Non aveva mai amato quella vecchia e cadente casa di campagna. Due piani di logore pietre scalcinate intaccate dagli anni e dalle
intemperie, dove le ultime tracce d'intonaco erano sparite da decenni. Disabitata da tempo immemore era appartenuta a suo padre,
prima ancora a suo nonno ed ancora prima al nonno di suo nonno. Una sorta di possedimento di famiglia che aveva perso ogni seppur
minimo valore commerciale.
Guardava distratto fuori della finestra, affacciata sul grigio traffico cittadino, seguendo ora le macchine
ora le scie lasciate sul vetro dalle gocce di un pomeriggio troppo piovoso, come bava di lumache troppo
veloci. Il notaio ripeteva, con tono piatto, professionale e senza partecipazione, le solite frasi di
circostanza contenute nel testamento olografo. La voce gli arrivava ovattata, quasi noiosa,
interessante come il fumo che usciva dalla tazza del caffè appoggiata sul davanzale.
Il padre lo aveva lasciato solo pochi giorni prima. Una malattia veloce e letale che però non gli aveva
impedito di stilare le ultime volontà, giusto in tempo per costringere i tre figli a quella seccante
formalità nel moderno studio del professionista.
Il grosso delle proprietà, dei beni immobili e del denaro, quasi tutto in titoli ed azioni al portatore, era stato diviso prima che il genitore,
vedovo, esalasse l'ultimo respiro. Le due sorelle, già sistemate nella Milano bene, si erano per così dire "accontentate" di alcuni
appartamenti in centro. A lui era toccato il resto del patrimonio, accumulato in anni di speculazioni finanziarie, usato per cementificare
una posizione sociale già elevatissima.
Alla laurea in informatica conseguita a pieni voti erano seguiti i primi lavori come web master insieme alla scoperta della passione per
le borse e il mondo finanziario. Nico si era velocemente buttato nel mercato e nelle infinite possibilità offerte dalla rete, dimostrando da
subito doti manageriali e finanziarie non indifferenti, probabile eredità genetica del padre. Cinico, spietato, determinato, senza alcuna
emozione visibile, aveva ben presto saputo scegliere gli alleati e calpestare ogni possibile concorrente diventando, alla soglia dei 30
anni, il maggior azionista della grossa società impegnata nella ricerca e nello sviluppo delle nano tecnologie nonché proprietaria del più
importante motore di ricerca europeo, tanto grande e tanto efficiente da arrivare ad insidiare la leadership dei colossi mondiali.
La sua vita girava totalmente intorno al lavoro, nessuno spazio per gli hobby, per i sentimenti, per le amicizie. Sul letto di morte il
padre lo aveva pregato di occuparsi di quella casa ormai in rovina, strappandogli la promessa di riportarla al suo antico splendore. Non
sapeva nemmeno lui perché lo aveva fatto, forse per un piccolo estremo riconoscimento verso quel padre al quale doveva per lo meno
l'innato senso per gli affari e l'amore per il denaro. Ecco perché, alla firma dell'atto notarile, aveva provato un profondo senso
d'inquietudine misto a malcelata insofferenza, rigirandosi tra le mani la foto dei resti di quella che un tempo era stata la residenza
estiva di famiglia.
Aveva sempre rimandato la visita alla casa fino a quella luminosa mattina nella seconda settimana di marzo. Era difficile vedere il sole a
Milano. Le leggi antinquinamento erano arrivate improvvise, tanto severe quanto in colpevole ritardo. Ci sarebbero voluti decenni prima
che la campagna lombarda ed in genere tutta la pianura padana, digerissero anni di maltrattamenti, di scarichi indiscriminati e di
centinaia di tonnellate di veleni riversati nell'aria, sulla terra e nell'acqua dalla cecità umana. La situazione nel resto del mondo non era
molto diversa ma l'inquinamento era l'ultima delle preoccupazioni di Nico. Si atteneva alle regole ferree imposte dalla normativa
europea solo perché anche la minima infrazione avrebbe comportato, nel migliore dei casi, la perdita del suo impero finanziario e di
conseguenza la fine della sensazione di potere e d'effimera immortalità che i soldi gli avevano regalato.
