Raccolta articoli
del Dr. Franco Berrino
Giù le mani dai bambini.
Sono un pubblicitario: ebbene sì, io sono quello che vi vende tutta quella merda, quello che vi fa sognare cose che non avrete
mai. Io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità è che non
resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Nel mio mestiere nessuno desidera la
vostra felicità, perché la gente felice non consuma
Frédéric Beigbeder
Nella seconda metà del XX secolo improvvisamente il grande
mondo degli affari scopre che la verità non è importante, ciò
che conta è l’attrazione. Una volta creata l’informazioneattrazione, possiamo vendere questa informazione ovunque.
Più è attraente, più denaro possiamo guadagnare ... Il passaggio dal criterio della verità a quello dell’attrazione è la grande
rivoluzione culturale di cui tutti siamo i testimoni, i partecipanti e le vittime.
Ryszard Kapuscinsky
Tratto dal libro:
IL CIBO DELL’UOMO - Franco Berrino - Ed. Franco Angeli
MA SAPPIAMO COSA DIAMO OGGI AI NOSTRI FIGLI?
Con un poco di zucchero …
Non c’è bisogno di zucchero per fare ottimi dolci. La ricetta
che preferisco e quella di uno speciale bacio di dama: impastare la farina di mandorle con un pizzico di sale e con polpa
di mela cotta, farne delle palline di 2 cm di diametro e passarle al forno per 10 minuti.
Un’altra ricetta che raccomando per l’estate, e per prevenire
il consumo eccessivo di gelati industriali, è la mousse (o il
gelato) di frutta preparato facendo bollire per pochi minuti
un cucchiaio di agar-agar in polvere (o 2,5 cucchiai di agaragar in scaglie, il cosiddetto kanten) , sempre con un pizzico
di sale, in mezzo litro di succo di mela, poi si versa il tutto
sulle fragole (o su altra frutta fresca coltivata senza pesticidi),
si lascia raffreddare in modo che si formi una gelatina, si frulla e si mette in frigo o nella gelatiera.
Per preparare dei biscotti rapidissimi è sufficiente mescolare
una tazza di farina semi-integrale (e/o fiocchi di avena) con
un pizzico di sale, una manciata di mandorle (e/o nocciole o
semi di girasole, di zucca, di lino) da macinare nel frullatore di casa, una manciata di uvetta sultanina
rinvenuta (e/o due albicocche secche sminuzzate, ma evitare quelle schiarite con lo zolfo), e una tazza di latte di soia (o di cereali e/o un succo di frutta senza zucchero) in dosi tali da ottenere una pasta
morbida da disporre a cucchiaiate sulla teglia da forno. Tempo di preparazione: 5 minuti per mescolare gli ingredienti + 20 minuti di cottura, e non ditemi che le mamme che lavorano non possono trovare 5 minuti per preparare le merendine. L’ideale, comunque, è prepararle assieme ai bambini, che
in genere amano fare i dolci, e quando li fanno loro poi li mangiano più volentieri.
Ma perché no allo zucchero? E’ una lunga storia. Una volta l’uomo non mangiava zucchero. Era una delle tante spezie preziose che la repubblica di Venezia importava dall’oriente, e veniva usato prevalentemente in farmacia. Ai tempi di Federico II si cercò di coltivare la canna da zucchero in Sicilia, ma con poco successo, perché la canna richiede un clima monsonico.
