Poste italiane SpA. Sped. in a.p. 70% - DCRB-Roma - Anno XXX - nuova serie - Periodico bimestrale - Supplemento al n. 107/108 della rivista il Ragazzo Selvaggio CINEMA, TELEVISIONE E LINGUAGGI MULTIMEDIALI NELLA SCUOLA 107/108 SETTEMBRE-DICEMBRE 2014 Supplemento Tutti i film per la scuola SOMMARIO pagina 5 Belle & Sébastien E D ITO R IALE 01 Carlo Tagliabue 01 12 anni schiavo A proposito di Davis / A spasso con i dinosauri The Act of Killing / The Amazing Spider-Man 2 Il potere di Electo Anita B. / Anni felici Belle & Sébastien / Bling Ring C’era una volta a New York / Il capitale umano Capitan Harlock / Captain Phillips Attacco in mare aperto Il castello magico / Cattivissimo Me 2 La città incantata / The Congress I corpi estranei / Dallas Buyers Club Disconnect / Father and Son Foxfire - Ragazze cattive / Frozen - Il regno del ghiaccio Fuoriscena / Giraffada pagina 6 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 T U T T I I F I L M D E L L’A N N O P E R L A S C U O L A 12 13 27 28 29 30 31 32 33 Principessa Mononoke / Pulce non c’è Saving Mr. Banks / Smetto quando voglio Snowpiercer / I sogni segreti di Walter Mitty Solo gli amanti sopravvivono / Still Life Storia di una ladra di libri / Il Sud è niente Tutto sua madre / Vado a scuola La vita di Adele / X-Men - Giorni di un futuro passato pagina C’era una volta a New York 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 10 Dallas Buyers Club Godzilla / Grand Budapest Hotel Gravity / Hannah Arendt Ida / In grazia di Dio Incompresa / Un insolito naufrago nel tranquillo mare d’Oriente Jersey Boys / Jimmy P. Khumba - Cercasi strisce disperatamente / The Lego Movie Lei / Locke La mafia uccide solo d’estate / Maleficent Maps to the Stars / La mia classe Monuments Men / Mr. Peabody e Sherman National Gallery / Il passato Peppa, vacanze al sole e altre storie / Philomena 26 Piccola patria / La prima neve pagina 11 Father and Son AUTORI SCHEDE m.a. f.b. p.c. t.c. l.c. c.d. d.d.g. a.f. m.gn. g.g. e.g. s.g. l.g. a.l. m.m. pagina Matteo Angaroni Franco Brega Patrizia Canova Tullia Castagnidoli Luisa Ceretto Carla Delmiglio Davide Di Giorgio Anna Fellegara Marzia Gandolfi Giuseppe Gariazzo Elio Girlanda Silvio Grasselli Leonardo Gregorio Alessandro Leone Minua Manca 5 a.ma. m.mo. a.m. g.p. m.g.r. s.s. f.s. a.s. c.t. f.v. c.m.v. Angela Mastrolonardo Michele Moccia Alessandra Montesanto Grazia Paganelli Maria Grazia Roccato Silvia Savoldelli Francesca Savino Andreina Sirena Carlo Tagliabue Flavio Vergerio Cecilia M. Voi pagina 9 La città incantata Bling Ring In copertina: Maleficent di Robert Stromberg Usa 2014. EDITORIALE A N N U A R I O 2 0 14 N onostante le ristrettezze economiche abbiamo voluto mantenere anche quest’anno l’appuntamento con l’Annuario dei Film per la Scuola (Stagione 2013/2014), un servizio ai lettori che proponiamo da una diecina d’anni. Come l’anno passato lo mettiamo a disposizione degli interessati solo in versione digitale (PDF), supplemento al numero della Rivista 107/108. È scaricabile gratuitamente dal Sito del Centro Studi Cinematografici. Oltre ai titoli e ai temi cui fanno riferimento i film scelti - i quali confermano come il cinema sia ancor oggi uno strumento particolarmente utile per riflettere in ambito educativo su argomenti importanti e attuali - ricordiamo che nel corso dell’annata sono tornati in sala molti film cosiddetti classici che possono essere opportunamente visti e discussi nella scuola o in altri ambienti culturali. Tra i più interessanti, che abbiamo schedato nelle pagine della nostra rivista da gennaio ad agosto, ricordiamo: Ninotchka di Ernst Lubitsch, Il delitto perfetto di Alfred Hitchcock, La febbre dell’oro di Charlie Chaplin, Roma città aperta di Roberto Rossellini, La grande illusione di Jean Renoir, Hiroshima mon amour di Alain Resnais, Chinatown di Roman Polanski, Per un pugno di dollari di Sergio Leone. L’8 dicembre arriverà anche Tempi moderni di Charlie Chaplin. CARLO TAGLIABUE DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 12 anni schiavo 12 Years a Slave Nel 1841, prima della guerra di Secessione, Solomon Northup, talentuoso violinista di colore, vive libero nella contea di Saratoga con la moglie Anne e i figli Margaret e Alonso. Ingannato da due falsi agenti di spettacolo, viene rapito, privato dei documenti e portato in Louisiana dove rimarrà in schiavitù fino al 1853, cambiando per tre volte padrone e lavorando principalmente nella piantagione di cotone del perfido schiavista Edwin Epps. Nel dodicesimo anno della sua terribile odissea l’incontro casuale con l’abolizionista canadese Samuel Bass rappresenta per lui la salvezza. Tornato a casa, ritrova la moglie e i figli adulti. Prima dei titoli di coda veniamo a conoscenza delle sue inutili battaglie legali contro i rapitori e dell’impegno abolizionista che contraddistinse gli anni successivi alla sua drammatica esperienza da cui trasse il libro autobiografico 12 Years a Slave. r. Steve McQueen or. Usa 2013 distr. Bim dur. 133’ L a storia descrive il passaggio dalla libertà alla schiavitù di Solomon Northup, che vive un’esperienza ancora più drammatica, la differenza tra lui e chi non ha mai conosciuto una vita normale. Una consapevolezza terribile che lo pone di fronte a difficili scelte, a contraddizioni che lacerano l’anima: la crisi di identità (è costretto a cambiare nome), il tradimento, la brutalità dei rapporti, l’aggrapparsi alla fede per non soc- combere. Con una sceneggiatura solida ma tradizionale il regista non tralascia alcune sequenze di duro impatto: il piano sequenza della tentata impiccagione di Solomon, immersa in un silenzio ‘assordante’ rotto dal fruscio dei piedi inerti dell’uomo sul terreno, mentre intorno si svolge la normale vita di lavoro. O le carni lacerate dalla frusta sulla nuda schiena della schiava Patsey. Ma tutto il film è percorso da uno sguardo insistente su una violenza sottile e crudele, sullo strazio dei corpi e delle anime, una sofferenza insopportabile perché vera, perché accaduta. Anche l’ambiente esterno presenta aspetti insoliti: c’è qualcosa di inquietante nel rigoglio delle piantagioni, una prigione a cielo aperto dove, assenti gli animali, gli schiavi fanno anche il lavoro del bestiame. La natura non può dare alcuna gioia. Ma non per questo è meno bella, nei profili dei salici, nelle anse dei canali, nei campi di cotone, nel verde intrico delle canne, dove gli schiavi lavorano incessantemente, accompagnandosi con le loro struggenti canzoni. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 104, p.18 e 19. m.m. numero 107/108· settembre-dicembre 2014 1 DAI 14 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 A proposito di Davis Inside Llewyn Davis DAGLI 8 ANNI Greenwich Village, 1961. Llewyn Davis è un giovane musicista folk che ha inciso un disco ma non riesce a essere incisivo nella vita. Afflitto da una sfortuna cosmica e perduto dentro un rigoroso inverno newyorkese, con un gatto rosso e l’inseparabile chitarra in mano, Llewyn dorme dove può e quasi sempre sui divani di amici occasionali. Stanco di barcamenarsi tra il manager e la sorella, i Cafè del Village e un’ex amante incinta, che lo vorrebbe morto e si mette col tipo d’uomo che lui detesta di più (il cantante ‘carrierista’), accetta un passaggio per Chicago. Deciso a procurarsi l’occasione che può cambiargli la vita, fa un’audizione con l’impresario musicale Bud Grossman. Ma il nostro (anti)eroe non ha veramente alcuna speranza, tutto il mondo lo disprezza e lo congeda (la sua metà artistica si è suicidata dal ponte sbagliato), condannandolo a un’erranza che lo ricondurrà al punto di partenza. 2 r. Joel ed Ethan Coen or. Usa 2013 distr. Lucky Red dur. 105’ N ella New York del 1961 si muove un musicista folk di indubbio talento e sfacciata sfortuna che va ad allungare la fila dei loser dei Coen. Lo spettatore lo conosce sul retro del Gaslight Cafè, dove si fa picchiare e comincia la sua odissea in compagnia di una chitarra e di un gatto rosso. Llewyn e Gatto espandono la loro odissea oltre i confini della città e dentro la parte più surreale del film, desaturata in una gamma di grigi bruni e A spasso con i dinosauri Un ragazzino disinteressato a un dentone di gorgosauro cambierà idea quando un uccellino, un Alexornis, gli racconterà l’incredibile storia di Patchi, un pachyrinosauro vissuto 70 milioni di anni fa. È fragile, ma sa lottare già dal nido. Durante Il lungo inverno s’incamminerà con la famiglia, migliaia di dinosauri e la giovane femmina Ginepro nella prima migrazione verso sud. Dovrà affrontare pericoli ambientali, feroci predatori, le logiche di branco per conquistare il dominio e il diritto alla riproduzione. Separato da tutti, dovrà crescere in fretta e imparare che non basta la forza fisica per sopravvivere. Dopo una serie di avventure, ritroverà Ginepro e il fratello,con cui avrà un ultimo scontro per conquistare la femmina e diventare capo del branco. E il ragazzino dell’inizio correrà d’ora in poi al museo per fantasticare su ciò che resta dei dominatori del pianeta. numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 r. Neil Nightingale, Barry Cook or. Usa/ Gran Bretagna/Australia 2013 distr. 20th Century Fox dur. 87’ D a una serie televisiva BBC di successo un film dalla natura non definibile, da ammirare per l’impianto visivo, il supporto scientifico e il chiarissimo obiettivo didattico, ma povero di emotività, troppo semplice nell’impianto narrativo per catturare un pubblico più ampio di quello infantile. È una classica storia di formazione inserita in un contesto documentario, una contaminazione tra i due generi che può rafforzare l’efficacia educativa, attraverso la prassi dell’insegnare divertendo, ma può verdi smorzati. Un viaggio verso il Midwest raggelato che gli dirà (ancora) picche e lo restituirà ai fumosi locali del Village, bistrattato e sopraffatto da una relazione irrisolta col successo. Perché non c’è crescita verticale nel cinema dei Coen, che non aspira a una consequenzialità evolutiva ma all’espansione orizzontale rivolta all’infinito. Liberamente ispirato al memoir di Dave Van Ronk (The Mayor of MacDougal Street), folk singer degli anni Sessanta, A proposito di Davis ricostruisce luoghi, atmosfere, rivalità e condizioni metereologiche del Village bohémien, prima del folk di Bob Dylan. Costruito come una canzone, strofa, refrain, strofa, refrain, la commedia esistenziale e (musicale) dei Coen ci racconta la settimana di un uomo condannato a errare dentro un limbo di talento senza successo. I registi mettono in scena il suo percorso con fluidità, emozionando, divertendo, confondendo le carte e restituendo con straordinaria acutezza una scena musicale mossa nell’ombra e sotto cieli gelati. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 104, p. 14 e 15. m.gn. anche essere un punto di debolezza nei confronti del prodotto film. Narrazione e divulgazione si snodano in un contesto che non perde mai di vista un livello impressionante di realismo che garantisce l’effetto immersione nel Cretaceo dell’Alaska. Fondali ripresi dal vivo, computer grafica, animazione, supportati dalle più recenti scoperte paleontologiche. Le diverse specie sono presentate ciascuna da cartelli descrittivi. Un livello realistico e scientifico raffinati. Tante nozioni organizzate in una vicenda che tuttavia non colpisce per originalità. Quattro personaggi affrontano tremende avventure, in cui a volte il dramma e la paura ancestrale prendono il sopravvento. Un’ironia costante nel dialogo, trovate umoristiche per alleggerire, portano avanti una vicenda saldamente ancorata alla realtà animale. Prevale il carattere documentario, l’intento educativo di un film, che con leggerezza vuole accendere la curiosità, spingere i bambini al museo. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n.104, p.34. ca.de. DAI 12 ANNI DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 The Act of Killing Il giovane Joshua Oppenheimer cerca i protagonisti della repressione anticomunista che tra il 1965 e il 1966 investì l’Indonesia dopo il fallimento di un colpo di stato. Oppenheimer segue tre dei più efferati assassini al soldo dell’esercito, tuttora ritenuti eroi nazionali e ancora coinvolti in violenze e collusioni con i politici al governo e con l’esercito; li segue mentre si inoltrano in un dispositivo di reviviscenza e rimemorazione (reenactment) che li condurrà verso esiti tutt’altro che prevedibili. I tre sono invitati a partecipare da interpreti protagonisti a una sorta di mini-kolossal cinematografico che ufficialmente deve ricostruire, tra realismo truculento e metafora grottesca, i riti di sangue compiuti senza freno dalle milizie anticomuniste. Lungo il percorso il documentarista segue le vite dei tre raccogliendone routine familiari, racconti memoriali - per lo più aneddoti tragici - e vita pubblica. r. Joshua Oppenheimer or. Danimarca/ Norvegia/Gran Bretagna 2012 distr. I. Wonder Pictures dur. 115’ P adrini e coproduttori del film sono Errol Morris e Werner Herzog. Nessuna meraviglia dunque che il giovane regista stabilisca con gli aguzzini suoi protagonisti un rapporto di reciproca fiducia e che poi lo gestisca con tanta scaltrezza e lucidità. Nessuna meraviglia neppure che il giovane apprendista dimostri una così esatta consapevolezza nell’uso della macchina cinema e un talento tanto vivace quanto rigoroso nella trasfigurazione del mondo. The Amazing Spider-Man 2 Il potere di Electro The Amazing Spider-Man 2 Peter Parker comunica a Gwen di voler troncare la loro relazione. Intanto Max Dillon, progettista della Oscorp, resta vittima di un incidente sul lavoro, che lo rende Electro. Spider-Man riesce però a fare in modo che sia rinchiuso nel Ravencroft Institute. Poi Peter incontra Harry Osborn, suo vecchio amico, che guida la Oscorp dopo la morte del padre. Harry ha la malattia di suo padre ed è convinto di poter guarire grazie al sangue di Spider-Man. Quando Peter rifiuta di donarglielo, preoccupato delle conseguenze che potrebbero essere mortali per l’amico, Harry libera Electro, recupera dalla Oscorp il siero degli esperimenti di genetica del Dottor Parker e se lo inietta diventando Goblin. Spider-Man deve battersi contro Electro e contro Harry/ Goblin e riesce a sconfiggerli senza evitare però che nello scontro perda la vita Gwen. r. Marc Webb or. Usa 2014 distr. Sony Pictures dur. 140’ I l nuovo The Amazing Spider-Man 2 – Il potere di Electro si apre come un film di fantasmi e di ombre da dissolvere e di cui liberarsi per continuare a vivere, per potersi dare un’identità o per poter abbracciare una volta per tutte la propria nello stesso mutamento del corpo. Marc Webb filma le inquietudini e le passioni di Peter guardando al cinema, alle sue immagini (imagines: fantasmi, Il film è un testo denso e intenso che può e deve esser letto a più livelli: sul piano narrativo e visivo Oppenheimer costruisce una piccola epopea paradossale e grandguignolesca, una ricostruzione del passato impastata con le pratiche del teatro contemporaneo e con la comunicazione televisiva (ma che gronda di riferimenti espliciti e diretti al cinema di genere del passato, dal musical al noir), una tragedia grottesca in cui un epos rovesciato e corrotto fa da specchio al diario di squallori esistenziali quotidiani. A innervare questo edificio vasto e articolato c’è poi una riflessione che si fa proprio mentre il cinema modifica la realtà, la rimastica, la costringe a uno spostamento: il cinema invita e decide la ripetizione ossessiva, la ricostruzione minuziosa, il ricordo, e li riproduce, li registra e li monta in una struttura che non si limita a serie cumulativa ma che funziona come intreccio che mentre raccoglie e aumenta la tensione emotiva lungo una successione lineare, tesse relazioni e rimandi tra i materiali che sceglie e riscrive. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 101/102, p. 30. s.g. ombre), e se ci si prova a raccontare di fantasmi e di ombre non può essere altrimenti, basterebbe entrare nella camera di Peter che, da sola, è anche un omaggio al cinema, per rivivere quel senso di invisibilità e il desiderio di voler, e volersi, vedere di più, come sembra raccontarci il poster di Blow-up di Michelangelo Antonioni. Poi i colori si incupiscono e riprende il furore della battaglia e della morte che aveva chiuso il precedente film. E quando tutto sembra essersi risolto la prova si fa ancora più dura nello scontro di Peter/Spider-Man contro Harry/Goblin dentro la torre, tra gli ingranaggi del grande orologio che sembra, anch’esso, metaforicamente uno spettro, quello del tempo che, di lì a poco, lascerà che si consumi il dramma della morte di Gwen. E un nuovo velo di ombre si stende sulla storia e sembra arrestare il passare del tempo e delle stagioni, come nella sequenza di Peter fermo davanti alla tomba di Gwen, oscurità che sembra voler avvolgere ogni atto di eroismo a venire. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 105, p. 4. m.mo. numero 107/108· settembre-dicembre 2014 3 DAI 16 ANNI DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 4 Anita B. Sopravvissuta ad Auschwitz dove ha assistito alla morte dei genitori, Anita viene ospitata dagli unici parenti rimasti in un villaggio della Cecoslovacchia. Si tratta della zia Monika, sorella del padre, che vive con il marito Aron, il figlioletto Roby e il fratello di Aron, il giovane Eli. La ragazza è accolta con freddezza, le viene proibito di parlare dell’esperienza trascorsa nel lager e di uscire di casa, perché priva di documenti. Nel paese i Cechi non vedono di buon occhio né gli Ebrei, avversati dal neo-regime comunista, né gli Ungheresi come la famiglia di Anita, considerati collaborazionisti dei nazisti. Anita tuttavia desidera mantenere viva la memoria del suo passato e, per trovare sollievo, lo racconta di nascosto con disegni e brevi storie a Roby, seppur troppo piccolo per capire. Attratta da Eli, oscuro e affascinante, inizia una storia d’amore fatta di passione e diffidenza. r. R. Faenza or. Italia/Ungheria 2013 distr. Good Films dur. 88’ R oberto Faenza riprende il racconto dove l’aveva lasciato ai tempi di Jona che visse nella balena. A vent’anni di distanza, troviamo la sedicenne Anita che va incontro, piena di speranza e voglia di vivere, al futuro che la attende in una famiglia, la sua, che dovrebbe amarla. Quello che trova è un altro inferno, sottile e trattenuto, ma non meno crudele di quello al quale è scampata. Anni felici 1974, Roma. Guido insegna all’Accademia di Belle Arti ed è lui stesso artista, con una forte attrattiva per i movimenti avanguardisti. Nel suo studio, però, crea oggetti di design che vende alle gallerie d’avanguardia, senza disdegnare la compagnia delle sue modelle. Sua moglie Serena, figlia di una solida famiglia di commercianti, lo ama appassionatamente ma, insicura per la gelosia, lo opprime facendolo spesso sentire incompreso e intrappolato. I loro figli, Dario e Paolo, rispettivamente di dieci e cinque anni, sono i testimoni involontari della loro irresistibile attrazione fisica, ma anche dei loro disastri, dei tradimenti, delle eterne trattative amorose. Quando Guido è chiamato per una performance alla Triennale di Milano, Serena stringe amicizia con la gallerista del marito che la invita ad andare con lei in Francia per una vacanza con un gruppo di femministe. Uscirà trasformata da questa esperienza, e così anche il suo modo di stare con Guido. numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 r. Daniele Luchetti or. Italia/Francia 2013 distr. 01 dur. 106’ I l titolo avrebbe dovuto essere Storia mitologica della mia famiglia, con l’intenzione dichiarata di raccontare una storia autobiografica nei modi e nelle forme, non solo nei dettagli narrativi e nella caratterizzazione dei personaggi, anche e soprattutto nello sguardo. Nel delineare la storia di un’estate nella vita di Guido e Serena il regista adotta il punto di vista del figlio maggiore Dario, di dieci anni, che osserva e segue da vicino Sceneggiato dal regista insieme all’autrice del libro, realmente sfuggita ai campi, e al marito Nelo Risi, psichiatra e fratello di Dino, il film si concentra sulle dinamiche psicologiche del ritorno alla normalità. Il fatto è che di normale non c’è più nulla, dopo che i confini dell’Europa sono stati ridisegnati e nuovi oppressori, i Russi, si fanno avanti. Questo spiega la figura ben tratteggiata di Eli, ragazzo sconvolto, privato di un’identità, che vive nella paura e la manifesta con l’aggressività e la repressione. Anita lo adora, lo segue, lo supplica, ma dovrà rendersi conto, nel suo personale viaggio di scoperta di sè, che questo non è amore. La strenua volontà di ricordare assume allora un preciso valore di formazione: attraverso il ricordo della deportazione Anita comprende la necessità di sottrarsi a ogni forma di violenza, di sfruttamento, di sopraffazione. Un impegno lodevole del cineasta torinese che si prodiga da tempo nel favorire la piena coscienza di quella Giornata della Memoria che, con un certo scandalo, suscita ancora polemiche. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 104, p 31. c.m.v. le turbolenze di una coppia in rapida trasformazione, con tutte le sfumature di uno sguardo bambino, che sa cogliere i particolari con candore, sempre al confine, però, con irriverenza e saggezza. 1974, l’anno del referendum per abrogare la legge che quattro anni prima aveva istituito il divorzio. Un momento storico importante, in cui il paese era attraversato da istanze vitali tali da alimentare un fervente dibattito attorno all’arte contemporanea, ma anche all’interno delle consuetudini famigliari e di coppia, all’improvviso più aperte e libere. Tuttavia, il personaggio che dà al film l’impronta più forte è quello di Serena. È lei che più di tutti ha saputo analizzare la realtà, assimilare i fermenti della modernità sociale e farli propri, anche a costo di sacrificare i valori della tradizione. Seguendo Serena ci rendiamo conto di quanto il femminile in questo film rappresenti la tavola su cui dipingere, la materia da plasmare e l’ossatura di una costruzione che, proprio in virtù di questo centro, non ha bisogno di specificazioni. