COLLABORAZIONI
SACRI BOVINI
ORIGINI MAGICHE
[1a parte]
DELLA CULTURA
ALLEVATORIA
Con questo articolo prende il via un
itinerario di ricerca che utilizza come filo conduttore narrazioni che
hanno per protagonisti bovini mitici
le cui vicende consentono di penetrare nei misteri delle origini della
razza Frisona. Il primo racconto
preso in considerazione è il mito
greco di Io, il cui interesse consiste
nel collocarsi in un sistema di varianti in cui vacche e tori cambiano
colore dal bianco al rosso al nero,
entro un vasto sistema comparativo
che, dalla preistoria europea ai Celti,
sembra convergere nell’antico Egitto
come centro di irradiazione di una
cultura allevatoria già matura e
quindi tale da rinviare a primordi
nilotici e sahariani
PERIODICAMENTE i nostri allevatori organizzano manifestazioni a tutela dei loro diritti. A vederli sfilare in
gruppi compatti e determinati sventolando il loro vessillo porta-fortuna,
la vacca «Gina», alter ego di «Ercolina», quella in carne ed ossa, viene
da pensare ad una tribù totemica risorta dalla nebbia del mito che, con
quelle padane, hanno più punti in
comune di quanto non si pensi.
Queste nebbie si stanno sempre
più diradando, da quando la ricerca
etnostorica sta rendendo obsoleta
l’idea dominante che il mito costituisca una specie di vaneggiamento
fantastico di un’umanità allo stato in-
fantile da interpretarsi in chiave letteraria, poetica, allegorica o psicoanalitica. Da accantonare quindi nelle classificazioni filosofiche dell’irrazionale, o in quelle «religiose» del
moralmente illecito e della menzogna.
Oggi invece il mito viene rivalutato come strada percorribile e affidabile per la ricostruzione di antichi e
aggrovigliati processi preistorici, la
cui decodificazione pone le premesse per contributi di approfondimento e revisione delle acquisizioni della storiografia accademica.
Le figure presenti nelle sequenze
di simboli che animano il mito e il ri-
di Antonia Bertocchi
etnoantropologa
to funzionano come altrettanti etnoreperti, capaci di partecipare ad un
tessuto di coordinate che via via, col
procedere della ricerca, tracciano,
come in un puzzle, un nuovo modello interpretativo della storia.
La sfilata degli allevatori con la loro vacca pezzata di bianco e nero, di
razza Frisona, mi ha sollecitato a lavorare all’ipotesi che questo mantello bicolore celi qualche segreto e
che l’itinerario di scoperta di questo
segreto possa giovare ad un’antropologia della cultura ambientale delle origini dell’allevamento bovino.
Di qui l’intento di offrire questi
contibuiti di ricerca agli interlocutori
a n t onia ber to c chi
Esperta in Antropologia Pedagogica e in Epistemologia del pensiero
magico. Nata a Cremona, vive ed opera sul territorio. Interessata alle
modalità espressive del pensiero magico presenti nei miti e nei riti del
mondo classico dell’etnologia e del folklore, si dedica allo studio dei loro significati profondi di tipo magico religioso, integrando l’approccio
etnografico in quello etnostorico. Esso domanda il ricorso ad un vasto
ambito interdisciplinare di tipo bio-culturale che tende a fornire alle discipline etno-antropologiche supporti scientifici, in quanto dimostra il
valore delle etnofonti e degli etnoreperti nel contribuire alla ricostuzione della vera storia del genere umano, con il concorso delle testimonianze della cultura orale e materiale.
Numerose sono le sue pubblicazioni su periodici sia in ambito specialistico che divulgativo, tra i quali la Rivista di Studi Etnoantropologici
e sociologici (Napoli), il «Monitore Pedagogico» (Pescara), il Quaderno
Montessori (Castellanza), «Educazione pre-natale» (Pavia), il quotidiano
«La Padania» (Milano).