Poi si scoprì che cresceva bene nei caraibi e in Brasile, e fu una tragedia perché mancava la manodopera e inglesi, spagnoli, portoghesi e francesi furono costretti (!) a importare schiavi dall’Africa. Nel
‘700 si sviluppò la pasticceria europea a base di zucchero, che rimaneva però un ingrediente caro,
non accessibile alla popolazione generale. Intanto però si era scoperto che si poteva estrarre zucchero anche dalla barbabietola, pur con procedure assai più complicate, e Napoleone, nella sua guerra
commerciale con l’Inghilterra e la Spagna, promosse lo sviluppo degli zuccherifici. In Italia il primo
zuccherificio fu fondato alla fine dell’800 e nel corso del secolo scorso lo zucchero divenne progressivamente meno caro, fino a diventare un alimento di massa. Oggi il consumo di saccarosio dell’italiano
medio è di circa 24 kg all’anno, pari a 65 grammi al giorno, che sommato agli zuccheri semplici naturalmente contenuti negli alimenti fa un totale di circa 100 grammi al giorno, pari a 400 chilocalorie,
circa il 20 % delle calorie totali consumate da un adulto sedentario. Ebbene nel 2003 l’Organizzazione
Mondiale della Sanità aveva raccomandato che il consumo di zuccheri semplici fosse inferiore al 10%
delle calorie totali della dieta! Ci furono prese di posizioni pesantissime delle multinazionali alimentari, specie di quelle delle bevande zuccherate, e pressioni delle lobby politiche degli Stati Uniti perché il limite fosse spostato al 25% delle calorie giornaliere raccomandate; il loro problema era che
con due lattine di bevande zuccherate si sarebbero ampiamente superati i limiti. Le ragioni dell’OMS
erano che un eccessivo consumo di zucchero favorisce l’obesità, il diabete, e le carie dentarie, che
l’obesità e il diabete favoriscono il cancro e le malattie cardiovascolari, e che lo zucchero liquido in
particolare, quello delle varie coche-fante-pepsi-lemonsomething-estatè e yogurt da bere, è ancora
più nocivo perché non aumenta il senso di sazietà (WHO/FAO Diet, Nutrition and the Prevention of
Chronic Diseases, 2003).
Successivamente ci furono numerose conferme e studi
recenti suggeriscono che anche il quoziente di intelligenza è compromesso nei bambini che consumano
molti dolciumi.
Lo zucchero è uno strano alimento: è
l’unico cibo costituito da una sostanza chimica pura, il
saccarosio, un disaccaride (così detto perché costituito
dalla condensazione di due molecole di zuccheri elementari, una di glucosio e una di fruttosio). Glucosio e
fruttosio sono entrambi costituiti da sei atomi di carbonio, sei di ossigeno, e dodici di idrogeno, disposti a formare un anello, ma con configurazione spaziale e funzioni diverse.
Il glucosio è il costituente elementare degli amidi, che sono polimeri di migliaia e migliaia di
molecole di glucosio che le piante immagazzinano nei semi o nei tuberi come riserva di energia per il germoglio che deve crescere. Le piante sintetizzano il glucosio a partire dall’acqua
che assorbono dalle radici e dall’anidride carbonica dell’atmosfera. L’energia per la reazione
chimica è quella del sole, catturata dalla clorofilla delle foglie verdi:
6 H2O + 6 CO2 + energia solare = C6H12O6 + 6 O2 .
E’ così che le piante ripuliscono l’atmosfera dall’anidride carbonica e producono l’ossigeno e
il glucosio, la base del nutrimento del regno animale. Quando mangiamo pane pasta riso orzo
farro polenta, grazie alla saliva e al succo pancreatico, gli amidi vengono smontati e si libera
glucosio che viene assorbito dall’intestino, passa nel sangue e va a nutrire tutte le nostre cellule. Nelle cellule il glucosio viene bruciato producendo acqua, anidride carbonica e l’energia
che ci serve per vivere. Possiamo anche bruciare grassi e proteine, ma il carburante più pulito è il glucosio. Per questo la glicemia (la concentrazione di glucosio nel sangue) è attentamente controllata dal nostro organismo: quando si alza il pancreas produce insulina che ne
consente l’ingresso nelle cellule, quando si abbassa subito sentiamo il bisogno di mangiare
per ristabilire una concentrazione ottimale. Quando mangiamo troppo zucchero o troppe
farine raffinate (pane bianco, dolciumi) la glicemia sale rapidamente, per cui il pancreas produce subito una quantità elevata di insulina che la fa abbassare, con il rischio però di farla
abbassare troppo, per cui viene fame di zucchero. E la ragione per cui molti di noi sentono il
bisogno di mangiare il cappuccino con la brioche a metà mattina, o una merendina dolce.
Più zuccheri si mangiano più si ha fame di zuccheri
E’ una delle ragioni del perché gli zuccheri fanno ingrassare. E’ anche la ragione del perché i
bambini a fine mattina a scuola sono distratti e nervosi: la colazione troppo ricca di zuccheri
li ha mandati in ipoglicemia e il cervello ha bisogno di un apporto costante di glucosio per
ben funzionare.