Il cielo era strano quella mattina. Con il passare delle ore il grigio perennemente cupo si era colorato di un azzurro intenso tanto bello
quanto raro. Il vento da nord non portava il solito odore d'idrocarburi ma tenui profumi che ricordavano, a chi ancora sapeva farlo,
l'arrivo imminente della primavera.
Si era alzato prestissimo, com'era solito fare da anni. Quegli strani odori e quella luce ancora più strana lo avevano sorpreso intento,
come sempre, a consultare la chiusura dei mercati finanziari orientali. Aveva deciso così, d'istinto, mentre sorseggiava il caffè unico
ingrediente della magra colazione. Le borse erano stabili, forse valeva la pena perdere un paio d'ore per dare un'occhiata a quell'eredità
non voluta ma subita, quasi a volersi liberare di un peso per troppo tempo rimandato, come quando si rimanda il taglio delle unghie dei
piedi fino al momento in cui non iniziano a ledere i calzini.
Il SUV a doppia alimentazione aveva attraversato una città ancora avvolta nel sonno. Per le strade solo gli equipaggi di pulizia e
sanificazione intenti nell'ultimo turno di lavoro. In una situazione normale attraversare il nucleo urbano, stretto fra le tangenziali,
significava almeno tre ore in un traffico caotico ed opprimente, ma quel giorno, a quell'ora, si era ritrovato ben presto a vedere gli
ultimi grattacieli dallo specchietto mentre il verde della campagna si era piano piano sostituito al cemento e all'asfalto della metropoli.
L'abitazione si trovava qualche chilometro verso est, a ridosso di quello che un tempo era considerato uno dei fiumi più belli della
pianura Padana. La strada che portava verso la vecchia residenza estiva della famiglia si snodava tortuosa attraverso la campagna dove
i rari casolari, quasi tutti disabitati da anni, spiccavano sul terreno, per lo più incolto, ben evidenti come brufoli sul viso di un
adolescente. L'asfalto mancava in più punti ed ogni temporale scavava buche sempre più larghe e sempre più profonde. I rovi avevano
invaso buona parte della carreggiata, l'erba era riuscita a bucare il manto bituminoso riducendo la striscia grigia come il mantello di uno
strano leopardo. La vernice della riga di mezzeria era solo un lontano ricordo, e Nico ringraziò mentalmente il giorno in cui aveva deciso
di acquistare un'auto a trazione integrale.
Dopo le prime curve, la strada correva per alcuni chilometri parallela al fiume, o almeno a quello che ne rimaneva. Del corso azzurro di
un tempo rimaneva ben poco. Argini, cave e muraglioni artificiali ne avevano via via modificato il corso e deturpato la bellezza. La
grande siccità del ventennio precedente aveva definitivamente concluso il lavoro che ruspe, cemento ed inquinamento avevano
sistematicamente portato avanti fin dai primi anni del secolo. Le sponde denunciavano la stessa incuria e lo stesso senso d'abbandono
della strada. Prismate franate, alberi secchi, fondali sconvolti con la poca acqua rimasta che scorreva asfittica alternandosi fra piccole
buche e raschi rinsecchiti.
Nico si trovò a pensare come doveva essere l'Adda, ai tempi in cui era giustamente famoso come una delle oasi naturali più belle
d'Europa. La casa comparve improvvisamente dietro una curva secca. Il cancello, ormai completamente arrugginito e divelto dai cardini,
introduceva ad una salita, non troppo ripida, che portava al cancello principale. Edificata strategicamente sopra una piccola collinetta
l'abitazione dominava il paesaggio a 360°. Il progetto originale era stato pensato affinché la costruzione potesse sovrastare il territorio
circostante. Alla destra il fiume, dal lato opposto il folto bosco che una volta era stato un bellissimo parco.