Sulla stampa cremonese ricordiamo le sue più recenti ricerche apparse sulla Strenna dell’Adafa e Mondo Padano, settimanale, con paginoni
centrali a colori di cui ha curato anche l’aspetto iconologico, trattando
temi folkloristici che partono da sopravvivenze locali di tradizioni popolari, di cui viene evidenziata la dignità culturale, secondo un concetto
aperto e dialogante di etnicità.
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più adatti: gli allevatori stessi, i lettori appunto di «Bianco Nero».
Le origini della razza Frisona, sono ancora avvolte nel mistero. Un’ipotesi vuole che essa sia autoctona
della Frisia da oltre 2000 anni. Un’altra che si sia stabilita nei Paesi Bassi
dopo il 1700. Un’altra che il carattere
pezzato nero si sia rapidamente affermato grazie ad un vasto rimescolamento genetico. Questo carattere
dominante è correlato «ad un corredo genetico particolarmente favorevole ad esprimere buone produzioni
di latte. Questa particolare combinazione, una volta rilevata dagli allevatori olandesi, consentì di selezionare
il bestiame in maniera semplicissima, anche in un’epoca in cui le conoscenze scientifiche erano ben lontane da quelle di oggi, in quanto era
sufficiente imporre il carattere bianco-nero per avere automaticamente
una migliore produzione di latte. Ne
è relativa dimostrazione il fatto che il
carattere rosso delle vecchie razze
bovine dei Paesi Bassi, anche se come allele recessivo, è ancora presente nel patrimonio della popolazione
delle Frisone e la nascita, occasionale e per altro sempre più rada di beImmagine di Tarocchi Egizi: Il Sacrificio.
Tratta dalla tomba di Ataker a Gebelein
mostra il sacrificio di tori pezzati di nero. I
Tarocchi Egiziani, ed. Lo Sarabeo - Astra,
luglio 1998
stiame pezzato rosso o tutto rossiccio, è una caratteristica ben nota della razza Frisona». (Fusco R. 1990 p. 2).(1)
L’obiezione dell’autore alla prima ipotesi, che non vi siano prove che il tipo Frisona sia stato presente anteriormente all’800 d.C., è facilmente confutabile dall’ampia documentazione sui bovini pezzati rilevabile dagli affreschi
dell’antico Egitto. In quello che forse è tra i più antichi (ma i confini verso il
basso sono aperti), appartenente alla mastaba di Nefer di Ka-hay a Saqqara,
compaiono bovini pezzati di bianco, nero e rosso. Essa risale alla V dinastia,
metà del III millennio a. C.(2) ed ha un celebre riscontro nel toro acrobatico
di Cnosso datato in età di poco posteriore al 1500 a. C.(3)
La comparazione tra alcuni miti potrebbe aiutare i genetisti a stabilire la
sequenza genetica che ha portato alla pezzatura bianco-nera. Essi ci confermano l’ipotesi che vi sia stata una fase intermedia di pezzatura bianco-rossa.
Ad esempio, il toro che rapì Europa, una delle trasformazioni seduttive di
Zeus, in un dipinto vascolare, ha tre colori (Kerény 1952 p. III). In Egitto nelle scene di macellazione, si vedono buoi pezzati di nero o di rosso.(4) La successione di bianco-rosso-nero costituisce fondamento speculativo della simbologia della Grande Opera, nella Tradizione Ermetico-alchemica, e il mito
di Io potrebbe contribuire alla districazione etnostorica delle origini della
pezzata rossa valdostana (Fusco R. 1990, tav. 2, p. 15), se da una specie originariamente bianca, oppure da capostipiti di vacche rosse documentati dai
graffiti preistorici.(5) Questi potrebbero derivare da esemplari mutageni di
Bos Primigenius che potrebbero essersi affermati per motivi magico-religiosi: oltre al fatto che le femmine venivano di norma risparmiate dai cacciatori
perchè ritenute depositarie del mistero sacro della riproduzione, il colore
rosso veniva considerato veicolo della forza magica (mana), che risiede nel
sangue, tanto che gli scheletri venivano sepolti ricoperti di ocra rossa per
propiziare la resurrezione.