Il fruttosio è diverso. Lo assumiamo prevalentemente dalla frutta e dalle verdure dolci, dove
si trova, assieme a varie quantità di glucosio e saccarosio, in forma libera. Non può essere utilizzato come tale dalle nostre cellule, ma deve essere prima trasformato dal fegato in glucosio o in grassi. Non causa iperglicemia ma può aumentare molto il livello di trigliceridi. E’
molto più dolce del glucosio e del saccarosio, ma è sconsigliabile mangiarlo come tale, perché
alte concentrazioni di fruttosio nel sangue sono nocive e favoriscono lo sviluppo di obesità. Il
fruttosio, infatti, ostacola l’azione della leptina, l’ormone prodotto dal tessuto adiposo che
segnala al cervello di ridurre l’appetito quando siamo sovrappeso. E’ bene quindi non dolcificare con il fruttosio ed evitare i dolciumi e le bibite che contengono sciroppo di glucosio e
fruttosio (leggere sempre le etichette!). Lo sciroppo di glucosio e fruttosio è una delle principali cause dell’epidemia drammatica di obesità nel Nord America, e da qualche anno è comparso prepotentemente anche nei nostri supermercati.
Interessa all’industria perché la miscela di glucosio e fruttosio che si ricava dal mais costa meno dello zucchero, dolcifica di più, e soprattutto aiuta
a dare corpo e mantenere soffici i prodotti di pasticceria. Una volta i pasticceri usavano talvolta il cosiddetto zucchero invertito, cioè una miscela di
glucosio e fruttosio ottenuto scindendo il saccarosio. Se quindi leggete fruttosio, sciroppo di glucosio e fruttosio,
o zucchero invertito sull’etichetta dei
dolciumi, dei cereali per la colazione,
delle bibite o dello yogurt, è meglio
non acquistarli. Anche lo sciroppo
d’agave oggi promosso anche in molti
prodotti biologici è ricchissimo di fruttosio libero, per cui è meglio non farne uso abituale.
La cosa migliore è dolcificare con la frutta, che contiene, si, fruttosio, glucosio, e saccarosio, ma
assieme a tante altre sostanze che li diluiscono, ne rallentano l’assorbimento, e ne facilitano il metabolismo. Altri dolcificanti commerciali sono i malti di cereali, in cui la fermentazione degli amidi ha
prodotto maltosio e malto destrine, molecole dolci costituite da due o più molecole di glucosio, lo
sciroppo d’acero, costituito in gran parte da saccarosio, e lo zucchero di canna integrale grezzo, che si
presenta come un materiale bruno scuro non cristallino. Sono meglio dello zucchero bianco perché
contengono anche altre sostanze che ne diluiscono la nocività, ma si tratta sempre di zuccheri. Lo
stesso vale per il miele, che contiene glucosio e fruttosio liberi.
Una parola per i dolcificanti artificiali: saccarina, aspartame, acesulfame, o il più nuovo sucralosio,
sostanze non o poco caloriche fino a mille volte più dolci dello zucchero. Sono state consigliate ai diabetici e alle persone sovrappeso, ma è meglio non usarle perché c’è il forte sospetto che facciano ingrassare. Nel nostro intestino, infatti, ci sono dei sensori per il gusto dolce; quando arrivano sostanze
molto dolci viene potenziato l’assorbimento del glucosio. E’ la ragione per cui l’aspartame viene somministrato ai maialini quando vengono svezzati prematuramente per consentire di ingravidare nuovamente la scrofa. Senza lo stimolo del gusto fortemente dolce l’intestino immaturo dei maialini non
sarebbe in grado di utilizzare efficientemente il cibo. E quando beviamo un caffè con un dolcificante
artificiale senza mangiare niente si ipotizza che l’organismo reagisca aumentando l’appetito e riducendo il consumo di energia. Quindi, prudentemente, è meglio non utilizzare questi prodotti, ancor
più se si desidera dimagrire. Sorbitolo, Maltitolo, Mannitolo sono invece sostanze un po’ meno dolci
dello zucchero, presenti naturalmente in alcuni vegetali ma per lo più prodotte industrialmente. Sono
pubblicizzate in caramelle e gomme da masticare perché non aumentano il rischio di carie dentarie.
Aumentano la glicemia meno dello zucchero, ma a parità di potere dolcificante non sono meno caloriche. Possono causare diarrea e in alcuni paesi il loro uso è proibito negli alimenti per l’infanzia.