Lo stridio secco della frenata sulla ghiaia fu l'ultimo rumore estraneo, primo che tutto
intorno piombasse in un silenzio quasi irreale per uno come lui abituato ai rumori della
città. Nico si fermò un attimo ad assaporare i profumi di verde e rugiada godendo anche
di colori che nella città erano diventati merce rara. Abituato alle luci artificiali dell'ufficio,
all'aria costantemente condizionata, alla fredda atmosfera trasmessa dal laminato dei mobili si stupì della totale sensazione di
benessere scaturita dal contatto così prepotente della natura che andava preparandosi alla nuova stagione. Si tolse gli occhiali da sole
firmati e lasciò la costosa giacca dentro l'abitacolo dell'auto.
Salì con cautela i primi gradini che introducevano al portico. Il legno, seppur di spessore generoso, dava l'impressione di aver vissuto
tempi migliori, si fermò a gettare una prima occhiata a quella che era l'eredità paterna. La casa era su semplice pianta quadrata.
Disposta su due piani la facciata era piena di grandi finestre dalle vetrate luminose. L'intonaco, colorato in giallo pallido, era quasi
completamente caduto, sgretolato dalle intemperie e dalla scarsa manutenzione e lasciava chiaramente vedere in più punti le pietre dei
muri principali. Il portico conservava poco dell'antico splendore. Le tavole in legno del pavimento erano scrostate. L'erba si era infilata
prepotente fra le fessure con una forza inimmaginabile, allargandole in modo efficace e definitivo. Nei punti più in ombra il muschio la
faceva da padrone, mentre l'edera aveva avvolto in un verde abbraccio i piloni che sostenevano la tettoia.
Nico si fermò a gettare un'altra occhiata al paesaggio sottostante. Il portico, rivolto verso sud/ovest, aveva sicuramente costituito un
punto d'osservazione privilegiato, tranquillo e rilassante su tramonti mozzafiato.
La vecchia e macilenta porta non aveva opposto nessuna resistenza alla spinta nemmeno tanto energica e Nico si era trovato in quello
che doveva essere il salone principale. Il lungo tavolo in mogano era scoperto mentre grandi lenzuola bianche si stendevano sul resto
dell'arredamento lasciandone intravedere la forma come immobili fantasmi. Al centro della sala il maestoso camino, che un tempo
aveva fornito calore e luce, sembrava reclamare a gran voce almeno un ceppo da ardere. Le larghe vetrate permettevano alla luce di
entrare in abbondanza ed illuminare completamente gli ambienti del pianterreno. Nei raggi che filtravano più decisi, fra lo sporco dei
vetri, la polvere danzava ben visibile sollevata dai passi di Nico, passi corti, appena accennati, quasi rispettosi di un ambiente che,
nonostante l'abbandono, incuteva ancora rispetto ed educazione. Sulla destra la cucina conservava intatto il fascino di un tempo. Sopra
il lungo lavabo di marmo pendevano vecchi utensili in rame scurito dal tempo. Tutta l'atmosfera non trasmetteva il senso di
trascuratezza che ci si aspettava quanto piuttosto il volto di una dignitosa vecchiaia.
Proprio in mezzo al salone una comoda scala portava al piano superiore. Il corrimano di
legno e ferro battuto mostrava anch'esso il segno degli anni. Sulla parete che saliva
parallela alle scale erano appese fotografie ingiallite dentro cornici mangiate dai tarli con
poche schegge di vetro superstite aggrappate disperatamente al legno. Una foto della casa
in costruzione, una panoramica del fiume presa dal bosco, due pescatori in acqua canna in
mano.
Nico si avvicinò incuriosito a quest'ultima. I colori erano quasi spariti e tutta l'immagine
virava verso il "seppiato". Uno dei due guardava il fotografo tenendo la canna con la
sinistra ed alzava la destra in segno di saluto. I waders lo proteggevano dall'acqua fino
quasi alla cintola e nessuno dei due indossava il cappello nonostante il sole di quella che
doveva essere stata una bella giornata di primavera, proprio come quella odierna. Il
pescatore che salutava aveva un'aria familiare, era suo nonno, ed una cosa colpì
l'attenzione di Nico, il sorriso infinitamente felice che gli illuminava il viso ancor più dei raggi del sole.