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 101/102, p.10 e 11. g.p. DAI 14 ANNI DAGLI 8 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 Belle & Sébastien Ambientata a St. Martin, piccolo paese dell’alta Savoia, nel giugno 1943, la vicenda racconta la storia dell’amicizia segreta fra Sébastien, un ragazzo orfano che vive presso il “nonno” César ed è accudito dalla nipote di lui, Angelina, e la femmina di un cane pastore tedesco, sfuggita alle sevizie di un padrone crudele, a cui i valligiani danno la caccia, credendola responsabile di malefatte. La relazione fra Sébastien e Belle nasce da rispetto e affetto e crea un’alleanza capace di aiuto reciproco. Non è Belle a sgozzare le pecore, ma un branco di lupi, che essa allontana. In paese i nazisti sequestrano i viveri e danno la caccia agli ebrei intenzionati a varcare il confine con la Svizzera. Sarà nel corso di una di queste spedizioni, la notte di Natale del 1943, che Sébastien, confortato dalla devota fedeltà di Belle, raggiungerà la maturità e l’autonomia. r. Nicolas Vanier, or. Francia 2013 distr. Notorius Pictures dur. 98’ F in dall’incipit il film presenta i temi fondamentali: la vita, la libertà, la relazione con la natura, il rapporto uomo/animale e uomo/uomo, la stigmatizzazione e il rifiuto della violenza che nasce da violenza subita, il rispetto dell’ambiente, l’opposizione vita/morte e il rischio che la scommessa in favore della vita comporta. Fra le modalità espressive adottate figurano parallelismi, analogie e simbologie; la natura stessa, mostrata in splen- Bling Ring Marc e Rebecca sono due adolescenti che vivono in un quartiere benestante di Los Angeles e diventano amici inseparabili al liceo Indian Hills, frequentato da ragazzi ricchi e problematici. Una sera Rebecca coinvolge Marc in uno dei suoi passatempi notturni, il “controllo auto”, che consiste nel provare ad aprire gli sportelli delle auto lussuose parcheggiate nel quartiere nella speranza di trovarne aperta qualcuna, e rubare soldi e borsette dimenticate. Dal “controllo auto” al furto nelle case il passo è breve: i due prima entrano nella villa di un amico di Marc, che sanno essere in vacanza con la famiglia; poi iniziano a setacciare social network, siti e riviste di gossip per scoprire quando i personaggi famosi sono fuori, trovano l’indirizzo su Google e si introducono nelle loro ville. Quando ai due ladri si uniscono anche le amiche di Rebecca il gruppo finisce per farsi prendere la mano e viene scoperto. r. Sofia Coppola or. Usa 2013 distr. Lucky Red dur. 90’ S ofia Coppola, giunta al suo quinto lungometraggio, conferma la propria attenzione per il mondo dell’adolescenza; dopo Il giardino delle vergini suicide e la giovane Scarlett Johansson in crisi esistenziale in Lost in Translation, dopo il coloratissimo ritratto di Maria Antonietta e la struggente solitudine di Cleo, protagonista di Somewhere, questa volta l’autrice figlia d’arte sceglie di raccontare la storia, ispirata a fatti realmente accaduti, di una banda di dide immagini lungo l’arco di varie stagioni, nella sua generosa e molteplice capacità di rifugio e di accoglienza, ha carattere materno. Il maestoso volo di un’aquila che ruota ad ampi giri sulle cime scoscese delle Alpi e che apre il film, espressione del libero espandersi della vita all’interno di una natura incontaminata, tornerà più volte lungo il testo a significare libertà e vitalità. L’America e la Svizzera al di là delle cime innevate delle Alpi simboleggiano la vita vagheggiata come possibile, libera oltre il confine e si oppongono alla realtà locale, in cui uomini e animali sono braccati a morte. L’orologio dotato di bussola che viene utilizzato nella traversata del ghiacciaio è segno materiale della guida interiore nell’itinerario di formazione del piccolo, che attraverso mille difficoltà, confidando solo sul proprio sentire, confortato dalla presenza di Belle, riesce a trovare la strada della propria crescita. Splendido nelle immagini, il film avverte anche che l’apparenza inganna e invita a liberarsi dagli stereotipi in ogni relazione. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 104, p. 10 e 11. m.g.r. ladruncoli ossessionati dalle celebrità e dai social network. Cambiando i nomi veri e modificando in parte gli eventi, ma costruendo la sceneggiatura attraverso le trascrizioni delle interviste e degli interrogatori, la regista compie un interessante rovesciamento di prospettiva rispetto ai luoghi comuni del cinema di sempre: la mitica collina di Hollywood e le principesche dimore di Malibù vengono riviste infatti attraverso lo sguardo di un’indifferente gioventù attratta verso il nulla. Il punto forte del film è il tocco lieve della regista: la sfrontata noncuranza delle possibili conseguenze delle azioni da parte dei ragazzi, la mancanza di rimorsi e l’ossessione per soldi e fama sono raccontati senza mai giudicare i protagonisti, come se la Coppola, il cui sguardo sembra sospeso tra pietà e ironia, si limitasse a mostrare, sempre un passo indietro, questi piccoli criminali, costretti, dopotutto, a muoversi in un luccicante vuoto di valori, senza mai incontrare un adulto capace di schiudere loro altri orizzonti. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 101/102, p. 27. f.s. numero 107/108· settembre-dicembre 2014 5 DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 C’era una volta a New York The Immigrant DAI 16 ANNI New York, 1921. Ewa e Magda Cybulski arrivano a Ellis Island dalla Polonia. Divisa dalla sorella, trattenuta in quarantena per sospetta tubercolosi, e respinta dal marito della zia (già a New York), Ewa si ritrova sola. Caduta nella rete di Bruno, dai modi gentili ma sfruttatore senza scrupoli di ragazze sprovvedute, è costretta a lavorare in spettacolini di terz’ordine e poi a prostituirsi. Tuttavia Bruno s’innamora della ragazza e la coinvolge nella sua passione, fatta di lacrime e sangue, stenti e attacchi di gelosia. Addirittura l’uomo, tra pentimenti e confessioni in chiesa, medita di poterla salvare dall’inferno che le ha procurato. Invece la donna, pur mortificata dai sensi di colpa, s’è impegnata solo a guadagnare tanto, pur di ricongiungersi con la sorella. L’incontro con Orlando, cugino di Bruno, affascinante prestigiatore dal destino tragico di cui s’innamora, l’aiuterà a fuggire e a rifarsi una nuova vita. 6 r. James Gray or. Usa 2013 distr. Bim dur. 120’ I l film conferma le doti di originalità drammaturgica dell’autore, nipote d’immigrati ucraini giunti a Ellis Island proprio negli anni rievocati dal film, oltre al suo interesse per i temi dell’integrazione degli immigrati e della fuga dalla famiglia come del triangolo amoroso, ma ne segnala qualche limite. Con una dedica del film alla madre, Gray appare coinvolto biograficamente in un’opera Il capitale umano Un racconto in cui si confrontano i membri di due famiglie: Fabrizio e Carla Bernaschi, benestanti, col figlio Massimiliano; Dino Ossola e la compagna Roberta Morelli, medioborghesi arricchiti, con la figlia Serena. In Brianza, un cameriere in bicicletta è investito da un Suv: la polizia bussa alla porta dei protagonisti e tre di loro esprimono il proprio punto di vista sull’accaduto, facendo emergere le miserie morali di un’Italia in crisi. Dino, immobiliarista fallito, dichiara il falso pur di migliorare la propria condizione economica; Carla, moglie e madre, è appiattita dai ruoli sociali e sepolta sotto l’ipocrisia; Serena, fidanzata di Massimiliano, come lui assorbe in sé il fallimento educativo dei genitori. È la più sospettata del gruppo riguardo all’incidente, ma ripete di non sapere chi fosse al volante del fuoristrada…. Il finale è amaro: il sorriso della ragazza non lascia molto spazio alla speranza e alla redenzione. numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 r. Paolo Virzì or. Italia/Francia 2014 distr. 01 Distribution dur. 109’ U na sceneggiatura che ha l’impianto di un romanzo: quattro capitoli, un finale, storie che si intersecano e costruiscono la narrazione. Un film ben sceneggiato quest’ultima opera di Paolo Virzì. Anche il titolo, Il capitale umano, è originale e utile a svelare il significato - o meglio la sua mancanza - che si dà oggi alla vita umana. Dino, Carla e Serena sono i tre narratori, emblema, con gli altri, di un’“ita- troppo ‘personale’ per poterci offrire uno sguardo lucido sull’altra faccia dell’american dream. Così, tra convenzioni di genere ribaltate (il villain che cerca di redimersi; anzi, che, migliorando per amore, finisce come una vera eroina melodrammatica per peggiorare la sua vita), il punto di vista femminile, come nella tradizione del mélo americano Anni 30/40, e i rimandi espliciti a Ladri di biciclette e Sciuscià, oltre alla ricostruzione degli “autocromi” d’inizio Novecento, il film è opera visivamente corretta. Come avviene con i rimandi alle opere di George Bellows, famoso per le sue vedute realistiche della New York d’inizio secolo scorso, e ai quadri di Everett Shinn sul music-hall a Manhattan, fino alle Polaroid quadricromatiche di nudi dell’architetto Carlo Mollino e al lavoro di Bresson per Il diario di un curato di campagna). Tuttavia, nonostante la prova di fedeltà da parte di collaboratori, il film fa emergere un’elaborazione troppo raffinata di scrittura, a scapito di un sincero e pieno coinvolgimento dello spettatore. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 103, p. 20. e.g. lietta” misera, debole e corrotta. Dino è capace di svendere tutto pur di ottenere lo status sociale da sempre desiderato; Carla è la donna-ombra del marito, idealista e insicura; Serena e Massimiliano sono la riproduzione di genitori e di esempi fallimentari. Ma protagonista del film è anche il fuoristrada, che è il motore di una trama sempre più disperata e disperante. Non serve possedere un Suv per dimostrare di essere persone perbene. Essere “perbene” significa essere onesti con gli altri, soprattutto con se stessi e in questo racconto pochi lo sono. Virzì sceglie il registro del noir per criticare quello che siamo o siamo diventati. Solo Roberta la compagna-psicologa di Dino, riesce a esprimere un po’ di umanità ed è, infatti, lei a portare in grembo due gemelli che, forse, faranno ancora in tempo a salvarsi. Il film ha un respiro cupo ma universale, che parla di disonestà, di desertificazione emotiva e valoriale, di una mentalità mafiosa che induce le persone a comportarsi con prepotenza. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 103, p. 28. a.m. DAI 14 ANNI DAI 12 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 Capitan Harlock 2977. Dopo aver colonizzato lo spazio, l’umanità ha cercato di tornare sulla Terra, ma le autorità hanno dichiarato il pianeta sacro e inviolabile. A contrastare il regime della Gaia Sanction è Capitan Harlock, il coraggioso pirata dello spazio. La storia ha inizio quando il giovane Yama riesce a farsi arruolare nell’equipaggio di Harlock, apparentemente per servirlo, ma di fatto per eliminarlo, come ordinatogli dalla Gaia Sanction. Il pirata dichiara di voler salvare l’universo facendo tornare indietro il tempo, ma in realtà la Terra è stata compromessa da un suo errore e ora il suo vero intento è distruggere la struttura stessa della realtà per cancellare le sue colpe e gli sbagli dell’umanità. Starà a Yama convincerlo circa le decisioni giuste da prendere: impresa complicata anche dal fatto che il comandante delle truppe terrestri è Ezra, il fratello maggiore dello stesso Yama. I due campioni devono proteggerla. r. S. Aramaki or. Giappone 2013 distr. Lucky Red dur. 115’ L’ Harlock del 2013 si pone in discontinuità rispetto all’originale: sulle pagine del fumetto di Leiji Matsumoto (e nella serie tv trasmessa dalla Rai alla fine degli anni Settanta) serpeggiava infatti una malinconia profonda, capace allo stesso tempo di tenere insieme l’utopia di quei decenni dove si bramava lo spazio come possibile nuova frontiera dell’umanità, e quel senso di innocenza Captain Phillips Attacco in mare aperto Captain Phillips Aprile 2009. La nave americana Maersk Alabama, partita da Salalah (Oman) carica di aiuti umanitari destinati all’Africa, viene avvicinata da due barche di pescatori somali. Il comandante della nave, Richard Phillips, chiesta protezione, adotta varie strategie per dissuaderli (aumenta la velocità della nave, mette in servizio gli idranti, fa chiudere i cancelli in tutti i ponti e nasconde la ciurma nel luogo più basso e nascosto, la sala macchine). I pirati, riusciti a salire a bordo, cercano i marinai e prendono in ostaggio il capitano, offertosi in cambio della ciurma. Attaccati da navi ed elicotteri americani, essi cercano di fuggire verso la costa su una scialuppa di plastica col capitano come ostaggio, ripromettendosi un forte riscatto, ma vengono bloccati dal capillare intervento dei Navy Seals. Il fatto, realmente accaduto, è stato narrato dal capitano stesso nel libro Il dovere di un capitano. r. Paul Greengrass or. Usa 2013 distr. Warner Bros. Pictures Italia dur. 134’ L a sceneggiatura stringata, immagini spettacolari, la magistrale prestazione di Tom Hanks, accanto al cast di attori africani non professionisti, capaci di interpretare la propria parte con naturalezza, esprimendo, accanto alla sovraeccitata ferocia, l’angoscia di una costrizione psicologica, culturale e sociale, un montaggio serrato, una regia asciutta fanno di questo film un thriller capace di far palpitare lo spettatore. perduta tipico di chi già capiva la deriva verso cui andava il mondo. Per Shinji Aramaki l’innocenza è ormai perduta, la spinta verso la nuova frontiera è ripiegata in un ritorno a casa che pure non smette di produrre conflitti e malcontenti, ma stavolta Harlock non è l’unico baluardo dei vecchi principi utopici: al contrario è egli stesso la causa del problema, e la sua missione non è ammantata dall’idealismo, ma dal nichilismo di chi vuole cancellare lo spazio e il tempo. La missione del pirata, basata sulla possibilità di rifondare il proprio universo, diventa così l’autentico principio ispiratore di un progetto che guarda al passato ma cerca di proiettarsi in un futuro dove l’unione di classicismo e modernità produca dinamiche di grande respiro, ma anche personaggi tridimensionali, animati da passioni forti. La maschera rimane dunque come sfondo, direttrice ma non unico baluardo, e come tale può infine anche passare di mano per far restare il racconto nei consueti binari, mentre la ricombinazione degli elementi continua. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 103, p. 30. d.d.g. Illustra un effetto collaterale dell’economia globale. Due universi si oppongono, due opposte visioni del mondo: da un lato il mondo occidentale capitalistico, ricco di mezzi; dall’altro la prospettiva disperata del terzo mondo. Tale contrapposizione si concreta nel faccia a faccia fra il capitano Phillips e Muse, il capo dei pirati, il cui rapporto di inimicizia e sfida si vena di sotterranea stima e in qualche momento perfino di confidenza e quasi fiducia, per cui più che l’assalto alla nave dei ricchi da parte dei poveri è la relazione fra i due a rivelare gli squilibri del mondo, all’interno dei quali entrambi sono prigionieri. Nonostante una sorta di nostalgia per una simpatetica intesa, il film mostra l’impossibilità per entrambi di oltrepassare il confine, venendo a una soluzione pacifica. La soluzione infatti e la vittoria saranno di quella parte in gioco che, nonostante le apparenze, è la più forte, il mondo occidentale, realizzate dall’intervento violento dei Navy Seals. E Muse, ingannato, perverrà in America in manette. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 103, p. 21. m.g.r. numero 107/108· settembre-dicembre 2014 7 DAGLI 8 ANNI DAI 6 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 8 Il castello magico Le manoir magique Un gattino viene abbandonato e inseguito da un feroce doberman. Il primo riparo che trova è in una vecchia abitazione che anche i cani temono: si dice sia infestata dagli spiriti. In realtà il proprietario è Lawrence, un illusionista che vive con alcuni animali e dei giocattoli animati. Il micio suscita subito antipatia nel grosso coniglio Jack e nell’aggressiva topolina Maggie, viene invece accolto con affetto da Lawrence che lo chiama Tuono perché è arrivato in una notte di tempesta. Ben presto tutti gli animali dovranno vincere la loro diffidenza verso il gattino, riconoscendolo come leader, perché dovranno fronteggiare una comune minaccia. Il nemico è Daniel, nipote del mago, cinico agente immobiliare intenzionato a vendere la casa e a sbattere lo zio in ospizio. Urge scoraggiare eventuali acquirenti e il modo migliore per farlo è terrorizzarli come solo gli abitanti dei castelli magici sanno fare. r. Ben Stassen, Jeremy Degruson or. Belgio 2013 distr. Notorius Pictures dur. 90’ B en Stassen e Jeremy Degruson dirigono un’opera con la struttura delle fiabe tradizionali, una grafica accurata e accattivante, una fotografia dai colori caldi e accesi, scene d’azione dotate di ritmo concitato. Essendo il film destinato a un target infantile, la vicenda è scorrevole, diretta e divertente ma, oltre a una connotazione educativa, ha momenti dotati di una lieve componente horror che li rende affascinanti anche per un pubblico adulto. Tutta la prima parte è girata con Cattivissimo Me 2 Desplicable Me 2 Gru non è più cattivissimo. Abbandonato il crimine, adesso è una specie di imprenditore con tre figlie adottive di cui occuparsi: Margo, Edith e Agnes. Il laboratorio segreto dei Minion è stato trasformato in fabbrica e di essa si occupa il dottor Nefario insieme ai diligenti, ma spesso anche pasticcioni, esseri giallastri. Però Nefario non riesce a rinunciare alla cattiveria, per cui decide di trasferirsi e di lavorare per un altro padrone. Quando Gru viene contattato dalla Lega Anti-Cattivi che gli chiede aiuto per smascherare un supercriminale, che vorrebbe impadronirsi del mondo, rifiuta per occuparsi della famiglia. L’avvenente e bizzarra Lucy gli fa ben presto cambiare idea. La resa dei conti con il supercattivone Edoardo arriverà solo dopo numerose avventure che coinvolgeranno l’intera famiglia di Gru, affiancato da Lucy. Tra loro sboccerà l’amore. numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 r. Pierre Coffin, Chris Renaud or. Usa 2013 distr. Universal Pictures dur. 94’ I l sogno di conquistare la luna è lontano: Mr. Gru adesso è buonissimo e, per questo, ha forse perso un po’ di fascino. La sua megalomania è stata addomesticata dalla paternità e le sue giornate si consumano tra infanzia e marmellate prodotte industrialmente dai Minion, soliti buffi soldatini tuttofare. Per Gru la normalità è una chance di riscatto sociale. Così la trasformazione azzera il contrasto che costruiva uno dei più accattivanti personaggi animati su grande schermo degli ultimi anni. inquadrature soggettive attraverso il punto di vista del protagonista. Il coprotagonista umano, Lawrence, è un buffo prestigiatore d’altri tempi; tiene spettacoli negli ospedali per i bambini malati e ha sempre un incantesimo pronto per far sorridere anche i più scettici. Tutto il film è immerso in un universo di animali parlanti e giochi vecchia maniera, di quelli che ormai sembrano far parte dell’antiquariato e del collezionismo, verso cui la pellicola nutre un’evidente e condivisibile nostalgia. Spiccano alcune sequenze spettacolari, come la corsa di Lawrence in bicicletta, i tentativi di demolire la casa, gli interventi di Tuono e degli altri abitanti per contrastarli. Nel corso della vicenda inoltre prendono risalto, senza enfasi né forzature, oltre al dovere dell’accoglienza, il valore dell’amicizia e della solidarietà, con una declinazione davvero europea totalmente aliena dal chiasso e dall’ossessione del successo che caratterizza i prodotti d’animazione d’oltreoceano. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 106, p. 63. s.s. Il secondo capitolo di Cattivissimo Me si pone come sequel naturale in un universo speciale, dominato dalla presenza straordinaria di altri cattivi, meno sorprendenti e poetici, comunque in grado di rivaleggiare per ambizione con il vecchio alter-ego del nuovo Gru. Eduardo, che pare un wrestler latino, non punta alla luna ma a una più prosaica conquista del mondo. Si ripropone quindi il conflitto tra bene e male, dove la posta in gioco è la pace collettiva e l’armonia familiare. Sarà per questo che la missione proposta a Gru per sabotare il piano di conquista di Eduardo diventa l’occasione per affiancargli un quarto personaggio femminile: non solo una spalla che rovescia in tutto le caratteristiche di Gru (fisiche e psicologiche), ma soprattutto un potenziale tassello che completi il quadro di una famiglia moderna. Il racconto fiorisce da uno spunto banale con un intreccio ben congegnato, capace di offrire il giusto spazio a ogni personaggio. L’empatia è spontanea, merito di dialoghi efficaci e di un’animazione fluida. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n.101-102, p. 32. a.l. DAI 10 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 La città incantata Sen to Chihiro no kamikakushi DAI 16 ANNI Una famiglia trasloca in campagna con dispiacere della figlia Chihiro che porta con sé un mazzo di fiori e un biglietto, regali di addio degli amici. Guidando verso la nuova casa, il padre sbaglia strada e si trova all’ingresso di un tunnel che li costringe a lasciare l’auto e ad attraversarlo a piedi. Al di là si stendono vasti prati e un villaggio abbandonato. Attratti dal profumo di cibo, i tre trovano un ristorante deserto, pieno di succulenti piatti a disposizione. In attesa che arrivi qualcuno i genitori iniziano a mangiare, mentre Chihiro si allontana per le vie solitarie; incontra Haku, un ragazzo dai poteri magici che la invita ad andarsene prima di notte. Quando la bambina torna al ristorante, scopre che i genitori sono stati trasformati in maiali. Spaventata, fugge per riattraversare il tunnel, ma il fiume ha isolato il villaggio che, con il buio, si sta popolando di spiriti. r. H. Miyazaki or. Giappone 2001 distr. Lucky Red dur. 125’ N on si può restare indifferenti a questo mondo a colori vivaci, animato in digitale, ma con tratti a mano, ricco di dettagli di fiori, di foglie, di stoffe, di nastri; illuminato da file di lampioncini di carta rossa; popolato da creature bizzarre, a volte amichevoli, a volte ostili, abitanti di un passato mitico che torna a interpellare le coscienze: lo spirito di un fiume che è stato prosciugato dall’edili- The Congress A 44 anni Robin Wright è un’attrice in declino che vive ritirata con i figli. L’agente di Robin, preoccupato per la carriera di entrambi, le propone l’offerta della Miramount: sottoporsi alla scannerizzazione della propria immagine per trasformarla in personaggio digitale. Pianto, riso e mimica saranno utilizzati dalla casa di produzione per realizzare film in serie nei quali gli attori non invecchiano mai. L’eterna giovinezza, la fama e il denaro in un unico contratto; in cambio, l’impegno a non recitare più. Robin firma l’accordo della durata di vent’anni. Vent’anni dopo, al Congresso per annunciare la fusione della Miramount con un colosso farmaceutico, si presenta una Wright sessantenne per rinnovare o rifiutare il contratto in scadenza. Vivrà l’incredibile esperienza di vedersi trasformata in disegno animato in una realtà parallela che è il prodotto dei desideri delle menti individuali. r. Ari Folman or. Usa 2013 distr. Wider Films dur. 122’ I n Valzer con Bashir, terzo film di Folman, i ricordi di giovane soldato durante la Guerra del Libano del 1982, le paure, i vuoti di memoria si trasferiscono sui personaggi, scarni volti in cerca del filo logico delle proprie azioni. L’animazione, paragonata al sogno, permette di mostrarci l’interiorità meglio di quanto avrebbero potuto fare attori in carne e ossa. zia selvaggia non trova più la strada di casa. Ricorda solo una bambina piccola che ha salvato dall’annegamento anni prima; e ora lei, più grande ma ancora piena di entusiasmo, gli salverà a sua volta la vita restituendogli un’identità. È un girotondo di scene accuratissime questo capolavoro di animazione che, con un nuovo doppiaggio e una nuova distribuzione, è tornato nelle sale per tre giornate speciali. Vincendo i pregiudizi che di solito penalizzano i cartoni ai festival, La città incantata vinse nel 2002 l’Orso d’Oro a Berlino e l’Oscar nel 2003, segnando la consacrazione del suo autore. Mette in scena un Giappone ricco e disincantato che incontra e si scontra con il suo stesso passato e con l’antica spiritualità. Il titolo originale del film significa infatti “La sparizione di Sen e Chihiro ad opera dei Kami”. I Kami sono gli spiriti della religiosità shintoista che appartengono a varie entità naturali un tempo adorate come divinità. Il modernismo forzato della cultura nipponica contemporanea non li riconosce più come sacri. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 106, p. 32. c.m.v. La via che sceglie per The Congress è simile. Le sequenze animate illustrano un futuro prossimo - il 2033 - popolato da “reincarnazioni”: ciascuno sceglie di essere chi desidera: Gesù, Buddha, Clint Eastwood, Marylin Monroe. E poi danzatrici, soubrette, steward in livrea. Il paradiso artificiale è ottenuto ingerendo una fiala che trasforma gli uomini in cartoon; i personaggi hanno i tratti sperimentali dei Fratelli Fleischer, creatori, tra gli anni Venti e Trenta, di Betty Boop, Braccio di Ferro e Superman. Non è un futuro del tutto negativo, come spesso narra la fantascienza, perché si vive a contatto con la natura o in metropoli colorate, sospese in un eterno Carnevale. La gente sta insieme assistendo ai film dei propri eroi sempre giovani. Le tematiche messe in scena da Folman sono complesse e sembra che, in questa sua realtà animata, ci sia spazio per tutto. La distopia di The Congress risiede infatti in un’alienazione visiva che cattura lo spettatore e che costituisce il fulcro della realtà virtuale e digitale dalla quale, è d’obbligo far notare, non si torna indietro. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 106, p. 10 e 11. c.m.v. numero 107/108· settembre-dicembre 2014 9 DAI 16 ANNI DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 10 I corpi estranei Antonio arriva a Milano col figlio di pochi mesi per sottoporlo a un delicato intervento chirurgico. In ospedale incontra Jaber (15 anni), di origine tunisina, che assiste un amico. Jaber cerca di stabilire una relazione con Antonio, ma questi è diffidente, non ha simpatia per gli arabi ed evita ogni approccio. Accetta l’aiuto del giovane solo quando deve sostituire la batteria della macchina. La permanenza in ospedale si protrae e Antonio è irrequieto. Le telefonate a casa e le preghiere nella cappella non gli riempiono le giornate né lo calmano. Per occupare il tempo e racimolare qualche soldo inizia a lavorare di notte al mercato generale di frutta e verdura a fianco di extracomunitari. Ma sembra che nulla possa scalfire la corazza dell’uomo che si muove silenzioso, mantiene un atteggiamento urticante con tutti. Solo quando apprende che di lì a pochi giorni potrà lasciare l’ospedale per ritornare col bimbo a casa, avviene in lui una leggera apertura. r. Mirko Locatelli or. Italia 2013 distr. Strani Film in collaborazione con Mariposa Cinematografica dur. 102’ A l secondo lungometraggio Locatelli conferma la capacità di indagare l’animo umano con tocco lieve. Non è un film facile questo perché si svolge in spazi chiusi, non luoghi che sottolineano la precarietà e la sospensione temporale. Ma non è un film sul dolore o la malattia. Quest’ultima c’è, ma rimane sullo sfondo. È un film sull’integrazione, l’accettazione dell’altro e di conseguenza sulla conoscenza di sé. Dallas Buyers Club Ron Woodroof è un elettricista appassionato di rodeo senza una fissa relazione sentimentale e abituato a rapporti occasionali. È il 1985 quando scopre di aver contratto l’HIV, all’epoca denominato malattia delle checche. I medici gli danno trenta giorni di vita; gli amici lo allontanano, convinti che lui abbia sempre nascosto loro la sua omosessualità. Per reazione, dopo l’iniziale scoramento, decide di non arrendersi a un destino che pare segnato. L’AZT, sperimentato su larga scala da una grossa industria farmaceutica, si rivela tossico. Per questo Ron si reca in Messico, dove un mix di altri farmaci è testato con successo su un gran numero di pazienti. Sulla falsariga di un gruppo di gay californiani, crea un’associazione che permette ai tesserati di accedere ai farmaci non autorizzati dal governo statunitense. Ron trova nuovi amici, tra cui Rayon, trans tossicodipendente cui si lega in maniera fraterna. numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 r. Jean-Marc Vallée or. Usa 2013 distr. Good Films dur. 117’ L a storia, con qualche concessione drammaturgica, è vera. Negli anni 80, quando si diffondevano notizie sul virus dell’HIV e sull’AIDS, la sperimentazione non seguì strade sinergiche in tutto il mondo ma, come spesso accade, le lobby farmaceutiche si scatenarono imponendo ai governi le proprie soluzioni ipotetiche e i test su migliaia di malati. Forte di un’attenzione alla Antonio è un uomo chiuso in se stesso e nei pregiudizi, non riesce a interagire con il prossimo, ancor meno se si tratta di extracomunitari. È impermeabile al dolore altrui, non vuole contaminazioni. Locatelli non lo giudica. Si fa testimone delle sue difficoltà. Lo riprende spesso nella macchina ferma, perennemente sintonizzato sulle frequenze di Isoradio, quasi alla ricerca di una direzione da prendere. Parimenti ci mostra gli extracomunitari come sensibili compagni di viaggio, desiderosi di rendersi utili. Però non ne fa l’apologia. I suoi non sono stranieri scevri da difetti. Azzeccatissimo il titolo scelto dal regista perché può suggerire diverse letture. Corpo estraneo è il corpo che a nostra insaputa si ammala, lo straniero che ci sembra così diverso da noi, il figlio che dobbiamo imparare ad accettare, accudire e amare. Corpo estraneo infine siamo noi stessi, quando, guardandoci con sufficiente distacco, ci rendiamo conto di quante distorsioni dobbiamo correggere per scegliere il giusto percorso. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 105, p. 19. f.b., t.c. ricostruzione storica e all’atmosfera dell’epoca (Oscar ai costumi), la sceneggiatura bilancia pesi e misure, costruendo il racconto intorno a Ron, quasi sempre centrale in ogni segmento della vicenda, pura energia vitale, che cresce a ogni giorno guadagnato dopo la certezza dei medici di una fine prossima e senza scampo. La parabola dell’eroe sgradevole che scopre una sensibilità mai emersa è così servita, all’americana diremmo, ma non per questo scontata negli snodi narrativi. Mai banale o, peggio, patetico, Ron non diventa un missionario generoso, ma si limita a coinvolgere nella sua lotta chi è nelle sue stesse condizioni, cercando di sopravvivere con il contrabbando. Non offre nulla gratuitamente, non compie una trasformazione poco credibile per intercessione della morte. Col mondo gay non ha nulla a che fare, ma passa dal rifiuto alla tolleranza, nel senso di “vivi e lascia vivere”, riconoscendo comunque l’umanità dietro ciò che viene superficialmente etichettata come anomalia. Rayon, in particolare, smette di essere “checca”, a vantaggio di un rapporto che sa di adozione. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 104, p. 12 e 13. a.l. DAI 16 ANNI DAI 14 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 Disconnect Il film segue le vicende di personaggi imprigionati nella rete e nelle trappole che si nascondono nelle chat, nei siti di incontri e nei social network. Tre storie che si intrecciano casualmente e che hanno lo stesso comun denominatore. Un investigatore privato, rimasto vedovo, assume atteggiamenti autoritari nei confronti del figlio, spingendolo a comportamenti scorretti nei confronti di un compagno di scuola timido e introverso. Una giornalista televisiva, dopo aver scoperto una video chat per adulti, contatta uno dei ragazzi coinvolti e lo convince a farsi intervistare e diventare il protagonista di un reportage che riscuote molto successo. Infine, una coppia in crisi cade vittima di un hacker che clona le carte di credito dei due e li deruba di tutti i risparmi. Sono questi i protagonisti di una storia composita, i cui personaggi sono accomunati fra loro dall’illusione della rete. r. Henry Alex Rubin or. Usa 2012 distr. Filmauro dur. 115’ Q uanto siamo dipendenti da internet e da tutte le forme di comunicazione che ci offre? La domanda se la pone Henry Alex Rubin che con Disconnect ha voluto osservare i vizi di una forma di “socialità” ormai dilagante, e i rischi e le distrazioni che non ci dovremmo permettere. Cortocircuiti imprevedibili ma irreversibili. Errori di comunicazione, vuoti di senso di uno stare sovraesposti al contatto indiretto. L’ossessione della comunicazione a senso unico è dilagante e finisce per estromettere gli in- Father and Son Due famiglie giapponesi, una di estrazione borghese e una di umili origini, vengono convocate in ospedale dove apprendono che i rispettivi bambini non sono in realtà i loro figli biologici. Scambiati alla nascita, Keita e Ryusei hanno sei anni e una storia diversa dietro le piccole spalle. Keita è figlio unico di una madre remissiva e di un padre ambizioso, che cerca nel figlio la conferma di sé e dei propri successi, Ryusei è il primo di due fratelli, che crescono spensierati in una famiglia frugale e lontana dagli stereotipi borghesi. Persuasi dagli avvocati e dall’amministrazione ospedaliera a ‘regolarizzare’ la loro situazione, le famiglie decidono per un’inversione riparatoria. Ricominceranno da sei, sei anni che pesano come macigni e che li definiranno, e ridefiniranno i loro valori. r. Hirokazu Kore-eda or. Giappone,2013 distr. Bim dur. 120’ S ospeso tra sorriso e dramma, Father and Son infila la strada della poesia e filma con tenerezza lo sguardo che i bambini pongono sugli adulti. Perché Keita e Ryusei sono testimoni a carico, miti e quasi muti ma qualificati ad attestare le prove di colpevolezza dei grandi. È il loro punto di vista che annulla le falsità chic e le verità volgari che agitano i rispettivi genitori, ciascuno disperato alla sua maniera. Midori Nonomiya è divorata dal senso di colpa per non aver dividui dalla vita reale, isolandoli e relegandoli nella solitudine. Con abilità e senso della misura, Rubin organizza il film a partire da una struttura corale che si svela e si compone via via. In una città quasi sempre notturna, i personaggi escono lentamente allo scoperto, spiati dalla macchina da presa di un regista che sceglie un’immagine “sporca”, sgranata e irregolare. Il principio formale che condiziona il percorso narrativo sembra seguire una sorta di morale secondo cui ogni gesto ha le sue conseguenze. Basta poco per far cambiare una vita. Un semplice tasto e tutto sarà diverso. E non in meglio. Il nodo cruciale si dibatte tra realtà e verità. Nell’abbracciare i sui protagonisti, Rubin riesce a sottolineare le distanze, ma mette anche in rilievo gli elementi di contatto, le vicinanze di uomini e donne troppo distratti dalla comunicazione per riuscire a vederli. E non è un caso che nei diversi finali con cui il film si conclude a vincere siano per la prima volta fisicità e solitudine. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 104, p. 8 e 9. g.p. capito che il bambino che allevava non era il suo, Yukari Saiki è decisa a lottare per tenersi il bambino che ha cresciuto, Yudai Saiki, sembra approfittare della situazione fantasticando su eventuali risarcimenti finanziari, prima di opporre la sua fondamentale onestà all’avidità di Ryota Nonomiya, quasi sollevato da una scoperta che convalida la delusione che sentiva per il figlio. Kore-eda affronta la costellazione di gravose questioni sociali con tatto e delicatezza, attraverso una messa in scena precisa, minuziosa e paziente, che si prende tutto il tempo per immergerci nel cuore delle famiglie. L’autore descrive il loro quotidiano, il loro ambiente sociale, i loro comportamenti, i loro gesti, ovvero la posizione che gli individui occupano nello spazio sociale e che determina il loro punto di vista. Premio della Giuria al festival di Cannes 2013, Father and Son è una lezione di modernità, che consegna un messaggio rivoluzionario: i bambini più felici e compiuti sono quelli che riconosciamo e non quelli che (ri)produciamo. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 105, p. 10 e 11. m.gn. numero 107/108· settembre-dicembre 2014 11 DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 Foxfire Ragazze cattive Foxfire DAGLI 8 ANNI Stato di New York, anni 50. Un gruppo di ragazze quindicenni crea una loggia segreta, chiamata Foxfire, nella quale si entra con un patto di sangue, il tatuaggio di una fiamma che arde che le ragazze si fanno tatuare sulla schiena. Decidono di andare a vivere insieme ma, col passar del tempo le regole che sorreggono il gruppo diventano più ferree e, anche per un’interpretazione confusa dell’ideologia comunista, l’agire si fa più violento, la gang più criminale. Legs è la più carismatica, sfrontata e senza freni; è lei che decide il destino degli altri (e il proprio). Le fa da contraltare Maddy, più timida e riflessiva. Entrambe chiedono giustizia e uguaglianza: ma la prima sceglie la strada del Male e l’altra quella del Bene. Legs verrà giudicata da un tribunale e si ritroverà, per l’ennesima volta, sola; l’amica, invece, diventerà una donna che otterrà stima e rispetto senza puntare la pistola. 12 r. Laurent Cantet or. Francia/Canada/Gran Bretagna 2012 distr. Teodora Film dur. 143’ C antet, con questo film torna a esplorare l’universo adolescenziale con la sua rabbia mal incanalata, la sua confusione di ideali e le contraddizioni affettive tipiche di quell’età. Decide di ambientare la storia negli anni 50, l’epoca del perbenismo e delle famiglie intatte, e di spostarla dalla vecchia e acculturata Europa all’America del capitalismo e degli affari. E i riferimenti all’attualità sono evidenti. Frozen Il regno di ghiaccio Nell’antica Scandinavia, le sorelle Elsa e Anna sono molto legate fra loro: la maggiore possiede il potere di congelare ogni cosa con un semplice tocco, che si rivela però un dono incontrollabile e dunque pericoloso per chi le sta vicino. Ciononostante, dopo la morte dei genitori, Elsa diventa la nuova regina del regno, ma in questo modo deve mostrarsi al popolo, rivelando il suo potere. Il paese viene così ricoperto dal gelo e la colpa dell’accaduto fa apparire la regina un mostro agli occhi dei sudditi: perciò Elsa fugge sulle montagne e Anna la insegue per aiutarla. Nella sua impresa, Anna viene soccorsa dal venditore di ghiaccio Kristoff e dal pupazzo di neve Olaf, cui Elsa stessa ha dato vita. Nel frattempo il regno viene retto dal principe Hans delle isole del Sud, apparentemente innamorato di Anna e deciso a tutto pur di aiutarla, ma in realtà interessato unicamente al potere come un mostro. numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 r. Chris Buck e Jennifer Lee or. Usa 2013 distr. Walt Disney Pictures dur. 108’ F rozen dimostra di voler innovare nel segno della tradizione disneyana, con una storia vagamente ispirata a un classico letterario, la protagonista Anna che attinge da celebri modelli femminili del passato (Biancaneve o Rapunzel) e una struttura narrativa con una classica cifra musical. Al contempo, però, Frozen si pone nei confronti del passato in una prospet- Il vecchio socialista predica alle ragazze: “ Si parla troppo di felicità in America, la felicità sfugge via, la felicità è solo nel movimento”: ed è vero. La felicità è quella chimera o utopia inseguita dalle giovani protagoniste che prima la individuano nel liberarsi dai soprusi al maschile, poi la interpretano come “faccio quello che voglio” e, infine, la identificano con il potere sulla vita degli altri, scivolando in un pericoloso delirio di onnipotenza. I corpi delle ragazze “cattive” sono sempre in movimento per esprimere l’inquietudine costante che non permette loro di riflettere e il bisogno di agire per avere l’impressione di fare qualcosa per cambiare il mondo. L’uso della cinepresa a mano e di una fotografia sporca immerge le protagoniste in un inferno buio, dove si sono perse le coordinate dell’etica e della morale. Una metafora di quel tunnel esistenziale in cui è caduto un Occidente alle prese con la ricerca del Dio-Denaro, in un sistema di valori rovesciati come suggerisce la sequenza dell’industriale bigotto. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 101/102, p. 21. a.m. tiva critica, senza timori reverenziali. Ne sia prova il fatto che manca un antagonista di rilievo e l’intreccio si articola sulla dicotomia che oppone Anna alla sorella Elsa. Lo fa, però, senza attribuire alla seconda lo status di “cattiva” della situazione, ma unicamente quello di vittima suo malgrado del suo potere. Il “male”, insomma, non deriva tanto dai sentimenti negativi di cui si fanno portatrici soprattutto le figure maschili, ma diventa una sfumatura di un più complesso spettro emozionale tutto interno alle figure femminili. Da questo punto di vista Frozen compie una scelta coraggiosa perché abbraccia un punto di vista totalmente femminilizzato e sceglie protagonista e antagonista all’interno della stessa fazione di genere. Si palesa dunque l’intento metanarrativo di un’opera che vuole anche essere tributo e riflessione su una tradizione che sulle donne ha sempre puntato, attraverso figure quali Biancaneve, Alice, Belle o Mulan e che è stata in tal modo capace di comprendere le trasformazioni in atto nella società occidentale, spesso anticipandole. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 103, p. 12 e 13. d.d.g. DAI 10 ANNI DAI 14 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 Fuoriscena Il documentario racconta un intero anno scolastico presso l’Accademia Teatro alla Scala di Milano, scuola riconosciuta a livello internazionale, unica a formare tutte le figure professionali del Teatro dell’Arte. La frequentano ragazzi provenienti da tutto il mondo che sognano di diventare ballerini, cantanti lirici, scenografi, costumisti. I registi li seguono dalla domanda di ammissione e, dopo la severa competente selezione, alle quotidiane fatiche: lezioni di ballo, canto, scenografia, preparazione di costumi, ma anche di italiano e di lingue straniere. Coinvolti emotivamente nel percorso della loro formazione li accompagnano tra ansie, speranze, paure, desideri fino alle prove in scena e al debutto al Piccolo Teatro o alla Scala stessa. Racconto corale, che mette in evidenza alcuni personaggi, simboli emblematici dell’impegno e dell’amore per l’arte di tutti. r. Massimo Donati, Alessandro Leone or. Italia 2013 distr. GA&A dur. 82’ P er la prima volta una cinepresa ha varcato la soglia dell’Accademia del Teatro alla Scala, tempio sacro dedicato alla ricerca della perfezione nell’Arte. Hanno osato avvicinarsi i due giovani registi Donati e Leone con grande rispetto. Non hanno imposto la loro presenza. Per alcuni mesi, senza macchina, hanno solo osservato cercando di capire, di farsi accettare, di confondersi tra allievi e docenti. Hanno raggiunto una tale em- Giraffada Yacine è il veterinario dello zoo di Qalqilya in Cisgiordania. La cittadina sorge presso il muro che divide i territori della cosidetta West Bank palestinese da Israele. Ziad, il figlio di Yacine, nutre un profondo amore per le due giraffe dello zoo, Rita e Brownie: trascorre con loro intere giornate, le accudisce e le nutre. Una notte, durante un raid aereo, Brownie viene colpita e muore. Rita inizia a lasciarsi morire, rifiutando il nutrimento. Yacine deve assolutamente trovare un nuovo compagno per Rita, ma l’unico modo per procurarsi un’altra giraffa è trafugarla da uno zoo in Israele. Pertanto Yacine, insieme a Ziad e Laura - giornalista francese invaghita del veterinario – intraprende un pericoloso viaggio al di là del muro. Il suo piano è di rapire una giraffa maschio nello zoo dove lavora un suo amico e di portarla a Rita. Dopo due giorni rocamboleschi i tre riescono a passare il confine con la giraffa Romeo e a ritornare a casa. r. Rani Massalha or. Italia/Francia/ Germania/Palestina 2014 distr. Visionaria dur. 85’ T ema dominante del film è il rapporto padre-figlio. Per Ziad avviene il passaggio dall’infanzia a una prospettiva più matura: se all’inizio il padre è visto come un piccolo dio, capace di fare miracoli, questa fiducia nei poteri del genitore viene distrutta allorché Yacine non riesce a salvare la vita a Brownie. La reazione di Ziad è violenta, arriva persino a gridare “ti odio” al padre: è la fine patia con l’ambiente da mimetizzarsi con esso tanto da rendersi quasi invisibili. Questo ha permesso loro di fotografare la realtà senza dover inventare storie e scene perché era già storia quella che si svolgeva davanti ai loro occhi. Per raccontare hanno evitato una voce fuori campo per far posto all’ascolto del cicaleccio dei ragazzi nei momenti di pausa o durante le telefonate alle famiglie lontane, facendo emergere la loro vita privata e la loro ferrea volontà di riuscire senza competizione, ma con reciproca amicizia e collaborazione. Emozionante l’intervento del famoso baritono Bruson “aldilà delle doti vocali e della tecnica si raggiungono le vette dell’arte quando si sa comunicare e commuovere chi ascolta”. È l’obiettivo dell’Accademia, vera protagonista del film. Il documentario è stato presentato al Festival di Torino e ha ricevuto il premio speciale Nastro d’Argento perché “emoziona e sorprende raccontando dietro le quinte un’Accademia che trasforma la passione e il talento in un’eccellenza della Cultura italiana nel mondo”. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 105 p. 24. a.f. dell’infanzia e delle sue illusioni. Ma poi vedrà quanto l’amore di un padre sia capace di fare ‘miracoli’, benché in un’accezione diversa. Quanto sappia mettersi in gioco completamente. Yacine finirà in carcere. Giraffada non ci regala un lieto fine, ma Yacine ci ricorda quanto leggiamo in un passo del Vangelo di Giovanni (15.13): “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Il regista ha detto: “Ogni moderna fiaba che si rispetti non può che arricchirsi di senso ed emozioni dalla presenza di animali: in questo caso sono due giraffe - animali bellissimi, esotici, delicati -, esposte anche loro alla follia e alla violenza umana. Anzi esposte ancor più tragicamente perché tali follie e violenze non possono comprendere. E così le disavventure della coppia di giraffe diventano una metafora delle disavventure di noi umani. Così la vulnerabilità delle giraffe è la nostra vulnerabilità, portata all’estremo: non hanno voce per parlare, vivono in gabbie con sbarre ben visibili (ma il muro palestinese non è forse una gabbia?). Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 107/108, p. 18. a.s. numero 107/108· settembre-dicembre 2014 13 DAI 14 ANNI DAI 12 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 14 Godzilla 1999. Joe Brody è costretto a sacrificare la vita di sua moglie per impedire la contaminazione della città di Janjira dopo l’attacco alla centrale nucleare. Nei successivi 15 anni l’uomo indaga su quanto è accaduto, certo com’è che le cause del disastro siano state nascoste. Insieme a suo figlio Ford scopre così che il responsabile è una creatura preistorica, il MUTO, che si nutre di radiazioni e che ha fatto il suo bozzolo nella zona, costantemente monitorato da una squadra comandata dallo scienziato giapponese Serizawa. Ma il MUTO non è solo: già nel 1954 Godzilla, un altro e più temibile predatore, era stato individuato dalle autorità. Quando il MUTO infine si risveglia, la sua attività esercita un richiamo che riporta in superficie anche Godzilla. Dopo la morte di Joe, Ford deve quindi mettere le sue abilità al servizio dell’emergenza globale e ricongiungersi alla famiglia. r. Gareth Edwards or. Usa/Giappone, 2014 distr. Warner Bros dur. 123’ I n sessant’anni di attività, fra grande schermo, tv, libri e fumetti, Godzilla ha continuato a rappresentare un simbolo dell’inconscio collettivo e delle paure connaturate alla cognizione che l’uomo non è il reale centro dell’universo. Così, le imprese dei mostri ritratti nel film chiamano idealmente in causa il disastro nucleare di Fukushima, lo tsunami nel Grand Budapest Hotel 1968. Uno scrittore trascorre un soggiorno in un albergo fatiscente e conosce il proprietario Zero Moustafa. Questi racconta come sia entrato in possesso dell’hotel. Si torna a quando l’uomo era garzone in prova e Gustave il concierge del Grand Budapest Hotel, amato dagli ospiti. In particolare da Madame D. che un giorno gli rivela il presentimento che non si rivedranno più. Poco dopo giunge la notizia della morte della donna. Gustave con Zero si reca a darle l’estremo saluto. Presente alla lettura del testamento, viene a sapere che Madame D. gli ha lasciato in eredità un famoso dipinto. Approfittando della confusione, porta via il quadro. Nel frattempo le indagini sull’assassinio di Madame D. inducono a ritenere che sia lui il colpevole ed è incarcerato. Ma riuscirà a provare la propria innocenza e scoprirà una lettera autografa della compianta che lo nomina erede di tutti i suoi beni, incluso l’albergo. numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 r. Wes Anderson or. Usa 2014 distr. 20th Century Fox dur. 100’ A nderson ci riporta alle atmosfere a cavallo tra le due guerre. Omaggio a un’Europa che ha i colori pastello di un fondale scenografico, in cui l’autore ricrea l’universo affascinante dei grandi alberghi del periodo. Privilegia figure-simbolo che si confrontano con la Storia, pur senza rinunciare alle stravaganze e a quell’inconfondibile misto di ilare serietà e determinazione che ne caratterizza l’agire in una trama che si dipana in un noir. Sud-Est asiatico del 2004, gli attacchi cittadini dell’11 Settembre 2001, in una sorta di compendio dei traumi globali che hanno minato (e allo stesso tempo foraggiato) l’immaginario del mondo a cavallo dei due millenni. Ciò che più colpisce però è il doppio passo di una pellicola che da un lato tenta quasi di sabotare l’elemento umano per ridare centralità ai giganteschi mostri, solleticando in tal modo la cifra “mitica” su cui queste storie prosperano. A questo fa da contrappunto una tendenza, poi, a stare su storie “piccole”, come quella della famiglia Brody, che del film è l’autentico cuore pulsante, di cui seguiamo le peripezie, le dinamiche filiali e i sentimenti contrastati, fra separazioni traumatiche e voglia di ricongiungimento. Come a dire che, se da un lato il campo è tutto per i mostri, unici in grado di determinare lo spazio nel quale l’uomo possa permettersi di muoversi, dall’altro sono i sentimenti a garantire alla martoriata umanità l’unica chiave di volta per esserci nel mondo. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 105, p. 5. d.d.g. Dedicato a Stefan Zweig, autore le cui opere furono bruciate dai nazisti, Grand Budapest Hotel è ispirato a un profondo pacifismo e quel suo prendere posizione contro l’ottusità di chi ha obbedito ciecamente al nazismo è un monito nei confronti di ogni dittatura. Ma la vicenda non ha nulla di realistico, i toni sono quelli di una favola surreale a cui il regista imprime un dinamismo inatteso, con colpi di scena a ritmo di slapstick comedy. Grand Budapest Hotel ha una complessità compositiva che si esplica in un gioco di scatole cinesi, dove una vicenda rimanda a un’altra avvenuta in epoca precedente, entrambe racchiuse da una cornice che apre e chiude il film. Stilisticamente il cineasta mette in piedi un’imagerie coloratissima, a partire dalla composizione di ogni inquadratura, simile a un dipinto in movimento. Costruito come un conte philosophique, il film sottolinea i valori dell’amicizia e della parola data, è un’avventura visiva al sapore di un Courtesan au chocolat e dal profumo inconfondibile di Air de panache. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 105, p. 6 e 7. l.c. DAI 16 ANNI DAI 12 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 Gravity La Dott.ssa Ryan Stone è per la prima volta nello spazio per lavori di manutenzione al telescopio Hubble. Mentre si trova sul posto la sua navicella viene colpita da uno sciame di detriti causati dall’esplosione di un satellite russo. Separata dai compagni e costretta a seguire quanto ha imparato nelle esercitazioni, la donna viene guidata via radio dal pilota Matt Kowalski, che però ben presto muore nell’incredibile catena di disastri generati dai detriti. Ogni sforzo di riguadagnare il controllo della situazione sembra vanificato dall’incalzare degli eventi, tanto che la sfortunata astronauta sarà costretta dapprima a raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale e poi, da lì, la stazione orbitante cinese Tiangong 1. L’avventura diventa per Ryan anche un’occasione per riflettere sulle scelte compiute nella sua vita, sui traumi sepolti nel passato e sulla sua reale voglia di vivere. r. Alfonso Cuarón or. Usa/Gran Bretagna 2013 distr. Warner Bros dur. 90’ G ravity staziona perennemente fra la vastità e la ristrettezza dello spazio, e fra la pregnanza di dialoghi che fissano punti fermi e gesti che invece evocano l’indeterminato. Cuarón imbastisce un complesso spettacolo dove la tecnica usata per riprodurre l’assenza di gravità genera nello spettatore una vertigine potentissima; ma lo fa per dare forma a un raccon- Hannah Arendt Scappata dagli orrori della Germania nazista, la filosofa ebrea Hannah Arendt nel 1940 si rifugia con il marito e la madre negli Stati Uniti. Qui diviene tutor universitario, attivista della comunità ebraica di New York, e collabora con alcune testate giornalistiche. Quando il Servizio segreto israeliano rapisce Adolf Eichmann a Buenos Aires e lo porta a Gerusalemme per sottoporlo a giudizio, decide di presenziare al processo in aula. William Shawn, responsabile della rivista New Yorker, si dimostra molto favorevole alla sua partecipazione. Hannah si ritrova così in tribunale a seguire il dibattimento contro il funzionario nazista Adolf Eichmann (responsabile dei trasferimenti degli ebrei nei campi) da cui prenderà spunto per scrivere La banalità del male, un libro che susciterà scandalo e polemiche soprattutto negli Stati Uniti e in Israele dove fu censurato da Ben Gurion fino al 2002. r. Margarethe von Trotta or. Germania/Lussemburgo/Francia 2012 distr. Nexo Digital, Ripley’s Fi dur. 114’ M argarethe von Trotta per il biopic di Hannah Arendt si è documentata sui libri, sulle lettere della giornalista, sulle testimonianze dirette scoprendo una donna affascinante, spiritosa e piacevole, un personaggio complesso e discusso all’epoca per i suoi scritti. La pellicola mostra la protagonista nel corso dei quattro anni (dal 1961 al 1964) in cui assiste, scrive e affronta la reazione ai suoi articoli sul criminale di guerra nazista Adolf Ei- to “piccolo” e intimo, dove la distruzione spaziale esteriorizza un conflitto interno riconducibile comunque a una sola persona. Lo spazio che noi vediamo riprodotto sullo schermo, per quanto scientificamente esatto nel mostrare l’inerzia dei corpi alla deriva, è in realtà un enorme schema metaforico che guarda al cuore di una donna indifesa. Ecco dunque che la sfida più grande che il film si pone è quella di trovare la sintesi fra la meccanica e le regole inderogabili della fisica, e l’inafferrabilità dei meccanismi cui è sotteso l’animo della gente. La battaglia che Ryan deve affrontare per riuscire a guadagnare la propria salvezza è dunque quella che la porti a riguadagnare una stabilità, sfruttando a proprio vantaggio l’assenza di gravità. Per certi aspetti è come se la donna sia costretta a ricreare una propria gravità, ponendosi dunque in una posizione che non sia subalterna al caos che ha generato l’avventura, ma che anzi sfrutti lo stesso assumendo un ruolo critico e consapevole rispetto a quanto accade. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 101/102, p. 8 e 9. d.d.g. chmann, sostenuta dal marito e da una ristretta cerchia di amici. Osservando il personaggio della Arendt avvertiamo l’intensità della sua figura che il film descrive con primissimi piani nel suo affascinante mix di supponenza e vulnerabilità. La regista intreccia il pubblico e il privato di Hannah mostrandoci, attraverso pochi ma importanti flashback, l’amore giovanile per il suo maestro-amante Martin Heidegger, seguace del nazismo. I fitti dialoghi con l’amica del cuore, la scrittrice Mary McCarty che la difende strenuamente. Quindi moglie affettuosa, innamorata del marito Heinrich, considerato “la sua casa”. Nella seconda parte del film dedicata al processo, rafforzano le tesi di Hannah immagini di repertorio, dove Eichmann, appare raffreddato e malconcio, inquadrato dalle telecamere di tutto il mondo, un omino che, tremolante, risponde alle domande del Procuratore generale. La Arendt entra nell’ infuocato tribunale di Gerusalemme aspettandosi di vedere un mostro, ma scopre la sciatta mediocrità di una persona che non coincide con la ferocia delle sue azioni. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 105, p. 8 e 9. m.m. numero 107/108· settembre-dicembre 2014 15 DAI 16 ANNI DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 16 Ida 1962, Polonia. Anna è una giovane orfana cresciuta in convento. Quando scopre di avere una zia, Wanda, è a un passo dal prendere i voti. La Madre Superiora le consiglia di raggiungere Varsavia per conoscere la sua unica parente ancora in vita, prima di decidere definitivamente quale strada intraprendere. Wanda, sorella della madre defunta, è un magistrato comunista, che in passato ha combattuto con i gruppi della Resistenza. Le rivela che il suo vero nome è Ida, che la sua famiglia ha origini ebree e che durante la guerra fu vittima di persecuzioni, che costarono la vita ai genitori della ragazza. Recatesi nella vecchia fattoria dove la sua famiglia si era nascosta durante la guerra, scoprono che un contadino locale li tradì causandone la morte. Per Ida si apre un capitolo nuovo della sua vita, un viaggio alla scoperta delle sue radici, accompagnata da una donna disillusa, che cela una sofferenza dilaniante. r. Pawel Pawlikowski or. Danimarca/ Polonia 2013 distr. Parthénos dur. 80’ I viraggi di grigio e i neri foschi, il formato anacronistico dell’inquadratura 1,37:1, il posizionamento delle figure umane all’interno del quadro stesso, rendono interessante dal punto di vista linguistico Ida, senza per altro eccedere in estetismi. La retorica di Pawlikowski non è pedante ma efficace nel definire racconto e psicologie. Anna, castigata nell’abito monacale, all’inizio è quasi marginalizzata all’interno dell’inquadratura, come a esprimere la condizione esisten- In grazia di Dio Salento, Puglia. Costretta a chiudere l’azienda di famiglia a causa dei debiti dovuti all’assenza di clienti, Adele si ritrova senza lavoro, senza soldi e senza casa, con una famiglia da mantenere. L’anziana madre propone di trasferirsi nell’unica proprietà rimasta, una piccola masseria con qualche ettaro di terreno. Loro malgrado, le sorelle Adele e Maria Concetta devono darsi da fare per rimettere in sesto la campagna e l’abitazione. Adele baratta i prodotti faticosamente coltivati con la benzina, il cibo, i medicinali, la fornitura di energia elettrica. Ma è sempre più stanca e scontenta delle relazioni familiari, che lasciano a lei tutto il peso della gestione domestica ed economica di quella situazione precaria. È in particolare Ina, sua figlia, a darle le maggiori preoccupazioni che culminano in un duro scontro quando la ragazza, molto mondana e poco studiosa, annuncia di essere incinta. numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 r. Edoardo Winspeare or. Italia 2013 distr. Good Films dur. 127’ T re generazioni stanno strette l’una all’altra e celano la reciproca insofferenza in nome di un bene comune che possiedono, l’azienda tessile alla cui gestione tutti partecipano. Quando i privilegi di città spariscono, divorati da un sistema economico iniquo, in quella periferia di mondo l’equilibrio si rompe. Vito, l’unico uomo di casa, emigra in Svizzera e lascia la sorella Adele, la più ziale di questa novizia che pare aver già scelto quale strada percorrere (votarsi a Cristo) senza aver di fatto conosciuto altro fuori dal convento. La comparsa della zia, preludio alla scoperta di una storia familiare inimmaginabile, la trasforma gradualmente. Wanda, dipendente da fumo e alcol, le restituisce il suo vero nome, Ida, e mentre indaga con lei nel tentativo di scoprire dove siano sepolti i suoi genitori, la assedia con proposte di vita audaci. La dialettica che ne scaturisce definisce lentamente un viaggio verticale nelle due donne, mentre la vicenda del rinvenimento delle ossa di madre e padre in una fossa vicina alla loro vecchia casa perde di peso. Lo squallore della dinamica che trasformò un uomo cattolico in criminale, colpevole di aver ucciso i coniugi per impossessarsi della loro casa approfittando dei rastrellamenti ai danni degli ebrei, è un dettaglio in uno scenario terrificante: una pagina vergognosa in un’enciclopedia degli orrori quale fu la Polonia conquistata e devastata dalla seconda guerra mondiale. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 105, p. 12 e 13. a.l. coinvolta nella conduzione dell’azienda, a cercare di sbrogliare la matassa di burocrazia che si fa via via più complicata. Tutto deve riprendere dal punto zero: la nonna Salvatrice propone di tornare in campagna, in una piccola casa abbandonata.Niente di esaltante, soprattutto agli occhi di Ina che non ne vuole sapere di una vita così: la casa è isolata, i cellulari prendono a stento, ma è l’unica possibilità di sopravvivenza. Ci vengono mostrate una serie ben calibrata di riprese di vita all’aria aperta, schiette, vere, per nulla idilliache: l’alzarsi presto e il coricarsi senza luce, il caldo, la polvere, la fatica di stare chini a zappare, seminare, togliere le erbacce. Inquadrature di viottoli di campagna che conducono al nulla, in un paesaggio splendido e rigoglioso - un uliveto che guarda il mare - ma immobile e povero di umanità. La povertà che le quattro donne vivono riflette la povertà morale dei personaggi, le incomprensioni, la superficialità. Nessuno di loro è del tutto positivo, ciascuno cova un sordo rancore nei confronti degli altri. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 105, p. 14 e 15. c.m.v. DAI 14 ANNI DAI 14 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 Incompresa Aria (9 anni), vive stretta tra la sorella maggiore, figlia di primo letto del padre e l’altra di poco più giovane, frutto di una precedente relazione della madre. Lei è la figlia della pianista e dell’attore, artisti centrati su di sé, incapaci di gesti d’amore, saturi di un rapporto giunto al capolinea. Il film, ambientato nel 1984, racconta un anno nella vita di Aria, quando deve fare i conti con il nuovo assetto familiare, dividendosi tra i due genitori separati. Il suo è un faticoso girovagare tra le due abitazioni alla vana ricerca di un focolare dove essere accolta, unica compagnia un gatto nero raccolto per strada. Crede di poter contare sull’amica del cuore, ma ne rimarrà delusa. Si rifugia nella scrittura, i suoi temi le fanno guadagnare un pubblico riconoscimento. Ma neanche i successi scolastici sembrano toccare i suoi genitori. Ad Aria non resta che meditare un gesto estremo per conquistare finalmente la loro attenzione. r. Asia Argento or. Italia/Francia 2014 distr. Good Films dur. 106’ I l film, pur narrando la tragica storia di un’infanzia delusa e oltraggiata, sceglie uno stile a tratti grottesco, surreale, spiazzante, dai toni esasperati. Aria racconta in prima persona il mondo contraddittorio nel quale è costretta a vivere. Abituata al benessere, deve fare i conti con l’ammirazione invidiosa dei compagni di scuola e con la certezza che ai privilegi economici non corrisponde un appagamento affettivo. Il film sceglie una strada difficile, in cui gli adulti agli occhi di una bambina arrabbiata, delusa e addolorata, sono maschere mostruose, pietrificate dall’insincerità e dall’assenza del sentimento. Le due sorelle di Aria non conoscono il piacere della complicità e della condivisione. Entrambe vivono il privilegio di essere le prescelte del padre e della madre. Aria è la pecora nera, ha i capelli corti, è magra, ha un mondo interiore ricco, è sensibile e capace di sguardo critico. Vive divisa tra il mondo dei coetanei e quello degli adulti: è libera. Ingenua e smaliziata, ha bisogno di essere sostenuta e compresa almeno dalla sua amica del cuore, che mette continuamente alla prova fino a sentirsi rifiutata anche da lei. Se gli adulti sono crudeli, pure i bambini lo sono, e uno scherzo di cattivo gusto arriva anche dai compagni di scuola. Il film è stato girato in pellicola per dare alla fotografia una grana che assomigliasse alle istantanee delle Polaroid. La colonna sonora, coinvolgente, si rende interprete degli stati d’animo di Aria. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n, 106, p. 8 e 9. a.ma. Un insolito naufrago nel tranquillo mare d’Oriente Jafaar rappresenta l’uomo comune, costretto a vivere una vita dove ogni scelta individuale sembra essere vietata. Da quando il maiale è entrato nella sua vita, l’unico pensiero è liberarsene. Paradossalmente invece, man mano che la vicenda si dipana, la sua presenza conLe cochon de Gaza sentirà di trovare dei punti di solidarietà tra le due parti in conflitto. Jafaar è un pescatore palestinese che vive Per la religione islamica il maiale è cocon la moglie lungo il muro della Striscia sì impuro che non si può nemmeno tocdi Gaza. Sorvegliato dai militari israeliani, care. Anche per l’ebraismo è lo stesso, gli una mattina pesca un grosso maiale. ebrei li allevano su assi sospese perché Poiché l’animale è ritenuto impuro dalla non tocchino il suolo sacro; quando il r. Sylvain Estibal or. Francia/Germania/ religione islamica decide di sbarazzarsene. maiale deve camminare su quello palestiBelgio 2011 distr. Parthénos dur. 99’ Ma non ci riesce. Nel frattempo scopre che nese viene dotato di calzini. vicino a lui i coloni ebrei allevano in gran Virando dal sacro al profano, come on questa commedia l’esordiente elemento comune tra palestinesi e israesegreto proprio dei maiali per la loro Sylvain Estibal, scrittore e giornali- liani viene preso l’interesse per le telenocapacità di fiutare gli esplosivi. Lungo il recinto della colonia conosce una sta franco-uruguayano, estraneo alle due velas, che diventano punto di partenza giovane russa interessata alla potenzialità nazionalità in gioco nel film, invita a ri- per riflessioni sulla situazione politicoflettere su due fatti. Il primo è che, co- sociale. Questo prodotto televisivo apriproduttiva del maiale e così pensa di aver trovato la soluzione ai suoi problemi munque la si pensi, la questione palesti- passiona, fa arrabbiare e commuovere nese ha una rilevanza universale. Il se- uomini e donne, giovani e vecchi in ogni economici e la risposta alle sue preghiere. condo che il dramma di quei territori angolo della terra, quindi a buon diritQuando tutto sembra procedere per il può essere raccontato anche con ironia to può trasformarsi in strumento di coverso giusto, un gruppo di terroristi e leggerezza, ma non per questo con mi- municazione anche a Gaza. Vedi anche integralisti lo recluta suo malgrado, nore serietà. mandando in aria l’affare e la sua vita. in Il Ragazzo Selvaggio n. 106, p. 30. s.s. C numero 107/108· settembre-dicembre 2014 17 DAI 16 ANNI DAI 14 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 18 Jersey Boys New Jersey tra gli anni 50 e i primi anni 70. Anche qui gli italo-americani sono spesso collusi con la mafia e i giovani fanno dentro e fuori la galera. Come Tommy, amico di Frankie, che ha la voce in falsetto. Frankie e Tommy, “sciupafemmine” scapestrati, decidono di creare una band alla quale si aggiungono Bob, di buona famiglia e bravo compositore, e Nick, figura minore ma essenziale. I quattro hanno un successo strepitoso, diventano i leggendari Four Season: donne, soldi e potere. Ma nel gruppo cominciano a formarsi le prime crepe e Frankie inizia una carriera da solista perché le vicende private dei “cattivi ragazzi” segnano i volti e le anime: Frankie si sposa troppo presto, muore la sua figlia minore e lui si sentirà responsabile. A questo punto si spezza il difficile, ma forte legame con Tommy che costringe la band a sobbarcarsi un debito contratto con la criminalità organizzata. Il mitico gruppo si scioglie. Resta la musica. r. Clint Easwood or. Usa 2014 distr. Warner Bros Italia Dur. 134’ J ersey Boys è il racconto della nascita di una band musicale, un racconto biografico, ma è soprattutto il racconto di un’epoca, un racconto che diventa universale. L’epoca è quella in cui tutti i desideri erano a portata di mano. L’epoca di Elvis e di Frank Sinatra: dell’alcol, della droga, della vita vissuta al massimo, della gioventù. Ma la giovinezza è una del- Jimmy P. Alla fine della seconda guerra mondiale Jimmy Picard, un nativo indiano della tribù dei Blackfoot, inizia a soffrire di terribili mal di testa, attacchi di panico e intermittente cecità. Ricoverato all’Ospedale militare per veterani di guerra di Topeka, in Kansas, specializzato in malattie psichiatriche, Jimmy si chiude in se stesso finché non è affidato a Georges Devereux, un antropologo e psicanalista francese, di origini ungheresi, specializzato nello studio delle culture altre da quelle Occidentali, comprese quelle dei nativi americani. Georges è un uomo brillante, pieno di entusiasmo e competenza; troverà in Jimmy un interlocutore di grande umanità, afflitto da un disagio psicosociale che riuscirà a individuare e guarire. Oltre alla dimensione puramente medica, però, si instaura tra i due un rapporto di profonda e solida amicizia. numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 r. Arnaud Desplechin or. Usa/Francia 2013 distr. Bim dur. 114’ I l primo film in lingua inglese di Arnaud Desplechin è la vicenda travagliata di una ricerca interiore e di un’amicizia. La storia di un uomo silenzioso e intimamente dolente, ispirato alla vita vera di Jimmy Picard, nativo americano il cui dolore nascosto è stato smosso dalla guerra e ora viene ricomposto dal racconto. Non è cambiato il modo di esporre e filmare i sentimenti per il regista: i personaggi ce ne mostrano i cambiamenti sottili attraverso le espressioni del volto o la le fasi dell’esistenza: dovrebbero seguire la maturità e la saggezza della vecchiaia. Forse i quattro protagonisti del film sono rimasti eterni Peter Pan in cerca di leggerezza, anche se la vita ha presentato il conto. Interessante l’idea di farli parlare in camera, in un dialogo diretto con lo spettatore, per uscire dal personaggio/performer ed essere liberi di raccontarsi da uomini tra gli uomini. Lo stile di Eastwood è riconoscibile nella scelta di una regia e di una composizione delle inquadrature sempre razionale e controllata come a voler contenere tutto l’eccesso che quella vita passata portava con sé. Infatti: spenti i riflettori, tolti i lustrini, suonata l’ultima nota, cosa resta? Dovrebbero rimanere i valori tanto cari a un uomo dell’età del regista, per di più americano fino all’osso: la lealtà, l’amicizia, l’onore, il coraggio. Non una parola in eccesso, un gesto, un’azione inutile: tutto è calibrato per farci conoscere da vicino i personaggi e da dentro la band. La sceneggiatura può sembrare banale, ma riesce comunque ad affascinare il pubblico. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n.106, p. 22. a.m. forma delle parole. Nel lungo dialogo che si estende per tutto il film Jimmy e il dottor Devereux raccontano e vivono grazie alle parole ogni emozione. Devereux chiede al suo paziente la traduzione nella lingua del Blackfoot delle parole più importanti, per imparare e per rendere complice Jimmy della sua stessa vita. C’è disequilibrio fecondo, però, nella messa in scena di Desplechin. Nella ripetizione e nella dilatazione dei tempi si individua la necessità del dire e dell’essere detto. Salvo poi, fornirci solo indizi sulla vita di Devereux, antropologo di origine ungherese di cui, però, non si può parlare, in fuga dall’Europa nonostante abbia “francesizzato” il suo nome, in polemica con l’ordine dei medici in quanto non propriamente medico, e innamorato di una donna che, però, non gli appartiene. I dettagli sono spiegazione per quel che riguarda Jimmy, si infittiscono in una rete di omissioni per quel che riguarda Devereux: osservatore “non osservabile”, alter ego del regista che proietta nel film immagini di sé. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 105, p. 21. g.p. DAI 6 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 Khumba Cercasi strisce disperatamente Kumba DAI 6 ANNI Khumba è un cucciolo di zebra con le strisce solo nella parte anteriore del corpo. I suoi simili sono convinti che sia la causa della siccità che ha colpito il loro territorio e restano chiusi in una zona del deserto per preservare l’unica pozza d’acqua. Cresciuto, Khumba decide di avventurarsi alla ricerca di una fonte magica che, come gli ha detto la mamma prima di morire, donerebbe le strisce alle zebre che vi si immergono. Parte con Bradley, uno struzzo artista, e Mama V, uno gnu protettivo. Il gruppo, cui si aggiunge un branco di antilopi, affronta vari pericoli: ad esempio Phango, leopardo predatore, sempre però meno degli umani che vogliono catturare fotografie degli esemplari della giungla. La tenacia e il coraggio di Khumba e gli amici saranno di esempio per gli altri animali e gli spettatori che capiranno come la vera “fonte magica” sia la diversità che rende unici. r. Anthony Silverston or. Sudafrica 2013 distr. Eagle dur. 83’ V arcare i confini, soprattutto quelli imposti da altri, significa crescere: ed è quello che fa Khumba, insegnandolo anche agli spettatori più piccoli. Si viaggia nella foresta, luogo simbolo delle avventure fiabesche, dove gli eroi sono costretti a mettersi alla prova, a superare pericoli e paure e dove, alla fine del viaggio, ci si scopre più maturi. Khumba, nel suo percorso di formazione, è aiutato da amici che rappresen- The Lego Movie Emmet, un operaio edile Lego, viene erroneamente identificato come la figura chiave per salvare il mondo. Si troverà così a guidare una missione epica per fermare il tirannico Presidente Business, un malvagio imprenditore che tenta, con difficoltà, di conciliare tutti i dettagli della propria vita con una sete di dominio mondiale. Una missione per cui Emmet è impreparato, ma ad aiutarlo ci saranno dei compagni di avventura: Lucy, ‘dura come una roccia’; Vitruvius, anziano saggio hippie con la sua voluminosa barba bianca; l’enigmatico Batman, fidanzato di Lucy; Barbacciaio, spavaldo pirata in cerca di vendetta nei confronti del Presidente Business; la dolce e amabile Uni-Kitty che guida il regno di Cloud Cuckoo Land; Benny, l’uomo dello spazio anni 80. Riuscirà Emmet, impreparato, a portare a termine la difficile missione sfuggendo anche alle grinfie del fedele braccio destro del Presidente, Poliduro/ Politenero? r. Phil Lord, Christopher Miller, Chris McKay or. Australia/Usa/Danimarca 2014 distr. Warner Bros dur. 100’ T he Lego Movie è il film in 3D che ha fatto registrare in Usa il maggiore incasso di fine 2013, un successo ripetuto ovunque nel mondo. I motivi sono tanti, a partire dalla trama, pur classica, che si muove su due livelli di senso: uno per i più piccoli, stimolati nella creatività dagli oltre 15 milioni di mattoncini utilizzati, l’altro per gli adulti, che ridono davanti a citazioni cinematografiche di quando i piccoli accompagnati al cinema erano loro e vedevano per esempio Guerre stellari tano altre forme di diversità oltre alla propria: Bradley è una buffa macchietta, Mama V è lo gnu che diventa per Khumba una figura materna. Poi, nel suo cammino, la zebra incontra il cane selvatico, l’aquila nera e solitaria, e il branco di antilopi, loro sì tutte uguali, ma capaci di essere bravissime giocatrici di rugby e di estirpare staccionate. Tutti animali diversi, appunto; tutti con una peculiarità che può essere utile a ottenere il risultato finale. Ma anche i limiti o i difetti possono contribuire a creare armonia nel gruppo. Il protagonista è vittima di pregiudizio e quindi viene emarginato dalla sua comunità, ma poi, grazie al coraggio e all’intraprendenza, si renderà conto che “essere diversi” può costituire un valore aggiunto sia per se stessi sia per la stessa comunità da cui era stato allontanato. Khumba diventerà consapevole del fatto che non è importante il numero delle strisce che colorano il suo manto, ma che più dell’apparenza è importante l’interiorità. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 104, p. 35. a.m. (1977) e personaggi dell’immaginario di almeno due generazioni. Il risultato è un’avventura dai ritmi mozzafiato che certamente ha consapevolezza dell’operazione, ma è impossibile resistere alla presenza così familiare a tutti, e nello stesso tempo sempre affascinante, dei mattoncini usati per tutto ciò che si vede: acqua, fumo, rocce, supereroi, animali. La cosa incredibile è che i veri pezzi Lego® arrivano solo dopo un’ora, quando una scena dal vero mostra un ragazzino che sta giocando con una città costruita con i mitici pezzi. Solo allora si capisce che la storia del film è concepita come se un bambino e un adulto giocassero insieme: il bambino inventando situazioni improbabili e l’adulto divertendosi a fare continue citazioni. Il finale riesce a intersecare il mondo dei Lego a quello umano: chi vince non è l’adulto che vuole rendere gli scenari Lego definitivi attaccando i mattoncini con una super colla, ma il bambino che gli fa capire l’importanza di poter distruggere e ricostruire situazioni sempre nuove. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 104, p. 36. s.s. numero 107/108· settembre-dicembre 2014 19 DAI 16 ANNI DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 20 Lei Her Los Angeles, in un futuro non lontano. Theodore lavora in una società specializzata. Deluso dalla fine del matrimonio con Catherine, s’interessa al Sistema Operativo avanzato a controllo vocale, dotato di coscienza, che promette di essere un’entità unica e intuitiva. Appena lo avvia, conosce Samantha, brillante voce femminile che dimostra di essere molto intelligente, sensibile e spiritosa. Man mano che i desideri dei due crescono, la loro amicizia matura fino a diventare amore. Pur comunicando regolarmente con una coppia di amici, Amy e suo marito, Theodore trova in Samantha, che non vede mai, l’amour fou e un mentore con la possibilità straordinaria di uscire dalla solitudine. Così, ritrova anche la gioia e la spensieratezza che riteneva perdute. Tuttavia le delusioni d’amore provate con Samantha lo spingeranno a incontrare la sua amica reale Amy, reduce nel frattempo anch’ella da dolorosa separazione. r. Spike Jonze or. Usa 2013 distr. Bim dur. 120’ J onze ci regala un’opera, dimessa quanto preziosa, di fantascienza sull’amore come sui rapporti uomo-macchina o uomo-Intelligenza Artificiale. I temi hollywoodiani dell’amore romantico e della “guerra dei sessi” si ribaltano con toni soft, con tratti ironici ma scientificamente corretti e cenni che preludono all’umanesimo ibrido (postumano), composto di uomini e macchi- Locke Ivan Locke è un capocantiere che ama il proprio lavoro e un premuroso padre di famiglia. Alla vigilia di un impegno imponente riceve la telefonata di un’ex assistente con cui ha avuto una relazione che, rimasta incinta, sta per partorire. La donna non ha famigliari e Ivan, anziché rientrare a casa, dove lo aspettano la moglie e due figli, si sente in dovere di andare ad assisterla, oltre che di assumersi la paternità del bambino. Lungo il percorso per raggiungere l’ospedale dove si trova la partoriente, a bordo della propria auto l’uomo tenta di spiegare la situazione alla consorte. Al contempo deve fronteggiare la delicata situazione lavorativa. Anche di fronte alla minaccia di licenziamento assicura al datore di lavoro che la colata di cemento prevista all’alba andrà a buon fine. A tal proposito, infatti, contatta un fidato assistente, a cui impartisce ordini e verifiche per garantire che tutto proceda come deve. numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 r. Steven Knight or. Usa/Gran Bretagna 2013 distr. Good Films dur. 85’ I n Locke, sin dalle prime battute, non vi è alcuna incertezza sulla scelta intrapresa dal protagonista e tuttavia si resta incollati davanti allo schermo, testimoni di un’odissea umana. Steven Knight, nel raccontare la vicenda di Ivan Locke firma una “scommessa” cinematografica. Un film sperimentale sul piano linguistico ed essenziale per come si spoglia di qualunque orpello scenografico. Il film è girato in tempo reale all’interno dell’abitacolo di un’automobile ne interagenti (compreso il rimando al filosofo hippy Alan Watts che coniugò il pragmatismo americano con lo zen giapponese). La morale sta nella permanenza dell’amore corrisposto, ieri e domani, come crescita e maturazione, morte e rinascita, ascolto e responsabilità tra le persone, macchine comprese, soprattutto giovani. Theodore, come tutti e come l’amica che ritrova, più di ogni cosa vuol essere “riconosciuto”. Come tutti cerca un legame profondo, duraturo, ma allo stesso tempo ne ha paura. Il film si segnala per la creazione di un “mondo” narrativo intimo quanto reale, per le qualità del décor con una Los Angeles utopica e più “umana” (immaginata con lo studio architettonico-artistico newyorchese Diller Scofidio+Renfro e in parte girata a Shanghai), grazie ai colori sull’arancione, gli ambienti omogenei, i ritmi lenti dei movimenti dei personaggi, come alla recitazione sincera e sincronizzata di Phoenix e Johansson, premiata al Festival di Roma come miglior attrice per le capacità vocali, mutevoli e molto seduttive. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 101/102, p. 31. e.g. in corsa. L’unico protagonista è inquadrato per lo più in primo piano. Il tessuto narrativo si alimenta delle telefonate che via via fa e riceve. È infatti dal loro susseguirsi e dal tono sempre più concitato e grave che si comprende quanto è successo e, come in un flusso di coscienza emergono alcuni nodi irrisolti della vita dell’uomo, in particolare il doloroso rapporto con il padre che lo ha abbandonato. Un personaggio che il regista tratteggia volutamente pragmatico, che nella sua ordinarietà è esemplare, per quel suo rigore che lo rende assimilabile, si potrebbe azzardare, a un eroe classico. Locke è un intenso kammerspiel dal ritmo serrato, un corto-circuito emotivo, un film la cui originalità e forza espressiva risiedono nel felice connubio tra la ricerca linguistica dei nuovi mezzi cinematografici digitali e l’asciuttezza compositiva che rimanda all’espressione teatrale, facendo proprie le unità aristoteliche di tempo, luogo e azione e affidandosi alla forza recitativa del suo protagonista. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 105, p. 27. l.c. DAI 10 ANNI DAI 12 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 La mafia uccide solo d’estate Arturo è stato concepito a Palermo la sera in cui Riina, Provenzano, Bagarella e due affiliati del clan Badalamenti travestiti da agenti della Guardia di Finanza - uccisero Michele Cavataio dando inizio alle stragi di mafia. La sua vita sarà segnata da quell’episodio e dagli incontri con coloro che vissero quel momento da entrambe le parti della barricata: conoscerà il giudice Rocco Chinnici e intervisterà il generale Dalla Chiesa; deciderà anche di lavorare per la campagna elettorale di Salvo Lima. Arturo cresce tra reticenze e coraggio, ma soprattutto con due passioni: quella per il giornalismo e quella per Flora, di cui è da sempre innamorato. Poi c’è Giulio Andreotti che per Arturo è incarnazione di giustizia, intelligenza e deus ex machina di tutti i mali italiani. La strage di Capaci sarà una deflagrazione per le coscienze e allora anche Arturo e Flora troveranno il coraggio di ribellarsi. r. Pif (Pierfrancesco Diliberto) or. Italia 2013 distr. 01 Distribution dur. 90’ P if riaccende l’attenzione sul tema della mafia attraverso gli occhi di Arturo, anima candida in una realtà crudele. Il regista viene dalla tv e questo emerge nel montaggio serrato e nel sarcasmo che permea gran parte del film. Arturo è innamorato di Flora, ma un rivale disonesto ne anticipa le mosse; teme che gli innamorati come lui vengano uccisi dalle cosche, ma il padre lo rassicura dicendogli che la mafia uccide solo d’estate; si domanda perché Andreotti non abbia partecipato al funerale di Maleficent Rivisitazione della fiaba della Bella addormentata, angolata dal punto di vista non della vittima, ma della strega cattiva, della quale vengono mostrati moti interiori ed evoluzione psicologica. Malefica, gentile creatura alata, dotata di poteri magici, vive nella Brughiera, un mondo in equilibrio ecologico con la natura. Ferita dal tradimento del giovane che ama, si vendica con la nota magia: Aurora, la figlia del re (appunto il giovane traditore, divenuto tale) crescerà in grazia e bellezza, ma entro il sedicesimo compleanno si pungerà con la punta dell’ago di un arcolaio e cadrà in un sonno profondo, dal quale potrà risvegliarla solo il “bacio del vero amore”, che con stupore di tutti verrà identificato dove nessuno se l’aspettava. Incoronata regina dei due regni unificati, la giovinetta abbatterà la barriera che li separava e governerà un mondo pacificato e armonioso. r. Robert Stromberg or. Usa 2014 distr. Walt Disney Italia dur. 97’ M alefica, non più icona del Male, ma personaggio articolato, viene indagata nel suo dinamismo interiore, nel Bene e nel Male che nelle fiabe vengono mostrati in personaggi opposti. Il Male è reazione a un torto subito e l’odio amore cambiato di segno, quasi il modo d’essere originario fosse quello positivo e il Male conseguenza di interventi aggressivi. Novità è l’interazione fra bambina e strega, per cui Aurora non risulta vittima innocente di un odio assoluto, ma Dalla Chiesa, ma l’uomo di Stato è amico degli amici e preferisce i battesimi. Vive e cresce nella Palermo degli anni 70 e del ventennio successivo, anni di paura, bombe, attentati. E di tanta indifferenza. Fa fatica quindi a comprendere cosa significhi ribellarsi alla cultura del silenzio, della raccomandazione e della violenza. Il finale del film si fa serio: dopo l’ennesimo assassinio, con i corpi straziati dei giudici e della scorta, si leva il grido di rabbia e di dolore di un popolo per troppo tempo schiacciato dalla paura. I palermitani urlano la loro indignazione, chiedono l’intervento dello Stato, di non essere lasciati soli come quei martiri che hanno dato la vita per la pace e la legalità. Nella folla, tra le lacrime e l’esasperazione, Arturo e Flora si riconoscono nei nuovi valori e si baciano. La vita si rinnova negli occhi del loro figlio: quel bambino che i genitori accompagnano in un originale pellegrinaggio, sotto le targhe dedicate ai caduti per mafia e per l’ignavia delle istituzioni. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n.103, p. 19. a.m. persona capace di orientamento e di scelte, che sa intervenire sul proprio destino. La fiaba antica si è modernizzata non solo nell’adozione dei mezzi espressivi e figurativi, capaci di evocare con efficacia un mondo favoloso, ma anche e soprattutto nello scavare fra conscio e inconscio e nel mostrare l’animo dei protagonisti assetato di relazione, soggetto a ripensamento, evoluzione e sviluppo. “Vero amore” si rivelerà quello materno, ambivalente e vero di ogni donna che rispetti la scelta dell’altro. La fiaba, narrata da Aurora, mostra due donne - la fata e la bambina - capaci di crescita interiore e autonomia e le colloca nell’ambiente magico, tipico di Disney, popolato di esseri bizzarri e favolosi. Presentando temi ecologici, psicologici e relazionali attuali, illustra l’immagine di donne ferme, capaci di forti sentimenti e di scelte autonome, accanto a uomini violenti, avidi e fedifraghi; si giova della consueta ambientazione gotica, evocata con i moderni strumenti espressivi del fantasy. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 106, p. 12 e 13. m.g.r. numero 107/108· settembre-dicembre 2014 21 DAI 14 ANNI DAI 18 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 22 Maps to the Stars Agatha Weiss, reduce da un incidente che l’ha lasciata deturpata sul volto e alcune parti del corpo e da un periodo trascorso in un ospedale psichiatrico a seguito di quegli eventi, torna a Los Angeles con una missione da compiere: vendicarsi dei genitori che la fecero rinchiudere. Si fa assumere da Havana Segrand, attrice in declino ossessionata dalla madre Clarice Taggart, stella del cinema morta in un incendio. Havana è una paziente di Stafford Weiss, psicologo new age affermato e superficiale. Lentamente, Agatha mette in pratica il suo piano ritrovando il padre, la madre Cristina e il fratello tredicenne Benjie, star della tv, drogato e pieno di vizi. Cristina gli fa da manager. Per tutti i personaggi i fantasmi di un passato lontano o recente non smettono di manifestarsi. E li conducono verso l’unica libertà possibile in quel mondo devastato da avidità, egoismi, sensi di colpa: la morte. r. D. Cronenberg or. Canada/Usa/Francia/ Germania 2014 distr. Adler Entertainment dur. 111’ C on Maps to the Stars David Cronenberg ha realizzato il suo “film sul cinema”, la sua visione scura e spietata, intrisa di sferzante cinismo e humour nero, dell’ambiente divistico hollywoodiano, delle sue manie. Inserendo - in una complessa storia di incesti e vendette, fantasmi dei quali è impossibile liberarsi, cicatrici impresse sulla pelle tanto quanto nell’anima - le ossessioni che abitano tutta la sua opera, con esemplare limpidezza formale. La mia classe In una scuola di Roma 17 studenti adulti di nazionalità diversa si riuniscono ogni sera per imparare la lingua italiana. Valerio Mastandrea è l’insegnante che ci accompagna dentro questa classe meticcia e ci rende partecipi delle storie dei suoi alunni che mettono in scena se stessi. Provengono da Paesi diversi e hanno scelto di tornare tra i banchi per conseguire i documenti necessari per restare nel nostro Paese e apprendere meglio la lingua che dovrebbe permettere loro una migliore integrazione. Il film, e in questo sta l’elemento di originalità, si muove su due registri narrativi. Da una parte ci mostra l’insegnante alle prese con le lezioni di grammatica, con tecniche e metodologie attive usate per affrontare argomenti vari. Dall’altra mette in scena la troupe che si mostra nel proprio lavoro. E mostra il regista che, in seguito a un fatto reale accaduto durante la lavorazione del film, decide di ‘doverci mettere la faccia’. numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 r. Daniele Gaglianone or. Italia 2013 distr. Pablo dur. 92’ L a mia classe nasce da un’inaspettata incursione della realtà nella finzione. All’inizio, come dichiara lo stesso Gaglianone, il film era stato concepito come la storia di un insegnante alle prese con un gruppo di studenti stranieri che dovevano condividere le loro esperienze. “ Ma a un certo punto la realtà con cui siamo entrati in relazione ci è esplosa fra le mani. Allora, grazie anche a intense conversazioni con Valerio e gli altri, abbiamo deciso di fare entra- Scritto da Bruce Wagner (sceneggiatore e romanziere americano noto per il suo sguardo acre sull’industria californiana), cui si deve anche, insieme a Cronenberg, l’adattamento della poesia Liberté di Paul Éluard, recitata da vari personaggi con funzione realista e simbolica, Maps to the Stars è un lungo, stratificato viaggio nelle zone più imperscrutabili della mente che generano fantasmi, sensi di colpa, violenze su di sé e gli altri, memorie di innocenze perdute, meditando azioni le cui conseguenze non potranno che condurre verso una totale purificazione mortale, una libertà ri-conquistata solo attraverso quel passaggio. Cronenberg chiede allo spettatore di memorizzare indizi e dettagli perché verrà il momento in cui saranno indispensabili all’interno di una narrazione che procede per accumulo e per scarti, come in un puzzle dove le caselle si incastrano all’istante stabilito innescando, contemporaneamente, sempre nuove deviazioni oniriche in un intreccio già ben poco realista. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 106, p. 6 e 7. g.g. re a gamba tesa nel film tutto il disagio che stavamo provando in quella circostanza.” La mia classe è diventato “una sorta di riflessione sulla natura duale dell’immagine che rimanda a due universi che spesso vogliamo separati, ma che invece separati non lo possono essere quasi mai”. Quando la realtà ha invaso la finzione ed è stata riproposta come tale, nel suo “farsi”, ha costretto lo sguardo degli spettatori non più e non solo a prendere atto, ma a partecipare, prendere posizione, indignarsi. I racconti toccanti dei diversi personaggi arrivano dritti alla coscienza e al cuore, suscitano forte partecipazione emotiva e colpiscono più di qualsiasi statistica. Rendono ‘visibili’ i migranti, ne tracciano storie e fisionomie e così facendo li trasformano in simboli universali e ci chiamano in causa, ci costringono a leggere le contraddizioni del nostro Paese e a guardare negli occhi le dignità offese e i desideri di riscatto. Una scelta, davvero coraggiosa e intelligente quella del regista! Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 104, p. 32. p.c. DAI 10 ANNI DAI 14 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 Monuments Men The Monuments Men Verso la fine del secondo conflitto mondiale, l’avanzata degli alleati angloamericani minaccia di distruggere molti celebri monumenti e opere artistiche europee, mentre i nazisti cercano di impadronirsi di quadri e statue che dovranno confluire nel folle progetto dell’Hitler Museum che dovrebbe sorgere in Austria. Negli Stati Uniti il ricercatore e studioso Frank Stokes presenta al Presidente tale drammatica situazione, ottenendo la creazione di un piccolo gruppo di forze speciali che cerchi di preservare i “conseguimenti” più preziosi della storia umana. Ecco così che un drappello di architetti, accademici, restauratori e collezionisti viene addestrato all’uso delle armi e della diplomazia e poi disperso sulle linee di combattimento. Per il gruppo di amici l’impatto con la guerra nella sua crudeltà e inutilità non sarà di poco conto, fino al sacrificio della vita per due di loro. r. George Clooney or. Usa/Gran Bretagna/ Germania 2013 distr. 20th Century Fox dur. 120’ D opo pellicole incentrate su temi socio-politici, il divo George Clooney si cimenta nella regia del genere classico di avventura per stupire e coinvolgere senza rinunciare a far pensare. Riunisce un cast eccezionale, nel quale spiccano l’amico Matt Damon, il protagonista di The Artist Jean Dujardin e l’affascinante Cate Blanchett. Il film, senz’altro di buon livello e non privo di spunti umoristici, tuttavia non Mr. Peabody e Sherman Mr. Peabody è uno scienziato premio Nobel, ricco e campione olimpionico. Ed è un cane. Sentendosi solo, ha adottato Sherman, un cucciolo d’uomo trovato in un vicolo. Sono molto uniti. Per educarlo, lo porta a spasso nella storia con la Tornindietro, una macchina del tempo di sua invenzione, dandogli modo di conoscere i grandi del passato e di vivere alcuni eventi epocali: la Rivoluzione francese, la Guerra di Troia, l’Antico Egitto e Leonardo, il genio del Rinascimento alle prese con la Gioconda e col problema del volo. Ma quando il piccolo affronterà la scuola, i servizi sociali tenteranno di dividerli. Durante un tentativo di pacificazione la compagna Penny costringerà Sherman ad azionare la macchina sconvolgendo il passato e mettendo a repentaglio il futuro. Toccherà a Mr. Peabody riordinare la storia salvando il mondo. Superando inoltre il più difficile esame: essere un buon padre. r. Rob Minkoff or. Usa 2014 distr. 20th Century Fox dur. 92’ D a una serie televisiva americana anni 60 viene riproposta la storia del distinto bassotto condannato alla solitudine dalla straordinaria genialità, che trova una sera un neonato in fasce abbandonato e ne ottiene l’adozione. Si crea così un rapporto esclusivo in cui il padre erudisce il figlio facendolo interagire con i grandi del passato in pericolose avventure in cui diventano complici. sembra riuscire a catturare del tutto il pubblico. La tensione si diluisce nello svolgersi delle vicende, mentre ci si aspetterebbe un crescendo drammatico per una storia ricca di imprevisti. Clooney ha il merito di far conoscere un aspetto trascurato dalla storia ufficiale, cioè il traffico di opere d’arte durante il Terzo Reich, non meno ignobile di quello di esseri umani: si intuisce infatti la spoliazione dei beni artistici delle famiglie ebree e si mostrano i furti di due capolavori dal Belgio dove sono attualmente conservati: la Pala d’altare di Gand e la Madonna col Bambino di Michelangelo, una scultura di marmo candido esposta in una chiesa di Bruges. Le peripezie delle opere, riunite a Parigi, poi nascoste nelle miniere tedesche, vanno di pari passo con le avventure del piccolo gruppo di amici che, in teoria troppo inesperto per indossare la divisa militare, arriva ad atti di vero coraggio per salvare un bene comune, l’arte appunto, che rischia di diventare prima proprietà privata del Führer, poi di sparire per sempre. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 104, p. 30. c.m.v. Un rapporto che diventa il vero centro della narrazione e che le istituzioni tenteranno di rompere, mettendone in luce anche la fragilità. Il padre dovrà capire che non basta fornire la migliore educazione possibile, bisogna rispettare l’originalità individuale; il figlio capirà che la ribellione aiuta a crescere. Il film fa dell’intelligenza, del personaggio e del testo, la caratteristica dominante. Unita a un costante clima di leggerezza. Il tutto servito con un frenetico ritmo avventuroso alla Indiana Jones che permette all’obiettivo didattico di essere recepito senza intaccare il divertimento. L’interessante paradosso dell’incipit veicola riflessioni come l’accettazione della diversità e il mutamento del concetto di famiglia. Una commedia frizzante, sorretta da una narrazione schematica, semplice, ma con riferimenti colti, dialoghi brillanti, un umorismo raffinato, ironia nella rappresentazione caricaturale delle varie epoche, e una critica caustica verso le istituzioni. Un’infarinatura di storia e risate intelligenti. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 105, p. 29. ca.de. numero 107/108· settembre-dicembre 2014 23 DAI 16 ANNI DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 24 National Gallery Nella National Gallery di Londra lavorano diversi professionisti: manager, curatori, conservatori, storici, restauratori, guide, ricercatori, docenti, tecnici, operai, custodi e collaboratori vari. Così come tutte le esperienze umane sono rappresentate nelle opere. Il film mostra i responsabili del museo e i visitatori che dibattono tra loro di arte, salvaguardia e conservazione. S’inizia con una discussione tra i manager sulla mission del museo. Si prosegue documentando il lavoro delle guide con tipi diversi di pubblico, le sedute con artisti dilettanti e modelli in posa, le lezioni con ciechi e bambini, gli aggiornamenti dei restauratori, le riflessioni tecniche intorno all’organizzazione e all’allestimento delle esposizioni temporanee, le decisioni del consiglio di amministrazione sul marketing e le eventuali sponsorizzazioni. L’ultima sequenza mostra un evento interartistico: danzatori che si muovono tra due celebri quadri di Tiziano. r. Frederick Wiseman or. Francia/Gran Bretagna/ 2014 distr. I Wonder Pictures in collaborazione con Unipol Biograph Collection e Sky Arte HD dur. 180’ I l film prolunga le ricerche di Wiseman sulle grandi istituzioni culturali. Ma l’autore non fa un documentario d’arte né tantomeno registra il funzionamento di un organismo complesso con milioni di visitatori. È un film-saggio, con ambizioni divulgative quanto politiche, sull’organizzazione della cultura in un Paese civile e sulle diverse attività di intermediazione di cui essa ha bisogno per diventare crescita civile, maturità sociale, sviluppo economico. Il passato Le passé Ahmad arriva a Parigi da Teheran per ufficializzare il divorzio dalla moglie Marie. Anche se la relazione è finita da quattro anni, il loro rapporto continua a essere irrisolto. Marie, madre dell’adolescente Lucie e della piccola Léa, avute da due uomini diversi prima di Ahmad, ha una storia con Samir e lavora in una farmacia nella cittadina di Sevran, poco distante da Parigi, dove vive. Samir, proprietario di una lavanderia, è sposato con Céline e padre di un bambino, Fouad. Céline è in coma da mesi dopo avere tentato il suicidio, forse a causa della depressione, forse della gelosia. Ahmad assiste ai difficili rapporti familiari. La notizia che Marie aspetta un bambino da Samir crea ulteriori tensioni. Lucie reagisce cercando riparo da Shahryar, l’amico iraniano di Ahmad. Quando Ahmad riparte le relazioni e il futuro dei personaggi, come le molte possibili verità, sono ancora sospese. numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 r. Asghar Farhadi or. Francia/Italia 2013 distr. Bim dur. 130’ C on Il passato Asghar Farhadi riprende le dinamiche di Una separazione per moltiplicarle, allargando la crisi di una relazione a quella che coinvolge più coppie e i loro figli, bambini e adolescenti. Con la stessa lucidità e crudeltà, Farhadi confeziona, alla perfezione, un altro “cul de sac” dei sentimenti, un feroce mosaico alimentato da progressive confessioni utilizzate come colpi di scena nel momento in cui una qualsia- Nell’incipit Wiseman ci mostra un dialogo tra il direttore e una responsabile della comunicazione che propone di potenziare il rapporto con il pubblico. La risposta è: “Facciamo le grandi mostre per milioni di visitatori ma facciamo anche quelle che possono fallire”. È l’intenzione programmatica del museo e del film: le istituzioni culturali sono per il pubblico, la comunità, passando anche attraverso conservazione, restauro e tutela. Wiseman fa quindi del documentario uno strumento per l’attuale dibattito sui “beni comuni”: dalla salute all’istruzione pubblica, fino all’educazione e alla fruizione della cultura. Il film mostra diversi tipi di operatori in un grande museo: dalla funzione più alta alla più elementare, tutti hanno uguale tasso di dedizione e professionalità. Poi emerge l’interesse interartistico della mediazione: le guide parlano di pittura con analogie per il cinema come la musica, la letteratura e le altre arti. Infine i critici nel film rilevano corrispondenze tra il discorso sull’arte e quello sulla cultura cinematografica. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 106, p. 24. e.g. si condizione di vita dei personaggi potrebbe sciogliersi. Il regista iraniano impedisce che la sceneggiatura concluda i fatti, inserisce ogni volta altri elementi necessari a far ripartire il testo, e i personaggi, verso nuove esplorazioni dei conflitti interiori, dei rapporti, recenti o passati, irrisolti e che non troveranno riposo dalle inestricabili tensioni che li abitano. Il passato è un film corale che descrive i (dis)equilibri di due uomini, due donne, due bambini, una ragazza, mentre la figura di un’altra donna, in coma, vista solo nella scena finale, incombe sui personaggi. Il temporaneo ritorno di Ahmad scatena e fa riaffiorare memorie, gelosie, rancori, così come complicità, affetti, amicizie. E la casa di Marie, sottosopra per via di alcuni lavori, è un “palcoscenico” ideale, precaria quanto i personaggi che ospita. In un film che sta fra il detto e il non detto, il visto e il non visto, la costruzione maniacale delle inquadrature e la libertà del punto di fuga che ognuna di esse lascia intravedere. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 103, p. 8 e 9. g.g. DAI 4 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 Peppa, vacanze al sole e altre storie DAI 16 ANNI Dieci episodi della sesta serie della maialina inglese Peppa Pig e della sua famiglia tra i quali spiccano le quattro puntante nelle quali Peppa, George, Mamma e Papà Pig vanno in vacanza in Italia, il paese del sole. Mangiano la pizza e comprano souvenir, mentre a casa, dove piove sempre, i nonni si prendono cura della pesciolina Goldie. Susie Pecora, la migliore amica di Peppa, non vede l’ora che Peppa torni. Gli altri episodi sono ambientati come sempre sulla ridente collina dove sorge la casetta gialla con il tetto rosso, sogno di molti bambini da dieci anni a questa parte. Non mancheranno gite all’acquario, passeggiate nel bosco, gare di sci e le consuete mattinate all’asilo, sotto la guida di Madame Gazzella, maestra del paese e appassionata rockstar. Nel pomeriggio, invece, tutti a casa dei compagni per divertenti giochi all’aria aperta. r. Philip Hall, Joris Van Hulzen or. Gran Bretagna 2013 distr. Warner Bros dur. 50’ N ata in Inghilterra nel 2003 a opera di tre amici e trasmessa da noi in tv dal 2010, Peppa Pig ha saputo conquistare spettatori di ogni età, benché si rivolga alla fascia prescolare. Formato da episodi autoconclusivi di cinque minuti ciascuno, il cartone animato condensa in breve tempo una storia significativa, mantenendo stabile il gruppo dei protagonisti principali e senza divagazioni di tempo e luogo. Queste caratteristiche favoriscono la concentrazione dei piccoli. Philomena Irlanda, 1952. L’adolescente Philomena viene cacciata dalla famiglia perché incinta e ospitata presso un convento di suore a Roscrea, dove partorisce un bambino che verrà dato in adozione a una coppia americana, essendo stata indotta a firmare una rinuncia ai diritti su di lui. Nel 2002 la donna, sperando di rintracciare il figlio, si rivolge a un famoso giornalista che accetta di aiutarla. Le suore dell’istituto, varie volte consultate, dichiarano di non saperne nulla, dal momento che vari sono stati gli avvicendamenti nella direzione e un incendio (peraltro da loro intenzionalmente appiccato) ha distrutto tutte le carte. In America, attraverso varie complicazioni, Philomena e il giornalista riescono a rintracciare alcuni dati sull’adozione e sulle esperienze di vita del ragazzo, venendo a sapere che era gay, che è morto nel 1995 e che, per tornare presso la madre, si è fatto seppellire nel giardino del convento di Roscrea. r. Stephen Frears or. Gran Bretagna 2013 distr. Lucky Red dur. 94’ I spirato al libro del giornalista Martin Sixsmith The lost child of Philomena Lee: a mother, her son and a 50 year search, pubblicato nel 2009, che narra un fatto vero, il film presenta una donna piena di coraggio e dignità, la quale, nonostante le sofferenze, le umiliazioni, le angherie subite, non conserva rancore, non cerca vendetta, né ha perso la fede, ma, determinata nella sua scelta, vuole conoscere la verità, andando fino in fondo, disposta ad accogliere anche indesiderate notizie. All’interno di una cornice di visione facilitata, Peppa Pig ha molti pregi, a partire da un tratto stilizzato che delinea figure orgogliosamente a due dimensioni, con il classico “contorno” dei disegni infantili, e una coloritura uniforme. I dettagli che arricchiscono i fondali degli ambienti e un’animazione accurata, soprattutto nella mimica dei musi, fanno il resto. La scelta di rendere protagonisti animali antropomorfi non è nuova, ma la coesistenza di famiglie di ogni specie va a formare il quadro di un paese multietnico che vive in armonia, ciascuno preservando le proprie abitudini abitative e il proprio relax, perché ogni edificio è situato in cima a una collina di proprietà privata. Peppa vive le giornate con l’entusiasmo dei suoi quattro anni, applicando il proprio punto di vista di maialina-bambina al mondo che la circonda. Si stupisce per le ragnatele del giardino, si entusiasma per un gelato e non vede l’ora di saltare su e giù nelle pozzanghere di fango, il suo passatempo preferito. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 103, p. 31. c.m.v. La affianca un giornalista esperto delle cose del mondo, da lui indagate professionalmente e personalmente conosciute anche a proprie spese. I due, diversi per cultura (lui esperto di storia russa, lei appassionata lettrice di libri rosa; lui lucidamente laico, lei credente), mossi da diversa curiosità e diverse motivazioni, affrontano questo “straordinario viaggio on the road” e, nonostante la differenza di vedute, si stimano e si rispettano, stabiliscono un’alleanza costruttiva e, strada facendo, anche un’amicizia sincera. La coppia insolita che cerca uno scomparso, coinvolta a frugare fra le ombre del passato e apparentemente indirizzata verso la morte, in realtà finisce per muovere verso la vita, sostituendosi alla coppia madre-figlio, che entrambi vogliono ripristinare e che invece è destinata a non incontrarsi. Le due figure, supportate dalla magistrale interpretazione di Judi Dench e da quella egregia di Steve Coogan, manifestano densità di spessore umano, immediatezza, verità e credibilità. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 101/102, p. 24. m.g.r. numero 107/108· settembre-dicembre 2014 25 DAI 14 ANNI DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 13 26 Piccola patria In un paese della provincia veneta due ragazze disinibite, cameriere in un albergo, desiderano fuggire. Luisa è inquieta, trasgressiva, mal sopporta una madre impotente e un padre secessionista; Renata è cupa, in cerca d’amore, decisa a vendicarsi di una violenza subìta. Luisa usa il corpo del fidanzato Bilal, un clandestino albanese, per marcare il suo anticonformismo, Renata usa il corpo di Luisa per muovere i fili della propria vendetta. Le ragazze, ossessionate dal denaro, organizzano un ricatto ai danni di un perverso amico di famiglia dalla sessualità repressa e complessata, Rino, che le frequenta regolarmente. Così, inviano alcune foto compromettenti degli incontri con l’uomo a sua sorella per ricavarne denaro e poter iniziare una nuova vita altrove. Tutto sembra andare a buon fine. Ma il gioco rischioso viene scoperto dal padre di Luisa che pensa a Bilal come colpevole di tutto. Così, pieno di rabbia, l’uomo prende una pistola e va a cercare il ragazzo. r. Alessandro Rossetto or. Italia 2013 distr. Istituto Luce Cinecittà dur. 111’ R ossetto innesta lo sguardo (anche da operatore) e la passione partecipi da documentarista autentico per luoghi, facce e corpi tra le maglie larghe del genere thriller. Così, egli può ridisegnare in modo originale la mappa antropologica La prima neve Dani, un giovane africano scampato alla guerra in Libia, è giunto in Italia e ha trovato rifugio in una casaaccoglienza a Pergine, un paese trentino. Ha una figlia di un anno che non riesce ad amare, bloccato da un profondo dolore. Gli ricorda la moglie, morta di parto appena sbarcata in Italia, stremata dalla drammatica traversata sul gommone. Trova lavoro presso un anziano falegname-apicoltore che vive con la nuora e il nipote Michele, un ragazzo undicenne traumatizzato dall’improvvisa, recente morte del padre. Questi diserta la scuola per stare nel bosco da solo o con qualche amico di cui non condivide i passatempi. Con la madre vive un rapporto conflittuale. Dani e Michele si incontrano, lavorano insieme nel bosco. Impareranno a conoscersi, ad avere fiducia l’uno nell’altro e finalmente a confidarsi curando le proprie ferite. numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 r. Andrea Segre or. Italia 2013 distr. Parthénos dur. 105’ C ome documentarista Segre ha trattato temi sociali, riguardanti la migrazione e i problemi connessi: rapporti con la popolazione ospitante, difficoltà linguistiche, culturali e di integrazione. Così nel primo lungometraggio Io sono Li è evidente l’emarginazione degli abitanti nei confronti della cinese Li. Non vi sono manifestazioni di razzismo invece nel film La prima neve. La comunità del paese si stringe intorno a Dani e alla sua bambina offrendo aiuto e lavo- della provincia del Triveneto. Piccola patria riprogetta i confini di un fare cinema che in Italia si realizza sempre più con coraggio. L’autore si è avvalso della tecnica dell’improvising fiction (immersione in situazioni di realtà per sviluppare le scene ideate senza una precisa direzione ma lasciando aperta la finzione alla fluidità del reale, quindi con provini e prove già in improvvisazione), comprensiva di dialetto con attori venetofoni e albanesi, come di un uso spiazzante della musica popolare. Il risultato è coinvolgente e crudo, improvising cinema che attinge a teatro, letteratura, fotografia e musica, su un territorio devastato ma ricco di intrighi, come si vede nel cinema di Leonviola. Le attrici protagoniste, in particolare la “ragazza selvaggia” Maria Roveran (performer-rivelazione, anche musicista: sue due canzoni del film), assieme a “veterani” come Lucia Mascino e Giulio Brogi, potenziano il disegno della regia, suturando le tentazioni teatrali nelle acrobazie di montaggio di Quadri. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 105. p. 25. e.g. ro. Qui il regista rivela l’emarginazione nella profondità dell’animo di Dani, chiuso nei confronti degli altri e di se stesso, ripiegato su un dolore che sembra insuperabile e che lo priva della capacità di amare. Anche Michele colpevolizza la madre e sé per non essere riusciti a salvare il padre, vittima di una frana. Due storie simili, due personaggi con uno stesso problema, destinati a incontrarsi. All’inizio un montaggio alternato sottolinea la distanza tra i due, descrive la loro vita. Poi si incontrano e il bosco, chiuso come il loro animo, diventa terzo attivo protagonista. Il dialogo scarno si fa via via più confidente fino a svelare all’altro il proprio celato dolore e il parlarne è il primo passo per riuscire a superarlo. Magica la fotografia di Luca Bigazzi che fa vivere alla Natura i sentimenti dei personaggi. Gli alberi svettano come frecce verso uno spiraglio di cielo azzurro nel desiderio di una soluzione positiva. La conclusione è un’ampia panoramica sulle montagne assolate, bianche per la prima neve. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 101/102 p. 23. a.f. DAI 12 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 Principessa Mononoke Mononoke-Hime DAI 16 ANNI Giappone, era Muromachi (XIV secolo). In un remoto villaggio tra le montagne Ashitaka, l’ultimo principe del quasi estinto clan degli Emishi, è costretto a uccidere un demone cinghiale che, in preda a una maledizione, attacca la sua gente. Durante la lotta, però, Ashitaka entra in contatto con il demone, che trasmette al principe il maleficio tramite una ferita sul braccio: ciò gli concede una forza sovrumana, ma nello stesso tempo lo condanna a un’esistenza di atroci sofferenze, in quanto il male è destinato a estendersi in tutto il corpo, fino a divorarlo. Consigliato dalla Saggia Madre del villaggio, Ashitaka parte verso Ovest in cerca di salvezza. Nel suo peregrinare trova asilo nella Città del Ferro, assediata da un branco di lupi giganti capitanati dalla ruvida San, una ragazza umana chiamata anche Mononoke, che vogliono distruggere gli umani per il modo in cui sfruttano le risorse della natura. r. Hayao Miyazaki or. Giappone 1997 distr. Lucky Red dur. 137’ P rincipessa Mononoke non è tra i capolavori del grande regista nipponico Miyazaki: tuttavia, pur essendo certamente inferiore, tanto per fare un esempio, al successivo La città incantata, è importante perché rappresenta per Miyazaki il film della svolta. Nonostante, infatti, molti tra i temi ivi trattati siano usuali nella sua cinematografia - l’attenzione all’ecologia, le difficoltà dell’uomo in un’epoca di cambiamenti, il rapporto tra progresso e natura - a differenza di quanto non avviene nelle altre Pulce non c’è Margherita Camurati è una bambina autistica. Ha nove anni e tutti la chiamano Pulce. Le piacciono il tamarindo e il tango. Margherita ha una madre, un padre e una sorella maggiore che si chiama Giovanna. In casa Camurati si parla un linguaggio diverso, fatto di immagini, di musica e di gesti ripetuti. È un linguaggio strano, che assomiglia a Pulce. Non è facile, ma funziona. Una mattina come le altre la mamma di Margherita va a prenderla a scuola, ma sua figlia non c’è. I servizi sociali l’hanno portata via, perché sospettano che il padre abbia abusato di lei. Margherita adesso è in un istituto, e lì dovrà rimanere fino a che non si scoprirà la verità. A casa rimangono gli oggetti, come i segni di quel linguaggio. E rimane Giovanna che prova a capire e a raccontare che cosa sta succedendo alla sua famiglia, adesso che Pulce non c’è. r. Giuseppe Bonito or. Italia 2012 distr. Academy2 dur. 97’ U no dei problemi più evidenti legati all’autismo è la difficoltà di comunicare con il mondo esterno. Ma quello della comunicazione è un aspetto che coinvolge tutti. Bonito se ne dimostra consapevole, facendone la struttura portante del film. Dal momento in cui Pulce viene sottratta alla propria famiglia appare chiaro come tutte le parti in causa abbiano un proprio linguaggio che diventa presto una barriera tra sé e gli altri. opere del Maestro, in Principessa Mononoke si respira un’atmosfera piena di odio, dove violenza e crudeltà si manifestano con frequenza. Il messaggio ambientalista, poi, qui si fa duro e spietato come non mai e dal film promana un generale pessimismo, nonostante lo spiraglio di speranza finale. Pur essendo, dunque, destinato a un pubblico di adulti e di bambini non troppo piccoli, Principessa Mononoke è in ogni caso un film di animazione da inserire in qualsiasi rassegna cinematografica scolastica: innanzitutto per i suoi contenuti innovativi con riferimenti espliciti all’animismo, allo shintoismo e alla storia giapponese; in secondo luogo per la complessità della struttura del racconto e della morale che lo pervade. Infine, non si possono non menzionare le straordinarie animazioni accompagnate dalle superbe musiche di Joe Hisaishi e l’impostazione cinematografica del film, non solo dal punto di vista iconografico - il film è zeppo di citazioni di Akira Kurosawa - ma anche per i bellissimi carrelli e panoramiche. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 105, p. 28. f.s. La ricerca di un linguaggio comune è allora la ricerca di un equilibrio. Una trama sottile come la tela del ragno che tanto affascina Giovanna. Un reticolo delicato, dai fili fragili. Non sarà quindi un caso se il colpo più duro per l’unità dei Camurati arriva quando il padre decide di chiudersi nel silenzio, interrompendo il legame con i suoi e la loro capacità di farsi forza a vicenda. È un’intuizione fortunata, che permette a Bonito di partire da un aspetto peculiare della malattia di Margherita per allargarlo a una scala più ampia dove siamo coinvolti tutti. A dare forza a queste scelte è un cast indovinato e sfruttato con abilità. Con l’energica chiassosità di Marina Massironi che ben si bilancia agli ingombranti silenzi di Pippo Del Bono. Le debuttanti Francesca Di Benedetto (Giovanna) e Ludovica Falda, (Pulce) sono piacevoli sorprese. Alle prese con un argomento delicato, Bonito centra l’obiettivo, tenendosi al riparo dalla retorica e dal pietismo e dimostrando una qualità rara per un esordiente: un sorprendente equilibrio. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n.106, p. 23. m.a. numero 107/108· settembre-dicembre 2014 27 DAI 16 ANNI DAI 10 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 28 Saving Mr. Banks La scrittrice inglese P. L. Travers vola a Los Angeles per discutere con Walt Disney i termini dell’adattamento cinematografico del suo romanzo Mary Poppins. La donna ha bisogno del denaro derivante dalla transazione, ma è estremamente diffidente nell’affidare la sua storia a un uomo che ritiene superficiale e banale. La disputa per la creazione del film si configura quindi come un autentico braccio di ferro. Contestualmente, veniamo messi a parte della difficile infanzia della Travers, del suo rapporto con un padre affettuoso ma dedito all’alcool e di come i suoi sentimenti per quegli anni così intensi abbiano costituito l’architrave della sua opera. È in questa precisa correlazione fra la vita e l’opera che si cela il segreto che Disney deve riuscire a comprendere per vincere finalmente le resistenze dell’autrice. Alla fine, l’accordo produrrà un immortale classico cinematografico. r. John Lee Hancock or. Usa/UK/ Australia 2013 distr. Walt Disney Pictures dur. 126’ Q uello fra Walt Disney e la scrittrice P. L. Travers è uno scontro fra due modi distinti di intendere l’arte, cui è demandato l’arduo compito di far emergere il precipitato umano che naturalmente soggiace dietro ogni concezione artistica. Lo scontro creativo in atto, infatti, non è quello fra la presunta frivolezza americana di Disney e il pragmatismo inglese di P. L. Travers, ma fra una capa- Smetto quando voglio Pietro (37 anni), neurobiologo, è ricercatore precario. Vive con Giulia, psicologa in un centro di recupero per tossicodipendenti. Sopravvive con modesti assegni e lezioni private. Bocciato al concorso per ricercatori stabilizzati, mette a frutto la competenza in campo molecolare per mettere sul mercato una nuova droga non ancora proibita dalla legge. Per produrla coinvolge sei compagni ricercatori disoccupati o impiegati in lavori incongrui rispetto alla loro formazione. Abbagliata dai soldi, la banda punta più in alto, avvicinandosi al giro della corruzione politica e dello spaccio della droga. Messi alle strette da un mafioso di quartiere, per procurarsi le sostanze di base rapinano una farmacia, ma vengono arrestati. Pietro si assume tutte le colpe e finisce in carcere (ove fa l’insegnante dei detenuti). I suoi compagni tornano alla condizione di sottoccupati accettando i lavoretti più umilianti. numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 r. Sidney Sibilia or. Italia 2014 distr. 01 Distribution dur. 100’ S ibilia mette in scena con le armi del paradosso e dell’ironia la storia di una “banda degli onesti” che tenta di sfuggire alla propria condizione di emarginazione utilizzando gli stessi strumenti di arricchimento delle classi influenti. Ma la loro sostanziale onestà viene rivelata dall’incapacità di servirsi di quegli strumenti. Dietro la leggerezza e l’ironia, regista e sceneggiatori sviluppano un quadro cità di liberare l’arte per renderla universale e un’elaborazione incompleta dei propri fermenti che si trasforma in un senso del possesso sfrenato della propria opera. Nel volgere degli eventi, infatti, Disney si spoglia della propria aura mitopoietica per farsi uomo e offrirsi a P. L. Travers come un ex ragazzo che ha saputo superare le difficoltà del passato per farsi artefice di una felicità condivisa. Lo fa non ponendosi come figura predominante, ma come allievo che ha dovuto imparare a fare a meno del proprio armamentario iconografico per comprendere i drammi dell’animo della donna, in modo da permettersi finalmente di vincere la sua resistenza. L’implicazione di un tale approccio è naturalmente molto potente nel momento in cui mette in crisi lo stesso ottimismo disneyano: la fantasia, infatti, perde il suo status di creatrice di mondi e diventa un’umanissima forma di resistenza alle difficoltà della vita, rompendo il gioco delle maschere per far emergere traumi veri e dolorosi. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 104, p. 16 e 17. d.d.g. sociologico in cui si colloca una vicenda solo apparentemente svagata. L’emarginazione di un’intera generazione viene colta sin dalla definizione dei diversi lavori cui sono costretti i ricercatori espulsi dalle loro facoltà: condita di droga e di escort. Il quadro sociale non viene interpretato alla luce di una qualche illusoria chiave ideologica. I ricercatori falliti non credono più in alcuna palingenesi o riscatto sociale. La situazione è così paradossale che il possibile messaggio solidaristico viene irriso e sbeffeggiato come falso e retorico. Oltre all’accuratezza della sceneggiatura il film offre un’insolita qualità nella messa in scena. Sin dalla prima sequenza (la rapina finale alla farmacia) il regista dichiara i suoi riferimenti linguistici. Dotato di ritmo vivace e calibrato, lontano da realismo e da amare “grandi bellezze”, Sibilia presenta una Roma notturna “alla Hollywood”, tutta superfici traslucide, in cui i colori saturi dell’arte pop ironizzano sulle vuote apparenze di una società dissociata. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 105, p.23. f.v. DAI 14 ANNI DAI 14 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 Snowpiercer 2031. Per fermare il riscaldamento globale, l’umanità provoca per errore una nuova era glaciale. I pochi superstiti vengono riuniti su un treno che continua a muoversi senza sosta lungo un percorso che attraversa tutto il globo. All’interno vige una rigida divisione in classi. Il giovane Curtis vive nell’ultimo vagone, dove sono asserragliati i poveri e gli emarginati, ma si pone ben presto a capo di una rivolta che lo porterà ad attraversare l’intero convoglio nel tentativo di rovesciare la situazione. Nel corso della traversata, Curtis vedrà amici cadere, conoscerà realtà del tutto diverse dalla sua - che gli illustreranno meglio la disequilibrata architettura del sistema che regola la vita nel treno -, affronterà svariati nemici, fino a giungere alla locomotiva dove si trova Wilford, l’uomo che ha creato quel piccolo mondo. Il salvatore dell’umanità, ma anche il suo carnefice. r. Bong Joon-ho or. Corea del Sud/Usa/ Francia/Repubblica Ceca 2013 distr. Kock Media dur. 126’ I nteressa il continuo gioco di elaborazioni visive messo in scena da Bong Joon-ho, il passaggio dalla luce esterna al buio delle gallerie che permettono alle battaglie di diventare frenetiche e indecifrabili, e i repentini cambi scenografici che connotano i vari “mondi” interni al convoglio. L’autore coreano reinventa continuamente lo spazio unico del treno ampli- I sogni segreti di Walter Mitty The Secret Life of Walter Mitty Ci sono momenti, troppi, in cui Walter Mitty, responsabile dell’archivio fotografico del magazine Life, abbandona la realtà per tuffarsi nella sua ricca immaginazione che lo trasforma in persona sicura di sé o perfino in un eroe dalle abilità sovrumane, capace anche di conquistare l’amore della collega Cheryl. Sarà l’imminente passaggio di Life dalla versione cartacea a quella web, frutto di una fusione societaria che mette a rischio il futuro di Walter, Cheryl e altri colleghi, a dargli l’occasione per diventare protagonista della sua vita e non solo della sua fantasia: per la copertina dell’ultimo numero che verrà stampato serve il negativo 25, quello che il grande fotoreporter Sean O’Connell gli ha spedito insieme a un regalo. Ma il negativo sembra essere sparito... La vera avventura comincia da qui. r. Ben Stiller or. Usa 2013 distr. 20th Century Fox dur. 114’ W alter smette di fare l’eroe solo nella sua mente fervida di sconfinamenti e fughe dai rapporti con chi lo circonda e scopre che le sue imprese, quelle straordinarie, pericolosissime gesta sono reali: combattere con uno squalo assai poco accomodante nelle acque gelide e profonde della Groenlandia, attraversare sfrecciando a bordo di uno skateboard le strade islandesi per raggiungere un vulcano dal nome impossibile da pronunciare, raggiungere il “Tet- ficando la sensazione di un set “ampio” e dinamico, sebbene costretto in una struttura apparentemente molto rigida: lo fa descrivendo traiettorie emotive e fisiche molto precise, dove i corpi sono ora radicati nella realtà concreta, ora freneticamente proiettati in virtuosismi funambolici nelle scene di lotta. L’unica soluzione possibile diventa quindi l’apertura del conflitto fra orizzontalità e verticalità abbattendo del tutto il sistema e facendo deragliare il treno: presa di posizione assolutamente radicale, utopistica e assurda vista l’ostilità dell’ambiente esterno, ma che, a ben guardare, appare come il più coerente gesto per assicurare un senso ai termini della conservazione opposta alla rivoluzione. Quello che Bong Joon-ho compie, insomma, è un lavoro di filtraggio espressivo che, dall’elaborazione del reale, giunge alla purezza dell’immaginario, in cui gli elementi del contendere tornano finalmente a risplendere di una propria nettezza. Un cinema che per questo è etico e autenticamente rifondativo. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 104, p. 22 e 23. d.d.g. to del mondo”, le vette dell’Himalaya, per portare a termine quella missione per gli altri, che al contempo è missione personalissima. Scopre che tutto questo avviene nel mondo vero. E scopre, così, se stesso, diverso da come si è sempre visto, o meglio, scopre in realtà ciò che lui è sempre stato, dietro il suo fare impacciato, la timidezza, le poche parole. C’è tanto cuore in questa quinta regia di Ben Stiller, quella forse più personale, più intima, sebbene umori e suggestioni provengano in parte dall’omonimo racconto del 1939 di James Thurber, già in passato diventato materiale per il grande schermo. Un film che è luogo di ironia e tenerezza, emozione, malinconia. E il passaggio di Life dall’edizione cartacea a quella online con i conseguenti licenziamenti, diventa il racconto, la memoria dolce di un mondo (analogico) che va svanendo, diventa quel “negativo 25”. C’è un lieto fine che è lieto solo a metà. C’è l’amore per la musica e quello per il cinema. Il cinema, come sogno infinito. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 103, p. 22. l.g. numero 107/108· settembre-dicembre 2014 29 DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 Solo gli amanti sopravvivono Only Lovers Left Alive DAI 16 ANNI Sullo sfondo di una desolata Detroit e un’esotica Tangeri, Adam - musicista underground, depresso ma legato a un liuto rinascimentale e a una chitarra elettrica vintage - si ricongiunge con l’amante, Eve, apparentemente fra i 30 e i 40 anni, ma maggiore di lui di migliaia d‘anni. Eve, che corrompe un medico per avere sangue incontaminato senza uccidere, ha il potere di risollevare l’umore dell’amato. La loro storia d’amore dura da secoli, ma l’idillio viene disturbato dalla sorella minore di lei, Ava, che, fuggendo da Los Angeles, manipola i due e ne mette in pericolo la sopravvivenza. A Tangeri, i due amanti incontrano il poeta-drammaturgo Christopher Milton che ha un bar con un amante marocchino e fornisce il sangue in sacche agli amici. Quando l’anziano muore, la vita dei due vampiri sembra estinguersi. Poi sulla strada incontrano un’altra coppia, viva, che si ama con passione… 30 r. Jim Jarmusch or. Gran Bretagna/ Germania/Francia/Cipro/Usa 2013 distr. Movies Inspired dur. 123’ I n parte ispirato all’ultimo libro di Mark Twain, I diari di Adamo ed Eva (il riferimento è solo ai nomi dei protagonisti) e concepito per otto anni assieme a Tilda Swinton, il film è un racconto di viaggio che si fa “cinetour” nel rock d’annata (la colonna sonora mescola Still Life John May è un funzionario che ha il compito di rintracciare i parenti più prossimi delle persone morte in solitudine. Solo dopo aver verificato tutte le piste e gli indizi possibili, ed essere giunto alla constatazione che il defunto non abbia più alcun familiare, accetta di chiudere il caso e di assicurare, a queste anime dimenticate un funerale dignitoso. Un giorno lo raggiunge in ufficio il datore di lavoro per comunicargli che l’ufficio malauguratamente verrà ridimensionato e che il suo posto sarà eliminato. John sembra non scomporsi di fronte alla notizia del licenziamento, tuttavia chiede l’autorizzazione di poter portare a termine un caso: Billy Stoke, un uomo che ha concluso i suoi giorni alcolizzato, ma che in passato aveva condotto un’esistenza esemplare. Dopo varie ricerche, riesce finalmente a rintracciare Kelly, la figlia che l’uomo aveva abbandonato da piccola e con cui non aveva più avuto rapporti… numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 r. Uberto Pasolini or. Gran Bretagna 2013 distr. Bim dur. 87’ U berto Pasolini, noto come produttore di Palookaville e più ancora di Full Monty - Squattrinati organizzati di Peter Cattaneo, firma con la sua seconda regia una preziosa e poetica riflessione sul senso della vita, sulla solitudine, sulla disgregazione del nucleo familiare, e più ancora sulla perdita di valori importanti come la solidarietà e il senso di appartenenza sociale. Still life prende spunto dalla lettura di un articolo, da cui il suo autore ha appre- Charlie Feathers, Bill Laswell e Wanda Jackson, gli Hot Blood e i Black Rebel Motorcycle Club, e altri musicisti noti e meno noti) come nei film classici, di genere e d’autore, nei quadri (con trucco, costumi e arredi) come nei libri, quelli più amati dai protagonisti come dal regista stesso che confida: “Ai vampiri invidio l’estensione della conoscenza, la vastità di esperienze, la profondità di sentimento, dovute a secoli o millenni d’esistenza”. Così, oltre la linea narrativa che in Jarmusch attinge sempre a fonti musicali e letterarie, lo stile stesso si fa ‘vampiresco’, malinconico quanto i protagonisti e i ‘fedeli’ spettatori. Similmente, Jarmusch ‘vampirizza’ il fantastico, sottraendolo ai mortiferi trionfalismi del marketing di Hollywood (la “zombie central” da cui fugge Ava) e restituendolo ai territori arcaici della meraviglia e dell’intelligenza. Quell’intelligenza, come ricorda Adam, che ”gli umani hanno sperperato perseguitando in ogni epoca i loro scienziati migliori, da Pitagora a Tesla”. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 106, p. 25. e.g. so dell’esistenza di una categoria di funzionari incaricati di trovare i parenti più prossimi di defunti scomparsi in solitudine. Una ricerca che quasi mai dà risultati positivi, talvolta sono gli stessi familiari a rifiutarsi di essere coinvolti e di partecipare ai funerali. Pur affrontando tematiche importanti, Still life non privilegia una trattazione dai toni tragici, ma al contrario le tratteggia con una certà levità e humour, senza con questo cercare facili soluzioni o scontati happy end. Similmente al suo protagonista, infatti, che sembra muoversi come un’ombra in uno scenario urbano dalle tinte cupe dei grigi, del blu e del marrone, salvo poi schiudersi alla vita grazie a un viaggio liberatorio che gli permetterà di rompere la monotonia di schemi e gesti ripetuti nel tempo, il film si “apre” via via verso altre tonalità più vivaci. Ottima la scelta del regista di affidare il ruolo del traghettatore di anime al noto caratterista Eddie Marsan, che nel recitare per sottrazione dà corpo a una figura malinconica ma fiera. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio, n. 101/102, p. 25. l.c. DAI 14 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 Storia di una ladra di libri The Book Thief DAI 12 ANNI Germania, poco prima della seconda guerra mondiale. Liesel Meminger viene lasciata dalla madre, perseguitata per le idee politiche, ai coniugi Hans e Rosa Hubermann. L’impatto con la nuova famiglia le crea disagio ma, grazie a Hans, Liesel impara a leggere e a coltivare l’amore per i libri. Una sera arriva in casa Hubermann Max, giovane ebreo in fuga. Viene nascosto e il suo soggiorno sarà fondamentale per la crescita culturale e umana di Liesel: attraverso gli insegnamenti di Max la bambina apprende come la lettura e le parole siano importanti per rendere meno pesante l’esistenza. Dopo che Max ha lasciato gli Hubermann, Liesel perde tutti i suoi cari in un bombardamento. Due anni dopo ritroverà Max, con il quale conserverà un’amicizia per tutta la vita, che terminerà a novant’anni, alla fine di un’esistenza con figli e nipoti e una carriera di scrittrice di successo mondiale. r. Brian Percival or. Usa/Germania 2013 distr. 20th Century Fox Italia dur. 131’ T ratto dal bestseller La bambina che salvava i libri di Markus Zuzas, il film segue le linee classiche del romanzo di formazione che, in questo caso, avviene in un periodo tra i più bui della storia dell’umanità. Sua caratteristica è di avere un io narrante al di fuori degli schemi tradizionali: la Morte che contrappunta gli eventi più significativi della storia, divenendo essa stessa parte di una vicenda, nella quale viene coinvolta quasi suo malgrado, come un elemento necessario Il Sud è niente Grazia aveva dodici anni quando il fratello Pietro emigrò in Germania. Non l’ha più rivisto. Il padre Cristiano le disse che Pietro era morto e non ne ha più riparlato. Oggi Grazia ha diciassette anni e vive a Reggio Calabria con il padre che vende pescestocco. È cresciuta assumendo sembianze maschili come a voler riempire il vuoto lasciato dal fratello. Una notte, dopo un litigio con il padre, va in spiaggia ed entra in acqua: dal fondo vede emergere una figura in cui crede di riconoscere il fratello e decide di cercarlo. Intanto Cristiano riceve la visita del capo malavitoso locale che gli impone di cedergli casa e bottega. L’uomo chiede un po’ di tempo fino all’esame di maturità della figlia. Poi Grazia incontra Carmelo, figlio di giostrai, che l’aiuterà nell’impossibile ricerca di Pietro, a rompere il silenzio del padre e a scoprire la verità sul fratello e su se stessa. r. Fabio Mollo or. Italia/Francia 2013 distr. Istituto Luce Cinecittà dur. 90’ S i possono coniugare in un film luoghi reali e storia, geografia e sentimenti, cronaca e morale? In fondo è questa la sfida che il cinema italiano da sempre si pone, almeno dal Neorealismo in poi. Sfida che sembra vinta da questo piccolo lavoro. Grazie a un’ambientazione realistica e insieme simbolica, con uno sguardo a volte documentaristico e a volte onirico, il film mescola le convenzioni di racconto e d’identità di genere per cercare di ribaltare i luoghi comuni sul Sud e l’omertà. di un destino di cui si devono supinamente eseguire gli ordini. Al di là di questo, Storia di una ladra di libri ha un incedere tradizionale: le componenti della narrazione si susseguono ben calibrate, supportate anche da un impianto figurativo di ottimo livello. Per quanto riguarda l’assunto ideale, l’opera ribadisce alcuni concetti più volte ribattuti: l’importanza fondamentale della parola e dei libri come fonti inesauribili di cultura e civiltà, inverando il tutto in un periodo storico in cui sia la cultura che la civiltà stavano per essere spazzate via. Una delle frasi chiave del film è quella che pronuncia Liesel al padre adottivo Hans, quando i due riflettono sui drammatici avvenimenti in cui sono stati coinvolti e sul comportamento tenuto nell’affrontare emergenze tragiche: “Siamo stati umani”. Recuperare la coscienza di essere umani è forse il messaggio più forte che questo film ci propone; il tutto senza elucubrazioni complesse, ma giocando sulla forza dei sentimenti e su una prova attoriale di tutto rispetto. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n.105, p. 26. c.t. Il regista ha detto: “La ribellione della protagonista, Grazia, passa anche attraverso il suo corpo e rappresenta la rivolta a un atteggiamento e a una mentalità di rassegnazione. Per anni ci hanno educato a pensare che il Sud fosse inferiore, che fosse niente, ma le nuove generazioni vogliono ribaltare questo modo di pensare”. Ecco il cambiamento che coinvolge i singoli personaggi... Così avviene con Grazia e l’amico-alleato. Anche con il padre che ha sempre cercato di resistere ai malavitosi, chiedendo un po’ di tempo pur di far diplomare la figlia, ma che alla fine cede loro tutto per andare a Torino: davanti alla figlia egli ha finalmente il coraggio di riconoscere la tragica verità sull’altro figlio. Anche produttivamente il film è un atto di coraggio contro l’indifferenza e il lassismo, frutto, com’è, di un’équipe giovane. Ulteriore dimostrazione di come non solo il Sud, ma il giovane cinema italiano stesso si stia battendo contro il silenzio e l’inerzia pur di prendere possesso del futuro. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 103, p. 18. e.g. numero 107/108· settembre-dicembre 2014 31 DAI 16 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 Tutto sua madre Les garçons et Guillaume, à table! DAI 12 ANNI Guillaume adora la madre, fa di tutto per assomigliarle. La sua sensibilità lo spinge a prediligere conversazioni con le donne piuttosto che a condividere l’amore per lo sport e i viaggi avventurosi. Chiede alla madre di poter trascorrere le vacanze in Spagna e si ritrova alla Linea de la Concepciòn, un paese sperduto di fronte a Gibilterra. Lì conosce Paquì e la sua famiglia ma, soprattutto, la “sevillana”, danza che impara a ballare per la Feira. Dopo due anni di nonnismo al collegio maschile dei Fratelli delle Scuole Cristiane, il ragazzo viene trasferito in un istituto inglese, dove conosce Jérémy. Convinto di essere intimamente una ragazza, dovrà ricredersi e per di più sarà etichettato come omosessuale. Il timore di dover affrontare il servizio militare sarà tuttavia scongiurato perché verrà riformato. Grazie all’aiuto di uno psicoterapeuta e di un foniatra riuscirà a superare le proprie paure e a trovare se stesso. 32 r. Guillaume Gallienne or. Francia/Belgio 2013 distr. Eagle Pictures dur. 85’ I l film ripercorre alcuni momenti dell’infanzia del protagonista, raccontando di una madre che lo distingueva dai fratelli e di come sia cresciuto nella convinzione di non essere un vero maschio. Vittima di un malinteso per il suo non essere incline a una virilità stereotipata, nell’ostinazione di voler assecondare quello che crede essere il desiderio materno. Vado a scuola Sur le chemin de l’école Il film narra la storia di quatto bambini del sud del mondo uniti dal bisogno di andare a scuola, in una situazione dove questo diventa un’avventura. Jackson, 10 anni, percorre mattina e sera 15 kilometri della savana del Kenia, la sorellina Salome stretta per mano, per arrivare in orario. Zahira, berbera di 11 anni, affronta ogni lunedì tre ore di faticoso cammino lungo i tortuosi sentieri dell’Atlante marocchino. Samuel, 12 anni, poliomielitico, ogni giorno è trascinato su una improvvisata carrozzina dai suoi due fratelli minori per 8 kilometri nel sud dell’India, e può considerarsi fortunato. Carlito, 11 anni, attraversa ogni giorno gli altipiani della Patagonia per 25 kilometri, in sella al suo cavallo, portando con sé la sorellina. Niente ferma la volontà, unita a un’incredibile gioia di vivere, di questi piccoli per cui la scuola è l’unica speranza di fuggire dalla povertà. numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 r. Pascal Plisson or. Francia 2012 distr. Academy2 dur. 75 minuti P ascal Plisson mantiene il suo stile in questo documentario delicato e potente sui pericoli che quattro bambini poveri affrontano ogni giorno nel percorso casa/scuola. Non è un lavoro didascalico: parte da dati oggettivi e li trasforma in spettacolo; cattura le vite dei quattro piccoli cercando di lasciare intatta la loro naturalezza, e cerca immagini belle, niente camera a spalla, inquadrature studiate e costruite. Bellezza, emo- Tutto sua madre affronta il tema del “genere”. Ma, oltre al valore documentale nel processo di riappropriazione di sé e a essere un’intelligente e inusuale dichiarazione d’amore verso la figura materna e più in generale verso le donne “che lo hanno fatto sognare”, è soprattutto un omaggio all’universo teatrale, al potere demiurgico del teatro e dell’arte recitativa. È infatti sul palcoscenico che trovano forma e spazio le paure, i traumi, i vari ruoli e personaggi interpretati da Gallienne, a partire da quello materno. In Tutto sua madre, dove l’autore oltre a se stesso recita anche il ruolo della madre (idea riuscita che rende al meglio una certa sensazione di schizofrenia latente del personaggio), la scena teatrale è presente instancabilmente sin dalla sequenza iniziale che si svolge per l’appunto nel camerino del teatro in cui Gallienne si sta preparando, per poi dirigersi lungo i corridoi del dietro le quinte, fino a fare ingresso in scena, intervallandosi con l’elegante architettura del film e delle sue scenografie. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 104, p. 27. l.c. tività danno al tutto l’andamento di una favola, con l’eroe che deve superare mille prove per raggiungere la meta. E al momento del “tutti vissero felici e contenti” la lezione può cominciare. La dura realtà, affrontata con maturità, diventa poesia. Il keniota Jackson, la marocchina Zahira, l’argentino Carlito e l’indiano Samuel partono alla conquista dell’istruzione, perfettamente consapevoli che saper leggere e scrivere è l’unico mezzo per strappare se stessi e la famiglia dall’isolamento. Quattro storie intersecate in montaggio alternato per togliere al film il possibile “effetto catalogo” e permettergli di trasmettere emozioni insieme a informazioni. Non si resta indifferenti di fronte a realtà spaventose, che trasformano i bambini in personaggi di un road movie o in cow boy da western, o ancora, in donne in cerca di emancipazione. Nulla sembra incrinare il loro sogno: mente vivida e sorriso fiducioso, e le vicende epiche che vivono come normalità si trasformano in un inno alla vita. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 101/102, p. 19. ca. de. DAI 18 ANNI A N N U A R I O 2 0 14 La vita di Adele La Vie d’Adèle, chapitres 1 et 2 Adele ha quindici anni e un appetito insaziabile di cibo e di vita. Leggendo della Marianna di Marivaux si invaghisce di Thomas, a cui si concede senza mai accendersi davvero. A innamorarla è invece una ragazza dai capelli blu incontrata per caso e ritrovata in un locale gay, dove si è recata con l’amico di sempre. Un cocktail e una panchina condivisa avviano una storia d’amore appassionata e travolgente che matura Adele, conducendola fuori dall’adolescenza e verso l’insegnamento. Perché Adele, che alle ostriche preferisce gli spaghetti, vuole formare gli adulti di domani, restituendo ai suoi bambini tutto il bello imparato dietro ai banchi e nella vita. Nella vita con Emma che studia alle Belle Arti e la dipinge nuda dopo averla amata per ore. Traghettata da quel sentimento impetuoso, Adele diventa donna imparando molto presto che la vita non è sempre un (bel) romanzo. r. Abdellatif Kechiche or. Francia/Belgio/ Spagna 2013 distr. Lucky Red dur. 179’ E ludendo il compiacimento dell’esibizione, il regista tunisino racconta una stagione d’amore dolorosa e irripetibile, senza psicologismi e con una carnalità priva di morbosità. Al centro del film due giovani donne che leggono la realtà con gli occhi del desiderio, il loro, che esplode sullo schermo accordando i capitoli della loro esistenza. Con un movimento dall’esterno verso l’interno, Kechiche realizza un film che quanto più si distende nel tempo, tanto più si stringe nello spazio di una DAI 12 ANNI X-Men Giorni di un futuro passato 2023. La guerra fra umani e mutanti ha devastato il pianeta: braccati dalle imbattibili Sentinelle, i mutanti sono ormai allo stremo. Grazie ai poteri di Kitty Pride, Wolverine viene quindi inviato indietro nel tempo, fino al 1974, e si allea con i giovani Xavier e Magneto per fermare Mystica. La ragazza, animata da un rancore incontrollabile nei confronti del genere umano, sarà infatti suo malgrado responsabile dell’omicidio che permetterà la costruzione delle prime Sentinelle, progettate dallo scienziato Bolivar Trask. L’impresa è complicata dal particolare triangolo caratteriale esistente fra Xavier, Magneto e Mystica: il primo infatti è unito fin dall’infanzia alla ragazza da un forte legame di amicizia, ma non è stato capace di impedire la sua discesa verso l’oscurità, sfruttata dal secondo per compiacere le sue manie di dominio sugli umani. r. Bryan Singer or. Usa 2014 distr. 20th Century Fox dur. 131’ L’ ago della bilancia della guerra mostrata nel film è Wolverine, personaggio immortale (e dunque fuori dal tempo), in una vicenda tutta basata proprio sullo stravolgimento della linearità temporale e sulla necessità di ripensare il proprio rapporto con la Storia e le scelte compiute nel passato, tali da determinare le dinamiche del presente e del fu- camera, di un’aula, di una cucina, placandosi nel ritmo e dentro un’appassionata ricerca di interiorità. Adèle Exarchopoulos è l’Adele del titolo, colta nell’incandescenza di un sentimento fervidissimo e totalizzante per Emma e congedata con una raggiunta consapevolezza. Dentro un abito blu, la protagonista comprenderà di poter sopravvivere agli amori che non possiamo trattenere, preferendo le lacrime e lo struggente languore all’innaturale rimozione. E la bellezza di La vita di Adele nasce proprio nei momenti di frattura, chiavi per aprire il futuro alla protagonista rimasta sola col suo sentimento infelice. Come nei romanzi, tutti francesi, che divora da studentessa e poi da insegnante, Adele si cerca nel fondo del proprio amore, sopportando una solitudine che ha imparato a curare. Incolpevole o colpevole di metodo e di onnipotenza, Kechiche trova innegabilmente spazio, ragioni e ragione (del metodo di montaggio e della maniera singolare di lavorare avec ses comédiennes) sullo schermo. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 101/102, p. 4 e 5. m.gn. turo. Lo scopo di Singer è chiaramente quello di mostrare l’ostilità reciproca fra umani e mutanti che si riflette nelle dinamiche che hanno animato la Storia del ventesimo secolo, fra ascesa del nazismo, contrapposizioni tra i blocchi e corsa agli armamenti come palliativo per un presunto mantenimento dello status quo, utile soltanto a esacerbare i contrasti già presenti in fase embrionale. Tutto il film si articola pertanto sul doppio registro dato da un lato dalla confusione umani/mutanti, simboleggiata dalla mutaforma Mystica, e dall’altro dalla profonda torsione dei sentimenti che legano i personaggi e che finiscono per definire le possibilità di salvezza e le irrazionalità egoistiche che portano agli scontri. Singer riesce in questo modo a elevare i paradigmi del razzismo (da sempre presenti nella saga e nella sua filmografia) a un livello globale, ma allo stesso tempo ne fa una materia molto personale e “intima”, che attinge al vissuto dei singoli personaggi e a sentimenti atavici e incontrollabili. Vedi anche in Il Ragazzo Selvaggio n. 106, p. 27. d.d.g. numero 107/108 · settembre-dicembre 2014 33 ANNUARIO dei film per la scuola Annuario dei Film per la Scuola 2013 selezionati dalla Redazione tra quelli usciti in sala nella Stagione 2012/2013. Anche questo Annuario, disponibile solo in versione digitale (PDF), è scaricabile gratuitamente dal Sito del Centro Studi Cinematografici www.cscinema.org Bimestrale di cinema, televisione e linguaggi multimediali nella scuola Anno XXX, nuova serie, supplemento al n. 107/108 settembre-dicembre 2014 Direttore responsabile Carlo Tagliabue Direttore Mariolina Gamba Rivista del Centro Studi Cinematografici Redazione 00165 Roma, Via Gregorio VII, 6 Massimo Causo, Luisa Ceretto, Tel. e fax: 06 6382605 Davide Di Giorgio, Anna Fellegara, www.cscinema.org · [email protected] Elio Girlanda, Flavio Vergerio, Giancarlo Zappoli Centro Studi Cinematografici © Collaborazione alle ricerche iconografiche In collaborazione con Centro Studi per Giuseppe Foroni l’Educazione all’Immagine di Milano Segreteria di redazione ISSN 1126-067X Cesare Frioni Un numero euro 6,00 Progetto grafico e impaginazione Aut. Trib. di Bergamo n. 13 del 30 aprile 1999 jessica benucci · www.gramma.it Alla rivista si collabora solo su invito della Stampa e confezione redazione Tipostampa per conto di Joelle srl Città di Castello (PG) Testi e immagini vanno inviati a: [email protected] Finito di stampare: ottobre 2014 Rivista riconosciuta con il criterio di scientificità dall'ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione Universitaria e della Ricerca) per quanto riguarda la classe 11 (Scienze Storiche, Filosofiche, Pedagogiche e Psicologiche). Abbonamento annuale intestato al Centro Studi Cinematografici euro 35,00 conto corrente postale numero 26862003 Ricordiamo che, grazie alla Direttiva Ministeriale n. 70 del 17 giugno 2002, è operativa l’azione di rimborso per le spese di autoaggiornamento degli insegnanti. Tra le spese rimborsabili sono previste anche quelle relative ad abbonamenti a riviste specializzate.