In conclusione che fare per i nostri bambini plagiati dalla cattiva maestra televisione? E per noi
stessi? Si tratta di abituarsi progressivamente a un gusto meno dolce; fare i dolci in casa senza utilizzare dolcificanti; chiedere che l’industria riduca il contenuto di zucchero dei suoi prodotti; leggere le
etichette e se lo zucchero è il primo o il secondo ingrediente non comprare; se c’è sciroppo di glucosio
-fruttosio non comprare; se c’è zucchero in cibi che non dovrebbero contenerne, come pane, fette biscottate, piselli in scatola, maionese, senape, sughi pronti, pesce in scatola, ecc., non comprare.
Prof. Franco Berrino già Direttore del Dipartimento di medicina preventiva e predittiva,
dell’Istituto Nazionale dei tumori di Milano.
PROTEINE NOBILI?
Si sa che se non ci sono abbastanza proteine da mangiare i bambini non crescono. Tutti abbiamo davanti agli occhi le immagini drammatiche dei bimbi africani, grandi occhi disperati e ventre
gonfio. Si stima che nel mondo ogni sei secondi un bambino muoia di fame. Anche da noi c’era la fame
nella prima metà del secolo scorso, e i medici sapevano quanto fosse importante il brodo di pollo per
aumentare le difese immunitarie, ed era la prima medicina per guarire un bambino denutrito. Si metteva la carne quando l’acqua era ancora fredda, senza sale, in modo che il brodo ne uscisse più ricco.
Oggi le cose stanno diversamente e i nostri bambini sono fin troppo nutriti (e anche noi genitori e
nonni). Quando si ammalano è consigliabile tenerli un giorno leggeri piuttosto che arricchirne la dieta.
Ma di quante proteine hanno bisogno i nostri bambini? Ce lo dicono gli esperti
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e degli Istituti Nazionali della Nutrizione: per un bimbo
delle elementari circa 40 grammi al giorno. In realtà basterebbero meno, ma per essere sicuri che non
ci siano carenze gli scienziati dei LARN (livelli raccomandati di nutrienti) abbondano sempre un pò.
E quante proteine mangiano effettivamente i nostri bambini?
Esaminiamo un menu abituale:
colazione con 250gr di latte e biscotti (10 gr di proteine)
a metà mattina uno yogurt (4gr)
pranzo con pasta al pomodoro (8gr) e parmigiano grattugiato (5gr), 50 gr di pane (5gr),
100 gr di pollo (20gr), insalata e frutta (1gr)
merenda con una merendina (5gr)
cena con pasta in brodo o riso (5gr) e un bel cucchiaio di parmigiano (7gr), 50 gr di prosciutto o di formaggio, o un uovo (10 gr)
In tutto 80 grammi, il doppio del fabbisogno consigliato
Con pochissime eccezioni (in pratica solo il sale, lo zucchero, e le bevande alcoliche) le proteine sono
presenti in tutti gli alimenti, ma in diversa quantità: ce ne sono tante nei formaggi stagionati e negli
affettati magri (fino al 40% del peso) e in certi legumi (30%), un po’ meno nelle carni e formaggi freschi, nel pesce e in noci nocciole e mandorle (15-25%), nei cereali (10%), molto meno nelle verdure
(1-5%). Le proteine di origine animale sono più “ricche” delle proteine di origine vegetale, perché
contengono tutti gli aminoacidi essenziali (cioè gli aminoacidi che non sappiamo sintetizzare e che
quindi dobbiamo prendere dagli alimenti). Per questo sono state chiamate proteine “nobili” e per
questo i medici le apprezzano di più. Inoltre le carni rosse sono ricche di ferro, e i formaggi sono ricchi di calcio. Le fonti principali di proteine vegetali sono invece i legumi (fagioli, piselli, lenticchie, ceci, prodotti di soia),
poveri di un aminoacido chiamato metionina, e i cereali, che
hanno poca lisina. Per questo quasi ovunque nel mondo
(fanno eccezione gli eschimesi!) la dieta base era costituita da
cereali e legumi: la nostra pasta e fagioli, il cus-cus con i ceci
del Nord Africa, il riso con la soia dell’estremo oriente, la tortilla di mais con i fagioli neri del Messico. Perché mangiando
cereali con legumi otteniamo tutti gli aminoacidi di cui abbiamo bisogno. Ci saziano senza darci una dose eccessiva di proteine, e se ci aggiungiamo un pò di verdure di stagione, e occasionalmente un prodotto animale (un pesce, un uovo, un
pezzo di formaggio), avremo tutte le sostanze necessarie a
proteggere la nostra salute. Era la nostra vecchia dieta mediterranea. Orazio la pregustava, tornando a casa la sera “ad
ciceri et porri laganique catinum” . Anche se talvolta troppo
povera, troppo poco varia, e accompagnata da carestie e fame,
è stata la nostra alimentazione per migliaia di anni,. Solo
nell’ultimo mezzo secolo il cibo vegetale è stato in gran parte
soppiantato dal cibo animale, e il consumo quotidiano di carni
e latticini ha fatto aumentare smisuratamente la nostra dose
di proteine.