Nel pianerottolo superiore altre foto. Erano soprattutto scene di pesca quasi tutte del nonno alle prese con pesci enormi. In alcune
figurava anche il padre, ancora bambino, a mostrare orgoglioso pesci di cui ignorava perfino il nome. Nelle stanze da letto l'atmosfera
non era molto diversa dal piano inferiore. Due vecchi armadi, con le ante parzialmente staccate, permettevano la visione di grucce
orfane degli abiti, i letti erano sfondati, i materassi pieni di strappi lasciavano uscire fiocchi di lana grezza. Nella stanza singola
resisteva il logoro lettino che per alcuni anni era stato il suo giaciglio estivo. In fondo al pianerottolo, di fianco al bagno, una piccola
scala a scomparsa pendeva dal soffitto non più trattenuta dalle molle ormai senza nerbo.
Nico non seppe resistere e, come trascinato da una forza oscura, salì gli stretti pioli d'alluminio. Appena la testa spuntò dal pavimento
alcuni colombi scapparono, più disturbati che impauriti, in un rumoroso sbattere d'ali. La soffitta era identica a tutte le soffitte del
mondo, stipata di oggetti conservati senza nessuna possibilità di essere nuovamente usati. Enormi ragnatele disabitate pendevano dalle
travi più vicine all'angolo formato dall'inclinazione del tetto. Due grossi lucernai fornivano luce a sufficienza per camminare senza
inciampare in quel dimenticato mercatino pieno di passato e di memorie. Tutto intorno regnava una grande confusione. Una vecchia
rete metallica con impressa la forma del corpo che aveva ospitato, scatoloni pieni di vestiti che nessuno avrebbe più indossato, lo
scheletro di una bicicletta senza copertoni, una sedia in legno disastrata, cianfrusaglie di ogni tipo, un vetusto televisore senza tubo
catodico, un mappamondo girevole con un grosso squarcio al posto dell'Australia. Pezzi d'esistenze trascorse utili solo ad aiutare i
ricordi.
Su una delle pareti, fissata ad alcuni piccoli ganci arrugginiti, una canna da
pesca. In tre pezzi, opaca, piena di graffi, aveva perso da tempo lo smalto
originale, mancava anche di alcuni anelli e la punta del cimino più che
rossa era ormai rosa pallido. Il sughero del manico era sbriciolato in più
punti e le ragnatele le conferivano un'aria particolarmente dismessa.
Proprio in mezzo alla soffitta spiccava un vecchio baule con il coperchio
bombato e le vistose cerniere, ben illuminato dal fascio di luce di uno dei
lucernai come un attempato attore sul palcoscenico di un deserto teatro di
provincia. Nico si avvicinò quasi calamitato dal mobile. S'inginocchiò
davanti l'imponente serratura in ottone finemente lavorato spostando
l'ennesima ragnatela lunga ed appiccicosa. Il coperchio si alzò non senza
difficoltà con i cardini che cigolavano sotto il peso del legno massello.
Dentro un sottile strato di polvere, dall'apparenza millenaria, ricopriva il
contenuto. Nico provò la sensazione di trovarsi di fronte ad un piccolo tesoro, la stessa indefinibile sensazione, dove paura, gioia ed
orgoglio si mescolano, che può assalire un archeologo davanti al sarcofago tanto agognato.