Lo stesso discorso vale per il mito celtico del ciclo dell’Ulster, che narra
del formidabile toro rosso della regina Maev, dal muso e dalle corna bianche, chiamato Finnbench. Essa scatenò una guerra per appropriarsi del Toro
Bruno del Quelgny, la bestia più possente d’Irlanda, che aveva chiesto in
prestito per un anno(6) con ogni evidenza per migliorare il patrimonio genetico della propria mandria.
Ma come giunsero in Irlanda questi animali? Furono importati dall’Africa
Settentrionale e poi da essi derivò la razza Frisona, oppure questo processo
si perfezionò in Africa settentrionale dove pure era presente il Bos Primigenius?
Qualche primo chiarimento a questa problematica, potrebbe venirci dal
mito greco di Io. In un sistema di varianti assemblato da Robert Graves, «Io,
figlia del dio fiume Inaco, era sacerdotessa di Era Argiva. Zeus, su cui Iunge,
Vacca dipinta in bicromia, da Lascaux; la testa nera, il corpo marrone e la pallida striscia
lungo il dorso indicano probabilmente il vero colore del pelame delle vacche selvagge
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figlia di Pan e di Eco, aveva gettato
un incantesimo, si innamorò di Io, e
quando Era lo accusò di infedeltà e
trasformò Iunge in un torcicollo per
punirla, egli mentì: «Non ho mai toccato Io». Trasformò poi Io in una
vacca bianca, ma Era ne reclamò la
proprietà e la affidò ad Argo Panopte, dicendogli: «Lega segretamente
questa bestia a un albero di olivo
presso Nemea (o a Micene come altri sostengono), travestito da picchio. Ermete, pur essendo il più abile dei ladri, sapeva che non gli sarebbe stato possibile rubare Io senza
essere colto sul fatto da uno dei cento occhi di Argo. Fece perciò addormentare il mostro al magico suono
del suo flauto, lo colpì con una pietra, gli tagliò la testa e liberò Io. Era,
dopo aver costellato con gli occhi di
Argo la coda del pavone, a perenne
ricordo di quel turpe assassinio, Scena di censimento del bestiame, dalla tomba di Nebanum a Tebe (circa 1400 a. C.). Conmandò un tafano a pungere Io, spin- tadini e operai agricoli erano detti «servi del re». Proprietario della terra infatti, almeno
era il faraone, che ne concedeva la gestione ai templi e ai grandi funzionari.
gendola alla fuga...» dopo molte pe- formalmente,
(Londra, British Museum)
regrinazioni «...Ridiscese poi alle sorgenti del Nilo, dove i Pigmei lottano senza posa contro le gru, e trovò infine
Note al testo
pace in Egitto. Zeus le restituì sembianze umane e sposato Telegonio, Io die1. Fusco Roberto (1990): La Frisona italiade alla luce Epafo, il figlio concepito da Zeus (che l’aveva appunto «tocca- na. Evoluzione, lotte e traguardi di cinque geta»), e fondò il culto di Iside, poiché così essa chiamava Demetra. Epafo, che nerazioni di allevatori. Anafi - Edizioni Agricole, Roma.
secondo alcuni era il sacro bue Api, regnò sull’Egitto ed ebbe una figlia, Li2. Pernigotti Sergio (1997): Egitto, viaggio
bia, che generò da Posidone, Agenore e Belo.
nella terra dei Faraoni Archeo. Attualità dal
Altri sostengono che Io generò Epafo in una grotta eubea chiamata Bo- passato. De Agostini - Rizzoli. n. 4, ottobre, p.
saule, e in seguito morì per le punture del tafano; e, ancora in forma di vac- 23. 3. Enciclopedia: Le grandi avventure delca, mutò il suo colore dal bianco al violetto e dal violetto al nero».
l’Archeologia. Armando Curcio Ed., Milano, p.
Secondo Robert Graves la leggenda, inventata per spiegare le analogie tra 813.