Farà male ai nostri bambini l’eccesso di proteine
e di cibo animale tipico della nostra dieta? Forse
non immediatamente, ma alla lunga sì, farà male. I
grassi animali che si trovano nei salumi, nei latticini e
nei formaggi favoriscono il diabete e le malattie circolatorie, perché ostacolano il buon funzionamento
dell’insulina e fanno aumentare il colesterolo e la
pressione arteriosa. Le carni rosse, e soprattutto le
carni conservate, sono una delle cause dell’aumento
drammatico dei tumori dell’intestino, soprattutto
perché sono ricche di ferro, che favorisce la formazione di sostanze cancerogene nel nostro tubo digerente.
L’eccesso di proteine, inoltre, fa perdere calcio dalle
ossa. Se mangiamo 40 gr al giorno di proteine
(sarebbe sufficiente anche per gli adulti) ci basterebbe mezzo grammo di calcio al giorno, facilmente ottenibile anche dal cibo vegetale.
Se invece ne mangiamo 80 grammi ci occorre un
grammo al giorno di calcio, perché le proteine, e ancor più quelle di origine animale, tendono ad acidificare il sangue e l’osso cede sali di calcio quando occorre tamponare l’acidità. Il cibo animale, inoltre,
con l’eccezione del pesce, favorisce gli stati infiammatori ed è probabile che l’eccessivo consumo di
carni e formaggi contribuisca a causare le faringiti, tonsilliti, bronchiti, otiti, così frequenti nei nostri
bambini (un’altra causa importante sono le sigarette dei genitori, e l’inquinamento delle città). Quando non c’erano gli antibiotici i medici curavano queste condizioni somministrando una purghetta. Cibarsi prevalentemente di prodotti animali, infatti, favorisce la stitichezza e le infiammazioni intestinali, e se i bambini non fanno bene la cacca sono più suscettibili alle infezioni respiratorie.
Che fare dunque? Ridurre le proteine animali! A scuola sarebbe sufficiente introdurle solo due giorni su cinque, una volta il pesce, una volta un formaggio di buona qualità, ad esempio sulla pizza, e magari la settimana dopo una volta una frittata e una volta una carne, ma senza dare carni conservate
(prosciutti, insaccati, bresaola, wurstel). E gli altri giorni creare dei piatti a base di cereali, verdure e
un po’ di legumi che piacciano ai bambini, ad esempio vellutata di verdure e lenticchie rosse e polpette vegetariane. Se i genitori lo desiderano potranno dare un cibo animale la sera, facendo attenzione
che non se ne mangi più di una volta al giorno.
Ma come potremo far mangiare ai bambini dei semplici cibi vegetali quando sono abituati a
mangiare quasi solo cibo animale? Il problema è serio, ed io ho solo tre ricette: la prima è che lo
mangino quotidianamente anche i genitori, e che lo mangino con piacere perché i figli non mangeranno volentieri cibo che non piace ai genitori; la seconda è che sia buono, cioè di buona qualità e cucinato a regola d’arte, per consentire a grandi e bambini di riscoprire i gusti semplici del cibo sano; la terza è che siano introdotti con attenta gradualità, per evitare che un tubo digerente diseducato lo rifiuti.
Si potrebbe provare?
Franco Berrino, già direttore del Dipartimento di medicina preventiva e predittiva, dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano.