Sopra il tutto un quadro dalla cornice semplice ma importante, un ritratto di famiglia. Erano fotografati tutti insieme, il nonno, il padre
già adulto ed anche lui poco più che bambino fra i due, in posa sulla panchina sotto la grande quercia del giardino. Una vecchia coperta,
a scacchi neri e azzurri, avvolgeva il resto del contenuto. Nico scostò lentamente i lembi quasi a voler essere sicuro di non disturbare il
contenuto. Dentro il panno, un paio di pantaloni verdi militare, tanto usati da essere lisi sulle ginocchia. Insieme ai pantaloni una felpa
di cotone nera, anche questa con gli evidenti segni di aver vissuto mille battaglie e mille stagioni. La cerniera rotta e sdentata come una
vecchia novantenne, i polsini consunti, il colore sbiadito da tanti lavaggi. Sulla spalla sinistra uno strano stemma raffigurante due mani
che reggevano un pesce fra due frecce contrapposte e la incomprensibile scritta "C&R". Sul petto un altro stemma, scolorito e quasi
illeggibile per i punti del ricamo sfilacciati.
Ad attenta osservazione pareva esserci scritto LBF Italia, o qualcosa di simile. La conferma arrivò dallo stessa scritta che spiccava molto
più grande anche sulla schiena. Sull'altra spalla un piccolo ricamo dorato, questo ben conservato, raffigurante un pesce baffuto dall'aria
potente e maestosa. Sotto la felpa un cappello con visiera e la stessa scritta, questa più leggibile. Poi una capiente scatola contenente
tanti oggetti, alcuni strani, alcuni mai visti e dei quali ignorava la funzione. Si trovò a rigirare il più strano di tutti, un piccolo cilindro di
plastica, schiacciato sui lati e pieno di buchi regolari ed equidistanti, con una piastra di piombo levigato fissato direttamente alla
plastica. Poi, in perfetto ordine, rocchetti di nylon, ami di varie dimensioni, moschettoni e girelle di metallo unite da stranissime trecce
di gomma morbida.
Nico sollevò la scatola e spostò un vecchio mulinello appoggiato sopra una pila di libri. Prese con cura quello in cima alla pila. Il libro era
rilegato piuttosto grossolanamente con tanti fogli A4 stampati da una obsoleta stampante laser. Si fermò ad osservare meglio il primo.
In alto a destra la data ben evidenziata "3 gennaio 2009"... più di un secolo prima. Poi l'immagine di suo nonno, molto giovane, con un
grosso pesce in mano a mo' di trofeo, seguiva la descrizione di quella che probabilmente era stata la giornata di pesca con annotazioni
di tipo tecnico, assolutamente incomprensibili, poi cenni sul meteo, sulle esche usate e sul numero, peso e specie dei pesci catturati.
Nico sfogliò distrattamente altre pagine non capendo molto del contenuto, ma era sicuramente un diario, il diario di pesca del nonno.
Sotto al primo libro ne trovò molti altri, accuratamente divisi per anno. Faticava a capire il bisogno che aveva spinto il nonno a
compilare un così dettagliato resoconto di pesca. Però, sfogliando anche gli altri fogli, aveva notato una cosa, le facce sempre sorridenti
di chi appariva nelle immagini, facce che trasmettevano allegria, distensione e tranquillità, facce che non sembravano appartenere a
persone adulte ma a bambini felici di vivere con spensieratezza il loro gioco preferito.
Preso da questi pensieri tornò a prendere il mulinello. Ne conosceva a malapena uso e
funzionamento. Era di un bel colore acciaio satinato, appena velato dal sottile strato di
polvere. Sembrava ben bilanciato e girando involontariamente la manovella aveva
scoperto un movimento ancora fluido e preciso. Sulla bobina il nylon nero antracite
sembrava in ottime condizioni. Nico lo guardò per un po' rigirandoselo fra le mani,
affascinato da quell'oggetto così lontano dalle sue abitudini, dal suo modo di vivere, dalla
sua quotidianità. Poi, istintivamente, estrasse il fine fazzoletto con le iniziali ricamate
nell'angolo e lo strofinò leggermente sul corpo metallico cercando di togliere la polvere.