4. Bovini pezzati di rosso figurano in una
il culto di Io in Grecia, di Iside in Egitto, di Astarte in Siria e di Kali in India, scena
di macellazione dipinta nella tomba di
costituisce un mito composito: «Gli Argivi veneravano la luna come vacca, Antefoqer. Tebe, inizio XII Dinastia. Medio
perché dal cornuto primo quarto di luna dipendevano le piogge, e dunque Regno in Posener et al. Dizionario della civiltà
l’abbondanza dell’erba da pascolo. I suoi tre colori: bianco per il primo egizia. Il Saggiatore - Milano 1961. Bovini pezzati neri figurano in un modellino in legno
quarto, rosso per la luna piena, nero per la luna calante, rappresentavano le della XII dinastia. (Posener et al., cit., p. 2), in
tre età della dea-Luna: Fanciulla, Ninfa e Vegliarda. Io mutò colore a rasso- una scena di lavori agricoli nei campi di Ialu,
miglianza della luna, ma i mitografi sostituirono al rosso il violetto, poichè papiro funerario della XXI dinastia. (Posener,
cit. ivi, p. 87), la tomba di Ataker a Gebelein ci
‘ion’ è il nome greco che indica la viola».(7)
mostra il sacrificio di tori pezzati di nero (Guy
Come lo stesso R. Graves chiarisce(8) il bianco, il rosso e il nero sono an- Rachet: Dizionario dell’Antico Egitto. Newton
che i colori della vitella di Minosse e dei sacri tori di Augias e, come appare Compton Ed., Roma 1998, p. 289). Un mantel«stellato» molto interessante, è quello di una
da un vaso cretese, anche del Toro di Minosse che rapì Europa. Inoltre i tri- lo
pittura di una tomba di Giza della V dinastia,
podi cerimoniali di argilla e gesso rinvenuti a Ninou Khani e un tripode ana- epoca che dal Bernal è stata retrodatata al
logo trovato a Micene, erano dipinti in bianco, rosso e nero. Ne «La Dea 2800 a. C. (Martin Bernal: Atena Nera. Le radiafroasiatiche della civiltà classica. Vol. II, taBianca», la triplice dea, il Graves ricorda le tre pietre verticali di Moelfre Hill, ci
vole cronologie, tav. I, cronologie egizie, pag.
presso Dwygyfylchi nel Galles, abbattute nel Seicento dalla furia iconoclasta XLIII. Nuova Pratiche Editrice, Parma 1994).
5. Si veda la vacca dipinta in bicromia da
della guerra civile. Esse potrebbero aver rappresentato la trinità di Io. Una
testa nera, corpo marrone rossastro e
era bianca, una rossa e l’altra azzurra ed erano note come ‘le tre donne’.(9) Lascaux:
una pallida striscia lungo il dorso (in Peter J.
Questa leggenda conferma che i diversi tipi di pezzatura erano anteriori Ucke e André Rosenfeld: Arte Paleolitica. Il
all’invasione degli Elleni che, con grande scandalo degli indigeni violentaro- Saggiatore, Milano 1967, fig. 74, p. 164).
6. T. W. Rolleston (1995): I miti celtici. Cap.
no le sacerdotesse della luna.(10)
I, racconti del ciclo dell’Ulster, p. 179 e seg.
Tra i molti elementi raccolti da Martin Bernal sull’influsso egizio sulla Beo- Longanesi, Milano.
zia e sul Peloponneso del III millennio, nel culto, nel mito e nelle leggen7. Graves Robert (1995): I miti greci.
C.D.E., Milano, p. 170, e seg.
de,(11) il nome «Io» deriva da parole egizie designanti la «vacca».
8. Graves R., op. cit., ivi, p. 278.
È evidente, pur da questi brevi cenni introduttivi, che la problematica del9. Graves Robert (1992): La Dea Bianca.
la origini genetiche delle pezzature dei bovini, apre orizzonti imprevisti alla Adelphi, Milano, p. 81.
10. Graves Robert (1995): I miti greci, cit.,
ricerca sull’antropologia della cultura ambientale, grazie ad un nuovo app. 172.
proccio al mondo magico dei miti, che potrà riservare nuove sorprese a quei
11. Bernal Martin (1994): Atena Nera, cit.,
lettori che saranno interessati a seguirci sui prossimi numeri.
vol. II, tomo I, pag. 172, cap. II, p. III.
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