BEVETE PIÙ LATTE…
Drink more milk…
Epidemiol Prev 2013; 37 (4-5), Periodo: luglio-ottobre, pagine: 340-341
Di Franco Berrino - Dipartimento di medicina preventiva e per la prevenzione, Istituto
nazionale dei Tumori, Milano
«Il latte fa bene, il latte conviene, a tutte le età». Così si cantava negli anni Sessanta, e i medici ci credono
ancora. Se la sono bevuta, come si sono bevuta quella che il formaggio fa bene alle ossa, che lo zucchero fa
bene al cervello, che la carne dà energia, che la pasta fa ingrassare, che le proteine fanno dimagrire, che
bisogna dare la vitamina D ai neonati e la carne ai divezzi perché nel latte materno c’è poca vitamina D e
poco ferro (possibile che il padre eterno non ci abbia pensato?). I medici non studiano quasi niente sul
cibo nel corso di laurea (forse ancora qualcosa per l’esame di biochimica?), persino i gastroenterologi non
hanno lezioni di alimentazione nel corso della loro specialità (cosa c’entra il cibo con il tubo digerente?).
Ho visto in unità coronariche arrivare pasti di formaggio, salumi e uova (qualcosa di leggero per chi ha
avuto un infarto?) e in diabetologia pane bianco e purea di patate (non basta forse calibrare l’insulina?).
Ho visto l’annuncio del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca scientifica (MIUR) che delega all’industria l’educazione alimentare nelle scuole. 1 Ho visto programmi ministeriali per la ristorazione
scolastica con prodotti animali tutti i giorni, e con dosi di proteine tali che se i bambini mangiassero effettivamente quanto prescritto avrebbero nel pasto di mezzogiorno già tutte le proteine di cui hanno bisogno. L’eccesso di proteine è verosimilmente una delle principali cause dell’epidemia di obesità, assieme
alle bevande zuccherate, alle patatine e alle farine raffinate. I grandi studi prospettici europei e americani
mostrano coerentemente che chi mangia più proteine ingrassa. Le diete esageratamente iperproteiche
fanno dimagrire, perché intossicano il centro dell’appetito, ma chi le fa inevitabilmente ingrassa di nuovo,
spesso più di prima, verosimilmente perché tende a mantenere un consumo elevato di proteine.
In questi tempi di crisi l’industria alimentare difficilmente potrà crescere (nessuno riuscirebbe a mangiare
più di quello che già mangia e là dove c’è la fame il mercato non tira), ma contribuisce egualmente alla crescita del PIL aumentando il mercato della “più grande industria nazionale”, la sanità (così definita dal professor Monti), nonché dei settori produttivi in più rapida crescita: i rifiuti, l’inquinamento, e il business dei
centri benessere per dimagrire (con diete iperproteiche!).
Ci sono due tipi d’ignoranza sul cibo: l’ignoranza per mancanza (di formazione e informazione) e
l’ignoranza per presunzione. Che il latte e i formaggi facciano bene alle ossa fa parte di quest’ultima
(altrimenti dove prendiamo il calcio?). Effettivamente è difficile comporre un menù che comprenda un
grammo di calcio al giorno, addirittura 1,5 grammi al giorno per le donne in menopausa, come raccomanda la Società italiana di nutrizione umana (SINU) e molti “osteoporosologi”, senza metterci i formaggi. I
Livelli di assunzione raccomandati di nutrienti (LARN) per il calcio sono progressivamente aumentati dai
400-500 mg degli anni Cinquanta, facilmente raggiungibili con le foglie verdi, i legumi e i semi oleaginosi
della dieta mediterranea, fino ai 1.000-1.500mg di oggi, impossibili senza formaggi; e paradossalmente più
aumentano i LARN più aumenta l’osteoporosi. Nello studio EPIC, che segue 500.000 europei che hanno
fornito informazioni dettagliate sulla loro alimentazione nella prima metà degli anni Novanta, l’incidenza
delle fratture dell’anca aumenta linearmente con il consumo di carne (la carne sottrae calcio alle ossa per
tamponare l’acidità causata dall’eccesso di proteine, e le proteine animali acidificano più di quelle vegetali), diminuisce linearmente con il consumo di verdure (che apportano Ca, Mg, K, e soprattutto vitamina K,
ritenuti indispensabili per la buona salute delle ossa), e non cambia con il consumo di latte e formaggi (che
apportano molto calcio, ma anche molte proteine). Nessuno studio prospettico ha mai documentato una
benché minima riduzione del rischio di fratture ossee con il consumo di latte e formaggi (alcuni hanno
anzi suggerito un aumento di rischio), ma i risultati degli studi scientifici non sono sufficienti a far crollare
i pregiudizi. Il latte è una buona fonte di potassio e il suo consumo riduce un po’ la pressione arteriosa, ma
è ricco di grassi saturi e peggiora il quadro lipidico. Gli effetti sulla patologia coronarica sono controversi:
alcuni studi suggeriscono che sarebbe benefico solo il latte di vacche che pascolano, ma oggi generalmente
le vacche da latte l’erba non la vedono neanche (essendo selezionate per produrre molto latte hanno bisogno di un cibo più proteico, anzi non riuscendo a mangiare abbastanza proteine consumano le proprie e
dopo due o tre anni di attività vengono rottamate).