Al primo passaggio di stoffa il mulinello sembrò animarsi emettendo una secca vibrazione
accompagnata da un piccolo lampo di luce turchese...Colto di sorpresa Nico staccò il
fazzoletto e la luce finì. Cosa era successo? Pura immaginazione amplificata dall'ambiente
un po' misterioso? Semplice suggestione o il mulinello aveva davvero cominciato a
vibrare e ad emettere luce? Si ritrovò a guardare l'oggetto fra l'incredulo e l'eccitato,
c'era solo un modo di scoprirlo. Respirò profondamente prima di ricominciare a sfregare il corpo con più forza e maggior ritmo. Questa
volta la luce fu più intensa, quasi solida, la vibrazione talmente forte che tutta la stanza cominciò a tremare mentre le pareti, il soffitto
e lo stesso pavimento sparivano in una rapida dissolvenza. Nico continuava a guardarsi intorno esterrefatto ma non smise di strofinare.
Si trovava al centro di un'incontenibile esplosione di luce, di suoni e di colori che andava rapidamente cambiando la soffitta circostante.
Quando la vibrazione cessò e la luce si affievolì fino a sparire Nico continuò a guardarsi intorno incredulo con gli occhi spalancati.
La soffitta era sparita. Da ogni parte un paesaggio mozzafiato. Il cielo era di un azzurro
tanto intenso e limpido da fare male alla vista, appena punteggiato da alcune innocue
nuvole bianche che ne impreziosivano la visione d'insieme. Si trovava avvolto in
un'esplosione di ogni tonalità di verde immaginabile. Erba fitta copriva il terreno mentre
alberi e cespugli erano rigogliosi di foglie e di fiori variopinti. Sulla sua testa decine di
uccelli cantavano a squarciagola la primavera imminente mentre di fronte a lui il fiume
gareggiava in bellezza con l'azzurro del cielo aiutato dallo scorrere placido e maestoso
della corrente rotta solo dai salti e dalle bollate d'innumerevoli pesci.
Nico si trovò seduto su uno strano panchetto pieno di cassetti estraibili. Ancora intontito
da tanta bellezza, più che dal recente cambiamento, si trovò a tastare la soffice seduta
sagomata resa morbida dall'imbottitura. Di fronte a lui, saldamente piantato nel terreno
della sponda, un picchetto d'acciaio con una "V" in gomma dove aspettava appoggiata una
canna, la stessa canna che aveva visto, piena di polvere e ragnatele, appesa nella soffitta che non c'era più. Il carbonio nero splendeva
sotto il sole, il fusto sottile trasmetteva immediatamente la sensazione di potenza e rapidità. La canna sembrava fremere mentre
aspettava come un nero stallone nervoso e scattante pronto alla competizione.
Non sapeva il perché, ignorava da dove derivassero queste conoscenze ma si trovò a preparare la canna. Fissò il mulinello al fusto nello
spazio fra le guance in alluminio sopra il manico in sughero, infilò diligentemente il filo attraverso le pietre dure dei tanti anelli ed aprì
uno dei cassetti del panchetto. Lavorava senza fretta e con precisione, come se quelli che stava facendo fossero gesti memorizzati
guidati da un'esperienza che sapeva di non possedere ma che qualcuno o qualcosa gli aveva trasmesso.
Legò prima il power gum alla lenza madre, poi il terminale con il piccolo amo alla girella del power gum. Da un altro cassetto prese un
pasturatore, meravigliandosi di sapere come si chiamava ed a cosa serviva. Dalla bacinella a terra, comparsa chissà quando e chissà da
dove, scelse senza provare alcun ribrezzo due piccole larve scodinzolanti, lui che aveva sempre odiato ogni genere d'insetti. Innescò con
cura l'amo per poi riempire delle stesse larve il contenitore bucato. Portò la canna dietro le spalle reggendo il manico con entrambi le
mani, scrutò la superficie dell'acqua a scegliere il punto d'impatto e lanciò, come se per lui non fosse la prima volta ma un gesto
ripetuto infinite volte. Il tonfo del pasturatore che infrangeva la superficie dopo una parabola perfetta lo riempì d'orgoglio e di speranze.
