivo e
quindi dall’oggetto visto sotto un certo angolo e solo quello.
Un ologramma, cioè l’oggetto prodotto usando la tecnica nota
come olografia, immagazzina la radiazione che piove su una certa
area, quella dell’ologramma, su cui è disposta una lastra
fotografica (o più precisamente olografica, che significa ad
elevatissima risoluzione).
Illustriamo lo schema di registrazione con l’aiuto di una figura.
Il punto chiave è che l’ideatore dell’olografia, il premio Nobel D.
Gabor, trovò come si poteva immagazzinare il campo ottico
proveniente dall’oggetto avendo a disposizione un mezzo,
l’emulsione fotografica, che sente solo l’intensità, cioè il quadrato
del campo.
L’idea è che, se si aggiunge al campo d’interesse un altro campo,
l’intensità contiene un termine proporzionale al campo che interessa.
In formule
(A + B)2 = A2 + B2 + 2AB
Questa è la fase di registrazione dell’ologramma. Sull’emulsione
fotografica rimane impressionata la distribuzione d’intensità
complessiva.
Tale intensità cambia rapidamente nello spazio, per cui l’ologramma,
una volta impressionato, sviluppato e fissato, diffrange luce. Una parte
della luce diffratta riproduce esattamente il campo luminoso che
proveniva dall’oggetto. L’osservatore ha le stesse sensazioni visive
che avrebbe se l’oggetto fosse ancora presente.
Oltre agli scopi di immagazzinamento di immagini tridimensionali,
l’olografia è utilizzata per altre applicazioni. Qui ci limitiamo a
citare l’olografia a doppia esposizione. Supponiamo che su una
stessa lastra olografica siano registrati due ologrammi sovrapposti di
un oggetto. Il secondo ologramma venga fatto dopo che all’oggetto
sia stata applicata una sollecitazione (termica o meccanica) che
produca una minuscola deformazione punto per punto.
Quando si illumina la lastra (dopo la doppia esposizione e il
trattamento chimico), i due ologrammi rivivono insieme e avviene
automaticamente un confronto che evidenzia l’andamento della
deformazione nei vari punti.
L’esempio che segue si riferisce a un dipinto su tavola lignea, la Santa
Caterina di Pierfrancesco Fiorentino. L’analisi è volta a evidenziare la
presenta di eventuali distacchi testimoniati da un infittirsi delle linee di
deformazione.
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