PAROLA D’ORDINE: RIDIMENSIONARE I PREGIUDIZI MEDICI
La Scuola di sanità pubblica di Harvard ha recentemente pubblicato una nota sul latte che ridimensiona la pubblicità e i pregiudizi medici:2 «Those advertisements pushing milk as the answer to strong bones are almost inescapable. But does “got milk?” really translate into “got strong bones?”». La conclusione è no, è che la raccomandazione standard di almeno tre porzioni al giorno del Ministero americano dell’agricoltura (USDA) non è indipendente da pressioni industriali e non ha basi scientifiche. Anche gli integratori di calcio non riducono il rischio di fratture, anzi forse lo aumentano (a meno che siano associati a vitamina D) e anzi aumenterebbero il
rischio di infarto e di cancro della prostata. Il documento di Harvard contiene le citazioni pertinenti. Che rischio
ci può essere a bere abitualmente latte? Il latte è un alimento per far crescere. Chi beve latte ha nel sangue concentrazioni più alte di fattori di crescita, in particolare di Insulin-like growth factor di tipo uno (IGF-I), e chi ha
più alti i fattori di crescita nel sangue si ammala di più di vari tipi di tumori, in particolare di tumori della mammella, dell’ovaio, dell’intestino e della prostata. Le cose sono complicate, perché se da un lato il latte è con tutta
probabilità associato ai tumori della prostata, e c’è il sospetto che faccia aumentare anche i tumori dell’ovaio,
dall’altro pare associato a un minor rischio di tumori dell’intestino, e gran parte degli studi sui tumori della
mammella non trovano associazioni (noi troviamo un’associazione solo per le donne con una predisposizione
familiare). Per questa ragione i ricercatori del Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (WCRF), 3 che hanno
esaminato tutti gli studi su dieta e cancro pubblicati fino al 2006, hanno deciso di non dare alcuna raccomandazione sul latte. Recentemente uno studio ha riscontrato che le donne che hanno avuto un tumore al seno e che
consumano latticini grassi hanno più recidive. Si sospetta che ciò dipenda dal fatto che il latte che si produce
oggi è molto diverso da quello di 50-100 anni fa. Mentre allora le vacche mangiavano erba, venivano munte solo
dopo che avevano partorito, davano 5-7 litri di latte al giorno e non producevano più latte durante la gravidanza successiva, oggi con la selezione genetica e con una dieta innaturale iperproteica si riescono a ottenere oltre
30 litri di latte al giorno anche durante la gravidanza, e il latte munto nella seconda parte della gravidanza è
molto più ricco di estrogeni, gli ormoni che stimolano la proliferazione delle cellule tumorali della mammella.
In conclusione, latte e latticini possono forse ridurre i tumori dell’intestino (ma potrebbero aumentare quelli
della prostata, e il latte quelli dell’ovaio e, nelle donne con predisposizione genetica, della mammella), paiono
associati a un rischio lievemente più basso di ipertensione (ma non di infarto) e non sono associati al rischio di
fratture. I nutrizionisti di Harvard, che dichiarano di non avere conflitti di interesse, suggeriscono di consumarne una porzione al giorno, che potrebbe ridurre un po’ il cancro dell’intestino senza aumentare troppo gli altri
tumori e il rischio cardiovascolare, ma non ci sono ragioni scientifiche per promuoverne il consumo, neanche di
una porzione al giorno. Ci sono ragioni invece di diffidare delle informazioni commerciali e degli studi sponsorizzati dall’industria. La prima regola alimentare per prevenire le fratture osteoporotiche è ridurre la carne e
aumentare le verdure, non aumentare latte e formaggi.
BIBLIOGRAFIA
www.ilgustofascuola.it
www.hsph.harvard.edu /nutrition source/ calcium-full-story/
www.dietandcancer report.org
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