Posò la canna sulla V del picchetto appoggiando il calcio sulla coscia, mise leggermente in tensione il filo e cominciò un'attesa che non
durò a lungo. Dopo pochi secondi il vettino colorato ebbe un lieve sussulto, seguito da un paio di colpetti. Sul secondo colpetto ferrò,
come se per lui fosse la cosa più naturale del mondo. Il combattimento era stato serrato. La canna e tutta l'attrezzatura,
magistralmente condotte, erano state più volte messe alla frusta dai tentativi di fuga del grosso ciprinide ma Nico si era dimostrato
pescatore esperto, preciso e molto dotato. Aveva risposto con astuzia e perizia ad ogni mossa del pesce, sfruttandone le piccole
incertezze, non palesando nessun tentennamento. Alla fine la preda era arrivata a guadino e Nico la guardava soddisfatto, stanco ma
felice per l'esito della sfida.
Aveva osservato per un po' il suo avversario riprendere fiato adagiato fra le maglie gommate del guadino. Si era stupito della sua abilità
e si era trovato ad essere orgoglioso di tanta bravura. Poi aveva preso in mano il pesce per slamarlo e restituirlo alla libertà ed allora
tutto era cambiato, scomparendo velocemente così com'era apparso.
Il cielo si era tramutato nel grigio cupo del tetto del soffitto, le vecchie tavole del pavimento avevano preso il posto dell'erba soffice e la
luce era via via diventata sempre più fioca, appena filtrata dai vetri dei lucernai dove il tramonto andava velocemente mettendo la
parola fine a quella giornata limpida e piacevole. Nico si era così ritrovato ancora in ginocchio davanti al vecchio baule aperto. Aveva
sognato? Si era nuovamente immaginato tutto?
Effettivamente era tutto sudato, il fiato ancora grosso con il cuore ed il sangue attraversati
dall'adrenalina della lotta con l'abitante del fiume. Tutta fantasia? Poteva essere, se non fosse
stato per quella grossa scaglia lucida e bagnata che spiccava nel palmo della mano rimasta
aperta. Era successo, era successo davvero. Quei pochi minuti fantastici ed emozionanti erano
stati in qualche modo catalizzati dal vecchio mulinello. Per un breve lasso di tempo aveva
vissuto a pieni polmoni lo spirito della pesca ed il DNA per troppo tempo sopito era stato
prepotentemente riportato in superficie. Ecco cosa provava suo padre a pesca, e prima di lui
suo nonno, ed ancora prima il padre di suo nonno. Pochi secondi ed aveva capito.
Nell'antico baule era rimasta rinchiusa da tempo l'essenza stessa di anni di passione, di
trepidazioni, di amore incondizionato per la natura e per i pesci. Doveva assolutamente fare
qualcosa. Doveva rivivere quelle sensazioni che in pochi attimi gli avevano stravolto
l'esistenza. Doveva in ogni modo cercare e ritrovare quella che era la vera eredità del padre.
Tornò verso la città portando con se il mulinello, mentre pensieri vividi ed idee concrete si affollavano nella testa. Aveva tutti i mezzi
per riportare agli antichi fasti quello sport che in pochi secondi lo aveva conquistato. Possedeva le risorse, anche economiche, per ridare
vita e forza al povero fiume malato, aveva la volontà per far risorgere quella passione che accompagnava da sempre la sua famiglia.
Sulla strada del ritorno la mente, allenata da anni d'operazioni in borsa, elaborava velocemente decine di piani. Doveva acquistare il
terreno intorno al fiume, doveva ricercare ogni notizia sulla pesca e sull'associazione che aveva annoverato fra i propri tesserati il
nonno, doveva avviare i contatti per fondare una società che si occupasse di tutti i dettagli, pensava perfino ad una fondazione che
raccogliesse risorse ed istituisse premi per promuovere la pesca fra i giovani.
Mille idee, mille strade, mille progetti, non c'era tempo da perdere.
Giunto in ufficio accese il potente PC, aprì il motore di ricerca e digitò le parole viste sul logoro ricamo della felpa nel baule..."LBF"...di
fianco, posato sul tappetino del mouse, il vecchio mulinello, per un attimo, sembrò nuovamente vibrare di vita propria.
Sergio Farina
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